Rymden – Valleys and mountains

Pochi secondi dentro a questo terzo lavoro dei Rymden e tutta l’ambientazione sci-fi e relativo corredo sonoro nei quali erano immersi i primi due “Reflections and odissey” e “Space sailors“, svanisce di colpo, per lasciare spazio ad un quanto mai terrifero e contagioso riff in chiave soul jazz condotto dal pianoforte di Bugge Wesseltoft e rifinito dalla chitarra bluesy dell’ospite John Scofield. E’ una delle chiavi di “Valleys and mountains “, per il quale è quasi banale dire che Rymden, ovvero Wesseltoft in compagnia dei superstiti E.S.T. Magnus Öström e Dan Berglund sono atterrati dopo un lungo volo spaziale. La stessa chiave che apre “A walk in the woods”, una bella escursione straight ahead con vista progressive durante la quale trovano spazio i soli del contrabbasso e del pianoforte. Oppure “The mountain”, ( altro titolo “terreno”) scandita ritmicamente dalle corde nodose di Öström, definita dalla iterativa melodia del pianoforte ed attraversata da un lungo solo di synth che conferisce un tocco vintage alle atmosfere del brano, chiuso da una frenetica volata drum and bass. Sulrovescio del programma si collocano invece tre brani intimisti e meditativi che rappresentano l’inner side di questa escursione naturalistica. “Ro” ci immerge in una condizione estatica con il suo ammaliante motivo /inno venato di blues che richiama alcuni dialoghi “con se stesso” di Keith Jarret. “Song From The Valley” , composta collettivamente, procede per accenni, pennellate timbriche che creano un piccolo microcosmo astratto ed evocativo per coagularsi in una parte finale dall’andamento processionario scandito dalle corde del contrabbasso e dai tamburi.

La conclusiva “The Himmel”, condotta dall’archetto del contrabbasso, esplora, in un linguaggio affine alla classica, un mood malinconico e scuro, dal quale scaturisce, progressivamente, un’apertura verso orizzonti collettivi. maggiormente solari e ritmciamente frastagliati.

Fuori catalogo il brano che può essere considerato il trait d’union fra le due anime del lavoro. Il titolo “Milam bardo” pare alludere, nella dottrina buddista, ad uno stato intermedio fra una condizione di esistenza e quella successiva. Il clima è quello di un romantico minuetto cadenzato dalle corde del contrabbasso e con un lieve tessuto percussivo sullo sfondo: poco più di due minuti che si imprimono naturalmente nelle memoria uditiva dell’ascoltatore.

Dopo tanto vagare per lo spazio, l’impressione è che questo “atterraggio” abbia contribuito in modo sostanziale alla definizione dell’ identità peculiare del trio. Esbjorn Svensson Trio, di cui si è da poco celebrato il trentennale in un commovente concerto allo Stockolm Jazz Festival con Öström e Berglund insieme a molti altri musicisti europei (fra i quali Verneri Pohjola, Ulf Wakenius, Magnus Lindgren) è stata una delle più rappresentative ed innovative formazioni del jazz contemporaneo. Rymden è una storia diversa. E se la sezione ritmica talora replica le bordate e gli eccessi timbrici che animavano la musica di di E.S.T., il pianoforte di Bugge Wesseltoft non segue quello di Svensson nell’attitudine alla creazione di pathos o crescendo carichi di tensione. Il pianista norvegese preferisce lavorare su registri più tenui e meno appariscenti, alternando estroversione ed intimità in una sintassi attuale che è il risultato di molteplici esperienze, dal jazz nord europeo di Garbarek e co. al nu jazz elettronico praticato dalla sua etichetta jazzland recordings che pubblica questo lavoro.

Un disco che conquista con la frequentazione, sconsigliato fermarsi alle prime impressioni.

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