Cotignola

Descrizione

Cotignola è un comune romagnolo di origine medievale, sorto sulle rive de fiume Senio. Fu feudo legato al nome di due capitani di ventura: Muzio Attendolo Sforza e Giovanni Acuto. Fu quest’ultimo a trasformare il paese in cittadella fortificata. Dominio prima sforzesco, poi estense, Cotignola divenne parte dello Stato Pontificio nel 1598. Il paese venne quasi del tutto raso al suolo durante la Seconda guerra mondiale, a causa della vicinanza con il fronte del Senio. La cittadina è nota per la caratteristica Festa della Sega vecchia, celebrazione primaverile tipica del folklore romagnolo.

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Cenni storici

Il borgo originario di Cotignola sorse nel Medioevo intorno alla pieve di Santo Stefano in Panigale, tra i secoli VII e VIII. Possedimento della Chiesa ravennate, nel 1370 fu affidata dal Papa al capitano di ventura inglese John Hawkwood, italianizzato in Giovanni Acuto, che fortificò il borgo con mura e bastioni. Nel 1411 divenne feudo di Muzio Attendolo, capostipite degli Sforza, famiglia che dominò Cotignola fino alla calata francese nel 1499. Dal 1502 fu dominio estense, fino all’estinzione della dinastia. Dal 1598 entrò definitivamente a far parte dello Stato Pontificio, come parte del ducato ferrarese. Nel XIX secolo conobbe la violenza del noto brigante romagnolo Stefano Pelloni, detto il Passatore, che assaltò Cotignola nel 1850. Durante la Seconda guerra mondiale (tra il 1944 e il 1945) venne duramente bombardata dalle forze anglo-americane e quasi del tutto distrutta, a causa della vicinanza con il fronte del Senio. La devastazione venne interrotta dalla fortunata operazione “Bandiera bianca”, dove due partigiani raggiunsero il campo alleato convincendo il comando ad interrompere i bombardamenti.

Focus narativi

Sebbene l’area fosse abitata già in epoca romana, Cotignola è nominata ufficialmente per la prima volta nel X secolo, con il toponimo “Cotoniola”, in qualità di fondo legato alla Pieve di Santo Stefano in Panigale. L’origine del nome è dibattuta: secondo alcuni deriva da cotoneus, cioè “cotogno”, in riferimento alla mela cotogna coltivata in zona (che compare anche nello stemma comunale); secondo altri deriva da cutis, ovvero “terra incolta”, “cotenna erbosa”. Già dal 1177, il toponimo Cotignola (con la dizione Gudignola) iniziò ad indicare tutta la località del borgo. Una prima fortificazione del paese venne fatta nel 1217 dai faentini, per contrastare l’ascesa dei conti di Cunio. Una seconda ristrutturazione difensiva venne fatta nel 1474 da parte dei forlivesi: in questa occasione, secondo una cronaca del 1661, vennero assoldate braccia da Forlì, scegliendo uomini “levati per la maggior parte dal Borgo de Cotogni”, da cui il nome definitivo Cotignola.

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La storia di Cotignola è legata a due capitani di ventura. Il primo fu John Hawkwood (1320-1394), italianizzato in Giovanni Acuto, condottiero inglese dell’Essex, veterano della Guerra dei Cent’Anni e fondatore della banda mercenaria Compagnia Bianca. A partire dal 1362 partì per l’Italia, dove combatté per i Paleologi, per i fiorentini, per i pisani e per Papa Gregorio XI. Quest’ultimo, nel 1370, lo investì del titolo di Signore di Cotignola. Fu Giovanni Acuto a ordinare nel 1376 la fortificazione del paese, dotandolo di mura, bastioni e una possente torre d’avvistamento, chiamata per l’appunto Torre d’Acuto. Da qui svolse missioni militari ai danni della Repubblica di Firenze e della città di Cesena. Dopo aver combattuto contro i Visconti e aver preso parte alla Battaglia di Castagnaro (1387) contro gli Scaligeri. Acuto si mise al servizio della Repubblica fiorentina. Morì a Firenze nel 1394.

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La Torre d’Acuto venne probabilmente costruita sulle rovine dell’antico campanile della Pieve di S.Stefano in Panicale (del X secolo), durante i lavori di fortificazione del 1376 voluti dal condottiero inglese. Venne fatta saltare dall’esercito tedesco nel 1944, durante il secondo conflitto mondiale. La Torre d’Acuto venne ricostruita come un tempo nel 1972: l’unico pezzo originario è la campana civica, detta “è Campanòn”, rimasta illesa dalla distruzione bellica. Fusa in bronzo, la campana è decorata con gli stemmi di quattro famiglie nobili cotignolesi. Un’epigrafe indica gli eventi in cui è consentito suonare la campana: “Arma – Ignem – Excubias – Senium – Sontesque – Senatum – Jubila” ovvero: per la guerra, per il fuoco, per le sentinelle, per il Senio, per i briganti, per il Senato, per le feste.

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L’altro capitano di ventura illustre di Cotignola è Giacomo Attendolo (1369-1424), detto Muzio, futuro capostipite della famiglia Sforza che ebbe i natali proprio nella cittadina romagnola. Nato da una famiglia di agiati agricoltori cotignolesi, Muzio si dedicò da giovanissimo al mestiere della armi, militando in compagnie mercenaria attive tra il romagnolo e il marchigiano. Nel 1386 entrò nella Compagnia di San Giorgio. Qui si guadagnò il soprannome di “Sforza”, per via della sua tenacia incrollabile. Dopo aver combattuto a fianco degli Este e degli Angiò-Durazzo, nel 1398 si spostò a Perugia. Qui conobbe Lucia Terzani, compagna per il resto della vita e madre di otto figli, tra cui Francesco, il futuro duca di Milano e primo della dinastia Sforza. Nel 1411, Giovanni XXIII lo fece Signore di Cotignola. La vita di Attendolo proseguì guerreggiando per tutte le maggiori signorie italiane, riuscendo al contempo ad organizzare proficui matrimoni per accrescere il nome della famiglia e per ampliare i propri possedimenti, sparsi tra Toscana, Basilicata, Calabria, Abruzzo e Puglia. Morì tragicamente nel 1424, nel corso della Guerra dell’Aquila, mentre cercava di soccorrere la città abruzzese dalle forze aragonesi: durante il guado del fiume Aterno-Pescara venne travolto dalle acque. Il corpo del condottiero non venne mai ritrovato. Alla sua morte, il feudo di Cotignola passò al figlio Francesco e da questo momento in poi, la città romagnola legò la sua storia alla famiglia milanese.

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Il palazzo dove visse la famiglia Attendolo a Cotignola passò alla storia come Palazzo Sforza, costruito nel 1376 da Giovanni Attendolo, padre di Muzio. Nonostante fu dichiarato Monumento Nazionale per l’Arte e la Storia nell’anno 1892, venne distrutto quasi completamente durante l’ultimo conflitto mondiale. Ricostruito nel 1961, inglobando le poche parti intatte, il Palazzo è ora sede dell’Archivio Storico e del Museo Luigi Varoli, dedicato all’artista e musicista cotignolese. All’ingresso dell’edificio è stato ricollocato anche il rosone in cotto recante il primo stemma degli Sforza, un leone rampante con una mela cotogna su sfondo azzurro, dal quale è tratto l’attuale stemma di Cotignola.

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Cotignola diede anche i natali a Girolamo Marchesi, detto appunto “Il Cotignola” (1480-1550), pittore rinascimentale che fece bottega a Bologna e che ebbe contatti con Raffaello Sanzio, che ne influenzò alcune opere. Le sue opere sono esposte a Cesena, (la Deposizione), Ferrara (l’Adorazione dei Re Magi e due figure di Santi), Rimini, Forlì e alla Pinacoteca nazionale di Bologna (Madonna col Bambino)

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Il 17 gennaio 1850 Cotignola venne assaltato da Stefano Pelloni, detto il Passatore, il più celebre e sanguinario brigante romagnolo. Per maggiori dettagli si rimanda alla scheda dedicata.

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Durante la Seconda guerra mondiale Cotignola, cittadina che sorgeva proprio sulla linea del fronte del Senio, venne duramente colpita dai bombardamenti alleati per ben cinque mesi. Finalmente i tedeschi si ritirarono sulla sponda sinistra, non prima di aver minato i campi lasciati alle spalle. Gli alleati, non ancora sicuri di aver neutralizzato le forze della Wehrmacht, erano intenzionati a bombardare ulteriormente Cotignola, già ridotta ad un cumulo di macerie, per garantirsi un’avanzata senza pericoli. I cittadini del paese romagnolo si trovarono così schiacciati tra i campi minati e la minaccia di un nuovo bombardamento a tappeto. Fu in questo clima, il 10 aprile 1945, che Luigi “Leno” Casadio e don Stefano Casadio, un capo partigiano e un religioso, decisero di avanzare per i campi minati fino al quartier generale alleato, tenendo ben issata una bandiera bianca. I due domandarono di non bombardare più Cotignola, poiché gli unici tedeschi rimasti in paese erano già stati fatti prigionieri dei partigiani. Le truppe anglo-americane restarono molto sospettose ma alla fine si fecero convincere: Don Stefano venne tenuto ostaggio delle forze Neozelandesi, mentre Leno tornò al paese per consegnarlo agli alleati. Grazie all’iniziativa dei due cotignolesi, che passò alla storia come “Operazione bandiera bianca”, i pochi edifici rimasti in piedi vennero risparmiati, insieme alle vite di chi era sopravvissuto. I due eroi vennero insigniti della Medaglia al valor civile.

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Cotignola è famosa per l’antichissima celebrazione della Segavecchia, tradizione documentata sin dal 1451. La Segavecchia ha luogo dal giovedì alla domenica di mezza Quaresima, che nella tradizione cristiana è detta Laetere. Questa domenica aveva lo scopo di inserire una lieta celebrazione nelle settimane penitenti di digiuno pre pasquale. Nella tradizione romagnola la Segavecchia consiste nella costruzione di un grande fantoccio di una vecchia signora, riempito di dolci e leccornie. La “vecchia” è dunque condotta in piazza: qui viene letta la sua condanna a morte e giustiziata per decapitazione. Dunque il ventre del fantoccio viene squarciato, i dolci estratti e distribuiti ai bambini, mentre i resti della povera vecchia vengono dati alle fiamme. La spiegazione cristiana della celebrazione varia di luogo in luogo ma generalmente racconta di una strega che venne sorpresa a pungere con uno spillo un fantoccio di Francesco Sforza e per questo condannata a morte. In altre versioni è una donna incinta a subire il supplizio. La Segavecchia è più di un goliardico carnevale anticipato e ha antiche radici indoeuropee: è un rito simpatico-imitativo che aveva lo scopo di propiziare l’arrivo della primavera dopo il buio invernale, in un periodo durante il quale le riserve cominciavano a scarseggiare. Il fantoccio rappresentante una vecchia incinta era allegoria della Madre Terra. Squarciandone il ventre si traevano i frutti e si propiziava quindi la generosità della terra che si risveglia in primavera. La Segavecchia è dunque un rito di passaggio tra l’inverno e l’estate.
Questa vetusta tradizione, un tempo diffusa in tutta Romagna, viene celebrata ancora solo a Cotignola e Forlimpopoli.

Spunti videoludici

Cotignola legò la propria storia a due capitani di ventura, personalità solitamente legate alla guerra e alla devastazione ma che in questo caso portarono grandi benefici e sviluppo al paese. Cotignola può essere il punto di partenza per una narrazione ambientata nel medioevo italiano che racconti le gesta italiane di Giovanni Acuto o di Muzio Attendolo o ispirare un gioco che veda mercenari e signori della guerra quali protagonisti. Combattendo per le varie signorie di turno, il giocatore potrà ottenere fama, potere e denaro per ampliare, fortificare e abbellire il proprio feudo.

Cotignola diede i natali a Muzio Attendolo, capostipite della potente famiglia Sforza. In una narrazione che veda protagonista il condottiero o la sua casata, Cotignola è sicuramente una cornice obbligatoria da dove partire: fu qui che un giovane contadino, di nome Giacomo, prese la decisione di diventare un signore della guerra. Questa scelta mise in atto una serie di eventi che portò l’ascesa di una grande casata che fece la storia d’Italia.

È noto che Muzio Attendolo avesse gusto per le armi ben fatte e per le armature riccamente decorate. È verosimile che ne indossasse una anche il giorno in cui venne travolto dalle acque. La ricerca dei resti mai ritrovati del condottiero è una quest perfetta per un videogioco. Quali statistiche avranno le letali armi del capostipite degli Sforza?

Cotignola fu testimone delle furiose lotte verificatesi sulla Linea Gotica durante la Campagna d’Italia. L’Operazione Bandiera Bianca può essere il fulcro intorno al quale costruire una narrazione che descriva le condizioni dei paesi occupati e bombardati, delle lotte partigiane e degli atti di eroismo dell’ultimo conflitto mondiale.

La celebrazione della Segavecchia è una vecchissima tradizione goliardica e un poco grottesca, che nasconde alle spalle un retaggio culturale millenario. La festa può ispirare analoghe ritualità paesane di località fittizie, che abbiano origini antiche e pagane e che dietro ad un aspetto spensierato nascondano in realtà motivazioni ancestrali e inquietanti. Cosa accadrà quando anche l’ultimo paese smetterà di celebrare questo rito antico? Si scatenerà forse la vendetta della terra?

[Biliografia]

– Dalmonte G., Cotignola dal dominio estense all’Unità d’Italia. Storia sociale di un comune romagnolo, Ravenna, Longo Angelo Editore, 2017

[Sitografia]

Romagna d’Este.it
Emilia-Romagna turismo.it

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