Material World
The Intersection of Art, Science, and Nature in Ancient
Literature and Its Renaissance Reception
Edited by
Guy Hedreen
LEIDEN | BOSTON
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Contents
Director’s Remarks vii
Michael W. Kwakkelstein
Acknowledgements viii
List of Figures x
Notes on Contributors xv
Introduction: The Material World and Its Limits
Guy Hedreen
1
1
Plato’s Attitude toward Painting and Mathematics
Ernesto Paparazzo
19
2
The Vitruvian Body in De architectura’s Third Preface: Architecture and
Rhetoric between Nature and Art 50
Marden Fitzpatrick Nichols
3
Cera d’api: la storia naturale di un medium archetipico
Verity Platt
4
‘We Penetrate the Earth’s Innards and Search for Riches’: Pliny’s
Hierarchy of Materials and Its Influence in the Renaissance 90
Sarah Blake McHam
5
Moving Wood, Man Immobile: Hero’s Automata at the
Urbino Court 108
Courtney Roby
6
Terremoti artificiali. La sismologia aristotelica nella guerra sotterranea
del Rinascimento 133
Morgan Ng
7
The Heptaphonon and the Architecture of Echoes
Carolyn Yerkes
8
A Changing Earth: Strabo and Leonardo’s Scientific Humanism
Domenico Laurenza
67
163
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180
vi
Contents
9
Into the Wild: Living Landscape and Wonderment in Renaissance
Art 191
Dennis Geronimus
10
Botticelli’s Venus and Mars, Lucretius and Empedocles
Gordon Campbell
11
Fantasia and Speciation: Traces of Empedocles in Ancient Poetry and
Renaissance Art 250
Guy Hedreen
226
Coda: Temporality and the Reception of Ancient Culture: An Example
from Dürer 273
Guy Hedreen
Index of Primary Literary Sources
Index of Works of Art 304
General Index 306
297
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chapter 3
Cera d’api: la storia naturale di un medium
archetipico
Verity Platt
Nell’undicesimo libro della Storia naturale, come è noto, Plinio riconosce
all’ape mellifera il ‘primato’ tra tutti gli insetti. ‘Sono gli unici insetti’, a�ferma,
‘che siano stati creati apposta per l’uomo’ (solis ex eo genere hominum causa
genitis). Le api, infatti, non solo producono il miele, ‘questo umore tanto dolce,
leggero e salutare’ (sucumque dulcissimum atque subtilissimum ac saluberrimum), ma anche ‘fabbricano i favi e la cera per le molteplici esigenze della vita’
( favos con��ngunt et ceras mille ad usus vitae).1 Qui, Plinio esprime al massimo
grado l’idea che i materiali della Natura siano progettati innanzitutto a bene��cio dell’umanità.2 Che l’uso da parte dell’uomo della più funzionale e versatile
delle risorse naturali sia il vero telos dell’ape è dimostrato dall’ubiquità della
cera d’api nelle pagine della Storia naturale, dove ricompare quasi in ogni libro
(con l’eccezione dei libri geogra��ci, NH 3–5).3
Considerate le eccezionali proprietà della cera, la sua centralità non
dovrebbe sorprenderci. La cera infatti è idrofoba (e quindi resistente all’acqua),
e può quindi servire da sigillante o barriera impermeabile anche all’aria, all’umidità e ai parassiti.4 La sua plasticità la rende malleabile, pronta a ricevere (e
quindi a conservare) la forma di altri solidi quando viene manipolata, plasmata
1 NH 11.11. Cfr. 21.85: la cera è usata ‘per innumerevoli usi quotidiani’ (innumeros mortalium
usus). Le traduzioni sono tratte da Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, ed. diretta da
G. Conte, Torino 1982–1988, con alcune modi��che.
2 Sul principio stoico secondo il quale la Natura opera per il vantaggio dell’uomo e sulla sua
in��uenza nella teleologia provvidenziale della Storia naturale: M. Beagon, Roman Nature:
The Thought of Pliny the Elder, Oxford 1992, 33–42; G. B. Conte, Generi e lettori. Lucrezio, l’elegia d’amore, l’enciclopedia di Plinio, Milano 1991, 104–107. Per una panoramica sugli interventi
relativi alla storia naturale della cera: H. R. Hepburn, Honeybees and Wax: An Experimental
Natural History, Berlino/Heidelberg 1986.
3 La cera, tuttavia, è annoverata nel sesto libro tra le abbondanti risorse che si possono trovare
tra i Sabei d’Arabia (NH 6.161).
4 Sulla storia, la composizione chimica, le proprietà e gli usi della cera d’api: T. W. Cowan,
Wax Craft: All about Beeswax: Its History, Production, Adulteration, and Commercial Value,
London 1908; R. Krell, Value-Added Products from Beekeeping, Rome 1996, 117–156; e R. Brown,
Beeswax, 4ª ed., Hebden Bridge, 2015.
© Koninklijke Brill NV, Leiden, 2021 | doi:10.1163/9789004461376_005
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Platt
in stampi o impressa.5 Solida a temperatura ambiente, fonde a basse temperature e può essere quindi e���cacemente impiegata come legante o vernice
protettiva.6 Ha proprietà antisettiche, antibatteriche e termo-accumulative, e
può servire da mezzo per il rilascio graduale di ingredienti più attivi. Bruciata,
splende di una luce ferma e chiara.7 La cera non si decompone facilmente
e può quindi fungere da conservante; non provoca allergie o irritazioni ed è
sicura per il consumo umano. Come la sua sostanza gemella, il miele, la cera
è dolce (anche se passa direttamente attraverso il tratto digestivo e non presenta alcun valore nutrizionale). Più sorprendentemente, mostra un’arcana
corrispondenza con la carne e la pelle dell’uomo: con esse mostra una facile
somiglianza nella consistenza e nell’aspetto, e inoltre si fonde con esse e ne
protegge e lenisce la super��cie.8 La trasparenza e la lucentezza della cera fanno
sì che essa sia in grado di esaltare l’aspetto e la consistenza di altre sostanze,
intensi��candone il colore. Inoltre i suoi e�fetti possono essere ottenuti con una
quantità assai ridotta.
Tutte queste proprietà hanno condizionato l’impiego della cera nella cultura greco-romana, e continuano a indirizzarne gli impieghi anche oggi. Nella
Storia naturale leggiamo che la cera serve come super��cie scrittoria e medium
ricettivo per le impressioni dei sigilli.9 In qualità di materia medica, la cera è
elencata da Plinio come ingrediente fondamentale di innumerevoli rimedi
(specialmente come emolliente per la pelle danneggiata o malata) ed è la
componente principale della cerata, una mistura di cera e olio impiegata come
base per svariate pomate.10 È utilizzata come conservante o mano protettiva
5
6
7
8
9
10
Sulle implicazioni di questa proprietà rispetto alla storia dell’arte: B. Lanza e M. L. Azzaroli
(eds.), La ceroplastica nella scienza e nelle arte: Atti del I congresso internazionale, Firenze
1977; G. Didi-Huberman, L’empreinte, Parigi 1997; G. Didi-Huberman, ‘Viscosities and
Survivals’, in: R. Panzanelli (ed.), Ephemeral Bodies: Wax Sculpture and the Human
Figure, Los Angeles 2008, 154–169; M. von Düring, G. Didi-Huberman, e M. Poggesi
(eds.), Encyclopaedia Anatomica: A Complete Collection of Anatomical Waxes, Cologne
1999; M. E. Bloom, Waxworks: A Cultural Obsession, Minneapolis 2003; R. Panzanelli,
‘Introduction: The Body in Wax, the Body of Wax’, in: R. Panzanelli (ed.), Ephemeral
Bodies: Wax Sculpture and the Human Figure. Los Angeles, 2008, 1–11.
La temperatura di fusione della cera va da 62° C a 64° C.
A. P. Potschinkov, Bienenprodukte in der Medizin. Apitherapie, München 1992.
Cfr. n. 4.
NH 2.137; 13.69; 37.88; 37.95; 37.104.
NH 11.16; 13.126 (43); 20.142 (51); 20.162 (57); 20.181 (70); 20.240 (87); 20.249 (92); 20.257
(96); 21.85 (49); 21.131 (76); 21.163 (93); 22.22 (9); 22.106 (49); 22.116 (55); 22.129 (61); 23.67
(33); 23.85 (42); 23.87 (44); 23.97 (51); 23.99 (53); 22.101 (54); 23.119, 123, 124 (63); 23.157 (80);
23.160, 162 (81); 24.12 (6); 24.15 (10); 24.23 (14); 24.38 (23); 24.41 (26); 24.43 (28); 24.58 (37);
24.63 (38); 24.71 (42); 24.79, 80 (47); 24.81 (48); 24.119 (73); 25.55 (22); 25.82 (42); 25.171 (108);
26.64 (39); 26.141, 145 (87); 26.163 (92); 27.51 (28); 27.71 (47); 28.137 (37); 28.153 (42); 28.169,
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CERA D ’ API: LA STORIA NATURALE DI UN MEDIUM ARCHETIPICO
69
per qualunque cosa, dai denti e dalle mele agli a�freschi e alla carena delle
navi.11 Essa gioca un ruolo vitale nella fusione delle statue di bronzo, nella coloritura delle statue di marmo (ganôsis) e nella pittura a encausto;12 è il materiale
principale per i ritratti romani ancestrali (imagines) e per i modelli scultorei.13
Come osserva Georges Didi-Huberman in un fortunato saggio sulla fenomenologia dei materiali, ‘Pliny the Elder’s Natural History already catalogues, in the
Roman Period, the entire technical-mythical repertory of medical, cosmetic,
industrial, and religious properties of wax’.14
Tuttavia, se dovessimo valutare la preminenza della cera nella Storia naturale sulla base del summarium del primo libro, scopriremmo una storia ben
diversa.15 Lì la cera è menzionata una prima volta nel sommario dell’undicesimo libro (sugli insetti) sotto forma delle tre sostanze che formano la struttura
del nido d’ape: commosis (gomma), pissoceros (pece-cera) e propolis (propoli).
Appare di nuovo nel ventunesimo libro (sui ��ori), dove una discussione sulle
specie ��oreali che più attraggono le api conduce a un discorso sulla gestione
degli alveari, e quindi ‘modi di fare la cera; le qualità migliori di essa; la cera
punica [un’emulsione di cera saponi��cata]’ (de cera facienda; quae optima eius
11
12
13
14
15
170 (47); 28.177 (48); 28.206 (58); 28.219 (62); 28.235 (71); 28.243 (74); 28.245 (76); 29.56
(13); 29.63 (17); 29.114 (36); 30.25 (8); 30.37 (12); 30.41 (13); 30.70, 75 (22); 30.76 (23); 30.81
(23); 30.104 (30); 30.109 (35); 30.119 (40); 30.131 (45); 30.136 (47); 31.122 (46); 32.57 (20);
32.105 (33); 32.106 (34); 32.119 (40); 33.92 (28); 22.102 (34); 32.110 (35); 34.115 (27); 34.153 (45);
34.155 (46); 34.174 (53); 35.196 (52); 36.133 (27); 36.140 (33); 36.142 (34); 36.180 (57). Sull’uso
della cera d’api nella medicina greco-romana: J. Scarborough, ‘Drugs and Medicines in the
Roman World’, Expedition 38 (1996), no. 2, 38–51, here 42–43; J. Scarborough, ‘Pharmacy
in Pliny’s Natural History’, in: R. French e F. Greenaway (eds.), Science in the Early Roman
Empire: Pliny the Elder, His Sources and In�luence, Oxford/New York 1986, 59–85; sulla
farmaceutica nella Storia naturale. Sulle testimonianze archeologiche della presenza
di tracce di cera in pomate medicinali: R. J. Stacey, ‘The Composition of Some Roman
Medicines: Evidence for Pliny’s Punic Wax?’ Analytical and Bioanalytical Chemistry 401: a
special issue on Analytical Chemistry to Illuminate the Past (2011), 1749–1759.
NH 13.99; 13.124 (43); 15.64, 66 (18); 16.56 (23); 21.85 (49); 24.81 (48); 25.171 (108); 26.64 (39);
28.170 (47); 29.63 (17); 33.122 (40); 35.49 (31); 35.149 (41); 36.189 (64).
NH 34.16; 35.49; 35.122 (39); 35.133 (40); 35.149 (41); 35.153 (44); 36.189 (64). Su queste tecniche: A. Freccero, Encausto and Ganosis: Beeswax as Paint and Coating during the Roman
Era and Its Applicability in Modern Art, Crafts and Conservation, Göteborg 2002.
NH 21.85; 35.6 (2); 35.153 (44).
G. Didi-Huberman, ‘Wax Flesh, Vicious Circles’, in: M. von Düring, G. Didi-Huberman, e
M. Poggesi (eds.), Encyclopaedia Anatomica: A Complete Collection of Anatomical Waxes,
Cologne 1999, 64–74, here 64.
Sul summarium: A. Doody, ‘Finding Facts in Pliny’s Encyclopaedia: The Summarium of
the Natural History’, Remus 30 (2001), 1–22; A. Doody, Pliny’s Encyclopedia: The Reception
of the Natural History, Cambridge 2010, 92–131.
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Platt
genera; de cera Punica).16 In��ne, la cera è esplicitamente menzionata tra gli
argomenti del trentacinquesimo libro come una delle componenti principali
della pittura a encausto, nella lista stilata da Plinio di ‘coloro che dipinsero con
l’encausto o le cere o il bulino o il pennello’ (qui encausto aut ceris vel cestro vel
penicillo pinxerint). Per i più avveduti, alla cera si allude anche nelle due menzioni della zopissa, una mistura di pece e cera usata per impermeabilizzare le
navi, che appare nel sommario del sedicesimo libro (sugli alberi selvatici) e del
ventiquattresimo (sui farmaci derivati dagli alberi selvatici); allo stesso modo,
potremmo supporre che la cera sia un importante componente dei farmaci
derivati dalle api, menzionati nei sommari del ventinovesimo e trentesimo
libro (sui farmaci dagli animali).17 La cera, quindi, a volte assurge a posizioni
di rilievo, ma più spesso la sua presenza è semplicemente sottintesa. In questo
senso, è una sostanza curiosamente ambigua, onnipresente e non segnalata,
che serve ‘per le molteplici esigenze della vita’ anche se spesso è invisibile o
data per scontata.
L’ambiguo status della cera nella Storia naturale rispecchia il suo ruolo
nelle testimonianze archeologiche e nella storiogra��a dei materiali antichi.
Come sostanza organica, la cera raramente sopravvive ai danni del tempo:
nonostante presenti, in condizioni favorevoli, un notevole grado di stabilità
(come dimostra la sua sopravvivenza nelle grotte neolitiche e nelle tombe
egizie, così come il suo stesso uso come conservante), la cera è fondamentalmente mutevole.18 La sua capacità di cambiare stato e forma è esattamente
ciò che rende la cera una componente così vitale dell’arte, della medicina e
della tecnologia, ma accelera anche la sua scomparsa dalla documentazione
archeologica. Come osserva Roberta Panzanelli, ‘the history of wax is a history
of disappearance’.19 Allo stesso tempo, le ‘molteplici esigenze della vita’ per
le quali la cera viene sfruttata nelle pagine della Storia naturale dimostrano
come il ruolo uni��cante della cera sia quello dell’ancella piuttosto che della
primadonna. La cera è fuggevole (come nel procedimento ‘a cera persa’ per la
16
17
18
19
Sulla cera punica e le testimonianze archeologiche del suo uso: Freccero, op. cit. (nota 12);
Stacey, op. cit. (nota 10).
Apibus V et sequenti libro VII = XII; apibus VII et priore libro V = XII.
Sull’uso (e la sopravvivenza) della cera nelle pratiche di mummi��cazione egizie:
G. G. Benson, S. R. Hemingway, e F. N. Leach, ‘Composition of the Wrappings of an Ancient
Egyptian Mummy’, Journal of Pharmacy and Pharmacology 30 (December 1978), 78. Sulle
testimonianze relative alla cera in contesti preistorici: F. D’Errico et al., ‘Early Evidence of
San Material Cultural Represented by Organic Artifacts from Border Cave, South Africa’,
Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 109 (2012),
no. 33, 13214–13219; M. Ro�fet-Salque et al., ‘Widespread Exploitation of the Honeybee by
Early Neolithic Farmers’, Nature 527 (November 2015), 226–230.
Panzanelli, op. cit. (nota 5), 1.
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CERA D ’ API: LA STORIA NATURALE DI UN MEDIUM ARCHETIPICO
71
fusione del bronzo); è trasparente (come nel suo uso come vernice ��nale per
gli a�freschi); ed è un veicolo neutrale per ingredienti più ‘attivi’ (come in una
panoplia di trattamenti medici).
In questo senso, la cera è il medium archetipico, se intendiamo ‘medium’
nel suo signi��cato aristotelico di sostanza ‘diafana’, un metaxu non marcato (o
‘in-nel mezzo’) che ha la capacità di trasmettere i dati percepiti dai sensi senza
essere percepito esso stesso.20 Il teorico dei media John Durham Peters osserva
che tutti i media tendono a ‘sacri��ce their own visibility in the act of making
something else appear’.21 Potremmo dire che è questa qualità la caratteristica
identi��cativa della cera nella Storia naturale: infatti, proprio la funzione di
super��cie scrittoria è ciò che rende possibile l’opera stessa, se consideriamo
i libri et pugillares – ‘i libri e le tavolette’ che Plinio il Giovane sosteneva fossero costantemente tenuti a portata di mano dal segretario di suo zio, e che
erano così fondamentali per l’organizzazione e la raccolta delle fonti.22 Inoltre,
la natura neutrale e auto-sacri��cante della cera le conferisce uno status etico e
ontologico davvero particolare che è di rilievo cruciale nel più ampio progetto
ideologico di Plinio. Come vedremo, ciò è strettamente connesso al fatto che la
cera è prodotta dalle api. Come sostanza organica che è sia animale sia vegetale e che gioca un ruolo strutturale fondamentale nella società dell’alveare, la
cera è al tempo stesso il più naturale dei prodotti e il più ricettivo dei veicoli
per una metafora culturale. Non è per nulla casuale che Κηρίον (o Favus) sia il
primo dei titoli greci la cui ‘fantasia stupefacentemente fertile’ Plinio rigetta
20
21
22
Per il concetto aristotelico di metaxu e la nozione di media diaphana: De Anima 418b–419a;
sulle proprietà ‘diafane’ dei media: S. Krämer, Medium, Messenger, Transmission: An
Approach to Media Philosophy, Amsterdam 2015, 30–34, 205–207. Si noti che in De anima
3.12 Aristotele connette esplicitamente il concetto di medium con l’impressione di un
sigillo nella cera.
J. D. Peters, The Marvelous Clouds: Toward a Philosophy of Elemental Media, Chicago
2015, 34.
Plinio il Giovane, Lettera 3.5.15 (a Bebio Macro). Sulla descrizione di Plinio il Giovane delle
abitudini di lavoro dello zio: J. Henderson, ‘Knowing Someone through Their Books: Pliny
on Uncle Pliny (Epistles 3.5)’, Classical Philology 93 (2002), no. 3, 256–284. Sulla natura
dei pugillares, tavolette cerate o semplicemente sottilissimi fogli di legno (come quelli di
Vindolanda): A. Locher e R. C. A. Rottländer, ‘Überlegungen zur Entstehungsgeschichte
der Naturalis Historia des älteren Plinius und die Schrifttäfelchen von Vindolanda’, in:
Festgabe H. Vetters, Vienna 1985, 140–147, here 140–142; V. Naas, Le projet encyclopédique
de Pline l’Ancien, Rome 2002, 108–136; T. Dorandi, ‘Notebooks and Collections of Excerpts:
Moments of ars excerpendi in the Greco-Roman World’, in: A. Cevolini (ed.), Forgetting
Machines: Knowledge Management Evolution in Early Modern Europe, Leiden/Boston
2016, 37–57, here 40–43, 53–55.
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Platt
nella sua Prefazione in favore del più ordinario Storia naturale.23 Sebbene il
primo titolo sovrabbondi di risonanze estetiche connesse alla dolcezza, il
materiale di cui è composto il favo e la meticolosa attenzione tributata alla
sua forma sono particolarmente adatti anche al testo di Plinio. Come sostanza
che media tra naturale e culturale, biologico e politico, ��sico e meta��sico, la
cera d’api è un mezzo ideale per esplorare la complessa relazione tra materia e
materialità che il progetto di Plinio si propone di negoziare – la relazione tra le
‘cose’ materiali (o res) della natura, con tutte le loro varie proprietà e a�fordances, e la rete dei signi��cati sociali, culturali e politici greco-romani ai quali essa
è analogamente intrecciata.24
1
La produzione delle api e la società dell’alveare
In linea con la struttura generale della Storia naturale, alla cera si fa distesamente riferimento in primo luogo in relazione alla natura delle api (NH 11.14–
18), mentre i suoi usi pratici sono esaminati nei libri successivi, focalizzati
sulla medicina e le arti (specialmente NH 21.83–85).25 Poiché le api sono celebrate come i più importanti fra gli insetti, esse e i loro prodotti incarnano un
paradosso che sta al cuore del progetto pliniano: mentre, da un lato, le api esprimono la ratio di un ordine mondiale naturale progettato specialmente a bene��cio dell’uomo e fungono come da specchio della società umana, dall’altro esse
23
24
25
NH Pref. 24: inscriptionis apud Graecos mira felicitas: κηρίον inscripsere, quod volebant intellegi favom. Sulle complessità retoriche della Prefazione di Plinio: N. P. Howe, ‘In Defence
of the Encyclopaedic Mode: On Pliny’s Preface to the Natural History’, Latomus 44 (1985):
561–576; P. Sinclair, ‘Rhetoric of Writing and Reading in the Preface to Pliny’s Natural
History’, in: A. J. Boyle e W. J. Dominik (eds.), Flavian Rome: Culture, Image, Text, Leiden/
Boston 2003, 277–299; Doody, 2012, op. cit. (nota 15), 94–96; e specialmente MORELLO,
2011, che concentra la sua analisi soprattutto sull’uso da parte di Plinio dell’ironia e dell’evocazione di una recusatio poetica.
Su materia e materialità: e.g., C. Toren, Mind, Materiality and History. Explorations in
Fijian Ethnography, London/New York, 1999; P. M. Graves-Brown (ed.), Matter, Materiality
and Modern Culture, London 2007. Per un approccio polemico alla relazione tra le proprietà dei materiali e i concetti di materialità: T. Ingold, ‘Materials against Materiality’,
Archaeological Dialogues 14 (June 2007), no. 1, 1–16. Sulle a�fordances, l’opera di riferimento è J. J. Gibson, The Ecological Approach to Visual Perception, Boston 1979. Sulla
nozione di ‘intreccio’: I. Hodder, Entangled: An Archaeology of the Relationships between
Humans and Things, Oxford 2012.
Cfr. NH 11.67: ‘A suo luogo parleremo dei rimedi: ora stiamo trattando la natura delle api’
(remedia dicemus suis locis; nunc enim sermo de natura est). Su questo modo di strutturare
la Storia naturale: T. Laehn, Pliny’s Defense of Empire, New York/London 2013, 15–18.
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CERA D ’ API: LA STORIA NATURALE DI UN MEDIUM ARCHETIPICO
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si comportano in modi che allo stesso tempo resistono e trascendono i modelli
sociali che Plinio fa valere nella sua analisi.
Prima di tutto, le api incarnano molti dei principi etici sposati da Plinio nel
corso della Storia naturale: esse ‘sopportano la fatica (labor), eseguono delle
opere (opera), hanno un governo (res publica), dei consigli particolari (consilia privatim) e capi comuni (duces gregatim)’; hanno addirittura ‘costumi’
(mores) più complessi di qualunque altro animale.26 Eppure le api sfuggono
a qualunque rigida categorizzazione: ‘non sono né mansuete (mansueti) né
feroci ( feri)’.27 Quindi i trattamenti medici che impiegano la cera sono registrati sia nel ventinovesimo libro (farmaci da animali allo stato brado) sia
nel trentesimo (farmaci da animali né domestici né selvatici).28 Questo paradosso è ri��esso dalle fonti con le quali Plinio si confronta nel corso della sua
discussione sulle api, che si basa pesantemente sulle osservazioni scienti��che
di Aristotele e sui trattati agricoli di Varrone e Columella, accanto all’eredità
poetica della quarta Georgica di Virgilio.29 Perché, sebbene le api siano animali
26
27
28
29
NH 11.11: laborem tolerant, opera con��ciunt, rempublicam habent, consilia privatim ac duces
gregatim, et quod maxime mirum sit, mores habent praeter cetera.
NH 11.12: cum sint neque mansueti generis neque feri.
NH 29.56; 29.63 (17); 29.114 (36); 30.25 (8); 30.37 (12); 30.41 (13); 30.70 (22); 30.75 (22); 30.76
(23); 30.79 (23); 30.81 (23); 30.104 (30); 30.109 (35); 30.119 (40); 30.131 (45); 30.136 (47).
Cfr. e.g., Aristotele, HA 5.21–22 (553), 9.40 (625–627) e GA 759–760; Varrone, De re rustica
3.16; Columella, De re rustica 9.2–16; Virgilio, Georgiche 4.1–115. Sull’archeologia e la
letteratura dell’apicoltura nell’antichità: H. M. Fraser, Beekeeping in Antiquity, 2ª ed.,
London, 1951; E. Crane, The World History of Beekeeping and Honey Hunting, New York
1999; E. Crane, The World History of Beekeeping and Honey Hunting, New York 1999. Sulle
api nella mitologia e nella religione greca: A. B. Cook, ‘The Bee in Greek Mythology’, JHS
15 (1895), 1–24; M. Davies e J. Kathirthamby, Greek Insects, London 1986; R. D. Carlson,
The Honey Bee and Apian Imagery in Classical Literature, Tesi di dottorato non pubblicata, University of Washington 2015, 19–59. Sulle api in Aristotele: J. M. Cooper, ‘Political
Animals and Civic Friendship’, in G. Patzig (ed.), Aristoteles’ ‘Politik’, Göttingen 1990, 220–
241; D. J. Depew, ‘Humans and Other Political Animals in Aristotle’s History of Animals’,
Phronesis: A Journal of Ancient Philosophy 2 (1995), no. 2, 156–181. Sulle api nella tradizione
letteraria e sulle loro associazioni politiche ed estetiche, i più utili tra i recenti studi sono
HOLLINGSWORTH, 2001; A. Doody, ‘Virgil the Farmer? Critiques of the Georgics in
Columella and Pliny’, Classical Philology 102 (2007), no. 2, 180–197; N. Morley (2007) ‘Civil
War and Succession Crisis in Roman Beekeeping’, Historia: Zeitschrift für Alte Geschlichte
56 (2007), no. 4, 462–470; i saggi raccolti in D. Engels e C. Nicolaye (eds.), Ille operum
custos: Kulturgeschichtliche Beiträge zur antiken Bienensymbolik und ihrer Rezeption.
Spudasmata, Bd. 118, Hildesheim/Zürich/New York 2008; S. van Overmeire, ‘The Perfect
King Bee: Visions of Kingship in Classical Antiquity’, Akroterion 56 (2011), 31–46; Carlson,
op. cit.; cfr. anche T. J. Haarho�f, ‘The Bees of Virgil’, Greece and Rome, 2nd ser., 7 (1960),
no. 2, 155–170; H. Dahlmann, ‘Der Bienenstaat in Vergils Georgica’, in: Kleine Schriften,
Hildesheim/New York 1970, 181–196; W. R. Johnson, ‘Vergil’s Bees: The Ancient Romans’
View of Rome’, in: A. Patterson (ed.), Roman Images, Baltimore 1984, 1–22; Y. Nadeau,
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Platt
altamente sociali che si prestano a elaborate metafore politiche, esse tuttavia
si trovano in una sfera adiacente, o addirittura separata, rispetto a quella della
società umana: ‘non ci si stupirà quindi che degli uomini si siano innamorati di
loro, come Aristomaco di Soli, il quale non fece altro che occuparsi di loro per
cinquantotto anni della sua esistenza’, Plinio commenta, ‘e Filisco di Taso, che
visse in luoghi deserti dedito all’allevamento delle api e fu soprannominato ‘il
selvaggio’ (Agrium cognominatum)’.30 Per comprendere la complessità dell’alveare nel contesto appropriato, Plinio suggerisce, potrebbe essere necessario
rinunciare a propria volta alle complessità della società umana.
Come testimonia la trattatistica antica sull’apicoltura, le api furono allevate a lungo dagli agricoltori greci e romani, e tuttavia esse conservarono
un’indipendenza e una sensibilità che richiedevano una rispettosa distanza e
un’attenta gestione da parte dell’uomo. Plinio osserva che nonostante le api si
comportino in base a schemi giornalieri e stagionali prevedibili, organizzando
il loro lavoro con ‘logica mirabile’, esse possono tuttavia sciamare con scarso
preavviso e sono molto reattive ai capricci del clima, al paesaggio, alla ��ora
del luogo e alle malattie.31 Questa sensibilità ��sica è abbinata a una sensibilità
comportamentale. Plinio commenta che, nel raccogliere il miele, alcuni apicoltori fanno molta attenzione a pesare l’alveare, in modo da lasciare su���cienti
provviste per le api stesse: ‘invero l’equità (aequitas) deve essere osservata
anche tra loro’, rileva, ‘e si sostiene che, in caso di una divisione fraudolenta,
gli alveari muoiano’.32 Questo complica la sua osservazione iniziale che le api
sono state create dalla natura ‘apposta per l’uomo’ (hominum causa): gli alveari
non vanno solo saccheggiati per le loro risorse, ma richiedono un livello di cura
e considerazione che smentisce il crudo presupposto che il mondo naturale
esiste semplicemente come oggetto di consumo da parte dell’uomo.33
Le api, quindi, sono allo stesso tempo a���ni al genere umano, dal momento
che si conformano allo logica uni��cante della natura, eppure stranamente
30
31
32
33
‘The Lover and the Statesman: A Study in Apiculture’, in: T. Woodman e D. West (eds.),
Poetry and Politics in the Age of Augustus, Cambridge 1984, 59–82; W. Polleichtner, ‘The
Bee Simile: How Vergil Emulated Apollonius in His Use of Homeric Poetry’, GFA 8 (2005),
115–160.
NH 11.19 (9).
NH 11.20 (10): ratio operis mire divisi.
NH 11.44: alvos quidam in eximendo melle expendunt, ita diribentes quantum relinquant.
aequitas quidem etiam in iis obstringitur, feruntque societate fraudata alvos mori.
Contra Conte, op. cit. (nota 2), 107, che sostiene che la discussione pliniana delle api
esempli��chi ‘un perfetto ��nalismo ��lantropico, sistematico ��no a rendersi anche latente’.
Per un approccio revisionista alla teleologia antropomorfa di Plinio: V. J. Platt, ‘Pliny’s
Arte povera: Ecology, Ethics and Aesthetics in the Natural History’, Journal of the Clark
Art Institute, numero speciale Ecologies, Agents, Terrains (2018): 219–242.
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diverse. Infatti esse sorpassano il modello di ratio umana che Plinio inizialmente sembra delineare: la loro ridotta dimensione e la loro minuscola
quantità di sangue, senza confronto rispetto ai ‘muscoli’ e alle ‘forze’ umane,
sono inversamente proporzionali alla loro e���cienza (e���cacia), industriosità
(industria) e intelligenza (ingenium). Inoltre, Plinio chiede, ‘quale razionalità
umana potremmo paragonare alla loro, che sono superiori almeno in questo,
nel non conoscere nulla al di fuori dell’interesse comune (quod nihil novere nisi
comune)?’34 La dedizione dell’ape al bene comune è pienamente dimostrata
dalle osservazioni di Plinio sull’intelligenza collettiva dell’alveare – tuttora un
soggetto a�fascinante per gli scienziati di oggi – e, in particolare, sul comportamento della comunità nei confronti dei fuchi e dei ‘re’, entrambi selettivamente
eliminati quando necessario per la salute e la sicurezza generale dell’alveare.35
Come hanno osservato Neville Morley e altri, la struttura sociale dell’alveare
e la relazione delle api operaie con il loro ‘sovrano’ o�frono a Plinio l’opportunità di un’allegoria della regalità e, implicitamente, del ruolo dell’imperatore
ideale.36 Come per Varrone, Virgilio e Seneca prima di lui, l’interpretazione
proposta da Plinio per la funzione del sovrano – e in particolare del fatto che
questi non punge, ma incoraggia gli operai nelle loro mansioni ed è a sua volta
protetto dal suo seguito – delinea un modello di governo che allude all’immediato contesto politico nel quale egli scrive.37 Nel suo caso, le api o�frono un
modello di ‘monarchia costituzionale’ che funge sia da esempio sia da monito
per la dinastia Flavia, sulla scia della tirannia di Nerone.38
34
35
36
37
38
NH 11.12: Quos e���caciae industriaeque tantae comparemus nervos, quas vires? Quos ratione
medius ��dius iis viros, hoc certe praestantioribus quod nihil novere nisi commune? Non sit de
anima quaestio: constet et de sanguine; quantulum tamen esse in tantulis potest!
Sul processo decisionale collettivo dell’alveare in una prospettiva scienti��ca contemporanea: T. D. Seeley, Honeybee Democracy, Princeton 2010. Sul presupposto antico che
le api regine fossero maschi (con l’eccezione di Senofonte, che usa hegemon (‘capo’) al
femminile (Oik 7.17), e dell’osservazione di Aristotele che alcuni ‘lo chiamano la madre,’
HA 553b): T. Hudson-Williams, ‘King Bees and Queen Bees’, The Classical Review 49 (1935),
no. 1, 2–4; R. Mayhew, ‘King-Bees and Mother-Wasps: A Note on Ideology and Gender in
Aristotle’s Entomology’, Phronesis: A Journal of Ancient Philosophy 44 (1999), no. 2, 127–134.
Morley, op. cit. (nota 29), 467. Cfr. supra, n. 27.
NH 11.52–54. Mentre le ‘battaglie di api’ della quarta Georgica alludono alla preoccupazione per le guerre civili romane, per esempio, in De Clementia 1.19.1–4 Seneca sfrutta
il modello dell’ape re che non punge allo scopo di consigliare Nerone sulla naturalezza
della monarchia e sui bene��ci della clemenza: Dahlmann, op. cit. (nota 29); Morley, op. cit.
(nota 29); van Overmeire, op. cit. (nota 29); Carlson, op. cit. (nota 29), 60–110.
Cfr. Morley, op. cit. (nota 29), 467: ‘the beehive for Pliny re��ects an ideal Rome, the sort of
state that the Flavians might claim to have restored; a well-regulated, almost “constitutional”, monarchy, in which civil war is unknown and the succession is smoothly managed
by the people acting in unison’.
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La cera d’api, quindi, sia struttura sia emerge da una particolare formazione
sociale – dichiaratamente collettivista e utilitaristica, nonostante il suo dovere
nei confronti della regalità. Mentre le operazioni della comunità dell’alveare
sono descritte in termini fortemente antropomor��zzanti, esse sono tuttavia
così idealizzate da risultare simultaneamente defamiliarizzate. I modi in cui
le api esempli��cano la ratio della natura possono essere mappati attraverso
un’attenta osservazione del loro comportamento, anche se la logica quasi meccanicistica con la quale operano trascende comunque la comprensione e la
capacità umane. Signi��cativamente, Plinio resiste alla tentazione di esplorare
le associazioni meta��siche delle api e dei loro prodotti, anche se le loro connotazioni religiose e magiche sono sempre sullo sfondo, come quando egli fa
riferimento al portentoso signi��cato degli sciami (NH 11.55), o alla misteriosa
tradizione della bugonia, quando le api si generano spontaneamente dalla
carcassa di un bue (NH 11.70).39 Piuttosto – e in linea con le preoccupazioni
materialistiche della Storia naturale nel suo insieme – Plinio si focalizza sulle
operazioni grazie alle quali le api acquisiscono, lavorano e producono materiali naturali.
L’‘intelligenza dell’alveare’, per Plinio, è primariamente concentrata sulla
costruzione e la produzione. Come il pittore Apelle (il cui motto, ci ricorda,
era ‘nessun giorno senza una linea (nulla dies sine linea)’), e come Plinio
stesso (che notoriamente dichiara nella sua Prefazione che ‘vivere è vegliare
(vita vigilia est)’), le api si assicurano che ‘nessun giorno sia sprecato in ozio
(nullusque … otio perit dies)’: esse sono devote al produrre.40 Le api ‘costruiscono’ i favi ( favos construunt), ‘fabbricano’ le case (domos … exaedi��cant) e
‘modellano’ la cera (ceram ��ngunt) utilizzando materiale raccolto dai ��ori;
esse ‘rivestono’ l’interno dell’alveare come con ‘una sorta di intonaco’ (quodam
tectorio inlinunt), ‘costruiscono ingressi’ attorno a esso ( fores … circumstruunt),
e costruiscono la sua ‘volta’ (orsae a concamaratione alvi) e i suoi ‘pilastrini’
(pilae), gettando ‘fondamenta’ ( fundamenta) di commosis, pissoceros e propolis
39
40
Sulle connotazioni sacre delle api, cfr. supra, n. 27. Sulla bugonia (notoriamente descritta
da Virgilio in Georgiche 4.538–558, a cui Plinio fa riferimento in NH 11.70): C. G. Perkell, The
Poet’s Truth: A Study of the Poet in Virgil’s Georgics, Berkeley/Los Angeles, 1989; T. Habinek,
‘Sacri��ce, Society, and Vergil’s Ox-Born Bees’, in: M. Gri���th e D. J. Mastronarde (eds.),
Cabinet of the Muses, Berkeley/Los Angeles 1990, 209–223; H. V. Harissis, ‘Aristaeus,
Eurydice and the Ox-Born Bee: An Ancient Educational Beekeeping Myth’, in: H. V. Harissis
e A. V. Harissis (eds.), Apiculture in the Prehistoric Aegean: Minoan and Mycenaean Symbols
Revisited, BAR International Series 1958, Oxford 2009; Doody, 2007, op. cit. (nota 29),
188 n. 27.
NH 35.84; Pref. 18; 11.14. Sull’antropomor��zzazione delle api come architetti e la relazione
tra animali, lavoro e coscienza: T. Ingold, ‘The Architect and the Bee: Re��ections on the
Work of Animals and Men’, Man, n.s. 18 (1983), no. 1, 1–20.
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(forme più ��uide di gomma con particolari proprietà medicinali).41 All’interno
dell’alveare, le api operaie ‘costruiscono’ (struunt), ‘levigano’ (poliunt), ‘forniscono’ i materiali (suggerunt) e ‘tolgono tutto dal centro dell’alveare’ (amoliuntur omnia e medio), come soldati in un accampamento militare o costruttori di
un palazzo imperiale.
Eppure, mentre i loro atti di costruzione sono concepiti in termini umani –
e in particolare romani –, le forme strutturali impiegate dalle api sono piuttosto in-umane, sia nella loro geometria che nella loro perfezione. Plinio sostiene
che le celle esagonali dei favi, per esempio, devono la loro forma al fatto che
‘ogni lato è formato da una delle sei zampe dell’ape’ (un fenomeno che è in
realtà dovuto alle proprietà strutturali dell’esagono, che permette di ottenere la
massima super��cie e la massima capacità di stoccaggio con il minimo impiego
di materiale).42 Signi��cativamente, la misteriosa precisione della sexangula
cella riemerge più avanti nella Storia naturale, nella discussione delle pietre
preziose del trentasettesimo libro: ‘perché [il cristallo di rocca] si formi con
facce esagonali, non se ne può trovare facilmente la ragione’ (quare nascatur
sexangulis lateribus, non facile ratio iniri potest), Plinio osserva, mentre ‘la levigatezza delle facce è così perfetta che nessun’arte può eguagliarla’ (nulla id
arte possit aequari).43 Le gemme, come gli insetti, sono presentate nella Storia
naturale come esempi della ratio naturale che opera a tutte le scale dell’esistenza, dal minuscolo al colossale e dal più ‘disprezzabile’ degli animali al
più desiderabile dei materiali: quando la Natura stessa è un’artifex così precisa e abile, perché dovrebbe sorprendere che le sue strategie formali siano
impiegate in modo così consistente all’interno di categorie di sostanze tanto
diverse fra loro?44 In questo senso, la riproduzione di formazioni sexangulae
sia nel favo che nel cristallo di rocca corrisponde alla somiglianza formale
che Plinio osserva tra spugne e schiuma, una somiglianza che, come è noto,
41
42
43
44
NH 11.20–26. Sulle proprietà medicinali della propoli (che ha proprietà antibatteriche,
antisettiche, antin��ammatorie, anestetiche, antimicrobiche e antimicotiche): NH 22.107;
24.47; 28.245; 34.155, con Krell, op. cit. (nota 4), 157–194; A. K. Kuropatnicki, E. Szliszka, e
W. Krol, ‘Historical Aspects of Propolis Research in Modern Times’, in: Evidence-Based
Complementary Alternative Medicine, 2013, article no. 964149.
NH 11.29: sexangulae omnes cellae a singulorum pedum opere.
NH 37.26; cf. 37.56, sull ‘adamas indiano’; 37.76, sul taglio esagonale dei berilli, che esalta
il loro colore; e 37.137, sulla capacità di ri��ettere la luce dell’esagonale iris.
Cfr. NH 11.4 (‘è nelle più piccole realizzazioni che la natura si può ritrovare nella sua interezza’) e 37.1 (‘restano ora le gemme: la maestà della natura vi si concentra in uno spazio
ristretto, e molti ritengono che in nessun altro aspetto essa sia più degna di ammirazione’),
discusso in V. J. Platt, ‘Of Sponges and Stones: Matter and Ornament in Roman Painting’,
in: N. Dietrich e M. Squire (eds.), Ornament and Figure: Rethinking Visual Ontologies in
Graeco-Roman Antiquity and Beyond, Berlino 2018, 241–278.
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permette la fortuita riproduzione di un cane con la bava alla bocca nel dipinto
di Protogene ra���gurante l’eroe rodio Ialiso, quando il pittore scaglia la sua spugna sulla tavola, frustrato dalla sua incapacità di produrre l’e�fetto voluto con il
suo pennello.45 Entrambe le serie di analogie illustrano come unità replicative
di materia emergano lungo tutta la Storia naturale in modi apparentemente
casuali e organici che tuttavia sono in armonia con la ratio della natura stessa,
abile, giocosa e nondimeno profondamente logica.
2
La cera e l’indicalità della materia
Non credo sia casuale che la ripetizione di strutture formali in natura emerga
in relazione sia alla cera d’api sia al potere replicativo della spugna. Nella
Storia naturale, l’episodio di Protogene funge da esempio paradigmatico della
produzione di un’immagine ‘naturale’, attraverso l’atto dello stampigliare, o
dell’imprimere – qui, in relazione al medium pittorico. In questo senso, esso
trova un parallelo cruciale nell’esempio pliniano archetipico della produzione
‘naturale’ di immagini nel medium tridimensionale della scultura, ovvero la
fusione di imagines di cera (NH 35.6). Poco dopo l’inizio del trentacinquesimo
libro, Plinio commenta che:
apud maiores in atriis haec erant, quae spectarentur; non signa externorum arti��cum nec aera aut marmora: expressi cera vultus singulis disponebantur armariis, ut essent imagines, quae comitarentur gentilicia funera,
semperque defuncto aliquo totus aderat familiae eius qui umquam fuerat
populus
Negli atrii dei nostri antenati, gli oggetti esibiti per essere ammirati erano
ritratti, non statue opere di artisti stranieri, né in bronzo né in marmo;
erano volti modellati in cera che venivano disposti in ordine in singole
nicchie per avere immagini che accompagnassero i funerali gentilizi e a
ogni nuovo morto era sempre presente la folla dei familiari vissuti in ogni
tempo prima di lui.46
45
46
NH 35.102–103. Per le fonti sullo Ialiso di Protogene: DNO 3003–3010 (Protogenes Nr. 1),
con E. Falaschi, ‘More Than Words: Re-staging Protogenes’ Ialysus. The Many Lives of an
Artwork between Greece and Rome’, in: G. Cirucci e A. Poggio (eds.), Re-staging Greek
Artworks in Roman Contexts: New Approaches and Perspectives, Milan forthcoming, con
ulteriori discussioni e bibliogra��a in V. J. Platt, op. cit. (nota 44).
NH 35.6.
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Fiumi d’inchiostro sono stati versati sul fenomeno delle imagines romane,
complicato com’è non solo dalla scarsità di testimonianze archeologiche ma
anche dalle complesse implicazioni ideologiche che le nostre fonti (non ultimo
Plinio stesso) riconducono a questa tradizione.47 Il punto che vorrei qui sottolineare è che la celebrazione da parte di Plinio della romanitas di questi oggetti
e la loro descrizione programmaticamente posta in apertura al trentacinquesimo libro è inestricabilmente legata al materiale di cui Plinio a�ferma che sono
fatti. La cera, come abbiamo visto, è un prodotto interamente ‘naturale’, organico. Nonostante possa essere lavorata e ra���nata (come nella produzione della
cera punica), essa rimane tuttavia estranea alla retorica della luxuria che complica le disamine pliniane della statuaria in bronzo e in marmo, o dei costosi
pigmenti. Letto in congiunzione con il resoconto sulle api dell’undicesimo
libro, l’esplicito riferimento di Plinio all’uso della cera nella produzione delle
imagines (expressi cera vultus) rimanda alle condizioni sociali idealizzate nelle
quali la sostanza è prodotta – da una comunità di operai industriosi e coscienziosi che si impegnano per l’armonia e la perpetuazione della loro società. Nel
trentacinquesimo libro, i mores tradizionali dell’élite della Roma repubblicana
trovano quindi espressione, come i mores razionali delle api, nell’uso della cera
come medium che struttura e de��nisce l’ethos condiviso del gruppo. Allo stesso
tempo, la relazione tra le imagines di cera e le pratiche funerarie (con la loro
implicita allusione alle maschere mortuarie) si basa sulle connotazioni escatologiche della cera – quelle associazioni con lo ctonio e il divino alle quali Plinio
fa riferimento alla ��ne della discussione nell’undicesimo libro.
La materialità della cera, quindi, include idee su produzione naturale, semplicità rustica, etica comunitaria, morte e memoria – tutte fondamentali per il
ruolo delle imagines nell’immaginazione dell’élite romana. Eppure, vitali per
tutto questo sono quelle a�fordances materiali che permettono che la cera sia
sciolta, plasmata tramite stampi, fusa e impressa, così che possa assumere e
47
Cfr. (tra l’ampia bibliogra��a sull’argomento): J. Bazant, ‘Roman Deathmasks Once Again’,
Annali: Sezione di archeologia e storia antica 13 (1991), 209–218; H. Flower, Ancestor Masks
and Aristocratic Power in Roman Culture, Oxford 1996; P. Blöme, ‘Die imagines maiorum: Ein Problemfall römischer und neuzeitlicher Ästhetik’, in G. Brehm (ed.), Homo
Pictor, München 2001, 305–322; J. Pollini, From Republic to Empire: Rhetoric, Religion,
and Power in the Visual Culture of Ancient Rome, Norman 2012; H. Drerup, ‘Totenmaske
und Ahnenbild bei den Römern’, Römische Mitteilungen 87 (1980), 81–129; V. Dasen, ‘Wax
and Plaster Memories: Children in Elite and Non-elite Strategies’, in V. Dasen e T. Späth
(eds.), Children, Memory, and Family Identity in Roman Culture, Oxford 2010, 109–146;
M. Pointon, ‘Casts, Imprints, and the Deathliness of Things: Artifacts at the Edge’, Art
Bulletin 96 (2014), no. 2, 170–195; P. Crowley, ‘Roman Death Masks and the Metaphorics of
the Negative’, Grey Room 64 (2016), 64–103, sulle pratiche funerarie associate, comprese le
maschere di cera e gesso da sepolture romane.
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mantenere la forma di altri corpi, facendo scomparire ogni traccia palese della
sua stessa presenza materiale nel processo. Sono la mutevolezza e la natura
auto-sacri��catoria della cera che le permettono di ricoprire il ruolo di medium
extraordinaire sia per la produzione di immagini ‘naturali’ sia per la preservazione della memoria. La capacità dell’imago di incarnare i doveri e le continuità ancestrali dell’élite romana è inestricabilmente legata, nel resoconto
di Plinio, alla sua capacità indicale di ricevere, riprodurre e perpetuare i volti
stessi dell’élite – di rendere presente ciò che è assente. Questa tecnica è chiaramente comunicata tramite l’uso del termine expressus, ‘spremuto’ o ‘formato
dalla pressione’ (da imprimo) e quindi ‘copiato’ direttamente da un prototipo
attraverso stampi o impressioni. La potenzialità indicale e replicativa della
cera è quindi confermata più avanti nel trentacinquesimo libro, in relazione
alle tecniche della fusione in bronzo greche:
Hominis autem imaginem gypso e facie ipsa primus omnium expressit ceraque in eam formam gypsi infusa emendare instituit Lysistratus Sicyonius,
frater Lysippi, de quo diximus. Hic et similitudines reddere instituit; ante
eum quam pulcherrimas facere studebant. Idem et de signis e���gies exprimere invenit, crevitque res in tantum, ut nulla signa statuaeve sine argilla
��erent.
Primo di tutti a riprodurre il ritratto umano in gesso derivandolo dalla
faccia stessa e, versata della cera nello stampo in gesso, a correggere poi
l’immagine fu Lisistrato di Sicione, fratello di Lisippo di cui abbiamo parlato. Costui cominciò a fare anche ritratti al naturale; prima di lui cercavano di farli i più belli possibile. Sempre lui inventò di riprodurre calchi
dalle statue e la cosa ebbe tanto successo che nessuna statua in bronzo o
in marmo fu fatta senza fare prima un modello in argilla.48
Qui la cera gioca un ruolo cruciale nelle varie fasi della produzione di sculture
direttamente da modelli umani: mentre per ottenere uno stampo negativo del
volto si usa il gesso (imaginem gypso e facie … expressit), la cera viene colata
nello stampo (cera in eam formam gypsi infusa) per produrre una replica in
positivo, che può essere modi��cata (emendare) prima di creare grazie alla tecnica ‘a cera persa’ l’immagine ��nale (presumibilmente di bronzo). Accanto al
48
NH 35.15. Sul metodo della fusione a cera persa: H. Jackson, Lost Wax Bronze Casting,
Flagsta�f 1972; C. Mattusch, Classical Bronzes: The Art and Craft of Greek and Roman
Statuary, Ithaca 1996; C Mattusch, Greek Bronze Statuary, from the Beginnings through the
Fifth Century B.C., Ithaca 1988.
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gesso e all’argilla, la cera è un materiale il cui valore risiede nella sua plasticità
e che, come il bronzo, può anche oscillare tra lo stato liquido e quello solido.
Serve sia da forma plastica che può essere lavorata e scolpita sia da sostanza
sfuggente che si disperde in risposta al calore, creando quindi lo spazio negativo dal quale la statua ��nita può essere prodotta: essa è a un tempo oggetto di
abile manipolazione e medium diafano e in grado di smaterializzarsi. Nella tradizione della storia dell’arte greca, l’uso della cera si connette strettamente allo
sviluppo di tecniche scultoree straordinariamente naturalistiche nel IV secolo
a. C., per opera dello scultore Lisippo e di suo fratello Lisistrato.49 Difatti, nel
trentaquattresimo libro, scopriamo che il vocabolario della fusione e della formatura (expressus) nella scultura bronzea è ripetutamente appaiato a osservazioni a proposito della precisa rappresentazione della forma umana, anche
quando la presenza della cera (come componente sfuggente del processo di
fusione) è semplicemente data per scontata.50 Come rispetto alla tradizione
delle imagines romane, Plinio associa la tecnica fusoria di Lisistrato speci��camente con uno stile ritrattistico che non mira a idealizzare i suoi modelli
(facendoli ‘i più belli possibile’, quam pulcherrimas), ma a trasmettere una corretta ‘verosimiglianza’ (similitudines).
Qui tuttavia ci imbattiamo in un problema critico, che ha molto vessato
la disciplina della storia dell’arte. Cosa signi��ca ‘correggere’ un calco di cera
49
50
Sul ruolo riconosciuto a Lisippo e a suo fratello in questo passaggio: A. Stewart, Greek
Sculpture: An Exploration, 2 vols., Berkeley/Los Angeles 1990, 80, 293 (T 133); Mattusch,
1996, op. cit. (nota 48), 71–72; N. Konstam e H. Ho�fmann, ‘Casting the Race Bronzes (2): A
Sculptor’s Discovery’, Oxford Journal of Archaeology 23, 397–402 (che ritengono che l’uso
di calchi dal vivo sia precedente a Lisippo); S. Dillon, Ancient Greek Portrait Sculpture:
Contexts, Subjects, and Styles, New York/Cambridge, 2006 (che minimizza la precisione
naturalistica del ritratto greco); Pollini, op. cit. (nota 47), 33–39 (che ritiene che la tradizione romana delle imagines abbia subito la diretta in��uenza della pratica greca di fusione
diretta dal corpo). Sull’intenso naturalismo della scultura lisippea nella tradizione letteraria greca: E. Kosmetatou, ‘Vision and Visibility: Art Historical Theory Paints a Portrait
of New Leadership in Posidippus’ Andriantopoiika’, in: B. Acosta-Hughes, E. Kosmetatou,
e M. Baumbach (eds.), Labored in Papyrus Leaves: Perspectives on an Epigram Collection
Attributed to Posidippus (P. Mil. Vogl. VIII 309), Cambridge 2004, 187–211; A. Stewart,
‘Posidippus and the Truth in Sculpture’, in: K. Gutzwiller (ed.), The New Posidippus: A
Hellenistic Poetry Book, Oxford 2005, 183–205.
Cfr. e.g., NH 34.16, sugli atleti di Olimpia le cui statue ‘riproducevano le membra secondo
la loro grandezza naturale: le chiamavano iconiche’ (ex membris ipsorum similitudine
expressa, aquas iconicas vocant); 34.59, su Pitagora di Reggio, che ‘fu il primo scultore
a riprodurre i tendini e le vene e trattò i capelli con maggiore diligenza degli altri’ (his
primus nervos et venas expressis capillumque diligentius); 34.64, sulla ra���gurazione di
Lisippo ‘della Schiera di Alessandro, nella quale ha rappresentato i ritratti dei suoi amici,
tutti perfettamente somiglianti’ (in qua amicorum eius imagines summa omnium similitudine expressit).
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(emendare)?51 Se le modi��che sono compiute su un calco diretto (e specialmente se tali modi��che mirano a migliorare l’aspetto del ritratto), questo non
compromette il suo status di diretta similitudo? Dopotutto, in un celebre passo
Plinio riporta che Lisippo ha a�fermato di rappresentare gli uomini ‘quali sembrano essere’ (quales viderentur esse), piuttosto che ‘quali essi sono’ (quales
essent, NH 34.65). Pertanto, mentre la sua discussione delle imagines romane si
basava sulla capacità indicale della cera allo scopo di mettere in luce l’autenticità delle immagini ancestrali, il suo approccio alla cera nel contesto della pratica artistica greca ha una connotazione più forte dal punto di vista ontologico
ed etico. Qui, la cera è il medium che permette sia abbaglianti sfoggi di naturalismo (che facilitano la confusione di immagine e prototipo) sia sottili migliorie
che introducono una di�ferenza tra i due (compromettendo così lo statuto di
copia diretta dell’oggetto) – una di�ferenza che è tanto più ingannevole in virtù
della pretesa verità indicale della tecnica.52 Qui ci viene in mente l’osservazione di Plinio nell’ottavo libro, che le scimmie hanno un tale ‘mirabile zelo’
(mira sollertia) che ‘distinguono con un’occhiata le noci fatte di cera’ ( ��ctas
cera nuces visu distere).53 Per la sua prodigiosa abilità di replicare la forma e
l’aspetto dei materiali naturali, la cera è ripetutamente impiegata nella tradizione ��loso��ca greco-romana come medium di dissimulazione, così come veicolo per la riproduzione indicale:54 verità e inganno vanno mano nella mano
quando si tratta di un materiale così pronto ad assumere le proprietà di altre
sostanze che ripetutamente, anzi sistematicamente, elide se stesso.
3
Conclusione
I passi nei quali Plinio discute il ruolo della cera nella scultura e nella pittura sono stati tradizionalmente esaminati separatamente dal resto della
Storia naturale; come tali essi vantano una lunga e complessa storiogra��a.
Letti invece ��anco a ��anco con la disamina delle api e in congiunzione con
51
52
53
54
Cfr. supra, n. 49.
Sulla lunga tradizione di preoccupazione a proposito del valore di verità dei media indicali:
K. Paulsen, ‘The Index and the Interface’, Representations 122 (spring 2013), no. 1, 83–109;
con Crowley, op. cit. (nota 47); sul suo signi��cato a proposito delle imagines romane.
NH 8.215.
Su questo fenomeno (che è ripetutamente associato al cibo), cfr. Diogene Laerzio 7.177 e
Ateneo 8.354e, con discussione in M. Squire, ‘Campanian Wall-Painting and the Frames of
Mural Make-Believe’, in: V. Platt e M. J. Squire (eds.), The Frame in Classical Art: A Cultural
History, Cambridge 2017, 188–253, here 230–231. L’occasione d’inganno deve essere stata
favorita dalla pratica (menzionata da Plinio in NH 15.64–66) di ricoprire mele e cotogne
con la cera per conservarle.
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i processi di produzione e applicazione descritti nei libri dedicati alle piante
e ai farmaci, tali passi si rivelano parte di un discorso molto più ricco. Le funzioni e le valenze socio-culturali della cera sono strettamente connesse alle sue
origini naturali – alla sua emergenza in un’organizzazione formale (l’alveare),
attraverso l’interazione delle api con il loro ambiente, i bisogni sociali e pratici
della loro comunità e la struttura dei loro stessi corpi.55 Tuttavia la cera è allo
stesso tempo il supremo prodotto dell’animale come artifex e testimonianza
della soggiacente ratio della natura, dal momento che rispecchia le strutture
esagonali di altre forme (come quelle del cristallo e delle gemme) o le proprietà di altre sostanze (come la pece). Soprattutto, la cera presenta un’a���nità
con altri materiali – dall’argilla e dall’olio d’oliva alla pelle umana – che facilita
il suo uso come sostanza che aiuta e supporta, riveste e protegge, mescola e
amalgama: come Plinio osserva nel ventiduesimo libro, ‘ogni tipo di cera …
ammorbidisce, riscalda e rigenera i tessuti’.56
Nessuna meraviglia, quindi, che la cera sia il più mimetico dei mezzi, dal
momento che la sua capacità di imitare e riprodurre nel contesto delle arti
visive è eguagliata dalla frequenza con cui essa funge da comparandum per
l’apparenza e la consistenza di altre sostanze, che siano radici bollite nel vino
o le secrezioni viscose del murice.57 Per estensione, tuttavia, la cera può essere
usata per adulterare altre sostanze, come un balsamo: la sua propensione ad
amalgamarsi e ad assumere altri aspetti può essere sfruttata alla scopo di ��ngere
e ingannare.58 Così possono anche le sue proprietà medicinali: se gli uomini
che raccolgono la velenosa tapsia ‘si spalmano preventivamente addosso uno
strato di cera’ (cerato prius inlinunt), sfruttando la cera come una barriera protettiva, si dice che Nerone abbia guarito le escoriazioni riportate nel corso delle
sue ‘bravate notturne’ con un unguento miracoloso a base di tapsia, incenso
e cera ‘e il giorno dopo, smentendo tutti, se ne andava in giro con una pelle
perfettamente a posto’ (et secuto die famam cutem sinceram circumferens).59
L’uso, da parte di Plinio, di sincerus è qui specialmente giusti��cato, considerata
l’etimologia popolare che fa derivare ‘sincero’ da sine cera, ‘senza cera’ – un
55
56
57
58
59
Sull’emergenza della materialità all’interno di organizzazioni formali: P. M. Leonardi, ‘The
Emergence of Materiality within Formal Organizations’, in P. R. Carlile et al. (eds.), How
Matter Matters: Objects, Artifacts, and Materiality in Organization Studies, Oxford 2013,
142–170.
NH 22.116 (55): omnis autem mollit, calefacit, explet corpora.
NH 27.71 (47); 9.125 (40).
NH 12.121–122 (54).
NH 13.126 (43): Nero Caesar claritatem ei dedit initio imperi, nocturnis grassationibus converberata facie inlinens id cum ture ceraque et secuto die contra famam cutem sinceram
circumferens.
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modo di a�fermare la purezza del miele.60 Poiché è il più malleabile dei materiali, adatto a ‘molteplici esigenze’, la cera è al medesimo tempo una meraviglia
della natura e un’espressione della sua logica fondamentale. Allo stesso tempo,
essa rivela la complessa relazione tra uomo e natura – una relazione negoziata
ripetutamente nel corso della Storia naturale – per mezzo della quale l’umanità è la suprema bene��ciaria della provvidenziale generosità della natura, e
tuttavia la più grave minaccia all’integrità delle cose. Mentre le pratiche umane
di replicazione e similitudo possono integrarsi nella capacità dell’arte di imitare e addirittura rivaleggiare con l’abilità della natura artifex, esse possono
anche manifestarsi come forme di inganno e adulterazione. Che la cera possa
facilitare entrambi i modi di produzione è del tutto in accordo con la sua sfuggente identità di medium ambiguo, elusivo, polivalente, polimorfo e ontologicamente ��uido.
Riconoscimenti
The author would like to thank Guy Hedreen and all at the NIKI for their invitation to contribute to this volume, and Chiara Ballestrazzi for translating the
essay into Italian. The English version of this paper will appear in A. Anguissola
and A. Grüner (eds.), The Nature of Art: Pliny the Elder on Materials, part of the
Brepols series on ‘Art and Materiality’.
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La tradizione secondo cui l’etimologia sviluppata dall’uso della cera per nascondere i
difetti nelle statue di marmo sembra risalire alla prima età moderna. È più probabile che
sincerus derivi dalle radici sanscrite sama (intero, insieme) e kir- (versare): cfr. L&S s.v.
sincerus.
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