Vivere appesi ad un filo

Tina era una bambina come le altre, con due braccia, due gambe, i capelli raccolti in due lunghe code, un grosso sorriso sulla faccia e un vestitino giallo con la gonna sopra il ginocchio. A vederla si sarebbe detta una bambina normale, ma il problema era proprio quello: riuscire a vederla. Non era invisibile, era fatta di carne ed ossa, solo che nessuno l’aveva mai vista perché lei viveva sospesa nell’aria. Per tanti anni aveva vissuto in mezzo alle nuvole, nell’azzurro del cielo, saltellando dietro agli uccellini su quei soffici batuffoli di zucchero filato.

Finché un giorno un forte vento improvviso la portò via. Tina si sentiva precipitare in balia del soffio senza sosta che, facendola volteggiare su se stessa, l’avvicinò pericolosamente al suolo. Fu in quel momento che un bambino, mano stretta in quella della madre, fissò il suo sguardo negli occhi di Tina, giusto in tempo per vedere come, calmandosi il vento, lei ricominciava pian piano a tornare su, trascinata da un filo invisibile che la teneva sospesa a mezz’aria. Allora il bambino, eccitato e confuso cominciò a gridare, puntando il dito al cielo:
– Mamma guarda! Quella bambina sta appesa ad un filo! Vola! Guarda, mamma!

Non appena Tina riuscì a prendersi un attimo, di nuovo seduta sulla quieta nuvola che lei chiamava casa, cominciò a ripensare all’accaduto e alle parole del bambino, che risuonavano nella sua testa come colpi di Gong. “Quella bambina sta appesa ad un filo”. Cosa voleva dire? Cosa significava stare, vivere appesi ad un filo?

Me lo sto chiedendo da quasi un mese. Da quando i medici hanno cominciato a dirci: non possiamo sapere se si riprenderà, non si può sapere cosa succederà quando si sveglia, se si sveglia. Non possiamo fare altro che aspettare e sperare. E se credete, pregate.
Ormai è diventato un mantra e quelle parole così piene di nulla, così pesanti, hanno smesso persino di fare male, a forza di sentirle. Sempre uguali, sempre inutili, sempre vuote eppure piene di quell’unica speranza che continua a farci andare avanti ogni giorno, come se tutto fosse normale, come se vivessimo sulla terra, mentre invece viviamo tutti appesi ad un filo. Non solo tu, isolata nella tua nuvola bianca. Non solo tu, mamma.

Ti amiamo all’inverosimile.

3 commenti

  1. A volte la vita ci mette di fronte a difficoltà che neanche avremmo immaginato, come un fulmine a ciel sereno ti trafiggono diritte nel cuore.
    Mi sono trovata in questa situazione più volte sia con mio padre che con mio fratello.
    A volte mi sembrava di vivere in un film e dicevo i protagonisti non siamo noi è solo un brutto film, a volte il dolore mi strappava il cuore ma non potevo farmi vedere dalle mie figlie.
    3 gg prima della nascita di Emily mio padre andò in crisi cardiorespiratoria e rimase per 3 mesi in rianimazione passando da varie fasi. La sera prima della nascita di Emily gli infermieri non volevano che entrassi nel reparto per paura che mi sentissi male.
    Piangendo gli ho detto “se mi sento male il reparto di ostetricia è 2 piani più in alto, domani partorisco e questa potrebbe essere l’ultima volta che vedo mio padre vivo seppur in coma.”
    Mi hanno fatto entrare seppur monitorandomi da vicino.
    Lui in quell’occasione ci saltò fuori a dispetto di tutti i pronostici.
    lo avevano dato per spacciato ma lui seppur ammaccato riuscì a farcela per altri 4 anni.
    Per mio fratello non è stato così in 40 gg dal niente al tutto.
    Io ti auguro con tutto il cuore che questo sia solo un brutto film con un lieto fine e che la tua mamma, in barba ai pronostici, alle dicerie dei medici si possa riprendere, magari ammaccata come il mio babbo ma ancora con una qualità della vita dignitosa.
    Tieni duro e sappi che se hai bisogno di sfogarti ti accolgo a braccia aperte da mamma a mamma, da madre a figlia, da sorella a sorella.
    Ti abbraccio forte

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