Sezzadio. Il Giudizio nell’Abbazia di Santa Giustina

Uscendo da Sezzadio verso sud diventa subito visibile il grande complesso dell’Abbazia di Santa Giustina, già immerso nella bella campagna alberata del Monferrato. Entrare dal portone socchiuso alla base dell’imponente facciata in cotto dà la profonda emozione di immergersi in un ambiente maestoso di forme romanico-gotiche, sovrastato dall’abside rialzata sulla cripta. Questo tesoro medievale nella campagna piemontese racconta una lunga storia che risalirebbe addirittura al re longobardo Liutprando e che ha conosciuto momenti di grande prestigio per merito dei benedettini. Passata poi agli oblati di Sant’Ambrogio e alla proprietà privata di nobili famiglie locali conobbe nell’Ottocento la degradazione a granaio e a magazzino di attrezzi agricoli. Oggi è tornata a nuova vita grazie anche all’attiguo complesso di Villa Badia.

L’abside di Santa Giustina

L’abside mediana è rivestita di affreschi del secondo decennio del Quattrocento che narrano la vita di Gesù e il suo ritorno sulla terra per pronunciarvi il Giudizio universale. Il doppio registro alla base dell’abside mostra le scene della crocifissione di Gesù, della sua deposizione dalla croce, della sepoltura, dell’incontro del Risorto con la Maddalena (Noli me tangere) e della sua ascensione in cielo. Il catino dell’abside mostra la seconda parusia del Signore e la visione del paradiso e dell’inferno, con scene innovative rispetto all’iconografia di genere.

Il Giudizio universale

Gesù varca l’empireo e si affaccia sulla terra per pronunciarvi l’ultimo giudizio. Egli appare nella mandorla iridescente e siede sull’arcobaleno della nuova alleanza. Il volto è incorniciato dalla barbetta e dai capelli biondi e da un nimbo crociato. Il corpo è avvolto da un ampio mantello che lascia però in mostra la ferita del costato e i fori dei chiodi sulle mani (ostentatio vulnerum). Le braccia sono aperte. In grembo a Gesù è un libro aperto che riportava probabilmente alcuni versetti del capitolo 25 del primo Vangelo. Intorno alla mandorla è il Tetramorfo dei quattro evangelisti con i libri aperti: l’aquila di Giovanni e il leone di Marco a sinistra; l’angelo di Giovanni e il toro di Luca a destra.

Cristo giudice nella mandorla, il simbolo di San Luca, Maria e il gruppo dei santi

Intorno al giudice, su preziosi scranni, siede il tribunale celeste dei dodici apostoli. In evidenza è San Pietro che ha in mano le chiavi del regno dei cieli. Ai lati del giudice sono due gruppi di beati, guidati rispettivamente da Maria, la madre di Gesù, nel tradizionale ruolo di interceditrice, e da San Maurizio con il vessillo della Legione Tebea. Sotto i beati spuntano due angeli che suonano le trombe del giudizio; il primo regge il cartiglio con l’annuncio della risurrezione «surgite mortui venite ad iudicium» e il secondo annuncia la sentenza di condanna «ite maledicti in ignem».

La risurrezione dei morti, la psicostasia e la separazione degli eletti dai dannati

La risurrezione dei morti si svolge in due momenti successivi. Nella primissima fase le tombe si schiudono e i morti tornano alla vita, mostrando i propri attributi di rango: la tiara papale, le berrette cardinalizie, le mitrie vescovili, le tonsure dei religiosi. I più pronti indicano ai risorgenti ancora intontiti dal lungo sonno il giudice che arriva in cielo e spiegano loro il senso degli avvenimenti. La fase successiva vede i risorti ormai consci degli eventi che si schierano in ginocchio e in preghiera a mani giunte nell’attesa della sentenza individuale. Le donne sono nude mentre gli uomini vestono brache bianche: sono i copricapo a distinguere i gruppi sociali rappresentati. Il destino individuale è segnato dalla pesatura delle anime. La psicostasia è affidata all’arcangelo Michele che pesa i risorti sulla bilancia a doppio piatto: un angelo e un diavolo, senza venire a contrasto, vigilano sugli esiti del giudizio e raccolgono le anime di propria competenza.

Il Paradiso e le opere di misericordia

Il Paradiso ha la forma urbana della città celeste. L’accesso dei beati avviene processionalmente attraverso la grande porta alla base della torre principale. L’accoglienza è curata personalmente da San Pietro che riceve l’omaggio di un Papa suo successore. La città è cinta da un giro di mura merlate. Il cortile interno ospita una lunga teoria di beati in preghiera e in progressione gerarchica: il papa, il cardinale, il vescovo, i religiosi, la confraternita, le beghine. In terrazza, a più diretto contatto con la divinità, è il gruppo dei santi e delle sante: si riconoscono i dottori della chiesa, i santi fondatori e le sante fondatrici di ordini religiosi, i santi innocenti. Il palazzo paradisiaco è suddiviso in ‘stanze’: al loro interno si dipana una serie di scene dall’iconografia assolutamente originale ma perfettamente ortodosse rispetto alla recita del capitolo 25 dell’evangelo di Matteo. Nella prima stanza Gesù in persona ospita a tavola due beati e offre loro del cibo. Nella seconda stanza Gesù, con una brocca, versa da bere ai convitati. Nella terza stanza Gesù offre un abito al suo ospite. Particolare cura Gesù dimostra nell’accoglienza e nel ristoro dei pellegrini. Egli offre addirittura un sacchetto di talenti al servo della parabola dicendo: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere sul molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Gesù ricompensa in Paradiso la carità praticata in vita: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».

Il Purgatorio e l’Inferno

Simmetricamente al Paradiso, anche l’Inferno ha la forma urbana della città di Dite. Un corteo di dannati scontenti e ammanettati varca la Porta Inferni, sospinto da diabolici kapò dalle lunga corna bianche. Una volta entrati, i dannati sono artigliati da altri diavoli che provvedono al loro smistamento nelle rispettive camere di punizione. La pena del verme è affidata alla famelica gola di un lungo drago verdastro. Pure protagonista è il bianco arbor mali, un albero spoglio e dai lunghi rami appuntiti, sul quale i dannati sono infilzati o impiccati per le parti del corpo che hanno peccato. Lo stato dei dipinti non consente una lettura agevole delle pene. Si può però ipotizzare che nella caldaia vengano fusi l’oro e le monete che i diavoli fanno poi forzosamente trangugiare ad avari e usurai. Ad uno spiedo appuntito sono infilzati due sodomiti. Nella zona più profonda dell’Inferno troneggia Lucifero, con la corona regale rovesciata, che sgranocchia e ingurgita i superbi. Il Purgatorio è collocato ai margini dell’Inferno, nella sua zona più alta e dunque meno lontana dal Cielo. È immaginato come una caldaia, nella quale i purganti subiscono la purificazione per mezzo del fuoco. Sul bordo del Purgatorio un Angelo accoglie le anime che hanno terminato la loro purificazione e le conduce in cielo. Il primo a uscire è un Papa col triregno.

Sull’intradosso dell’abside compaiono altre scenette che raccontano le opere di carità e i vizi. Dalla bocca dell’Invidia esce una lunga serpe velenosa, come nella scena dipinta da Giotto agli Scrovegni. L’Avarizia, armata di strumenti di rapina, stringe i sacchi delle sue monete. Sul fronte opposto sono descritte le opere di misericordia che donne amorevoli compiono a favore di affamati, assetati e ignudi che hanno le sembianze e gli attributi di pellegrini in viaggio. Queste immagini propongono ai fedeli che partecipano alle liturgie una sorta di esame di coscienza visivo e preludono al sistema di premi e di sanzioni nell’aldilà che è descritto nel Giudizio universale della calotta absidale.


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