Piopparelli bianco perla

PIOPPARELLI BIANCO PERLA

di Paolo Zanoni – fotografie di Luciano Zanoni

La parte centrale del mese di ottobre ci ha inflitto uno sgradito anticipo d’inverno. Le correnti fredde del nord hanno fatto abbassare bruscamente le temperature fino allo zero, tanto da imbiancare i campi con le brine mattutine e da costringere le famiglie ad accendere anzitempo i termosifoni. Cieli grigi e foglie cadenti hanno riempito gli animi di malinconia e l’umidità onnipresente ha costretto la gente al ritiro domestico. Il ricordo dell’estate si allontanava per lasciare il posto al pensiero della brutta stagione, con i suoi rigori e le sue giornate corte.

Come ogni anno ottobre ci ha regalato la prima fioritura dei funghi, breve e scarsa, a beneficio di pochi esperti cercatori. Un assaggio limitato in attesa di quelle più diffuse e consistenti favorite dalla luna nuova di novembre.
Nel pomeriggio uggioso e poco invitante di venerdì 23 ottobre, decido, in verità con speranze nulle di successo, di fare una camminata in cerca di funghi. Mal che vada me l’ha prescritto il medico per respingere gli attacchi del diabete. Come sempre, da quando mi prendeva con sé mio padre fin da bambino, porto con me solo una busta di plastica. Per la caccia personale ai chiodini, unica famiglia micologica che conosco a fondo, faccio affidamento sulla mia vista, ahimè non più acuta e sul mio fiuto non certo infallibile. Come da previsioni è andata a finire che dei funghi agognati non ho visto neppure l’ombra.
Però dopo poche centinaia di passi svelti, protetto dall’impermeabile kiway, i muscoli si sono sciolti e le mani e i piedi si sono riscaldate con la riattivazione della circolazione sanguigna, regalandomi un piacevole senso di benessere. Anche il cielo plumbeo e minaccioso di pioggia mi è apparso a quel punto amico e i campi verdi di erba medica, cancellavano alla vista quelli monotoni e brulli ormai sgombri dell’ultimo raccolto di mais.

Un alternarsi di ordine e di disordine, di colore riposante e di grigiore, di vita e di desolazione, che mi rammentavano lo stato precario di salute della nostra agricoltura. Col latte a 30 centesimi al litro, pagato quanto una bottiglia di acqua minerale al supermercato e il granoturco che costa al quintale al pari di tredici caffè normali al bar, il futuro del nostro settore primario è quanto meno preoccupante. Chi avrebbe mai pensato che anche la florida agricoltura della più fertile pianura d’Europa, sarebbe stata risucchiata nel vortice della grave crisi economica in atto e della inarrestabile globalizzazione di questo inizio millennio!

Osservando uno degli ultimi filari di gelsi ancora presenti nel territorio di Villachiara, mi sono venuti alla mente i meravigliosi chiodini gialli dai riflessi dorati che i loro tronchi cavi offrivano un tempo. Così come, calpestando le ghiande cadute da una grande quercia, mi rammentavo di quelli scuri e compatti che crescevano sui ceppi duri di questi maestosi alberi, abbattuti per farne assi e travi di lunga durata. Ogni essenza legnosa dava i suoi funghi, conferendo loro il colore caratteristico.
Se la ricerca di funghi diventa ogni anno meno fruttuosa, lo si deve al progressivo diradamento di ripe e ceppaie, all’accorpamento poderale legato alla meccanizzazione dell’agricoltura, all’eliminazione di molti vasi irrigui, resi superlui dalla irrigazione a pioggia e dalla potenza delle turbine e probabilmente dai mutamenti climatici in atto. Per contro si sono moltiplicati i cercatori, molti dei quali scendono in questo lembo estremo della Bassa fin dalla città. Ma questi posti sono, micologicamente parlando, un Eldorado dalle vene in via di esaurimento, che delude spesso le attese.

In un tempo ormai lontano, all’apparire delle nebbie, la natura compiva il suo miracolo annuale, facendo spuntare diverse varietà di funghi, di cui le famiglie del paese raccoglievano solo le specie migliori per soddisfare in vari modi le esigenze delle loro tavole. Un passato che non può tornare, relegato com’è sempre più nel mondo della nostalgia.
Meditando e camminando con le mani in tasca, sono giunto fino al Vignotto di Villagana, il luogo più silenzioso e appartato che conosco, un rifugio sicuro dove smaltire le tossine quotidiane. Nessuna traccia di presenza umana. Anche i due appostamenti fissi per la caccia agli uccelli migratori incontrati lungo il percorso erano vuoti e nell’aria non si sono udite fucilate venatorie.

Raggiunta la meta, a mani vuote e solo con me stesso, ho ripreso la strada del ritorno avendo costantemente davanti a me come punto di riferimento sicuro il candido e slanciato campanile di Villachiara. Ogni tanto un’occhiata distratta alle “soche”, perché la ricerca dei funghi riserva ampi margini di imprevedibilità. Difatti, come si usa dire, la sorpresa era dietro l’angolo. Volgendo lo sguardo verso un fosso, mi appariva un grosso ceppo secco di pioppo coperto da funghi bianchi perlacei, perfetti nelle forme ed al punto giusto di maturazione. “Devono essere dei piopparelli”, mi sono detto, cogliendone uno piccolo da confrontare col manuale dei funghi che possiedo. Non ero sicurissimo dell’individuazione in quanto non avevo mai raccolto questa varietà, che pure alligna dalle nostre parti.

La comparazione con la descrizione e la fotografia contenute nella scheda del libro, coincidevano in ogni particolare. Cappello bianco tendente al bruno, gambo bianco e gommoso, lamelle fitte e bianche, profumo intenso e invitante. Il piopparello cresce in gruppi talvolta numerosissimi sui tronchi e sui ceppi dei pioppi. E’ presente dalla pianura alla montagna. Cresce dalla primavera all’autunno inoltrato quasi ogni mese con le medesime fasi lunari. Eccellente e molto gustoso, questo fungo si presta bene ad essere cucinato in umido con carne di maiale ed accompagnato da polenta fumante. Ottimo nei risotti, può essere conservato sott’olio e sottaceto. Il giudizio che ne danno gli esperti sotto l’aspetto culinario è “ottimo”, contro il “buono” del chiodino.

Sarà, ma volevo giudicare di persona. Non pago del positivo riscontro, ho voluto consultare il mio amico Vincenzo per un parere definitivo. Lui, grande esperto di funghi, ha confermato l’identità del campione mostratogli, raccomandandomi di non consumare i gambi coriacei degli esemplari più grandi. L’indomani mattina, di buon’ora, sono tornato sul posto con mio fratello per effettuare la raccolta, non prima di avere fotografato l’affollata famiglia di piopparelli. Con un residuo scetticismo, ne abbiamo per due giorni apprezzato le virtù culinarie, prima in un risotto a base di brodo di manzo, quindi in umido con costine di maiale e polenta, come da ricetta consolidata. Le prove mi hanno convinto; il piopparello bianco perlaceo regge degnamente la sfida in cucina col celebrato chiodino delle nostre plaghe, che per me resta insuperabile e insuperato.

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