Quando la copiatura di files informatici non integra né il reato di appropriazione indebita né quello di furto (di Riccardo Radi)

Un avvocato di un prestigioso studio, dopo aver comunicato la propria volontà di recedere da uno studio associato, si impossessa di alcuni “files“, cancellandoli dal “server” dello studio, oltre che di alcuni fascicoli processuali in ordine ai quali aveva ricevuto in via esclusiva dai clienti il mandato difensivo, al fine di impedire agli altri colleghi dello studio un effettivo controllo sulle reciproche spettanze.

La vicenda approda in cassazione che nell’occasione afferma la possibilità che oggetto della condotta di furto possono essere anche i files (Sez. 5, n. 32383 del 19/02/2015, Rv. 264349) ma la questione non è così semplice come appare.

Recentemente la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26899 del 27 maggio 2022, ha esaminato la questione relativa alla configurabilità del reato di appropriazione indebita o di furto nel caso di copiatura di files informatici.

A prescindere dal fatto che i files siano o no qualificabili come “cosa mobile”, ai sensi dell’art. 646 c.p., nel caso di specie, in cui vi è stata la mera copiatura dei file, difetta l’elemento materiale del reato di appropriazione indebita costituito dalla definitiva sottrazione del bene ai titolari.

A tale proposito, si deve infatti rilevare che, diversamente dal caso esaminato da Cass. pen., sez. 2, 7 novembre 2020, n. 11959, in cui l’elemento materiale del reato di appropriazione indebita era stata ritenuto in quanto si era avuta la «sottrazione definitiva» dei file «mediante la loro cancellazione», così che «si realizza[va] il fatto tipico della materiale sottrazione del bene, che entra a far parte in via esclusiva del patrimonio del responsabile della condotta illecita», nel caso della mera copiatura – come è stato, pacificamente, nella fattispecie esaminata dalla Corte, in difetto della cancellazione dei file, questi restano nella disponibilità materiale e giuridica del titolare, con la conseguenza che manca la definitiva sottrazione del bene allo stesso e, quindi, l’elemento materiale del reato di appropriazione indebita.

Tale reato, dunque, potrebbe ritenersi integrato solo nel caso in cui, alla copiatura, faccia seguito la cancellazione del file, ovvero nel caso – parimenti estraneo alla presente fattispecie – di utilizzazione di comandi che comportino lo spostamento del file dal computer del titolare al computer o, comunque, a una memoria, dell’imputato.

La mera copiatura del file e, quindi, la mera acquisizione della conoscenza delle informazioni (dati) contenute nello stesso, il quale resti nella disponibilità materiale e giuridica del titolare, non può, pertanto, integrare il reato (la condotta materiale) di appropriazione indebita.

In questo senso si è del resto già espressa la Suprema Corte, sia pure in tema di furto, affermando il principio – che si palesa valido anche con riguardo all’appropriazione indebita – secondo cui è da escludere la configurabilità del reato di furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di file contenuti in un supporto informatico altrui, non comportando tale attività la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore (Cass. pen., sez. 4, 26 ottobre 2010, n. 44840; Cass. pen., sez. 4, 13 novembre 2003, n. 3449).