Decreto Crescita, stop alla proroga per la serie A: la risposta dei club

Calciomercato

Nessuna proroga per gli sconti fiscali per gli sportivi, con i calciatori in primo piano, proventienti dall'estero. La misura, inizialmente prevista fino a febbraio, nelle prime bozze del decreto Milleproroghe è saltata. Questo avrà un impatto sui conti e sulle strategie delle squadre italiane. Dura replica della Lega calcio: "La mancata proroga produrrà minore competitività, riduzione dei ricavi, minori risorse da destinare ai vivai, minore indotto e minor gettito per l'erario". 

SKYLIGHTS ROOM, SCOPRI LA NOVITÀ

Si è parlando molto del decreto crescita nelle ultime ore. Per il suo inserimento nella manovra finanziaria che è saltato in modo definitivo dopo essere stato in un primo momento inserito nelle bozze e che prevedeva una proroga fino a febbraio per gli sportivi e, in primo piano, per i calciatori provenienti dall'estero. Adesso bisogna vedere quale sarà l'impatto sui conti e sulle strategie delle squadre italiane in vista della riapertura delle trattative a gennaio. 

Lega calcio: "Ora meno ricavi e meno competitività"

Non si è fatta attendere la reazione dei club di serie A alla decisione presa dal Governo: "Tale decisione, se confermata, avrà quale unico risultato un esito diametralmente opposto a quello perseguito. La mancata proroga produrrà infatti minore competitività delle squadre, con conseguente riduzione dei ricavi, minori risorse da destinare ai vivai, minore indotto e dunque anche minor gettito per l'erario". La Lega Serie A sottolinea che l'effetto di una eventuale mancata proroga era stato "illustrato in maniera puntuale e dettagliata in una nota inviata al Governo nei giorni scorsi". "Dal momento che la proposta di proroga aveva ottenuto il via libera tecnico per essere presentata in Consiglio dei Ministri, il fatto che alla fine sarebbe stata esclusa - prosegue la nota della Lega - lascia supporre che sia prevalsa per l'ennesima volta una visione del calcio professionistico distorta e viziata da luoghi comuni fallaci: una visione che purtroppo non tiene conto dello straordinario ruolo economico, oltre che sociale e culturale, che ricopre questo comparto industriale in Italia". "Qualora l'esito del consiglio dei ministri venisse confermato, la Serie A auspica che il Parlamento possa correggere questo errore che danneggia non solo il calcio italiano, ma tutto lo sport e il suo considerevole indotto". Ma vediamo più nel dettaglio quali erano le due posizioni in campo fra chi era d'accordo con la proroga e chi invece era per il no

Il fronte del sì

Il decreto crescita finora ha permesso una maggiore competitività delle squadre italiane sul mercato. Ha permesso finora di poter pagare meno tasse per uno stipendio netto competitivo. Alla squadra che comprava insomma un giocatore con uno stipendio da 1 milione di euro è costato circa 1,5 milioni anziché 2. Questo ha portato le squadre italiane o a spendere di meno (mantenendo la stessa qualità di prima) o a spendere lo stesso, aumentando però la qualità della rosa. Non avere più a disposizione questo strumento significa, soprattutto nella situazione economico/finanziaria in cui versano moltissime delle società italiane, modificare le proprie strategie e magari arrivare a dei giocatori meno importanti: visto che generalmente chi ha un salario più alto è (teoricamente) più bravo. I grandi giocatori che sono arrivati negli ultimi anni in Italia (quelli provenienti dalle federazioni estere, sia chiaro) sono stati convinti dalle società italiane che potevano permettersi uno stipendio all’altezza, senza dover spendere troppo. Pensate a Lukaku, Leao, Pavard, Thuram, Rabiot, Pulisic, Chukwueze o Kvaratskhelia e Osimhen: con il decreto crescita anche il rinnovo pesa di meno nelle casse della società. 

Il fronte del no

Al netto delle considerazioni politiche (lo Stato che sovvenziona di fatto le attività imprenditoriali calcistiche) il decreto crescita ha portato a un numero sempre più crescente di giocatori stranieri in Italia. E questo è un dato di fatto.  La prima stagione con il decreto crescita in vigore (19/20) non ha portato grandi stravolgimenti. La serie A stava comunque diventando sempre più esterofila. Proprio nella stagione 2018/19 c’era stato uno scatto: la percentuale di stranieri in rosa era arrivata al 55% con un utilizzo che sfiorava il 60% (mentre in precedenza sembrava essersi stabilizzata intorno al 50%). Con lo sviluppo di nuove strategie delle società con il decreto crescita si è arrivati nella scorsa stagione al 61% dei giocatori stranieri in rosa nelle nostre squadre di Serie A e a un utilizzo di stranieri (nel minutaggio) pari al 65,5%. Secondo dati Opta. Una percentuale altissima, la più alta in Europa, secondo la ricostruzione che ha fatto invece il CIES, sempre con gli stessi criteri ma allargando il discorso anche agli altri campionato europei. Dati forniti un mese e mezzo fa. Questo chiaramente comporta una serie di considerazioni anche politico/sportive. I recenti risultati della Nazionale italiana dipendono anche da questo? Le società di fronte a costi inferiori preferiscono gli stranieri agli italiani: questo a lungo andare può aver avuto una ripercussione? In molti sono pronti a giurare di sì. Senza contare la polemica politica vera e propria: perché deve favorire di aiuti di stato chi è già ricco? 

Gli impatti del decreto (finora)

Nella scorsa finestra di mercato, tanto per dare un’ordine di grandezza, praticamente la metà delle operazioni fatte in Serie A (esclusi gli obblighi di riscatto) sono state fatte utilizzando il decreto crescita. 64 su 129. Il risparmio finora ottenuto dalle società di Serie A in questa stagione, finora, è stato di quasi 140 milioni di euro. Una cifra che da febbraio in poi non sarà più risparmiata dai club. Che dovranno pensare a fare operazioni ragionando con la stessa aliquota di tasse. I soldi che finora erano stati risparmiati dai club hanno portato a una maggiore competitività, come detto. Non erano legati a nessun tipo di sviluppo infrastrutturale (campi di allenamento, centri sportivi, stadi) ma alla possibilità di arrivare a giocatori più forti spendendo cifre inferiori rispetto agli altri. Senza decreto crescita, la Serie A, per mantenere (a livello teorico) lo stesso tasso tecnico, avrebbe dovuto spendere 140 milioni di euro in più. Non li spenderà perché la norma non può essere retroattiva, ma è giusto per dare una grandezza a questo strumento.