Cos’è il Liberalismo?

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Questo articolo è uscito sul mensile il Lametino lo scorso 1 marzo 2014.

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Ce lo spiega l’avv. Sandro Scoppa, presidente della Fondazione “Vincenzo Scoppa”

La Scuola di Liberalismo “Ludwig von Mises” ha iniziato da poco la sua sesta edizione. È un’iniziativa originale, ormai consolidata, e di grande successo.  In cosa consiste e quali sono le sue finalità?

La Scuola di liberalismo è unica nel suo genere. Porta il nome di “Ludwig von Mises”, il grande economista e scienziato sociale austriaco, ed è un corso di formazione politica, aperto a tutti e gratuito, sul sistema di princìpi del liberalismo classico. Ha lo scopo di trasmettere conoscenza e di arricchire il bagaglio culturale soprattutto dei giovani, che possono in tal modo cercare nella cultura del liberalismo i mezzi mediante cui trovare orientamento nella vita e nella futura attività professionale.

LibScoppa

Il programma della Scuola comprende l’analisi dei presupposti gnoseologici e dell’habitat normativo della “società aperta”, dei nessi tra fallibilismo, mercato e democrazia liberale, e l’approfondimento dei principali temi del liberalismo, sulla base dei contributi dei maggiori esponenti della Scuola austriaca, degli anarco-capitalisti americani, dei grandi pensatori italiani ed europei, e di tutti coloro che nella storia passata e nell’attualità hanno dato un contributo alla causa della libertà e allo sviluppo di una società libera.

I suoi seminari sono tenuti dai maggiori studiosi del pensiero liberali e da docenti di molte università non solo italiane.

Lei ha fatto riferimento al liberalismo classico come oggetto di studio nella Scuola. Può precisare cosa si deve intendere quando si parla di liberalismo classico, visto anche che in tanti oggi si definiscono liberali e che la stessa parola liberalismo possiede molteplici significati?

La sua domanda è quanto mai opportuna, perché consente di fare chiarezza sull’argomento.

È vero che la parola liberalismo possiede molteplici significati, i quali hanno dato luogo a un vero e proprio ingorgo semantico, ed è altrettanto vero che oggi in molti si definiscono liberali. Tuttavia è da tenere presente che, come ha esattamente osservato Karl R. Popper, liberale è colui il quale crede nella libertà individuale di scelta e non il militante di un qualche partito politico, sedicente liberale. Solo il sistema di princìpi che difende tale libertà (e che perciò sostiene la necessità di limitare il potere pubblico) deve intendersi come liberalismo. È questa un’idea che viene da molto lontano. Infatti, i primi che abbiano chiaramente concepito il concetto di libertà individuale sono stati gli ateniesi del periodo classico (V e IV secolo a.C.), che lo hanno trasmesso ai moderni essenzialmente attraverso le opere di autori romani. L’idea si è rialimentata poi nel Medioevo.  Ed ha assunto la sua forma moderna durante la seconda metà del Seicento e nel secolo successivo, come insieme dei principi politici dei Wighs inglesi. Il liberalismo pertanto ha una sua precisa e ben definita identità, e non può essere utilizzato come un’etichetta da apporre a iniziative manipolative del sistema di mercato e limitative della libertà di ciascuno di modellare la vita personale secondo i propri piani.

Spesso, soprattutto nell’ ambito politico italiano, sono frequenti i richiami al liberalismo, che sovente è anche distinto dal liberismo. Puoi chiarire come stanno realmente le cose?

La distinzione tra liberalismo e liberismo si è fatta strada in Italia nella seconda metà del diciannovesimo secolo, come risultato dell’importazione di idee di origine tedesca. Essa è stata ripresa da Benedetto Croce il quale, in virtù del ruolo da lui svolto nella cultura italiana e nell’opposizione al fascismo, le ha dato credibilità, tanto da pregiudicare la crescita del liberalismo italiano. Invero, tale distinzione, che rompe il legame tra libertà economica e libertà politica, sottovalutando la funzione svolta dal momento “economico” e sull’erroneo convincimento che la libertà politica possa esistere senza libertà economica, è estranea alla tradizione liberale classica ed è altresì forviante. Infatti, come messo chiaramente in evidenza degli esponenti della Scuola austriaca di economia, e in particolare da Ludwig von Mises e Friedrich A. von Hayek, i mezzi economici servono tutti i fini e, pertanto, nessuna libertà di scelta da parte degli individui può realizzarsi laddove gli stessi mezzi siano detenuti monopolisticamente dalle autorità politiche. Ciò significa che non si può avere libertà individuale di scelta senza proprietà privata e libertà economica.

Taluni si oppongono al liberalismo ritenendo che l’applicazione dei suoi princìpi renda impossibile la solidarietà. Qual è la sua opinione in proposito?

La cultura che contrappone il liberalismo alla solidarietà e, in particolare, imputa allo stesso di non essere solidale appare collegata unicamente a pregiudizi ideologici ostili al mercato e all’illusione che sia possibile costruire deliberatamente un ordine sociale vantaggioso per la collettività, attraverso l’interventismo redistributivo dei pubblici poteri. Invero, come è facilmente dimostrabile, l’assistenzialismo pubblico non solo non ha realizzato gli scopi di solidarietà dei quali si era fatto portatore, ma si è rivelato un pessimo affare per la collettività, dalla quale, attraverso la coercizione, ha prelevato più di quanto avrebbe potuto ottenere spontaneamente in assenza di coercizione e per i servizi resi. Invero, in un’economia di mercato e nell’attuale società globalizzata, che ha raggiunto elevati livelli di benessere, grazie a nuove scoperte e ai successi dell’industria e della libera impresa, è doveroso apprestare un sistema di sicurezza e solidarietà, ma ciò deve essere fatto abbandonando l’idea di una “giustizia sociale” politicamente realizzata. Ossia: occorre lasciarsi alle spalle l’illusione di poter liberamente manomettere i meccanismi competitivi di mercato, il cui funzionamento costituisce insieme un valore etico e la migliore garanzia di soddisfazione dei bisogni soggettivi.

Liberalizzare e privatizzare sembrano la via da percorrere per la crescita e lo sviluppo del nostra Paese. Condivide tale idea?

Nella rivista Liber@mente, edita dalla Fondazione Vincenzo Scoppa, abbiamo più volte trattato tale importante tema. Personalmente sono sempre dell’idea che liberalizzare e privatizzare siano ormai delle strade obbligate e che, senza un ampio progetto che congiuntamente li comprenda, è ormai impossibile affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, che è un fenomeno in espansione e un processo irreversibile. Naturalmente, liberalizzare non significa qualche taxi o qualche farmacia in più come privatizzare non equivale a trasferire un ente di Stato in una s.p.a. posseduta o controllata dallo Stato stesso grazie a una golden share.

Liberalizzare e privatizzare significa ridurre drasticamente il peso dello Stato e degli apparati pubblici e affrancare la vita sociale ed economica dalla presenza di politici e burocrati i quali, legge dopo legge, imposta dopo imposta, hanno finito progressivamente per ridurre l’autonomia degli individui e gli spazi vitali della cooperazione sociale volontaria.  Gli effetti positivi sarebbero immediatamente apprezzati, a iniziare dall’ambito economico, che diventerebbe più dinamico e competitivo, soprattutto in molti settori chiave, mentre i conti pubblici registrerebbero un immediato abbassamento del deficit.

In sostanza, è necessario abbandonare il mito dello Stato e dell’interventismo pubblico e comprendere che il mondo reale è un mondo di innovazione, nel quale le iniziative dei singoli individui, messi nelle condizioni di operare liberamente, rappresentano il motore dello sviluppo culturale, sociale ed economico.

Francesco D’Amico

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