Marco Marsili
DALLA P2 ALLA P4
Trent’anni di politica e afari
all’ombra di Berlusconi
TERMIDORO
EDIZIONI
© Termidoro Edizioni
Via Volterra, 9 – 20146 Milano
termidoro.edizioni@gmail.com
Commerciale: 0289403935
Indice
Introduzione
p.
9
Le origini della Loggia Propaganda
p.
12
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
p.
21
La superloggia internazionale di Montecarlo
e il Comitato esecutivo massonico
p.
35
Il Grande fratello Silvio B.
p.
40
La lavanderia vaticana
p.
68
Forza P2
p.
83
La Madonnina con grembiulino
p.
96
Berlusconi, P2 e mass media
p. 114
La Nuova P2
p. 148
Conclusioni
p. 159
Piano di rinascita democratica
p. 163
Relazione di maggioranza della Commissione
parlamentare d’inchiesta
p. 179
Relazione di minoranza della Commissione
parlamentare d’inchiesta
p. 353
Sentenza n. 97 del 1° ottobre 1990 della I sezione
della Corte d’appello di Venezia
p. 361
Lista degli iscritti alla P2
p. 375
Nel tempo dell’inganno universale
dire la verità è un atto rivoluzionario.
George Orwell
A Mamma, Papà, Bauba.
9
La gente ha il diritto di essere informata in modo
chiaro corretto e piacevole.
Fabrizio Tifone Trecca
Introduzione
La storia della P2 e dei suoi ailiati si intreccia con quella dei servizi
deviati, dello stragismo di Stato (frutto della strategia della tensione e
della contrapposizione Est-Ovest), delle Br e del rapimento Moro; riguarda i rapporti tra imprenditori, politica, maia, massoneria e Vaticano, passando dal «piano Solo» al golpe Borghese, dal crack del Banco
ambrosiano alla morte di Calvi e Sindona, dalla banda della Magliana
all’Opus Dei, da Tangentopoli al dossier Mitrokhin; eventi successivi ma
legati ai personaggi della loggia segreta. Storie di un’Italia oscura che si
intrecciano, e che, spesso, intersecano la strada di Silvio Berlusconi e
dei suoi sodali.
Questo libro non vuole essere l’ennesima pubblicazione sulla storia
della P2 e dei suoi iscritti, ma si propone di svelare come i membri della
loggia segreta, che il Maestro Venerabile Licio Gelli chiamava «l’Istituzione», siano sopravvissuti allo scandalo degli anni ’80, e abbiano trovato lavoro, aiuto e protezione all’ombra dell’impero di Berlusconi, che si
fece strada come imprenditore, prima come costruttore, poi come editore, poi come politico, inendo per occuparsi inine pressoché di tutto,
partendo proprio dal periodo di massima espansione della loggia di Licio Gelli.
Dopo le prime saltuarie esperienze lavorative giovanili come cantante e intrattenitore sulle navi da crociera insieme all’amico Fedele Confalonieri, e come venditore porta a porta di scope elettriche insieme
all’amico Guido Possa, Berlusconi iniziò l’attività di agente immobiliare,
per poi mettersi in proprio grazie ad anonimi ed ingenti capitali provenienti da misteriose inanziarie e iduciarie svizzere legate all’Opus Dei
e al Vaticano. L’attività di costruttore del Cavaliere, tuttavia, incontra
non poche diicoltà, inché non entra nel giro della P2 di Calvi e Sindona, che riciclano il denaro di Cosa nostra attraverso la Banca Rasini di
10
Dalla P2 alla P4
Milano, il cui direttore generale è il padre del futuro premier. In questo
giro vorticoso di denaro si intrecciano le vicende dello Ior di Paul Marcinkus ed il fallimento del Banco ambrosiano, coinvolti attraverso partecipazioni in iduciarie of-shore alla costituzione della prima società
di Berlusconi, l’Immobiliare San Martino, amministrata dal iancheggiatore della maia Marcello Dell’Utri, e costituita allo scopo di gestire la
villa di Arcore acquistata tramite Cesare Previti. Antiche amicizie legate
da afari comuni e segreti inconfessabili, come la corruzione del giudice
del lodo Mondadori.
Dopo la bufera politica successiva al ritrovamento delle liste di Castiglion Fibocchi, si ebbe una sorta di temporanea epurazione degli
aderenti alla loggia, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i rilettori, e molti piduisti, come il capogruppo
dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, si eclissarono dalle cariche più
in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo.
Nonostante lo scioglimento, decretato dalla Legge 25 gennaio 1982,
n. 17, la P2 è ancora attiva. Lo sono, perlomeno, molti dei suoi componenti. I piduisti che ricoprivano incarichi pubblici sono scomparsi per
qualche tempo, per riafacciarsi alla ribalta in coincidenza con la discesa
in campo di Berlusconi, e la fondazione di Forza Italia. Nel frattempo,
sono stati tenuti a galla da una vera e propria rete di solidarietà, che
ricorda molto Odessa, l’organizzazione segreta nata dopo la ine della
seconda guerra mondiale per proteggere i nazisti. Qualcuno ha trovato
lavoro in Mediaset (il direttore di Canale 5, Massimo Donelli, Maurizio
Costanzo, Roberto Gervaso, il medico di Gelli Fabrizio Tifone Trecca,
o il produttore Angelo Rizzoli, la cui moglie è parlamentare del Pdl),
altri per Mondadori (Paolo Mosca); altri ancora occupano posti statali o
parastatali di nomina politica. Non tutti gli ex piduisti, ovviamente, occupano posti di rilievo, ma hanno comunque risalito la china, aiutati dai
«fratelli» più fortunati. I magistrati della Procura di Roma che indagano
sull’intreccio tra politica, maia, afari e magistrati, che vede coinvolti
esponenti politici di primo piano della maggioranza e del governo − tra i
quali il coordinatore del Pdl Denis Verdini, il senatore Marcello Dell’Utri
e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo − ha ribattezzato il
fenomeno «Nuova P2».
Di «un vero e proprio “sistema parallelo” e surrettizio gestito sia da
soggetti formalmente estranei alle istituzioni pubbliche e alla pubblica
amministrazione sia, invece, da soggetti espressione delle istituzioni
dello Stato» parlano i pubblici ministeri napoletani che indagano sulla loggia «P4», un «sodalizio criminoso, unitamente ad altri esponenti
Introduzione
11
delle istituzioni dello Stato e del “mondo degli afari”, costituito e mantenuto in vita allo scopo di commettere un numero indeterminato di
reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione
della giustizia». Una nuova indagine che, secondo gli inquirenti, vede
al centro Luigi Bisignani, ex piduista considerato tra i più inluenti nei
palazzi romani, legato da un rapporto di lunga data al sottosegretario
Gianni Letta, «autorità delegata» del presidente del Consiglio Berlusconi ai servizi di informazione e sicurezza. Una nuova indagine che ha
origini antiche.
12
Meglio fare il burattinaio che il burattino.
Licio Gelli
Le origini della Loggia Propaganda
Istituita nel 1877 dal Gran Maestro Giuseppe Mazzoni (ma fu il successore Adriano Lemmi a darle prestigio), la loggia regolare Propaganda
riuniva al suo interno deputati, senatori e banchieri del Regno d’Italia
che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare le loro logge
territoriali e stabilirsi a Roma. Nel 1893 scoppiò lo scandalo della Banca
romana che mise alla luce gravi irregolarità amministrative commesse
da numerosi banchieri italiani, molti dei quali legati alla Loggia Propaganda. In seguito allo scandalo, questa venne ridimensionata e marginalizzata, inché, dopo la prima guerra mondiale, nel febbraio 1923 il
Gran consiglio del fascismo ne dichiarò l’incompatibilità. Due anni dopo
le leggi fasciste abolirono le libertà di stampa e di associazione, costringendo il Gran Maestro della Loggia Propaganda, Domizio Torrigiani, a
irmare il decreto di scioglimento. La Liberazione sancì la rinascita della
Loggia Propaganda, che prese il nome Propaganda 2 per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte dal Grande Oriente d’Italia, e
venne riorganizzata sotto l’inluenza della massoneria americana. La
relazione della Commissione parlamentare sulla P2, irmata da Tina Anselmi, mette in luce la persona che mise in stretto legame la massoneria
italiana e americana: il reverendo metodista Frank Gigliotti, già agente
della sezione italiana dell’Oss (Oice of Strategic Services, antesignano
della Cia), in seguito agente Cia e responsabile, tra gli altri, della riorganizzazione della maia in Italia.
Gigliotti operò come capo consigliere della sezione italiana dell’Oss
dal 1941 al 1945, e successivamente riattivò l’Organizzazione dei servizi
strategici usando gli ex agenti dei servizi segreti fascisti come strumento di lotta al comunismo, come risulta da un rapporto del Dipartimento
di Stato Usa del 1947. Diventato consigliere della Cia ed ecclesiastico,
negli anni ‘60 si adoperò per la riuniicazione delle logge massoniche
italiane sotto l’egida delle consorelle statunitensi. La commissione
Le origini della Loggia Propaganda
13
parlamentare d’inchiesta sulla P2, nella relazione inale noterà: «…La
comparsa di Gelli sulla scena quando Gigliotti scompare, secondo una
successione di tempi e una identità di funzioni che non può non colpire
signiicativamente…».
Nel 1969 fu chiesto all’allora sconosciuto Licio Gelli (che era entrato
nella massoneria solo nel 1965) di «operare per la uniicazione delle varie
comunità massoniche, secondo l’indirizzo ecumenico proprio della Gran
Maestranza di Gamberini, che operava sia per la riuniicazione con la
comunione di Piazza del Gesù, sia per far cadere le preclusioni esistenti
con il mondo cattolico» (dal testo della commissione Anselmi) e, un anno
dopo, Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran
Maestro del Grande Oriente d’Italia) gli delegò la gestione della Loggia
P2, conferendogli altresì la facoltà di iniziare nuovi iscritti, funzione che
tradizionalmente ino ad allora era prerogativa solo del Gran Maestro e
dei Maestri Venerabili o di chi aveva in passato ricoperto tali cariche. Durante l’ultimo periodo alla guida del Goi, Gamberini fece entrare nell’ordine numerosi militari che gli erano stati segnalati da Gelli.
Gelli, un piccolo imprenditore toscano che in passato si era schierato sia col fascismo (tanto da andare a combattere come volontario
nella guerra civile spagnola e da essere poi agente di collegamento con
i nazisti durante l’occupazione della Jugoslavia), sia con l’antifascismo
(in particolare organizzò la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville
Sbertoli in collaborazione col partigiano Silvano Fedi), godeva anche di
profonde aderenze presso l’entourage del generale argentino Juan Domingo Perón: una famosa fotograia lo ritrae alla Casa Rosada, insieme
al presidente ed a Giulio Andreotti. Per ragioni mai del tutto chiarite,
la carriera di Licio Gelli all’interno della Loggia P2 fu rapidissima. Una
volta preso il potere al vertice della loggia, la trasformò in un punto
di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli
alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari.
Nel 1970 Licio Gelli e la P2 presero parte al golpe Borghese, come descritto nel dossier del Sid, il servizio di intelligence militare, consegnato
incompleto da Andreotti nel 1974 alla magistratura romana, e reso pubblico nella versione integrale solo nel 1991; le parti cancellate (omesse
perché, a detta di Andreotti, avrebbero causato un terremoto politico
per via dei nomi implicati) includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente capo di Stato maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981,
e i nomi e la compartecipazione della P2 e di Licio Gelli, che si sarebbe
dovuto occupare del rapimento dell’allora Presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat.
14
Dalla P2 alla P4
Il 19 giugno 1971 Salvini pose di fatto Gelli a capo della Loggia P2,
inizialmente con la carica di segretario organizzativo. Sempre nel 1971,
Salvini decise la fondazione di un’altra loggia coperta, la loggia P1, che
doveva essere più elitaria e selettiva della Loggia P2 e limitata a persone
che fossero impiegate nella gestione dello stato, in cui Gelli dopo poco
tempo ricoprì il ruolo di primo sorvegliante. Nel 1973, come nei progetti del precedente Gran Maestro Gamberini, si riuniicarono le due
famiglie massoniche di Palazzo Giustiniani e quella di Piazza del Gesù
(quest’ultima nata da una scissione negli anni sessanta avvenuta nella
Serenissima Gran Loggia d’Italia), guidata da Francesco Bellantonio, ex
funzionario dell’Eni e parente di Michele Sindona. Come conseguenza di
questa riuniicazione (che ebbe vita breve, solo due anni) la loggia Giustizia e libertà – loggia «coperta» e quindi anch’essa segreta facente parte
del gruppo massonico di Piazza del Gesù, che contava tra i suoi iscritti
politici di tutti gli schieramenti, militari, banchieri (per un breve periodo
ne avevano fatto parte personaggi legati al «piano Solo», come il generale
Giovanni De Lorenzo e il senatore Cesare Merzagora e risultava iscritto
anche Enrico Cuccia) – vide molti dei suoi iscritti passare alla P2.
La commissione parlamentare scoprì, nelle sue indagini e tramite le
dichiarazioni rese da diversi massoni, che negli anni vi furono diversi
tentativi di ridurre il potere di Gelli all’interno della massoneria, tutti
senza esito.
Nel dicembre 1974, al culmine della strategia della tensione, diversi
magistrati iniziarono ad occuparsi del gruppo di Gelli. I Maestri Venerabili riuniti nella Gran Loggia di Napoli decretarono lo scioglimento
della P2, ma la decisione rimase quasi senza conseguenze. In base ai documenti esaminati dalla commissione Anselmi, in quel periodo il Gran
Maestro Salvini conidò ad un confratello di essere stato informato da
Gelli sull’eventualità di possibili soluzioni politiche di tipo autoritario.
In conseguenza della votazione dell’anno precedente si ebbero forti
contrasti tra Gelli e Salvini e il primo, in occasione di un’assemblea tenutasi nel marzo 1975, produsse prove (secondo alcune ricostruzioni
giornalistiche false create appositamente) su presunti reati inanziari
compiuti dal Gran Maestro, ritirando successivamente le accuse. A seguito di questi fatti, con la mediazione di Gamberini il 12 maggio 1975
venne ricostituita una Loggia P2, uicialmente non «coperta» e con poche decine di ailiati noti che però non risultavano tra gli iscritti del
Goi, con Gelli come Maestro Venerabile, e che venne sciolta, su richiesta
dello stesso, poco più di un anno dopo, il 26 luglio 1976, anche per la
pressione dei media di sinistra e della magistratura (e grazie ad infor-
Le origini della Loggia Propaganda
15
mazioni fatte iltrare dal gruppo dei «massoni democratici» che si opponeva a Gelli all’interno del Goi). Sempre in quel periodo, divennero
sempre più frequenti campagne stampa e indagini che accusavano la
loggia e la massoneria di essere legate ad avvenimenti criminali, quali i
sequestri di persona, e di avere rapporti con ambienti di estrema destra
legati all’eversione nera.
Uicialmente per il Goi la Loggia P2 era ormai sospesa, ma in pratica questa continuava ad esistere come gruppo gestito direttamente da
Gelli, mantenendo comunque rapporti (documentati dalla commissione) con Salvini, Gamberini (che dopo il 1976, nella sua veste di ex Gran
Maestro, continuò a celebrare molte iniziazioni per conto della Loggia
P2) e gli altri vertici della massoneria.
La commissione Anselmi nella sua relazione parlò a proposito dei
rapporti tra Gelli e la massoneria di «rapporti non chiari di reciproca
dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i gran maestri e con
i loro collaboratori diretti» e speciicando:
«Ma al di là dei riferimenti testuali e documentali, pur inequivocabili,
da inquadrare peraltro nella assoluta disinvoltura con la quale il Grande Oriente gestiva le procedure, quello che va realisticamente considerato è che non appare assolutamente credibile sostenere che l’attività
massiccia di proselitismo portata avanti in questi anni dal Gelli − che
coinvolgeva alcune centinaia di persone, per lo più di rango e cultura di
livello superiore − sia potuta avvenire frodando allo stesso tempo ed in
pari misura il Grande Oriente e gli iniziandi. Né appare dignitosamente
sostenibile che tutto ciò si sia veriicato senza che il primo venisse mai
a conoscenza del fenomeno ed i secondi non venissero mai a sospettare
della supposta frode perpetrata a loro danno, consistente nell’ailiazione abusiva ad un ente totalmente all’oscuro di tale procedura.
Sembra invece più ragionevole ritenere che la sospensione decretata nel 1976 rappresentò una più soisticata forma di copertura, alla
quale fu giocoforza ricorrere perché Gelli e la sua loggia costituivano
un ingombro non più tollerabile per l’istituzione. Si pervenne così al
duplice risultato di salvaguardare nella forma la posizione del Grande
Oriente, consentendo nel contempo al Gelli di continuare ad operare
in una posizione di segretezza che lo poneva al di fuori di ogni controllo proveniente non solo dall’esterno dell’organizzazione ma altresì da
elementi interni. A tal proposito si ricordi che non ultimo vantaggio
acquisito era quello di avere eliminato dall’organizzazione il gruppo dei
cosiddetti “massoni democratici”, avversari di lunga data del Gelli e dei
suoi protettori.
16
Dalla P2 alla P4
Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta in chiave massonica, non spiega il fenomeno nella sua genesi
più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo. Per rendere
esplicita questa afermazione non si può non riconoscere come Licio
Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico:
egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico esponente
di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione,
informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al ine ultimo
della maggior gloria della famiglia; Licio Gelli, in altri termini, non sembra sotto nessun proilo, nella sua contrastata vita massonica, un nuovo
Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione,
come iniettato dall’esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.
Possiamo quindi afermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono a ritenere come la presenza di Gelli nella comunione di Palazzo Giustiniani appaia come quella di elemento in essa inserito secondo una precisa strategia di iniltrazione, che sembra aver sollevato nel
suo momento iniziale non poche perplessità e resistenze nell’organismo
ricevente, e che esse vennero superate probabilmente solo grazie all’interessamento dei vertici dell’istituzione i quali, questo è certo, da quel
momento in poi appaiono in intrinseco e non usuale rapporto di solidarietà con il nuovo adepto. Questa iniltrazione inoltre fu preordinata
e realizzata secondo il ine speciico di portare Licio Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto di
identiicazione tra il personaggio e l’organismo, il quale ultimo inì per
trasformarsi gradualmente in una entità morfologicamente e funzionalmente afatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione degli eventi proposta. Quanto detto appare sufragare l’enunciazione dalla quale
eravamo partiti, perché il rapporto tra Licio Gelli e la massoneria viene
a rovesciarsi in una prospettiva secondo la quale il Venerabile aretino,
lungi dal porsi rispetto ad esso in un rapporto di causa ed efetto, come
ultimo prodotto di un processo generativo interno di autonomo impulso, assume piuttosto le vesti di elemento indotto, di programmato
utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta
della comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni che costituirono l’autentico nucleo di interessi e di attività che la
Loggia P2 venne a rappresentare.
Quello che per la commissione è di primario interesse sottolineare
è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi, nel seguito della vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima,
Le origini della Loggia Propaganda
17
essendone inconsapevole la base e conniventi i vertici. Non v’è dubbio
infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso speciico e la
massoneria in senso lato abbiano negativamente risentito dell’attenzione, tutta di segno contrario, che su di esse si è venuta a concentrare,
ma altrettanto indubbio risulta che l’operazione Gelli, sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale
copertura − per non dire oggettiva complicità − senza la quale essa
non avrebbe mai potuto essere, non che realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità − pur sostanziale che sia − non
si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei vertici
dell’associazione, peraltro espressione elettiva della base degli associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da una concreta
tradizione di radicato costume massonico degli ailiati tutti, che ha
costituito l’imprescindibile terreno di coltura per l’innesto dell’operazione. Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2,
né per primo ha contrassegnato l’organismo con la caratteristica della
segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare
la tecnica della copertura, ma l’una e l’altra ha trovato funzionanti e
vitali nell’ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia
fatto suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci
interessa per comprendere meglio Licio Gelli e non la massoneria. Il
discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono suicientemente stabilite e tali da consentire, a chi
ne abbia interesse, di trarre le proprie conclusioni. La situazione che
si delinea al termine del lungo processo sin qui ricostruito è pertanto
contrassegnata da due connotati fondamentali: Gelli ha acquisito nella
seconda metà degli anni settanta il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda due, espropriandone il naturale titolare e
cioè il Gran Maestro; la Loggia Propaganda due non può nemmeno eufemisticamente deinirsi riservata e coperta: si tratta ormai di una associazione segreta, tale segretezza sussistendo non solo nei confronti
dell’ordinamento generale e della società civile ma altresì rispetto alla
organizzazione che ad essa aveva dato vita».
Nel periodo del 1976 al 1981 la P2 ebbe la massima espansione ed
inluenza e cominciò ad operare anche all’estero (pare che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di inluire sulle
rispettive situazioni politiche). In Argentina, dove Gelli aveva rapporti
molto stretti con i servizi segreti, aveva arruolato nella loggia l’ammi-
18
Dalla P2 alla P4
raglio Emilio Eduardo Massera, capo di Stato maggiore della Marina,
il ministro del Benessere sociale di Juan Domingo Peròn, Josè Lopez
Rega, il ministro degli Esteri Alberto Vignes, l’ammiraglio Carlos Alberto Corti e altri militari. Massera fece poi parte della Junta militare
guidata da Rafael Videla che rovesciò il governo di Isabelita Peròn con il
golpe sanguinario del 24 marzo 1976. I golpisti legati alla P2 godevano
dell’appoggio silenzioso delle gerarchie vaticane, legate a doppio ilo con
i piduisti Calvi e Sindona che investivano all’estero, per conto dello Ior
di Marcinkus, ingenti somme della Santa Sede. Il nunzio apostolico in
Argentina Pio Laghi, è stato denunciato nel 1983 e nel 1997 dall’associazione delle madri di plaza de Mayo (le madri dei desaparecidos) per
non essersi opposto ai crimini commessi dalla dittatura dei militari. La
repressione nei confronti dei «sovversivi» fu senza precedenti: tra 10
mila e 30 mila desaparecidos, un milione e mezzo di esiliati, 3 mila persone narcotizzate e gettate vive nell’Atlantico dagli aeromobili della Fuerza Aérea Argentina. La gerarchia ecclesiastica si rese complice di questo
massacro: «L’ideologia peronista avrebbe minacciato i valori cattolici»
dichiarò il cardinale Laghi, che non è mai stato processabile in quanto
coperto dall’immunità dovuta al suo rango, e perché cittadino vaticano.
Laghi ha solo ammesso di giocare a tennis con l’ammiraglio Massera, tra
i principali fautori del golpe, e direttore della famigerata Esma, l’Escuela
de Mecánica de la Armada, uno dei più grandi centri di detenzione, tortura e sterminio degli oppositori al regime
Secondo la commissione d’inchiesta, la Loggia P2 e Gelli stesso goderono di «una sorta di cordone sanitario informativo posto dai servizi a
tutela ed a salvaguardia del Gelli e di quanto lo riguarda» a partire dal
1950 (anno in cui venne segnalato ai servizi il rapporto Cominform, a
cui però non seguirono indagini), che permise al gruppo di agire indisturbato, arrivando alla conclusione che Gelli stesso facesse parte dei
servizi segreti. Secondo la relazione di maggioranza della Commissione
Anselmi «Tra le varie spiegazioni possibili di tale costante atteggiamento scartata quella della Ineicienza dei Servizi perché palesemente non
proponibile − non rimane altra conclusione che quella di riconoscere
che il Gelli è egli stesso persona di appartenenza ai servizi, poiché solo
ricorrendo a tale ipotesi trova logica spiegazione la copertura di questi
assicurata al Gelli in modo sia passivo, non assumendo informazioni
sull’individuo, sia attivo, non fornendone all’autorità politica che ne fa
richiesta. I riscontri forniti e la linea di argomentazione che su di essi
abbiamo incentrato, testimoniano in modo chiaro l’esistenza di una
barriera protettiva posta dei servizi a tutela di Gelli e della Loggia P2
Le origini della Loggia Propaganda
19
che scatta puntuale di fronte a qualsiasi autorità politica e giudiziaria,
che chieda, nell’esercizio delle sue funzioni, ragguagli e delucidazioni su
questi argomenti. Abbiamo individuato la ragione profonda di questo
comportamento nell’appartenenza di Licio Gelli all’ambiente dei servizi
segreti, ed abbiamo datato questa milizia al 1950, anno di compilazione
dell’informativa Cominform. Le conseguenze di tale afermazione sono
che la ragione vera del cordone sanitario informativo va cercata non nel
presunto controllo che Gelli eserciterebbe nei servizi segreti, ma nell’opposta ragione del controllo che essi hanno del personaggio. Le conclusioni che abbiamo esposto sono di tenore tale che l’estensore di queste
note avverte per primo l’esigenza di procedere con la massima cautela
possibile in questa materia, per la quale peraltro, si deve riconoscere, è
del tutto illusorio sperare di raggiungere dimostrazioni che poggino su
prove inconfutabili. Si è così argomentato sulla base dei documenti proponendo una linea interpretativa che si riconduca a logica e coerenza,
pronti a veriicare tale assunto con altre possibili ricostruzioni posto
che, secondo l’assunto metodologico seguito, consentano di fornire altra spiegazione coerente ed unitaria dei fenomeni».
Secondo la commissione, Licio Gelli mantenne ino al primo dopoguerra un atteggiamento ambiguo, permettendogli di legarsi a chiunque avesse avuto le redini del potere in Italia dopo la guerra (fossero
i nazifascisti, fossero gli Alleati e i loro gruppi politici di riferimento o
fossero i comunisti ilo sovietici) e il rapporto Cominform, che lo denunciava come spia dormiente dei servizi segreti dell’Est (probabilmente posizione frutto di accordi durante questo periodo ambiguo), su cui i
servizi non indagarono, sarebbe divenuto una garanzia sulla sua fedeltà che i servizi avrebbero potuto eventualmente usare, denunciandolo
come spia ilo sovietica e distruggendo quindi la sua igura fortemente
anticomunista che era venuta a crearsi nel tempo.
Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto afermati avrebbero aderito alla P2, secondo taluni l’abilità di Licio Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il difuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro l’iscrizione alla loggia sarebbe apparsa
di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria
importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al
ine di assicurarsi il controllo sia pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane.
Secondo altre interpretazioni, la loggia altro non sarebbe stata che
un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per inluire sugli andamenti politici dello Stato.
20
Dalla P2 alla P4
Non va dimenticato che proprio in quegli anni montava la strategia
della tensione e che da molte parti della società si auspicava una svolta
politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa ineicienza sociale, economica e pratica dell’impianto statale.
A posteriori, la Commissione parlamentare d’inchiesta ricostruì che
verso la ine degli anni settanta il rapporto fra Gelli ed i suoi amicialleati statunitensi e dei servizi segreti si sarebbe incrinato, e sarebbero
cominciate a circolare sollecitazioni a farsi da parte, inoltrate anche nella suggestiva forma di fornire direttore della rivista Op Mino Pecorelli
(poi crivellato di colpi nella sua automobile, il 20 marzo 1979) il famoso
rapporto Cominform perché lo pubblicasse ed avanzasse così il sospetto
che Gelli agisse per qualche servizio segreto di paesi comunisti (di Pecorelli − tessera n. 235 − il Venerabile ha scritto nella sua autobiograia Licio Gelli. Parola di Venerabile: «Per la P2 era una persona preziosa, perché
in caso di necessità avrebbe potuto aiutarci con la sua penna»).
Gelli reagì rilasciando un’imprevista intervista, nella quale qualcuno
ha supposto che abbia inviato messaggi in codice; ma sembra accertato che, poco dopo, fu un uomo di iducia di Michele Sindona a fornire
ai giudici di Milano elementi suicienti per interessarsi del capo della
loggia.
21
Con la P2 avevamo l’Italia in mano. Con noi c’era
l’Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte
nettamente comandate da appartenenti alla Loggia.
Licio Gelli
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
Tutto comincia, quasi per caso, all’alba del 17 marzo 1981, quando il
colonnello Vincenzo Bianchi della Guardia di Finanza, giunto da Milano
alla guida di una sessantina di agenti, perquisisce i quattro indirizzi di
Gelli annotati su una agenda di Michele Sindona sequestrata al banchiere dalla polizia di New York: Villa Wanda di Arezzo, residenza del
Venerabile, la suite all’hotel Excelsior in via Veneto, a Roma, dove riceveva autorità, politici, postulanti, un’azienda di Frosinone e gli uici di
una fabbrica d’abbigliamento, la Giole (divisione giovane di Lebole, della quale il titolare, Mario, è un ailiato alla loggia) di Castiglion Fibocchi. Bianchi aveva ricevuto l’ordine di agire senza informare nessuno, e
senza avere alcun contatto con le autorità locali, i carabinieri, la polizia,
la magistratura del posto, neppure i comandi della Guardia di Finanza.
Durante la perquisizione, ordinata dai giudici istruttori di Milano Giuliano Turone e Gherardo Colombo, ai quali il consigliere istruttore di
Milano Antonio Amati aveva aidato l’inchiesta sul presunto rapimento
di Sindona − scomparso da New York il 2 agosto 1979 e poi ricomparso
il 16 ottobre − venne rinvenuta la lista degli iscritti alla Loggia Propaganda 2 (fra i quali il comandante generale dello stesso corpo, Orazio
Giannini, n. 832), più nota come P2, già appartenente al Grande Oriente d’Italia, la maggior obbedienza massonica regolare del nostro Paese.
L’elenco fu divulgato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri solo due
mesi dopo, il 21 maggio 1981, provocando la caduta dell’esecutivo guidato dal democristiano Arnaldo Forlani, accusato di avere ritardato la
conferma del ritrovamento e la pubblicazione delle liste; al suo posto fu
insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, già direttore del Corriere
della Sera dal 1968 al 1972 (anno della sua prima elezione al Senato),
che divenne così il primo presidente del consiglio non appartenente alla
Democrazia cristiana della storia repubblicana. Il giorno seguente la
magistratura spiccò un ordine di cattura nei confronti di Gelli con l’ac-
22
Dalla P2 alla P4
cusa di spionaggio politico o militare (si riteneva che possedesse copie
di alcuni dossier riservati del Sifar e di altri servizi segreti). Il Venerabile
si rifugiò temporaneamente in Uruguay, portandosi dietro il suo archivio segreto, contenente i nominativi di circa 1.400 pidiusti, che, secondo l’ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova, non iguravano
negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi.
Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza
precedenti, e le successive indagini portarono all’arresto del presidente
del Banco ambrosiano Roberto Calvi, provocando una crisi della Borsa
che, nel luglio 1981, dovette chiudere per una settimana per eccesso di
ribasso.
La P2 aveva evidenti ini di sovversione dell’assetto socio-politicoistituzionale italiano. Questa circostanza, insieme alla caratteristica di
riunire in segreto circa mille personalità di primo piano, principalmente
della politica e dell’Amministrazione dello Stato italiano, suscitò uno
dei più gravi scandali politici nella storia della Repubblica Italiana. Il 31
ottobre 1981, sette mesi dopo il rinvenimento delle liste e dello scandalo conseguente, la corte centrale del Grande Oriente d’Italia presieduta
dal nuovo Gran Maestro Armando Corona, espulse Gelli dal consesso
massonico. Per il Grande Oriente d’Italia la Loggia Propaganda 2 aveva
sospeso uicialmente la propria attività all’interno del Goi stesso già
nel 1976, e pertanto non poteva essere sciolta, essendo già sospesa. Ciò
signiicava che la P2 di Gelli dal 1976 non agiva più all’interno del consenso massonico, ma autonomamente. La complessità e la vastità delle
implicazioni del caso P2 furono tali che ne scaturirono leggi speciali,
emanate allo scopo di arginare le associazioni segrete, in attuazione
dell’articolo 18 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Il 9 dicembre il Parlamento, su proposta del presidente della Camera
dei deputati Nilde Iotti, istituì una commissione bicamerale d’inchiesta
sulla P2, presieduta da Tina Anselmi, ex partigiana «bianca» e prima
donna a diventare ministro nella storia della Repubblica Italiana.
La P2 tentò, tra il 1965 e il 1981, di condizionare i processi politici italiani attraverso la penetrazione di persone di iducia all’interno della magistratura, del Parlamento, dell’esercito e della stampa. Il progetto della
loggia di Gelli fu esplicitato nel «Piano di rinascita democratica», sequestrato il 4 luglio 1981 all’aeroporto di Fiumicino, nel doppiofondo di una
valigia di Maria Grazia, iglia del Venerabile: «L’obiettivo deve essere, nei
partiti, nella stampa e nel sindacato, quello del controllo delle persone
che in ogni formazione o in ogni giornale siano ritenute sintoniche con
gli obiettivi del Piano e della creazione di strutture (formazioni politiche
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
23
e giornali) che se ne facciano strumento di realizzazione. Per il sindacato
in particolare, deve essere prioritario l’obiettivo della scissione dell’unità sindacale per poi consentire la riuniicazione con i sindacati autonomi di quelle componenti confederali sensibili all’attuazione del Piano».
Come ha sottolineato la Commissione Stragi: «il risultato inale di tutta
l’operazione avrebbe dovuto restituire una magistratura più controllata
(con la diversa regolamentazione degli accessi e delle carriere) e meno
autonoma (con la modiica del Csm); un pubblico ministero separato e
legato alla responsabilità politica del Ministro di Giustizia; un Governo il
cui presidente viene eletto dalla Camera, libero da condizionamenti del
Parlamento e i cui decreti non sono emendabili; un sistema della rappresentanza congelato con elezioni a scadenza rigida e simultanee per il Parlamento ed i consigli regionali e comunali; un Parlamento profondamente modiicato e ridimensionato nella composizione e nelle funzioni; una
Corte costituzionale ricondotta in argini più ristretti attraverso il divieto
delle sentenze cosiddette additive; una amministrazione forte nei suoi
apparati da contrapporre alla fragilità del controllo politico esercitato su
di essa, una struttura sociale più rigida e meritocratica, una stampa più
controllata, un’economia libera da eccessivi condizionamenti». Questo
inine il giudizio espresso dalla Commissione stessa sulla democraticità
della P2: «Gli obiettivi del “Piano” ben potrebbero considerarsi rientranti
nel programma politico di un partito conservatore, soprattutto oggi che
almeno parte di essi sono nel dibattito politico oggetto di una condivisione abbastanza ampia. Ma è l’analisi dei mezzi (e non dei ini) ad
escludere il carattere democratico del Piano, aidato ad un’operazione
occulta degli ailiati all’interno delle istituzioni, dei movimenti politici,
del sistema dell’informazione e dell’economia. D’altro canto tutta la storia della P2 dimostra un tentativo di occupazione del potere e si realizza
attraverso la distribuzione di uomini “propri” in ogni posto di responsabilità e se questo è nella logica storicamente consolidata della massoneria di tutte le “fratellanze” di qualsiasi matrice, nella P2 si fonde con lo
sforzo di realizzazione di un progetto politico e di un assetto istituzionale che stravolge radicalmente quello esistente impossessandosene da
dentro e violandone i suoi principi fondamentali».
È stato lo stesso Gelli, in un’intervista pubblicata il 20 ottobre del 2008
sul Tempo, rispondendo ad una domanda del giornalista Marco Dolcetta
sul suo ruolo nell’elezione a Presidente della Repubblica di Giovanni Leone, a ricordare i retroscena del Piano di rinascita: «L’avvocato Venturi,
assistente del senatore Leone mi invitò nel suo uicio in viale Cristoforo
Colombo e chiese l’aiuto della massoneria. Disse di aver saputo che pote-
24
Dalla P2 alla P4
vo contare su centoquaranta fra senatori e deputati. Leone mi piaceva e
assicurai la disponibilità a fornire il nostro appoggio. Lo confermai anche
a lui, inviandogli una lettera il giorno prima delle elezioni, auspicando che
tutto andasse per il meglio. Tutti i parlamentari iscritti alla P2 o comunque vicini alla Loggia votarono per Leone, che infatti andò al Quirinale
forte di 518 voti contro i 408 di Nenni, i 6 di Pertini e i 25 dispersi. L’avvocato Venturi non tardò a ringraziarmi per tutto questo, anche a nome
del neopresidente. Più tardi ricevetti una lettera di convocazione al Colle.
Il 10 aprile 1972 ebbi anche un incontro privato con Leone, presente pure
Lino Salvini. Il capo dello Stato mi invitò a tenermi in costante contatto
col suo segretario personale, il dottor Nino Valentino. Successivamente,
sarei stato regolarmente invitato in ogni occasione uiciale, specie se
c’erano ospiti internazionali. A volte mi faceva recapitare gli inviti qui ad
Arezzo dal corriere motociclista. Inoltre fu a me che Leone chiese un suggerimento per una svolta nella politica del Paese ed è così che ho iniziato
a lavorare allo Schema R. Il “Piano R” comunque, l’abbiamo scritto in due,
Randolfo Pacciardi e io, poi Leone non mantenne una condotta coerente
e lineare, la storia ci ha tramandato il resto del suo destino». Fu proprio
Giovanni Leone, nel 1977, ad insignire il quarantenne Berlusconi del titolo di «Cavaliere del lavoro» insieme a Gianni Agnelli.
Randolfo Pacciardi era un esponente della destra del Partito repubblicano, e nel dopoguerra ricopre per lungo tempo l’incarico di ministro della Difesa. In quel periodo diventa intimo amico di Carmel Oie. Nell’ottobre del ‘48 aferma che: «…al momento opportuno occorrerà arrestare
300 comunisti e socialisti per neutralizzare la sinistra…». Nel giugno
1950 emana la circolare n. 400 sull’impiego delle Forze Armate nei servizi di ordine pubblico, che recita: «… in ogni caso il fuoco non va mai
impiegato a scopo intimidatorio. Il fuoco sarà diretto contro gli elementi
più facinorosi e contro coloro che commettono gravi violenze o incitano
a queste contro le forze dell’ordine…». Il 1° marzo 1964 fonda l’«Unione
popolare democratica per una nuova Repubblica», in cui conluiscono
molti fascisti di Avanguardia nazionale e di altre organizzazioni simili. Il
10 maggio dello stesso anno Pacciardi, durante un comizio all’Adriano di
Roma, invita esplicitamente allo scontro isico con le sinistre, mentre il
6 giugno chiede che il Presidente della Repubblica componga un governo
di salute pubblica sciogliendo il Parlamento. Il 5 luglio durante un altro
comizio Pacciardi e Ruspoli chiedono la ine del centro sinistra ed un governo di salute pubblica. Partecipa al comizio anche Stefano Delle Chiaie.
Il 14 marzo 1971 si svolge a Roma una manifestazione degli «Amici delle
Forze Armate» promossa da Gino Ragno, appartenente ad Ordine nuovo
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
25
e legato alla Aginter Press, aderiscono il Msi, il Pdium, Randolfo Pacciardi ed i deputati Dc Ciccardini e Greggi. Il 23 agosto 1974 la magistratura
di Torino scopre un complotto facente capo al piduista Edgardo Sogno
(n. 786), nel quale erano coinvolti anche Randolfo Pacciardi ed altri, fra
cui il braccio destro di Junio Valerio Borghese.
Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, il tenente Edgardo
Sogno era a capo dell’«Organizzazione Franchi», una rete spionistica
formata dalle formazioni partigiane bianche collegata all’Is, il servizio
segreto inglese, che agiva in molte città città del Nord. Finita la guerra,
nel 1947 collabora con i servizi segreti statunitensi alla riorganizzazione
di un servizio informativo militare in Italia. Nel luglio 1953, dopo aver
seguito a Parigi i corsi del «Defense College» per la guerra psicologica,
torna in Italia per organizzare il movimento «Pace e libertà», che fonderà nell’ottobre dello stesso anno insieme a Luigi Cavallo, con l’appoggio, anche inanziario, della Cia. La nascita dell’organizzazione era stata
fortemente voluta anche dall’allora presidente del Consiglio Scelba e dal
Ministero della Difesa guidato da Randolfo Pacciardi, come ha rivelato lo
stesso Sogno in una lettera a Francesco Silj, direttore generale del personale del Ministero degli Afari esteri, del 3 marzo 1960 in cui l’ex partigiano bianco scrive: «…L’interesse politico di non far sapere all’opinione
pubblica che dietro Pace e libertà stavano il governo Scelba, il ministero
della difesa e vari complessi industriali privati è ormai talmente irrilevante che possiamo lavarcene le mani?…». Nel 1954 il gruppo, che ottiene anche inanziamenti dalla Fiat e dalla Pirelli, inizia una intensa attività contro gli operai di sinistra nelle fabbriche del Nord; frequenti saranno
anche le pubblicazioni di falsi documenti del Pci. In un appunto del Sifar
del 16 ottobre 1953 si legge a proposito di Pace e libertà «…Il Movimento
si dovrebbe persino sostituire alla polizia, specie nello schedare gli attivisti del Pci e le maestranze comuniste…». Il gruppo aveva inoltre carattere
internazionale: la sua origine risale infatti al 1951, quando l’ex funzionario della Nato, Jean Paul David, fonda a Parigi l’agenzia informativa anticomunista «Paix et libertè». In un altro appunto del Sifar del 25 maggio
1954 si legge «…Il David e il Sogno si sono recati a Roma per far visita
all’ambasciatore degli Usa, Luce, ed al presidente del consiglio Scelba, per
ottenere un congruo inanziamento per la intensiicazione della propaganda anticomunista in Italia». Oltre che in Italia, analoghe organizzazioni furono fondate in Belgio, Olanda e Germania. Nel 1954 i rapporti
fra Cavallo e Sogno si guastano. In un appunto del 2 dicembre 1954 il
Sifar annota: «…Viene riferito che il conte Sogno in data 20 novembre
u.s. ha allontanato dal movimento Pace e libertà…Luigi Cavallo…». Nel
26
Dalla P2 alla P4
febbraio 1971 Sogno fonda i «Comitati di resistenza democratica», la
sua nuova organizzazione anticomunista, cui aderisce fra gli altri, l’ex
comandante dei partigiani bianchi Enrico Martini-Mauri. In questo periodo riprende i contatti con Luigi Cavallo, e da questo rinato sodalizio
ne ricava, fra il giugno ‘71 e il luglio ‘74 ben 187 milioni di inanziamento dalla Fiat. Sogno e Cavallo non si limitano a intascare inanziamenti
dalle grandi industrie, ma lavorano in questo periodo alla preparazione
di un «golpe bianco», che Cavallo così deinisce «…un golpe di destra con
un programma avanzato di sinistra che divida lo schieramento antifascista e metta i fascisti fuori gioco…». Questo progetto vedrà il sostanzioso appoggio del generale piduista Gian Adelio Maletti (n. 499), capo
dell’uicio D (controspionaggio) del Sid. Nell’agosto del ’74, il ministro
della Difesa Giulio Andreotti parla dell’esistenza di più di un tentativo di
colpo di stato (il «piano Solo»). Edgardo Sogno, contemporaneamente,
lancia un appello per un «…colpo di stato liberale…». Il golpe, si saprà
poi, avrebbe dovuto scattare in piena estate, durante la chiusura delle
fabbriche, con l’appoggio degli Usa e della P2 di Licio Gelli, a cui Sogno è
iscritto. Il 23 agosto 1974 la magistratura di Torino scopre il complotto
facente capo a Edgardo Sogno, Randolfo Pacciardi ed altri, fra cui il braccio destro di Junio Valerio Borghese. Il golpe era previsto per Ferragosto
e aveva come obiettivo di forzare l’intervento dei militari a favore di una
Repubblica presidenziale, che rientrava negli obiettivi indicato nel Piano di rinascita. Il 27 gennaio 1975 il giudice torinese Luciano Violante
(poi parlamentare di lungo corso, e presidente della Camera dal 1996 al
2001) aveva valutato necessario acquisire agli atti il carteggio riguardante Sogno, esistente negli archivi del Sid. Il successivo 12 febbraio il Sid
invia poche pagine piene di omissis, afermando che «…le parti mancanti
non potevano essere trasmesse, perché si riferivano a materia connessa
a speciica attività di controspionaggio…». Il 4 giugno il Presidente del
Consiglio Aldo Moro, conferma l’apposizione del segreto di strato: «…i
documenti non consegnati rientravano nella materia connessa a speciica attività di controspionaggio in relazione a dati formali soggettivi
(nomi di personaggi stranieri e di agenti informatori, sigle di operazioni
di controspionaggio, denominazione di uici addetti alle operazioni ed
altri elementi analoghi) che dovevano essere mantenuti segreti a tutela
di interessi politici e militari…». Il 5 maggio dell’anno seguente Violante
emette mandato di arresto nei confronti di Sogno e Cavallo, imitato il 24
dello stesso mese dalla magistratura romana, che conferma le accuse, ed
emette altri due mandati di cattura. Il 19 giugno, però, il giudice istruttore Filippo Fiore, su conforme parere del pubblico ministero, pone i due
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
27
imputati in libertà provvisoria, ed il pm ne chiedeva il proscioglimento per insuicienza di prove. Il 12 settembre 1978 il giudice istruttore
Francesco Amato emette una sentenza di proscioglimento per tutti gli
imputati «…perché il fatto non sussiste…». Le Brigate rosse sequestreranno documenti riservati e gli elenchi degli iscritti all’organizzazione di
Sogno, ma gli autori del sequestro verranno immediatamente arrestati
e la documentazione verrà fatta scomparire dai Carabinieri. Nel dicembre 1990 Sogno, in un’intervista a Panorama, rivela che i suoi comitati
di resistenza democratica avevano preso «…l’impegno di sparare contro
coloro che avessero fatto il governo con i comunisti…».
La lista rinvenuta a Castiglion Fibocchi consta di 962 nominativi, con
la inclusione degli ultimi 18 iscritti alla P2, per i quali la data di iniziazione era stata programmata per il successivo 26 marzo 1981. L’epoca
in cui presumibilmente sono stati formati gli elenchi in questione può
collocarsi con suiciente approssimazione in un arco di tempo che va
dal 1979 al 1981, in base alle risultanze desumibili dalla corrispondenza intercorsa tra Gelli e i capigruppo della loggia, da cui emerge che intorno al 1979 vi fu una generale revisione degli elenchi degli iscritti, una
ripartizione degli efettivi tra i capigruppo e quindi l’aggiornamento e la
riscrittura degli elenchi medesimi, oltre che dagli esiti della perizia tecnica disposta dalla Commissione sul nastro della macchina da scrivere
della segretaria di Gelli.
L’autenticità dell’elenco è comprovata dal riscontro con altri analoghi
documenti ad esso anteriori. In particolare la lista con 511 nominativi
di cui si compone l’elenco degli iscritti alla disciolta Loggia P2 consegnato al giudice Vigna di Firenze da Gelli e Lino Salvini separatamente
e con il libro matricola, che consta di 573 efettivi, sequestrato dalla
Commissione presso la comunione di piazza del Gesù, che porta la composizione della Loggia P2 durante l’arco di tempo che corre dall’anno
1952 ino al 1970. Altro dato da sottolineare è quello relativo a 310
nominativi che sono altresì presenti nel libro matricola e negli elenchi
consegnati ai giudici Vigna e Pappalardo, che viene così a sufragare il
rilevante argomento della stratiicazione dei documenti anagraici della
loggia, che corrisponde fedelmente alla sua accertata operatività lungo un arco di tempo più che decennale. Le indagini della Commissione Anselmi e i successivi processi portarono a scoprire che alcune delle
persone, i cui nomi comparivano sulla lista, erano tuttavia iscritti alla
Loggia P2 da prima della gestione Gelli, e che molte delle persone che
vi comparivano negarono la loro partecipazione alla loggia massonica
o sostennero di essere stati iscritti da conoscenti a loro insaputa. Que-
28
Dalla P2 alla P4
sti elenchi rappresentano un secondo elemento di indubbio signiicato
perché dimostrano che la lista di Castiglion Fibocchi non costituisce un
unicum, ma si pone invece come il prodotto ultimativo di una stratiicazione di documenti la cui redazione si è protratta lungo un arco di tempo più che decennale: considerazione che indebolisce signiicativamente l’ipotesi di una artata prefabbricazione delle liste o della loro natura
di documento informale.
Nelle carte sequestrate nella residenza di Licio Gelli, oltre all’elenco
«uiciale» con i nomi degli ailiati alla Loggia, pubblicato nel libro primo, tomo primo (pagine 803-874 e 885-942), si scopre anche un secondo tabulato, contenente la vera lista, quella operativa, costituita da 994
nomi, e pubblicata come «reperto 2/B» nel libro primo, tomo secondo
(pagine 213 e seguenti e 1126 e seguenti) degli atti della Commissione
bicamerale d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi. Di questi nomi, 464
sono in comune, sia alla lista «uiciale», che al tabulato, e sono i nomi
delle persone più «operative». Tuttavia, secondo la Commissione Anselmi «gli elenchi sequestrati non costituivano l’unico documento anagraico in uso presso la segreteria di Gelli, ponendosi piuttosto come una
copia od un estratto del documento di segreteria per il quale vi era correntezza di uso da parte del personale addetto». Come ha evidenziato la
Commissione parlamentare d’indagine «esistono non pochi elementi o
indizi di prova che militano a favore della ipotesi di un’incompletezza
delle liste che, pertanto, non comprenderebbero nomi di altre persone,
oltre quelle elencate, pur ugualmente ailiate alla Loggia».
I fratelli coperti iniziati «sul ilo della spada» non venivano inseriti
nei registri ordinari degli ailiati (chi conosce le obbedienze regolari,
sa bene che anche oggi, sebbene a seguito delle vicende legate alla P2
vi sia l’obbligo di rendere pubblici gli elenchi degli aderenti alle associazioni, e di metterli a disposizione dell’Autorità giudiziaria, non tutti gli
iscritti vi igurano) si può comunque identiicare un primo consistente
gruppo di iscritti (175) alla loggia per i quali l’iscrizione alla massoneria
è confermata, al di là delle dichiarazioni degli interessati. Per i restanti
nominativi non è stato possibile stabilire se l’ailiazione alla Loggia P2
avvenne direttamente presso Gelli, con eventuale successiva trasmissione dei dati al Grande Oriente, o in alternativa si trattò di ailiazioni alla
comunione trasmesse poi alla Loggia P2.
La Commissione ritenne che la P2 fosse strutturata come due piramidi
sovrapposte, con i 972 nomi della lista appartenenti alla piramide in basso, Gelli come punto di congiunzione tra le due piramidi e una piramide
superiore composta da nomi che iguravano su un’altra lista composta da
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
29
personaggi che trasmettevano gli ordini alla piramide inferiore. A detta
di alcuni, questa lista, nella quale igurerebbero i presunti appartenenti
a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l’anello di congiunzione
con la loggia, sarebbe stata portata da Gelli a Montevideo. Secondo il
procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2.000, e in un’intervista a Gelli pubblicata dal
settimanale L’Espresso del 10 luglio 1976, questi afermò che gli iscritti
alla Loggia P2 erano allora 2.400, comprendendo nel conteggio anche gli
stranieri (il Venerabile ha dichiarato successivamente che nella perquisizione di Villa Wanda sfuggirono gli elenchi, quelli veri, e altri 20 pacchi
di documenti top secret: un archivio portato in Uruguay e poi distrutto a
Caracas). La stessa Commissione d’inchiesta parlamentare avanzò l’ipotesi che la lista degli aderenti non fosse completa («un brogliaccio incompleto» le ha deinite Gelli nella sua autobiograia pubblicata da Alberti
nel 2003), e che molti altri importanti personaggi siano riusciti a non
restare coinvolti nelle indagini, grazie anche alla «scrematura» efettuata
da alcuni membri dei servizi segreti prima della consegna.
Secondo la relazione inale della Commissione, le liste sequestrate
a Castiglion Fibocchi sono da considerare «autentiche in quanto documento rappresentativo dell’organizzazione massonica denominata Loggia P2 considerata nel suo aspetto soggettivo, e attendibili in quanto
sotto il proilo dei contenuti, è dato rinvenire numerosi e concordanti
riscontri relativi ai dati contenuti nel reperto».
Nella P2 − che il Maestro Venerabile Licio Gelli chiamava «l’Istituzione» − c’erano 208 militari (12 generali dei Carabinieri, 5 della Guardia
di Finanza, 22 dell’Esercito, 4 dell’Aeronautica militare e 8 ammiragli),
tra i quali 195 uiciali (52 dei Carabinieri, 9 dell’Aeronautica, 29 della
Marina, 50 dell’Esercito, 37 della Guardia di Finanza e 6 della Polizia).
Dei 56 uiciali dei Carabinieri, in servizio o a riposo, che igurano negli
elenchi, 12 ricoprono il grado di generale ed 8 quello di colonnello; così
ancora troviamo 8 ammiragli, 22 generali dell’Esercito, 5 generali della
Guardia di Finanza nonché 4 generali dell’Aeronautica. Il dato totale, di
per sé eloquente, ci dice che su 195 esponenti del mondo militare, ben
92 ricoprono il grado di generale o colonnello. Impressionante le funzioni assegnate a molti degli uiciali che igurano nella lista, tra i quali i
direttori e molti funzionari dei vari servizi segreti: l’ammiraglio Torrisi
(capo di Stato Maggiore della Marina negli anni 1977-1980 e poi della
Difesa negli anni 1980-1981), il generale Grassini (direttore del Sisde
dal novembre 1977 al luglio 1981), il generale Santovito (direttore del
Sismi dal gennaio 1978 all’agosto 1981), il generale Picchiotti (viceco-
30
Dalla P2 alla P4
mandante generale dell’Arma dei carabinieri negli anni 1974-1975 e in
precedenza comandante la divisione carabinieri di Roma), il generale
Palumbo (comandante la divisione carabinieri «Pastrengo» di Milano e
poi anch’egli vicecomandante generale dell’Arma), il generale Miceli (direttore del Sid dal 1970 al 1974, implicato nel golpe Borghese e nell’organizzazione Rosa dei venti), il generale Musumeci (segretario generale
del Sismi con il generale Santovito, condannato per calunnia aggravata nell’inchiesta della strage di Bologna), i generali Giudice e Giannini
(comandanti generali della Guardia di Finanza, rispettivamente negli
anni 1974-78 e negli anni 1980-1981). Alcuni, come l’allora tenente colonnello Sergio Acciai (n. 113), promosso poi al grado di generale delle
Fiamme Gialle, faranno carriera successivamente.
Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi, (fra
i quali Vito Miceli a capo del Sios e successivamente direttore del Sid,
Giuseppe Santovito del Sismi, Walter Pelosi del Cesis e Giulio Grassini
del Sisde) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare
il colonnello Minerva (gestore, fra l’altro, dell’intricato caso dell’aereo
militare Argo 16, e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell’intero Servizio militare del dopoguerra), il generale Giovanni
Allavena e il generale Gian Adelio Maletti. Allavena, già stretto collaboratore del generale Giovanni De Lorenzo, fu comandante dell’uicio D
(informazioni) e del Ccs (controspionaggio), e poi ultimo capo del Sifar
dall’ottobre ‘62 ino al giugno ‘65. Coinvolto nel tentato golpe del ‘64 (il
«piano Solo» orchestrato dall’allora Presidente della Repubblica Antonio
Segni con il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri De Lorenzo), consegnò nel ‘67 i fascicoli del servizio a Gelli. Da un’informazione
ottenuta dal giudice Felice Casson nel ‘95, Allavena risulterebbe in un
elenco di 12 agenti italiani della Cia. Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (ex uiciale del Sid, condannato per i depistaggi sulla
strage di piazza Fontana, n. 502) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda, e per questo processato e condannato per
favoreggiamento, si è trasferito successivamente in Sudafrica, dove ha
preso la cittadinanza e vive tutt’ora.
Molti degli uiciali iscritti alla P2 (oltre ai già citati, il generale
dell’Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero, il colonnello Giuseppe Lo Vecchio, e altri) furono implicati in trame eversive come la Rosa
dei venti, il golpe Borghese (1970), il «piano Solo» (1964) o il «golpe
bianco» di Sogno (1974), tentativi insurrezionali di rovesciare le istituzioni democratiche.
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
31
All’epoca della pubblicazione delle liste rinvenute a Castiglion Fibocchi, la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa, il
carabiniere che sconisse le Br, sebbene risultasse solo un modulo di
iscrizione irmato di suo pugno e nessuna prova di un’adesione attiva («Anch’io, come altri, sono stato costretto a iscrivermi alla P2, per
non essere escluso da ogni possibilità di carriera», spiegò il generale).
Sull’ipotesi che il generale volesse iniltrarsi nella loggia, come sostengono familiari ed estimatori, nelle sue memorie Gelli ha ricordato: «Non
posso escludere che volesse farlo… Ma a onore del vero va detto che non
fu lui a cercare noi, per sollecitare il suo ingresso, ma fummo noi ad avvicinarlo». E sulla pagina degli elenchi con il nome di Dalla Chiesa che,
secondo Francesco Cossiga, venne strappata: «Non è vero niente. C’era
la pagina e c’era pure il numero di tessera vicino al nome. Nel brogliaccio
si diceva che la domanda era in sospeso, perché quello avevo appuntato
inizialmente su quelle carte. Ma Dalla Chiesa è entrato nella loggia a
tutti gli efetti. E non poteva essere altrimenti. Visto il suo rango non
avrebbe avuto senso lasciarlo fuori due anni in attesa che venissero assunte informazioni sul suo conto. Di quali informazioni potevamo avere bisogno su un uomo come lui?» In un’intervista rilasciata successivamente a Rita Pennarola nel giugno 2009, e pubblicata su La Voce della
Campania, ha aggiunto: «Lui era iscritto alla P2 così come suo fratello
Romolo, altro generale dei Carabinieri morto proprio nelle ultime settimane. Ma l’uno non sapeva dell’altro. Era la nostra regola».
I politici ailiati alla P2 erano 67 (44 parlamentari, 3 ministri in carica
e un segretario di partito, il socialdemocratico Pietro Longo), 18 imprenditori (dall’erede del pastiicio ligure Giacomo Agnesi, ceduto nel 1999 al
Gruppo Colussi di Perugia, a Mario Lebole, titolare dell’omonimo gruppo
per il quale lavorava Gelli), 4 editori (tra i quali Franco Angeli, n. 153), 10
dirigenti Rai (tra i quali il deputato socialista − e futuro presidente della
tv di Stato − Enrico Manca, n. 864) e 27 giornalisti, ma anche personaggi
legati al mondo dello spettacolo ed imprenditori come Silvio Berlusconi
(a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima
della scoperta della lista), Roberto Gervaso e i cantanti Claudio Villa e
Gino Latilla, in compagnia dei banchieri Michele Sindona e Roberto Calvi, del inanziere Umberto Ortolani ed il presidente dell’Eni Leonardo Di
Donna, oltre a personaggi come l’ex ministro democristiano della Sanità
Duilio Poggiolini e il professor Fabrizio Tifone Trecca.
La Commissione Anselmi ha evidenziato anche «una presenza penetrante e capillare di uomini della Loggia P2 in praticamente tutti i
32
Dalla P2 alla P4
settori della pubblica amministrazione, diretta ed indiretta, compresi
gli enti a partecipazione statale», contando 422 efettivi, divisi nelle varie amministrazioni e situati ai diversi livelli gerarchici. Considerando
i ministeri, si rileva che quello dell’Interno ha un organico di 19 iscritti tra i quali 4 questori (Palermo, Cagliari, Salerno, Treviso), 3 prefetti
(Brescia, Pavia, Commissario governativo per la regione veneta), 3 vice
questori (Trapani, Genova, Arezzo), un ispettore di Pubblica Sicurezza
(per il Piemonte e la Valle d’Aosta), un direttore dei servizi di polizia di
frontiera, un direttore della squadra mobile di Palermo, 3 commissari di
Pubblica Sicurezza (Roma, Arezzo, Montevarchi).
Per il Ministero degli Afari esteri si contano quattro ailiati di cui
un ambasciatore a capo della segreteria generale e un direttore della
ragioneria centrale; per il Ministero dei Lavori pubblici e per quello
della Pubblica istruzione, rispettivamente, 4 e 34 elementi; per il Ministero delle Partecipazioni statali ventuno iscritti così divisi: 17 dipendenti Iri e 4 dipendenti Eni; il Ministero del Tesoro, ivi comprese
le banche, può contare un organico di 67 unità; del Ministero della
Sanità si rinvengono 3 iscritti, tra cui i primi dirigenti della divisione
I (afari generali) e della divisione VI (professioni sanitarie); per il Ministero dell’Industria e commercio risultano ailiati 13 elementi, di
cui il vice presidente del Cnr, un direttore generale, l’amministratore
delegato dell’Ina e il primo dirigente del ruolo di personale dell’energia nucleare Nato a Bruxelles; nel Ministero delle Finanze si contano 52 ailiati, mentre per quello di Grazia e giustizia ve ne sono 21
(compresi 18 magistrati, riguardo ai quali la Commissione Amselmi
ha stabilito «signiicative adesioni a livello di presidenti di tribunali»,
tra i quali l’ex procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino,
Carlo Martino, e Giuseppe Renato Croce, attuale gip della Procura di
Roma). Seguono poi i ministeri con scarsa rappresentatività di iscritti
tra i loro dipendenti, quali quello dell’Agricoltura con uno, quello dei
Trasporti con due, quello del Lavoro con uno, quello del Commercio
con l’estero con due (tra cui il direttore della Sace), quello dei Beni
culturali con quattro, quello per il coordinamento della Ricerca scientiica e tecnologica con tre (tra cui il direttore del Cnr), quello per gli
Interventi straordinari nel Mezzogiorno con uno, quello della Marina
mercantile con due, quello per gli Afari regionali con uno. Con riferimento agli altri enti o istituti diversi dai ministeri, l’Inps conta tre
iscritti, come pure la Corte dei conti, mentre l’Avvocatura generale
dello Stato e il Consiglio di Stato vantano un iscritto ciascuno. Tre gli
ailiati della Presidenza della Repubblica.
La P2 di Gelli e il mistero delle liste
33
Poco dopo l’insediamento della Commissione parlamentare d’Inchiesta sulla P2, istituita con la Legge n. 527 del 23 settembre 1981, il 25
gennaio dell’anno seguente il Parlamento varò la normativa speciale
sulle associazioni segrete, con la quale venne disposto lo scioglimento
e la conisca dei beni della Loggia P2 da parte del Ministro dell’Interno.
La legge, ai sensi dell’art. 18 della Costituzione, qualiica come associazioni segrete quelle «che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente inalità
e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed
anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire
sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche
economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale».
Di conseguenza, i promotori o i dirigenti di un’associazione segreta, o
chi svolge attività di proselitismo a favore della stessa, è punito con la
reclusione da uno a cinque anni e con l’interdizione dai pubblici uici
per cinque anni. Chiunque partecipa ad un’associazione segreta è invece
punito con la reclusione ino a due anni, oltre all’interdizione per un
anno dai pubblici uici. La legge sulle associazioni segrete prevede anche che la loro attività possa essere cautelativamente sospesa in base ad
un’ordinanza del giudice, su richiesta del procuratore della Repubblica o
su istanza del Governo, che deve riferire immediatamente alle Camere.
Alla luce dell’elevato numero di dirigenti statali e di militari − in particolare dei servizi − presenti nelle liste della P2, la normativa sulle associazioni segrete ha previsto la sospensione dei dipendenti pubblici, civili
e militari, per i quali risulti, sulla base di concreti elementi, il fondato
sospetto di appartenenza, prevedendo sanzioni disciplinari da erogarsi
da un’apposita commissione nominata dal Presidente del Consiglio dei
Ministri. Le disposizioni si applicano anche ai dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica,
ed ai dipendenti di enti e società concessionari di pubblici servizi, riconosciuti responsabili di appartenere ad associazioni segrete. I componenti degli organi di amministrazione e di controllo degli enti pubblici,
compresi quelli che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica, degli enti e delle società concessionari di pubblici servizi,
nonché delle società per azioni di interesse nazionale, dei quali risulti
accertata l’appartenenza ad associazioni segrete, possono essere revocati dagli organi competenti alla nomina. La revoca disposta ai sensi del
presente comma si considera determinata da giusta causa.
34
Io non devo niente a nessuno ma tutti quelli
che ho incontrato devono qualcosa a me.
In quegli anni tutti chiedevano.
Licio Gelli
La superloggia internazionale di Montecarlo e il Comitato esecutivo
massonico
È probabile che i 1.400 nominativi che non sono stati rinvenuti negli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi fossero la base per la costituzione della cosiddetta «Loggia di Montecarlo», della cui esistenza la
Commissione Anselmi ha rinvenuto «pochi ma inequivocabili elementi
documentali». È agli atti della Commissione un modulo di iscrizione (le
indicazioni sono in tre lingue e cioè nell’ordine: inglese, francese ed italiano), per un Comitato esecutivo massonico («Masonic Executive Committee») che aveva sede nel Principato di Monaco, e che dal contestuale
riepilogo delle inalità associative risulta porsi come una sorta di organizzazione di livello superiore rispetto alle tradizionali strutture massoniche. La inalità reale dell’organismo traspare dal documento, pur condito dagli abituali generici richiami a superiori motivazioni, nel quale è
dato leggere: «…scopo è quello di realizzare…una forza di governo universale…» ed ancora: «…La Massoneria è l’organismo più qualiicato a
governare, perciò se non governa manca alla sua vera ragion d’essere…».
Il Masonic Executive Committee venne fondato tra la primavera del
1975 e il 1976 da Gelli, dal tesoriere della P2 Ezio Giunchiglia (capo
gruppo 11, fasc. 639), molto vicino agli ambienti vaticani − che fungeva
da segretario, e che ne sarebbe l’attuale capo − e dall’agente della Cia
William Rosati (capo gruppo 15). Si trattava, a tutti gli efetti, di un comitato d’afari internazionale, istituito con lo scopo di gestire le operazioni efettuate con l’appoggio del Vaticano della massoneria francese di
destra e di quella italiana legata alla P2 e alla rete di Gladio. Un rapporto
del Sisde (il servizio segreto civile) del 1982 informa che ai vertici della
Loggia di Montecarlo, insieme a Gelli, vi era il ragionier Enrico Frittoli,
titolare di una società di import-export con sede nel Principato e «uomo
di iducia del traicante internazionale d’armi Samuel Cummings, pre-
La superloggia internazionale di Montecarlo e il Comitato esecutivo massonico
35
sidente della Inter Arms di Londra». Nel Principato di Monaco tesse una
itta rete di afari anche Marta Gelli, moglie di Rafaello, uno dei igli
del Venerabile, presente nel consorzio Segetra, costituito da Daniel Ducruet – all’epoca marito della principessa Stephanie di Monaco – che,
secondo una nota riservata della Procura di Asti, sarebbe stato dedito al
riciclaggio di capitali della maia russa.
La Loggia P2 e il suo Venerabile godevano di un prestigio internazionale nell’ambiente massonico, con un’attività ampiamente proiettata
fuori dell’Italia, attraverso una itta rete di contatti, anche esterni alla
massoneria, tutti di alto livello per il rango delle personalità con le quali
Gelli intratteneva rapporti.
Schede di iscrizione già compilate e corrispondenza agli atti della
Commissione Anselmi dimostrano che il Comitato di Montecarlo ebbe
pratica attuazione, superando la fase progettuale, ponendosi «certamente come un momento qualiicante dell’operazione piduista». Licio Gelli pose mano alla fondazione della Loggia di Montecarlo, alla ine degli
anni Settanta, proprio nel momento contrassegnato da un inizio di incrinamento del suo potere. In questa prospettiva, l’iniziativa di creare
una organizzazione posta a ridosso dei conini nazionali, ma al di fuori
della portata delle autorità italiane, potrebbe inserirsi come elemento di
arricchimento e conferma al quadro delineato. La Loggia di Montecarlo,
infatti, altro non sarebbe se non il vertice occulto della P2, di cui sarebbe la promanazione internazionale, a cui farebbero riferimento i 1.400
nominativi degli ailiati che non sono mai stati rinvenuti. Nel 1987 la
segretaria di Gelli, Nara Lazzerini (ex idanzata del tenente colonnello
piduista Vito Alecci, morto suicida in circostanze misteriose nel catanese
il 3 marzo 1985, che lei asserì trattarsi di omicidio), testimoniando ai
giudici che indagano sulla strage di Bologna di sette anni prima, dichiarò: «Licio mi disse che della loggia facevano parte anche Vittorio Emanuele di Savoia e il principe Ranieri», riferendosi agli iscritti monegaschi.
L’erede al trono dei Savoia era iscritto anche alla P2 (n. 516), e riceveva
frequentemente sull’isola di Cavallo la visita di Silvio Berlusconi, al quale
presentò l’architetto Silvano Larini, collettore ino al 1992 delle tangenti
del Partito socialista italiano, e proprietario di un’abitazione sull’isoletta
francese, il quale a sua volta gli presentò Bettino Craxi.
L’ambito di interessi di Licio Gelli appare in questo panorama rivolto
eminentemente ai paesi d’oltre Atlantico. Sicure e documentate sono le
relazioni di Gelli con i paesi del Sudamerica ed in particolare l’Argentina
(di cui il Venerabile era anche consigliere economico presso l’ambasciata
a Roma), paese nel quale egli era in relazione con l’ammiraglio Massera,
36
Dalla P2 alla P4
ma soprattutto con Peròn e il suo entourage, nel quale grande rilievo
aveva Lopez Rega, capo dell’Alianza anticomunista argentina, interessato anch’egli alla iniziativa dell’Onpam, della quale è stata rinvenuta
la tessera intestata a Roberto Calvi, rilasciata nel 1975 e sottoscritta da
Licio Gelli in qualità di segretario. Si ha inoltre notizia che all’ex Gran
Maestro Giordano Gamberini era stato aidato il compito di tenere i
contatti tra l’organizzazione ed il Grande Oriente. Risulta che di questa
organizzazione esiste ampia documentazione nel materiale sequestrato
presso la villa uruguaiana di Licio Gelli e certo la sua conoscenza aprirebbe squarci di notevole interesse su tutta la vicenda della Loggia P2,
la cui dimensione internazionale, una volta conosciuta in modo meno
sommario, consentirebbe una valutazione più completa del valore politico di questa organizzazione.
Nel 1999 la Loggia di Montecarlo costituisce un’organizzazione, ailiata agli Illuminati, denominata «Unità Universale», aperta anche alla
partecipazione delle donne, conosciuta anche come «Ordo Illuminatorum Universalis» o «Ordine universale», con sede nel Principato presso
l’abitazione di Ezio Giunchiglia, e sede amministrativa in Italia, a Sanremo, a casa di Francesco Murgia, giudice della Corte centrale del Goi
all’epoca del processo massonico alla P2. Questa nuova organizzazione
è strutturata in logge che assumono una denominazione astrologica
collegata con la città nella quale sono basate. La Loggia degli Illuminati di Monaco è strutturata su tre livelli: il vertice è costituito dall’élite
esoterica dell’Ordo Illuminatorum Universalis, che controlla il Masonic
Executive Committee, che a sua volta controlla la mai disciolta Loggia
P2 e la Loggia Unità Universale.
Secondo quanto riportato sul blog WordPress da Leo Zagami, un ex
ailiato del Comitato esecutivo massonico, nel piedilista della Loggia di
Montecarlo igurerebbero i nomi degli ex piduisti Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo e Giorgio Hugo Balestrieri (n. 907), membro della Gran
Loggia di New York, esperto di antiterrorismo, ex componente di Gladio
(l’organizzazione segreta della Nato «Stay Behind»), già comandante della Marina militare italiana, presidente del Rotary Club delle dell’Onu (del
quale il iglio del Venerabile, Rafaello Gelli, e la moglie Marta sono stati
membri della commissione per i diritti umani ino al 2001) e di quello
New York. L’elenco dei nomi illustri sarebbe completato dallo scomparso
arcivescovo dello Ior, Paul Marcinkus, dal Gran Maestro della Gran Loggia Unita Tradizionale Luigi Piazza, dal Gran Maestro del Grande Oriente Universale Mauro Lazzeri, dal Gran Maestro aggiunto della Gran Loggia d’Italia (Palazzo Vitelleschi, la seconda maggior obbedienza italiana
La superloggia internazionale di Montecarlo e il Comitato esecutivo massonico
37
dopo il Goi, l’unica ad accogliere tra le colonne del proprio tempio anche
«l’altra metà del cielo», ovvero le donne) Giorgio Santoro, dal Gran Maestro della Gran Loggia scozzese indipendente d’Italia Francesco Toti,
da Vittorio Vanni, potente esponente del Grande Oriente d’Italia, dal
Gran Maestro dell’Antico e primitivo Rito di Memphis e Mizraim, Roberto Negrini, dal Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia nazionale degli antichi liberi e accettati muratori, Tiberio Terzuoli, dal Gran
Maestro della Gran Loggia massonica italiana Giuseppe Sabato, e da
molti altri esponenti della massoneria italiana, tra i quali Alberto Moscato, Gran Maestro dell’«Ordo Templi Orientis Caliphate», morto in
circostanze misteriose, oltre a personaggi come il duca d’Otranto e di
Lipari don Francesco Maria Mariano, presidente del consiglio araldico
italiano, anch’egli legato al Vaticano, e Carlo Maria Baserga, coinvolto nel
giugno 2007 nell’inchiesta sulle logge «coperte» del pm di Potenza Herny
John Woodcock, sull’ipotesi di tentativi di iniltrazione nella pubblica
amministrazione e nell’arma dei Carabinieri per gestire potere e soldi.
Secondo la Procura della Repubblica di Potenza gli indagati − tra i nomi
che vengono fatti nei verbali dell’indagine sono presenti anche alcune
persone che appartenevano alla P2 − sarebbero responsabili per concorso formale, associazione a delinquere e violazione della legge sulle associazioni segrete del 1982 (legge «Anselmi») per «essersi associati tra di
loro allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro
la pubblica amministrazione, promuovendo associazioni segrete vietate dall’articolo 18 della Costituzione e pianiicando interventi diretti ad
accaparrarsi appalti, concessioni e risorse pubbliche, sfruttando i legami
scaturiti da rapporti di natura massonica».
Tra i nominativi degli iscritti al Comitato esecutivo massonico, sempre
secondo Zagami, risulterebbero esserci anche Gaetano Saya, fondatore
del Dssa, il Dipartimento di studi strategici antiterrorismo, per il quale
la Digos il 1° luglio 2005 lo ha posto agli arresti domiciliari nella sua
abitazione di Firenze su mandato della Procura di Genova, con l’accusa
di aver fondato una polizia parallela di mercenari autodeinitasi «Nuova
Gladio», attiva anche in Iraq (l’indagine è nata dalle intercettazioni condotte per far luce sulla morte del contractor Fabrizio Quattrocchi). Saya,
nel 2006, aveva raggiunto un accordo con Berlusconi, allora presidente
del Consiglio uscente, per apparentare la propria lista Destra nazionale
– Nuovo Msi alla coalizione di centrodestra guidata dal Cavaliere, ma
alcune rivelazioni, apparse sulla stampa, sulle sue attività, impedirono
il perfezionamento dell’intesa. Saya sarebbe stato ailiato nel 1995 alla
loggia massonica esclusiva «Divulgazione 1» dall’ex direttore del Sismi, il
38
Dalla P2 alla P4
generale piduista Giuseppe Santovito, divenendone in seguito Maestro
Venerabile. Oltre a Saya, farebbe parte del Comitato massonico con sede
a Montecarlo anche Riccardo Sindoca, posto agli arresti domiciliari a Pavia con la stessa accusa relativa alle attività del Dssa. Entrambi erano già
stati arrestati nel 2004, e rinviati a giudizio nel novembre dello stesso
anno dal pm milanese Stefano Civardi, per la propaganda di idee fondate sulla superiorità e l’odio razziale, difuse attraverso il sito internet
destranazionale.org. A giugno 2009 il sostituto procuratore Francesca
Nanni ha chiesto il rinvio a giudizio di tutti i 21 componenti del Dssa
(commissari e assistenti di polizia, marescialli in servizio o in quiescenza
come Giovanni Vergottini − amico di Marco Mancini, ex numero due del
Sismi -, guardie giurate, agenti della Polizia penitenziaria, vigili urbani)
con l’accusa di associazione a delinquere inalizzata all’usurpazione di
titolo oltre, in vari casi, l’illecito uso d’informazioni riservate tratte dalle
banche dati del Ministero dell’Interno. Tra gli imputati anche Elio Colini,
un superteste che si rivelò poi inattendibile per la strage di Bologna, lo
stesso che raccontò d’un piano per uccidere Silvio Berlusconi. Il Dssa,
secondo gli investigatori, cercava inanziamenti ovunque (ci erano quasi riusciti con l’Ue e il Vaticano) e intendeva «controllare l’accesso dei
terroristi alle risorse inanziarie». I suoi membri hanno così efettuato
sopralluoghi, accertamenti e pedinamenti illegali, e soprattutto hanno
difuso informazioni allarmistiche alla stampa, paventando fra il 2003 e
il 2004 un attentato imminente all’aeroporto di Linate o «in una discoteca nel biellese». Oltre a Saya e Sindoca, gli inquirenti individuano quale
«mente» del gruppo Gilberto Di Benedetto, psicologo e isioterapista di
Roma, accusato «di essersi impegnato a organizzare il Dipartimento e ad
accreditarlo presso istituzioni nazionali, sovranazionali ed estere (quali
appunto l’Unione europea, la Nato, la Cia, lo Stato di Israele, lo Stato
Pontiicio) al ine di ottenere sovvenzioni economiche ovvero incarichi
di protezione di soggetti a rischio anche all’estero».
Tra i francesi che Zagami asserisce far parte della «cupola» massonica internazionale con base nel Principato di Monaco, igurerebbero
anche Jean-Pierre Giudicelli, dell’Antico e primitivo Rito di Memphis
e Mizraim, il responsabile dei servizi segreti d’oltralpe a Nizza, Marcel
Chirlou, capo del Cavalieri templari del Sud della Francia, il rappresentante europeo dello Shrine, Julian F. Smith, e Rui Alexander Gabirro,
pseudonimo di Mangovo Ngoy, ex Gran segretario della Gran Loggia
Regolare d’Inghilterra, oltre al responsabile dell’Ordine di San Maurizio
e Lazzaro a Nizza, Philippe Emmanuel Court de Fontmichel, vicino ai
Savoia e al leader dell’Unione monarchica italiana Gian Nicola Amoretti.
La superloggia internazionale di Montecarlo e il Comitato esecutivo massonico
39
La sezione femminile dell’Unità Universale sarebbe poi in mano a Gisella Treves, co-fondatrice della loggia con Giunchiglia e Murgia.
Tra gli ailiati alla Loggia di Montecarlo igurava anche il principe
Giovanni Alliata di Montereale, ex piduista (n. 361) passato poi al Grande Oriente d’Italia. Nato a Rio de Janeiro nel 1921, Alliata percorre tutti
i gradi della massoneria, ino a diventare Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia nazionale degli antichi liberi e accettati muratori.
Fondatore dell’Associazione Nobili del Sacro Romano Impero, deputato
del partito monarchico dalla prima legislatura repubblicana del ’48, sostenitore del Fronte nazionale monarchico e del separatismo siciliano,
fu indicato da Gaspare Pisciotta come uno dei mandanti della strage
di Portella della Ginestra attuata da Salvatore Giuliano. Alliata si diede
latitante nel 1970 per sottrarsi all’inchiesta sul fallito golpe del principe
Junio Valerio Borghese, accusa dalla quale venne in seguito prosciolto,
e fu coinvolto nell’inchiesta sul gruppo di destra la Rosa dei venti, come
molti altri piduisti. Rientrato in Italia, muore a Roma il 20 giugno 1994
mentre è agli arresti domiciliari.
Tra i nobili ailiati alla superloggia igurerebbero anche il conte Fernando Campello Pinto Pereira de Sousa Fontes, principe reggente e 50°
Gran Maestro Supremo dell’Ordine militare del tempio di Gerusalemme
(un gruppo neotemplare che si deinisce una società cavalleresca cristiana ecumenica, e che si richiama alla tradizione spirituale cavalleresca e
cristiana dell’antico Ordine dei Templari), sua Altezza Serenissima Alberto II di Monaco, il principe di Napoli Vittorio Emanuele di Savoia (ex
pidiusta e Gran Maestro dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro), l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger, e Michael Arthur Ledeen, uomo
della Cia legato alla P2 e al Sismi.
Purtroppo, all’epoca delle indagini sulla Loggia di Gelli, la Commissione Anselmi non rinvenne che poche ma inconfutabili tracce
dell’espansione internazionale della P2, della quale la Loggia di Montecarlo costituiva sicuramente la punta di diamante, con personalità
di spicco dell’ambiente massonico, ma anche della politica, del mondo
della inanza e dell’imprenditoria. A distanza di anni, e alla luce di quanto riportato, appare evidente che la P2 sia sopravvissuta allo scandalo
scoppiato in Italia, e che abbia continuato ad operare con una struttura
con base nel Principato di Monaco, fuori dalla giurisdizione della magistratura del nostro Paese, sebbene eserciti la sua sfera di inluenza
principalmente nella Penisola.
40
Io non ho mai fatto parte della P2. E comunque,
stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica,
essere piduista non è un titolo di demerito.
Silvio Berlusconi
Il Grande fratello Silvio B.
Negli elenchi rinvenuti a Villa Wanda c’era anche Silvio Berlusconi
(tessera n. 1816, codice E. 19.78, gruppo 17, fascicolo 0625), che ha
sempre negato di aver partecipato alle attività della loggia segreta, nonostante la Commissione parlamentare sulla P2 abbia giudicato le liste,
nelle quali compariva anche il suo nominativo, «autentiche e attendibili». Berlusconi ha sostenuto di essersi iscritto in un periodo di poco
anteriore alla scandalo (1981), solo per dare una mano a Roberto Gervaso, amico in diicoltà. Per sostenere la sua tesi, il 27 settembre 1988
ha dichiarato davanti al pretore di Verona, Gabriele Nigro, di non aver
mai versato le «capitazioni» (la quota associativa), ma la Guardia di Finanza ha sottolineato la piena corrispondenza tra la quota di 100 mila
lire indicata negli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi, e il relativo versamento sul conto «Primavera» di Gelli presso la Banca popolare
dell’Etruria. Lo prova la ricevuta n. 104 del 26 gennaio 1978, rilasciata dal tesoriere e dal segretario amministrativo della P2. Berlusconi ha
anche testimoniato di non aver partecipato alla propria cerimonia di
iniziazione, e di non aver partecipato ad alcuna riunione, nè di aver intrattenuto rapporti con altri ailiati. Eppure, nell’archivio uruguaiano
del Venerabile, un documento con la dicitura «Juramento irmado» prova il contrario.
Quello del Cavaliere è uno dei 276 nominativi per cui esiste il triplice riscontro del rilascio della ricevuta, della notazione nel registro
di contabilità e del versamento, alla stessa data o il giorno successivo,
degli importi relativi sull’apposito conto bancario. Secondo la Commissione Anselmi «Il valore di questo dato deve essere posto in adeguata
evidenza, poiché, se pur esso non si riferisce a tutti i nominativi compresi nell’elenco generale, per quasi un terzo di essi possiamo afermare
che esiste una prova documentale inconfutabile sulla loro iscrizione alla
Il Grande fratello Silvio B.
41
loggia, sufragata paradossalmente dalle versioni fantasiose e palesemente non credibili che gli interessati hanno fornito alla Commissione
in sede di audizione a giustiicazione di tali versamenti».
Berlusconi fa parte di quei 235 ailiati (su 671) che al magistrato
hanno negato di appartenere alla Loggia P2. Tuttavia, la Commissione
era venuta «in possesso di prove documentali (ad esempio, irme su assegni) che inducono a ritenere questa dichiarazione non vera per 116
delle situazioni indicate», come nel caso del Cavaliere.
Durante le audizioni, la Commissione ha riscontrato «atteggiamenti negatori che contestavano emergenze istruttorie sufragate prima
ancora che da innegabili riscontri documentali, dalla logica stessa dei
fatti» ed ha potuto constatare che «tale atteggiamento accomunava,
con sorprendente identità di tecniche e di forme, uomini che avrebbero
dovuto apparire del tutto diversi tra loro per rango occupato nella società», che si ponevano di fronte alla Commissione stessa in posizioni
di «palese reticenza». In poche parole, bugiardi che negavano perino
l’evidenza, sicuramente inadatti a sedere in Parlamento o a ricoprire incarichi di governo.
È stato lo stesso Gelli, anni dopo, a svelare i dettagli dell’iniziazione
del Cavaliere: «Berlusconi è stato normalmente iniziato a Roma. Credo
presentato dal professor Fabrizio Trecca. Assistevano il Gran Maestro
Giordano Gamberini, per il Grande Oriente d’Italia, e il direttore delle
Partecipazioni statali, Giovanni Fanelli». La cerimonia di iniziazione di
Berlusconi avvenne in efetti il 26 gennaio 1978, all’ultimo piano di un
lussuoso palazzo di via Condotti a Roma che ospitava il tempio massonico, anche se lo stesso Gelli nell’autobiograia Licio Gelli. Parola di Venerabile ne ha anticipato di poco la data: «Avvenne nel 1977, nella sede di
via Condotti. C’erano anche Roberto Gervaso e il medico Fabrizio Trecca, che era un po’ il capoila del raggruppamento riservato agli operatori
dei mass media. Lo stesso che riuniva tutti i giornalisti iscritti. Finita
l’iniziazione gli consegnammo i guanti, il grembiule e una tessera da
apprendista. Sbagliando: perché doveva essere da maestro. Berlusconi
ce la rimandò indietro e noi gliela cambiammo, allegando una lettera di
scuse». L’ex Venerabile ricorda ancora: «Era un personaggio interessante, per questo gli chiesi di entrare nella P2».
Dopo la pubblicazione del libro Berlusconi: inchiesta sul signor Tv (Editori Riuniti, allora casa editrice del Pci, oggi Kaos edizioni), il Cavaliere
aveva denunciato gli autori Giovanni Ivo Antonio Ruggeri e Mario Domenico Saulle, due giornalisti del gruppo editoriale Rusconi, il collega
de La Notte (sempre di proprietà della Rusconi) Pietro Giorgianni, Carlo
42
Dalla P2 alla P4
Verdelli, autore dell’articolo «Berlusconi falce e libello» pubblicato sul
settimanale Epoca del 26 marzo 1987, il direttore responsabile Alberto
Statera per omesso controllo, oltre agli articolisti de l’Unità che avevano
usato le notizie contenute nel volume.
Al Tribunale di Verona, sotto giuramento, il Cavaliere racconta falsità sulla sua iscrizione e partecipazione alla P2, e il pretore lo accusa di
falsa testimonianza ma, al termine del procedimento, il 22 luglio 1989
il magistrato veronese proscioglie Berlusconi in istruttoria «perché il
fatto non costituisce reato». Il sostituto procuratore generale Stefano
Dragone impugna però la sentenza, ed il caso inisce davanti alla Corte
d’appello di Venezia, che, con la sentenza n. 97 del 1° ottobre 1990, stabilisce che Berlusconi è colpevole del reato di falsa testimonianza, ma
dichiara il non doversi procedere per essere il reato estinto dall’amnistia
prevista dal DPR n. 75 del 12 aprile 1990, sopravvenuta nelle more del
procedimento.
Nella sua testimonianza del 27 settembre 1988 avanti al Tribunale
di Verona, Berlusconi aveva ammesso i suoi rapporti con Gelli, e la sua
iscrizione alla P2: «Sono stato presentato a Gelli da Roberto Gervaso,
allora ero imprenditore edile. Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo comunque che è di poco anteriore allo scandalo.
La mia iscrizione era collegata alla attività del consorzio per l’edilizia
industriale di cui ero presidente. Faccio presente che le mie aziende non
fanno parte di detto consorzio. Io peraltro successivamente a tale iscrizione mi sono disinteressato di altri tipi di rapporto, non ho mai pagato
una quota di iscrizione nè mai mi è stata richiesta, la mia può deinirsi
una adesione» (cfr. pagg. 10 e 11 del verbale d’udienza).
La Sezione prima istruttoria della Corte d’appello di Venezia, presieduta da Giovanni Battista Stigliano Messuti, ha ritenuto «che le
dichiarazioni dell’imputato non rispondano a verità». Secondo il collegio giudicante, infatti, le asserzioni del Cavaliere sono smentite dalle
risultanze della Commissione Anselmi, dalle stesse dichiarazioni rese
al giudice istruttore di Milano, e mai contestate, secondo le quali la sua
iscrizione alla P2 avvenne nei primi mesi del 1978, nonché dagli elenchi degli ailiati alla loggia e dall’annotazione del versamento di 100
mila lire eseguito in contanti il 5 maggio 1978, comprovato anche da
un dattiloscritto proveniente dalla macchina da scrivere di proprietà di
Gelli. Berlusconi aveva mentito «per alterare il convincimento del Tribunale», ovvero aveva deposto, in qualità di teste-parte ofesa, dichiarando il falso, per ottenere la condanna dei giornalisti. Così i giudici
della Corte d’appello di Venezia scrivono: «Ritiene il Collegio che le di-
Il Grande fratello Silvio B.
43
chiarazioni dell’imputato non rispondano a verità […], smentite dalle
risultanze della commissione Anselmi e dalle stesse dichiarazioni rese
del prevenuto avanti al giudice istruttore di Milano, e mai contestate
[…]. Ne consegue quindi che il Berlusconi ha dichiarato il falso», rilasciato «dichiarazioni menzognere» e «compiutamente realizzato gli estremi
obiettivi e subiettivi del delitto di falsa testimonianza». Ma «il reato va
dichiarato estinto per intervenuta amnistia».
Successivamente, il 6 marzo 2000, ospite della trasmissione «Iceberg»
a Telelombardia, Berlusconi dichiara: «Non sono mai stato piduista, mi
mandarono la tessera e io la rispedii subito al mittente: comunque i tribunali hanno stabilito che gli iscritti alla P2 non commisero alcun reato,
e quindi essere stato piduista non è titolo di demerito». Sì, stando a
quanto dichiarato da Gelli, è vero che Berlusconi rispedì la tessera, ma
solo perché era da «apprendista», anziché da «maestro». Daniele Vimercati, il compianto direttore della tv privata lombarda, aveva ricordato al
Cavaliere che Bossi gli rinfacciava di essere stato un piduista. «Il leader
della P2, − ha ricordato Berlusconi in quell’occasione − era un signore
che frequentava pubblicamente personaggi potenti, aveva amici come
Rizzoli, il più grande editore italiano. Di me diceva che con dieci persone
simili l’Italia sarebbe stata fortunata. Per me, un ragazzo di 40 anni, erano giudizi che mi facevano felice». E il Cavaliere racconta l’arrivo della
tessera: «Me la porta la segretaria dicendo: “C’è scritto che lei, dottore,
è apprendista muratore…”. Ero in riunione con dodici o quattordici collaboratori: tutti scoppiamo a ridere. Ma come, dico io, sono il primo costruttore italiano di città e mi deiniscono apprendista muratore? Questo non lo accetto. La tessera fa il giro del tavolo, raccoglie commenti e
risate, e poi io la riconsegno alla segretaria con il mandato di rinviarla
in fretta al mittente. Tutto qui». Berlusconi puntualizza poi sulla liceità
della loggia: «La P2 non veniva percepita come una società segreta. Vi
erano iscritti molti personaggi che ancora oggi sono protagonisti della
vita pubblica», spiega. Secondo il Cavaliere, il caso P2 è sostanzialmente
«una montatura, che è stata una vera piaga, ha rovinato tante vite senza
motivo. Un po’ com’è accaduto con Tangentopoli: quante persone sono
state incriminate e incarcerate per poi risultare innocenti? E anche in
questo caso − aferma il fondatore di Forza Italia − come in quello della
P2, ci sono state complicità dei media e di certi poteri forti che si sono
messi a disposizione dei giudici perché non volevano essere toccati». Ma
i progetti della P2 relativi anche al programma politico contenuto nel
Piano di rinascita? «Ho letto dopo, di questi progetti. Una montatura: la
P2 è stata uno scoop che ha fatto la fortuna di Repubblica e dell’Espresso,
«
44
Dalla P2 alla P4
è stata una strumentalizzazione che purtroppo ha distrutto molti protagonisti della vita politica, culturale e giornalistica del nostro Paese».
Concetto ribadito tre anni dopo dal Venerabile sulle pagine di Repubblica: «Io non ho mai fatto niente di illegale né di illecito. Sono stato assolto da tutto. Le mie mani, eccole, sono nette di oro e di sangue».
Berlusconi non ha mai perso occasione per sminuire la sua partecipazione alla loggia segreta, e l’importanza che la sua ailiazione ha avuto
per le sue aziende e la sua carriera di imprenditore prima, e di politico
poi. In un’occasione, ha afermato che la P2 «per la verità allora appariva come una normalissima associazione, come se fosse un Rotary, un
Lions, e non c’erano motivi, per quello che se ne sapeva, per pensare
che la cosa fosse diversa. Io resistetti molto a dare la mia adesione, e
poi lo feci perché Gervaso insistette particolarmente dicendomi di rendere una cortesia personale a lui». Già, proprio un Rotary, esattamente
come indicato nel Piano di rinascita democratica: «Primario obiettivo
ed indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un
club (di natura rotariana per l’eterogeneità dei componenti) ove siano
rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali e inanziari,
esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici che non superi il numero di 30 o 40 unità».
L’unica verità che il Cavaliere ammette, nel suo rapporto con la P2,
è il tramite di Gervaso, mentre mente su tutto il resto. D’altronde, secondo quanto riportato nell’edizione aggiornata di Tendenza Veronica
dall’autrice, Maria Latella, che narra le conidenze della moglie del premier, Veronica Lario, decisa a chiedere la separazione dopo il caso di
Noemi Letizia, Berlusconi sarebbe un bugiardo impenitente. «Domenica pomeriggio mi ha detto: “Sai, devo partire per Napoli, ho un vertice
importante sulla spazzatura, domattina presto…”. L’ennesima bugia»,
avrebbe detto alla Latella l’ex irst lady, aggiungendo: «mi racconterebbe
l’ennesima bugia». L’uomo che governa il Paese sarebbe quindi un bugiardo. Lo prova la vicenda della P2, ma anche quella della separazione
dalla moglie, con tutto il contorno a base di escort, festini e menzogne
che ne è seguito, in un turbinio di spiegazioni sempre diverse, spesso in
contraddizione, e senza riscontri oggettivi.
A seguito della presentazione delle conclusioni della Commissione
parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi, la loggia fu sciolta per legge nel gennaio 1982 in ragione dei «ini eversivi»
che si preiggeva. Il Venerabile fu condannato e arrestato, benché al
riguardo Berlusconi sostenne di essere «…sempre in curiosa attesa di
Il Grande fratello Silvio B.
45
conoscere quali fatti o misfatti siano efettivamente addebitati a Licio
Gelli», concludendo che «Anni di inchieste sono serviti solamente ad
ofrire alle varie fazioni politiche un terreno di lotta e di calunnie facile
quanto strumentale». Il Venerabile verrà inquisito dalla magistratura
per reati gravissimi, tutti legati alle attività della loggia: l’omicidio del
giornalista Mino Pecorelli (prosciolto il 15 gennaio 1991), concorso in
bancarotta per il crack del Banco ambrosiano (condanna a 12 anni di
reclusione), come mandante dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi,
per la costituzione di capitali all’estero, per cospirazione politica, spionaggio, interesse privato in atti d’uicio, rivelazione di segreti di Stato,
inanziamento di gruppi armati a scopo eversivo, associazione sovversiva con inalità di strage, depistaggio di indagini, calunnia, millantato credito, associazione a delinquere e trufa aggravata. In totale, tra il
1992 e il 1994, sarà condannato a scontare 35 anni di detenzione. Gelli
è stato condannato il 23 novembre 2005 in via deinitiva per tentativi
di depistaggio delle indagini sulla Strage di Bologna. Nessuna condanna, invece, per i piduisti. Il giudice istruttore di Roma Domenico Sica e
il procuratore della Repubblica Achille Gallucci sollevano il conlitto di
competenza, e il 2 settembre 1981 la Cassazione trasferisce l’inchiesta
da Milano a Roma. L’accusa di cospirazione politica contro le istituzioni
della Repubblica mediante associazione cade, e tutti i rinviati a giudizio
(pochi: qualche capo dei 17 gruppi in cui la P2 era divisa, più Gelli e i
responsabili dei servizi segreti) vengono prosciolti. Il 27 marzo 1996
la seconda Corte d’assise d’appello di Roma conferma la sentenza di
assoluzione nei confronti di una serie di aderenti alla organizzazione
fondata da Licio Gelli. Erano appunto accusati del reato di “cospirazione
politica mediante associazione”. Lo stesso del quale avrebbe risposto
anche l’ ex Maestro Venerabile se una questione tecnico-giuridica (la
Svizzera a suo tempo non concesse l’ estradizione per questa imputazione) non l’avesse impedito. A Gelli viene confermata la condanna a 17
anni (cinque condonati) per millantato credito e calunnia ai danni dei
magistrati milanesi Giuliano Turone, Guido Viola e Gherardo Colombo.
Quando il processo arriva in Cassazione ormai è troppo tardi, e per tutti
gli imputati scatta la prescrizione.
Al momento del suo ingresso uiciale in politica, nel 1993, Berlusconi presentò un partito, Forza Italia, la cui struttura e programma parvero ad alcuni, simili a quelle preigurate nel disegno eversivo della P2:
«Club dove siano rappresentati… operatori imprenditoriali, esponenti
delle professioni liberali, pubblici amministratori» e solo «pochissimi e
selezionati» politici di professione. Fin dal primo governo Berlusconi, i
46
Dalla P2 alla P4
titolari di diversi incarichi sono risultati appartenenti alle liste segrete
scoperte nella residenza di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi.
Fu lo stesso Gelli a benedire la discesa in campo di Berlusconi: «Molti concordano che diversi contenuti del Piano di rinascita siano stati
attuati. Posso citare il raforzamento delle tv private. Occorrono nuovi politici, che abbiano dimostrato creatività, serietà, professionalità,
onestà, per formare quadri della Repubblica presidenziale, per guidare il Paese all’insegna di meritocrazia e gerarchia. Uno potrebbe essere
Berlusconi. Il suo è un ottimo programma, un tessuto sul quale si può
costruire un buon partito. Mi dicono che si è già messo in movimento
per aggregare altre forze intorno a sé…».
In un’intervista rilasciata all’Indipendente nel febbraio 1996, Gelli ha
dichiarato: «Ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato quasi
tutto». Concetto ribadito nell’intervista rilasciata alla giornalista di Repubblica Concita De Gregorio, pubblicata il 28 settembre 2003, durante
il governo Berlusconi II: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo
il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a
poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia,
la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa in 53 punti».
Il 13 marzo 2006, ad un mese dalle elezioni politiche, la maggioranza
parlamentare di centrodestra guidata da Berlusconi approvò una modiica dell’articolo 283 del Codice penale (Attentato contro la Costituzione dello Stato) sulla base del quale era stata messa sotto processo (e
poi assolta) la P2. Il testo precedente era questo: «Chiunque commette
un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello
Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni»; il testo
modiicato è invece il seguente: «Chiunque, con atti violenti, commette
un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma
di governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni».
Con le elezioni del 13/14 aprile 2008 si realizza la dissoluzione dei
partiti e la sempliicazione del sistema in due partiti (il Popolo delle
libertà e il Partito democratico) organizzati in club territoriali e settoriali, come programmato nel Piano di rinascita democratica («…due
movimenti: l’uno, sulla sinistra…….e l’altro sulla destra. Tali movimenti
dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori»). Con il governo di Berlusconi si concretizza anche il monopolio dell’informazione
e il controllo delle banche, grazie agli aiuti di Stato iniettati nel sistema
creditizio per combattere la crisi economica di ine 2008. Nel frattempo,
Il Grande fratello Silvio B.
47
l’esecutivo lavora alla riforma presidenziale dello Stato ed al controllo
della magistratura da parte del potere politico, tutti obiettivi previsti
nel Piano della P2.
Secondo Licio Gelli, Berlusconi «ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato quasi tutto». Anche il vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi
rimprovera al primo governo Berlusconi, al momento della sua caduta
(1995), di essere «l’attuazione fatta e programmata da Berlusconi del
Piano di rinascita democratica proposto dalla Loggia P2 già nel 1976».
D’altra parte, l’afermazione di Gelli sembrerebbe sottintendere una
certa estraneità di Berlusconi al tentativo che la loggia fece di attuare il
suo piano, mentre, al di là delle analogie reali o apparenti, i contatti tra
Berlusconi e personaggi legati alla loggia appaiono piuttosto concreti
e provati e viaggiano per le vie degli afari, in particolare attraverso il
canale internazionale rappresentato dal Banco ambrosiano di Roberto
Calvi.
In un’intervista a Klaus Davi per «Klauscondicio» del 4 dicembre
2008, Gelli ha afermato l’infungibilità del Cavaliere: «Se cadesse Berlusconi sarebbe un caos per il Paese perché il governo non avrebbe più una
struttura partitica. Se cade Berlusconi chi abbiamo? In Italia non c’è un
leader. Gianni Letta è un bravo diplomatico. Cicchitto, anche lui è stato
in loggia con me ed è una brava persona». Gelli dà anche suggerimenti
su come governare: «Sono giusti i decreti approvati senza dialogo con la
minoranza. Berlusconi, che è giovane ed ha la maggioranza, dovrebbe
rivolgersi all’opposizione politica proponendo e facendo passare i decreti anche senza il loro assenso», sostiene l’ex Venerabile, assecondando
i desiderata del premier in tema di governabilità, e ricordando il Piano
di rinascita, che prevedeva l’inemendabilità dei decreti-legge del governo. «Con la P2 − ha poi aggiunto Gelli − avevamo l’Italia in mano. Con
noi c’era l’Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente
comandate da appartenenti alla loggia». «Noi − spiega − non abbiamo
mai voluto attaccare, eravamo invece una sentinella, attenta a controllare che non emergesse il Partito comunista», che è stato ciò che ha poi
spinto Berlusconi a fondare Forza Italia nel 1994: impedire al Pds ed ai
post-comunisti di andare al potere dopo la dissoluzione dei partiti della
«prima Repubblica» provocata da Mani pulite. Le primissime prese di
posizione politiche di Berlusconi in pubblico risalgono al luglio 1977, in
coincidenza con l’ingresso nella P2, allorché sostenne la necessità che il
Partito comunista italiano (che l’anno precedente aveva superato il 34%
dei voti) «rimanesse coninato all’opposizione dall’azione di una Democrazia cristiana trasformata in modo da recuperare al governo il Partito
48
Dalla P2 alla P4
socialista italiano», alla segreteria del quale era asceso nel luglio 1976 il
suo amico Bettino Craxi.
L’iscrizione alla loggia è stata sicuramente determinante per i primi
afari immobiliari di Berlusconi. Per esempio per ottenere credito dalla
Banca nazionale del lavoro (controllata dalla P2, con ben otto alti dirigenti ailiati, tra i quali il direttore generale Alberto Ferrari, n. 520,
l’amministratore delegato Gianfranco Graziadei, n. 679, il responsabile
servizio titoli Mario Diana, n. 555) e dal Monte dei Paschi di Siena (era
piduista il direttore generale Giovanni Cresti, n. 521, e il vicepresidente
Loris Scricciolo, n. 125). La Commissione Anselmi ha stabilito che Silvio Berlusconi, Giovanni Fabbri (il re della carta) e il costruttore Mario
Genghini (fallito il 25 giugno dell’80 lasciando un buco da 700 miliardi),
«trovarono appoggi e inanziamenti al di là di ogni merito creditizio»,
evidenziando «l’esistenza di una vasta rete di sostegno creditizio per le
operazioni interessanti la loggia». Tra il 1974 e il 1981 il sistema bancario ha messo a disposizione di Berlusconi idi per poco meno di 200
miliardi di lire e ideiussioni per 150 miliardi. Il Monte dei Paschi di Siena, dove la P2 è più attiva, concede tra il ‘70 e il ‘79 70 miliardi di mutui
fondiari a Berlusconi, a tassi fra il 9 e il 9,5%.
L’ingresso di Berlusconi nel campo dell’edilizia risale al 1962, tramite alcune società chiamate Edilnord, che cambieranno più di una volta
denominazione sociale, manager, prestanome, e che godevano di misteriosi inanziamenti svizzeri, sui quali la Bnl si era impegnata a mantenere nell’ombra proprietari e soci. Tra i manager di Edilnord igura anche
l’attuale presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, eurodeputato azzurro dal 1994 al 2000, vicepresidente del Parlamento europeo
dal 1997 al 2004, membro del comitato di presidenza di Forza Italia dal
2002, commissario provinciale di Milano dal 2004 al 2008, e coordinatore regionale del partito nello stesso anno. Nel 1976, dopo alcuni colloqui con Silvio e Paolo Berlusconi, Podestà entra nell’Edilnord, e nel giro
di qualche anno ne diventa amministratore delegato, per poi aderire a
Forza Italia sin dalla sua fondazione.
La storia degli afari immobiliari di Berlusconi è intrecciata con la
provenienza occulta dei inanziamenti svizzeri, le banche controllate
dai piduisti, e la loggia segreta di Gelli, per inire con l’inevitabile corollario politico.
Dopo le prime saltuarie esperienze lavorative giovanili come cantante
e intrattenitore sulle navi da crociera insieme all’amico Fedele Confalonieri (presidente di Mediaset), e come venditore porta a porta di scope
elettriche insieme all’amico fraterno Guido Possa (dal 1988 al 1995 ha la-
Il Grande fratello Silvio B.
49
vorato presso Fininvest, prima come responsabile della segreteria di Presidenza, poi come direttore del settore sviluppo, parlamentare dal 1996
ad oggi, prima con Forza Italia,e poi con il Pdl), Berlusconi iniziò l’attività di agente immobiliare e, nel 1961, fondò la Cantieri riuniti milanesi
Srl insieme al costruttore Pietro Canali. Il primo acquisto immobiliare fu
un terreno in via Alciati a Milano, per 190 milioni di lire, grazie alla ideiussione del banchiere siciliano Carlo Rasini (titolare e cofondatore della
Banca Rasini, nella quale lavorava Luigi, il padre di Silvio).
Nel 1963 Il Cavaliere fonda la Edilnord Sas, in cui è socio d’opera accomandatario, mentre sono soci accomandanti Carlo Rasini e il commercialista svizzero Carlo Rezzonico, che fornisce i capitali attraverso la
inanziaria Finanzierungsgesellschaft für Residenzen AG di Lugano. Gli
anonimi capitali della inanziaria svizzera vengono in parte depositati
presso l’International Bank di Zurigo e pervengono alla Edilnord attraverso la Banca Rasini. Nel 1964, l’azienda di Berlusconi apre un cantiere
a Brugherio per ediicare una città modello da 4.000 abitanti. I primi
condomini sono pronti già nel 1965, ma non si vendono con facilità.
Fino a quì (Edilnord 1 e Cantieri riuniti) Berlusconi compare in prima
persona, dopodiché scompare, protetto da groviglio di società, dietro le
quali si cela una cortina impenetrabile di iduciarie svizzere.
Nel 1968, con l’acquisto dal conte Bonzi di 712 mila metri quadrati
di terreni nel Comune di Segrate (Berlusconi pagò 4.250 lire al metro,
per un totale di oltre tre miliardi di lire), nasce la Edilnord Sas di Lidia
Borsani e C. (la Borsani è cugina di Berlusconi), generalmente chiamata
Edilnord 2. All’epoca Berlusconi aveva 32 anni e nessun patrimonio a
disposizione suo o della famiglia dal quale attingere una somma così
importante. Il 15 giugno 1970 la zia Maria prende il posto della iglia
Lidia, cugina di Berlusconi, ma la società resta una Sas, con socio accomandante sempre la inanziaria Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residenzzentren AG di Lugano, grazie alla quale nel 1972, liquidata la Edilnord, vede la luce la Edilnord centri residenziali Sas di Lidia
Borsani, socia accomandante.
Nel frattempo, nel 1971 il consiglio dei Lavori pubblici dichiara uficialmente residenziale il suolo, ed a seguito della concessione delle
licenze edilizie da parte del Comune di Segrate, Berlusconi inizia la costruzione di Milano due, al costo di circa mezzo miliardo di lire al giorno, con capitali di provenienza sconosciuta. La vicenda con cui ottenne
a Roma il cambio di talune rotte aeree dell’aeroporto di Linate − le cui
intollerabili onde sonore, superiori a cento decibel, rendevano improicuo l’investimento e diicoltosa la vendita degli appartamenti − fu il
50
Dalla P2 alla P4
frutto dei primi rapporti con esponenti politici iscritti alla P2 (il parlamentare Dc Egidio Carenini).
Il 22 maggio 1974 la Edilnord Centri Residenziali Sas compie un aumento di capitale a 600 milioni di lire, e il 22 luglio dell’anno seguente
passa a due miliardi. Nel 1974 Berlusconi acquisisce il controllo dell’Immobiliare romana Paltano, una società con 12 milioni di capitale. L’anno
successivo il capitale sociale aumenterà a 500 milioni e nel 1977 ad un
miliardo, cambiando nome in Cantieri riuniti milanesi Spa.
Il 2 febbraio 1973 nasce, sempre a Milano, Italcantieri Srl, che deve
portare avanti la costruzione di Milano 2. Di Berlusconi nessuna traccia. La Italcantieri risulta essere di proprietà di due iduciarie ticinesi: la
Coigen Sa di Lugano rappresentata da un avvocato praticante, Renato
Pironi; la Eti A.G. holding di Chiasso rappresentata dalla casalinga Elda
Brovelli e da uno zio anziano di Berlusconi, Luigi Foscale.
La Coigen nasce a Lugano il 21 dicembre 1972 (33 giorni prima della
Italcantieri) e fa capo alla Banca della Svizzera italiana e al inanziere
Tito Tettamanti, uomo con tre grandi passioni: Opus Dei, massoneria,
anticomunismo. La Coigen porta alla Privat Credit bank e alla Coi, che
ino al 1977 si chiama Milano internazionale Sa, il cui legale rappresentante è il senatore Giuseppe Pella, leader della destra Dc, deputato
all’Assemblea costituente, più volte parlamentare, ministro e presidente del Consiglio.
Non meno complesso il dietro le quinte della Eti, che è stata registrata il 24 aprile 1969, numero di protocollo 518, e ha tre soci: Arno Ballinari, Stefania e Ercole Doninelli a sua volta rappresentante della Aurelius Financing company Sa (legata alla Interchange bank coinvolta nello
scandalo inanziario Texon). A Ercole fa capo anche la Fi.MO., inanziaria svizzera coinvolta in inchieste di riciclaggio, e sospettata, durante
Mani Pulite, di essere stata il tramite delle tangenti Eni ed Enimont. Più
di recente è diventata Bipielle Suisse, banca di riferimento dell’ex amministratore delegato della Banca Popolare italiana (ex Popolare di Lodi)
Gianpiero Fiorani, al centro dello scandalo dell’estate 2006 dei «furbetti
del quartierino», che ha avuto come principali protagonisti l’immobiliarista Stefano Ricucci, l’ex presidente Unipol Giovanni Consorte ed il
vice Ivano Sacchetti, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto, Luigi Zunino,
i fratelli Ettore e Tiberio Lonati, Emilio Gnutti e l’eurodeputato del Pdl
Vito Bonsignore (già condannato in via deinitiva a due anni per tentata
corruzione per l’appalto dell’ospedale di Asti), colpiti da varie inchieste
giudiziarie per i metodi con cui si apprestavano a scalare Antonveneta,
la Banca nazionale del lavoro ed Rcs (queste ultime due già al centro del-
Il Grande fratello Silvio B.
51
le vicende legate alla P2), e per le modalità, presuntamente fraudolente,
con cui avevano conseguito in modo improvviso una enorme fortuna
economica di dubbia provenienza, esattamente come Berlusconi.
I «furbetti del quartierino» sono stati al centro di «Bancopoli», vicenda che ha visto coinvolti l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio (il
pm di Milano, Luigi Orsi, ha chiesto una condanna a tre anni e sei mesi
e 700 mila euro di multa per la scalata Unipol-Bnl e il pubblico ministero
Eugenio Fusco tre anni e sei mesi e 100 mila euro di multa per quella
ad Antonveneta, ritenendolo il regista e non l’arbitro delle due operazioni) ed il senatore azzurro Luigi Grillo, uomo di iducia del Cavaliere
e protagonista della riforma del sistema bancario e inanziario del 1992
(Legge Amato). Fazio è stato condannato in primo grado a quattro anni,
un milione e mezzo di multa e pene accessorie di sospensione dai pubblici uici (cinque anni) e incarichi direttivi aziendali (due anni) per la
vicenda Antonveneta. Nello stesso processo Grillo – nel 2008 è risultato
intestatario di un conto corrente da qualche centinaia di milioni in Liechtenstein, come l’eurodeputato Pdl Bonsignore con 5,5 milioni di euro,
dopo che la lista dei conti correnti intestati ad italiani nel paradiso iscale era stata acquisita dall’Agenzia delle Entrate – è stato condannato
a due anni e un mese di reclusione per concorso morale in aggiotaggio.
Stessa condanna del senatore Pdl per l’immobiliarista Luigi Zunino e
per quasi tutti i 17 imputati. Tre anni anche agli ex vertici Unipol Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti (tre anni e un milione di multa). Su
questi ultimi due pende anche una richiesta di condanna, rispettivamente a quattro anni e sette mesi e 1 milione e 200 mila euro di multa e
quattro anni e quattro mesi per la vicenda Bnl (il pubblico ministero ha
anche proposto per Stefano Ricucci tre anni di reclusione e una multa di
600 mila euro). Solo un anno e otto mesi all’ex presidente della Popolare
di Lodi, Fiorani, che aveva già patteggiato tre anni e tre mesi nell’ambito
della stessa vicenda per il reato di appropriazione indebita. Ma nella
primavera del 2012 Fazio, Grillo & C. vedranno cadere in prescrizione
il processo.
L’attività politica di Grillo, ex ragioniere della Cassa di Risparmio della Spezia, laureatosi poi in Economia e commercio, inizia a metà degli
anni ’70, quando viene eletto consigliere comunale della Democrazia
cristiana nella città ligure. Nel ‘79 viene eletto consigliere regionale,
sempre con lo Scudo crociato, e gli viene assegnato dopo poco tempo il
compito di presiedere la commissione regionale d’inchiesta sulla Loggia P2, dopo di che viene nominato assessore regionale (detto anche «il
super assessore») per le importanti deleghe avute contemporaneamen-
52
Dalla P2 alla P4
te al bilancio, al personale, all’informatizazione e all’amministrazione,
ruolo che ricopre sino alla nomina a deputato nell’87, e successivamente
a senatore della Repubblica. Nel 1994 Grillo viene eletto a Palazzo Madama nelle liste del Patto per l’Italia di Mario Segni. Quell’anno al Senato, il centrodestra ottenne 156 seggi contro i 159 delle opposizioni, ed il
primo governo Berlusconi ottenne la iducia con 159 voti a favore e 153
contrari, uno più del necessario, grazie al «sì» dei senatori a vita Gianni
Agnelli, Francesco Cossiga e Giovanni Leone, ed all’uscita dall’aula, al
momento del voto, di Vittorio Cecchi Gori, Tommaso Zanoletti, Stefano
Cusumano e Luigi Grillo, che abbassarono il quorum a 158 voti. L’astensione di Grillo − che aderì immediatamente a Forza Italia − fu determinante per la nascita del primo esecutivo guidato dal Cavaliere, e il senatore divenne così membro del comitato di presidenza e sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio. Vittorio Cecchi Gori e il padre Mario, in
quel periodo, facevano già le «teste di legno» per conto di Berlusconi,
insieme a Leonardo Mondadori, Luca e Pietro Formenton, Pietro Boroli, Bruno Mentasti, Massimo Moratti, Renato Della Valle, Mario Rasini
(quello dell’omonima banca), e al concessionario Luigi Koelliker; nove
«amici» che nel ’90, per fare un favore a Berlusconi, si erano intestati
ciascuno il 10% delle quote di Telepiù, la pay-tv che il Cavaliere aveva
dovuto frettolosamente vendere a causa della Legge Mammì (il quotidiano Il Giornale lo aveva regalato al fratello Paolo). Telepiù è stata poi
ceduta al magnate australiano Rupert Murdoch, che l’ha fusa in Stream,
diventando monopolista del digitale satellitare con la piattaforma Sky:
l’unico errore imprenditoriale che Berlusconi non riesce a perdonarsi,
tanto da essere passato alle ostilità con l’ex amico, in vista del passaggio
obbligato al digitale terrestre entro il 31 dicembre 2012.
In quegli anni, arrivano dalla Svizzera ingenti somme (solo la Aktien
versa 4 miliardi di lire e 600 milioni e 50 mila franchi svizzeri) di cui
non si è mai saputa la provenienza. In tre anni la Italcantieri porta il
suo capitale sociale da 20 milioni a due miliardi. Berlusconi compare
solo il 18 luglio 1975, quando Italcantieri diventa Spa con un aumento
di capitale a mezzo miliardo di lire (in seguito, quei 500 milioni aumenteranno ino a diventare due miliardi, e la società emetterà un prestito
obbligazionario per un pari importo), e il Cavaliere prende il posto dello
zio Luigi Foscale, assumendo la presidenza della società.
Il 16 settembre 1974, la Società azionaria iduciaria e Servizio Italia
iduciaria Spa (iduciaria della Bnl rappresentata dal piduista Gianfranco Graziadei, con la quale hanno fatto afari anche Gelli, Sindona e Calvi) sottoscrivono a Roma il capitale sociale dell’Immobiliare San Mar-
Il Grande fratello Silvio B.
53
tino, con sede in salita San Nicola da Tolentino 1/b. Amministratore
unico viene nominato l’avvocato palermitano Marcello Dell’Utri, amico
sin dai tempi dell’università con Fedele Confalonieri. Alla società viene
conferita la proprietà di Villa San Martino di Arcore, acquistata l’anno
prima tramite l’avvocato Cesare Previti, e pagata da Berlusconi ad un
prezzo di favore. La proprietà è venduta da Annamaria Casati Stampa di
Soncino, ereditiera di una nota famiglia nobiliare lombarda di Previti è
tutore legale, rimasta orfana nel 1970 ed in diicoltà inanziarie a causa
di debiti con il isco.
Il rapporto tra Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi risale agli anni
Settanta. Conseguita la maturità classica a Palermo, nel 1961 Dell’Utri
si trasferisce a Milano per studiare, laureandosi in giurisprudenza presso l’Università Statale. Quì conosce Berlusconi, per il quale inizia a lavorare nel 1964, a 23 anni, come segretario del Torrescalla, piccola squadra
di calcio sponsorizzata dal futuro premier, di cui Dell’Utri è allenatore.
Nel 1967 Dell’Utri torna a Palermo, dove assume l’incarico di direttore
sportivo dell’Athletic Club Bacigalupo; durante questa esperienza, per
sua esplicita ammissione, conosce Vittorio Mangano e Gaetano Cinà,
malavitosi appartenenti a Cosa nostra. Dopo il periodo dedicato allo
sport, durante il quale fonda e dirige una scuola di formazione sportiva dell’Opus Dei (il Centro Elis) a Roma, nel 1970, Dell’Utri inizia a
lavorare per la Cassa di Risparmio delle province siciliane a Catania, e
l’anno seguente viene trasferito alla iliale di Belmonte Mezzagno, per
poi venire promosso due anni dopo alla direzione generale del servizio
di credito agrario della Sicilcassa a Palermo. Nel 1973 torna a Milano
per lavorare alla Edilnord, su richiesta di Silvio Berlusconi, per il quale
svolge anche la mansione di segretario; segue in particolare i lavori di
ristrutturazione della villa di Arcore.
Nella prima metà degli anni Settanta Berlusconi, all’epoca già padre
di Marina e Piersilvio, temeva il suo rapimento, o quello dei suoi familiari, da parte di qualche organizzazione criminale, e il 7 luglio 1974
Dell’Utri mise in contatto Berlusconi con Vittorio Mangano, un giovane
maioso, divenuto successivamente esponente di spicco del clan di Porta Nuova a Palermo, che in quel periodo ha già a suo carico tre arresti
e varie denunce e condanne, nonché una diida risalente al 1967 come
«persona pericolosa». L’incontro avvenne proprio nella Villa San Martino ad Arcore, e il motivo uiciale della presenza di Mangano fu quello di
assumere le mansioni di fattore e stalliere. In realtà, Mangano si occupò
anche della sicurezza della villa e dell’incolumità dei due igli di Berlusconi, che era solito anche accompagnare a scuola. Secondo il Tribunale
54
Dalla P2 alla P4
di Palermo, Mangano viene assunto da Berlusconi come «responsabile»
per evitare che i familiari dell’imprenditore fossero vittima di sequestro
di persona (e non come «stalliere», come afermato). Disse anni dopo
Dell’Utri in un’intervista mandata in onda il 1º luglio 1996 dal Tgr Sicilia della Rai: «Berlusconi ha assunto Mangano, gliel’ho presentato io,
è verissimo, tra tante persone che c’erano in concorso per quella posizione, e ai quali Berlusconi ha addirittura aidato la casa, e il signor
Mangano accompagnava anche i igli di Berlusconi a scuola. Non vedo
niente di strano nel fatto che io abbia frequentato in questa maniera il
signor Mangano, e lo frequenterei ancora adesso». Vittorio Mangano si
licenzia nel 1976 (il 24 ottobre di quell’anno Dell’Utri partecipa insieme
a lui e ad altri maiosi alla festa di compleanno del boss catanese Antonino Calderone al ristorante Le colline pistoiesi di Milano). A suo carico,
nel periodo successivo all’impiego a Villa San Martino, una condanna
per traico di droga e un’altra per associazione maiosa semplice. Fu
inoltre sospettato del rapimento di Luigi D’Angerio, che avvenne nella
notte di Sant’Ambrogio del 1974, subito dopo una cena ad Arcore. Dopo
l’arresto di Mangano, sia Berlusconi che Dell’Utri hanno dichiarato ai
Carabinieri di non essere stati a conoscenza delle sue attività criminali, ma il Tribunale di Palermo ha afermato che Dell’Utri conosceva lo
«spessore delinquenziale» di Mangano, e anzi, lo avrebbe scelto proprio
per tale «qualità». Al tempo in cui Dell’Utri, infatti, lasciò l’impiego
in banca per diventare collaboratore di Berlusconi, e successivamente
chiamò Mangano ad Arcore, la locale stazione dei Carabinieri ricevette un’informativa dai loro colleghi palermitani che segnalava Mangano
quale persona con precedenti giudiziari e Dell’Utri quale persona che
era informato di ciò.
Un rapporto della Criminalpol del 13 aprile 1981 aferma che «L’aver
accertato attraverso la citata intercettazione telefonica il contatto tra
Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare sempre la sua particolare pericolosità criminale, e Dell’Utri Marcello ne consegue necessariamente
che anche la Inim Spa e la Raca Spa (società per le quali il Dell’Utri svolge la propria attività), operanti in Milano, sono società commerciali gestite anch’esse dalla maia e di cui la maia si serve per riciclare il denaro
sporco, provento di illeciti». L’Inim era una società condotta dal inanziere siciliano Filippo Rapisarda, e inanziata dall’allora sindaco democristiano di Palermo Vito Ciancimino, legato alla maia di Corleone, e
condannato a tredici anni di reclusione per favoreggiamento e concorso
esterno in associazione maiosa (sul ruolo del padre come mediatore
degli investimenti di alcuni clan nella Fininvest il iglio Massimo Cian-
Il Grande fratello Silvio B.
55
cimino ha consegnato ai pm molti documenti), per la quale Dell’Utri
lavora dal 1977, dopo aver lasciato Edilnord.
Nella sede milanese di via Chiaravalle della Inim, tra il 1975 e il 1978
passavano personaggi del clan dei corleonesi legati al clan Cuntrera-Caruana del calibro di Mimmo Teresi, Stefano Bontate, Vittorio Mangano,
Gaetano Cinà, e uno dei fratelli Bono, presumibimente Pippo, come ha
dichiarato alla Polizia Rocco Remo Morgana, un siciliano di Mazzarino arteice dell’incontro in Toscana tra Rapisarda e l’uomo di iducia di
Ciancimino, l’assessore al turismo di Palermo Francesco Paolo Alamia. Il
19 aprile dello stesso anno in cui passa da Edilnord a Inim, Dell’Utri è a
Londra, dove partecipa al matrimonio di Girolamo Maria Fauci, più comunemente chiamato Jimmy Fauci, boss maioso che gestisce il traico
di droga fra Italia, Gran Bretagna e Canada.
Al processo di primo grado a Palermo nei confronti di Dell’Utri per
concorso esterno in associazione maiosa, il pentito Francesco Di Carlo
ha dichiarato: «In un uicio di Milano ci accolse Dell’Utri. Dopo quindici
minuti venne Berlusconi. A quella riunione eravamo presenti: io, Tanino Cinà, Mimmo Teresi, Stefano Bontate, Marcello Dell’Utri e Silvio
Berlusconi: Berlusconi disse che “era a nostra disposizione per qualsiasi
cosa”, e allora anche Bontate gli rispose nello stesso modo». Di Carlo
c’era e non è dunque un racconto de relato.
Sull’attività di Mangano nello stesso periodo in cui prestava servizio
come stalliere di Berlusconi il giudice Paolo Borsellino rilasciò, poco prima di essere ucciso in un attentato maioso il 19 luglio 1992, un’intervista a un giornalista francese nella quale deiniva il Mangano come una
delle teste di ponte di Cosa nostra nel Nord Italia. Mangano morì in carcere nel 2000, pochi giorni dopo essere stato condannato all’ergastolo per
duplice omicidio. A pochi giorni dalle elezioni politiche dell’aprile 2008, in
un’intervista rilasciata a Klaus Davi, Dell’Utri ha afermato che Vittorio
Mangano è stato «un eroe, a modo suo» perché, mentre era in carcere (dal
1995 al 2000, anno in cui morì), avrebbe riiutato − nonostante ripetute
pressioni − di fare dichiarazioni contro di lui e Berlusconi in cambio della
scarcerazione, concetto ribadito successivamente dal Cavaliere.
Dopo l’esperienza all’Inim di Rapisarda, Dell’Utri diventa amministratore delegato della Bresciano costruzioni, che dopo pochi anni va
in bancarotta fraudolenta, inché nel 1982 inizia come dirigente la sua
attività in Publitalia ‘80, la società per la raccolta pubblicitaria della
Fininvest fondata nel 1979 da Berlusconi, di cui diventa presidente e
amministratore delegato (nel 1984 diventerà amministratore delegato
del gruppo Fininvest). L’anno seguente Dell’Utri viene trovato nella re-
56
Dalla P2 alla P4
sidenza del boss maioso catanese Gaetano Corallo durante un blitz di
arresti compiuti a Milano contro la maia dei casinò.
Vincenzo Garrafa, ex senatore del Partito repubblicano italiano e
presidente della Pallacanestro Trapani, sostiene di aver ricevuto nel
gennaio-febbraio 1992 la visita del boss trapanese Vincenzo Virga
(poi latitante e condannato per omicidio, oggi in carcere): «Mi manda
Dell’Utri», avrebbe detto il boss venuto a riscuotere un presunto credito
in nero preteso da Dell’Utri. L’episodio, denunciato da Garrafa, che è
anche primario in un ospedale a Trapani, è stato accertato dal Tribunale
di Milano, che nel maggio 2004 ha condannato in primo grado Dell’Utri
e Virga a due anni per tentata estorsione. Garrafa aveva ottenuto dalla
Birra Messina (Heineken) una sponsorizzazione di circa 1,7 miliardi di
lire, ma − secondo l’accusa − esponenti di Publitalia (la società di cui
Dell’Utri era amministratore delegato) gli avevano poi chiesto la retrocessione «in nero» di metà dei soldi, «per creare fondi occulti». La
sentenza di condanna aferma che, al riiuto di Garrafa, Dell’Utri lo
avrebbe minacciato prima a parole («Le consiglio di ripensarci, abbiamo
uomini e mezzi che la possono convincere a cambiare opinione»), poi
con la visita del boss Virga in ospedale a parlargli del debito. Il 15 maggio 2007 la terza Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna
a due anni: «(...). È signiicativo che Dell’Utri, anziché astenersi dal trattare con la maia (come la sua autonomia decisionale dal proprietario
ed il suo livello culturale avrebbero potuto consentirgli, sempre nell’indimostrata ipotesi che fosse stato lo stesso Berlusconi a chiederglielo),
ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze,
di mediare tra gli interessi di Cosa nostra e gli interessi imprenditoriali
di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di
stare tranquillo)». Il 10 aprile 2008 il procuratore generale della Cassazione ha chiesto l’annullamento, con rinvio, della condanna inlitta
a Dell’Utri, ritenendo «inutilizzabili» alcune dichiarazioni accusatorie.
La Corte di Cassazione, II sezione penale, ha accolto la richiesta, annullando la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione. Il 14 aprile
2009 i giudici della quarta Corte d’appello di Milano hanno derubricato
il reato da tentata estorsione (prescrizione nel 2013) a minacce gravi (la
cosiddetta «desistenza volontaria» ex articolo 56 comma 3 Cp) e hanno
dichiarato quindi il «non doversi procedere», nei confronti di Dell’Utri
e del boss maioso Vincenzo Virga, prosciogliendoli entrambi per intervenuta prescrizione del reato. Il 21 aprile 2010 un nuovo annullamento
da parte della Suprema Corte con rinvio al processo che si è concluso
il 20 maggio 2011 con l’assoluzione di Dell’Utri dall’accusa di tentata
Il Grande fratello Silvio B.
57
estorsione aggravata dalle inalità maiose da parte dalla prima Corte
d’appello di Milano. Assolto, sempre perché il fatto non sussiste, anche
il coimputato, il boss maioso Vincenzo Virga che era capomandamento
di Cosa Nostra a Trapani e che sta scontando un ergastolo per fatti di
maia. Il sostituto pg Isabella Pugliese aveva chiesto per Dell’Utri e Virga due anni di reclusione. Nella sua requisitoria il magistrato aveva accusato il parlamentare del Pdl di aver «utilizzato i suoi rapporti maiosi»
per tentare di estorcere denaro a Garrafa.
Nel 1993 Dell’Utri è tra i fondatori di Forza Italia, e lascia la carica
di presidente di Publitalia ’80 per dedicarsi alla costruzione del nuovo
soggetto politico, ma due anni dopo viene arrestato a Torino con l’accusa di aver inquinato le prove nell’inchiesta sui fondi neri delle società.
Nell’aprile 1996, mentre è imputato a Torino per false fatture e frode
iscale e indagato a Palermo per maia, Dell’Utri diventa deputato di
Forza Italia, e nel 1999 − quando patteggia e viene condannato deinitivamente, con sentenza passata in giudicato, a due anni e tre mesi di
reclusione per frode iscale e false fatture − viene eletto al Parlamento
europeo, per poi diventare senatore nel 2001, ed essere riconfermato
durante le successive elezioni del 2006 e 2008.
Le indagini della Procura della Repubblica di Palermo a carico di
Dell’Utri iniziano nel 1994, l’anno della «discesa in campo» di Berlusconi, con le prime rivelazioni che conluiscono nel fascicolo 6031/94. Il 9
maggio 1997 il gip di Palermo rinvia a giudizio Dell’Utri (la posizione
di Berlusconi viene archiviata nel 1998, al termine delle indagini preliminari, che erano state prorogate per la massima durata prevista dalla
legge), e il processo inizia il successivo 5 novembre. L’11 dicembre 2004,
il Tribunale di Palermo condanna l’ex capo di Publitalia a nove anni di
reclusione con l’accusa di concorso esterno in associazione maiosa. Il
senatore è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre
all’interdizione perpetua dai pubblici uici − come Cesare Previti − ed
al risarcimento dei danni (per un totale di 70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo. Secondo la sentenza dei giudici palermitani, Forza Italia sarebbe stata fondata per fornire nuovi
agganci politici alla maia e Dell’Utri sarebbe stato l’intermediario tra
l’organizzazione maiosa Cosa nostra e Silvio Berlusconi in dal 1974.
Nel testo che motiva la sentenza si legge: «La pluralità dell’attività posta
in essere da Dell’Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito
un concreto, volontario, consapevole, speciico e prezioso contributo
al mantenimento, consolidamento e raforzamento di Cosa nostra, alla
quale è stata, tra l’altro oferta l’opportunità, sempre con la mediazione
58
Dalla P2 alla P4
di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della inanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi ini
illeciti, sia meramente economici che politici». Inoltre: «Vi è la prova che
Dell’Utri aveva promesso alla maia precisi vantaggi in campo politico
e, di contro, vi è la prova che la maia, in esecuzione di quella promessa,
si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento
europeo nelle ile dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da
risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo
processo penale». A margine di questo processo, Dell’Utri è stato anche
imputato a Palermo per calunnia aggravata ai danni di alcuni pentiti.
Secondo l’accusa avrebbe organizzato un complotto con dei falsi pentiti
per screditare tre collaboratori di giustizia che accusavano lui ed altri
imputati nel processo per concorso esterno in associazione maiosa.
Per questa accusa, nel 1999 il gip di Palermo ne dispose l’arresto, ma la
Giunta per le autorizzazioni respinse la richiesta. Condannato in primo
grado a 9 anni, Dell’Utri è stato successivamente assolto dai giudici della quinta sezione della Corte d’appello di Palermo «per non avere commesso il fatto» (la Procura aveva chiesto una condanna a 7 anni).
Al processo che vede Dell’Utri condannato in primo grado a 9 anni
per concorso esterno in associazione maiosa, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza ha accusato Berlusconi e l’ex capo di Publitalia di
essere «i referenti della maia negli anni ’90». Secondo Spatuzza i due
«erano in contatto con i due boss Giuseppe e Filippo Graviano». Spatuzza, fedelissimo del capomaia corleonese Leoluca Bagarella e subordinato a Giuseppe Graviano, è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio
di don Pino Puglisi, avvenuto nel 1993 nel quartiere Brancaccio di Palermo. Davanti ai giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo in trasferta a Torino (il presidente, Claudio Dall’Acqua, ha deciso
di trasferire l’udienza nel capoluogo piemontese per questioni di sicurezza) Spatuzza ha dichiarato: «Graviano mi disse che avevamo ottenuto tutto quello e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano
portato avanti questa storia, che non erano come quei quattro “crasti”
socialisti che avevano preso i voti dell’88 e ‘89 e poi ci avevano fatto la
guerra. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi, Graviano mi disse che era quello del Canale 5». Oltre al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il pentito ha citato anche l’imputato, il senatore
Marcello Dell’Utri. «C’e’ di mezzo un nostro compaesano, Dell’Utri», ha
detto Spatuzza, citando Graviano. «Grazie alla serietà di queste perso-
Il Grande fratello Silvio B.
59
ne» ha aggiunto «ci avevano messo praticamente il Paese nelle mani».
Ai magistrati Spatuzza ha raccontato che l’obiettivo di Cosa nostra era
di buttare giù il governo. Le parole del pentito fanno riferimento agli
anni delle grandi stragi di maie e alle sue collusioni con le istituzioni.
«Incontrai Giuseppe Graviano in un bar in via Vittorio Veneto» ricorda Spatuzza. Il suo atteggiamento era felice perché avevano ottenuto
ciò che volevano grazie all’appoggio di persone serie. «Mi venne fatto
il nome di Berlusconi. Chiesi se si trattava di quello di Canale 5 e mi rispose di sì e poi mi parlò di un compaesano». Personaggi che nel ricordo
di Spatuzza erano deinite da Graviano come aidabili, non come quei
«quattro socialisti» dell’88 che gli avevano mosso guerra dopo le elezioni. Alla domanda del procuratore generale che gli chiede se aveva mai
sentito nominare Dell’Utri prima di quell’occasione, Spatuzza risponde
no, mentre su Berlusconi sapeva solamente che si trattava del capo di
Mediaset e che non era afatto a conoscenza dei suoi interessi politici. Pietro Romeo, altro killer dei Graviano, conferma le dichiarazioni di
Spatuzza: «Chiedemmo se il politico dietro le stragi fosse Andreotti o
Berlusconi. Spatuzza rispose: “Berlusconi”. La motivazione stragista di
Cosa Nostra era quella di far togliere il 41 bis».
Per quanto riguarda le sanguinose stragi del ‘93, il pentito ha ammesso di aver fatto parte per circa vent’anni di Cosa Nostra, un’associazione
da lui stesso deinita terroristica perché dopo gli attentati di Capaci e
Via D’Amelio ci si era spinti troppo oltre come con il disegno criminale
ai danni di Maurizio Costanzo. Spatuzza ricorda che «vigliaccamente,
dopo la strage di Capaci abbiamo gioito e altrettanto vigliaccamente lo
abbiamo fatto anche dopo la strage di via D’Amelio». Nella deposizione
il pentito ha aggiunto: «Giuseppe Graviano durante un incontro avvenuto nel ‘94 mi disse: è bene che ci portiamo un po’ di morti dietro, così
chi si deve dare una mossa se la da…». Alla domanda del pg Antonino
Gatto sulle collusioni tra politica e maia, il collaboratore di giustizia risponde che mentre si trovava a Roma, alla vigilia dell’attentato da compiere in piazza San Giovanni, gli venne aidato l’incarico da Graviano di
imbucare cinque lettere. «Un’anomalia, che noi informassimo qualcuno
sull’attentato» commenta Spatuzza. Sempre a Roma «era tutto pronto
per il progetto di uccidere un bel po’ di carabinieri», prosegue il pentito.
Allo Stadio Olimpico era già stato tutto predisposto e si sarebbe utilizzato una nuova tecnica esplosiva «che non aveva mai usato nessuno,
neppure i talebani, mettendo tondini di ferro per aumentare la delagrazione», ma alla ine il comando di azionamento dell’esplosivo non ha
funzionato e il commando ha fatto rientro a Palermo.
60
Dalla P2 alla P4
Il colpo di scena al processo viene dall’interrogatorio ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Dei due parla solo il primo, e smentisce le
dichiarazioni di Spatuzza: «Non ho mai conosciuto il senatore Dell’Utri
né direttamente né indirettamente e quindi non ho mai avuto rapporti
con lui», ha detto Filippo Graviano, che poi ha negato anche di aver
avuto un colloquio con lo stesso Spatuzza nel 2004. Il pentito aveva
riferito che Filippo gli avrebbe detto: «Se non arriva nulla da dove deve
arrivare possiamo pensare a parlare con i magistrati ma prima dobbiamo parlarne con mio fratello Giuseppe». Graviano invece lo ha smentito: «Non ho mai detto quelle cose a Spatuzza. Se ci fosse stata una
vendetta da consumare non avrei aspettato tanto… Non è che abito
in un hotel. Nel ‘94 (periodo in cui ci sarebbero stati contatti tra maia
e politica, nda) non c’era nessuno che doveva farmi promesse, perché
io all’epoca dovevo scontare solo quattro mesi di carcere. Perché avrei
dovuto chiedere aiuto?».
A margine dell’interrogatorio di Graviano ha parlato anche l’imputato, Marcello Dell’Utri, che ha detto: «Sono meravigliato della dignità e
della compostezza di questo signore. Ha detto cose che mi meravigliano. Nel guardarlo ho avuto l’impressione di dignità da parte di uno che
si trova in carcere e ha delle soferenze. A diferenza dell’impressione
che mi ha fatto Spatuzza, mi è parso di vedere dalle parole di Filippo
Graviano il segno di un percorso di ravvedimento».
Deponendo nuovamente il 5 maggio 2011 in videoconferenza dal
carcere di Parma al processo sulle stragi del 1993 in corso davanti alla
Corte d’Assise di Firenze, Filippo Graviano ha negato di aver mai avuto
contatti con Marcello Dell’Utri e di conoscere Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore. Alla stessa domanda posta a Filippo, il fratello Giuseppe,
in collegamento video con l’aula bunker di Firenze dal carcere di milanese di Opera, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Una fonte della Dia nel 1996 aveva rivelato che Dell’Utri avrebbe
avuto rapporti con i boss Giuseppe e Filippo Graviano, interessati a inanziare Forza Italia dopo la scomparsa della Dc. Secondo la fonte i due
boss «trasferivano ingenti capitali a Dell’Utri» attraverso un parente
dell’eurparlamentare Salvo Lima, ucciso dalla maia nel 1992. L’informatore della Direzione investigativa antimaia ha rivelato di aver accompagnato (tra il ’92 e il ’93) i Graviano al ristorante «L’assassino» di
Milano, dove si sarebbero incontrati con Dell’Utri. La fonte ha poi rivelato di avere assistito tra il ’91 e il ’91 a diverse telefonate tra i Graviano
e Dell’Utri, dalle quali emergevano «interessi economici in comune in
Lombardia e Sardegna nel settore immobiliare».
Il Grande fratello Silvio B.
61
Anche Massimo Ciancimino, iglio dell’ex sindaco maioso di Palermo
morto il 19 novembre 2002, ha sostenuto che nel ‘92 il nuovo referente
istituzionale della maia sarebbe stato Dell’Utri, afermando che tra il
senatore e Provenzano ci sarebbero stati rapporti diretti. «Mio padre
mi disse che c’erano rapporti diretti tra Bernardo Provenzano e Marcello Dell’Utri. Glielo riferì lo stesso Provenzano» ha dichiarato Massimo
Ciancimino al processo a Mario Obinu e Mario Mori per favoreggiamento alla maia (secondo l’accusa l’ex capo del Sisde ed ex generale del
Ros avrebbe evitato la cattura di Provenzano). «Dopo il suo arresto a
dicembre del ‘92 – continua Ciancimino jr. − mio padre si convinse che,
una volta sfruttato il suo contributo per l’arresto di Riina, i carabinieri
l’avevano tradito e che avevano un nuovo interlocutore, probabilmente con l’avallo di Provenzano. Anni dopo mi rivelò che, secondo lui, il
nuovo referente istituzionale sia della maia che dei soggetti che avevano condotto la trattativa fosse Marcello Dell’Utri». Questa tesi sarebbe
avvalorata, secondo l’ex sindaco, dal fatto che subito dopo aver consegnato la documentazione che portava al covo del boss, gli era stata notiicata una nuova misura cautelare, evidentemente perché era entrato
in gioco un altro soggetto che aveva assicurato nuove garanzie. Oltre
a queste ipotesi, Massimo Ciancimino aggiunge che nel 1992 (l’anno
dell’avanzata politica della Rete e della Lega) tra il padre Vito, Provenzano e l’agente dei servizi che avrebbe seguito tutte le vicende, si discuteva
della necessità di non disperdere l’enorme patrimonio elettorale della
Dc, di cercare cioè il riferimento in un’altra entità politica. Ciancimino
ha poi dichiarato: «Forza Italia è il frutto della trattativa tra lo Stato e
Cosa Nostra dopo le stragi del 1992». Gliel’avrebbe riferito suo padre
Vito, che secondo il iglio avrebbe permesso una trattativa tra Carabinieri e boss maiosi.
La teoria del «Quarto livello», una struttura che, secondo la costruzione attribuita al padre, sarebbe composta da uomini dello Stato e
posta al di sopra del potere maioso, vacilla quando il 21 aprile 2011
Massimo Ciancimino viene arrestato con l’accusa di calunnia aggravata
nei confronti dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, oggi responsabile del Dipartimento informazioni per la sicurezza, l’organo al vertice dei servizi segreti. L’ex sindaco maioso di Palermo nel 1990 aveva
spedito a se stesso una cartolina postale per documentare, attraverso il
timbro postale, la data esatta dei documenti da lui prodotti. Sulla cartolina − consegnata dal iglio ai magistrati il 15 giugno 2010 − aveva scritto tredici nomi. Oltre agli ex ministri Franco Restivo e Attilio Ruini,
una lista di funzionari di strutture dei servizi, ex capi della Polizia, ex
62
Dalla P2 alla P4
alti commissari: Giuseppe Santovito, Riccardo Malpica, Vincenzo Parisi, Domenico Sica, Emanuele De Francesco, Bruno Contrada, Lorenzo
Narracci, Angelo Finocchiaro, Francesco Delino, Arnaldo La Barbera e
Michele Finocchi. Un altro personaggio era indicato come «F/C Gross».
Ma quel nome era cerchiato e una freccia riportava a un altro nome
aggiunto successivamente: De Gennaro. Peccato che quella identica
scritta compariva in un altro documento di Vito Ciancimino, stavolta
originale, che il iglio ha portato in Procura molto tempo dopo: il 7 febbraio 2011. Una comparazione tra i due scritti ha stabilito una verità
incontrovertibile. La fotocopia della lista del «Quarto livello» era stata
manipolata e il nome di Gennaro era comparso dopo una trasposizione.
Massimo Ciancimino aveva lavorato, proprio come aveva detto in aula
il generale Mario Mori, con Photoshop, un software informatico per
la graica. Il 19 aprile la polizia scientiica ha presentato ai magistrati
l’esito della comparazione. Inevitabile il fermo ordinato dal procuratore
aggiunto di Caltanissetta Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido: raccontando la storia del «signor Franco», uomo dei
servizi entrato nella «trattativa» mediata dal padre Vito, Ciancimino jr
avrebbe calunniato De Gennaro. Massimo Ciancimino è stato fermato
sull’autostrada tra Parma e Bologna mentre si accingeva a raggiungere
la Francia per le vacanze di Pasqua. Da quando ha cominciato la sua
collaborazione, Massimo Ciancimino ha portato ai magistrati più di 250
documenti del padre: appunti, annotazioni, liste di nomi eccellenti, carte conservate «a futura memoria». Massimo Ciancimino sostiene di aver
ricevuto da un suggeritore da lui indicato come «mister X» varie carte e
documenti. «Non ho scritto io il nome di De Gennaro accanto agli altri
della lista − si è giustiicato Ciancimino al processo di Palermo -. Mio
padre cerchiò la parola “Gros”. Non ricordo che lui lo scrisse. Quando
“mister x” mi ha consegnato la fotocopia con De Gennaro io mi sono
stupito perché questa aggiunta io non l’avevo mai vista». E sembra che
le prime conferme siano arrivate. Quella persona indicata da Ciancimino esisterebbe veramente. Sarebbe un ex sottuiciale dell’Arma, che fu
autista del generale dei Carabinieri Giacinto Paolantonio, nel periodo in
cui era comandante dei vigili di Palermo.
«Non mi piace commentare in pubblico le indagini ancora in corso,
ma ciò che posso dire è che abbiamo sempre usato la massima cautela nei confronti delle informazioni che ci ha fornito. Sapevamo che i
suoi racconti avevano dei limiti. Ciò che narrava era spesso il risultato
di quanto aveva appreso dai racconti del padre (Vito Ciancimino, ndr) e
quindi ne abbiamo sempre considerato il grado di attendibilità. Le sue
Il Grande fratello Silvio B.
63
dichiarazioni non erano mai valide da sole, andavano sempre veriicate».
Così il procuratore aggiunto Ingroia ha commentato il fermo di Ciancimino. Il pm ha sottolineato che «la calunnia riguarda un documento
che non era mai stato tenuto in considerazione perché il contenuto era
stato giudicato inutilizzabile. Questo signiica che le indagini scaturite
dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino non sono state intaccate da
quello che è accaduto alcuni giorni fa, anche se il reato che ha commesso
rischia di compromettere la sua credibilità». Per il magistrato palermitano «La credibilità di Ciancinimo è minata, l’accusa di calunnia aggravata
non è acqua fresca. Ma è vero che sue dichiarazioni stanno in piedi a
prescindere dalla sua attendibilità generica e che sono riscontrate da
elementi speciici».
Intanto, il 29 giugno 2010 la seconda sezione della Corte d’appello
di Palermo ha condannato Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione
per concorso in associazione maiosa. Il collegio presieduto da Claudio
Dall’Acqua, a latere Salvatore Barresi e Sergio La Commare, ha ridotto la
pena inlitta in primo grado al senatore del Pdl (il procuratore generale
Antonino Gatto aveva chiesto 11 anni di reclusione). Nelle 641 pagine
depositate in cancelleria i giudici spiegano il perché della condanna, legata ai fatti avvenuti ino al 1992: Dell’Utri avrebbe svolto una attività
di «mediazione» e si sarebbe posto quindi come «speciico canale di collegamento» tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Questo nonostante i giudici scrivano di Massimo Ciancimino che «L’incontestabile progressione
accusatoria che caratterizza, con ogni evidenza, le sue dichiarazioni sul
conto dell’imputato dell’Utri non può che irrimediabilmente reluire in
maniera oltremodo negativa sull’attendibilità e sulla credibilità».
Marcello Dell’Utri lo aveva detto in passato e lo ha ripetuto in occasione della sentenza d’appello: «Vittorio Mangano è stato il mio eroe».
Spiegandolo ai giornalisti che lo hanno incontrato per un commento
sulla sentenza della Corte d’Appello che lo condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione maiosa, ha citato anche i fratelli Karamazov, quando Andrej viene presentato come un furfante ma eroe.
«Era una persona in carcere, ammalata − ha detto − invitata più volte a
parlare di Berlusconi e di me e si è sempre riiutato di farlo. Se si fosse
inventato qualsiasi cosa gli avrebbero creduto. Ma ha preferito stare in
carcere, morire, che accusare ingiustamente. È stato il mio eroe. Io non
so se avrei resistito a quello a cui ha resistito lui».
Con la sentenza di Palermo (che ridimensiona le tesi accusatorie di
una trattativa tra Stato e maia) si chiude il secondo grado di un processo lungo quasi trecento udienze (fra il primo grado, terminato l’11 di-
64
Dalla P2 alla P4
cembre del 2004 con la condanna a 9 anni, ed il secondo che si è aperto
nel maggio del 2006), la cui vera data d’inizio si può issare al 18 febbraio del 1994. A Caltanissetta si indagava per le stragi e Ilda Boccassini,
nel corso di un interrogatorio del pentito Salvatore Cancemi, gli chiese
seccamente: «La Fininvest paga il pizzo per le antenne in Sicilia?». «Pagava il pizzo», fu la breve risposta di Cangemi.
Durante l’intervista rilasciata a Moby Dick l’11 marzo 1999 Dell’Utri
ha afermato: «Come disse giustamente Luciano Liggio, se esiste l’antimaia vorrà dire che esiste pure la maia. Io non sto né con la maia, né
con l’antimaia. Almeno non con questa antimaia che complotta contro
di me attraverso pentiti pilotati» ed in conclusione di programma fece
una gafe, per meglio dire un lapsus linguae: «è chiaro che io, purtroppo,
essendo maioso… cioè, essendo siciliano..». Su questo fatto il pentito
Giusto Di Natale ha afermato, durante il processo a Dell’Utri (1° marzo
2004): «Diciamo che a quel tempo eravamo in carcere e tutti si aspettavano una bella uscita del dottore Dell’Utri. Dopo l’intervista − che
è andata male perché… o almeno così pensavano in carcere che aveva
fatto una iguraccia con quei lapsus freudiani e con il dire allora che lui
non sapeva se esisteva la maia − l’indomani, quando si stava cercando
di commentare questa situazione, insomma, si era sparsa la voce che
a nessuno era permesso di commentare quell’intervista. […] questa situazione arrivò dai Galattolo, se non sbaglio c’era pure il dottore Guttadauro». Successivamente Dell’Utri ha corretto il tiro, dichiarando che
«l’antimaia costa troppo per quello che produce».
Negli anni Settanta Dell’Utri è l’uomo di iducia di Berlusconi nelle
società immobiliari del futuro presidente del Consiglio. Il 15 settembre
1977 la Edilnord Sas cede alla neo costituta Milano2 Spa tutto il costruito di Milano 2 più alcune aree ancora da ediicare, e la ragione sociale
dell’Immobiliare San Martino, che detiene la proprietà dell’omonima
villa, viene mutata in Milano 2 Spa. La sede viene trasferita a Segrate,
e Dell’Utri esce di scena. In pochi giorni il capitale della Milano 2 Spa
passa da un milione a 500 milioni, e il 19 luglio 1978 viene elevato a
due miliardi. Il 6 dicembre 1977 Umberto Previti, 76 anni, padre del
futuro ministro della Difesa Cesare, entra come socio accomandatario
in Edilnord, con il mandato di chiudere la società. Nel gennaio 1978 la
Edilnord viene liquidata, ed al suo posto nasce la Milano 2 Spa, costituita a Segrate dalla fusione con l’Immobiliare San Martino Spa. Il 24 ottobre 1979 il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza
efettuerà un’ispezione lampo negli uici della società. Gli uiciali sono
il colonnello piduista Salvatore Gallo (n. 2200) e il capitano Massimo
Il Grande fratello Silvio B.
65
Maria Berruti. Dopo il 1985, anno in cui fu arrestato e indagato per
tangenti (lo «scandalo Icomec», che alla ine lo vide solo momentaneamente assolto), Berruti trovò lavoro prima come commercialista, e in
seguito come consulente nella Fininvest, dove si occupò di società estere e del Milan. Rientrato nelle Fiamme gialle, nel 1994 Berruti condusse
un’altra ispezione presso la Fininvest, e si recò personalmente in visita
da Silvio Berlusconi (allora presidente del Consiglio) a Palazzo Chigi.
Questi eventi portarono all’apertura delle inchieste sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza, e Berruti venne accusato di favoreggiamento, ed in particolare di aver tentato di depistare le indagini cercando
di non far parlare i inanzieri arrestati. Condannato a 10 mesi in primo
grado, pena successivamente ridotta a 8 mesi di carcere, dal 1996 Berruti è deputato, eletto prima con Forza Italia, e poi nelle liste del Pdl.
Attualmente Villa San Martino è di proprietà della Dolcedrago Spa
(Berlusconi risulta in possesso del 99,5% delle azioni, mentre il restante
0,5% è diviso in parti uguali tra i igli Marina e Piersilvio, avuti dalla
prima moglie Carla Elvira Lucia Dall’Oglio), insieme alle principali proprietà immobiliari del Cavaliere, tra le quali igurano due ville a Porto
Rotondo (le coninanti Villa Certosa e Villa Stephanie), una a Macherio, Lesa, Lesmo e alle Bermuda. La Dolcedrago S.p.A controlla anche le
quote di maggioranza di altre piccole e medie società immobiliari italiane e detiene il totale controllo della Videodue S.r.l, società che gestisce
i diritti di 106 ilm.
La holding capogruppo Fininvest nacque in due tappe. Il 21 marzo
1975 a Roma Berlusconi diede vita alla Fininvest Srl con 20 milioni di capitale, lo stesso anno (11 novembre) i 20 milioni diventano due miliardi.
L’8 giugno 1978, sempre in salita da Tolentino, le solite Società azionaria
iduciaria e Servizio Italia iduciaria Spa danno vita alla Finanziaria di Investimento Srl, un solo impiegato, ancora con 20 milioni di capitale iniziale ma il 30 giugno 1978 (quindi 22 giorni dopo la fondazione) quei 20
milioni aumentano a 50 e il 7 dicembre raggiungono quota 18 miliardi. Il
26 gennaio 1979 le due Fininvest si fondono, e Umberto Previti diventa
amministratore unico. Dopo sei mesi, nel luglio 1979, la Fininvest trasloca a Milano, e Previti, secondo lo schema già collaudato con Dell’Utri
nell’Immobiliare San Martino, esce di scena, per lasciare il posto a Berlusconi che ne diventa presidente. Nel Cda della società siedono il fratello
Paolo e il cugino Giancarlo Foscale, iglio dello zio Luigi.
Il 19 giugno 1978 nascono le 38 holding (si chiamano Holding Italia
I, II, III, così via) che detengono il capitale sociale di Fininvest, che poi,
negli anni, scendono a 23, poi a 22, a 20 ed inine a otto. Appartengono
66
Dalla P2 alla P4
al 90% a una prestanome, Nicla Crocitto, anziana casalinga abitante a
Milano 2, e per il restante 10% al marito Armando Minna, ex sindaco
della Banca Rasini. Il 5 dicembre 1978 i due coniugi escono a loro volta
di scena, e sono sostituiti da due iduciarie, la solita società azionaria
iduciaria e Parmaid. Ogni holding ha il minimo possibile di capitale
sociale (20 milioni). Ma tra il 1978 e il 1985 nelle holding entrano circa
93,9 miliardi di lire. Sconosciuta l’origine, noti i nomi dei prestanome:
dalla casalinga al meccanico a un invalido in carrozzina di 75 anni (l’amministratore della Palina Srl, società di transito usata per far passare 27
miliardi del 1979, di provenienza ignota, alle holding Fininvest, amministrata da Enrico Porrà, colpito da ictus, che veniva accompagnato in
carrozzella a irmare gli atti nei consigli d’amministrazione). Numerose
le banche che lavorano con le holding: la Popolare di Abbiategrasso, la
Popolare di Lodi, e anche la Rasini. Berlusconi, interrogato nel 2002
dal pm palermitano Antonio Ingroia sull’origine dei inanziamenti provenienti dalla Svizzera, si avvalse della facoltà di non rispondere; per
questo, anche a causa delle leggi svizzere sul segreto bancario, non
è stato possibile accedere alle identità dei possessori dei conti cifrati
inerenti al lusso di capitali transitato all’epoca e in piena disponibilità
della Fininvest. Attualmente il 61% della società è detenuto da Berlusconi, mentre la quota restante è nelle mani dei 5 igli (7,65% a testa
per Marina e Piersilvio e 7,143% a testa a Barbara, Eleonora e Luigi,
nati dal matrimonio con Veronica Lario). Fininvest controlla a sua volta
Mediaset (38%) − nata nel 1995 dallo scorporo delle attività televisive − Mondadori (50%), Milan (100%), Mediolanum (35%) e il Teatro
Manzoni (100%).
Negli anni ’70 Berlusconi si occupava di comprare terreni, procurare
licenze edilizie e rivendere gli appartamenti ediicati. Ma a partire dalla
seconda metà degli anni Settanta il mercato immobiliare entrò in crisi,
e Berlusconi rischiò il fallimento. Contrastano con la realtà inanziaria
di quel periodo le motivazioni con le quali nel 1977 il Presidente della
Repubblica Giovanni Leone, grande amico di Licio Gelli, lo nominò, a soli
40 anni, Cavaliere dell’Ordine al merito del Lavoro: «Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti, decise di dar vita
ad una attività indipendente nel settore dell’industria edile fondando la
società Cantieri riuniti milanesi Spa. Nel 1963 ha costituito la società
Edilnord che ha realizzato, tra l’altro, in provincia di Milano, un centro
per quattromila abitanti, il primo in Lombardia dotato di centro commerciale, centro sportivo, campi di gioco, scuole materne ed elementari.
Dal 1969 al 1975, in applicazione di una nuova concezione urbanisti-
Il Grande fratello Silvio B.
67
ca, Silvio Berlusconi ha realizzato la costruzione di Milano 2, una città
per diecimila abitanti contigua a Milano, dotata di tutte le più moderne
attrezzature pubbliche e sociali, la prima unità urbana in Italia con tre
circuiti diferenziali per auto, ciclisti e pedoni. È presidente e direttore
generale della Edilnord progetti Spa e presidente della Fininvest Spa».
A vendere le case di Milano 2 ci pensò un altro ailiato alla loggia
segreta (nel Piano di rinascita nazionale, c’era un capitolo per favorire la
creazione di città satellite), il napoletano Ferruccio De Lorenzo (n. 25),
già sottosegretario liberale in un governo Andreotti, e padre di Francesco, futuro ministro della Sanità e imputato di Mani pulite. Ferruccio
De Lorenzo acquistò a prezzi maggiorati, come presidente dell’Enpam
(l’Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici italiani) due hotel
a Segrate e decine di appartamenti a Milano 2. L’Enpam decise poi di
aidare a Berlusconi anche la gestione del teatro Manzoni di Milano (attualmente posseduto tramite Fininvest), all’epoca controllato dall’ente,
dove il Cavaliere conobbe la sua futura moglie Veronica Lario (nome
d’arte di Miriam Bartolini). Mino Pecorelli, tre mesi prima di essere assassinato scriveva a proposito: «Silvio Berlusconi, noto costruttore milanese, è uscito dalle diicoltà inanziarie che lo angustiavano a causa
dell’equo canone. […] Per fortuna sua Carmelo Conte, un palermitano
dalle mille maniglie, gli ha fatto vendere all’Ordine dei medici appartamenti di Milano 2 per 33 miliardi». Berlusconi, con le sue società e
sorretto da anonime iduciarie e dai inanziamenti del maggiore istituto di credito italiano, la Banca nazionale del lavoro, e dal Monte dei
Paschi di Siena, che a partire dal 1978 erano ormai saldamente sotto il
controllo di dirigenti ailiati alla P2, aveva intanto potuto realizzare la
costruzione di diversi centri residenziali, vere e proprie città satelliti,
tra cui le più importanti erano Brugherio, con la quale era iniziata l’avventura berlusconiana, la Milano 2 citata da Pecorelli, e Milano 3, in
fase di realizzazione. Milano 2, soprattutto, completata nel 1979, fu al
centro di uno scandalo dalle grosse proporzioni: Berlusconi, preoccupato dalla svalutazione economica causata dall’inquinamento acustico del
nuovo centro, che sorgeva sulla rotta degli aerei in partenza dal vicino
aeroporto di Linate.
68
Non si può governare la Chiesa con le Ave Maria.
Paul Marcinkus
La lavanderia vaticana
La provenienza dei capitali che hanno dato vita alla Fininvest resta
sconosciuta, ma qualche ipotesi è possibile farla, partendo proprio dal
padre del Cavaliere, Luigi Berlusconi, che in quegli anni fu direttore generale della Banca Rasini, dove tenevano i conti correnti noti maiosi
e narcotraicanti siciliani come Antonio Virgilio, Salvatore Enea, Luigi
Monti, legati a Vittorio Mangano, il maioso che lavora come fattore
nella villa di Arcore fra il 1973 e il 1975.
Nel 1974 alle Isole Cayman, grazie a Capitalin (società inanziata
dalla Bnl targata P2, e successivamente da Roberto Calvi) nacque Fininvest Limited, seguita, tre anni dopo, da Finservice (inanziata da una
delle società estere del piduista Calvi, come risulta nel rapporto redatto
dal condirettore della Banca d’Italia a Palermo, Francesco Paolo Giuffrida, per i pm romani Luca Tescaroli e Maria Monteleone). Poco dopo,
verso la ine del 1979 o gli inizi del 1980, come dichiarato nell’interrogatorio del 7 aprile 1983 da Filippo Leoni, alto funzionario del Banco
ambrosiano, la Capitalin venne inanziata da Andino per conto dello
Ior di Paul Marcinkus, che deteneva una partecipazione nella società.
Sono gli anni della gestione spregiudicata delle inanze vaticane da parte del prelato statunitense (intervistato dal quotidiano he Observer, il
25 maggio 1986, dichiarò: «You can’t run the Church on Hail Marys»,
ovvero «Non si può governare la Chiesa con le Ave Maria»), che si aidava ai banchieri della P2 (Calvi e Michele Sindona) per costruire un complesso intreccio di operazioni inanziarie mirate ad assicurare alla banca
vaticana altissimi rendimenti, ma anche per inanziare operazioni coperte. A mettere in contatto Marcinkus con Sindona fu l’uomo d’afari
americano David Matthew Kennedy, allora presidente della Continental
Illinois National Bank di Chicago, poi nominato nel 1969 ministro del
Tesoro nell’amministrazione Nixon. Marcinkus, che nel 1971 divenne
presidente dell’Istituto per le opere di religione (carica che mantenne
La lavanderia vaticana
69
ino al 1989) partecipò ben 23 volte al Consiglio di amministrazione del
Banco ambrosiano. Il prelato rimase invischiato, in quanto presidente dello Ior, nello scandalo del crack della banca di Calvi, riuscendo ad
evitare, grazie al passaporto diplomatico, il mandato di cattura emesso
per concorso in bancarotta fraudolenta il 20 febbraio 1987 dal giudice
istruttore del Tribunale di Milano (la Corte di Cassazione prima, e quella Costituzionale poi, annullarono il mandato in base all’articolo 11 dei
Patti Lateranensi: Marcinkus era in possesso di un passaporto diplomatico che lo rendeva immune), e rimase in Vaticano sino al 1997, quando,
come prescritto dal Codice di diritto canonico, all’età di settantacinque
anni si dimise da ogni incarico, facendo ritorno alla sua arcidiocesi di
Chicago, per poi trasferirsi deinitivamente a Sun City, in Arizona, dove,
da pensionato, ricoprì la carica di quarto parroco della chiesetta di San
Clemente passando il tempo a giocare a golf, ino alla morte sopravvenuta il 20 febbraio 2006. A seguito dello scandalo, l’allora ministro del
Tesoro Beniamino Andreatta impose lo scioglimento dell’Ambrosiano e
la sua liquidazione coatta, avvenuta il 6 agosto 1982. Andreatta stesso
tenne uno storico discorso in Parlamento l’8 ottobre 1982, riferendo
pubblicamente delle responsabilità della banca vaticana e dei suoi dirigenti, fra cui lo stesso Marcinkus. Secondo i suoi calcoli, il Vaticano fu
coinvolto nello scandalo per una somma di circa 1.500 miliardi di lire,
mentre il lusso di soldi uscito dalle casse dell’Ambrosiano ammonta a
2.000 miliardi di lire, dei quali 1.800 initi nelle casse dello Ior. Il 26
maggio 1984 lo Ior raggiunse un accordo con i liquidatori del Banco
ambrosiano, impegnandosi a versare 250 milioni di dollari come «contributo volontario», da destinare al risarcimento dei creditori (lo Ior in
realtà pagò solo 242 milioni di dollari, concordando la transazione in
cambio del saldo immediato).
Per facilitare il drenaggio di questo iume di denaro, lo Ior di Marcinkus aveva concesso nel 1981 a Calvi lettere di patronage, con le quali
confermava che «direttamente o indirettamente» esercitava il controllo su Manic S.A. (Lussemburgo), Astoline S.A. (Panama), Nordeurop
Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panama), Erin S.A (Panama), Bellatrix S.A (Panama), Belrosa S.A (Panama), Starield S.A (Panama), società fantasma con sede in noti paradisi
iscali. Al centro di questa ragnatela di società of-shore, c’è proprio la
Barca Rasini, dove lavora il padre di Berlusconi, che inanzia le prime
operazioni del futuro premier. La piccola banca allora aveva una sede
unica in piazza Mercanti, a Milano, ma quote azionarie rilevanti erano
detenute da società con sede nel Liechtenstein. Di queste società, tre in
70
Dalla P2 alla P4
particolare, la Wootz Ansalt di Eschen, la Brittener Ansalt di Mauren e
la Manlands Financiere Sa di Schaan, che in totale dal 1981 possiedono
circa un terzo del capitale dell’istituto milanese, hanno come iduciario
l’avvocato di Vaduz Herbert Batliner, per 40 anni direttore unico della Banca nazionale del Liechtenstein, già presidente dal 1965 al 1970
dell’autorità per ricorsi amministrativi (ora tribunale amministrativo)
del Principato e della corte costituzionale (dal 1975 al 1980). Batliner,
che è specializzato in trusts e progettazione patrimoniale, è considerato
il terminale di molti fondi neri e di episodi di evasione iscale (nel 2007
ha patteggiato con la Germania il pagamento di una sanzione di due
milioni di euro) ed è uomo di iducia della Santa Sede, al punto che nel
1998 Giovanni Paolo II lo ha nominato gentiluomo di Sua Santità, il più
alto rango che un laico possa raggiungere in Vaticano, dove ancora oggi
presiede il Consiglio della Fondazione delle scienze sociali. Batliner non
è l’unico a detenere le chiavi delle società che controllano la Banca Rasini: insieme a lui c’è lo svizzero Alex Wiederkehr, membro di una nota
famiglia elvetica legata all’Opus Dei, che dagli anni ’30 del secolo scorso
si occupa della itta rete di società of-shore del Vaticano (in particolare panamensi), utilizzate con Sindona e Calvi per condurre operazioni
poco limpide. Questo gruppo operava a Lugano, anche attraverso la Zitropo, società costituita dai due banchieri per i loro afari comuni. La
Banca Rasini veniva quindi utilizzata per il lavaggio di denaro sporco,
come dichiarò al giornalista del New York Times Nick Tosches lo stesso
Sindona, poco prima di morire il 22 marzo 1986 per un cafè avvelenato
al cianuro nel carcere di Voghera.
Il coinvolgimento dello Ior negli afari della P2, sia in Italia, sia
all’estero, si salda con la necessità di fare fronte contro il comunismo,
che, se da una parte costituiva una minaccia militare e politica per le
liberaldemocrazie occidentali, unite nella Nato a guida Usa, dall’altra
metteva in crisi il ruolo della Chiesa nelle questioni religiose e morali.
In questo quadro, l’Opus Dei (detta la «massoneria bianca») ha fornito
un supporto ideologico e operativo, anche sotto il punto di vista inanziario, per sostenere i inanzieri ilo-occidentali e anticomunisti Sindona e Calvi e i loro amici piduisti. Nell’aiutare Sindona a rilevare alcune
partecipazioni vaticane, troviamo infatti personaggi come Wiederkehr
e John Mc Cafery, rappresentante in Italia della Hambros Bank di Londra e già capo del controspionaggio inglese nel nostro Paese, in contatto con il inanziere siciliano sin dagli anni Sessanta, e deinito dallo
stesso Sindona «molto vicino all’Opus Dei». L’Opus Dei è una prelatura
personale del papa (non risponde alle gerarchie ecclesiastiche, ma solo
La lavanderia vaticana
71
al Ponteice), fondata in Spagna il 2 ottobre 1928 da Josemaría Escrivá de Balaguer (morto nel 1975, beatiicato nel 1992 e canonizzato nel
2002 in San Pietro davanti a 300 mila persone), nata su approvazione
di Giovanni Paolo II nel 1982. In Spagna l’Opus Dei appoggiò il regime
di Francisco Franco, del quale Escrivá era amico personale, e si è sempre
caratterizzata per un atteggiamento molto conservatore, antimodernista, contro il relativismo, critica verso il Concilio Vaticano II, favorevole
al ritorno della messa in latino (come il vescovo scismatico Marcel Lefebrve, scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988) e rigida sulla morale
sessuale. Dopo lo scandalo della P2 e la legge Anselmi contro le associazioni segrete, i deputati indipendenti del Pci Franco Bassanini (poi
ministro per la Funzione Pubblica durante i governi dell’Ulivo) e Stefano Rodotà (nominato successivamente primo Garante per la protezione
dei dati personali) presentarono un’interpellanza al governo sull’Opus
Dei. L’allora ministro democristiano dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro
(poi eletto Presidente della Repubblica) difese così l’Opera: «L’Opus Dei
non è un’associazione segreta, nè in linea di diritto nè in linea di fatto,
qualsiasi indagine dello Stato sarebbe quindi un’inammissibile ingerenza nell’ordine interno della Chiesa». Tuttora non esiste un elenco uiciale dei membri dell’Opus Dei che, secondo il sito uiciale, consta di 84
mila aderenti in tutto il mondo (in Italia sono circa 5 mila, tra i quali,
si dice, igurerebbe anche Marcello Dell’Utri). Impossibile quantiicare
anche le ricchezze dell’Opera, coperte dalla più assoluta segretezza.
Negli anni in cui la Banca Rasini è diretta da Luigi Berlusconi, quindi,
la cassaforte dell’istituto di credito è nelle mani delle tre iduciarie del
Liechtenstein. Per conto di chi Batliner amministrava le tre misteriose
società che controllano la Rasini resta un mistero, che solo il silenzioso
avvocato di Vaduz può svelare. È certo che Calvi e Sindona ebbero un
ruolo di primo piano nella gestione della Rasini, e che non è da escludersi che avessero una partecipazione occulta nella banca, attraverso
le iduciarie estere. In poche parole, la Banca Rasini, proprio per le sue
caratteristiche di piccolo istituto di credito a gestione quasi familiare, si
prestava a condurre operazioni di riciclaggio di denaro sporco, potendo
fare aidamento in buona parte sugli ingenti capitali che monsignor
Marcinkus metteva a disposizione di Calvi e Sindona.
Quando nel 1970 Calvi, allora direttore centrale del Banco ambrosiano (diventerà direttore generale l’anno seguente) conosce Sindona,
gli subentra «nell’attività di riciclaggio che quest’ultimo aveva gestito»,
come ha dichiarato il 4 dicembre 2002 il boss Antonino Giufrè al pm
Luca Tescaroli, titolare del processo bis sulla morte del «banchiere di
72
Dalla P2 alla P4
Dio». Nel verbale del 3 marzo 2004, il pentito Giufrè aggiunge: «Mentre Sindona si brucia, Calvi “decolla”. Preciso che nel Banco ambrosiano
c’era stata un’immissione di denaro e di capitali che ha contribuito a
fargli acquisire importanza, e in questo entra Cosa nostra, che investe
in questa banca i suoi capitali. Il denaro di Cosa nostra fatto conluire
nella banca di Calvi era costituito da somme provenienti dalle attività
delittuose di Cosa nostra, in particolare, dal traico di stupefacenti. Tali
somme dovevano essere necessariamente reinvestite e la banca di Calvi
era il referente principale per queste operazioni. Il reinvestimento dei
proitti dell’attività illecita del Banco ambrosiano ha inizio tra la ine
degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. So tutte queste cose in
quanto io ho sempre tenuto rapporti con persone di livello nell’ambito
di Cosa nostra, come Lorenzo Di Gesù, che era il braccio destro di Pippo
Calò (il cassiere della maia, condannato al maxiprocesso a due ergastoli
nel 1987, nda)».
A confermare il legame tra il Vaticano, Calvi e la criminalità organizzata c’è anche l’afermazione dell’ex magistrato Ferdinando Imposimato, che nel suo libro Vaticano un afare di Stato. Le iniltrazioni. L’attentato. Emanuela Orlandi (Koiné nuove edizioni) scrive: «Roberto Calvi
aveva rapporti frequenti con la banda della Magliana: il banchiere riciclava denaro sporco». Suona infatti strano che le spoglie del boss della
Magliana, Enrico «Renatino» De Pedis, assassinato il 2 febbraio 1990, a
Roma in via del Pellegrino, nei pressi di Campo de’ Fiori, siano sepolte
in una cripta di proprietà dell’Opus Dei nella Basilica di Sant’Apollinare
a Roma, accanto a quelle di papi e martiri cristiani. Così l’allora vicario
di Roma, cardinale Ugo Poletti, che autorizzò la sepoltura, ha giustiicato la decisione del Vaticano: «È stato un benefattore dei poveri e ha
aiutato tante iniziative di bene», riiutando di rispondere alle domande
della magistratura italiana. Solo 10 anni dopo la magistratura ha disposto l’ispezione della cripta che contiene il corpo di De Pedis, in quanto la
basilica dove è sepolto non è soggetta ad extraterritorialità. Il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, che coordina le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, sparita nel nulla il 22 giugno 1983,
ipotizza che il rapimento della 15enne cittadina vaticana sia collegato
ai loschi afari tra la banda della Magliana, Calvi e l’arcivescovo Marcinkus, allora presidente dello Ior.
L’Istituto per le opere di religione, nato una prima volta nel 1887 sulla
base di quanto stabilito dalla Commissione «Ad pias causas» costituita
da Leone XIII, divenne una vera banca il 27 giugno 1942 con chirografo
di Pio XII, prevedendo che a usufruirne fossero dicasteri del Vaticano,
La lavanderia vaticana
73
conferenze episcopali, arcidiocesi e diocesi, parrocchie, nunziature, ordini religiosi, preti e monache. Non andò proprio così, quando si scoprì
che sulla riva del Tevere albergava per gli amici e gli amici degli amici
una banca onshore e al tempo stesso ofshore, dove tutto si poteva nel
maneggiare tanto denaro in dispregio delle regole. Nel mezzo secolo
successivo e se non ino ad oggi ino a ieri, è stata una teoria ininterrotta di scandali.
Quando il 26 agosto 1978 Albino Luciani salì a sorpresa al soglio di
Pietro, assumendo il nome di Giovanni Paolo I, circolarono subito le voci
di un complotto per evitare che il ponteice azzerasse i vertici dello Ior
per trasformarlo in una banca etica. Il giallo della morte del papa (solo
33 giorni di regno) venne alimentato dalla mancata autorizzazione
all’autopsia da parte del collegio cardinalizio. Secondo la ricostruzione
del giornalista britannico David Yallop (In nome di Dio, Pironti, 1997) il
papa sarebbe stato avvelenato dalla massoneria deviata legata alla P2 e
dai vertici della inanza della Santa Sede, che Luciani voleva decapitare.
Secondo Yallop sarebbero stati coinvolti nell’intrigo, oltre a Marcinkus,
il segretario di Stato Jean-Marie Villot, Calvi e Sindona, che, dopo la
morte di Giovanni Paolo I continueranno a gestire l’ingente patrimonio del Vaticano. Pochi giorni prima della scomparsa del Ponteice, sul
numero del 12 settembre di Op, Mino Pecorelli pubblicò un articolo intitolato La grande Loggia Vaticana, con un elenco di 121 esponenti delle
gerarchie ecclesiastiche e alti prelati che, secondo il settimanale, erano
ailiati alla massoneria. Tra essi Villot, Marcinkus, monsignor Agostino
Casaroli (capo del ministero degli Afari esteri del Vaticano), monsignor
Pasquale Macchi (segretario di Paolo VI), monsignor Donato de Bonis
(alto esponente dello Ior), il cardinale Ugo Poletti (vicario generale di
Roma), don Virgilio Levi (vicedirettore de L’Osservatore Romano) e Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana). Marcinkus entrò a far parte
della massoneria il 21 agosto 1967, con numero di matricola 43/649 e
soprannome «Marpa». Negli anni Settanta papa Paolo VI lo incaricò di
organizzare i propri viaggi, e nel 1970, nel corso del viaggio a Manila,
nelle Filippine, sventò un attentato al papa, deviando il pugnale con cui
un pittore aveva tentato di colpirlo e guadagnandosi così il soprannome
di «gorilla». Don Luigi Villa, il sacerdote di bresciano autore di numerosi
libri dedicati alla massoneria, era convinto che papa Luciani volesse
eliminare la presunta loggia vaticana. Il contrasto con Luciani risaliva
al 1972, quando il futuro papa era Patriarca di Venezia, e riguardava la
cessione da parte dello Ior del 37% delle azioni della Banca cattolica del
Veneto al Banco ambrosiano, senza avvisare i vescovi veneti. Per pro-
74
Dalla P2 alla P4
testa, i vescovi chiusero i loro conti presso la Banca cattolica del Veneto, e Luciani trasferì i conti dell’arcivescovado nel Banco di San Marco.
Divenuto papa, riconosciuto come innovatore e rinnovatore, Luciani
intendeva riportare la Chiesa cattolica agli ideali originari di umiltà e
semplicità, operando riforme nello Ior (l’istituto inanziario vaticano
fondato nel 1942 da Pio XII, con personalità giuridica, e che dipende
tuttora da una commissione cardinalizia) e nella stessa Curia. Secondo
Yallop ed il vaticanista Gianni Gennari, infatti, il papa aveva con sé un
taccuino, sparito poco dopo il ritrovamento del corpo, che conteneva un
piano di ristrutturazione delle gerarchie ecclesiastiche (fra cui la sostituzione di Villot e Marcinkus).
A dar ulteriore adito all’ipotesi dell’avvelenamento, concorrono le rivelazioni rilasciate a Paolo Borsellino dal pentito di Cosa nostra Vincenzo Calcara, e pubblicate nel suo memoriale del 2008. Vincenzo Calcara,
picciotto della zona di Castelvetrano cui la Cupola maiosa, per bocca di
Francesco Messina Denaro (capo della cosca di Trapani), aveva detto di
tenersi pronto per l’esecuzione del giudice antimaia, fu arrestato il 5
novembre, e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché,
secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato
una relazione con la iglia di uno dei capi di Cosa nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle regole maiose e suiciente a costargli
la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per «lavori sporchi», da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa
dall’organizzazione. Prima che inisse il periodo di isolamento, Calcara
decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con
Borsellino. Calcara − già considerato attendibile, in merito ad altre dichiarazioni, dal Tribunale di Roma, nona sezione penale, con sentenza
del 6 giugno 2003 − scrive di un colloquio con l’imprenditore e politico
maioso Michele Lucchese (membro di una loggia massonica segreta,
secondo Calcara) subito dopo l’attentato a Giovanni Paolo II (al quale i
maiosi partecipano indirettamente). Lucchese rivela a Calcara che Giovanni Paolo II stava perseguendo un disegno simile a quello di papa Luciani, il quale intendeva «rompere gli equilibri all’interno del Vaticano»,
attuando una redistribuzione dei beni della banca vaticana, sostituendo
i vertici dello Ior e della Segreteria di Stato (Marcinkus e Villot). Calcara parla così di una «congiura» di quattro cardinali (Jean-Marie Villot, Pasquale Macchi, Giovanni Benelli e un certo Gianvio) che, usando
Marcinkus, avrebbero fatto uccidere il papa per mezzo di ingenti dosi di
calmante, con l’aiuto del suo medico personale. Secondo Calcara, Marcinkus sarebbe stato il personaggio di raccordo fra l’«entità vaticana» e
La lavanderia vaticana
75
quella di Cosa nostra per le attività di riciclaggio di denaro. Il pentito,
fra l’altro, riferisce di aver trasportato a Roma, pochi mesi prima dell’attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, per conto di Tonino Vaccarino
(presunto consigliere della famiglia di Castelvetrano) dieci miliardi di
lire da investire in Sud America e nei Caraibi attraverso Marcinkus, lo
Ior e il notaio Francesco Albano. L’incontro si sarebbe svolto a casa di
quest’ultimo (a detta di Calcara membro, come Marcinkus, dell’Ordine
dei Cavalieri del Santo Sepolcro, «contatto» fra Cosa nostra e il Vaticano,
nonché notaio personale di Giulio Andreotti, del boss Luciano Liggio e
di Frank Coppola), alla presenza del notaio stesso, di Marcinkus, di un
cardinale, di Roberto Calvi, Vincenzo Culicchia (deputato al Consiglio
regionale della Sicilia), Stefano Accardo (detto «cannata»), Vincenzo
Furnari, Enzo Leone (anch’egli componente del Consiglio regionale della Sicilia), Antonino Marotta e il suo padrino Tonino Vaccarino.
«Santità − scrisse Roberto Calvi a papa Wojtyla poco prima di morire
impiccato sotto il ponte dei Frati neri a Londra − sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse
dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior; sono stato io che, su
preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui
inanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose
dell’Est e dell’Ovest; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho
coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo
scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie ilomarxiste; e sono io inine che oggi vengo tradito e abbandonato».
In seguito allo scandalo P2-Banco ambrosiano, lo Ior sarà riformato da Giovanni Paolo II nel 1989, con la soppressione della igura del
presidente, che dal 1971 era stata detenuta da Marcinkus, sostituita
da un direttore generale laico, aiancato da un consiglio di esperti (il
Consiglio di sovrintendenza), sempre laici, con ruoli puramente tecnici. Dal 1989, per 20 anni, lo Ior è stato diretto da Angelo Caloia, già
presidente del Mediocredito lombardo, nominato dalla commissione
cardinalizia di vigilanza formata da cinque porporati, e presieduta dal
segretario di Stato Tarcisio Bertone (il capo del Governo e ministero
degli Esteri vaticano), che controlla l’Istituto seguendo le indicazioni
della commissione dei Quindici, che sovrintende alle questioni organizzative ed economiche della Santa Sede. Nell’ottobre 1993 la Procura
della Repubblica di Milano ha chiesto a Caloia − sotto la cui gestione lo
Ior ha gestito 40 mila conti correnti in diverse valute, principalmente
dollari, euro, yen e franchi svizzeri − informazioni sulla destinazione di
gran parte della maxitangente Enimont (93 miliardi di lire). Secondo i
76
Dalla P2 alla P4
magistrati milanesi, la tangente, dalla banca vaticana, si sarebbe suddivisa in diversi iloni con destinazione Lussemburgo, Ginevra, Lugano e
Chiasso. La tranche più consistente avrebbe preso la strada della Banca
internazionale del Lussemburgo, mentre una fetta importante sarebbe
stata smistata da Luigi Bisignani, piduista, ed oggi personaggio inluente dell’entrourage berlusconiano. Il 23 settembre 2009 a Caloia è succeduto alla presidenza del Consiglio di sovrintendenza dello Ior Ettore
Gotti Tedeschi, banchiere dell’Opus Dei.
Un anno dopo essere giunto al vertice dell’istituto vaticano, Gotti
Tedeschi viene indagato dalla procura di Roma, insieme al direttore generale Palo Cipriani. Il gip Maria Teresa Covatta, su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e del pm Stefano Rocco Fava, dispone il
sequestro di 23 milioni di euro (su 28 complessivi) che si trovano su
un conto corrente aperto presso la sede romana del Credito Artigiano
(controllata dal Credito Valtellinese). Nel mirino dell’autorità giudiziaria, due operazioni che prevedevano il trasferimento di 20 milioni alla
JP Morgan Frankfurt e di altri tre alla Banca del Fucino fondata dai
principi Torlonia, che ogni giorno scambiano operazioni per centinaia
di milioni con lo Ior, considerato uno schermo dietro il quale quasi mai
c’è una persona isica o giuridica. L’inchiesta della procura prende il via
dalla segnalazione di una operazione sospetta da parte dell’Unità di informazione inanziaria della Banca d’Italia con sospensione della stessa
operazione per cinque giorni lavorativi. La denuncia è partita dall’Istituto di uno dei consiglieri di amministrazione dello Ior: Giovanni De
Censi, presidente del Credito Valtellinese che detiene il 70% delle azioni
del Credito Artigiano. Il 19 aprile 2010 il Credito Artigiano ha bloccato
i conti dello Ior e il 14 settembre 2010 ha denunciato l’istituto vaticano
alla Banca d’Italia, causando l’apertura del procedimento penale a carico
di Gotti Tedeschi. Si tratta della prima iniziativa assoluta (da quando,
nel 2003, la Cassazione ha attribuito alla giurisdizione italiana la competenza sullo Ior) che chiama in causa la banca vaticana e i suoi vertici.
La prima «informativa» della Banca d’Italia sullo Ior risale al 30 aprile
2009 per evidenziare le «criticità» di un conto corrente della banca vaticana presso una iliale UniCredit di via Conciliazione a Roma, tra cui
il «mancato rispetto degli obblighi di adeguata veriica della clientela»,
imposti dal decreto 231/2007. «Di norma non sono stati individuati i
titolari efettivi delle operazioni poste in essere dallo Ior − scrive l’Uif -;
ino al 31 gennaio 2008 non risultano assolti gli obblighi di registrazione nell’archivio unico informatico delle operazioni di versamento di
contante sul conto intestato allo Ior; in materia di negoziazione dei ti-
La lavanderia vaticana
77
toli di credito, è stata riscontrata una prassi tendente a escludere la tracciabilità dei fondi trasferiti oltre che violazioni alla legge sull’assegno».
Da allora è stato un susseguirsi di note, informative, circolari, in cui
si ribadisce lo status di banca extracomunitaria dello Ior ai ini della
normativa antiriciclaggio. Fino a quando, il 15 settembre 2010, l’Unità
di informazione inanziaria di via Nazionale, «sospende» due boniici
sul conto corrente Ior presso il Credito Artigiano, per complessivi 23
milioni di euro.
Il 18 gennaio 2010, con la nota «Rapporti con l’Istituto opere di religione», la Banca d’Italia comunica al Credito Valtellinese (che controlla
il Credito artigiano) che lo stato Città del Vaticano è incluso nella lista
dei paesi extracomunitari. Pertanto, nei rapporti con lo Ior si devono
applicare gli obblighi «raforzati» − e non sempliicati − di adeguata veriica previsti dal decreto 231. Deve, cioè, essere «acquisito l’impegno
formale della banca vaticana a identiicare i clienti e ad assolvere gli obblighi di adeguata veriica». Ed a fornire un lusso informativo periodico
che consenta di associare alla clientela la movimentazione di assegni,
l’esecuzione di boniici, le operazioni in contanti.
Il 4 marzo 2010, Bankitalia comunica alla Procura che lo Ior «è assimilabile a una banca» e il 9 settembre ribadisce che è una banca «extracomunitaria» per cui gli intermediari italiani devono applicare gli
obblighi «raforzati» di adeguata veriica. Nella stessa nota si segnala
che «sono emerse diicoltà» nell’applicazione di quegli obblighi e si aggiunge che, in caso di mancato rispetto della normativa antiriciclaggio,
le banche italiane devono astenersi o segnalare «operazioni sospette».
Intanto, il Credito Valtellinese e il Credito artigiano avviano con lo
Ior un protocollo di adeguamento alle regole, ma poiché non si conclude
entro i 90 giorni stabiliti, il 15 aprile comunicano a via Nazionale e allo
Ior di aver bloccato l’operatività del conto dal 19 aprile. Otto giorni dopo
ha luogo il primo di una serie di incontri, anche tecnici, tra vertici Ior e
Credito artigiano per deinire il protocollo, ma il 6 settembre la banca vaticana chiede di eseguire due boniici (3 e 23 milioni di euro, rispettivamente, alla banca del Fucino e alla JP Morgan di Francoforte), omettendo le informazioni richieste. Il Credito artigiano scrive quindi all’Uif di
non essere in grado di adempiere agli obblighi previsti dal decreto 231 e
chiede di sospendere le operazioni richieste: il 15 settembre l’Uif congela
i boniici e il 21 il giudice ne ordina il sequestro preventivo per violazione
della normativa antiriciclaggio. Ovvero, del decreto 231/2007.
Le indagini dei pm, intanto, si allargano ad altre operazioni sospette:
una serie di boniici per 900mila euro, risalenti al 2009, a dimostra-
78
Dalla P2 alla P4
zione che il modus operandi della banca vaticana violerebbe da tempo
la legge antiriciclaggio. Si tratta di un prelievo in contanti da 600mila
euro, efettuato per inalità non meglio precisate su un conto dello Ior
presso Banca Intesa San Paolo, e di assegni per 300mila euro incassati
su un conto Unicredit. La Uif ha comunicato alla Procura che, nel solo
2009, sul conto Intesa San Paolo sono stati movimentati 140 milioni
di euro in contanti. Tra i beneiciari dei boniici ci sarebbe anche don
Evaldo Biasini, indicato come il custode dei fondi neri dell’imprenditore
Diego Anemone nell’inchiesta perugina sugli appalti per i grandi eventi
aidati alla Protezione civile. Nel mirino dei pm ci sono anche assegni
per 300mila euro incassati dallo Ior, a novembre dello stesso anno, su
un conto presso Unicredit e negoziati da tale Maria Rossi, indicata come
la madre di un reverendo, titolare del conto. Dalle indagini emerge però
che quei soldi provengono da fondi di una banca di San Marino e che
Maria Rossi è un nome di pura fantasia. Ciò complicherebbe la posizione dei vertici dello Ior.
Fonti ai più alti livelli della Santa Sede parlano di tredici conti «laici»,
nel senso di non ecclesiastici (non si sa a chi siano intestati o a che cosa
siano serviti), che il nuovo corso vorrebbe, semplicemente, chiudere:
cancellando inoltre la possibilità che altri laici possano mai aprirne in
futuro. Se ne è parlato ma non è accaduto ancora nulla. E il fatto stesso
che Oltretevere ci sia chi scelga il termine «riduzione» anziché «abolizione» la dice lunga.
Per deinire ciò che è accaduto, d’altra parte, Ettore Gotti Tedeschi ha
scelto un termine neutro, «equivoco», e lo stesso padre Federico Lombardi (capo uicio stampa della Santa Sede) in una lettera al Financial
Times ha parlato di un «misunderstanding in via di approfondimento»
tra «lo Ior e la Banca che aveva ricevuto l’ordine di trasferimento».
Riguardo la vicenda, l’avvocato Gustavo Rai, Gran Maestro del
Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani − alla cui obbedienza
apparteneva la Loggia P2 di Gelli − in riferimento ad alcune notizie di
stampa circa un ruolo che avrebbe svolto la massoneria nella vicenda
che ha portato la procura di Roma ad aprire un fascicolo sullo Ior, ha
dichiarato che «è una scuola di pensiero e di vita e non si occupa di alta
inanza. Non attentiamo allo Ior o a Ettore Gotti Tedeschi per colpire
Ratzinger. Non si gettino ombre sulla nostra Istituzione». «È un gioco
della torre − ha continuato Rai − che non ci interessa afatto. Non c’è
alcun cappuccio o grembiule dietro il Cupolone e le sue inanze. E quel
banchiere che la stampa germanica continua a deinire “mister Arrogance” − ha proseguito Rai in trasparente riferimento a Alessandro Profu-
La lavanderia vaticana
79
mo − non ha alcun rapporto con la nostra istituzione. Se la Chiesa deve
scegliere “tra Dio e mammona”, come dicono i testi evangelici, è un fatto
loro. Noi − ha concluso il Gran Maestro di Palazzo Giustiniani − serviamo un solo “padrone”: la libertà».
Con lo scandalo della P2 (le liste vennero trovate il 17 marzo 1981),
l’arresto e la morte misteriosa di Calvi (18 giugno 1982) e soprattutto
con la scomparsa di Sindona (22 marzo 1986), la Banca Rasini, che di
fatto è uno strumento di riciclaggio della criminalità organizzata, resta
senza referenti, pur rimanendo nell’orbita andreottiana legata al potere
d’Oltretevere, e ad alcuni ambienti siciliani. Batliner conserva l’incarico
di iduciario delle tre famose società del Liechtenstein ino all’8 febbraio
1993, quattro mesi prima (il 21 luglio) che Brittener, Wootz e Manlands
passino nelle mani di Felice Rovelli e della madre Primarosa Battistelli,
che ne diventano consiglieri di amministrazione. Il 14 febbraio, pochi
giorni dopo le dimissioni di Batliner, in un’operazione di polizia nota
come il «Blitz di San Valentino», il direttore generale della Banca Rasini,
Antonio Vecchione (il successore di Luigi Berlusconi) venne arrestato
insieme a numerosi «uomini d’afari» siciliani. L’anno seguente, dopo
essere stato processato, Vecchione venne licenziato dalla banca.
È il momento in cui Silvio Berlusconi fa il suo ingresso uiciale in
politica, con la fondazione di Forza Italia. I Rovelli sono legati all’avvocato del Cavaliere, Cesare Previti, condannato in via deinitiva dalla
VI sezione della Cassazione, il 4 maggio 2006 a sei anni per aver corrotto il giudice Vittorio Metta (sei anni anche all’ex magistrato, 6 anni
per l’avvocato Attilio Paciico e 3 anni e 8 mesi per il collega Giovanni
Acampora) nella causa Imi-Sir, la cui sentenza «pilotata» costò allo Stato mille miliardi di lire che inirono nelle tasche di Felice Rovelli, per il
quale, nel frattempo, il reato è caduto in prescrizione. La condanna ha
comportato l’interdizione perpetua dai pubblici uici di Previti (che
nel 2007 è stato condannato anche per l’episodio di corruzione legato
al lodo Mondadori), e la decadenza dalla carica di deputato dell’ex ministro della Difesa del primo governo Berlusconi, con il seguente arresto
e la traduzione nel carcere romano di Rebibbia, nel quale è restato solo
pochi giorni per efetto della legge ex Cirielli (approvata qualche mese
prima, quando Previti era ancora efettivamente in carica). Con l’ingresso nel capitale delle misteriose società del Liechtenstein, Rovelli
diventa il «cavaliere bianco» che supplisce al vuoto di potere dell’istituto bancario legato alla triade Cosa nostra-P2-Vaticano, ino a quanto, nel 1992 viene acquisito dalla Banca popolare di Lodi di Giampiero
Fiorani, che cancellò gli archivi della Rasini. Successivamente la Popo-
80
Dalla P2 alla P4
lare di Lodi diventerà protagonista dello scandalo legato alla scalata
dell’Antonveneta, nata nel 1989 dalla fusione tra l’istituto di credito
vicentino fondato nel 1892 come Banca Cattolica del Veneto, e il Nuovo banco ambrosiano (poi Ambrosiano-veneto). Le vicende riconducibili alla gestione Fiorani hanno visto il coinvolgimento del senatore di
Forza Italia (ora Pdl) Luigi Grillo e dell’allora governatore di Bankitalia,
Antonio Fazio, legato alle gerarchie vaticane (anche lui vicino all’Opus
Dei e ai Legionari di Cristo, ordine fondato il 3 gennaio 1941 dal sacerdote messicano Marcial Maciel Degollado, morto a Houston il 30
gennaio 2008, a 87 anni, sospeso a divinis da papa Benedetto XVI due
anni prima, del quale è stato successivamente accertato che abbia avuto almeno una iglia da una delle sue amanti, accusato di dipendenza
da droghe, abusi sessuali, pedoilia, sottrazione di denaro della congregazione per ini personali).
La Banca Rasini è sempre stata al centro di intrecci con certi ambienti
siciliani, sin da quando, negli anni Cinquanta, i soci rappresentati da
Giuseppe Azzaretto, un imprenditore che face parte dell’entourage di
papa Pacelli (il Ponteice che, più di ogni altro, diede impulso all’espansione delle inanze vaticane) iniziarono ad acquistare quote sempre
maggiori dell’istituto di credito. Il legame tra Santa Sede e Rasini è stato confermato dal iglio di Giuseppe Azzaretto, Dario, amministratore delegato della banca, che ha ricordato in recenti interviste come il
padre fosse un referente delle inanze vaticane sin dalla ine della Seconda guerra mondiale. Giuseppe Azzaretto faceva parte dei Cavalieri
di Malta e dei Cavalieri del Santo sepolcro, che hanno annoverato tra i
loro adepti anche Licio Gelli e il inanziere piduista Umberto Ortolani.
Negli anni ’70 la famiglia Azzaretto prese il controllo della Banca Rasini,
insieme alle tre misteriose società del Liechtenstein, e nel 1973 nominò
presidente Carlo Nasalli Rocca di Corneliano, cavaliere di Malta e nipote
del cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, che ino al 1952 era stato il potente arcivescovo di Bologna. La Banca Rasini, dunque, era da
ascrivere in toto all’universo della inanza vaticana rappresentata dallo
Ior guidata da Marcinkus, che si avvaleva dei piduisti Sindona e Calvi
(e del Banco ambrosiano) per efettuare ingenti investimenti all’estero,
oltre che per riciclare i soldi della maia. In quel periodo (era il 26 aprile
1973), Marcinkus fu interrogato da William Lynch, capo della Organised Crime and Racheteering section del dipartimento di Giustizia degli
Stati Uniti, e William Aronwald, vice capo della Strike Force del distretto Sud di New York, riguardo un caso di riciclaggio di denaro e obbligazioni false che partiva dalla maia newyorkese e approdava in Vaticano,
La lavanderia vaticana
81
per un totale di 950 milioni di dollari. Alle indagini fecero seguito alcuni
arresti, ma Marcinkus fu assolto per insuicienza di prove.
Dove sia andato a inire tutto questo iume di denaro, è facile intuirlo. Il 13 marzo 1971 Sindona e Calvi fondarono alle Bahamas la Cisalpine Overseas Bank di Nassau (poi Banco ambrosiano Overseas, indagato
per riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraico, nel cui consiglio
di amministrazione iguravano anche Sindona e Licio Gelli), l’istituto
of-shore destinato alle operazioni estero su estero del Vaticano. Cisalpine raccolse nel giro di poco tempo 240 milioni di dollari. Nello stesso
periodo, sempre a Nassau, vennero costituite Capitalin e Servizio Italia, che, il 16 settembre 1974, insieme alla Società azionaria iduciaria,
sottoscriverà a Roma il capitale sociale dell’Immobiliare San Martino,
con Marcello Dell’Utri amministratore unico. In tutto questo vortice di
iduciarie e società estere, la Banca Rasini, diretta dal padre di Silvio
Berlusconi, rappresenta il braccio operativo in Italia.
L’astro di Michele Sindona è al crepuscolo, e tra Calvi ed il inanziere
siciliano avviene il passaggio di consegne, come ha dichiarato ai magistrati milanesi il boss Antonino Giufrè. L’ascesa dal nulla di Sindona
è stata rapidissima, grazie anche ai rapporti con il clan Gambino e con
altre famiglie maiose. Ma nel ’71 l’Opa sulla inanziaria Bastogi, fallita
per l’opposizione del fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia, segna il
suo tramonto. Dopo il crollo in America, la crisi dilaga anche nel suo
fragile impero italiano, inché la sera di martedì 24 settembre 1974 alle
23 un funzionario di Banca d’Italia telefona a casa dell’avvocato Giorgio
Ambrosoli. Alle 17 del giorno dopo il governatore Guido Carli gli conferisce l’incarico di «unico commissario liquidatore», come dirà lui stesso
alla moglie Annalori, della Banca privata italiana di Sindona. Ambrosoli
fa il suo dovere ino in fondo, con l’aiuto dell’uiciale della Guardia di Finanza Silvio Novembre. Ma, come testimoniano i suoi diari e quelli del
governatore Paolo Bai, «mezza Italia» si muove per salvare il inanziere
siciliano. Ambrosoli, sostenuto da Bai e dal vicedirettore generale Mario Sarcinelli − che respingono improbabili piani di salvataggio presentati loro anche da Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti − resiste. I vertici di Bankitalia svelano con ispezioni e rapporti le trame di
Roberto Calvi, e per questo pagheranno a caro prezzo: Sarcinelli verrà
arrestato, e a Bai il carcere sarà risparmiato solo per l’età. Saranno poi
prosciolti, ma Bai lascerà Via Nazionale. Solo quattro pallottole, sparate la notte dell’11 luglio 1979 da Joseph Arrico, fermeranno Ambrosoli.
Dopo una cena in trattoria e durante l’ultima ripresa dell’incontro di
boxe che Ambrosoli segue in compagnia, arriva una telefonata: dall’altra
82
Dalla P2 alla P4
parte c’è il silenzio. Poco dopo lui scende ad accompagnare gli amici, e
mentre sta rincasando il killer gli dice: «Mi scusi, avvocato Ambrosoli».
E spara 4 colpi, portando a termine la missione che gli ha aidato Sindona per 50 mila dollari. Nella lettera-testamento alla moglie scrive il 25
febbraio 1975: «In ogni caso pagherò a caro prezzo l’incarico». E pensare che, come ha detto il iglio Umberto: «Sarebbe bastato un piccolo sì,
qualche piccola omissione, non prendere posizione. Avrebbe avuta salva
la vita». Nello scontro fra Ambrosoli e il bancarottiere Sindona, salutato
da Andreotti come il «salvatore della lira», il senatore a vita, da sempre vicino a Gelli e alle gerarchie vaticane, ha saputo per chi schierarsi
in dal primo momento. L’orazione funebre del liquidatore del Banco
ambrosiano verrà tenuta al consiglio comunale di Milano dal piduista
della Dc Massimo De Carolis, ex avvocato e amico di Sindona, mandante
dell’assassinio di Ambrosoli.
83
Nessuno può negare che la P2 sia un’associazione a
delinquere.
Sandro Pertini, Presidente della Repubblica, 1981
Forza P2
Con la fondazione di Forza Italia, molti piduisti come Carenini o Pietro Longo (che, insieme all’ex Dc Gianstefano Frigerio, è uno dei consiglieri economici più idati di Berlusconi) sono tornati nel giro che conta. Per i più fortunati, la discesa in campo del Cavaliere ha signiicato
la possibilità di riprendere a fare politica attivamente, a partire dalla
prima partecipazione del movimento alle elezioni della XII legislatura
(1994-1996).
Fabrizio Cicchitto, giornalista, all’epoca deputato socialista per tre legislature (la VII e la VIII alla Camera, e la XI al Senato), è stato deputato
azzurro dal 2001 al 2006 (XIV e XV legislatura) e vicecoordinatore nazionale del partito fondato da Berlusconi, e alle ultime elezioni politiche
dell’aprile 2008 è stato rieletto a Montecitorio nelle liste del Pdl, di cui
è capogruppo. Nella penultima legislatura (2006-2008) è risultato assente in 4.406 votazioni elettroniche su 4.875, pari al 90,4%. Dal 1998
Cicchitto è editorialista de il Giornale di Paolo Berlusconi e membro della direzione de L’Avanti!.
Laureatosi in giurisprudenza a 22 anni, negli anni Settanta Cicchitto
è stato segretario della Fgsi (Federazione giovanile socialista italiana),
membro del Psi, nella corrente di sinistra dei lombardiani da socialista
marxista vicino alla politica di compromesso storico perseguita dal Partito comunista italiano: in questo periodo è stato molto critico verso la
Cia, i servizi segreti italiani (come il Sid) e la Democrazia cristiana, che
secondo lui avrebbe approittato del caso Moro e delle Brigate rosse per
escludere il Pci dal governo.
Dopo essersi iscritto alla P2 (fascicolo n. 945, tessera 2232, data di
iniziazione 12 dicembre 1980), Cicchitto venne estromesso dal Partito socialista, per esservi riammesso verso la ine degli anni Ottanta
da Bettino Craxi, seppure in ruoli marginali. Dopo la dissoluzione del
partito a causa delle inchieste di Mani pulite, prima di aderire a Forza
84
Dalla P2 alla P4
Italia, ha fondato nel 1994 a Roma insieme ad Enrico Manca (ministro
del Commercio estero ai tempi dello scandalo, e nominato presidente
della Rai nel 1986), il Partito socialista riformista (Psr). Nel luglio del
1999 è diventato membro del Comitato di presidenza di Forza Italia
e responsabile del Dipartimento nazionale lavoro e relazioni sindacali.
Prima di diventare presidente del Pdl a Montecitorio in seguito alle elezioni dell’aprile 2008, ha ricoperto anche l’incarico di vicecoordinatore
di Forza Italia e di vicepresidente del gruppo parlamentare alla Camera
dei deputati dal 2001 al 2006. Dell’incarico di vicecoordinatore azzurro,
Gelli ha detto a Repubblica: «Cicchitto lo conosco bene: è bravo, preparato», ribadendo poi il concetto qualche anno dopo («Cicchitto, anche lui
è stato in loggia con me ed è una brava persona» ha detto a Klaus Davi
nel dicembre 2008).
Prima di Cicchitto è tornato in Parlamento un altro piduista, Aventino
Frau (n. 533), avvocato specializzato in diritto internazionale, giornalista pubblicista, entrato alla Camera per la prima volta con la Dc nella V legislatura del 1972, e riportato a Montecitorio da Berlusconi nel
1996 (XII legislatura), per poi passare a Palazzo Madama nel 2001 (XIV
legislatura). Nato a Piovene Rocchette in provincia di Vicenza, Frau vive
sul Garda, a San Zeno di Montagna, nel veronese. Sul piano politico ha
iniziato l’attività giovanissimo nelle ile della Dc, e a soli 21 anni è stato eletto Sindaco di Puegnago del Garda, passando nel 1964 alla guida
dell’amministrazione della vicina Gardone Riviera, dove sarà rieletto per
quattro mandati. Dopo essere stato, a vent’anni, membro della Direzione
nazionale del Movimento giovanile, sempre nel ‘64, diventa consigliere
nazionale della Dc, e nel ‘67 è già capo della segreteria politica nazionale con Mariano Rumor, e quattro anni dopo segretario provinciale
della Dc bresciana. Eletto deputato l’anno seguente, nella VI legislatura,
con 50.000 preferenze, dopo la pubblicazione degli elenchi della P2 ha
abbandonato l’impegno politico, dedicandosi esclusivamente alla professione di avvocato, per riprenderlo solo nel 1994, con la fondazione
di Forza Italia, della quale è stato coordinatore provinciale di Verona e
vicecoordinatore regionale per il Veneto. Nel 1995 è stato candidato del
Polo delle libertà alla presidenza della Provincia di Verona. Eletto deputato nel 1996 nel Collegio 7 (Legnago), è stato membro del direttivo del
Gruppo parlamentare di Forza Italia con compiti di coordinamento per le
Commissioni Afari esteri, comunitari e difesa, e capogruppo della Commissione Afari costituzionali e della Presidenza del Consiglio, oltre che
componente della Commissione Esteri della Camera. Nel 2001 è stato
eletto senatore della città di Verona, divenendo vicepresidente vicario
Forza P2
85
della Commissione Afari esteri, membro della Giunta delle Elezioni e
delle immunità, della Commissione Industria commercio e turismo, della
Giunta per i procedimenti di accusa, del Comitato per gli Italiani all’estero, della Commissione bicamerale d’Inchiesta sull’occultamento dei crimini nazifascisti e della Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito.
Nel corso della sua intensa carriera politico-amministrativa, Frau è
stato fondatore e primo presidente della nuova Comunità del Garda,
del Consorzio Garda Uno, per la tutela delle acque del Garda, vicepresidente della Fondazione del Vittoriale degli italiani, fondatore e presidente dell’Anit, Associazione nazionale dei comuni turistici. Ha creato
il Centro congressi del Garda, dirigendolo per vari anni quale presidente, e promosso e realizzato il grande Piano di salvaguardia delle acque
del lago di Garda. Cofondatore − con gli ex deputati Zagari e Pedini (piduista nel frattempo deceduto) − segretario generale e poi presidente
dell’Iceps − Istituto per la cooperazione economica e i problemi dello sviluppo (ente internazionalistico e organo consultivo dell’Onu) ha diretto
numerose missioni economiche e politiche in varie parti del mondo.
Alle elezioni amministrative della città di Verona del 2002 Frau si
è presentato come candidato Sindaco con la lista «Difendi Verona», in
polemica con le scelte del coordinatore regionale Giancarlo Galan, contribuendo alla sconitta del centrodestra. Eletto presidente del Consiglio comunale della città scaligera, si è poi dimesso successivamente,
entrando a far parte del Gruppo delle Autonomie al Senato, e collaborando con Il Patto − Partito dei liberaldemocratici, fondato da Mario
Segni e dall’ex presidente forzista del Senato Carlo Scognamiglio, poi
ministro della Difesa con D’Alema, e già presidente e amministratore
delegato di Rcs.
Nel 2006, terminata l’esperienza parlamentare, Frau è stato nominato
presidente della Comunità del Garda, l’ente che rappresenta i 70 Comuni
della zona, distribuiti in quattro province (Brescia, Mantova, Trento, Verona) e tre regioni (Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige), ed è titolare della cattedra di Diritto internazionale dell’economia presso la Facoltà
di Scienze politiche dell’Università S. Pio V di Roma. Intenso è stato ed
è tuttora anche il suo impegno di giornalista pubblicista, che lo porta a
collaborare con quotidiani e riviste (è stato direttore del bimestrale Nuovi Quaderni Veneti, ed editorialista per altre testate, ha fondato e dirige
il trimestrale I quaderni del Garda, e, nella breve esperienza del 2004 con
Segni e Scognamiglio, è stato direttore del quotidiano Il Patto).
Compagno di partito (Dc) di Frau era un altro giornalista, Gian Aldo
Arnaud (n. 726), attualmente direttore del mensile Politica oggi, orga-
86
Dalla P2 alla P4
no del Partito democratico cristiano di cui è presidente (segretario è
l’ex ministro Gianni Prandini, e coordinatore regionale della Val D’Aosta l’ex tesoriere tangentista della Lega Lombarda Alessandro Patelli).
Quando Frau entrò a Montecitorio per la prima volta, Arnaud divenne
sottosegretario ai Lavori pubblici nel V governo Moro, mentre Gaetano
Stammati (n. 543) guidava il dicastero delle Finanze, Enrico Manca era
al Commercio estero e Adolfo Sarti (solo «bussante») era il Guardasigilli.
Antonio Martino, economista liberale (è stato docente di economia e
preside dell’Università Luiss di Roma), difensore della segretezza delle
logge massoniche «coperte», non ha fatto a tempo a iscriversi alla P2
(nelle carte sequestrate a Gelli è stata rinvenuta solo la sua domanda
di ailiazione, ma la cerimonia di iniziazione non si tenne mai, probabilmente a causa dell’intervento della magistratura), ma ha ricoperto
l’incarico di ministro degli Esteri nel primo governo Berlusconi dal 1994
al 1995 (carica che fu del padre Gaetano dal 1955 al 1957), e di ministro
della Difesa nella XV legislatura (governo Berlusconi II e III dal 2001 al
2006). Martino, che iniziò a scrivere sul Giornale di Montanelli proprio
nel 1978, quando Berlusconi ne aveva appena rilevato la maggioranza
del capitale, è stato tra i fondatori di Forza Italia (la sua tessera di partito porta il numero 2, dopo quella del leader). Eletto alla Camera dei deputati nel 1994, è stato riconfermato deputato nel 1996 e nel 2001 col
sistema proporzionale nella lista di Forza Italia in Sicilia. Alle elezioni
politiche del 2006 è stato rieletto alla Camera dei deputati nel collegio
Sicilia 2 e due anni dopo è tornato a Montecitorio nelle liste del Pdl,
sempre eletto sull’isola.
Nel 2003 Martino sostenne la convinzione che l’Iraq avesse acquistato
uranio dal Niger, afermazione che venne inclusa in un documento pubblicato dal numero 10 di Downing Street e intitolato «Iraq’s Weapons
of Mass Destruction: The assessment of the British Government» (Le
armi irachene di distruzione di massa: la valutazione del Governo britannico). Questo documento venne successivamente citato dal presidente
degli Stati Uniti George W. Bush per giustiicare la seconda guerra del
Golfo: «The British government has learned that Saddam Hussein recently sought signiicant quantities of uranium from Africa» (Il Governo
britannico ha scoperto che Saddam Hussein ha ottenuto notevoli quantità di uranio dall’Africa). È amico personale di John Mc Cain sidante
repubblicano di Barack Obama alle presidenziali Usa del novembre 2008.
Esperto di difesa come Martino lo è anche il maggiore Giuseppe Alefi, detto Pino (n. 762), già comandante dei nuclei Sios di Marisardegna e
Camen. Alei è stato eletto deputato nelle liste di Forza Italia nella XIII
Forza P2
87
legislatura del 1996. Componente della IV Commissione permanente
Difesa di Montecitorio, non è stato rieletto nel 2001, passando all’Italia
dei valori di Antonio Di Pietro.
Alei non è l’unico ex piduista passato con Di Pietro. Un caso clamoroso è stato quello dell’avvocato napoletano Filippo De Jorio (n. 511), altro esperto di difesa, vicinissimo alle Forze Armate ed ai servizi. Ex Dc e
uomo di iducia di Giulio Andreotti, già docente universitario, segretario
dell’Alleanza pensionati dal 1985, De Jorio è stato per consigliere regionale del Lazio per tre legislature. È stato presidente dell’Istituto di studi
strategici e della difesa e direttore della rivista Lo Specchio e di Politica e
Strategia, che veniva stampata in quattro lingue e distribuita in tutto il
mondo attraverso il Ministero del Commercio con l’estero. In occasione
delle elezioni politiche del 2001 Antonio Di Pietro lo scelse come capolista alla Camera in Liguria. I militanti liguri dell’Italia dei valori scoprirono però che, non solo era un ex iscritto alla P2, e collaboratore strettissimo di Licio Gelli, ma che era stato anche coinvolto nel golpe Borghese,
per il quale De Jorio fu arrestato dopo aver ripiegato a Montecarlo per
sfuggire ad un mandato di cattura, e successivamente assolto su proposta del pubblico ministero Claudio Vitalone (anch’egli legatissimo a
Giulio Andreotti). Alle lamentele dei dipietristi, l’ex pm di Mani pulite
rispose: «Se non vi va bene andatevene! È stato assolto e questo basta»,
confermando così la sua iducia a De Jorio. Solamente una dichiarazione
del direttore di Micromega, Paolo Flores D’Arcais, sul comportamento di
Di Pietro, ripresa da Repubblica, convinse l’ex pm a «congelare» la candidatura di De Jorio che, risentito, abbandonò il movimento.
La Sardegna, è una terra da sempre molto «ospitale» nei confronti
dei massoni: dalle simpatie, sempre dichiarate, di Francesco Cossiga,
ai rapporti dell’editore Nicola Grauso, ino all’ex Gran Maestro del Goi
(1982-1993) Armando Corona, passato all’Oriente eterno il 2 aprile
2009, all’età di 88 anni. Corona, che nel giugno del 1996 venne condannato dal pretore Enrico Imprudente a otto mesi di reclusione per falsa
testimonianza al processo di primo grado per la vicenda del Banco ambrosiano, insieme a monsignor Franco Hilary e ad altre cinque persone
condannate a sei mesi di reclusione, iniziò la carriera politica nel suo paese come consigliere comunale. Dopo una iniziale simpatia per il Partito
sardo d’azione, aderì al Partito repubblicano, dove militò per gran parte
della sua vita ricoprendo diverse cariche, ino a diventare segretario regionale e membro della segreteria e del consiglio nazionale, passando
per l’Udr di Cossiga nel 1998, per conluire poi in Forza Italia, alla quale
si era avvicinato in dalla fondazione. È stato consigliere regionale tre
88
Dalla P2 alla P4
volte dal 1969 al 1984 e, dal 1977 al 1979, assessore agli Afari regionali, carica oggi ricoperta, nella giunta guidata da Ugo Cappellacci (Pdl),
dalla iglia Ketty (il iglio Giorgio è stato consigliere e capogruppo in
Consiglio regionale di Forza Italia). Nel 1981, Armandino Corona venne
eletto, unico repubblicano nella storia dell’autonomia sarda, presidente
del Consiglio regionale, e dal giugno dello stesso anno al dicembre ‘82
fu chiamato da Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio non
democristiano, a guidare la segreteria a Palazzo Chigi.
La Sardegna ha oggi come rappresentante della liberomuratoria nel
centrodestra Giovanni Marras (n. 737). Imprenditore edile e commerciale di Arborea, in provincia di Oristano, Marras è stato sindaco della sua città natale, raccogliendo il testimone dal padre Antonio (Dc).
Eletto deputato nel 1996 per la lista di Forza Italia nella circoscrizione
Sardegna, rieletto nel 2001 con quasi 35 mila preferenze, è tornato per
la terza volta a Montecitorio nel 2006, dove ha assolto la funzione di
segretario della Commissione Bilancio della Camera. Alle elezioni politiche del 13/14 aprile 2008 non è stato riconfermato alla carica di deputato, risultando il primo dei non eletti nella Circoscrizione Sardegna.
Candidato alle elezioni regionali sarde del 2009 nella lista del Popolo
delle libertà, nel Collegio di Oristano, non è stato eletto alla carica di
Consigliere regionale, avendo ottenuto solamente 1.884 voti di preferenza, nonostante il Pdl avesse ottenuto un consenso quasi plebiscitario ad Arborea (il 72,59% ossia 1491 voti), e Marras ricoprisse l’incarico
di coordinatore provinciale di Forza Italia. Da luglio 2008 è consigliere
di amministrazione dell’Ipi (Istituto per la promozione industriale),
Agenzia tecnica del Ministero dello Sviluppo economico.
Il senatore Antonio D’Alì, banchiere di professione, non è massone,
ma è iglio dell’ex proprietario della Banca sicula Antonio D’Alì Staiti (n.
303), datore di lavoro di boss di maia come i Messina Denaro. Rampollo di una antica famiglia imprenditoriale (il nonno Giulio fu senatore del
Regno) proprietaria di saline, navi commerciali, ampi latifondi e soprattutto della Banca sicula di Trapani, primo istituto privato bancario della
Sicilia, conluita nel 1991 nella Comit. Quando, nel 1983, lo zio, che allora era amministratore delegato dell’istituto di credito, lasciò la carica,
il senatore gli subentrò nell’incarico. Nel 1994 ha aderito a Forza Italia,
ed è stato eletto nel collegio senatoriale di Trapani nella XII legislatura, durante la quale è stato vicepresidente della commissione Finanze,
ricoprendo, per un breve periodo, anche l’incarico di responsabile economico del partito. Riconfermato nella XIII, XIV e nella XV Legislatura,
è stato sottosegretario all’Interno nel secondo e nel terzo governo Ber-
Forza P2
89
lusconi (2001-2006). Nel giugno 2006 è stato eletto presidente della
Provincia di Trapani, raccogliendo il 55,6% dei voti in rappresentanza
di una coalizione di centrodestra, succedendo alla dimissionaria Giulia
Adamo. Il mandato amministrativo sarebbe scaduto nel 2011, ma D’Alì
ha rassegnato le sue dimissioni dopo poco più di un anno e mezzo dalle
elezioni, per candidarsi al Senato in occasione delle elezioni politiche
anticipate del 13 aprile 2008, nelle quali è risultato nuovamente eletto
con il Pdl. Attualmente è presidente della Commissione Ambiente di
Palazzo Madama.
Tra i numerosi politici-giornalisti iscritti alla P2 − anche se ha sempre
afermato la propria estraneità, confermata da numerose sentenze − c’è
anche Gustavo Selva (n. 623), già deputato europeo della destra Dc dal
1979 al 1989, direttore del Gr2 Rai, poi parlamentare di lungo corso di
Alleanza nazionale (quattro legislature), ino al 2008.
Dopo essere stato cronista, inviato speciale e capo della redazione triveneta dell’Avvenire d’Italia dal 1946 al 1956, Selva si trasferisce a Roma
come giornalista parlamentare (si iscrive all’Ordine nel 1954) per i sette quotidiani cattolici allora pubblicati in Italia; contemporaneamente
collabora con l’Agenzia giornalistica Italia (Agi) per le pubblicazioni in
lingua italiana all’estero. Nel 1960 entra alla Rai ed è nominato corrispondente da Bruxelles, da Vienna e da Bonn, assumendo successivamente dal 1972 al 1975 la qualiica di caporedattore del Telegiornale
Rai uniicato, e conduttore dell’edizione delle 13.30. È stato direttore del
Giornale radio 2 dal 1975 al 1981, quando è stato nominato presidente
della Rai Corporation di New York e poi, dal 1983 al 1984, direttore
del quotidiano Il Gazzettino. Attualmente collabora come editorialista
per Il Secolo d’Italia, quotidiano uiciale di Alleanza nazionale, di proprietà personale del presidente della Camera Gianfranco Fini, e per altri
giornali italiani ed esteri. Ha pubblicato dodici libri (fra i quali: Brandt
e l’Ostpolitik, Il martirio di Aldo Moro, Radio Belva, Senza guinzaglio, La
moglie di Cesare, Comunismo: storia da non dimenticare, Piano Biancoiore).
Alle elezioni politiche del 1994 Selva è stato eletto nel X Collegio uninominale di Roma per il Polo delle libertà e nel Collegio proporzionale
del Veneto 2 (Venezia − Treviso − Belluno) per An, al cui gruppo parlamentare si è successivamente iscritto. Nella XII legislatura ha ricoperto la carica di presidente della Commissione Afari costituzionali, della
Presidenza del Consiglio e della Commissione Interni della Camera dei
deputati. Nelle elezioni politiche del 21 aprile 1996 è stato confermato
nel collegio proporzionale del Veneto 2. Nel marzo 1999 è stato eletto
ino a ine legislatura presidente del gruppo parlamentare di Alleanza
90
Dalla P2 alla P4
nazionale alla Camera, dopo aver ricoperto l’incarico di vicepresidente
vicario. Nella XIII Legislatura ha fatto parte della Commissione bicamerale per le Riforme costituzionali interessandosi, in particolare, della
modiica della forma dello Stato, e presentando numerose proposte e
l’emendamento per aidare al Presidente della Repubblica, eletto direttamente con sufragio popolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri
(proposte di riforma in senso presidenziale dello Stato che facevano parte del Piano di rinascita della P2). Il 13 maggio del 2001 è stato rieletto
deputato nel Collegio uninominale di Treviso, Mogliano Veneto, Casier
e Preganziol, ed ha ricoperto l’incarico di presidente della III Commissione Afari esteri e comunitari della Camera, occupandosi, fra l’altro,
dei rapporti con i paesi che interessano l’Italia e l’Europa, soprattutto
rispetto alle tematiche dell’Europa unita, della difesa e dell’immigrazione. Nelle elezioni politiche del 2006 è stato eletto senatore del Veneto
ed è entrato a far parte della 4° Commissione Difesa del Senato e della
14° Commissione Politiche dell’Unione europea. È stato anche membro
della delegazione italiana presso l’Assemblea Nato.
Il 9 giugno del 2007 Selva, invitato ad un dibattito televisivo, per evitare di arrivare in ritardo negli studi di La7 a causa del traico, inge di
avere un malore e si fa trasportare da un’ambulanza del 118 all’indirizzo
che, mentendo, dice essere quello del suo medico di iducia, ma che in
realtà è quello della rete televisiva. Secondo quanto afermato dal personale infermieristico dell’ambulanza, e da quanto ammesso dallo stesso
senatore, giunti nei pressi della destinazione richiesta, Selva, liberatosi dalle apparecchiature di monitoraggio e cura, esce frettolosamente
dall’ambulanza inseguito dal personale medico ed entra negli studi televisivi ordinando agli addetti della portineria di non far entrare gli infermieri, dato che il suo cardiologo lo avrebbe raggiunto di lì a poco. Gli
infermieri riferiscono inoltre di essere stati ofesi e minacciati, anche di
licenziamento, nel caso avessero insistito ad occuparsi della faccenda.
Lo stesso Selva, nel corso di un’intervista rilasciata a Giancarlo Perna e
pubblicata sul Giornale il 31 marzo 2008, ha dato una versione leggermente diferente, perlomeno dell’antefatto di quell’episodio. Ha afermato che il malore fu reale e che prese una delle pillole per le coronarie
che porta sempre con sé. Salì sull’ambulanza (sì del 118, ma riservata a
Palazzo Chigi). All’interno dell’ambulanza attese il medico, che − a detta di Selva − impiegò diciassette minuti per arrivare. In quel tempo, la
pillola aveva preso a fare efetto e il senatore iniziava a sentirsi meglio,
così decise di inventarsi la storia del falso indirizzo del suo cardiologo,
facendosi invece trasportare negli studi de La7. A quel punto Perna gli
Forza P2
91
domanda: «Col senno di poi, come ti giudichi?», e Selva risponde: «Un
coglione. L’ora del coglione arriva per tutti almeno una volta nella vita».
L’episodio dell’ambulanza ha generato vigorose polemiche, e la vicenda ha travolto Selva che, a seguito di una condanna bipartisan del
suo gesto, ha presentato al presidente del Senato Franco Marini le sue
dimissioni l’11 giugno, che verranno però ritirate dal senatore pochi
giorni dopo, il 17 luglio. Nel ritirarle dichiara che così gli hanno chiesto i suoi elettori, poiché «un voto in meno del centrodestra al Senato
è un giorno in più per il governo Prodi». La frase appare senza senso,
poiché alle dimissioni di un parlamentare segue sempre la sostituzione
del primo non eletto della sua lista, ma non lo è in questo caso, poiché
il primo dei non eletti nel collegio, che gli subentrerebbe, è passato, nel
frattempo, nell’altro schieramento politico. Replicando alle afermazioni, comunemente espresse anche da altri politici di entrambi gli schieramenti, del ministro della salute Livia Turco che parlò di «atteggiamento
vergognoso, irresponsabile, indegno», Selva ha ribadito di sentirsi «addolorato e ofeso» a tali parole, facendo seguire il commento «Evidentemente il lessico vetero-comunista resta duro a morire anche per un
ministro post-comunista».
Il successivo 21 luglio Gianni Alemanno chiese di condurre un’azione
disciplinare contro Selva in merito alla questione, sostenendo che − secondo il suo pensiero − il senatore dovesse essere escluso dal partito.
Il tema avrebbe dovuto essere afrontato all’Assemblea nazionale del
partito del 28 luglio. Il dibattito sull’espulsione di Selva da Alleanza nazionale nei fatti però non avvenne, poiché il giorno prima fu lo stesso
senatore ad abbandonare spontaneamente il partito per conluire, il
giorno successivo, nel gruppo parlamentare di Forza Italia, con il consenso di Gianfranco Fini. Fu Berlusconi in persona a contattarlo per
chiedergli di passare tra le sue ila. È stato lo stesso Selva a raccontarlo
nell’intervista pubblicata sul Giornale. Alla domanda del giornalista su
chi avesse propiziato il passaggio da An a Forza Italia, Selva rispose
così: «Berlusconi. Mi telefonò dicendo: “Se hai problemi con An, sappi che le porte di FI sono aperte. Per te spalancate”». Nell’elenco degli
iscritti alla P2 sequestrati a Catiglion Fibocchi, Selva precede di due soli
numeri Berlusconi.
In conseguenza dell’episodio che ne ha segnato la parabola politica,
il 29 novembre 2007 la Procura della Repubblica di Roma ha chiesto
il rinvio a giudizio di Selva per trufa aggravata ai danni dello Stato e
interruzione di pubblico servizio. Il 6 marzo 2008 è stato condannato
con rito abbreviato a 6 mesi di reclusione e al pagamento di una multa
92
Dalla P2 alla P4
di 200 euro per trufa ai danni dello Stato aggravata dall’abuso di potere
e dall’interruzione di pubblico servizio.
Nell’intervista al Giornale, Selva − a proposito dell’appartenenza alla
P2 dichiara: «Mai. Tre sentenze lo dichiarano. Dario Fo che osò dirlo
mi ha dovuto pagare 20 milioni di lire. Sempre pochi per il mio nome.
Se però avessi saputo che nella P2 c’erano tanti galantuomini, prefetti,
questori, militari, mi sarei iscritto anch’io» − fa anche il nome di Publio
Fiori (n. 646), ex democristiano, poi eletto alla Camera nelle liste di An,
e già presidente della Commissione Esteri della Camera, vicepresidente dell’Assemblea di Montecitorio, nonché ministro del primo governo
Berlusconi.
Nell’elenco degli iscritti alla P2 risulta pure il cofondatore di Alleanza
nazionale Publio Fiori (n. 646), già ministro dei Trasporti e della navigazione nel governo Berlusconi I, che ha sempre smentito la sua appartenenza alla loggia segreta. Nel corso della sua carriera politica, è stato
vicepresidente della Camera dei deputati (dal 6 giugno 2001 al 27 aprile
2006), sottosegretario alle Poste e telecomunicazioni e alla Sanità. Dal
primo luglio del 1992 è stato sottosegretario alle Poste e telecomunicazioni nel governo Amato, mentre il 6 maggio dell’anno successivo è
entrato nel governo Ciampi come sottosegretario alla Sanità.
Fiori ha iniziato a fare attività politica nella Democrazia cristiana,
dove ha militato ino al suo scioglimento, venendo anche ferito con
undici colpi di arma da fuoco alle gambe e al torace da un commando
delle Brigate rosse il 2 novembre 1977. A luglio del 1993, quando l’assemblea organizzativa della Democrazia cristiana, guidata all’epoca dal
segretario Mino Martinazzoli, sceglie di aprirsi, dopo la svolta della Bolognina di Achille Occhetto, verso il Pds, decise di abbandonare il partito. Fiori, infatti, era su posizioni della destra Dc, come Gustavo Selva,
e sosteneva che la tradizione democristiana non potesse fondersi con
quella post-comunista. La rottura avvenne in occasione delle elezioni
amministrative del 1993, quando Fiori scelse di appoggiare il centrodestra e la candidatura a sindaco di Gianfranco Fini, alla guida dell’Msi
che stava andando verso il rinnovamento di An. Così, nel 1995, con la
svolta di Fiuggi, Fiori è tra i fondatori di Alleanza nazionale, dopo aver
ricoperto l’incarico di ministro dei Trasporti e della navigazione nel
primo governo Berlusconi.
La storia politica di Fiori in Alleanza nazionale, però, inisce nel
2005, in rotta di collisione con alcune scelte di Fini (in particolare per
la posizione sul referendum in materia di fecondazione assistita). Così
sostiene il ritorno a posizioni neo-democristiane e neo-centriste, ade-
Forza P2
93
rendo nel novembre dello stesso anno alla Democrazia cristiana per
le autonomie fondata da Gianfranco Rotondi, di cui viene nominato
presidente. Ma a luglio dell’anno dopo lascia anche la Dc di Rotondi,
dopo essere stato deferito al collegio dei probiviri con l’accusa di aver
convocato illecitamente un congresso nazionale del partito. A questo
punto, approittando del clima politico in cui si dibatte sulla possibile costituzione di un soggetto politico centrista in contrapposizione al
bipolarismo, il 1° ottobre 2006 fonda il partito di Rifondazione Dc e
viene eletto segretario nazionale per acclamazione, mentre l’ex sindaco di Roma (1969-1976) ed ex ministro democristiano della Giustizia e
delle Partecipazioni statali Clelio Darida diventa presidente del Consiglio nazionale. Fiori si pone in atteggiamento critico nei confronti della
sinistra e del governo Prodi, schierandosi contro la Finanziaria 2007. Il
progetto politico neocentrista, tuttavia, non decolla, e Fiori si vede costretto, per raforzarsi, a promuovere una federazione di partiti di ispirazione democristiana. All’inizio del 2007 il partito si federa con i Popolari − Udeur di Clemente Mastella e la Democrazia cristiana di Giuseppe
Pizza, dando così vita alla Federazione democristiana, con l’obiettivo in
prospettiva di costituire un polo di centro di ispirazione democristiana,
e di predisporre liste unitarie per le elezioni europee del 2009, obiettivo fallito, principalmente per la candidatura di Mastella nelle liste del
Popolo delle libertà. La sua dichiarazione dei redditi del 2004 lo vedeva
al secondo posto nella classiica dei deputati più ricchi della Camera di
allora, con 1.441.865 euro.
Molti massoni, non iscritti alla P2, come Alessandro Meluzzi e Umberto Cecchi, sono transitati nelle ila di Forza Italia, entrando a Montecitorio nel 1994. Meluzzi, psicologo e psichiatra con la passione per la
televisione, in gioventù ha aderito alla Federazione giovanile comunista
italiana, in seguito ai radicali, per conluire, inine, nei socialisti. Nel
1994 è stato eletto nelle ile di Forza Italia alla Camera dei deputati,
sconiggendo clamorosamente Sergio Chiamparino in collegio elettorale dove abitano molti operai di Miraiori. Rieletto al Senato nel 1996,
nel 1998 esce da Forza Italia per aderire all’Udr di Cossiga, le cui simpatie per i massoni sono note per ammissione dello stesso senatore a vita.
Assolto il compito di portare il primo post-comunista a Palazzo Chigi,
Massimo D’Alema, Cossiga scioglie l’Udr, e Meluzzi, insieme ad altri che
avevano seguito l’ex Presidente della Repubblica nell’esperimento politico, entra nell’Udeur in occasione del primo governo D’Alema, per poi
passare ai Verdi con la iducia al secondo governo a guida dell’allora segretario Ds. L’esperienza negli ambientalisti dura poco, perché Meluzzi
94
Dalla P2 alla P4
viene subito attaccato in quanto massone. Nel frattempo, si candida alle
europee del 1999 con Rinnovamento italiano, partito fondato premier
Lamberto Dini, molto vicino agli ambienti iniziatici. Nel febbraio del
2000, insieme ad un altro ex-Udr, Stefano Pedica, dà vita ad un movimento politico autonomo di ispirazione centrista presente soprattutto
nel Lazio: il movimento Cristiano democratici europei − Liberaldemocratici (Cde), che aderisce come componente autonoma al gruppo senatoriale dell’Udeur. L’anno seguente, con la ine della legislatura, Meluzzi
lascia ogni incarico nel movimento, il cui leader diventa così Pedica, che
passa prima con Mario Segni (europee 2004), quindi con la Democrazia
cristiana di Rotondi, e inine con l’Italia dei valori, dove nel 2006 riesce
a farsi eleggere alla Camera nella circoscrizione di Milano, grazie ad una
serie di dimissioni, per poi entrare al Senato come capolista nel Lazio
due anni dopo.
Meluzzi appare ormai da vent’anni, in veste di psichiatra, come ospite ed opinionista in televisione. Inizia a muovere i primi passi, verso la
ine degli anni Ottanta, sull’emittente torinese Grp con Cesare Lanza,
che segue poi a Telelombardia, dove collabora anche con lo scomparso
Daniele Vimercati. A Milano entra in contatto con Daniela Rosati, allora
moglie di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, e uomo
chiave del mondo berlusconiano, e con lei partecipa a «Medicine a confronto», trasmissione in onda su Rete 4 che ha frequentato − oltre a «Più
sani e più belli» − come consulente dal 1992 al 1997. Dopo la parentesi
politica, dal 2002 al 2008 è opinionista isso esordisce nella trasmissione televisiva «L’Italia sul 2» con Milo Infante e Monica Leofreddi, in
onda su Raidue, senza disdegnare l’apparizione in diversi reality sulle
reti Mediaset (nel maggio 2009 ha ricoperto il ruolo di esperto psicologo durante «Cupido», condotto da Federica Panicucci su Italia1). Nel
frattempo, Meluzzi ha ritrovato Daniela Rosati in Rai a «Tuttobenessere». Nella sua seconda vita televisiva, Meluzzi, divenuto diacono, propone un messaggio dichiaratamente cattolico, assumendo anche l’incarico
di portavoce di don Pierino Gelmini e della Comunità incontro che, il 27
settembre 2006, ha conferito a Berlusconi il premio «Madonnina d’oro»
per il contributo personale dato alla ricostruzione di alcune strutture
in Bolivia e in Thailandia, dopo lo tsunami. Il passaggio successivo di
Meluzzi è stato il ritorno, nel 2008, a Mediaset con Cesare Lanza e Claudio Brachino, vecchio amico e direttore di Video News su Canale 5, rete
diretta dall’ex piduista Massimo Donelli (n. 921). Nonostante la parabola politica, e la rottura con Forza Italia nel 1998, Meluzzi ha sempre
trovato protezione all’ombra di Berlusconi, come molti altri massoni.
Forza P2
95
Umberto Cecchi ha condiviso con Meluzzi l’esperienza in Forza Italia.
Specialista di politica estera, è stato inviato speciale in Asia e Africa per
il quotidiano La Nazione di Firenze, del quale è stato una delle irme più
note, ino a divenirne direttore per diversi anni. Nel 1994 si candida
alla Camera dei deputati nel collegio di Firenze e viene eletto durante
la XII legislatura (15 aprile 1994 − 8 maggio 1996), assumendo, tra i
vari incarichi, la presidenza della Commissione speciale per le Politiche
comunitarie. Terminata l’esperienza politica, nell’ottobre 2006 diventa
direttore editoriale del Corriere di Firenze e delle testate collegate (Corriere di Prato, Corriere di Lucca e Corriere della Versilia), pubblicate dalla
Editoriale 2000. Tutt’oggi Cecchi è editorialista della Nazione, e scrive
per numerose altre pubblicazioni, tra le quali La Nuova Antologia e Luna.
È direttore del quotidiano online Pratoblog.it e della tv Canale 10, dove
conduce il talk-show «IV Millennio», la punta di diamante delle trasmissioni a carattere informativo e formativo dell’emittente, e ricopre la carica di consigliere del Maggio musicale iorentino.
96
La Madonnina col grembiulino
Una storia a parte, quella di Milano, dove il potere berlusconiano è
nato ed è cresciuto, grazie anche ad una rete di amicizie coltivate dai
tempi dell’iscrizione del Cavaliere alla P2. Massimo De Carolis, la cui
tessera d’iscrizione alla loggia di Gelli precede di un solo numero quella di Berlusconi, negli anni Settanta era democristiano e leader della
«Maggioranza silenziosa». La Maggioranza silenziosa fu un movimento
d’opinione trasversale fondato nel febbraio 1971 a Milano principalmente da esponenti del centro e della destra milanese, tra cui i democristiani Adamo Degli Occhi, Massimo De Carolis (vicesegretario della Dc), Luciano Buonocore (segretario regionale per la Lombardia del
Fronte della gioventù), Gabriele Pagliuzzi (liberali), Gianpaolo Landi Di
Chiavenna (monarchici, attuale assessore alla Salute del Comune di Milano) − questi ultimi tre diventati successivamente parlamentari di An
-, con lo scopo conclamato di mobilitare le classi medie della borghesia
lombarda, intimorite dalla «piazza rossa» durante il Sessantotto, l’Autunno caldo e le lotte politiche che proseguivano nel tempo. Il nome
scelto dal movimento (che organizzerà una decina di manifestazioni di
piazza a Milano) rendeva evidente il desiderio di mettere in luce la presenza di una presunta maggioranza nascosta, o quantomeno non reattiva, in contrapposizione ad una presunta «minoranza rumorosa», che
veniva identiicata in quella che partecipava ai cortei ed alle manifestazioni di protesta organizzate dai movimenti di studenti e lavoratori di
sinistra. I suoi fondatori iniziarono raccogliendo le accuse nei confronti
del Corriere della Sera diretto da Piero Ottone, accusato di essersi spostato a sinistra e di appoggiarne la contestazione che egemonizzava il
dibattito politico nei primi anni ‘70, invitando i lettori a fare lo sciopero
d’acquisto del giornale, e soprattutto cercando di far scendere in piazza
coloro che non erano abituati a manifestare con azioni rumorose ad alta
visibilità pubblica. Il movimento alla sua formazione raggruppò attorno
La Madonnina col grembiulino
97
a sé alcuni elementi del centro-destra milanese, assieme ad altri soggetti che condividevano essenzialmente una linea politica anticomunista
o conservatrice, provenienti sia dalle organizzazioni giovanili liberali,
monarchiche, democristiane, repubblicane, socialdemocratiche e missine, che altre personalità, come il direttore del quotidiano La Notte Nino
Nutrizio, Maurizio Blondet, Antonio del Pennino (ex compagno di scuola di Berlusconi ai tempi del liceo dei Salesiani, reo confesso e pluricondannato per le tangenti milanesi, poi parlamentare di lungo corso Forza
Italia, e, successivamente del Pdl), e l’ex sindaco socialista e cognato di
Bettino Craxi, Paolo Pillitteri (passato con FI e poi con il Pdl). La ine
di questo movimento venne deinitivamente segnata dagli avvenimenti
del Giovedì nero di Milano, nel 1973, in cui l’agente Antonio Marino
venne ucciso da una bomba a mano gettata da un neofascista, che deinitivamente chiusero ogni possibile collaborazione a Milano fra le forze
moderate e la destra estremista e fecero svanire ogni ipotesi di partecipare a manifestazioni politiche da parte di quei cittadini appartenenti
a quelle classi del ceto medio a cui originariamente il movimento intendeva dar voce ed esposizione.
De Carolis, che di quel movimento era il leader, venne poi sequestrato dalle Brigate rosse nel suo studio legale milanese, sottoposto a processo popolare e quindi gambizzato il 15 maggio 1975. Ex avvocato e
amico di Sindona, ha tenuto al consiglio comunale di Milano l’elogio
funebre del liquidatore del Banco ambrosiano, Giorgio Ambrosoli, ucciso con quattro colpi di pistola a bruciapelo dal killer Joseph Arico la
notte dell’11 luglio 1979, del cui assassinio proprio Sindona era stato il
mandante. Tornato in politica sotto le bandiere di Forza Italia, e grazie
al rapporto diretto con il Cavaliere sin dai tempi della P2, De Carolis è
stato presidente del Consiglio comunale di Milano dal 1997 al 2001.
Alle successive elezioni comunali, il sindaco uscente Gabriele Albertini
pose come condizione per la sua ricandidatura, che l’ex piduista non
trovasse posto nè nella lista di Forza Italia per le amministrative, nè in
quella per il Parlamento. Il 14 marzo 1999, una telefonata di De Carolis
con il iglio Adrio era stata pubblicata dall’Espresso. De Carolis diceva
al iglio che Berlusconi lo stimava, che gli diceva: «Tu sei la persona più
in gamba che c’è sulla piazza», mentre «il sindaco è un pezzo di merda
schifoso» (in un’altra intercettazione gli disse «Berlusconi mi ha detto
che bisogna rompere il culo ai giudici»). Così, nonostante le promesse
del «fratello» Berlusconi, De Carolis dovette rinunciare a proseguire la
carriera politica sotto le insegne azzurre. Al centro dello scontro con Albertini, il coinvolgimento in alcuni scandali e l’accusa di aver intascato
98
Dalla P2 alla P4
nel 1998 una tangente di 25 milioni di lire, insistendo per averne 200,
con la promessa di favorire la multinazionale francese Otv − Generale
des Eaux nella gara d’ appalto per il depuratore di Milano Sud. Insieme a
De Carolis, nel processo a Milano era coinvolto anche Luigi Franconi (n.
437). Rapporti solidi, che durano nel tempo all’ombra della Madonnina.
Il 18 luglio 2001 la quarta sezione penale del tribunale di Milano ha
condannato De Carolis a 2 anni e 10 mesi di reclusione, ridotti in appello nel maggio 2003 a 2 anni e 8 mesi per corruzione e rivelazione di
segreto nella gara per il depuratore Milano Sud. Nell’ottobre 2005 la sesta sezione dalla Cassazione ha reso deinitiva la condanna, insieme ad
altri quattro coimputati: 2 anni e 2 mesi a Ezio Cartotto, un ex dc che ha
partecipato alla fondazione di Forza Italia; 1 anno e 8 mesi al manager
francese Alain Maetz; 1 anno e mezzo ai mediatori Luigi Sirna e Luigi
Franconi (ex P2). L’ inchiesta dei pm Gherardo Colombo e Ilda Boccassini era partita da un’intercettazione della Procura di Firenze, che aveva
sorpreso De Carolis mentre conidava all’amico Cartotto: «Io volevo 200
milioni… Ne ho già ricevuti 25, ma non coprono le spese». Scoppiato lo
scandalo, il sindaco Albertini si era schierato contro l’allora presidente
forzista del Consiglio comunale, chiedendo a Berlusconi di farlo dimettere: «O io o lui». Un aut-aut giustiicato anche da un precedente penale:
il pm Robledo aveva appena costretto De Carolis a risarcire 1.815 milioni di lire per poter chiudere con un patteggiamento (14 mesi con la
condizionale) l’accusa di bancarotta fraudolenta della società Dialogo,
una società di logistica che dagli anni Settanta ha realizzato progetti
di alto livello per clienti di primo piano (tra gli altri, Olivetti e Standa),
fallita nel 1992, e già in afari con il Comune. Al centro della vicenda, la
distrazione di capitali per circa un miliardo e 600 milioni dalle casse della società, che prima del fallimento operava per servizi per la Centrale
del latte di Milano. De Carolis, che non ha mai rivestito cariche formali
nella società, è stato ritenuto dagli inquirenti l’amministratore «di fatto». All’inizio degli anni Novanta Dialogo, inita nel frattempo nell’orbita del gruppo Mantovani (anche i quattro membri della famiglia, Protasio, Giacomo, Carlo e Gianfranco, a cui faceva riferimento la società,
furono rinviati a giudizio) si aggiudicò un appalto per la distribuzione
di prodotti della Centrale del latte di Milano, ma i rapporti sfociarono
in contenziosi legali. La società risentì, nei primi mesi del 1991, della
crisi del gruppo Mantovani, che nel maggio 1991 entrò in concordato
preventivo. Nell’autunno 1991 si fece avanti De Carolis, che organizzò
l’acquisto per 490 milioni, mettendo Fatma Khan (irreperibile da anni)
al vertice dell’azienda. Il 18 ottobre 1991 a De Carolis e alla donna sa-
La Madonnina col grembiulino
99
rebbe stata versata la liquidità della società (un miliardo e 50 milioni): i
490 milioni per pagarne l’acquisto sarebbero stati prelevati, all’insaputa
dei Mantovani, dai conti della Dialogo. Fatma sarebbe scomparsa dopo
essersi impadronita di 65 milioni. L’azienda, trasformata in srl, sarebbe
poi stata rilevata per 20 milioni da Luisa Peroni, titolare della Taylor
Made Promotion. Dall’inchiesta è però emerso che l’assegno di 20 milioni emesso dall’imprenditrice sarebbe poi stato incassato, pochi giorni
dopo, dallo stesso De Carolis. Dopo essere stata svuotata complessivamente di 1 miliardo e 600 milioni, Dialogo è inine fallita.
Proprio l’avvocato di Albertini − fautore dell’interruzione della carriera politica di De Carolis all’ombra di Berlusconi − Augusto Colucci
(ex Pci, poi Psi, e inine forzista), beneiciario di numerosi incarichi da
parte del Comune tra il 1997 e il 2006, risulta iscritto al Grande Oriente d’Italia. La convivente di Colucci, l’avvocato Katia Re − appartenente
ad una comunione massonica spuria − è stata condannata il 25 maggio
1999 a 21 anni di reclusione dalla Corte d’assise d’appello di Milano per
il tentato omicidio dell’imprenditore Guido Sermenghi. La terza Corte
d’assise, il 20 dicembre 1997, aveva inlitto quattro ergastoli (tutti tramutati in 21 anni di carcere in appello) per il delitto di Mentone: carcere
a vita per l’ex moglie Maria Teresa Piva, il suo convivente Livio Celotti,
il giovane e maldestro killer Ciro Magrelli, e l’avvocatessa, che fece da
tramite con i sicari. Al posto della vittima designata, i killer assassinarono, il 23 marzo ‘94 in Costa Azzurra, un ignaro passante, Christian
Ballestra, colpito da un proiettile, deviato dallo specchietto retrovisore
esterno dell’auto mentre stava uscendo da casa. La terza Corte d’assise
aveva deciso condanne superiori alle richieste dell’accusa per tutti gli altri imputati: 24 anni e mezzo per Antonio Filippone e Francesco Schettini, organizzatori del delitto; 21 e mezzo per suo fratello Ciro Schettini;
19 per Giuseppe Grassi, che guidò la Suzuki 600 nella trasferta omicida;
18 per Antonio Ferrara e 14 per Anton Kozic, che procurarono la moto.
In appello le pene sono state ridotte per tutti: Antonio Filippone e Francesco Schettini (17 anni e mezzo), il fratello di questi, Ciro (16 e mezzo),
e Francesco Grassi (11 anni), che ha confessato di aver accompagnato il
killer in moto ed è l’ unico che si è visto accogliere la tesi di quasi tutte
le difese: «Non volevamo uccidere, ma solo dare una lezione». Il «ruolo
secondario» ha poi abbassato a 9 anni la condanna per Anton Kosic. E
Antonio Ferrara, che procurò la moto, è stato scagionato dall’omicidio e
condannato a 3 anni e mezzo solo per favoreggiamento.
La pista del delitto su commissione (con bersaglio sbagliato) nacque
da una perquisizione nello studio di Katia Re, difesa nel processo dall’al-
100
Dalla P2 alla P4
lora presidente forzista della Commissione Giustizia della Camera,
nonché avvocato personale di Silvio Berlusconi, Gaetano Pecorella. L’insospettabile avvocatessa (sia di Filippone che della Piva) si vide sequestrare appunti sulle abitudini di Sermenghi e su 80 milioni «da dividere
in tranche». A completare il quadro, un mare di intercettazioni, con una
telefonata di Filippone a Katia dopo l’omicidio: «Tutto fatto». Secondo i
giudici fu Celotti − incastrato per ultimo da una microspia nel parlatorio
di San Vittore, e condannato in contumacia − a spingere la Piva all’omicidio per un movente economico: uccidere l’ex marito per impedire l’imminente divorzio e intascare una fetta dell’eredità miliardaria, invece di
accontentarsi dell’assegno di separazione (11 milioni al mese, seicento
milioni una tantum e una casa di lusso in via Montenapoleone). Due
mesi dopo, gli investigatori della Squadra mobile di Milano hanno arrestato anche Celotti, inseguito da un ordine di cattura internazionale,
che aveva preso una camera al Town Lodge Hotel di Johannesburg, presentando una carta d’identità sudafricana falsa. All’appello la Re si era
rivolta alla corte piangendo: «Ho sbagliato, ma non sono un’assassina».
Tra arresti domiciliari − nell’abitazione milanese di Colucci − e l’aidamento nel suo studio legale, l’avvocatessa non è però restata in carcere
che pochi mesi.
Epicentro del rinnovato legame tra Berlusconi e la massoneria è il
Consiglio comunale di Milano, guidato, ino al 2001, dall’ex piduista
Massimo De Carolis, al quale è subentrato, nel 2006, il giovane Manfredi
Palmeri, eletto la prima volta con Albertini nel 2001, e riconfermato nel
2006 con Letizia Moratti. Manfredi, esponente «in sonno» del Grande
Oriente d’Italia, come il padre, nel 2011 è passato a Futuro e libertà,
candidandosi alla carica di sindaco del capoluogo lombardo contro l’ex
ministro. Fino all’anno prima Palmeri sedeva in Consiglio insieme a Camillo Milko Pennisi − già consigliere provinciale dal 1995 al 1997 − entrato a Palazzo Marino durante il primo mandato di Albertini nel 1997.
Nel luglio del 2006 Pennisi è stato eletto presidente della Commissione
Sviluppo del territorio (ex Urbanistica) che si occupa di regolamento edilizio, del piano dei servizi e delle delibere per i piani urbanistici che disegneranno la Milano del futuro. Una posizione di rilievo in una città dove,
sin dai tempi di Salvatore Ligresti, gli afari ruotano intorno all’edilizia.
Dal 2002 Pennisi è stato consigliere di amministrazione della Fondazione Stelline e di Stelline servizi congressuali, cumulando, dall’anno dopo,
anche la carica di amministratore delegato del Centro congressi stelline,
incarichi mantenuti ino alle elezioni che hanno visto Letizia Moratti
conquistare la poltrona di primo cittadino. L’11 febbraio 2010 Pennisi
La Madonnina col grembiulino
101
è stato arrestato in lagranza di reato mentre, non lontano da Palazzo
Marino, incassa 5 mila euro, la rata di una tangente di 10 mila dall’imprenditore Mario Basso che lo aveva denunciato. Il 1° aprile Pennisi ha
patteggiato la pena di due anni e dieci mesi di reclusione, accordata dal
gip milanese Gaetano Brusa, che ha ritenuto congrua la pena concordata
tra pm e difesa. Pennisi ha restituito i 10 mila euro della tangente e spontaneamente ha devoluto al Comune di Milano la cifra simbolica di 5 mila
euro, dimettendosi da ogni incarico. La collaborazione dell’esponente del
Pdl gli è valsa, dopo 50 giorni di carcere, il beneicio degli arresti domiciliari. Pennisi tuttavia resta indagato: il patteggiamento riguarda solamente l’episodio per cui l’ex presidente della commissione urbanistica
comunale era stato arrestato l’11 febbraio per concussione. Resta aperto
uno stralcio di inchiesta delle pm Grazia Pradella, Laura Pedio e Tiziana
Siciliano, per veriicare se ci siano stati o meno altri episodi di concussione e corruzione che coinvolgono anche altre persone. Al vaglio degli
inquirenti ci sono una decina di pratiche urbanistiche.
La pattuglia dei massoni azzurri a Milano è rinforzata da Stefano
Maullu (eletto in Comune, come gli altri, nel 1997, ed entrato al Pirellone nel 2000), nominato assessore regionale alla Protezione civile,
prevenzione e Polizia locale nel 2008, e confermato in giunta dopo le
elezioni del marzo 2010 (6.880 voti di preferenza nella circoscrizione
di Milano, secondo dopo l’esponente di Comunione e liberazione Sante Zufada) con le deleghe a commercio e turismo. In piena campagna
elettorale per l’elezione del presidente del Consiglio della Regione Lombardia, Maullu viene coinvolto in un’inchiesta sugli appalti in odor di
clan. Nell’ordinanza compare anche il nome dell’assessore regionale,
che all’epoca dei fatti era presidente dell’Ato (Ambito territoriale ottimale), l’autorità che si occupa del ciclo delle acque. Mai sigurare, con i
politici, quando è il momento di corromperli. Lo dice Alfredo Iorio, uno
degli imprenditori che, con le sue dichiarazioni, ha permesso l’arresto di
quattro persone, tra cui l’ex sindaco Ds di Trezzano sul Naviglio, Tiziano
Butturini − marito del primo cittadino del Pd del paese, Liana Scundi − e del consigliere comunale Pdl Michele Iannuzzi. «Prelevi settemila
euro… di cui cinquemila glieli do a Tiziano, perché di igure di merda
non ne voglio fare», dice in un’intercettazione del 23 dicembre del 2008
Iorio parlando con Andrea Modafari, vicepresidente della immobiliare
Kreiamo Spa e già arrestato, il 3 novembre 2009, nell’operazione «Parco
Sud» con altre 16 persone, tra cui il presunto boss della ‘ndrangheta Domenico Barbaro e i igli Salvatore e Rosario, della cosca Barbaro-Papalia,
radicata a Buccinasco. Gli episodi centrali della concussione riguardano
102
Dalla P2 alla P4
soprattutto Butturini, che ricopre da anni l’incarico di presidente del
Tasm, l’azienda pubblica di risorse idriche del Sud milanese, e Iannuzzi,
che del Tasm è consigliere. Ma nell’ordinanza torna molto spesso anche il nome dell’attuale sindaco del paese, la cui candidatura, a questo
punto, viene fatta saltare per volere del Pd. Le intercettazioni, scrive
il giudice Giuseppe Gennari, «lambiscono il sindaco Scundi, la quale è
altrettanto inequivocabilmente indicata come soggetto «avvicinabile» per tramite del marito». E nell’ordinanza compare anche il nome di
Stefano Maullu. Dell’assessore regionale lombardo − che non risulta
indagato − parlano il 2 luglio del 2008 Iorio e Madafari: «Butturini, il
presidente del Tasm… ci farà dare un incarico di consulenza per la fondazione lì.. quella che sto facendo con lui e Maullu… per il depuratore di
via… Ci farà dare il core business… l’incarico da Fumagalli Impianti per
l’area di fronte per fare il progetto dove vengono minimo 25mila metri
cubi…». In quel momento Maullu è presidente dell’Ato (Ambito territoriale ottimale) di Milano. Qualche mese dopo, il 29 ottobre, Iorio prova
a incontrare Maullu, che nel frattempo è diventato assessore e ha lasciato l’incarico all’Ato. L’appuntamento viene issato per il giorno dopo.
Ma Iorio ricorda alla segretaria di Maullu che è già stato organizzato
un pranzo per il 6 novembre. La donna ricorda dell’impegno ed aggiunge che allo stesso parteciperanno anche Iannuzzi, Butturini e un’altra
persona. Ma alla ine l’incontro salta perché Butturini è a letto con la
febbre. Iorio spiega anche, rispondendo alle domande del suo avvocato presente all’interrogatorio, come veniva ammortizzato il costo della
tangente: «Andava a conluire tra i costi di cui tenevo conto al momento
della parcella», racconta Iorio. Ma questo costo veniva calcolato prima o
dopo la determinazione della sua parcella professionale? «Prima: la mia
parcella dipendeva anche da quanto dovevo corrispondere ai pubblici
uiciali». Secondo il gip, però, il ruolo centrale è quello di Butturini. È
lui che «svolge il ruolo di dichiarato anello di collegamento con la moglie Liana Scundi, sindaco di Trezzano, dietro congrua ed indebita retribuzione». Quanto a Iannuzzi, il suo campo di operatività, scrive il gip,
«è vastissimo. Egli è in Tasm e da questa posizione accelera pratiche e
favorisce il gruppo di Iorio; ma Iannuzzi ha anche un consolidatissimo
rapporto all’interno della amministrazione comunale di Trezzano sul
Naviglio, ove − quale membro del consiglio e della commissione edilizia
nonché profondo conoscitore della macchina amministrativa e dei suoi
attori (per esempio di quel Terenghi che si intasca 4000 euro diicilmente riconducibili ai suoi doveri di uicio) − è pronto ad intervenire
per ogni operazione edilizia di interesse di Iorio».
La Madonnina col grembiulino
103
Maullu che può contare anche sulle simpatie dell’ex coordinatore cittadino di Forza Italia, Maurizio Bernardo, eletto deputato nel 2006 e
riconfermato a Montecitorio nelle liste del Pdl due anni dopo. Bernardo,
ex Dc, è stato per anni il braccio destro del governatore lombardo Roberto Formigoni in Regione (è stato assessore ininterrottamente dal 1995 al
2006), ed ha un fratello medico − Luca, direttore del dipartimento di pediatria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano − iscritto al Goi. L’altro
fratello, Massimo, è coinvolto nello scandalo della Zincar, società mobilità urbana sostenibile del Comune di Milano, messa in liquidazione e poi
fallita nel 2009 (25 milioni di euro il deicit). Dai bilancia della Zincar, è
risultato che la Ap&B, società milanese di comunicazione amministrata
di un altro massone, Marco Del Bo, fondata nel 1989 dal parlamentare
del Pdl, era stata destinataria da parte di Zincar di incarichi di consulenza per centinaia di migliaia di euro. Nei contratti visionati dai liquidatori di Zincar saltano fuori voci come 1.500 euro per biglietti natalizi
inilati in una fattura da 180 mila euro della Ap&B, che tra l’altro lavora
anche per Atm, A2A e Metropolitana milanese, tutte aziende partecipate dal Comune di Milano. Sulle numerose commesse da parte di società
a capitale pubblico, il presidente di Zincar, Vincenzo Giudice, all’epoca
al vertice del Consiglio comunale di Milano, ha detto: «Collaborava con
Zincar già dal 2003 (lui è arrivato nel 2007, subentrando ad Antonio Bardeschi, ex Atm, nda), io ho tagliato i compensi del 40 per cento». Quella
della Zincar è una vicenda che sembrerebbe tutta interna a Forza Italia,
perché il presidente del Cda e uno dei consiglieri sono stati nominati dal
sindaco, mentre il terzo componente, nella quota di indicazioni riservata
ai consiglieri comunali, è stato indicato dai consiglieri azzurri.
Nel luglio 2009, lo zelante Maurizio Bernardo ha presentato un
emendamento (votato in commissione in blocco con un’altra decina
di emendamenti) al decreto-legge n. 103 del 3 agosto 2009 convertito
in legge, con modiicazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 3 ottobre 2009, n.
141, recante disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78, del
1° luglio 2009, nel testo convertito dalle Camere con la Legge 3 agosto
2009, n. 102, che riduce l’attività della Corte dei conti. Il testo prevede
che i magistrati contabili «possono iniziare l’attività istruttoria ai ini
dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di speciica e concreta notizia di danno». Inoltre si prevede che i pm potranno chiedere un
risarcimento per danno all’immagine solo se c’è stata una speciica condanna penale. Un combinato disposto, quello voluto da Bernardo, che
sembra costruito a difesa del premier (per la vicenda di Villa Certosa),
e di tutte le amministrazioni pubbliche oggetto di inchiesta per l’uso
104
Dalla P2 alla P4
di risorse pubbliche. Tra queste, il Comune di Milano (dove Bernardo
risiede), al centro di un’inchiesta sulle consulenze. Tra le inchieste che
potrebbero subire uno stop dal varo della norma retroattiva, quella sui
trasporti a Genova e sulla clinica Santa Rita a Milano. L’emendamento, in realtà, servirebbe a fermare una ordinanza della Corte dei conti
che impone a Edilnord (ceduta nel 1996 alla Pirelli real estate di Marco
Tronchetti Provera) di pagare 850 mila euro di risarcimento all’Inpdap,
l’Istituto previdenza dipendenti amministrazione pubblica, nato nel
1994 per raggruppare tutti gli enti previdenziali del settore pubblico,
con lo scopo di razionalizzare e controllare la spesa dopo Tangentopoli. In pratica 4 milioni di impiegati dello Stato riscuotono la pensione
dall’Inpdap, che ha un patrimonio immobiliare immenso comprato con
i contributi dei lavoratori. Il rapporto tra Berlusconi e l’Istituto è di vecchia data: risale a quando Edilnord e Cantieri riuniti milanesi del gruppo Fininvest vendettero all’allora Enpas negozi e abitazioni a Milano
3 City per un totale di 320 miliardi circa. Quella che voleva essere la
«nuova Milano due» si rivelò infatti un fallimento, e ancora una volta il
solito ente pubblico intervenne a salvare il Cavaliere.
Le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, con ordinanza 3 luglio 2009 n. 15599, hanno dichiarato la giurisdizione della Corte dei
conti relativamente alla causa che oppone l’Inpdap ad Edilnord, ritenendo infondato in ogni sua parte e rigettando il ricorso proposto da
quest’ultima. La Edilnord, a seguito di appalto, aveva stipulato con
l’Istituto previdenziale dei lavoratori della pubblica amministrazione
una convenzione per la gestione tecnica dei contratti di locazione (il
rinnovo di quelli pregressi e scaduti e la gestione delle morosità), degli
immobili e per l’amministrazione degli stabili, con l’obbligo di garantire gli interventi manutentivi del patrimonio immobiliare dell’Ente in
Milano e provincia. Nell’ambito di tale rapporto, la Edilnord aveva eseguito lavori sia sugli immobili in via Circo (autorizzati dall’Inpdap con 5
distinte determinazioni dirigenziali tutte in data 21 dicembre 1999 per
3.151.518.300 lire), sia su quelli in via Crespi, tutti eseguiti dalla Sogedi. La Edilnord è stata evocata in giudizio, innanzi alla Sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei conti, per rispondere dei danni
derivati all’Inpdap per i lavori, eseguiti negli stabili di via Circo e di via
Crespi, appaltati dalla Edilnord alla Sogedi, con procedure irregolari e
con violazione sia delle norme contrattuali che di quelle regolamentari
interne dell’Istituto.
In margine a tali interventi il Tribunale di Milano ha emesso − il 21
marzo 2002 − un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confron-
La Madonnina col grembiulino
105
ti di Fabio De Angelis, già direttore generale (si era dimesso a Roma
il giorno precedente all’arresto), con responsabilità della gestione del
patrimonio immobiliare dell’Inpdap in Lombardia, sospettato dei reati
di turbativa d’asta nonché di corruzione propria in concorso. Il relativo procedimento si è concluso con una sentenza di patteggiamento l’8
aprile 2003 e, successivamente, la sezione giurisdizionale della Corte
dei conti della Lombardia, riconosciuta la responsabilità di De Angelis
per i danni patiti dall’Istituto, quantiicati in un milione e 600 mila euro,
ha addebitato all’ex dirigente il 50% di tale importo «considerata la complessa sequenza in cui si è articolata la eziopatogenesi del danno per cui
è causa», e demandando alla Procura regionale l’accertamento di eventuali responsabilità concorrenti. Successivamente, la Procura regionale
della Corte dei conti ha convenuto in giudizio la Edilnord, chiedendone
la condanna al pagamento in favore dell’Inpdap di 850 mila euro. Nelle
more di questo ultimo giudizio, la Edilnord ha proposto regolamento
preventivo di giurisdizione, chiedendo fosse dichiarata insussistente la
competenza della Corte dei conti.
Edilnord ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza
di giurisdizione dei magistrati contabili nella vicenda. La Corte, invece,
ha ritenuto che, in tema di responsabilità per danno erariale, l’esistenza
di un rapporto di servizio, quale presupposto per un addebito di responsabilità al detto titolo, è conigurabile anche quando il soggetto, benché
estraneo alla pubblica amministrazione, venga investito, anche di fatto,
dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività
in favore della pubblica amministrazione, con inserimento nell’organizzazione della medesima e con particolari vincoli ed obblighi diretti ad
assicurare la rispondenza dell’attività stessa alle esigenze generali cui è
preordinata. La Cassazione ha rilevato che l’aidamento da parte di un
ente pubblico a un ente privato esterno della gestione di servizi che, in
difetto, l’ente avrebbe potuto-dovuto gestire in proprio integra una relazione funzionale incentrata sull’inserimento del soggetto nella organizzazione funzionale dell’ente pubblico e ne implica, conseguentemente,
l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di
responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando, in contrario, né la natura privatistica dell’ente stesso, né la natura privatistica
dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il
rapporto in questione. Pertanto, la Cassazione ha stabilito che Edilnord
ha permesso, con il concorso dell’allora direttore generale dell’Inpdap in
Lombardia Fabio De Angelis (con responsabilità della gestione immobiliare del patrimonio dell’ente in questa Regione), la dissipazione di fon-
106
Dalla P2 alla P4
di pubblici destinati alla gestione di interventi manutentivi, rendendosi
responsabile di un danno erariale.
Il passaggio che ha «stimolato» l’intervento legislativo di Bernardo è
contenuto proprio in questa ordinanza della Cassazione: «Questa Corte
regolatrice, in particolare, è fermissima nel ritenere che giurisdizione
penale e giurisdizione civile per risarcimento dei danni derivanti da
reato, da un lato, e giurisdizione contabile, dall’altro − in presenza di
una condotta del soggetto legato alla Amministrazione da un rapporto di impiego o di servizio, che si coniguri come integrante un fatto
reato − sono reciprocamente indipendenti nei loro proili istituzionali,
anche quando investono un medesimo fatto materiale, e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusivamente un
problema di proponibilità dell’azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti, senza dar luogo a questione di giurisdizione (è conigurabile la giurisdizione della Corte dei conti anche nell’eventualità che per i
medesimi fatti, sia intervenuta, in precedenza, sentenza di condanna al
risarcimento danni da reato, pronunciata dal giudice ordinario)».
Ma la vicenda Edilnord-Inpdap è molto più complessa e si intreccia,
ancora una volta, con una serie di provvedimenti legislativi aventi vasta
portata economica, molti vantaggi per l’ex società del premier Berlusconi, e poca utilità per i conti dello Stato. Nel novembre 2001 un decreto
del Ministero dell’Economia trasferisce alla società di cartolarizzazione
Scip (una scatola vuota guidata dall’olandese Gordon Burrows, costituita con un capitale minimo di 10.000 euro, equamente suddiviso tra due
società olandesi: la Stichting Thesaurum e la Stichting Palatium) circa
63.800 unità immobiliari di vario tipo individuate dai decreti dell’Agenzia del demanio, un immenso patrimonio immobiliare che da pubblico diventa così privato. Come fu apertamente dichiarato, il principale
obiettivo perseguito era quello di contribuire al rispetto degli obblighi
imposti dal patto europeo di stabilità e di crescita, in costanza della
progressiva contrazione dell’avanzo primario di bilancio e della scelta
di non aumentare, bensì di ridurre per quanto possibile, la pressione
iscale e di diminuire la spesa pubblica in misura non strutturale.
L’operazione di cartolarizzazione fa in modo che alla Scip siano ceduti
tutti gli immobili, ed i crediti da essi derivanti, in cambio di un prezzo di
cessione pagato tramite l’emissione di titoli, rimborsati con i ricavi ottenuti sempre dalla gestione dell’attività di dismissione (il patrimonio
era stato acquistato a prezzo di mercato con i versamenti previdenziali
dei dipendenti pubblici a garanzia delle pensioni future). Vale a dire che
i titoli emessi dalla Scip sono riscattabili sempre dall’Inpdap. Braccio
La Madonnina col grembiulino
107
operativo di questa società-veicolo è il Consorzio G6, advisor costituito
nel dicembre 2001, con l’incarico di curare, «con la dovuta diligenza professionale», la vendita all’asta degli ediici «a prezzi non inferiori a quelli
di mercato». Ne fanno parte i «soliti noti» Pirelli Real Estate, Romeo
Gestioni, Romeo Immobiliare, Banca Intesa, Exa Consulting e Knight
Frank. A questo proposito il procuratore generale della Corte dei conti,
nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato del 25 giugno 2009,
scrive: «per potere organizzare, attuare e monitorare le operazioni di
cartolarizzazione, le società veicolo hanno dovuto necessariamente fare
ricorso, con rilevanti oneri a carico dell’Erario, al costoso expertise ed
alla altrettanto costosa collaborazione di soggetti leaders nei mercati
inanziari internazionali; costi questi, caratterizzati da una forte opacità e, comunque, non congrui rispetto ai risultati conseguiti, di molto
deicitari rispetto alle attese».
Questa prima cartolarizzazione (Scip1) riguardava un portafoglio di
immobili di proprietà degli enti previdenziali inizialmente valutati in
3,5 miliardi di euro. Per inanziarne l’acquisto, furono emessi da Scip titoli per 2,3 miliardi (il «prezzo anticipato» della vendita). L’operazione è
stata un successo: le vendite hanno consentito di rimborsare i titoli alle
scadenze previste, l’ultima a dicembre 2003, e hanno prodotto, a tutto
il 2008, ricavi ulteriori, al netto delle spese sostenute dalla Scip, per 1,4
miliardi, versati su un conto corrente di tesoreria in attesa di essere girati agli enti previdenziali a titolo di «prezzo diferito» della vendita. La
rapidità del processo di vendita non deve però sorprendere: in Scip1 era
conluito un programma la cui deinizione era iniziata nel 1996 e che
già prima della cartolarizzazione aveva fruttato ricavi per 1,5 miliardi.
La seconda cartolarizzazione (Scip2) era ben più complessa, sia per
la sua dimensione (7,8 miliardi il valore degli immobili ceduti e 6,6 miliardi l’ammontare di titoli emessi) sia perché non si era avvalsa di un
periodo di preparazione adeguato. Sulla scorta del successo di Scip1 e
dell’idea che il vincolo costituito dalla necessità di rimborsare i titoli a
una scadenza preissata avrebbe di per sé accelerato le vendite, l’operazione fu varata a dicembre 2002, prevedendo di rimborsare una prima
tranche di titoli già ad aprile 2004 e di completare il rimborso dell’ultima tranche a ottobre 2006.
Le cose andarono ben diversamente. Le vendite nel 2003 furono largamente al di sotto delle previsioni, in parte per la complessità intrinseca del processo, in parte per il contenzioso che subito si sviluppò con
gli inquilini degli immobili a uso residenziale, che avevano un diritto
di opzione sulle vendite. Gli incassi furono largamente insuicienti a
108
Dalla P2 alla P4
rimborsare la tranche di 1,5 miliardi in scadenza ad aprile 2004. Per di
più, una disposizione inserita nella legge Finanziaria 2004 riconobbe
agli inquilini uno sconto sul prezzo di acquisto: il diritto ad acquistare
ai prezzi 2001 e non a quelli del 2002 incorporati nelle valutazioni Scip
2, di un 30 per cento maggiori. Ne conseguì la necessità di indennizzare
Scip per il minor introito che avrebbe ricavato dalle vendite future, per
un ammontare stimato in 800 milioni. Questa cifra fu reperita, all’inizio del 2004, con un prestito erogato dalle banche, assistito da garanzia
dello Stato. Il prestito consentì a Scip di rimborsare i titoli in scadenza
ad aprile 2004.
Nell’anno successivo le cose non andarono meglio. Di nuovo, gli incassi si rivelarono insuicienti a rimborsare i titoli in scadenza, per 2
miliardi, ad aprile 2005. Si decise allora una ristrutturazione del debito:
in pratica furono reperiti fondi per il rimborso dei titoli emessi nel 2002
mediante l’emissione di nuovi titoli, tre tranche per complessivi 4,4 miliardi, con scadenze attese tra aprile 2006 e gennaio 2009. Il nuovo piano dei rimborsi si fondava su un business plan rivisto per tener conto
del rallentamento delle vendite in lì registrato.
Anche il nuovo programma di vendite Scip2, alla prova dei fatti, si è
rilevato troppo ottimistico. A ine 2008 si registravano incassi pari al
66,5 per cento di quelli previsti, insuicienti a far fronte al rimborso del
debito residuo. A quella data, nelle casse Scip vi erano solo 160 milioni
e restavano da rimborsare una parte (455 milioni) della tranche scaduta
a ottobre 2008, la tranche in scadenza a gennaio 2009 (475 milioni) e il
prestito delle banche (800 milioni), in scadenza ad aprile 2009: in totale
1.730 milioni, come risulta dalla relazione della magistratura contabile:
«Il rallentamento dei lussi di cassa non ha consentito, così, alla Scip di
provvedere nel 2° semestre 2008 al rimborso integrale in occasione delle scadenze trimestrali dei titoli A5, ma solo parzialmente per complessivi 335.263.847,52 di euro. Il mancato rimborso totale dei titoli entro
la scadenza attesa dell’ottobre 2008 ha fatto scattare automaticamente
il raddoppio (da 0,20% a 0,40%) dello spread sull’interesse riconosciuto
trimestralmente ai portatori di titoli. Tale evento si è veriicato anche
sull’altra classe di titoli B2 (il cui spread è raddoppiato dallo 0,48% allo
0,96%) in occasione della scadenza di gennaio 2009. Pertanto, si è valutato che il persistente sfasamento dei volumi di vendita di immobili realizzati rispetto a quanto preventivato dal business plan, ulteriormente
reso critico dalla crisi del mercato immobiliare, avrebbe comportato
l’impossibilità di rispettare la scadenza prevista (27 aprile 2009) per
il rimborso dei inanziamenti e la conseguente escussione della garan-
La Madonnina col grembiulino
109
zia dello Stato». «E, così, in luogo di procedere ad un riinanziamento
dell’operazione − che indubbiamente avrebbe comportato rischi e dificoltà non facilmente superabili − si è imposta un’inversione di strategia», conclude amaramente la memoria del procuratore generale della
Corte dei conti.
Si arriva così alla decisione, inevitabile, di liquidare l’operazione, con
la legge n. 14 del 27 febbraio 2009, deinita dai magistrati contabili la
«conclusione anticipata di un ambizioso progetto rimasto incompiuto,
che ha conseguito risultati più che modesti». La norma prevede il ritrasferimento agli enti previdenziali degli immobili ancora non venduti
nell’ambito delle due operazioni Scip1 e Scip2, contro il pagamento di
un corrispettivo pari al debito residuo di Scip, che è di circa 1,7 miliardi. Secondo le valutazioni uiciali il valore dei 22 mila immobili ancora
invenduti, ritrasferiti agli enti (che possono procedere alla vendita diretta) è superiore a 2,3 miliardi di euro. La valutazione è in realtà controversa: gli immobili di maggior valore sono stati quasi tutti venduti
e sugli immobili di pregio è in atto un contenzioso giudiziario che ne
rende non facile lo smobilizzo. Gli immobili qualiicati di pregio, che
restano invenduti, risultano attestati in 1.962 unità principali. Nel
complesso, il portafoglio residuale − secondo la relazione della Corte
dei conti − risulta, al 31 dicembre 2008, pari a 13.574 unità principali,
composto da 9.654 unità residenziali locate, 2.198 unità ad uso diverso
locate, 924 unità residenziali libere e 798 unità ad uso diverso libere. Dal
punto di vista dei conti pubblici, il riacquisto per 1,7 miliardi è computato nel 2009 come spesa per investimenti, così come i 6,6 miliardi ottenuti dagli enti previdenziali nel 2002 erano stati contabilizzati come
investimento negativo. Secondo la Corte dei conti «La nuova disciplina,
così attuata, costituisce un’inversione di rotta necessariamente assunta
in mancanza di alternative, per consentire di ridurre i costi residuali
legati all’operazione nel suo complesso» quali quelli «relativi al funzionamento della Scip (costi di funzionamento, compensi agli amministratori, agenzie di rating, etc.) e i costi inanziari a carico della società; che
avrebbero ulteriormente inciso sul Dpp atteso dagli enti».
Non è immediato tirare le ila di tutta l’operazione e in particolare
capire quali siano stati i suoi costi efettivi. Secondo molte valutazioni,
il costo è pari agli 1,7 miliardi versati dagli enti previdenziali a Scip. Le
cose non stanno così. Sempliicando un po’ tutta la storia, nel 2002 gli
enti previdenziali hanno trasferito, per Scip2, i loro immobili a una società ad hoc, che ha versato una somma – 6,6 miliardi – come anticipo
sui proventi delle vendite. Le vendite efettuate a tutto il 2008 sono sta-
110
Dalla P2 alla P4
te inferiori al previsto e il ricavo inferiore alla somma anticipata. L’invenduto è stato restituito agli enti previdenziali che a loro volta hanno
restituito il residuo non rimborsato (1,7 miliardi) della somma anticipata. Quindi nessun costo? Certamente no. I costi sono quelli iniziali della
sovrastruttura inanziaria costruita per realizzare la cartolarizzazione e
collocare i titoli (spese legali, commissioni per gli intermediari, ecc.) e
quelli relativi al funzionamento corrente di Scip (compensi agli amministratori, costi inanziari, eccetera).
Inoltre è da considerare il costo aggiuntivo in termini di interessi
pagati sui titoli emessi da Scip rispetto all’interesse (inferiore) che si
sarebbe pagato sui normali titoli del debito pubblico. Tra l’altro, i titoli
dell’emissione di aprile 2005 sono stati poi oggetto di un’operazione di
swap da tasso variabile a tasso isso. Insomma, tutti i costi aggiuntivi
rispetto a quelli che si sarebbe dovuto sostenere se si fosse deciso semplicemente di vendere gli immobili e di acquisire al bilancio pubblico i
proventi man mano che si vendeva. Scrive così il procuratore generale
della Corte dei conti: «La necessità di intervenire positivamente al ine
di contribuire all’esigenza di ottemperare al divieto di disavanzi eccessivi determinò, poi, la scelta di utilizzare le società di cartolarizzazione
in luogo di procedere ad un sistema di cartolarizzazione diretta, che pur
consentiva minori costi di gestione».
A quanto ammontano questi costi? Le informazioni di cui disponiamo sono parziali e frammentarie. Secondo la relazione tecnica al provvedimento di legge di febbraio, i costi inanziari a carico della società nel
2009 sono stimati in 32 milioni e quelli relativi al funzionamento di Scip
nel 2008 sono stati pari a 3,5 milioni. Poiché l’intera operazione è durata
sette anni, estrapolando queste cifre si arriva a circa 250 milioni. Ma si
tratta dei soli costi correnti, che non considerano le altre voci ricordate
sopra. Sarebbe bene, a consuntivo, che fossero resi pubblici i dati completi sulle entrate e uscite di Scip in questi anni. Due ordini del giorno
dell’opposizione che impegnavano il governo a presentare una relazione
sulla liquidazione della Scip sono però stati bocciati dalla maggioranza.
Una compiuta stima dei costi dovrebbe anche considerare se la valutazione iniziale degli immobili conferiti in Scip1 e Scip2 era credibile e se gli
immobili siano stati venduti a prezzi di mercato e non a prezzi di saldo.
Si resta allora basiti nel leggere nella relazione relativa all’operazione
Scip fatta dal governo al Parlamento sul secondo semestre 2008 che «il
livello di conoscenza delle unità immobiliari non consente di determinare con esattezza il numero degli immobili di pregio e il loro valore»,
sei anni dopo la cessione di questi immobili a Scip.
La Madonnina col grembiulino
111
Scrive ancora il procuratore generale della Corte dei conti: «Peraltro
in dall’inizio furono avanzate sia sotto il proilo del metodo che del
merito forti perplessità e dubbi sull’operazione di dismissione obbligatoria degli immobili strumentali di proprietà degli enti previdenziali.
In proposito sembra suiciente far riferimento all’indagine conoscitiva
ed alle conclusive valutazioni negative della Commissione bicamerale
di controllo sull’attività degli Enti previdenziali che ebbe ad esprimere
particolari perplessità e dubbi su tutto il programma di dismissioni essenzialmente giustiicate dalla mancanza di chiarezza sulle procedure,
sui costi e sul reale successo dell’operazione di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico».
Come se non bastasse, con il decreto-legge «mille proroghe» del 30
dicembre 2008, n. 207 convertito con modiicazioni con Legge 27 febbraio 2009, n. 14, il Governo Berlusconi ha stabilito la restituzione di
tutto l’invenduto agli Istituti previdenziali, ovviamente dietro restituzione del valore dei titoli emessi che non è stato possibile inanziare
con la dismissione. Si conclude così, con la liquidazione, la vicenda,
iniziata nel 2001, di Scip, la più importante operazione di dismissione
di patrimonio immobiliare pubblico inora tentata in Italia, e l’Inpdap
riacquista così i suoi immobili ad un prezzo più elevato di quello del conferimento. Nel complesso, le due operazioni realizzate mediante la Scip
hanno prodotto, nel 2001-2002, entrate per circa 9 miliardi di euro.
Le rappresentanze di base dell’ente previdenziale dei dipendenti
pubblici, che da solo possedeva 52.000 unità immobiliari, di cui oltre
43.000 residenziali (di cui 19.000 a Roma, il 40% dell’intero patrimonio) ovvero circa la metà dei 95 mila alloggi messi in vendita dall’ex
ministro del Lavoro Cesare Salvi, pubblicarono un libro bianco che
raccoglie date, nomi delle società coinvolte, e soprattutto contratti di
aidamento della gestione del patrimonio immobiliare, a partire dal
1994, anno del primo governo di Berlusconi, che allora era esposto con
le banche per una cifra in lire di diverse migliaia di miliardi (circa 4
mila), come lui stesso aveva dichiarato, con lo spettro del fallimento
delle sue imprese, e la prospettiva del carcere (Fedele Confalonieri intervistato da Repubblica il 25 giugno 2000, ha dichiarato: «La verità è
che, se Berlusconi non fosse entrato in politica, se non avesse fondato
Forza Italia, noi oggi saremo sotto un ponte o in galera con l’accusa di
maia»). L’allora premier prima nominò il consiglio d’amministrazione,
poi vendette all’ente nuovi immobili (fu l’ultimo acquisto dell’Inpdap)
attraverso la Edilnord. Proprio in quell’anno venne inoltre deciso, dopo
una lunga e confusa serie di delibere, di dare la gestione immobiliare ad
112
Dalla P2 alla P4
altre società. Nel 1996 si arriva alla gara, cui partecipano (e vincono)
molti nomi di cui si vocifera come probabili «azionisti» della società
veicolo che con la cartolarizzazione acquisirà la proprietà in blocco: la
Ge.i. vince la gestione amministrativa di tre lotti, la Pirelli due, come
due li ha presi Edilnord (altri due a Milano e in Lombardia), mentre
gli immobili di Roma vengono suddivisi in 10 lotti, di cui due vanno
alla Insigna/Cagisa (passata anch’essa alla Pirelli). Dove si è presentata
Pirelli non si è presentata Edilnord. La gara d’appalto viene indetta per
la gestione amministrativa, mentre le società vincitrici si appropriano
anche della manutenzione (per cui occorrerebbe un’altra gara) pagata a
peso d’oro dall’istituto: nel 1997 le società spendono circa 141 miliardi
per la manutenzione, che l’anno dopo salgono a 236 miliardi. Nel ‘98
aumentano anche i compensi delle società, che per il loro servizio (in
realtà non svolto, come denunciano due ispezioni interne) prendono
un compenso di oltre 16 miliardi, dai 13 dell’anno precedente. Così le
società incassano nel ‘98 ben 390 miliardi di aitti, a fronte di uscite
per 236, con un saldo attivo di 154 miliardi, e un’incidenza di spesa
sulle entrate di oltre il 60%. Due ispezioni interne fanno diversi rilievi
su tutta l’operazione, rilevando come lo stato di attuazione del censimento degli immobili (richiesto dalla gara d’appalto) sia ancora ad
uno stadio incerto. Il fatto è che il sistema informatico a cui l’ente si
era aidato, pagato quattro miliardi e mezzo, non ha mai funzionato.
Tant’è che quel censimento che i privati avrebbero dovuto fare, è stato
realizzato dopo dall’osservatorio presso il Ministero del Lavoro. Una
seconda indagine denuncia invece l’eccessivo utilizzo del sistema del
silenzio/assenso nel caso della manutenzione (che non era aidata alle
società) e poca eicienza nel recupero delle morosità. E oggi si vuole
cedere in blocco praticamente agli stessi soggetti, i quali ancora gestiscono il patrimonio in regime di proroga dal ‘98. Anche sul secondo
bando, infatti, saltò fuori qualche irregolarità, con conseguente blocco
e quindi la proroga. Burocrazia pubblica, ma vantaggio tutto privato.
Non ce l’ha fatta a tornare in Consiglio provinciale Max Bruschi, già
uomo di iducia di Sandro Bondi alla segreteria di Berlusconi ad Arcore,
e titolare di un incarico di docenza di Storia dei media e della società
contemporanea allo Iulm. Collaboratore delle pagine della cultura del
Sole 24 Ore e del Borghese, poi del Foglio e del Giornale della famiglia
Berlusconi, dove ha svolto anche l’attività di commentatore politico,
Bruschi non è stato ricandidato alle provinciali del giugno 2009, ma ha
trovato un posto a ianco del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, già coordinatrice lombarda degli azzurri.
La Madonnina col grembiulino
113
Berlusconi ha trasformato Forza Italia prima, ed il Pdl poi, nel rifugio
politico di molti ex appartenenti alla P2, tanto che il partito di maggioranza al governo potrebbe tranquillamente chiamarsi «Partito dei liberimuratori», per l’alto tasso di massoni iscritti.
A tal proposito, la Commissione Anselmi ha rilevato che non mancano in atti documenti che «illustrano attività di sostegno e di intervento
in occasione di competizioni elettorali», deinendo questa attività una
«forma di esercizio di solidarietà è riferibile in primo luogo alla massoneria in via generale», come dimostrano le lettere rinvenute presso
varie famiglie massoniche contenenti l’invito agli iscritti ad esprimere il
loro voto preferenziale per i fratelli candidati. La Commissione ha speciicato che «la solidarietà esplica la sua funzione per le attività dell’afiliato nel mondo “profano”, giungendo sino all’appoggio esplicito per i
fratelli candidati, formalizzato in circolari tra gli iscritti, in occasione di
consultazioni elettorali».
Come ha scritto Tina Anselmi, nella relazione conclusiva dei lavori
della Commissione parlamentare d’indagine sulla P2: «In deinitiva e
per concludere sembra doversi rilevare il rischio che la solidarietà massonica, quando si traduca in una occulta agevolazione di successi personali, possa rendersi incompatibile con non poche regole della società
civile, specie quando tale forma di solidarietà operi all’interno di carriere pubbliche».
114
Il vero potere risiede nelle mani dei detentori
dei mass media.
Licio Gelli
Berlusconi, P2 e mass media
Nell’organigramma complessivo della P2, incentrato, come detto,
sulla segreta penetrazione dei più diversi luoghi del potere (inanza, politica, media), il ruolo dei giornali e della televisione appare decisivo. Lo
stesso Gelli sosteneva che «Il vero potere risiede nelle mani di chi ha in
mano i mass media»: i progetti eversivi del cosiddetto Piano di rinascita
democratica, stabilivano che televisione, radio e giornali fossero i primi obiettivi da occupare militarmente. Per realizzarlo, la rete afaristica
della loggia segreta si è avventurata in inanziamenti occulti, iniltrazione e corruzione interne al sistema politico ed economico venute a galla
nelle istruttorie sulla bancarotta dell’Ambrosiano e la morte di Roberto Calvi (tessera n. 519), trovato impiccato sotto il Blackfriars bridge
di Londra il 18 giugno 1982 (la sua segretaria, Graziella Corrocher, fu
trovata morta dopo un volo da una inestra del Banco ambrosiano di
Milano il giorno prima). La scoperta della loggia interrompe il controllo
piduista sul più importante gruppo editoriale italiano (Rizzoli-Corriere
della Sera), bloccando la grande manovra delle concentrazione di testate
giornalistiche, eppure non frena altri obiettivi della P2, soprattutto il
controllo delle tv.
La stampa è indicata nel Piano di rinascita come secondo obiettivo
dopo i partiti politici: «La stampa, escludendo ogni operazione editoriale,
che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia, per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama,
Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La Rai-Tv va dimenticata».
Il Piano illustra anche i dettagli operativi: «Nei confronti della stampa
(o, meglio, dei giornalisti) l’impiego degli strumenti inanziari non può,
in questa fase, essere previsto nominativamente. Occorrerà redigere un
Berlusconi, P2 e mass media
115
elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in
modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi
che conoscono l’ambiente. Ai giornalisti acquisti dovrà essere aidato il
compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici prescelti».
Tra gli obiettivi «acquisire alcuni settimanali di battaglia; coordinare
tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata; coordinare molte tv via cavo con l’agenzia per la stampa locale; dissolvere la Rai-Tv in nome della libertà di antenna ex art. 21 Costit.». E,
sul programma a medio e lungo temine, il Piano indicava come obiettivo
«Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare bilanci deicitari con onere del pubblico erario ed abolire il monopolio Rai-Tv».
Non è un caso che negli elenchi di Castiglion Fibocchi, fra gli iscritti
alla loggia segreta si scoprono editori, tra i quali Berlusconi, 8 direttori
di giornale, 7 irme della Rai, 22 tra giornalisti e pubblicisti. Berlusconi
occupa un posto importante: è il terzo in ordine gerarchico nel gruppo
«Informazione e mezzi di comunicazione di massa». Viene dopo Fabrizio
Trecca, segue il direttore del Corriere della Sera Franco Di Bella (tessera
n. 655), precede giornalisti ed esperti tv in un elenco nel quale igurano
uiciali superiori della Marina Militare con incarichi nei servizi segreti.
Berlusconi viene identiicato da Gelli come l’uomo al quale aidare la realizzazione della parte del Piano che riguarda la creazione di un network
televisivo privato, in quanto il suo ingente patrimonio − proveniente il
gran parte dalla Svizzera − collimava con «La disponibilità di cifre non
superiori a 30 o 40 miliardi» stimata nel Piano di rinascita «suiciente a
permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le
posizioni chiave necessarie al loro controllo».
La scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più difuso, ed allo stesso tempo più autorevole. Per questa operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal
suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dal
presidente dell’Eni Eugenio Ceis e dalle casse dell’Istituto per le opere
di religione del Vaticano. Inine, era necessario un editore interessato
all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono
individuati i Rizzoli. I due fratelli furono convinti dalle buone maniere e
dalle argomentazioni di Ortolani e Gelli ad entrare nella P2, anche se si
iscriverà solo Angelo, nipote dell’omonimo capostipite.
I Rizzoli, sostenuti inanziariamente da Eugenio Ceis (il colosso petrolchimico statale controllava già Il Giorno, acquistato alla ine degli
anni ’50 da Enrico Mattei e l’Agenzia Italia), nel 1974 si decisero quindi
116
Dalla P2 alla P4
per l’acquisto, ma si resero conto ben presto che l’operazione si sarebbe
rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. Angelo Rizzoli
quindi si mise alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevole del fatto che molte erano presiedute o dirette da ailiati della P2,
e che quindi la decisione di concedergli nuovi liquidi era condizionata dal
parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio del 1977 si appellò al Maestro Venerabile: questi gli concesse nuovi fondi, provenienti
dallo Ior, così da rendere i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti
della loggia ed economicamente deboli. In questo modo non fu diicile
far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-Ior.
Gelli quindi ottenne il suo primo obiettivo: inserì nei posti-chiave
dalla Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella al posto di Pietro Ottone, direttore del Corriere della Sera. Il controllo del quotidiano
dava alla P2 un potere enorme: poteva condizionare ai propri voleri la
condotta dei politici, ai quali l’adesione all’area piduista era ripagata con
articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l’opinione pubblica; poteva inserire nell’organico del quotidiano personaggi
ailiati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi (che il 10
aprile 1978 iniziò una collaborazione come editorialista sul quotidiano
di via Solferino), Fabrizio Trecca, Maurizio Mosca, Roberto Gervaso,
con l’ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2;
poteva inine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l’Argentina, governata
da una giunta militare golpista. Proprio Biagi sarà vittima del famoso
«editto bulgaro» di Berlusconi, con il quale il 18 aprile 2002 il Cavaliere, tornato a Palazzo Chigi dopo le elezioni dell’anno precedente, aveva
espresso il desiderio che alcuni giornalisti «faziosi» (Michele Santoro,
Enzo Biagi ed il comico Daniele Luttazzi) non lavorassero più per il servizio pubblico («L’uso che Biagi, come si chiama quell’altro…? Santoro,
ma l’altro… Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi
soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere
da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga»), accusandoli di essere organici ai partiti di sinistra, e di perseguire
un preciso disegno politico per escluderlo dal governo del Paese.
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l’Alto Adige
di Bolzano e la Gazzetta dello Sport. Nel 1978 verrà pubblicato ex-novo
L’Eco di Padova e la casa editrice entrerà nella proprietà de Il Lavoro di
Genova e inanzierà L’Adige di Trento. Nel 1979 la Rizzoli aumentò la
propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni portandola al
Berlusconi, P2 e mass media
117
52%, in modo da ottenerne il controllo. Inine, nonostante l’opposizione dei Rizzoli, venne fondato L’Occhio, con direttore Maurizio Costanzo.
TV Sorrisi e Canzoni passerà poi sotto il controllo di Berlusconi, quando,
al termine della «guerra di Segrate» con Carlo De Benedetti per le attività editoriali del Gruppo Mondadori, grazie alla mediazione di Giuseppe
Ciarrapico, ne otterrà la proprietà.
Secondo il piduista Antonio Buono (n. 104), magistrato già presidente
del Tribunale di Forlì, e collaboratore de il Giornale, nel corso di un incontro a Cesena, Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare un trust di
testate, nell’ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell’ambito di questo progetto, una
agenzia di informazione – in alternativa all’Ansa – che avrebbe trasmesso
le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell’occasione, il Venerabile incaricò Buono di reclutare il direttore del quotidiano milanese:
«Avevo un grande ascendente su Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per il Giornale, a entrare». Sebbene secondo persone
vicine a Indro Montanelli, in realtà, Buono non avesse alcun ascendente
su di lui, scrissero per il Giornale almeno due personaggi in contatto con
gli ambienti massonici: lo stesso Buono e Michael Arthur Ledeen, corrispondente per il quotidiano, legato a Cia, Sismi (i servizi segreti militari
dell’epoca) e la stessa P2. Gelli ha dichiarato, nella sua intervista autobiograica, di aver ricevuto anche una «richiesta di contributi da parte di
Indro Montanelli, soldi fatti poi versare da Roberto Calvi».
In occasione delle elezioni politiche del 20 giugno 1976 il Giornale
si schierò apertamente con i candidati democristiani, consigliando ai
lettori una rosa di quaranta candidati: 33 furono eletti al Parlamento.
Il più votato risultò il piduista Massimo De Carolis, con oltre 150 mila
preferenze, poi passato a Forza Italia nel ’94.
Nel 1977, viste le critiche condizioni inanziarie del quotidiano, Silvio Berlusconi entrò con una quota azionaria del 12%, elevata al 30 %
due anni dopo, diventando così azionista di maggioranza. Si trattò di un
acquisto molto oneroso, poiché il giornale si mantenne costantemente
in deicit, ma l’obiettivo era strettamente politico (contrastare l’avanzata del Pci). Eugenio Ceis, presidente di Montedison, garantì la copertura inanziaria tramite un inanziamento con la formula del «minimo
garantito»: la Spi (azienda del gruppo Montedison) raccoglieva la pubblicità per il quotidiano, assicurando un minimo di 12 miliardi all’anno.
Il 27 febbraio 1974, a Milano, venne costituita la «Società Europea di
Edizioni S.p.A. − Società di redattori», proprietaria della testata e società di gestione del giornale.
118
Dalla P2 alla P4
Nel frattempo, era il 16 marzo del 1978, le Brigate rosse rapirono
il presidente della Dc Aldo Moro, fautore dell’accordo di maggioranza
col Partito comunista italiano, e per questo politicamente inviso a Berlusconi e alla P2. Il Giornale e il Corriere della Sera furono i maggiori
sostenitori della linea della fermezza durante i due mesi del rapimento: lo Stato non doveva, assolutamente, trattare coi terroristi, anche
al prezzo della vita di Moro, la cui morte favorì senz’altro le strategie
politiche di Gelli e compagni (il criminologo piduista Franco Ferracuti
venne nominato dal ministro dell’Interno Francesco Cossiga a far parte
del comitato di esperti sul rapimento), segnando la ine della politica
di solidarietà nazionale, sancita poche settimane dopo da una pagina
del Corriere che delineava i nuovi scenari politici italiani (nuova politica
edilizia, allontanamento del Pci, più forza all’ala Dc anticomunista): le
irme di Berlusconi e De Carolis (destra Dc, piduista), più un’intervista
a Bettino Craxi, che era espressamente citato nel Piano come possibile
referente della P2 e che non a caso, di lì a poco, si espresse per una revisione in senso presidenzialista della Costituzione.
Berlusconi fu poi costretto a cedere il Giornale al fratello Paolo nel
1990, a causa dell’incompatibilità stabilita dalla Legge Mammì per il titolare di un canale televisivo nazionale (ne aveva tre: Canale 5, Italia
1 e Rete 4), rimanendo azionista solo con una quota di minoranza (il
29%). Quando, nel 1994, Berlusconi fondò Forza Italia, l’ex editore, che
ino ad allora non aveva mai messo piede in redazione, si recò personalmente nella sede del quotidiano durante un’assemblea, all’insaputa di
Montanelli. Ai redattori chiese esplicitamente l’appoggio del Giornale in
occasione dell’imminente campagna elettorale. Per Montanelli, che in
tanti anni di direzione non aveva mai subito pressioni, fu un duro colpo
alla propria indipendenza. Montanelli trasse la conclusione che il quotidiano da lui fondato si apprestava a diventare un giornale di partito e
si dimise, fondando La Voce, esperienza di breve periodo, conclusa con
il ritorno del grande giornalista toscano al Corriere della Sera. L’attuale
linea editoriale del Giornale, diretto da Alessandro Sallusti, subentrato
a Maurizio Belpietro, è di aperto appoggio alla politica di Silvio Berlusconi. A partire dal giugno 2007 ogni venerdì, in abbinamento con il
quotidiano, viene allegato il periodico il Giornale della Libertà, organo
uiciale dei Circoli delle libertà guidati dal ministro del Turismo del Pdl,
Michela Vittoria Brambilla.
Il Giornale di Montanelli era nato in contrapposizione alla gestione
di Piero Ottone del Corriere della Sera, sul quale la P2 mette le mani lo
stesso anno tramite l’ailiazione dell’editore Angelo Rizzoli e del diretto-
Berlusconi, P2 e mass media
119
re generale, il parlamentare democristiano Bruno Tassan Din. Ottone si
dimise, e al suo posto proprio Berlusconi si mosse per far insediare Franco Di Bella, che a sua volta entrò a far parte della loggia coperta. Così,
mentre da un lato Berlusconi dichiarava di voler mettere a disposizione
della destra Dc il Giornale, che infatti iniziò ad ospitare irme di numerosi
piduisti, dall’altra apparirono sul Corriere lunghi articoli a sua irma.
In quello stesso periodo, nacque Telemilanocavo, fondata nel 1976
da Giacomo Properzj Beccaria Incisa di Santo Stefano, e rilevata due
anni dopo per una lira (la tv aveva 180 milioni di lire di debiti) dall’allora piduista Silvio Berlusconi, che la fece poi diventare Telemilano,
Telemilano 58 ed inine Canale 5 nell’autunno del 1979 quando, in seguito all’assassinio di Aldo Moro da parte delle Br, inisce la politica di
solidarietà nazionale. Properzj è stato esponente di spicco del Partito
repubblicano italiano (attualmente è un esponente del Pdl, dopo essere
transitato per Forza Italia), ed ha ricoperto vari incarichi pubblici tra
cui quello di sindaco di Segrate, presidente della Provincia di Milano, e
presidente delle municipalizzate milanese Aem (che opera nel settore
energetico) e Atm − Azienda trasporti milanesi (l’azienda dei trasporti
municipali che gestisce anche la Metropolitana milanese) che, nei rispettivi settori, sono tra le più importanti d’Italia. È stato anche un importante dirigente di gruppi bancari e inanziari francesi (vicepresidente della Banca Indosuez). Il 20 maggio 1992 venne arrestato nell’ambito
dell’inchiesta Mani pulite per un giro di tangenti legate all’Aem, all’Atm
e alla Metropolitana milanese. Al processo Aem ammise di aver preso
500 milioni di lire. In primo grado al processo sulle tangenti della metropolitana, patteggiò una pena di 11 mesi. Al processo per le forniture
autobus Atm, in appello il reato venne dichiarato estinto per prescrizione. Tutt’ora molto attivo a livello di politica cittadina milanese, alterna
collaborazioni alla pagina milanese del quotidiano Il Riformista ad attività di pubblicistica, che gli sono valse il conferimento nell’agosto 2006
del prestigioso premio letterario Grinzane Cavour, fondato nel 1982 da
Giuliano Soria, che si svolgeva nell’omonimo castello delle Langhe, in
Piemonte.
Lo scopo dichiarato uicialmente del Grinzane Cavour era quello di
avvicinare i giovani alla lettura, ma, in seguito alle indagini della magistratura, nel 2009 è emerso che il Premio era in realtà organizzato a ini
economici legati alla gestione degli ingenti contributi pubblici erogati,
tanto da portare all’arresto del presidente Giuliano Soria il 13 marzo
2009 con l’accusa principale di malversazione. In seguito allo scandalo,
è così venuto alla luce un giro vorticoso di premi collegati, sui temi più
120
Dalla P2 alla P4
disparati, senza alcuna aderenza al territorio e senza alcun riferimento
al sistema di voto uiciale. Successivamente alle ispezioni della Guardia
di Finanza, Soria è accusato di malversazione ai danni dello Stato.
Berlusconi fu scelto da Gelli in quanto Telemilano 58 veniva ritenuta
un’accettabile base di partenza per realizzare «una catena di Tv locali coordinate da un’agenzia centrale», secondo quanto previsto dal Piano di
rinascita democratica della P2, che puntava su giornali e tv «in modo da
controllare la pubblica opinione nel vivo del Paese», prevedendo la dissoluzione del monopolio statale della Rai con una potente Tv privata.
Nella sua intervista autobiograica con Sandro Neri, il Venerabile ha
ricordato il ruolo del Cavaliere nella realizzazione del progetto piduista:
«Mi impressionò la sua grande intelligenza. Aveva parlato della sua idea
di confezionare pacchetti tv anche al direttore generale del ministero
dell’Industria, Eugenio Carbone, e a Carlo Pesenti. Il progetto era di acquistare piccole televisioni su tutto il territorio nazionale e poi costruire
un network. L’idea era di Berlusconi. Ma l’intento in un primo tempo
era di aidare la gestione alla Dc e alla Conindustria. Per noi era importante rompere il monopolio della tv di Stato per evitare che diventasse
ostaggio della politica».
Canale 5 iniziò proprio a «coordinare», come diceva il Piano, le varie
emittenti private regionali più deboli, arrivando a fornirle di cassette
preregistrate, con inseriti già anche gli spot pubblicitari, in modo da
trasmettere in contemporanea su tutto il territorio nazionale i propri
programmi. Un palese aggiramento delle leggi, avallato però tanto dal
primo governo Cossiga (un amico personale di Gelli) del 1979, con due
ministri (Stamati al Commercio estero e Sarti alla Difesa) e tre sottosegretari piduisti, quanto dal Cossiga bis (tre ministri e cinque sottosegretari iniltrati) e dal governo Forlani (tre ministri, cinque sottosegretari,
il capo di gabinetto della presidenza del Consiglio, Semprini) formati in
rapida successione nel 1980.
Contemporaneamente alla nascita di Canale 5, vede la luce Publitalia ’80, concessionaria di pubblicità che ha come consigliere delegato
Marcello Dell’Ultri, uomo legato alla maia, come emergerà più tardi nei
processi che vedono coinvolto il senatore del Pdl. Dell’Utri (così come
Cesare Previti e il giudice Renato Squillante) è buon amico di Roberto
Memmo (tessera 564), inanziere che tanto si diede da fare per salvare
Sindona, e che oggi dirige la Fondazione Memmo per l’arte e la cultura,
con sede a Roma nel Palazzo Ruspoli.
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato
Berlusconi, P2 e mass media
121
e perderà, dal 1981 al 1983, 100.000 copie, nonché le irme di Enzo
Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia. Franco Di Bella lasciò la
direzione il 13 giugno e fu sostituito da Alberto Cavallari. L’Occhio e il
Corriere d’informazione vennero chiusi, Il Piccolo, l’Alto Adige e Il Lavoro
ceduti. Nessuna ripercussione invece per Canale 5 ed il suo proprietario
Silvio Berlusconi, che l’anno dopo lo scandalo acquisirà Italia 1 da Rusconi, e nel 1984 Rete 4 da Mondadori.
Nata il 3 gennaio 1982 da un’idea di Edilio Rusconi come network che
si appoggiava a 18 emittenti regionali (la capoila era Antenna Nord)
per trasmettere sul territorio italiano, dopo pochi mesi, il 30 novembre,
il 51% del capitale di Italia 1 passa nelle mani del gruppo Fininvest per
29 miliardi di lire. Dalla fusione con Canale 10, anch’esso proprietà di
Silvio Berlusconi, nasce così la seconda rete Fininvest.
Annunciata già nell’ottobre 1981, Retequattro (presidente era Mario
Formenton) inizia le sue trasmissioni il 4 gennaio 1982. Il network è di
proprietà della Mondadori (60%), Carracciolo e Perrone (20% ciascuno)
e si articola in 22 emittenti, alcune delle quali di proprietà Mondadori o
Perrone. Su Rete 4 Maurizio Costanzo lancia l’omonimo show. In pochi
mesi Rete 4, pressata dalla concorrenza delle due emittenti di Berlusconi, è già oberata dai debiti, e dopo alterne vicende, il 27 agosto 1984 la
Fininvest ne acquisisce il 50% per 15 miliardi di lire, ed il magazzino
programmi per 105 miliardi di lire in quattro anni senza interessi, facendone così il suo terzo canale.
Berlusconi è ormai tanto grande da poter andare avanti anche da
solo, grazie alle ricchezze economiche accumulate, ad una itta rete di
solidarietà intessuta con gli altri ex pidusti, e soprattutto per gli ormai
itti rapporti privilegiati col potere politico (l’ala destra democristiana e
l’emergente segretario socialista Bettino Craxi).
Appena diventato monopolista dell’emittenza privata, Berlusconi si
scontra con i pretori di Torino, Roma e Pescara, che vietano l’interconnessione delle reti, quindi la trasmissione simultanea dello stesso programma su scala nazionale. In quattro giorni, il 16 ottobre, il presidente
del Consiglio Bettino Craxi, insieme al ministro delle Poste Gava, vara
un decreto legge (detto «salvaberlusconi») che consente la prosecuzione
delle attività delle singole emittenti televisive private ino alla approvazione della nuova disciplina. Il decreto viene giudicato incostituzionale
dalla Camera, che lo respinge il 28 novembre. In tre giorni un decreto
analogo fu approntato di nuovo, al termine di una riunione d’urgenza con, tra gli altri, gli ex piduisti socialdemocratici Renato Massari e
Giampiero Orsello (n. 60), allora vicepresidente della Rai. Il decreto,
122
Dalla P2 alla P4
presentato alla Camera il 6 dicembre, verrà convertito in legge il successivo 31 gennaio. Massari si è ritirato dall’attività politica, ma ha piazzato il iglio Paolo in Forza Italia (è consigliere comunale a Milano) e a
Mediaset, dove è giornalista di Canale 5.
A partire dal 1985, gli archivi di Gelli testimoniano l’intervento della
P2 nell’acquisizione da parte di Berlusconi di Tv Sorrisi e Canzoni, allora il più difuso settimanale popolare italiano. La transazione, se vista
come una delle tante compiute all’interno della stessa intricata ragnatela di imprese legate al sistema creditizio vaticano, risulta quasi solo un
passaggio di consegna per la realizzazione del programma. È il giugno
del 1983 quando la consociata all’estero Ambrosiano Group Banco Comercial di Managua cede a Berlusconi il 52% del pacchetto azionario
della rivista. A interessarsi dell’afare sono i inanzieri piduisti Roberto
Calvi e Umberto Ortolani.
A Berlusconi mancava il monopolio della carta stampata, quando nel
1989 la famiglia Formenton, in possesso di numerose quote di minoranza della Mondadori, si alleò improvvisamente con Fininvest, ribaltando i vertici societari del gruppo guidato da De Benedetti (che aveva
appena acquisito anche il gruppo L’Espresso, e pubblicava il quotidiano
Repubblica). I Formenton si sdebitarono così per il salvataggio di Rete 4,
avvenuto cinque anni prima, ad opera della Fininvest. Durante la «guerra di Segrate», che vide Berlusconi e De Benedetti contendersi il controllo del gruppo editoriale, Giuseppe Ciarrapico fu l’arteice − per conto di
Andreotti − di un tentativo di mediazione tra il Cavaliere e l’Ingegnere
per la spartizione delle attività editoriali della casa editrice, che si risolse nel 1991 con l’attribuzione della proprietà della vecchia Mondadori a
Berlusconi, mentre L’Espresso rimase nelle mani di De Benedetti.
Il 5 ottobre 2009 il giudice monocratico Raimondo Mesiano, della
decima sezione civile del Tribunale di Milano, ha emesso un’ordinanza, immediatamente esecutiva, con la quale ha condannato Fininvest a
risarcire la Cir con 750 milioni di euro per il lodo Mondadori. «Si è dimostrata la ingiustizia della sentenza Metta e la sua derivazione causale
dalla corruzione del giudice Metta, argomento che resiste in ragione del
ruolo primario che ebbe il Metta nella formazione della decisione del
collegio all’obiezione della collegialità della sentenza». È questo uno dei
passaggi della corposa sentenza di 146 pagine che ha scatenato, ancora
una volta, gli strali di Berlusconi («Si sono messi in testa di farmi fuori») e del Pdl contro il «disegno eversivo» della «magistratura militante»
(dichiarazione congiunta dei capigruppo del Pdl al Senato e alla Camera,
Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, ed i vicepresidente vicari, Gaeta-
Berlusconi, P2 e mass media
123
no Quagliariello e Italo Bocchino). Insomma, secondo il Cavaliere sono
tornate le «toghe rosse», alle quali il premier si aggrappa ogni volta che
viene toccato da un avviso di garanzia, da un rinvio a giudizio, o da una
sentenza come quella di Milano. Il 13 luglio 2007, la II sezione penale
della Cassazione ha reso deinitiva la condanna ad un anno e sei mesi
per Cesare Previti ed altri imputati, comminata in secondo grado. Questa sentenza stabilisce in modo deinitivo che la sentenza del 14 gennaio del 1991, con cui la Corte di appello di Roma (relatore ed estensore
della sentenza il giudice Vittorio Metta, anche lui condannato) dava la
maggioranza della Mondadori a Silvio Berlusconi, sia frutto di corruzione. La sentenza di appello del processo Mondadori a carico di Previti,
confermata dalla Cassazione, dice esplicitamente che il Cavaliere aveva
«la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio». Del resto, «la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore», cioè di Silvio Berlusconi. Il denaro adoperato per la corruzione proviene dal conto «All Iberian», che, secondo
i suoi stessi avvocati, era un conto personale di Berlusconi. Berlusconi,
nel processo per il lodo Mondadori, era stato prescritto avendo ottenuto le attenuanti generiche, ma il reato era stato constatato, né lo stesso
Silvio Berlusconi aveva deciso di rinunciare alla prescrizione per essere
assolto nel merito. A seguito di questa sentenza De Benedetti, a cui la
decisione di Metta portò via la Mondadori, ha chiesto e ottenuto un risarcimento di 750 milioni di euro. Si tratta, casualmente, del medesimo
importo che la casa editrice di Segrate doveva all’Agenzia delle entrate
per evasione iscale.
Secondo quanto emerso nell’estate 2010 dalle indagini sulla cosiddetta «Nuova P2», l’associazione segreta si attivò sui vertici della Cassazione per ottenere un rinvio di una causa che stava per far abbattere sulla Mondadori una maxi-multa da 450 milioni di euro (in efetti la causa
fu trasferita dalla Sezione tributaria alle Sezioni Unite, permettendo
all’azienda di Segrate di beneiciare del concordato iscale presentato
tra le pieghe della Finanziaria predisposta dal ministro dell’Economia
Tremonti). Il ministro della Giustizia Angelino Alfano aveva provato ad
inserire lo sgravio iscale nel pacchetto giustizia del 2008, poi cassato
ad opera di Gianfranco Fini. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti
(che, tra l’altro, ai tempi del processo Mondadori era l’avvocato difensore della famiglia Berlusconi), aveva provato a inserirlo nella Finanziaria
2009, ma si era trovato la strada sbarrata dell’intransigenza dell’opposizione e del presidente della Repubblica. Alla ine la proposta è passata,
grazie ad una norma introdotta nel decreto incentivi (decreto legge 25
124
Dalla P2 alla P4
marzo 2010 n. 40 sulla chiusura delle liti pendenti): le aziende che, in
una controversia iscale, abbiano ottenuto sentenza favorevole in primo
e secondo grado, possono evitare il giudizio della Cassazione pagando
il 5% del dovuto. Un 5% che, nel caso della Mondadori vuol dire 8,6
milioni di euro, a fronte dei 350 richiesti dall’Erario. Il risparmio, per
la società del presidente del Consiglio, è stato di 341,4 milioni di euro.
Si trattava di un contenzioso quasi ventennale in cui l’Agenzia delle entrate contestava il mancato pagamento di 173 milioni di tasse evase nel
’91, in occasione della fusione tra Amef e Arnoldo Mondadori.
Ciarrapico, ex re delle acque minerali con simpatie per l’estrema destra (durante la campagna elettorale dell’aprile 2008 suscitò accese polemiche la sua afermazione «resto sempre fascista»), giornalista ed editore di numerose testate locali, tra le quali Ciociaria Oggi, Latina Oggi,
Oggi Nuovo Molise e Il Gazzettino di Venezia. è stato eletto senatore nelle
liste del Pdl alle ultime politiche dell’aprile 2008. È stato lo stesso Berlusconi a dichiarare di averlo candidato perché, con i suoi giornali, fa
sempre comodo, e poi perché non gli sono mai stati ostili. Ciarrapico nel
’74 è stato condannato dal pretore di Cassino, per aver violato per quattro volte la legge che tutela «il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti»,
sentenza confermata in Cassazione. Condannato a quattro anni e mezzo di reclusione, ridotti in cassazione a tre anni, per gli sviluppi della
vicenda «Casina Valadier», è stato inquisito anche per lo scandalo della
Saim-Italsanità (il 18 marzo 1993 viene spiccato nei suoi confronti un
mandato di custodia cautelare: entra a Regina Coeli il 21 marzo, insieme a Mauro Leone, iglio dell’ex Presidente della Repubblica e dirigente
dell’A.S. Roma con la gestione Ciarrapico). L’11 maggio viene revocato il
mandato di custodia cautelare, ma la libertà è breve, perché Ciarrapico
è di nuovo arrestato e trasferito a Milano, con l’accusa di inanziamento
illecito ai partiti. Nel 2000, dopo sette anni, Ciarrapico viene condannato in via deinitiva; tuttavia, in ragione della sua età, viene aidato
ai servizi sociali. Nel 1996 viene poi condannato anche nel processo relativo al crack del Banco ambrosiano di Roberto Calvi, in primo grado
a cinque anni e mezzo di reclusione, ridotti in appello a quattro anni
e mezzo (12 anni è stata invece la pena inlitta dai giudici a Licio Gelli). Successivamente gli sono stati condonati quattro anni, ed è stato
condannato a scontare gli ultimi sei mesi in «detenzione domiciliare»
per motivi di salute. La condanna è stata confermata dalla Cassazione.
Non ha mai risarcito i danni alle parti civili, cambiando continuamente
residenza. Secondo la dichiarazione patrimoniale depositata al Senato,
obbligatoria per i parlamentari, nel 2008 Ciarrapico ha dichiarato di
Berlusconi, P2 e mass media
125
aver guadagnato 1,2 milioni di euro, pur non possedendo alcunché: nè
partecipazioni azionarie, nè immobili, sebbene sia titolare di giornali e
cliniche (è socio nel gruppo Eurosanità di Carlo Caracciolo, il fondatore
del gruppo Espresso-Repubblica scomparso nel dicembre 2008, e fratello
maggiore di Marella Caracciolo di Castagneto, vedova di Gianni Agnelli,
che nel 2001 salvò l’impero sanitario del senatore del Pdl prestando una
ideiussione di 200 miliardi di lire).
Braccio destro di Ciarrapico − che nel 2006 è diventato amministratore
unico della sua società Partecipazioni e Consulenze − e schierato a favore
di Berlusconi, è anche l’ex piduista di estrema destra Giulio Caradonna
(n. 909), ex deputato Msi per otto legislature, sempre eletto nel collegio
di Roma, dal 1958 al 1976 e dal 1979 al 1992 (non ha aderito ad Alleanza nazionale, e per questo non fu ricandidato alle elezioni politiche del
1994). Figlio del fascista Giuseppe Caradonna (1891 − 1963), a 16 anni
combattè per la Repubblica sociale italiana, e nel 1958 venne eletto per
la prima volta alla Camera dei deputati. Il 16 marzo 1968 guidò, assieme
a Giorgio Almirante e Massimo Anderson, i circa 200 militanti di Msi e
di Volontari nazionali che attaccarono L’Università La Sapienza di Roma
per fermare l’occupazione del movimento studentesco. Caradonna, pur
essendo vicino alle posizioni di Forza Nuova, in occasione delle elezioni
del 2008, ha esortato a votare per il Popolo delle libertà.
Molti degli iscritti alla P2 hanno avuto successo, in politica, nello
spettacolo o nel giornalismo. Una certa parte dei piduisti legati al mondo
dei media prospera ancora nell’apparato informativo di Berlusconi, o nel
sistema politico del centrodestra. Certi giornalisti continuano a dirigere
riviste, o collaborano al Foglio, al Giornale, a Panorama, sempre proprietà
di Berlusconi. C’è chi appare in Rai con la continuità di un buon contratto. L’ex proprietario del Corriere della Sera, Angelo Rizzoli, tramite la sua
Videotrade Audiovisivi Srl, produce iction per Mediaset e Rai. La moglie
di Rizzoli, Melania De Nichilo, eletta nell’aprile 2008 deputato del Pdl
nella circoscrizione Lazio 1. La solidarietà P2 non si è sciolta.
Roberto Gervaso (n. 622), che ha presentato Berlusconi a Gelli, diventando biografo di entrambi (nell’elenco degli iscritti alla P2 Gervaso
precede di sole tre posizioni il fondatore di Mediaset), cura la rubrica
«Peste e corna e gocce di storia», in onda ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 06.15 circa (04.00 circa replica) su Rete 4. Gervaso, laureato
in lettere moderne, è celebre per i suoi aforismi, che ha pubblicato in più
volumi, e collabora con i quotidiani ed i periodici della galassia Mondadori. Ha scritto diverse biograie e cinque volumi di interviste, oltre ad
un volume di ritratti contemporanei e uno di confessioni, un pamphlet
126
Dalla P2 alla P4
politico, un giallo storico, e i primi sei volumi della Storia d’Italia con
Indro Montanelli. È inoltre autore di una storia della massoneria dal
titolo I fratelli maledetti. I suoi libri sono stati tradotti negli Stati Uniti,
Spagna, Portogallo, Francia, Gran Bretagna, Germania, in America Latina, Giappone, Bulgaria, Polonia. Nel 2005 ha vinto il Premio Cimitile
con l’opera Qualcosa non va (Mondadori).
Ai tempi della P2, Gervaso inviò una lettera a Gelli: «Caro Licio, ho
chiesto a Di Bella (direttore del Corriere della Sera, nda) di farmi collaborare. È bene che tutti capiscano che bisogna premiare gli amici. Oggi Di
Bella parlerà della mia collaborazione con Tassan Din (direttore generale del Corriere, piduista come Di Bella e come l’editore Angelo Rizzoli,
nda). Vedi di fare, se puoi, una telefonata a Tassan Din, ainché non mi
metta i bastoni tra le ruote».
Rete 4 ospita anche il professor Fabrizio Trifone Trecca (Roma, capo
gruppo 17, fasc. 327), grande reclutatore di piduisti, capogruppo del settore mass media della loggia segreta, braccio organizzativo e medico personale di Gelli, e titolare, dal 2001, della trasmissione «Vivere meglio», in
onda ogni sabato dalle 9.25. Trecca è professore ordinario all’Università
La Sapienza di Roma, ma ha la passione per la divulgazione scientiica
e la televisione, come lui stesso ammette. Ha scritto alcuni romanzi di
fantascienza, fra i quali Gamma, che ha anche sceneggiato, trasmesso
sulla Rai in 4 puntate nel 1975. È anche autore della serie di teleilm
«Diagnosi», interpretati da Philippe Leroy ed andati in onda nel 1975
sulla tv pubblica. Per il cinema ha scritto il soggetto e la sceneggiatura
de Il mio nome è Shangai Joe (1972), ilm che narra la storia di un cinese
che arriva a San Francisco per fare il cowboy. Schernito e deriso da tutti,
riesce a ottenere fama e rispetto a colpi di Kung-fu (una specie di imitazione dell’omonimo teleilm con David Carradine). Trecca entrò nella P2
il 1° gennaio 1977, insieme a Umberto Ortolani, Roberto Calvi, Angelo
Rizzoli e Bruno Tassan Din, e ottenne subito la possibilità di scrivere sul
Corriere, con lo pseudonimo di Fabrizio Carte. All’epoca Trecca insegnava
semiotica chirurgica all’Università dell’Aquila e di Roma.
Claudio Lanti (n. 914), ex inviato del Giornale, e già direttore dell’Uficio stampa dell’Aairl (l’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia, che
riunisce i 20 mila italiani che, nel luglio 1970, furono espulsi da Gheddai appena salito al potere), è il direttore di Velina azzurra (velina-azzurra.blogspot.com), newsletter telematica interna di Forza Italia, con
lo scopo di far la fronda al centrodestra, al punto da autodeinirsi «organo dell’opposizione interna alla maggioranza». Sarà anche un caso,
ma Lanti il 28 aprile 2008, in coincidenza con l’uscita dal Parlamento di
Berlusconi, P2 e mass media
127
Gustavo Selva (che ha sempre dichiarato di non essere mai stato iscritto
alla P2), ha irmato un editoriale, pubblicato sul sito gustavoselva.it,
intitolato «Onore a Gustavo Selva, quello dell’ambulanza che lascia il
Parlamento seppellendo il 25 aprile: “una festa da abolire una data da
dimenticare”», nel quale elogia il senatore uscente. Nell’editoriale Lanti
scrive: «Gustavo, in quel momento, l’hanno compreso e difeso in pochissimi, tra cui − bisogna dirlo − quel Silvio Berlusconi che in certe sortite vuole apparire in collisione con il conformismo dell’establishment».
Paolo Mosca (n. 813), è iglio del giornalista ed umorista Giovanni
Mosca, e fratello di Maurizio, giornalista sportivo e volto noto delle reti
Mediaset. Laureatosi in scienze politiche, Paolo frequenta l’Accademia
del Piccolo Teatro di Milano, assecondando in seguito la passione per la
scrittura, e divenendo prima inviato e poi direttore di periodici nazionali, tra i quali La Domenica del Corriere, dove raccolse il testimone da un
altro pidiusta: Maurizio Costanzo. Conduttore televisivo negli anni Ottanta con il programma «Il cappello sulle ventitré», si dedica negli anni
successivi alla scrittura, pubblicando con la Sperling & Kupfer − casa
editrice compartecipata dagli anni Ottanta della Mondadori che, nel
1995, l’acquisisce interamente − o con la Frassinelli (anch’essa passata
sotto il controllo del gruppo di Segrate a metà degli anni ’90).
Gelli, intervistato nel 2003 da Concita De Gregorio per Repubblica,
si lamenta di Maurizio Costanzo, deinendolo un «pentito» («Con tutto
quello che ho fatto per lui», ha detto il Venerabile). Il giornalista, infatti,
aveva adottato la stessa tattica di Berlusconi (negli elenchi sequestrati a
Castiglion Fibocchi risulta al n. 626, un solo numero dopo Berlusconi),
negando ogni coinvolgimento nella loggia segreta. Aveva ragione, Gelli,
ad essere risentito con il «fratello» Costanzo, stando almeno a quanto
dichiarato da Angelo Rizzoli alla Commissione Anselmi sulla P2: «Posso
dire che il giornalista Maurizio Costanzo entrò nel gruppo Rizzoli su
precisa raccomandazione di Licio Gelli, il quale era in stretti rapporti col
predetto e alla cui carriera mostrava di tenere particolarmente». E poi
ancora: «Il Costanzo era un vero e proprio superprotetto del Gelli… Fu
così che il Costanzo divenne dapprima direttore della Domenica del Corriere, poi dei servizi giornalistici della tv privata della Rizzoli, poi ancora
del quotidiano L’Occhio».
Costanzo inizia la sua carriera nel 1957 come cronista nel quotidiano
romano Paese Sera e dopo pochi anni diventa caporedattore della rivista
Grazia. Nel 1963 debutta come autore radiofonico per uno spettacolo
aidatogli da Luciano Rispoli − allora caposervizio del varietà a Radio
Rai − dal titolo «Canzoni e nuvole», condotto da Nunzio Filogamo. Con-
128
Dalla P2 alla P4
duce quindi la trasmissione radiofonica «Buon pomeriggio» con Dina
Luce. Verso la ine degli anni Settanta, appare in numerosi spettacoli
televisivi improntati ad un genere allora agli albori, quello del talk show
(«Bontà loro», «Acquario»); esperienza che lo porta a ideare il suo spettacolo più famoso, il «Maurizio Costanzo Show», iniziato nel settembre
1982 su Rete 4, e andato in onda ininterrottamente per 25 anni (4.400
puntate e 32.800 ospiti) dal teatro Parioli di Roma, di cui Costanzo è
direttore artistico, ino all’8 dicembre 2009, quando il giornalista lascia Mediaset per passare alla Rai. Presidente del Consiglio, dall’aprile
dell’anno precedente, è nuovamente Silvio Berlusconi.
Contemporaneamente, nel 1978 assume la direzione de La Domenica
del Corriere (passata poi a Paolo Mosca), e nell’autunno del 1979 passa
alla guida del giornale scandalistico L’Occhio (edito dalla Rizzoli targata
P2). La testata, promotrice di una campagna a favore della pena di morte (in seguito al sequestro del magistrato Giovanni D’Urso), è lasciata
da Costanzo a causa dell’insuccesso di vendite nel marzo 1981, venendo
chiusa nel dicembre, per il coinvolgimento nello scandalo della loggia
segreta dell’editore Angelo Rizzoli. Per Rizzoli, nel 1980, Costanzo dirige anche il neonato telegiornale Contatto (primo notiziario nazionale
non Rai in onda sull’emittente della Rizzoli Pin − Primarete indipendente), che deve abbandonare dopo che il suo nome viene ritrovato negli
elenchi della P2. All’indomani dello scandalo Costanzo viene allontanato anche dalla Rai, e trova accoglienza nelle televisioni di Silvio Berlusconi, dove nell’ottobre 1997 diventa addirittura direttore di Canale 5
(carica lasciata l’anno seguente), per assumere due anni dopo la carica di
presidente di Mediatrade, società del gruppo Mediaset che si occupa di
iction. Costanzo scrive anche per i settimanali della Mondadori Gente e
Panorama, oltre che per il quotidiano Il Messaggero.
Folgorante carriera anche per l’attuale direttore di Canale 5, Massimo
Donelli (n. 921). Giornalista professionista dal 1976, ha iniziato la carriera nel 1967 lavorando nella redazione genovese della Gazzetta dello
Sport, poi per i quotidiani Il Secolo XIX, il Corriere della Sera, Il Mattino
(diretto dal piduista Roberto Ciuni), il Giornale (gruppo Berlusconi) e
Il Sole 24 Ore, e per i settimanali Epoca, di cui è stato anche direttore,
e Panorama (Mondadori). Donelli è stato anche docente ai corsi di formazione di Publitalia, prima di venire nominato direttore di TV Sorrisi
e Canzoni (dal 2 settembre 2002 al 9 ottobre 2006), per poi cedere il
timone a Umberto Brindani, e subentrare a Giovanni Modina alla guida di Canale 5. Una carriera, quella di Donelli, parallela alla P2, sviluppata all’ombra dell’onnipresente Berlusconi, che gli ha sempre aidato
Berlusconi, P2 e mass media
129
incarichi di prestigio all’interno delle sue aziende, dalla direzione di TV
Sorrisi e Canzoni del gruppo Mondadori, a quella della rete ammiraglia
di Mediaset, dove l’ex piduista si è distinto per i pessimi risultati della
sua gestione.
Molti gli ex ailiati alla loggia di Gelli che, ancora oggi, lavorano per
l’impero mediatico di Berlusconi. Gino Nebiolo (n. 810), all’epoca direttore del Tg1, venne mandato da Letizia Moratti (all’epoca presidente
della tv di Stato, poi ministro dell’Istruzione, università e ricerca scientiica durante il secondo e terzo governo Berlusconi, e sindaco di Milano
dal 2006) a dirigere la sede Rai di Montevideo (una capitale della P2),
e oggi scrive sul Foglio di Giuliano Ferrara. La proprietà del Foglio (che
incassa tre milioni e 800 mila euro di contributi pubblici, in quanto agganciato alla fantomatica Convenzione per la giustizia fondata da due
deputati, amici dell’ex presidente azzurro del Senato Marcello Pera) è
suddivisa tra la moglie di Berlusconi, Veronica Lario, che ha il 38% delle
quote, il direttore Giuliano Ferrara (ex portavoce del primo governo del
Cavaliere), che ne detiene il 10%, lo stampatore Luca Colasanto, consigliere regionale campano del Pdl (è stato rieletto nel 2010 a Benevento
con 12.923 voti − record di preferenze in percentuale del partito di Berlusconi in Campania − dopo la legislatura precedente tra le ila di Forza
Italia, nella quale si era distinto per le assenze: 73 sedute saltate su 171,
un tasso d’assenza del 42,69%) che possiede un decimo del giornale,
il coordinatore del Pdl Denis Verdini con il 15%, ed il resto è di Sergio
Zuncheddu, il maggior azionista dell’Unione Editoriale S.p.A., la quale
controlla L’Unione Sarda e le reti private locali Videolina e TCS. Verdini
è anche il patron del Giornale Nuovo della Toscana, in società con Paolo
Berlusconi, che porta a casa poco meno di due milioni e mezzo di euro
all’anno, mentre Colasanto è lo stampatore del Giornale, della Gazzetta
dello Sport, del Corriere dello Sport, della Stampa, del Corriere della Sera,
della Voce Repubblicana, di Finanza e Mercati, di Tuttosport, del Foglio,
del Sole 24 Ore, del Secolo d’Italia, di Conquiste del Lavoro, ecc. Colasanto,
inoltre, è direttore responsabile di vari giornali (tra cui Il Sannio Quotidiano) e fondatore, amministratore e socio di quotidiani di importanza
nazionale, ed è stato anche direttore generale della Discussione e del
Popolo, e membro del Consiglio federale della Federazione italiana editori giornali (Fieg), presidente dell’Opera pia Madonna del divino amore
di Roma e socio fondatore della Fondazione centesimus annus pro Pontiice (Città del Vaticano). Per alcuni anni Il Sannio Quotidiano è stato
venduto in tandem con Il Giornale Berlusconi, e riceve un inanziamento pubblico di oltre un milione e seicentomila euro all’anno. Nel gruppo
130
Dalla P2 alla P4
di Colasanto comincia ad avvertirsi qualche segnale di crisi. Nell’azienda
tipograica sannita, infatti, ci sono attualmente dodici cassintegrati, anche se lo stampatore-editore-direttore-consigliere regionale non ha per
questo rinunciato a pubblicare per l’amico Stefano Caldoro, neo presidente della Campania, il periodico del Nuovo Psi Socialista Lab.
Il Giornale della Toscana, dorso locale della testata nazionale della
famiglia Berlusconi, già oggetto delle mire della P2 di Gelli, è al centro
dell’inchiesta sulla P3. I magistrati romani hanno contestato a Verdini
di aver intascato 2,6 milioni di euro − di cui sono stati versati solo 800
mila euro − senza una causale credibile dai conti della Ste − Società toscana edizioni, che, secondo il deputato del Pdl coinvolto nell’indagine
sarebbero solo un aumento di capitale. Verdini dice di aver conosciuto il
faccendiere Flavio Carboni (già implicato nelle vicende della P2 di Gelli)
tramite Dell’Utri. E spiega anche l’origine di quegli 800 mila euro transitati dai conti di Carboni ai suoi: «Il Giornale della Toscana aveva grossi
problemi in dal 2004: si erano fatti avanti anche alcuni imprenditori,
ma non poterono salvare la situazione. Poi a maggio 2009 uno di loro
mi presentò Flavio Carboni. Che mi disse che ormai, a quasi 80 anni,
voleva avere una “voce” per la sua Sardegna, creando un inserto per il
mio giornale. Diceva di voler aprire anche una radio e una televisione;
sapevo che era stato coinvolto nel processo Calvi, ed era stato assolto.
Ma poteva portarmi soldi; e cominciai a pensare alla sua proposta.
Poi, mentre ancora stavo decidendo, Marcello Dell’Utri organizzò un
pranzo all’Hotel Eden e lì ci trovai anche Flavio Carboni. Fu Dell’Utri a
dirmi che dovevo accettare quella proposta e così feci, cedendogli il 30
per cento delle quote. Mi pagò la prima rata, 800 mila euro. Poi partì
l’indagine di Firenze sugli appalti del G8 e io pensai di bloccare tutto».
Così Verdini ha spiegato l’operazione al pm Giancarlo Capaldo (lo stesso
che coordina le indagini sulla scomparsa di Emanula Orlandi) nel corso
del lungo interogatorio di ine luglio 2010.
Un altro aspirante piduista proveniente dalla Rai è Franco Colombo,
ex corrispondente della tv pubblica da Parigi, che oggi ha cambiato mestiere: è amministratore delegato della società del Traforo del Monte
Bianco gestita dall’Anas (società del Ministero dell’Economia), e si sta
dando molto da fare per gli appalti che devono riaprire il tunnel. Colombo è stato riconfermato nell’agosto 2009, al suo terzo mandato al
vertice della società, dal governo Berlusconi.
Alberto Sensini (anche lui rimasto «bussante»), giornalista e scrittore, che ha iniziato la sua carriera al Resto del Carlino, ed è stato editorialista e capo della redazione romana del Corriere della Sera, direttore de La
Berlusconi, P2 e mass media
131
Nazione, e primo direttore del Tg2, nato nel 1975 dopo la riforma della
Rai, oggi è professore ordinario di tecniche della comunicazione pubblica all’Università di Macerata, ed editorialista politico del Gazzettino e
della Gazzetta del Sud.
Molti i politici-giornalisti che iguravano negli elenchi della P2. Tra
questi, oltre ai già citati Cicchitto, Frau, Selva, Martino, e Arnaud, il
deputato repubblicano Pasquale Bandiera (n. 114), direttore dell’organo
uiciale del partito La Voce repubblicana, e sottosegretario alla Difesa
nel II governo Cossiga del 1980, e il liberale Antonio Baslini (5 legislature, sottosegretario agli Esteri nel I governo Cossiga), giornalista, direttore de La Tribuna, organo del Partito liberale di cui fu vicepresidente, e
successivamente la rivista Alleanza. Baslini (n. 583) fu l’autore, insieme
al socialista Loris Fortuna, della legge sul divorzio.
Altro giornalista professionista iscritto alla P2, e rientrato nel giro
che conta con Berlusconi, è Costantino Belluscio (n. 540). Belluscio è
stato capo cronista della redazione napoletana dell’Avanti!, organo uficiale del Psi, che abbandona per passare allo Psdi di Saragat. Passato
all’Ansa, ha poi collaborato con Il Giorno, il Corriere della Sera e La Voce
adriatica, e con i settimanali Europeo e Vita. Nel ’64 passa alla Rai, e nel
’77 diventa direttore di Ordine pubblico, organo uiciale della Polizia,
collaborando anche con La Gazzetta del Sud. Eletto Saragat presidente della Repubblica, viene nominato suo addetto stampa, e successivamente suo segretario particolare. Scaduto il mandato presidenziale
di Saragat, viene eletto alla Camera nel 1972, dove rimane per tutta la
legislatura, diventando anche sottosegretario al Lavoro e agli Esteri.
Nel 2005 è rientrato nel giro della politica, come capo della segreteria tecnica del sottosegretario alle Attività produttive Giuseppe Galati
(Udc), calabrese come lui, sotto il secondo e terzo governo Berlusconi.
Dal primo gennaio 2005 Belluscio è direttore della rivista Avvenire agricolo. Anche Galati (ex Dc) è giornalista pubblicista. Nel 2008 Galati ha
lasciato l’Unione di centro ed è stato eletto alla Camera dei deputati
in Calabria nelle liste del Popolo delle libertà. Attualmente è membro
della X Commissione permanente Attività produttive, commercio e turismo, e dal 24 settembre 2008 è membro della Delegazione parlamentare presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa e presso l’Assemblea
dell’Unione europea occidentale.
Il Piano di rinascita democratica ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti all’interno dei mass media italiani alla
ine degli anni ‘70. Molti piduisti che facevano parte del «gruppo 17»
guidato da Fabrizio Tifone Trecca, quello che riuniva gli operatori dei
132
Dalla P2 alla P4
mass media e tutti i giornalisti iscritti alla P2, agiscono ancora oggi
attraverso la medesima rete di conoscenze e connivenze che non si è
mai dissolta.
Il giornalista dell’Ansa Luigi Bisignani (Dc), iscritto alla Loggia P2
(tessera n. 203), condannato a tre anni e quattro mesi (ridotti in Cassazione a due anni e otto mesi) per aver smistato la maxitangente Enimont, coinvolto nell’inchiesta «Why Not?» − dal nome di una società
di lavoro interinale la cui attività rappresenta uno dei iloni principali
dell’indagine − del pm catanzarese Luigi De Magistris, al quale è stata
sottratta dal Csm. Bisgniani fu capo dell’uicio stampa del ministro piduista Gaetano Stammati (Tesoro) nei governi presieduti da Giulio Andreotti tra il ‘76 e il ‘79, prima di passare nel ‘92 ad assumere l’incarico di
direttore delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi e direttore generale
della sede di Roma da cui dipendevano il Messaggero e Telemontecarlo. Il
5 luglio del 2002 Bisignani fu radiato dall’Ordine dei giornalisti «Perché
ha svolto con continuità attività lucrose costituenti reato e aferenti a
compiti del tutto estranei alla professione giornalistica».
Gaetano Stammati è stato direttore generale dal 1962 e più volte
capo di gabinetto del ministero del Tesoro, e quindi consigliere d’amministrazione dell’Iri. Nel 1967 è stato nominato Ragioniere generale
dello Stato, carica ricoperta ino al 1972, anno in cui ha assunto la presidenza della Banca commerciale italiana, per diventare poi Ministro
delle Finanze nel quinto governo Moro (12 febbraio − 29 luglio 1976).
Eletto senatore come indipendente per la Dc nel 1976, rieletto nel 1979
Ministro del Tesoro nel terzo governo Andreotti (29 luglio 1976 − 11
marzo 1978), dei Lavori pubblici nel quarto governo Andreotti (11 marzo 1978 − 20 marzo 1979) e del Commercio con l’estero nel quinto governo Andreotti (20 marzo − 4 agosto 1979), Stammati si ritirò dalla
vita politica quando il suo nome comparve nella lista degli iscritti alla
P2, e tentò persino il suicidio.
Luigi Bisignani invece ha fatto carriera. È diventato l’uomo di iducia
di Gianni Letta (già direttore e poi amministratore del Messaggero, e
sottosegretario alla presidenza del Consiglio in tutti i governi Berlusconi), e si può tranquillamente afermare che, pur non avendo incarichi
di governo, conta più di un ministro (il suo terminale al governo è il
sottosegretario all’Attuazione del programma Daniela Santanchè). È il
potente punto di collegamento alto tra lobbisti della P3 dell’estate 2010,
uomini della «cricca», personaggi della «banda larga» di Finmeccanica
(parla, oltre che con Letta, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso,
con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini, con Cesare Geronzi
Berlusconi, P2 e mass media
133
e molti altri esponenti dei «poteri forti»), oltre a scrivere romanzi gialli.
Bisignani è un punto di convergenza, che incrocia mondo imprenditoriale e mondo dell’informazione, controlla tante persone, collega molti
ambienti. Non ama apparire, tanto che è diicile trovare negli archivi
perino qualche sua fotograia da pubblicare.
Negli anni Novanta, come racconta Gianluigi Nuzzi nel suo libro «Vaticano Spa», Bisignani manovra una gran quantità di soldi parcheggiati nella Curia romana. Con l’aiuto di monsignor Donato de Bonis, già
segretario di Paul Marcinkus, cardinale e indimenticato compagno di
scorrerie dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. L’11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto
riservatissimo presso lo Ior. È il numero 001-3-16764-G intestato alla
Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: «Aiuto bimbi poveri».
«Bisignani ha ottimi rapporti con lo Ior da quando si occupava di Calvi e
dell’Ambrosiano», raccontò poi de Bonis in un’intervista. «La sua è una
famiglia religiosissima; suo padre, Renato, un alto dirigente della Pirelli
scomparso da anni, era un sant’uomo, la madre, Vincenzina, una donna tanto perbene. Bisignani è un bravo ragazzo. L’Istituto si occupa di
opere di carità e gli amici aiutano i poveri, quelli che non hanno niente.
Anche il sarto Litrico mi diceva “io vesto i ricchi per aiutare i poveri”».
I bimbi poveri, in realtà, non ebbero gran giovamento dai soldi della
Jonas Foundation. Il 23 gennaio 1991, de Bonis si presenta allo Ior con
quasi 5 miliardi di lire in titoli di Stato, li monetizza e suddivide il ricavato su due conti: 2,7 miliardi sul deposito dell’amico Bisignani, mentre
quasi 2,2 li accredita sul conto Cardinale Spellman, che gestisce in proprio e per conto di «Omissis», come viene chiamato in Vaticano Giulio
Andreotti. Dal conto Spellman parte subito un boniico da 2,5 miliardi
al conto FF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra: è la prima
tranche della supermazzetta Enimont, «la madre di tutte le tangenti»,
che andrà a irrorare, a pioggia, i partiti politici italiani per benedire il
divorzio di Stato tra Eni e Montedison.
Nel giro vorticoso della lavanderia vaticana, sul deposito Jonas
Foundation di Bisignani entrano 23 miliardi. E lui, fra l’ottobre 1991 e il
giugno 1993, ne ritirerà in contanti 12,4. Bisignani intuisce che i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxitangente Enimont, e il
28 giugno 1993 si precipita allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi
aveva lasciato all’apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira,
in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse
abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il bottino. Un
mese dopo è latitante. È il momento più nero di Mani pulite. Tre prota-
134
Dalla P2 alla P4
gonisti della vicenda Enimont muoiono in circostanze drammatiche: il
presidente dell’Eni Gabriele Cagliari con un sacchetto di plastica in testa
in una cella di San Vittore; il regista sconitto dell’operazione Enimont,
Raul Gardini, con un colpo di calibro 7,65 nella sua dimora milanese di
piazzetta Belgioioso; il direttore generale delle Partecipazioni statali,
Sergio Castellari, con il volto spappolato nella campagna romana. Tanti
conti non tornano, in questa storia. Anche quelli dei soldi. La maxitangente Enimont, rivelano i documenti vaticani messi a disposizione da
Nuzzi, era ben più grossa di quella individuata dai magistrati di Mani pulite. E molti personaggi sono stati coperti dai silenzi della Curia romana.
Tra questi, l’inefabile «Omissis». Almeno 62 miliardi sono stati nascosti,
si sono volatilizzati. E di questo tesoro rimasto segreto, 1,8 miliardi sono
passati sul conto di Bisignani. Ben altro rispetto al miliardo e mezzo di
lire attinto da Letta stesso anni prima dai fondi neri dell’Iri. Il punto di
riferimento è sempre lo Ior, attraverso il quale transitano i conti di Giulio
Andreotti e del gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci, protagonista
dello scandalo G8 e referente della «cricca» della Protezione vivile, che dimora a Palazzo Chigi negli uici di Gianni Letta e del suo factotum Luigi
Bisignani, che lo fu anche del capo della Loggia P2 di Licio Gelli.
Quattordici anni dopo, il pm di Catanzaro Luigi De Magistris (eletto
nel 2009 al Parlamento europeo come indipendente nella lista dell’Italia
dei valori di Antonio Di Pietro, e diventato sindaco di Napoli due anni
dopo, battendo al primo turno il candidato del Pd e al ballottaggio quello del centrodestra), indagando nell’ambito dell’inchiesta «Why Not?»
su un comitato d’afari attivo in Calabria, ma con la testa a Roma, si
convince che Bisignani sia uno dei punti di riferimento di un’associazione segreta, una nuova P2, tanto che contesta ai suoi indagati proprio
il reato previsto dalla legge Anselmi. Il 18 giugno 2007 De Magistris
fa eseguire dai Carabinieri 26 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati. Tra loro anche Pietro Scarpellini, consulente «non pagato»,
come precisò all’epoca Palazzo Chigi, della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il generale Paolo Poletti, capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza, il vicepresidente della Regione Calabria Nicola Adamo
(ex Pci, poi Pds, Ds e ora Pd), Mario Pirillo (ex Margherita, poi Partito
democratico meridionale), assessore regionale all’agricoltura, ed il consigliere regionale dei Ds, Antonio Acri. Il 5 luglio seguente De Magistris
si presenta di persona, a sorpresa, nell’abitazione romana di Bisignani
e nella sua azienda Ilte − Industria libraria tipograica editrice, una ex
società statale che stampa gli elenchi telefonici, passata dal controllo
prima di Sip, poi di Stet, e inine privatizzata e venduta alla Seat, e da
Berlusconi, P2 e mass media
135
questa alla New Interlitho Italia. Il magistrato ha un mandato di perquisizione. Bottino scarso: qualche documento e un Blackberry 7230 blu.
«Ho avuto l’impressione che fosse stato avvertito: lui era volato improvvisamente a Londra», dice oggi De Magistris. «Dopo quella perquisizione, le manovre contro di me hanno un’accelerazione. Due mesi dopo mi
sottraggono l’indagine». Si è trattato di un disegno criminoso messo
in atto contro il magistrato e contro le indagini che l’allora sostituto
procuratore tentava di portare avanti. È questa, di fatto, la conclusione
cui sono arrivati i tre pm di Salerno Rocco Alfano, Maria Chiara Minerva e Antonio Cantarella, che hanno chiesto il rinvio a giudizio per l’ex
procuratore capo di Catanzaro Mariano Lombardi, che aveva revocato
l’inchiesta «Poseidone» (presunto uso illecito di denaro pubblico legato
agli aiuti comunitari per 200 milioni di euro), per il procuratore vicario
Salvatore Murone, e per il procuratore generale facente funzioni Dolcino Favi, responsabile dell’avocazione di «Why not?».
Il 19 ottobre 2007 la procura di Catanzaro, nella persona di Favi (avvocato generale dello Stato e procuratore generale reggente a Catanzaro), una settimana prima che scadesse la sua carica a procuratore e
quando il Csm aveva già nominato il procuratore titolare, aveva avocato
a sé, per presunta incompatibilità, l’inchiesta, sottraendola a De Magistris, che ne era venuto a conoscenza dalla stampa (il pg facente funzioni aveva disposto che la notizia venisse uicialmente comunicata al pm
solo il 22 ottobre). Favi fa aprire, a insaputa del pm, la cassaforte dell’uficio, prelevandone tutti gli atti d’inchiesta. Già nel 1989 Favi era stato
oggetto di attenzioni da parte del Csm e della Camera dei Deputati per
«essere dedito a sistematiche violazioni di norme, in particolare di quelle poste a presidio dei diritti fondamentali dell’individuo». I beneiciari
di tali condotte sarebbero stati l’avvocato e senatore del Pdl Giancarlo
Pittelli, l’ex sottosegretario alle Attività produttive Giuseppe Galati (che
al Ministero aveva come capo della segreteria tecnica il piduista Costantino Belluscio), l’imprenditore Antonio Saladino (personaggio centrale
nell’inchiesta «Why not?», a stretto contatto con Bisignani), presidente
della Compagnia delle opere della Calabria dal 2007 al 2010, la moglie
di Lombardi, Maria Grazia Muzzi, e il iglio di lei, l’avvocato Pierpaolo
Greco. A questi soggetti la procura di Salerno ha contestato, tra vari
reati, quello di falso e corruzione in atti giudiziari. I pm Alfano, Minerva e Cantarella sono giunti alle stesse conclusioni dei colleghi Luigi
Apicella, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, i tre magistrati colpiti da
pesanti provvedimenti disciplinari che si erano occupati delle vicende
di Catanzaro. In seguito all’avocazione dell’inchiesta «Why not?», i pm
136
Dalla P2 alla P4
salernitani Nuzzi e Verasani avevano sequestrato materiale d’indagine,
che era stato a sua volta «controsequestrato» in maniera inedita e anomala dai colleghi calabresi. La guerra tra procure si era conclusa con le
sanzioni disciplinari decise dal Csm nei confronti dei magistrati campani (Apicella venne sospeso dalle funzioni e dallo stipendio). «È la riprova di quanto ho sempre sostenuto, del sistema deviato nelle istituzioni
che da tempo denuncio» ha commentato De Magistris alla richiesta di
rinvio a giudizio avanzata dai pm salernitani. «Non è una vittoria − ha
aggiunto l’eurodeputato − è però la dimostrazione dell’esistenza di collusioni interne, di un nuovo laboratorio criminale, dedito alla costante
delegittimazione della mia persona e del mio operato. Basti pensare che
molti dei personaggi presenti nelle vicende catanzaresi, sono adesso nei
fascicoli d’indagine di Perugia (che indaga sulla P3, nda)».
A dicembre 2010 il gup del Tribunale di Salerno, Vincenzo Pellegrino,
rinvia a giudizio tutte le otto persone indagate a Salerno in merito al
presunto complotto denunciato da De Magistris per impedirgli di proseguire, quando era pm a Catanzaro, le indagini «Why Not?» e «Poseidone». I provvedimenti riguardano l’ex procuratore capo di Catanzaro,
oggi in pensione, Mariano Lombardi; la moglie Maria Grazia Muzzi e
il iglio da lei avuto da un precedente matrimonio, l’avvocato Pierpaolo Greco; il procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica
di Catanzaro Salvatore Murone, trasferito in via cautelare dalla sezione disciplinare del Csm; l’imprenditore ed ex leader della Compagnia
delle Opere in Calabria, Antonio Saladino; il senatore del Pdl Giancarlo
Pittelli; l’ex sottosegretario alle attività produttive Giuseppe Galati; l’ex
procuratore generale facente funzioni presso la Corte di Appello di Catanzaro, Dolcino Favi, da pochi mesi in pensione.
La decisione del gup di Salerno riapre la possibilità di far emergere la
verità sull’inchiesta «Why Not?», nonostante il trasferimento dei magistrati che si sono occupati del caso abbia reso diicile scoperchiare l’intero sistema. Lo stesso De Magistris era stato trasferito dal Csm, dopo la
richiesta avanzata dall’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Luigi Bisignani era in contatto con molti politici, imprenditori, manager,
uomini degli apparati. Tra questi, Mastella (negli atti dell’inchiesta igurano anche alcune intercettazioni telefoniche riguardanti colloqui tra
il Guardasigilli, la cui posizione è stata successivamente archiviata per
insussistenza dei fatti, e Antonio Saladino, condannato a due anni per
concorso in abuso di uicio), il generale della Guardia di inanza Walter
Cretella Lombardo, e Salvatore Ciraici, il dirigente di Wind responsabile
della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all’azien-
Berlusconi, P2 e mass media
137
da telefonica da tutte le procure italiane. Torniamo alle telecomunicazioni, «passione» che Bisignani ha ereditato dal padre.
Giuliano Tavaroli, ex responsabile della security di Telecom, imputato per associazione a delinquere inalizzata alla corruzione di pubblici
uiciali e concorso in appropriazione indebita nell’ambito del processo
sulle intercettazioni illegali, ne parla in un’intervista a Repubblica del
21 luglio 2008: «La Porcu (dipendente romana della società allora guidata da Marco Tronchetti Provera, nda) organizza un giro delle sette
chiese, un’agenda di incontri con Nicolò Pollari, Francesco Cossiga, Paolo Scaroni (Eni), Enzo De Chiara (uno strano personaggio, inanziere
italo-americano, vicino alle amministrazioni Usa, già inito in qualche
inchiesta giudiziaria), Pippo Corigliano (Opus Dei) che a sua volta mi
presenta Luigi Bisignani che già aveva chiesto di incontrarmi (se fosse stato siciliano, dopo averlo conosciuto, avrei pensato che fosse un
maioso) e la Margherita Fancello (moglie di Stefano Brusadelli, vicedirettore di Panorama), che a sua volta mi riportò da Cossiga, Massimo
Sarmi (Poste), Giancarlo Elia Valori, il generale Roberto Speciale della
Guardia di Finanza. Insomma, dai colloqui, capisco che questi qui sono
in squadra. Mi immagino una piramide. Al vertice superiore Berlusconi.
Dentro la piramide, l’uno stretto all’altro, a diversi livelli d’inluenza,
Gianni Letta, Luigi Bisignani, Scaroni, Cossiga, Pollari. È il network che,
per quel che so, accredita Berlusconi presso l’amministrazione americana. Io non esito a deinire questa lobby un network eversivo che agisce senza alcuna trasparenza e controllo». Un’accusa pesante, quella di
Tavaroli, che collega Berlusconi al vecchio network piduista del quale
facevano parte Bisignani ed Elia Valori (n. 283). Nell’intervista Tavaroli
esplicita la sensazione che gli aveva dato quel gruppo di persone. «Mi
resi conto subito che quella lobby di dinosauri custodiva segreti (gli illeciti del passato e del presente) e li creava», dichiara l’ex responsabile
della security Telecom, che il 28 maggio 2010 ha patteggiato una condanna a 4 anni e 2 mesi.
A conferma della continuità della P2, attraverso alcuni uomini-chiave
della loggia, a marzo 2011 arriva anche l’inchiesta della Procura di Napoli che teorizza una presunta «P4»: un sistema di potere che avrebbe
scopi illeciti e illegali, forte di legami, relazioni e interessi ai massimi
vertici dello Stato. Associazione per delinquere e violazione del segreto
istruttorio è l’ipotesi di reato formulata. Secondo i pubblici ministeri
Francesco Curcio ed Henry John Woodcock, titolari insieme al procuratore aggiunto Francesco Greco, la loggia aveva come obiettivo quello di
«interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di am-
138
Dalla P2 alla P4
ministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse
nazionale». Il mirino dei pm punta dritto contro Luigi Bisignani, uomo
d’afari considerato tra i più inluenti nei palazzi romani, legato da un
rapporto di lunga data al sottosegretario Gianni Letta, «autorità delegata» del presidente del Consiglio ai servizi di informazione e sicurezza.
L’inchiesta ruota attorno a un mondo di afari, inanza, servizi segreti, magistrati e politici. Sono state perquisite le abitazioni di Vincenza
Carpano, Rita Monteverdi e Paolo Pollastri, cioè la madre, la segretaria
e l’autista di Bisignani. Tutto nasce dal ritrovamento di una ventina di
titoli al portatore di una società anonima con sede in Belgio, in casa di
Pollastri. La società si chiama Codepamo SA, ed è strutturata in modo
che i titoli, che preigurano il capitale societario, possano omettere il titolare, che per gli investigatori sarebbe appunto Luigi Bisignani. In una
vecchia indagine, sempre a carico di Bisignani, era emerso un conto corrente presso la banca SGB di Bruxelles, sul quale si trovava disponibilità
per oltre il 30% della proprietà della Engineering SpA, quotata in Borsa,
che capitalizza oltre 300 milioni di euro e con un fatturato annuo di
350 milioni. In vecchie lire, moneta corrente all’epoca della trattativa di
acquisto della Engineering da parte della Codepamo, oltre 7,4 miliardi.
I temi che l’indagine afronta sono molteplici. Riguardano, tra l’altro,
una presunta ripetuta fuga di notizie ai danni della Procura di Napoli.
Nell’inchiesta compare l’editore e direttore del quotidiano Avanti! Valter Lavitola, sentito come teste, inito poco prima nelle cronache per
l’accusa – respinta e smentita – di aver portato al premier Berlusconi
dall’isola di Santa Lucia i documenti della casa di Montecarlo intestata
a Giancarlo Tulliani, il cognato di Gianfranco Fini. Intervenendo il 5
ottobre 2010 alla trasmissione «Filo diretto» in onda su Radio Radicale,
Bobo Craxi aveva denunciato l’utilizzo a scopo di «spionaggio politico»
dello storico giornale del Psi da parte di Lavitola. «La storia de l’Avanti!
è molto lunga», aveva ricordato l’esponente socialista, «la testata cessò le sue pubblicazioni nel 1993, al termine della gestione Del Turco.
Quattro anni dopo, Lavitola si rivolse a Bettino Craxi, ormai in esilio
ad Hammamet, per poter ridar vita al giornale. Venne dunque fondata
una cooperativa che, per alcuni anni, accolse i migliori contributi del
mondo laico e socialista italiano, ma dopo solamente una settimana
dalla morte mio padre, Lavitola decise di defenestrare una larga parte
dei socialisti presenti nel consiglio di amministrazione, al ine di portare in dote la testata a Berlusconi». «In seguito», ha proseguito il iglio
dell’ex presidente del Consiglio, «nelle more degli accordi elettorali del
Berlusconi, P2 e mass media
139
2001 tra Nuovo Psi e l’allora Casa delle libertà venne posta la questione
del “ritorno a casa” de l’Avanti!, una proposta a cui Berlusconi sembrò
acconsentire, anche se poi della cosa non se n’è più parlato. Così, siamo
giunti ai giorni nostri», aggiunge l’esponente del Psi, «con una testata
che inge di mantenere dei contatti con il proprio passato storico, ma
che in realtà asseconda in pieno le scelte politiche del centrodestra. È
una vicenda che genera profonda tristezza, soprattutto per il fatto che
l’Avanti! è ormai entrato nel novero di quelle testate “fai da te” che: a)
servono solamente a “mungere” inanziamenti pubblici; b) non vendono nulla; c) sembrano appartenere più allo spionaggio politico che al
mondo del giornalismo vero e proprio».
L’attività istruttoria ruota anche sulla igura del maresciallo dei Carabinieri, Enrico La Monica, in forza alla sezione anticrimine del capoluogo campano, che avrebbe avuto ambizioni di entrare all’Aise (l’Agenzia
informazioni e sicurezza esterna, ex Sismi), ed è accusato di far parte di
un «sodalizio criminoso, unitamente ad altri esponenti delle istituzioni
dello Stato e del “mondo degli afari”, costituito e mantenuto in vita
allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la
pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia».
Il sottuiciale è uno degli indagati per violazione della legge Anselmi
(quella che vieta, appunto, la costituzione di società segrete come la
Loggia P2 di Licio Gelli), associazione a delinquere e concorso in rivelazione di segreto d’uicio. A dicembre sono scattate le perquisizioni
nei confronti suoi e di altre tre persone a lui legate. La Monica doveva
rientrare da un viaggio in Senegal, ma non è mai atterrato all’aeroporto
di Fiumicino dove lo attendevano alcuni suoi colleghi dell’arma e della
Guardia di Finanza; da allora non è tornato nemmeno in servizio, inviando certiicati medici. Sul conto di La Monica c’è il sospetto che abbia
rivelato «in più occasioni, notizie coperte da segreto, anche attinte da
altri appartenenti alle forze dell’ordine».
I pubblici ministeri napoletani sembrano sicuri della loro ipotesi d’accusa. E nel decreto di perquisizione a La Monica, Lavitola e altre due
persone (tra cui un pregiudicato napoletano titolare di punti vendita
di «schede telefoniche “coperte” ed illegali utilizzate dal sodalizio» nel
tentativo di evitare intercettazioni) afermano di aver individuato «un
articolato meccanismo illecito riconducibile a taluni soggetti impegnati
nella gestione di un sistema preordinato alla acquisizione illegale e alla
gestione, per scopi e inalità diversi e lontani da quelli istituzionali, di
notizie riservate e secretate inerenti, tra l’altro, anche delicati procedimenti penali in corso». È la descrizione di un’attività di «dossieraggio» o
140
Dalla P2 alla P4
difusione di notizie allo scopo di screditare o delegittimare gli «obiettivi» prescelti. Secondo i magistrati «quello che emerge dalle indagini appare e si delinea come un vero e proprio “sistema parallelo” e surrettizio
gestito sia da soggetti formalmente estranei alle istituzioni pubbliche e
alla pubblica amministrazione sia, invece, da soggetti espressione delle istituzioni dello Stato». Tutto queste emergerebbe soprattutto dalle
numerosissime intercettazioni telefoniche realizzate negli ultimi mesi.
E proprio da una di queste è scaturito il frammento d’indagine che riguarda le attività del Copasir, sulle quali due interlocutori esprimevano
forti preoccupazioni per le conseguenze che avrebbero potuto avere su
persone «amiche». Di qui l’interesse per i lavori del comitato di controllo
sui servizi segreti.
La lista – impressionante – dei convocati dai pm, in qualità di persone informate sui fatti, ammonta a circa 70 nomi: l’amministratore
delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti (sentito sulla nomina
di un commissario e sull’assegnazione di un appalto per le pulizie), il
numero uno di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, e il direttore
relazioni esterne, Lorenzo Borgogni, il sottosegretario alla presidenza
del Consiglio Gianni Letta, il presidente del Copasir, Massimo D’Alema,
il direttore dell’Aise, generale Adriano Santini, e il suo braccio destro,
il generale Nicolò Pollari, già al vertice del Sismi, l’ex pm napoletano
Alfonso Papa, attualmente deputato del Pdl e membro della commissione Giustizia della Camera, ed ex vicecapo di gabinetto del ministero
della Giustizia quando Guardasigilli era il leghista Roberto Castelli, e
gli imprenditori Stefano Ricucci, Vittorio Casale e Alfredo Romeo. La
Guardia di Finanza e i Carabinieri hanno efettuato perquisizioni a Napoli a Roma nei confronti di Agostino Rodà, 76 anni, di Napoli, suocero
di Papa, e del consulente immobiliare romano 45enne Gianluca Tricarico. Papa, indagato nel procedimento, è accusato di essere uno degli
organizzatori dell’associazione che, tra le altre cose, avrebbe interferito
sulle funzioni di organi costituzionali, condizionandone le scelte. Tra le
persone ascoltate igurano anche il vicepresidente di Fli Italo Bocchino,
per chiarire alcune vicende legate alla macchina del fango più volte denunciata dal parlamentare e ai mancati inanziamenti al giornale Roma,
di cui è editore, il direttore generale della Rai Mauro Masi e i ministri
Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna. Da qui ha preso corpo il ilone di indagine relativo ai inanziamenti all’editoria, e in merito a tale
argomento, l’ultimo in ordine di tempo ad essere convocato dai magistrati è il portavoce del Pdl Daniele Capezzone, in merito ai trascorsi
con l’agenzia stampa online Il Velino, fondata dall’ex senatore di Forza
Berlusconi, P2 e mass media
141
Italia Lino Jannuzzi. Ed anche la responsabile del Dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio, Elisa Grande. Al vaglio dei magistrati
anche la posizione della concessionaria di pubblicità Visibilia (esclusivista per la raccolta di Libero, quotidiano di proprietà della famiglia del
parlamentare Pdl Antonio Angelucci), riconducibile al sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio, con delega all’Attuazione del programma,
Daniela Garnero Santanchè. All’attenzione della Procura napoletana,
gli appalti concessi dalla Presidenza del Consiglio sulla sicurezza, sulla comunicazione e, appunto, sull’editoria. Gli investigatori in cerca di
elementi utili alle indagini si sono presentati negli uici del inanziere
Francesco Micheli, uno dei soci che controllano la Italgo, amministrata
da Anselmo Galbusera, a sua volta perquisito e interrogato come testimone informato sui fatti. Gli accertamenti mirano a chiarire la regolarità dell’appalto da 9 milioni di euro per la sicurezza delle comunicazioni
nella sede del governo a Palazzo Chigi, aidato a Selex e alla stessa Italgo. Il sospetto è che nell’assegnazione dei lavori abbia avuto un ruolo
Bisignani, buon amico di Galbusera. L’ipotesi di accusa è che intorno a
Bisignani ruoti un gruppo di potere in grado di pilotare nomine, appalti
e informazioni per «interferire» sull’attività di organi costituzionali e
della pubblica amministrazione
Interrogato dal pm di Napoli Henry John Woodcock il 28 marzo,
Bisignani spiega come impiegò i circa «4 miliardi» di lire ottenuti dai
Ferruzzi e per i quali venne condannato per appropriazione indebita
nell’ambito del’’inchiesta sulla maxi-tangente Enimont. «Un miliardo e
mezzo lo utilizzai nel 1991 per acquistare le case dal Salini e gli altri 3
miliardi circa furono quelli dell’operazione “Codepamo” che io, tramite la Tucci (la commercialista Stefania Tucci, ndr), volevo far rientrare
dall’estero». L’interrogatorio è stato acquisito dai pm titolari di un altro
procedimento in cui sia la Tucci (ex moglie dell’ex ministro socialista
Gianni De Michelis), sia Bisignani, risultano indagati per riciclaggio.
Che un incontro per coordinare le indagini sulla presunta loggia P4
fosse ormai indispensabile, era chiaro da tempo. Da quando Arcangelo
Martino, uno dei tre presunti capi della P3 romana, era stato convocato
a Napoli; e poi, il pm napoletano Vincenzo Piscitelli aveva acquisito
negli uici del capo delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo
Borgogni, copia delle stesse carte che il Ros dei Carabinieri aveva prelevato da mesi, su mandato del procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo
Capaldo. Così, il 12 marzo, i magistrati partenopei che indagano sui
presunti condizionamenti che avrebbero viziato alcune nomine di rilievo nelle aziende più importanti del Paese hanno approittato del ine
142
Dalla P2 alla P4
settimana per incontrare i vertici della procura di Roma, il procuratore
capo Giovanni Ferrara, l’aggiunto Giancarlo Capaldo e alti due pm capitolini. Dall’altra parte del tavolo c’erano i pm John Henry Woodcock,
Francesco Curcio e l’aggiunto Alfredo Greco. Nella capitale c’era anche
Vincenzo Piscitelli, il pm napoletano che conduce l’inchiesta parallela
sulle nomine ispirate dal parlamentare Pdl ed ex uiciale Gdf, Marco
Milanese; ma si sarebbe limitato ad incontrare brevemente Lorenzo
Borgogni per issare un interrogatorio nei giorni seguenti, senza tuttavia partecipare al vertice di coordinamento con gli altri magistrati.
Decisamente più lungo, invece, il faccia a faccia dello stesso Borgogni
con i pm Woodcock e Curcio, che in realtà lo avevano già sentito nelle
settimane precedenti insieme al presidente di Finmeccanica Pierfranceso Guarguaglini e ai vertici di altre aziende di Stato, come Eni e Poste Italiane. Borgogni, come già avvenuto per gli altri manager, è stato
ascoltato come persona informata sui fatti, per fornire indicazioni sui
meccanismi che avrebbero portato alla nomina di alcuni membri dei
Cda di aziende consociate alla stessa Finmeccanica. I magistrati napoletani ipotizzano che a ”suggerire” in maniera più o meno legittima i
nomi per coprire alcune di quelle poltrone, sia stato Luigi Bisignani,
l’ex giornalista ormai divenuto un inluente imprenditore nel settore
dell’editoria. E, secondo indiscrezioni, Borgogni avrebbe fornito una
serie di indicazioni senza tuttavia confermare l’esistenza di pressioni
esterne. Nel corso del vertice che è seguito all’interrogatorio, i magistrati avrebbero discusso del possibile scambio di atti raccolti nelle indagini romane sulle vicende Enav/Digint e P3 e in quelle napoletane
sulla P4, anche alla luce dell’interrogatorio reso di recente dinanzi ai
pm Woodcock e Curcio dall’imprenditore partenopeo Arcangelo Martino, già arrestato a Roma dal procuratore Capaldo nell’ambito dell’inchiesta sulla P3 e sugli appalti per l’eolico.
La loggia originaria, la P2, era composta da vari personaggi, come
Mario Tedeschi (n. 853), membro della Xª Flottiglia Mas di Junio Valerio Borghese durante la seconda guerra mondiale, fu giornalista (come
molti piduisti), direttore responsabile de Il Borghese dal 1957 ino alla
sua morte nel 1993, collaboratore dei servizi segreti italiani, fu uno degli attuatori dell’operazione «manifesti cinesi» del 1966, e negli anni ‘70
fu senatore per due legislature del Movimento sociale italiano.
Dall’estrema destra postfascista provengono anche Glauco Bufarini
Guidi (n. 102), iglio dell’ex ministro dell’Interno fascista della Rsi Guido, suicidatosi col veleno nel carcere milanese di San Vittore per evitare
la condanna a morte alla ine della seconda guerra mondiale, che fu tra
Berlusconi, P2 e mass media
143
i irmatari del Manifesto della razza, o l’ammiraglio Gino Birindelli (n.
130), dal 1972 al 1976 deputato dell’Msi (del quale è stato anche presidente), ed ex segretario di Democrazia nazionale, nata da una costola
del Movimento sociale italiano. Appresa la notizia della scomparsa del
«fratello» Birindelli, avvenuta il 2 agosto 2008 all’età di 97 anni, il presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, ha inviato al Capo di
stato maggiore della Marina, ammiraglio Paolo la Rosa, il seguente telegramma di cordoglio: «La scomparsa dell’Ammiraglio Gino Birindelli,
Medaglia d’oro al Valor militare, è un momento di tristezza per la Marina militare italiana. Egli, infatti, fu sempre in prima linea per la difesa
della Patria e della Marina stessa. Signor Ammiraglio la prego di porgere
alla famiglia, agli uiciali, ai sottuiciali ed ai marinai i sentimenti della
profonda partecipazione mia e dell’intero Governo».
Nel settore sportivo spicca il nome di Artemio Franchi, che ha sempre smentito di aver fatto parte della loggia massonica. Presidente della Figc dal 1966 al 1976, dopo essere stato Commissario straordinario
della Lega professionisti, nel 1972 Franchi fu inoltre eletto presidente
della Uefa, e nel 1974 vicepresidente della Fifa, ragion per cui lasciò nel
1976 l’incarico in Figc a Franco Carraro; dovette poi assumere nuovamente la presidenza della Federcalcio italiana due anni dopo, quando lo
stesso Carraro fu nominato presidente del Coni, inché lo scoppio dello
scandalo del calcio scommesse non lo costrinse alle dimissioni nel 1980.
Mantenne invece ino alla morte, avvenuta in un incidente automobilistico nel 1983, i propri incarichi presso Fifa e Uefa.
Tra i dirigenti pubblici ailiati alla loggia di Gelli c’era anche l’ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della
Sanità di Francesco De Lorenzo, Duilio Poggiolini, coinvolto nell’inchiesta Mani pulite sullo scandalo di Tangentopoli. Il 20 settembre 1993,
dopo aver tentato la fuga, venne arrestato a Losanna, in Svizzera, per
via di una serie di accuse legate a manipolazioni e tangenti nelle procedure di gestione del servizio sanitario, in favore di grandi aziende farmaceutiche. Poggiolini era accusato di aver favorito l’ingresso di alcuni
farmaci nel prontuario sanitario dietro compensi e regalie, in beni o denaro. All’atto dell’arresto vennero sequestrati oltre 15 miliardi di lire su
un conto svizzero intestato alla moglie, Pierr Di Maria Poggiolini, e nella casa di Napoli della coppia vennero trovati diversi miliardi di lire in
lingotti d’oro, gioielli, dipinti e monete antiche e moderne. Condannato
a quattro anni e quattro mesi (oltre al sequestro di beni per 39 miliardi:
29 per lui, 10 per la moglie), Poggiolini ha beneiciato dell’indulto del
2006, vedendo la condanna ridotta di due anni.
144
Dalla P2 alla P4
Federico Umberto D’Amato (n. 554), è stato direttore Uicio afari riservati del Ministero dell’Interno. Morto nel 1996, è stato anche
un agente angloamericano, durante la seconda guerra mondiale, e ha
lavorato alle dipendenze di James Angleton, capo del l’Oss, il servizio
segreto Usa. In seguito diventa il sovrintendente alla segreteria speciale
del Patto atlantico, che rappresenta l’anello di congiunzione dell’Italia
con la Nato e gli Stati Uniti. Come capo dell’Uicio afari riservati del
Viminale, tra il 1969 e il 1974 − anno nel quale l’Uicio venne sciolto − si distinse per l’intensa attività di depistaggio delle indagini e per la
copertura dei responsabili delle stragi.
Un altro grand commis d’état è Enrico Aillaud (n. 560), consigliere
diplomatico del presidente del Consiglio dei Ministri, poi capo del Gabinetto di Amintore Fanfani e, successivamente, ambasciatore italiano
in Cecoslovacchia dal 1960 al 1962, in Polonia dal 1963 al 1968, in Austria dal 1970 al 1973, nella Repubblica democratica tedesca dal 1973
al 1975, e in Urss dal 1976 al 1978, è stato presidente dell’Associazione
Italo-Austria, di Interbanca e dell’Ispi. Coinvolto nel dossier Mitrokhin
(scheda 21, nome in codice: «Arlekino» 1) sarebbe stato ricattato e reclutato dai servizi cecoslovacchi per una relazione con una donna di facili costumi e per speculazioni monetarie. Avrebbe fornito informazioni
circa la Nato, la Cee, la Cina e membri dei corpi diplomatici a Mosca, in
cambio di preziosi regali e con battute di caccia in Russia.
Sono invece ancora in attività personaggi come Romolo Arena (n.
848), partecipante al «Gruppo dei tredici», ex presidente della Finsider
international e delle acciaierie di Terni − Italimpianti, ex direttore centrale e vicepresidente dell’Iri, passato a Forza Italia e riciclatosi come
consigliere del Comitato economico e sociale della Comunità europea.
Nell’organico della loggia coperta igurava anche un altro uomo della siderurgia di stato, Alberto Capanna (n. 553), ex presidente della Finsider.
Gioacchino Albanese (n. 913), uicialmente capo uicio stampa
dell’Eni, e stretto collaboratore di Eugenio Ceis per i rapporti politici,
passato all’Agip su indicazione dell’ex ministro socialista dei trasporti
Claudio Signorile, fu coinvolto nello scandalo Eni-Petronim, è riapparso sulla scena nel 1994 (governo Berlusconi I) come consigliere nella
commissione di controllo delle Fs del ministro Publio Fiori. Il 9 giugno
1976, Gioacchino Albanese scriveva ad Angelo Rizzoli: «Con vivo disappunto dobbiamo constatare che prosegue la sistematica inottemperanza, più volte lamentata, dei noti accordi tra noi esistenti, con i quali
avete a suo tempo assunto il preciso impegno di svolgere un’intensa e
costante azione volta a illustrare e difendere l’attività della Montedison
Berlusconi, P2 e mass media
145
sui grandi temi della politica nazionale». Erano gli anni dell’impegno di
Ceis, al vertice del colosso chimico, per inanziare la scalata dei Rizzoli
al Corriere e quella di Berlusconi al Giornale di Montanelli.
Il mondo bancario era rappresentato, oltre che dai vertici della Bnl
e del Monte dei Paschi, così solerti e benevoli nel concedere credito a
Berlusconi, anche da quelli del Banco di Roma (l’ex presidente Giovanni
Guidi e l’ex amministratore delegato Alessandro Alessandrini).
Tra gli iscritti alla P2 c’è anche Massimiliano Cencelli (n. 897), il cui
nome è indissolubilmente legato all’omonimo manuale: si tratta di un
complesso metodo matematico creato per ripartire «equamente» gli incarichi di Governo (ministeri e sottosegretariati), ciascuno con un’importanza diversa, in funzione della forza elettorale di ciascun partito e,
fatto non secondario, di ciascuna corrente all’interno di un determinato
partito. Da notare che tali correnti avevano un ruolo decisivo soprattutto nel partito di Cencelli, la Democrazia cristiana.
Rolando Picchioni (n. 2095), torinese, ex deputato Dc dal 1972 al
1983, coinvolto (ma assolto) nello scandalo petroli, oggi in area Udeur,
dal 2005 è presidente della Fondazione per il libro, la musica e la cultura, che gestisce la parte culturale della Fiera internazionale del libro
di Torino, dopo essere stato segretario generale dal 1999. Dal 1970 al
1975 Picchioni è stato assessore alla Provincia di Torino, e dal 1972 al
1975 anche presidente del Teatro Stabile del capoluogo piemontese. È
stato sottosegretario ai beni culturali dal 1979 al 1981, nei governi Cossiga I e II e nel governo Forlani. Nel 1990 è stato eletto nel Consiglio
regionale del Piemonte, dove ha ricoperto l’incarico di capogruppo della
Dc. Nel 1995 è stato rieletto nelle ila del Cdu, ed è successivamente
divenuto presidente del Consiglio regionale ino al 1998. In seguito è
entrato nel Partito popolare italiano, poi nell’Udeur di Mastella, e quindi nella Margherita. Nel 2004 è subentrato in Consiglio Regionale ad
Antonio Saitta, eletto presidente della Provincia. Trovandosi in chiara
posizione di incompatibilità per i suoi incarichi alla Fiera Internazionale del Libro, i consiglieri regionali radicali Mellano e Palma chiesero al
Consiglio regionale di sancire tale incompatibilità; il Consiglio regionale
votò a favore di Picchioni. Allora i radicali promossero una cosiddetta
«azione popolare» in tribunale e ottennero la decadenza di Picchioni
dalla carica di consigliere regionale. Nel 2007 l’ex piduista ha aderito al
Partito democratico, candidandosi alle primarie per l’assemblea costituente regionale.
Giancarlo Elia Valori, unico caso di piduista espulso dalla loggia perché faceva troppa concorrenza al Venerabile maestro, oggi è presidente
146
Dalla P2 alla P4
di Sviluppo Lazio, holding di controllo di tutte le società partecipate
dalla regione, e dell’impresa edilizia Torno Internazionale. Durante la
sua carriera di manager, Valori è stato al vertice di numerose società,
tra cui Autostrade per l’Italia, Sme − Società meridionale di elettricità,
Uir − Unione industriali di Roma.
Figlio di un ex compagno di scuola di Amintore Fanfani, Valori studia
economia e commercio e si trasferisce a Roma. Nel 1965 entra in Rai,
prima come consulente, e poi come funzionario alle relazioni internazionali: il fratello, rappresentante dell’Eni in Argentina, lo introduce
negli ambienti governativi sudamericani. Intanto coltiva relazioni con
la curia romana ino ad essere nominato, nel 1963, cameriere di cappa
e spada, prima onoriicenza di una lunga serie. Valori saprà sfruttare al
massimo nella sua carriera successiva, grazie alla sua abilità diplomatica, i suoi contatti con l’estero, con gli ambienti cattolici e anche con la
massoneria. Infatti, nonostante la scomunica vaticana per i liberi muratori, nel 1965 si iscrive alla Loggia Romagnosi del Grande Oriente, e poi
passa alla P2 di Licio Gelli.
Nel 1976, diventa vicedirettore generale di Italstrade, e in questo periodo stringe rapporti con personalità dei servizi segreti: Nicola Falde,
uiciale del servizio di sicurezza militare, Giuseppe Santovito, all’epoca comandante del Comiliter di Roma e in seguito direttore del Sismi
(entrambi iscritti alla P2, come tanti altri amici e conoscenti di Valori
in quel periodo, compreso il giornalista Mino Pecorelli). In un interrogatorio davanti al giudice Rosario Priore, Valori aferma, a proposito
dei suoi rapporti con Santovito, «che i servizi potevano avere un ruolo
incisivo circa l’apertura economico-commerciale verso i mercati esteri,
in particolar modo verso Libia, Iran, Algeria, Arabia Saudita, Turchia
(…) Conoscendo i rapporti che il Servizio aveva all’epoca con tutto il
mondo arabo, io chiesi al generale Santovito di tenere presente, nell’ambito della legalità e degli interessi dello Stato, la società dell’Italstrade,
società a capitale Iri, per eventuali lavori da compiere in quei Paesi». Nel
1981 scoppia lo scandalo P2, e Valori compare sulle liste di Gelli come
membro espulso.
Sempre grazie alla sua rete di contatti internazionale, Valori contribuisce in modo decisivo alla liberazione di tre ostaggi francesi rapiti
nel 1985 in Iran da estremisti islamici e rilasciati nel 1988. Durante
un viaggio d’afari in estremo oriente per conto della Rai, Valori ebbe
modo di conoscere il presidente nordcoreano Kim Il Sung, e proprio a
lui si rivolse perché si adoperasse a convincere i capi religiosi di Teheran
a esercitare la loro inluenza sui sequestratori, così da ottenere la libe-
Berlusconi, P2 e mass media
147
razione degli ostaggi. Quando, anni dopo, i suoi meriti nella vicenda
vennero alla luce, il presidente francese François Mitterrand lo nominò
Cavaliere della Legion d’onore.
Il nome di Valori torna alla ribalta delle cronache giudiziarie, quando il 28 dicembre 2007 il giudice Luigi De Magistris (eletto nel giugno
2009 al Parlamento europeo nella lista dell’Italia dei valori), ascoltato
dalla Procura di Salerno nell’ambito dell’inchiesta «Why Not?», dichiara
che le indagini: «stavano ricostruendo l’inluenza di poteri occulti (…)
in meccanismi vitali delle istituzioni repubblicane: in particolare stavo
ricostruendo i contatti intrattenuti da Giancarlo Elia Valori, Luigi Bisignani, Franco Bonferroni e altri, e la loro inluenza sul mondo bancario
ed economico inanziario (…) Giancarlo Elia Valori pareva risultare ai
vertici attuali della “massoneria contemporanea” e Valori s’è occupato
spesso di lavori pubblici».
148
La P2 è stata sciolta da una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, inanziarie e criminali […] Quanto al dottor Berlusconi, il
suo interventismo attuale è sintomo della reazione di
una parte del vecchio regime che, avendo accumulato
ricchezza e potere negli anni Ottanta, pretende di continuare a condizionare la vita politica anche negli anni
Novanta
Luciano Violante,
presidente Commissione parlamentare antimaia
La Nuova P2
Una settimana dopo la condanna in appello a Marcello Dell’Utri per
concorso esterno in associazione maiosa, il senatore viene coinvolto in
quella che i magistrati chiamano «Nuova P2»: una consorteria segreta
di politici e imprenditori per aggiustare appalti e processi, che i media
ribattezzano subito «P3», sottolinenando la continuità con la vecchia
loggia segreta di Gelli. L’8 luglio 2010 l’imprenditore sardo Flavio Carboni viene arrestato dai Carabinieri su ordine della magistratura romana nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti dell’eolico. Insieme al 78enne
Carboni vengono arrestati anche il geometra Pasquale Lombardi, ex
esponente della Dc ed ex sindaco del suo paese di origine in provincia
di Avellino, e l’imprenditore napoletano Arcangelo Martino. Nell’ordinanza del gip Giovanni De Donato − che ha accolto la richiesta del
pm Rodolfo Sabelli − si legge che i tre erano legati in «una associazione
per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti»
caratterizzata «dalla segretezza degli scopi» e volta «a condizionare il
funzionamento degli organi costituzionali nonché degli apparati della
pubblica amministrazione». L’ipotesi di reato è quella di associazione a
delinquere e di violazione degli articoli 1 e 2 della Legge Anselmi sulle
associazioni segrete.
Nella stessa inchiesta è accusato di riciclaggio il coordinatore del Pdl
Denis Verdini che, secondo il gip Verdini, incontrò Carboni insieme a
Dell’Utri per stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della
Consulta per inluenzarne la decisione sul lodo Alfano. Nell’ordinanza
con cui ha disposto gli arresti, il gip Giovanni De Donato aferma che tra
settembre e ottobre 2009 i tre arrestati tentarono di avvicinare i giudici
La Nuova P2
149
della Corte Costituzionale allo scopo di inluire sull’esito del giudizio
sul cosiddetto lodo Alfano, la legge che prevedeva la sospensione del
processo penale per le alte cariche dello Stato (tra le quali il presidente del Consiglio Berlusconi). L’episodio si intreccia col tentativo dei tre
di ottenere la candidatura dell’ex sottosegretario all’Economia, Nicola
Cosentino, alla carica di presidente della Regione Campania, in cambio
appunto degli interventi compiuti sulla Corte Costituzionale. Cosentino, travolto dallo scandalo, è costretto a dimettersi il 14 luglio, evitando
il voto di siducia alla Camera, al quale i iniani del Pdl e l’Udc avevano
preannunciato di votare con il Pd e l’Idv.
Il 23 settembre 2009, a pochi giorni dal giudizio della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, avvenne una riunione nell’abitazione romana
di Verdini per stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della
Consulta. All’incontro erano invitato anche Carboni, il senatore del Pdl
Marcello Dell’Utri ed il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo,
i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, oltre a Martino e Lombardi. È quanto emerge dal provvedimento del gip. I preparativi dell’incontro sono stati ricostruiti dal magistrato attraverso le conversazioni
avvenute nei giorni 22 e 23 settembre dalle quali, tra l’altro, emerge che
fu Lombardi a curare i contatti con Caliendo, Martone e Miller. Tra le
personalità avvicinate da Lombardi, secondo quanto è scritto nell’ordinanza, c’era anche il parlamentare Renzo Lusetti che secondo le intenzioni di Lombardi avrebbe dovuto far da tramite con i giudici della
Consulta, una richiesta alla quale Lusetti reagisce con imbarazzo. L’altra
personalità avvicinata è il presidente emerito della Corte Costituzionale
Cesare Mirabelli che, a sua volta, cerca di sottrarsi alle richieste di Lombardi che chiedeva appunto di avvicinare uno dei giudici che avrebbe
dovuto pronunciarsi sul lodo Alfano. Il 7 ottobre 2009 la Corte boccia
il provvedimento, suscitando le ire di Carboni e Martino, che accusano
Lombardi del fallimento e della iguraccia fatta con i propri referenti
politici, a partire da Verdini.
Carboni non è nuovo ad episodi del genere. Durante le audizioni della
Commissione parlamentare che indagò sulla P2, Emilio Pellicani fece
mettere a verbale che il faccendiere ed il Gran Maestro del Goi Armando
Corona (entrambi sardi) avevano rapporti con due magistrati milanesi
per la ricerca di appoggi per la nomina di uno di questi a procuratore
generale di Milano. A tal ine vi fu una riunione conviviale a Roma, alla
quale partecipò anche un parlamentare, nella quale si parlò anche del
processo a carico di Calvi e degli interessamenti in atto per farlo concludere con l’assoluzione dell’imputato.
150
Dalla P2 alla P4
Il fascicolo che ha portato agli arresti nasce da uno stralcio dell’inchiesta sugli appalti per l’eolico in Sardegna in cui è coinvolto, tra gli
altri, anche il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellaci (Pdl).
Secondo la tesi della Procura capitolina un comitato d’afari avrebbe gestito l’assegnazione di una serie di appalti pubblici in Sardegna per la
realizzazione di parchi eolici. Secondo quanto accertato dagli investigatori, il comitato d’afari per l’eolico sorto intorno a Flavio Carboni,
avrebbe raccolto enormi capitali di imprenditori siciliani, calabresi e
campani. Una parte di questo denaro sarebbe inito in alcune banche
italiane, tra cui il Credito cooperativo iorentino di Denis Verdini, e parte in istituti stranieri. I fondi sarebbero stati usati come tangenti per
agevolare la concessione di licenze e la realizzazione di parchi eolici in
Sardegna. Nel frattempo la Banca d’Italia ha proposto il commissariamento − subito disposto dal ministro dell’Economia − della banca iorentina fondata e presieduta dal 1991 ino allo scoppio dello scandalo
da Verdini (con lui si è dimesso tutto il Cda della banca), per «gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni normative». Secondo la
relazione di 109 pagine stilata dagli ispettori di Palazzo Koch, Vincenzo
Catapano e Antonio Cattolico «L’assetto di governo della banca è privo
di contraddittorio e controllo» e i «processi organizzativi risultati lacunosi», con l’aggravante che lo «sviluppo degli impieghi di denaro non
è improntato ai canoni di prudenza», per non parlare del «mancato o
non corretto esercizio dei controlli antiriciclaggio» (8 assegni da 12.499
euro versati sul conto della Ste per aggirare, secondo i magistrati capitolini, un euro meno del limite oltre il quale scatta l’obbligatorietà della segnalazione) delle «operazioni in conlitto di interessi» (il vicepresidente
dell’istituto di credito era l’avvocato penalista di Verdini, Marco Rocchi,
l’altro legale, il civilista Antonio Marotti, era presidente del collegio dei
sindaci revisori, del quale facevano parte Luciano Belli e Gianluca Lucarelli, che ricoprivano ruoli importanti nella Edicity, società di Simonetta
Fossombroni, moglie del parlamentare del Pdl). La relazione, acquisita dalla Procura di Roma, è inita anche sul tavolo del procuratore di
Firenze Giuseppe Quattrocchi («Ci sono spunti interessanti per nuove
indagini») e del suo sostituto Luca Turco. Verdini è indagato a Firenze
con l’accusa di «mendacio bancario» per prestiti erogati dall’istituto nel
2008 a società del gruppo di costruzioni Baldassini-Tognozzi-Pontelli
(Btp) del suo amico Riccardo Fusi (indagato nella stessa inchiesta per
appropriazione indebita) sulla base di contratti preliminari di compravendita ittizi per un importo tra i 20 ed i 25 milioni di euro. Secondo
la relazione degli ispettori di Bankitalia, ci sono «gli impieghi di denaro
La Nuova P2
151
non improntati a canoni di prudenza», ovvero la concessione di idi e
inanziamenti senza le necessarie garanzie. La maggior parte delle irregolarità è stata accertata proprio nel rapporto con il colosso delle costruzioni Btp di Riccardo Fusi, la cui segretaria, Monica Manescalchi,
igurava nel collegio dei probiviri del Credito cooperativo iorentino (le
indagini sono scattate partendo dal «patto corruttivo» che sarebbe stato stipulato per la costruzione della Scuola marescialli a Firenze). Tra
le «imprudenze» dell’istituto di Verdini, gli ispettori hanno segnalato
anche i rapporti con la Ste − Società toscana edizioni editrice del Giornale della Toscana, alla quale la banca, violando i vincoli normativi, aveva
concesso soldi per più del 10% del suo valore patrimoniale.
Per Verdini e Fusi a febbraio 2011 il procuratore distrettuale antimaia dell’Aquila, Alfredo Rossini, e il sostituto procuratore Olga Capasso hanno chiesto il rinvio a giudizio per tentativo di abuso d’uicio
in relazione all’inchiesta sugli appalti per il G8 ospitato nel capoluogo
abruzzese e sulla ricostruzione post-terremoto.
La commistione tra afari, inanza, malavita, edilizia, editoria e sistema bancario è stato un tratto tipico della P2 di Gelli, e sembra caratterizzare anche la nuova P3.
Il ruolo di Carboni, condannato a 8 anni e 6 mesi per il crac Ambrosiano, rimane centrale. Ed è esercitato soprattutto nella sua Sardegna. Il
faccendiere controlla la giunta regionale. Ha previsto un investimento
nell’isola per 400 impianti eolici su discariche abusive, lo devo fare «perché quelli di Roma sono incazzati neri». Fa nominare «con gli interventi
decisivi di Denis Verdini e Marcello Dell’Utri», scrivono i Carabinieri, il
idato Ignazio Farris alla presidenza dell’Arpas Sardegna (agenzia ambientale): il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, ha allontanato il tecnico dopo gli arresti operati dalla Procura capitolina. Verdini rivela a Carboni: «Domani fanno la giunta e sabato ne fanno un’altra
volante per la nomina… Cappellacci mi ha detto di rassicurare te e Marcello». Carboni promette incarichi a uomini del suo gruppo afaristico e
tiene in pugno il presidente Cappellacci: «Il governatore − scrivono i carabinieri − fa approvare dalla giunta regionale un documento redatto dal
suo gruppo, più lucrevole e agevole». Sui direttori dei dipartimenti della
Regione dice Carboni: «Adesso tocca a noi». E promette a Marcello Garau: «Domani tu sarai un vice… Dobbiamo fare un piano operativo sulle
nomine». «E come si fa senza vederci?». «Domani sera io c’ho l’incontro».
C’è anche una richiesta di inanziamento di Carboni alla banca di Verdini, il Credito iorentino, che non è andata a buon ine. Carboni a Verdini: «Con te tutto va a posto, sei un maestro». Verdini: «Sono rapido, più
152
Dalla P2 alla P4
che altro sono rapido». Carboni: «E sei concreto e sei pratico, ecco, e sei
una persona leale, degnissima. Sei una mazza e molto simpatico, complimenti amico mio». Carboni lo chiama sua eccellenza il signore di Firenze,
ma anche «l’uomo verde». Gli incontri nella casa di Verdini smentiscono
la versione data dal coordinatore del Pdl: «A casa mia non si è parlato né
di Lodo Alfano né di eolico». In una telefonata del 9 dicembre Marcello
Dell’Utri spiega a Carboni che non potrà liberarsi prima delle 18 e propone di vedersi direttamente da Verdini. Dell’Utri: «Direttamente lì, da
Denis». Carboni: «Direttamente da Denis, perché sono arrivati i miei due
amici sardi, uno è già arrivato, l’altro è in arrivo… Ignazio (Farris) e coso
per spiegare, ecco, quali sono… Loro sono i tecnici, cioè, quelli che proprio fanno… Adesso chiamo Denis, non possiamo prenderci un appuntamento senza che ci sei tu». Secondo i magistrati romani che indagano
sulla P3, nel gruppo che faceva capo a Flavio Carboni, il ruolo di Marcello Dell’Utri sarebbe stato superiore, sotto il proilo politico, a quello di
Denis Verdini. Gli inquirenti riconoscono che il senatore Dell’Utri costituisce una igura di maggior livello in quanto «ha una storia che nasce
da lontano» e perché «è stato tra i fondatori di Forza Italia». Per questo
i magistrati ritengono che, all’interno della loggia, Dell’Utri abbia «un
ruolo apicale e superiore rispetto a quello di Verdini».
Interrogato lungamente dai magistrati romani (nove ore di ila nella stanza del pm Capaldo), Verdini attribuisce i contatti con Carboni e
l’operazione legata al Giornale di Toscana a Dell’Utri («Marcello Dell’Utri
organizzò un pranzo all’Hotel Eden e lì ci trovai anche Flavio Carboni.
Fu Dell’Utri a dirmi che dovevo accettare quella proposta e così feci,
cedendogli il 30 per cento delle quote»). Concordemente con l’impianto dei pm, che ritengono il senatore del Pdl la igura di maggior livello nell’intera vicenda, Verdini dichiara: «Io mica li conoscevo Pasquale
Lombardi e Arcangelo Martino. Fu Marcello a portarmeli a casa. Di lui
mi ido molto, lo conosco da una vita».
Dalle intercettazioni trascritte nelle oltre 15 mila pagine del rapporto
dei Carabinieri emerge un inquietante intreccio fra Carboni, i suoi sodali
ed esponenti della camorra interessati a riciclare ingenti somme di denaro. Obiettivo: realizzare casinò negli alberghi di tutt’Italia ed entrare
con forza nel business dell’eolico. La malavita campana, insomma, dietro
l’associazione segreta composta da Carboni, dall’imprenditore Arcangelo
Martino e dal tributarista Pasquale Lombardi (tutti e tre arrestati) che
poteva avvalersi di una rete di politici, magistrati e funzionari pubblici.
Sullo sfondo anche un giro di tangenti: quelle che la camorra avrebbe
distribuito ad alcuni parlamentari per essere agevolata nei suoi afari.
La Nuova P2
153
Scrivono i Carabinieri nel loro rapporto che «un gruppo di soggetti
di origine campana, ritenuti contigui alla camorra e attivi in operazioni
di riciclaggio e impiego di risorse economiche di provenienza illecita nel
settore del gioco, si sarebbe adoperato per riciclare denaro sporco». E di
questo gruppo il capoila sarebbe Pasquale De Martino, del clan Sarno
del quartiere napoletano Ponticelli. «Tramite l’imprenditore Carlo Maietto, il De Martino ha instaurato rapporti con i noti Lele Mora e Flavio
Carboni e, dal tenore di molte conversazioni intercettate, tali contatti
sembrano essere inalizzati a realizzare importanti iniziative imprenditoriali verosimilmente nel settore dei casinò». È sempre attraverso Maietto, afermano i Carabinieri, che De Martino è riuscito ad avere delle
«entrature» in ambienti politici e istituzionali. «In tale contesto − prosegue il rapporto − è emersa una chiara vicenda di natura illecita che
vede protagonisti Ivano Chiusi, Maietto e De Martino e che sembrava
prevedere il pagamento di somme in denaro, anche in favore di un uomo
politico, per ottenere vantaggi».
Dalle carte rimbalza con forza il ruolo rivestito da toghe deviate, magistrati compiacenti. Sensibili alle sollecitazioni della P3, anzi componenti a tutti gli efetti della rete in grado di condizionare l’attività di organi
costituzionali e amministrazioni pubbliche. Già nelle premesse del loro
rapporto i Carabinieri spiegano che il sodalizio composto da Carboni,
Martino e Lombardi si avvaleva di giudici «che prendevano parte alle riunioni nel corso delle quali venivano impostate le principali operazioni
e che parevano fornire il proprio contributo all’azione di interferenza:
Arcibaldo Miller (capo degli ispettori del ministero della Giustizia, nda),
Antonio Martone (avvocato generale in Cassazione) e il sottosegretario
Giacomo Caliendo». Ma i nomi agli atti sono molti, molti di più. La scena
principale è Milano, dove il gruppo preme per la nomina del magistrato
campano Alfonso Marra alla presidenza della Corte d’appello. La missione riesce, grazie alle pressioni sul Csm. Il regista della manovra, in questo
caso, è Lombardi, che il 22 ottobre del 2009 parla con Caliendo, invitandolo esplicitamente a «lavorarsi per bene» Carbone (primo presidente della Corte di Cassazione) prospettandogli una legge per l’aumento dell’età
pensionabile da 75 a 78 anni. Il voto di Carbone − successivamente indagato per corruzione − è utile per l’elezione di Marra. E lo stesso Lombardi,
in un’altra intercettazione, dice «di avere in pugno» il presidente di Cassazione. Proprio perché ne conosce i desideri. Carbone il 22 settembre aveva chiesto esplicitamente al suo interlocutore ora inito in carcere: «Io ti
voglio dire una sola cosa: che faccio dopo la pensione?». «Non ti preoccupare: ne sto parlando con l’amico mio di Milano», la risposta di Lombardi.
154
Dalla P2 alla P4
Lombardi parla personalmente della questione che gli sta a cuore − l’elezione di Marra − anche al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. La prima il 24 novembre. E a Caliendo subito dopo racconta: «Ho
fatto gli stessi discorsi che gli hai fatto tu − dice Lombardi al sottosegretario − Nicola mi ha detto che prima vuole vedere come (i consiglieri del Csm, nda) fanno la relazione». Lombardi racconterà a Marra di
aver rivisto Mancino per pochi minuti anche a ine gennaio, riferendo
di aver trovato il vicepresidente del Csm più morbido: «Ha detto: va
bene, vediamo che si deve fare». Mancino voterà a favore di Marra,
così come Carbone. «Lombardi? L’ho incontrato ma non gli ha dato
alcuna rassicurazioni perché non ho mai pensato di rispondere a lui su
incarichi giudiziari», replica l’ex ministro. Ma nel periodo antecedente
all’elezione del presidente della Corte d’appello di Milano l’attività di
Lombardi si intensiica: il tributarista tenterà invano di parlare anche
con Gianni Letta al quale − tramite la segretaria − chiederà di fare
una telefonata a Carbone. E, in vista di alcune nomine, farà un vero
e proprio elenco di magistrati graditi alla P3: il 21 gennaio, parlando
con Celestina Tinelli, componente del Csm, suggerisce anche i nomi
di Paolo Albano per la Procura di Isernia e Gianfranco Izzo per quella di Nocera Inferiore. È uno spaccato di rapporti disinvolti, di lotte
senza scrupoli per accaparrarsi poltrone istituzionali. Basta leggere
come Marra, futuro presidente della Corte d’appello di Milano, parla
di Giuseppe Maria Berruti, un membro del Csm che si oppone alla sua
elezione: «A quello gli devo dare un cazzotto in bocca e far saltare tutti
i denti…».
Non appena Marra ottiene la carica, i componenti dell’associazione
gli chiedono esplicitamente, «dietro mandato dello stesso Formigoni»,
di intervenire sull’esclusione della lista riconducibile al governatore
lombardo. Il primo marzo 2010 Formigoni parla con un altro componente della combriccola, l’imprenditore partenopeo Arcangelo Martino:
«Ma l’amico Lombardo, Lombardi è in grado di agire?». Risponde Martino: «Sì, ha già fatto qualche passaggio». Lombardi, lo stesso giorno parla
con il giudice Gaetano Santamaria: «Ho già chiamato Fofò (Marra)… gli
ho detto io domani mattina alle undici vengo da te… domani arrivo io
verso le undici e cercasse di chiamare questi quattro stronzi perché…
presenta in mattinata il ricorso». Santamaria garantisce: «Adesso parliamo con Alfonso». Anche il sottosegretario Caliendo, parlando con
Lombardi, dice di essere intervenuto con Marra per sollecitarlo ad accogliere il ricorso di Formigoni: «Non credo che lo farà», dice Caliendo.
La triade composta da Martino, Lombardo e Carboni si muove anche
La Nuova P2
155
per ottenere un’ispezione del ministero della Giustizia negli uici della
Corte d’appello che ha escluso la lista di Formigoni. È Martino a chiederla direttamente ad Arcibaldo Miller, il capo degli ispettori, che in una
telefonata del 5 marzo suggerisce al suo interlocutore di far presentare un esposto allo staf del candidato governatore lombardo. Da quel
momento Formigoni si informerà più volta con il gruppetto di sodali
dell’esito della vicenda. Anche con linguaggio allusivo: il 10 marzo chiede a Martino «se malgrado la neve ci saranno degli spostamenti verso
il Nord», riferendosi appunto agli ispettori. Il giorno seguente c’è un
pranzo, al ristorante Tullio di Roma, partecipano Lombardi e Miller, in
seguito al quale Lombardi dice a Martino che la documentazione inviata
al ministero è incompleta. I presunti nuovi piduisti, in pratica, fanno
da intermediari fra Formigoni e via Arenula per ottenere il via libera
all’ispezione. L’esposto suggerito da Miller, attraverso Martino e Lombardi, arriva alla segreteria del Guardasigilli Alfano e del sottosegretario Caliendo. Ancora Formigoni chiederà a Martino il 15 marzo se «chi
deve camminare lo sta facendo». Martino lo rassicura: «Arriverà dalle
tue parti a ine settimana». È confortato dal colloquio con un alto esponente istituzionale. Lo stesso Formigoni chiarirà che la persona a cui fa
riferimento l’imprenditore (poi arrestato) è il ministro Angelino Alfano.
Il quale, alla ine, si opporrà all’invio degli ispettori. Ma si sentirà in
dovere di giustiicarsi sia con il governatore lombardo che con Martino.
Si evince da una conversazione fra Martino e Formigoni del 24 marzo.
Martino: «Ti chiamò Angelino?». Formigoni: «Mi chiamò». Martino: «È
tutta gente di basso proilo». Formigoni: «Mi sono molto arrabbiato con
lui, perché sabato lui si era impegnato. E gli ho detto: ma guarda che è
il nostro capo che ha bisogno di una cosa del genere…». Il capo, va da
sé, sarebbe Silvio Berlusconi, che ha bollato subito l’inchiesta come «un
polverone». Per il Cavaliere si tratterebbe solo di «quattro pensionati
sigati». Sarà, a guardare i nomi dei personaggi coinvolti nell’inchiesta,
sembrano tutti in attività (perlomeno in politica). «Fango per indebolire il governo». Così Berlusconi ha liquidato in un messaggio audio sul
sito dei Promotori della libertà l’inchiesta su Eolico-P3. «Loro ed i loro
giornali, che continuano con le chiacchiere, gli insulti, le calunnie, i falsi
teoremi per cercare di infangare e di indebolire un governo che lavora, concretamente e bene, nell’interesse di tutti gli italiani». «Contro di
noi − insiste il premier − una vergognosa montatura». Non c’è da stupirsi della presa di posizione, visto l’atteggiamento quantomeno «ambiguo» che Berlusconi ha sempre seguito in relazione alla sua iscrizione
alla P2 di Gelli.
156
Dalla P2 alla P4
Ai magistrati romani che indagano, Verdini parla dell’interessamento
sul Lodo Alfano: «A settembre dello scorso anno Nicola Cosentino era
sotto un pesante attacco mediatico; ma Berlusconi era certo di poterlo
sostenere. Quando poi arrivò in Parlamento la richiesta d’arresto, cominciammo a pensare ad un’alternativa e spuntò il nome di Arcibaldo
Miller. Fu ancora Marcello Dell’Utri a organizzare un pranzo a casa mia.
Mi disse che avrebbe portato quattro, cinque persone; era il 23 settembre e alla ine vennero in otto, perché Marcello si presentò con Carboni,
con Lombardi e Martino, che io non avevo mai visto prima. E poi c’erano
anche Miller, Caliendo e il giudice Antonio Martone. Miller disse di essere lusingato per l’ipotesi di candidarlo, ma mi sembrava scettico. Capii
che era perplesso. E questo lo rendeva un candidato non aidabile. A
tavola parlammo anche del Lodo Alfano, ma ma fu una chiacchiera da
salotto come avveniva in tutta Italia in quel periodo giorni, visto che
mancavano dieci giorni all’udienza. Ricordo che Martone spiegò che alla
ine ogni consigliere avrebbe votato come sentiva, a prescindere dallo
schieramento politico di chi lo aveva eletto alla Corte». Dell’Utri viene
descritto da Verdini come il regista di ogni operazione.
Il ruolo centrale di Dell’Utri viene confermato da Arcangelo Martino,
che, alle dieci e 45 di una caldo 19 agosto, racconta per otto ore la sua
versione sulla loggia P3 al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Chi
è Cesare? Quando i pm gli chiedono chiarimenti sulla conversazione del
2 ottobre precedente tra l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, anche
lui indagato, e Pasquale Lombardi che al telefono dicono «“Cesare” è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6» (il giorno
dell’udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano), Martino spiega che «Cesare» era Berlusconi e «vice Cesare» è dell’Utri.
Personaggio centrale della vicenda, oltre a Dell’Utri e Verdini, è Flavio Carboni, legato alla prima inchiesta sulla P2 di Licio Gelli, dalla quale scaturì la Legge Anselmi sulle associazioni segrete, reato contestato
dalla Procura di Roma agli indagati. Il inanziere sardo è stato coinvolto
in tutte le maggiori inchieste italiane degli ultimi 30 anni (dalla banda
della Magliana all’omicidio di Roberto Calvi, al sequestro Moro, ai piani
sovversivi di Licio Gelli, al caso Orlandi) ma è stato riconosciuto colpevole solo una volta: 8 anni e sei mesi di reclusione per il fallimento del
Banco Ambrosiano, insieme a Umberto Ortolani e Gelli, ai quali sono
stati inlitti 12 anni, e a Francesco Pazienza, condannato a otto anni.
Poi, una collezione di assoluzioni. Dall’accusa di concorso nell’omicidio
del banchiere, ritrovato il 17 giugno 1982 impiccato a Londra sotto
Blackfriars Bridge, il ponte dei frati neri, nella messinscena di un sui-
La Nuova P2
157
cidio. Per Carboni, assolto il 7 maggio 2010 insieme a Pippo Calò ed
Ernesto Diotallevi, il pm aveva chiesto l’ergastolo. I magistrati hanno
accertato che la maia riciclava denaro nelle banche vaticane e in troppi
(per accertare chi) volevano morto Calvi: Ior, P2, maia e camorra, politici corrotti. Assolto dall’accusa della ricettazione della borsa di Calvi
con tutto il suo compromettente contenuto: Carboni era accusato di
aver venduto il materiale a monsignor Pavel Hnilicaad, alto prelato dello
Ior, che dichiarò di voler proteggere il buon nome della Chiesa e di papa
Giovanni Paolo II. Assolto dall’accusa di essere stato il mandante del
tentativo di omicidio di Roberto Rosone, il vice di Calvi all’Ambrosiano.
E ancora, assolto dall’imputazione per falso e trufa ai danni del Banco
di Napoli. Carboni crocevia di trattative segrete e inconfessabili, Carboni mediatore tra i poteri occulti, referente per politici, imprenditori e
criminali. Un ruolo che Carboni si guadagna con la potenza del denaro e
i tanti modi in cui lo si può utilizzare. L’improvviso successo economico
di Carboni comincia negli anni ‘70, con una serie di società immobiliari
e inanziarie. In quegli anni si muove anche nel mondo dell’editoria: proprietario del 35% del pacchetto azionario della Nuova Sardegna ed editore di Tuttoquotidiano, per il fallimento del quale era stato condannato in
primo grado e assolto in appello per vizio di forma. Nell’estate del 1982
il primo arresto, in Svizzera. Da quel momento inizia per Flavio Carboni
la lunga e assidua frequentazione di inchieste e tribunali. Provato il suo
stretto legame con esponenti della banda della Magliana, implicata a
sua volta nell’assassinio di Roberto Calvi. Carboni è chiamato in causa,
ma assolto, oltre che per l’omicidio, anche per la falsiicazione del passaporto e l’espatrio clandestino del banchiere e per concorso in esportazione di capitali. Nel 1978, durante il sequestro di Aldo Moro, Carboni
avvicinò esponenti Dc ofrendosi di sollecitare l’intervento della maia
per la liberazione del presidente della Democrazia cristiana. Qualche
giorno dopo Carboni riferì che la maia non voleva aiutare Moro perché
troppo legato ai comunisti. Il nome di Carboni compare anche nel falso
dossier di Demarcus pubblicato sull’Avanti, per il quale recentemente è
stato indagato anche Cesare Previti. Il documento sosteneva un legame
tra Stefania Ariosto, implacabile accusatrice di Previti, e i servizi segreti.
Tra le pieghe spuntava anche un incontro tra la Ariosto e Carboni. Inine, il nome di Flavio Carboni entra anche nell’inchiesta sulla scomparsa
di Emanuela Orlandi e solo il 4 febbraio 2010 si registra la sua testimonianza sul caso in Procura a Roma. I magistrati gli hanno chiesto se
fosse a conoscenza di particolari sulla vicenda, soprattutto alla luce dei
rapporti che Carboni ha avuto con esponenti del Vaticano e, nell’ambito
158
Dalla P2 alla P4
della sua attività di uomo d’afari, con soggetti legati in qualche modo
alla banda della Magliana. Rapporti con il gruppo criminale capitolino
che Carboni ha sempre negato, afermando che si trattava di rapporti
con persone di cui ignorava l’appartenenza alla banda. Carboni è stato
anche socio di Berlusconi nel progetto «Costa turchese», ribattezzato
«Olbia 2», ed è stato colui che ha venduto al premier la residenza sarda
di Villa Certosa.
In una conferenza stampa successiva all’interrogatorio, Verdini ha
replicato all’accusa di essere coinvolto nell’inchiesta sulla P3. «L’associazione segreta denominata P3 è inesistente − ha sostenuto Verdini
attaccando l’indagine della Procura di Roma − Ma le indagini rischiano di essere pericolosissime per la democrazia. La P3 è inesistente, ma
pericolosissima per la democrazia, non per il senso che si sta dando in
questi giorni all’inchiesta, ma per quello che il Paese ha già visto con la
P2». Secondo Verdini, in sostanza, il rischio è che possa accadere quanto
già visto con l’associazione guidata da Licio Gelli, «con tanta gente inita
dentro le indagini e poi assolta dalle sentenze della magistratura».
«La P3? Qualcuno ha cercato di superarmi, senza riuscirci. Mi pare si
tratti di reati comuni e non di cospirazione». Così l’ex Venerabile della
P2 ha commentato l’inchiesta della Procura di Roma. «Come si fa a paragonare un’associazione massonica, e dunque seria, com’era la P2 a un
sodalizio tra afaristi, inalizzato solo a fare soldi? Noi potevamo contare − spiega Gelli in un’intervista al quotidiano cagliaritano L’Unione
sarda − su sei ministri, un’ottantina di generali, il mondo dell’economia
e dell’editoria. Tutti legati da un’idealità: fare il bene del Paese e cercare
di regalargli istituzioni più forti. Eravamo legati dall’anti-comunismo,
non dalla voglia di fare afari».
159
Conclusioni
Sono passati oltre trent’anni dall’ingresso di Berlusconi nella P2, e,
nonostante i tentativi del presidente del Consiglio di prendere le distanze, anche mentendo sulla sua ailiazione, è evidente che il legame con
i «fratelli» è restato fortissimo. Il Cavaliere ha riportato gli ex piduisti
nelle istituzioni che contano e nel suo vasto impero mediatico. A tal
ine, basta ricordare ciò che Tina Anselmi, ex presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, dichiarò nel 1988, quando, con
un blitz, Berlusconi si impossessò del gruppo Mondadori-L’Espresso,
estromettendo De Benedetti dalla gestione: «Gli uomini di Gelli hanno rimesso in piedi la struttura, il loro potere, hanno ristabilito una
loro presenza in aree così signiicative che ora il problema riemerge».
Dalle colonne di Repubblica, Eugenio Scalfari profetizzò «Se l’operazione andrà in porto, vedremo a capo del più grande gruppo multimediale
un membro della Loggia P2 […]. Oggi un membro di quell’associazione
segreta, sciolta per legge perché ritenuta sovversiva contro lo Stato, sta
per assidersi al vertice della Mondadori, dopo aver monopolizzato tutte
le reti televisive private esistenti […]. Se sta nascendo un regime col volto di Silvio Berlusconi, questo regime e quel volto avranno nei prossimi
mesi la nostra attenzione». Parole profetiche, quelle di Scalfari: nel maggio 2006 l’avvocato-amico di Berlusconi, Cesare Previti, deputato azzurro dal 1996, e già ministro della Difesa, è stato condannato a sei anni
per aver corrotto il giudice Vittorio Metta nella vicenda della guerra di
Segrate, inendo in galera, e a seguito di questa sentenza nell’ottobre
2009 la Fininvest è stata condannata a risarcire la Cir di De Benedetti
con 750 milioni di euro.
Il Corriere della Sera resta l’obiettivo più ambito dall’ex piduista Berlusconi, divenuto, nel frattempo, presidente del Consiglio e «capo del
più grande gruppo multimediale». Dalla notte alla mattina il governo ha
aperto un portone al Silvio Berlusconi proprietario di Mediaset, nonché
160
Dalla P2 alla P4
presidente del Consiglio: con un blitz notturno il governo ha abolito dal
decreto «Milleproroghe» 2011 n. 225 del 29 dicembre 2010, pubblicato
sulla Gazzetta Uiciale n. 303 del 29.12.2010, il divieto di incroci tra tv
e carta stampata, con una scadenza vicinissima: il 31 marzo 2011. In
questo modo, a meno che lo stesso Berlusconi, in un conclamato conlitto d’interessi, non emetta un Dpcm, un decreto della presidenza del
Consiglio per prorogare i tempi del divieto a ine anno, come prevede la
legge, dal primo aprile 2011 chi possiede televisioni ed è anche in posizione dominante può acquistare un giornale. È un via libera a Mediaset,
al premier e famiglia, perché possa allargare l’impero e mettere la mani
sul Corriere della Sera, viste anche le turbolenze societarie di quest’ultimo. È il boccone più ambito, ma anche la stampa locale può essere
utile, come lo stesso Cavaliere ha dichiarato parlando della candidatura
di Giuseppe Ciarrapico alle elezioni del 2008. Un vero blitz governativo,
perché ino al giorno prima nel Milleproroghe quel divieto, scaduto a
ine dell’anno precedente nella legge Gasparri, era stato prorogato ino
al 31 dicembre 2011. Un anno in meno: nel testo votato al Senato la
scadenza era il dicembre 2012, come richiesto dall’Authority per le Telecomunicazioni in una segnalazione al governo fatta ai primi di dicembre. Sulla vicenda è intervenuta l’Autorità garante del mercato e della
concorrenza: è «inopportuno» che il via libera alle concentrazioni editoriali del Milleproroghe dipenda dall’attuale premier. «Vanno valutati le
ricadute positive sul patrimonio del presidente del consiglio e il danno
per l’interesse pubblico» ha scritto l’Antitrust in una nota indirizzata
al governo e ai presidenti delle Camere. Non può essere il proprietario
del più grande impero televisivo privato italiano a decidere sugli incroci
stampa-tv. L’Antitrust è intervenuta così sulla disposizione contenuta
nel decreto Milleproroghe con la quale si eliminava dal primo aprile il
divieto di acquisire giornali per le imprese già titolari di network televisivi nazionali. È «inopportuno», ha inoltre sostenuto l’Antitrust, attribuire al presidente del Consiglio il potere di prorogare o no il divieto di
incroci proprietari tra giornali e tv successivamente al 31 marzo 2011,
come prevedeva il decreto Milleproroghe. Nella stessa segnalazione,
l’Antitrust ha espresso l’auspicio che la disciplina del divieto di incroci
sia sottratta alle competenze dell’attuale premier. «Senza una modiica in questa direzione della norma − scrive l’Antitrust − l’adozione o la
mancata adozione dell’atto di proroga, anche senza integrare automaticamente una fattispecie di conlitto di interessi, dovranno essere valutate dall’Antitrust, per veriicare l’incidenza speciica e preferenziale sul
patrimonio del presidente del Consiglio e il danno per l’interesse pub-
Conclusioni
161
blico». «L’Autorità − si ricorda nella nota − già il 20 gennaio scorso aveva
ricordato al governo che l’estensione della validità temporale del divieto, direttamente disposta dal decreto legge, era stata esplicitamente
auspicata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per tutelare
il pluralismo dell’informazione: per tale ragione, non poteva essere conigurata come un vantaggio patrimoniale del presidente del Consiglio.
Tuttavia − ha concluso l’Antitrust − la disciplina di un settore sensibile
come quello editoriale, richiedeva un atteggiamento di precauzione che
evitasse l’attribuzione di ogni potere discrezionale in capo al premier».
In sede di conversione del decreto nella legge 26 febbraio 2011 n. 10
(Gazzetta Uiciale n. 47 del 26.2.2011, supplemento ordinario n. 53)
il divieto di incroci tra settore della stampa e settore della televisione è
stato nuovamente prorogato ino al 31 dicembre 2011, e poi spostato
al 31 dicembre 2012 dall’art. 3 del decreto-legge «Omnibus» n. 34 del
31 marzo 2011 (G.U. n. 74 del 31 marzo 2011), convertito nella legge
26 maggio 2011, n. 75 (G.U. n. 112 del 27 maggio 2011), grazie ad un
provvidenziale intervento della Lega Nord. È solo questione di tempo, e
presto il premier Berlusconi sarà in grado di consentire all’editore Berlusconi di mettere inalmente le mani sul Corriere della Sera, come prevedeva il Piano di Rinascita democratica della P2.
L’ex presidente della Camera Luciano Violante, da presidente della
Commissione parlamentare antimaia disse: «La P2 è stata sciolta da
una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, inanziarie e criminali […] Quanto al dottor Berlusconi, il suo
interventismo attuale è sintomo della reazione di una parte del vecchio
regime che, avendo accumulato ricchezza e potere negli anni Ottanta,
pretende di continuare a condizionare la vita politica anche negli anni
Novanta».
Questo «sistema di relazioni politiche, inanziarie e criminali» è particolarmente evidente all’ombra della Madonnina, dove il potere berlusconiano è nato e si è sviluppato, giungendo a toccare ogni ambito politico,
inanziario, economico e sociale. È nel capoluogo lombardo, dove Luigi
Berlusconi dirigeva la Banca Rasini (legata a Cosa nostra, come Calvi,
Sindona e Dell’Utri), che inanziò i primi afari del iglio, che il premier
afonda le sue radici, proprio lì dove Mani pulite creò le condizioni per
la discesa in campo del Cavaliere col grembiulino. Le vicende giudiziarie dell’estate 2010, che hanno visto coinvolti esponenti altolocati del
Pdl, confermano che questo il rouge non si è mai spezzato. La triade
Dell’Utri-Verdini-Carboni, con l’aggiunta di altri personaggi di secondo
piano, conferma la vitalità di rapporti di antica data, e di una forma men-
162
Dalla P2 alla P4
tis che rivive, trent’anni dopo, nella P3, reincarnazione della P2 di Gelli
sopravvissuta e mantenuta all’ombra del potere berlusconiano.
«Berlusconi non ha alcun legame con la P3, è la testa della P3». Così
il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, rispondendo il 12 settembre ai
giornalisti alla festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta che
gli chiedevano degli eventuali rapporti tra il presidente del Consiglio, e
quella che lui stesso deinisce «piovra politica». «Abbiamo sempre ragionato sui coinvolgimenti delle varie parti di questa piovra politica − continua Di Pietro − ma a capo di essa c’è proprio lui».
A conferma della sopravvivenza della P2 è arrivata l’inchiesta sulla
P4, «un vero e proprio “sistema parallelo” e surrettizio gestito sia da
soggetti formalmente estranei alle istituzioni pubbliche e alla pubblica
amministrazione sia, invece, da soggetti espressione delle istituzioni
dello Stato» che vede al centro dell’indagine Luigi Bisignani, ex piduista
considerato tra i più inluenti nei palazzi romani, legato da un rapporto
di lunga data al sottosegretario Gianni Letta, «autorità delegata» del
presidente del Consiglio Berlusconi ai servizi di informazione e sicurezza. Una nuova indagine che ha origini antiche.
Dopo 174 sedute, il 9 gennaio ’86 Tina Anselmi presenta alla Camera la monumentale conclusione del suo lavoro: in un rapporto di 120
volumi, deinisce la P2 «il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale» (il piano di Rinascita democratica
di Gelli). Nel diario aveva profeticamente scritto: «Le P2 non nascono
a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti, per insensibilità, e li occupano
per creare la P3, la P4…». Sono passati trent’anni, ma la struttura e gli
uomini della P2 sono ancora attivi.
163
Piano di rinascita democratica
Premessa
1. L’aggettivo democratico sta a signiicare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema.
2. Il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai
sindacati, ai cittadini elettori.
3. Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella
elaborazione di procedimenti – anche alternativi – di attuazione
ed inine nell’elencazione di programmi a breve, medio e lungo
termine.
4. Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione – successivi al restauro delle istituzioni fondamentali.
Obiettivi
1. Nell’ordine vanno indicati:
a) i partiti politici democratici, dal Psi al Pri, dal Psdi alla Dc al Pli
(con riserva di veriicare la Destra nazionale);
b) la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi
soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto
del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana.
La Rai-Tv va dimenticata
164
Dalla P2 alla P4
c) i sindacati, sia confederali Cisl e Uil, sia autonomi, nella ricerca di
un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche
al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera
associazione dei lavoratori;
d) il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualità degli uomini da preporre ai singoli dicasteri;
e) la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi;
f) il Parlamento, la cui eicienza è subordinata al successo dell’operazione sui partiti politici, la stampa e i sindacati.
2. Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economicoinanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra suiciente a permettere ad uomini di buona fede
e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie
al loro controllo. Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il
buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono
necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze
reciproche, come si vedrà in dettaglio in sede di elaborazione
dei procedimenti.
3. Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione
è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’eterogeneità
dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e inanziari, esponenti delle professioni
liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi
e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o
40 unità. Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali
cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto
ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e
nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare.
Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.
Piano di rinascita democratica
165
Procedimenti
1. Nei confronti del mondo politico occorre:
a) selezionare gli uomini – anzitutto – ai quali può essere aidato il
compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva
parte politica (per il Psi, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi;
per il Pri: Visentini e Bandiera; per il Psdi: Orlandi e Amidei; per
la Dc: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il Pli: Cottone e Quilleri; per la Destra nazionale (eventualmente): Covelli);
b) in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono
in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;
c) in caso di risposta afermativa, aidare ai prescelti gli strumenti
inanziari suicienti – con i dovuti controlli – a permettere loro
di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;
d) in caso di risposta negativa usare gli strumenti inanziari stessi
per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra
(a cavallo fra Psi-Psdi-Pri-Liberali di sinistra e Dc di sinistra), e
l’altro sulla destra (a cavallo fra Dc conservatori, liberali, e democratici della Destra nazionale). Tali movimenti dovrebbero essere
fondati da altrettanti club promotori composti da uomini politici
ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da 1 a
3 ove i primi rappresentino l’anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale.
Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione
politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi
ideologiche. Altrimenti il rigetto da parte della pubblica opinione
è da ritenere inevitabile.
2. Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti) l’impiego
degli strumenti inanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3
elementi, per ciascun quotidiano o periodico, in modo tale che
nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che
conoscono l’ambiente.
166
Dalla P2 alla P4
Ai giornalisti acquisiti dovrà essere aidato il compito di «simpatizzare» per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d.
In un secondo tempo occorrerà:
c) acquisire alcuni settimanali di battaglia;
d) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una
agenzia centralizzata;
e) coordinare molte tv via cavo con l’agenzia per la stampa locale;
f) dissolvere la Rai-Tv in nome della libertà di antenna ex art. 21
Costit.
3. Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei
gruppi minoritari della Cisl e maggioritari dell’Uil, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, e l’acquisizione con strumenti inanziari di pari entità, i più disponibili fra gli attuali confederati,
allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale
trimurti.
Gli scopi reali da ottenere sono:
a) restaurazione della libertà individuale nelle fabbriche e aziende
in genere per consentire l’elezione dei consigli di fabbrica con effettive garanzie di segretezza del voto;
b) ripristinare per tale via il ruolo efettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quello illegittimamente assente di interlocutore in vista di decisioni politiche
aziendali e governative.
Sotto tale proilo, la via della scissione e della successiva integrazione
con gli autonomi sembra preferibile anche ai ini dell’incidenza positiva
sulla pubblica opinione di un fenomeno clamoroso come la costituzione
di un vero sindacato che agiti la bandiera della libertà di lavoro e della
tutela economica dei lavoratori. Anche in termini di costo è da prevedere un impiego di strumenti inanziari di entità inferiori all’altra ipotesi.
4) Governo, Magistratura e Parlamento È evidente che si tratta di
obiettivi nei confronti dei quali i procedimenti divengono alter-
Piano di rinascita democratica
167
nativi in varia misura a seconda delle circostanze. È comunque
intuitivo che, ove non si veriichi la favorevole circostanza di cui
in prosieguo, i tempi brevi sono – salvo che per la Magistratura –
da escludere, essendo i procedimenti subordinati allo sviluppo di
quelli relativi ai partiti, alla stampa ed ai sindacati, con la riserva
di una più rapida azione nei confronti del Parlamento ai cui componenti è facile estendere lo stesso modus operandi già previsto
per i partiti politici.
Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la
corrente di magistratura indipendente della Ass. naz. mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate.
È suiciente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter
contare su un prezioso strumento, già operativo nell’interno del corpo
anche ai ini di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio
della società e non già di evasione. Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al Governo di un uomo politico (o di
una équipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee di
«ripresa democratica» è chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il
programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale
all’attuazione dei procedimenti sopra descritti. In termini di tempo ciò
signiicherebbe la possibilità di ridurre a 6 mesi ed anche meno il tempo di intervento, qualora sussista il presupposto della disponibilità dei
mezzi inanziari.
Programmi
Per programmi s’intende la scelta, in scala di priorità, delle numerose
operazioni da compiere in forma di:
a) azioni di comportamento politico ed economico;
b) atti amministrativi (di Governo);
c) atti legislativi necessari a ribaltare – concomitanza con quelli
descritti in materia di procedimenti – l’attuale tendenza al disfacimento delle istituzioni e, con essa, alla disottemperanza della
Costituzione i cui organi non funzionano più secondo gli schemi
168
Dalla P2 alla P4
originali. Si tratta, in sostanza, di «registrare» – come nella stampa in tricromia – le funzioni di ciascuna istituzione e di ogni organo relativo in modo che i rispettivi conini siano esattamente
delimitati e scompaiano le attuali aree di sovrapposizione da cui
derivano confusione e indebolimento dello Stato.
A titolo di esempio, si considerino due fenomeni:
1. lo spostamento dei centri di potere reale dal Parlamento ai sindacati e dal Governo ai padronati multinazionali con i correlativi
strumenti di azione inanziaria. Sarebbero suicienti una buona
legge sulla programmazione che rivitalizzi il Cnel ed una nuova
struttura dei Ministeri accompagnate da norme amministrative
moderne per restituire ai naturali detentori il potere oggi perduto;
2. l’involuzione subita dalla scuola negli ultimi 10 anni quale risultante di una giusta politica di ampliamento dell’area di istruzione pubblica, non accompagnata però dalla predisposizione di
corpi docenti adeguati e preparati nonché dalla programmazione
dei abbisogni in tema d’occupazione. Ne è conseguenza una forte
e pericolosa disoccupazione intellettuale – con gravi deicienze
invece nei settori tecnici – nonché la tendenza ad individuare nel
titolo di studio il diritto al posto di lavoro.
Discende ancora da tale stato di fatto la spinta all’equalitarismo assoluto (contro la Costituzione che vuole tutelare il diritto allo studio
superiore per i più meritevoli) e, con la delusione del non inserimento,
il rifugio nella apatia della droga oppure nell’ideologia dell’eversione anche armata. Il rimedio consiste: nel chiudere il rubinetto del preteso
automatismo titolo di studio – posto di lavoro; nel predisporre strutture docenti valide; nel programmare, insieme al fenomeno economico,
anche il relativo fabbisogno umano; ed inine nel restaurare il principio
meritocratico imposto dalla Costituzione.
Sotto molti proili, la deinizione dei programmi intersecherà temi e
notazioni già contenuti nel recente Messaggio del Presidente della Repubblica – indubbiamente notevole – quale diagnosi della situazione del Paese, tendendo, però, ad indicare terapie più che a formulare nuove analisi.
Detti programmi possono essere resi esecutivi – occorrendo – con
normativa d’urgenza (decreti legge).
Piano di rinascita democratica
169
a) Emergenza a breve termine. Il programma urgente comprende,
al pari degli altri, provvedimenti istituzionali (rivolti cioè a «registrare» le istituzioni) e provvedimenti di indole economicosociale.
a1) Ordinamento giudiziario: le modiiche più urgenti investono:
-
la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;
il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;
la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali
preliminari);
la modiica delle norme in tema di facoltà di libertà provvisoria
in presenza dei reati di eversione – anche tentata – nei confronti
dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di sequestro di
persona e di violenza in generale.
a2) Ordinamento del Governo
1 − legge sulla Presidenza del Consiglio e sui Ministeri (Cost. art.
95) per determinare competenze e numero (ridotto, con eliminazione o quasi dei Sottosegretari);
2 − legge sulla programmazione globale (Costit. art. 41) incentrata su un Ministero dell’economia che ingloba le attuali strutture
di incentivazione (Cassa Mezz. – PP.SS. – Medicredito – Industria – Agricoltura), sul Cnel rivitalizzato quale punto d’incontro
delle forze sociali sindacali, imprenditoriali e culturali e su procedure d’incontro con il Parlamento e le Regioni;
3 − riforma dell’amministrazione (Costit. articoli 28-97 e 98)
fondata sulla teoria dell’atto pubblico non amministrativo, sulla
netta separazione della responsabilità politica da quella amministrativa che diviene personale (istituzione dei Segretari Generali
di Ministero) e sulla sostituzione del principio del silenzio-riiuto con quello del silenzio-consenso;
4 − deinizione della riserva di legge nei limiti voluti e richiesti
espressamente dalla Costituzione e individuazione delle aree di
normativa secondaria (regolamentare) in ispecie di quelle regionali che debbono essere obbligatoriamente limitate nell’ambito
delle leggi cornice.
170
Dalla P2 alla P4
a3) Ordinamento del Parlamento:
1. ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere (funzione
politica alla Cd e funzione economica al SR);
2. modiica (già in corso) dei rispettivi Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto (Cost. art. 64) fra maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo della attuale
tendenza assemblearistica.
3. adozione del principio delle sessioni temporali in funzione di
esecuzione del programma governativo.
b) Provvedimenti economico-sociali;
b1) abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le
università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della
scuola che attui i precetti della Costituzione);
b2) adozione di un orario unico nazionale di 7 ore e 30’ efettive (dalle 8,30 alle 17) salvi i turni necessari per gli impianti a ritmo di
24 ore, obbligatorio per tutte le attività pubbliche e private;
b3) eliminazione delle festività infrasettimanali e dei relativi ponti
(salvo 2 giugno – Natale – Capodanno e Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto;
b4) obbligo di attuare in ogni azienda ed organo di Stato i turni di
festività – anche per sorteggio – in tutti i periodi dell’anno, sia
per annualizzare l’attività dell’industria turistica, sia per evitare
la «sindrome estiva» che blocca le attività produttive;
b5) revisione della riforma tributaria nelle seguenti direzioni:
1 − revisione delle aliquote per i lavoratori dipendenti aggiornandole al tasso di svalutazione 1973-76;
2 − nettizzazione all’origine di tutti gli stipendi e i salari della P.
A. (onde evitare gli enormi costi delle relative partite di giro);
3 − inasprimento delle aliquote sui redditi professionali e sulle
rendite;
4 − abbattimento delle aliquote per donazioni e contributi a fondazioni scientiiche e culturali riconosciute, allo scopo di sollecitare indirettamente la ricerca pura ed il relativo impiego di intellettualità;
Piano di rinascita democratica
171
5 − alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a
riserve, ammortamenti, investimenti e garanzie, per sollecitare
l’autoinanziamento premiando il reinvestimento del proitto;
6 − reciprocità fra Stato e dichiarante nell’obbligo di mutuo acquisto ai valori dichiarati ed accertati;
b6) abolizione della nominatività dei titoli azionari per ridare iato al
mercato azionario e sollecitare meglio l’autoinanziamento delle
aziende produttive;
b7) eliminazione delle partite di giro fra aziende di Stato ed istituti
inanziari di mano pubblica in sede di giro conti reciproci che si
risolvono – nel gioco degli interessi – in passività inutili dello
stesso Stato;
b8) concessione di forti sgravi iscali ai capitali stranieri per agevolare il ritorno dei capitali dall’estero;
b9) costituzione di un fondo nazionale per i servizi sociali (caseospedali-scuole-trasporti) da alimentare con:
1 – sovraimposta Iva sui consumi voluttuari (automobili-generi
di lusso);
2 – proventi dagli inasprimenti iscali ex b5)4;
3 – inanziamenti e prestiti esteri su programmi di spesa;
4 – stanziamenti appositi di bilancio per investimenti;
5 – diminuzione della spesa corrente per parziale pagamento di
stipendi statali superiori a L. 7.000.000 annui con speciali buoni
del Tesoro al 9% non commerciabili per due anni.
Tale fondo va destinato a inanziare un programma biennale di spesa per almeno 10.000 miliardi. Le riforme di struttura relative vanno
rinviate a dopo che sia stata assicurata la disponibilità dei fabbricati,
essendo ridicolo riformare le gestioni in assenza di validi strumenti (si
ricordino i guasti della riforma sanitaria di alcuni anni or sono che si
risolvette nella creazione di 36.000 nuovi posti di consigliere di amministrazione e nella correlativa lottizzazione partitica in luogo di creare
altri posti letto). Per quanto concerne la realizzabilità del piano edilizio
in presenza della caotica legislazione esistente, sarà necessaria una legge che imponga alle Regioni programmi urgenti straordinari con termini brevissimi surrogabili dall’intervento diretto dello Stato; per quanto
si riferisce in particolare all’edilizia abitativa, il ricorso al sistema dei
comprensori obbligatori sul modello svedese ed al sistema francese dei
172
Dalla P2 alla P4
mutui individuali agevolati sembra il metodo migliore per rilanciare
questo settore che è da considerare il volano della ripresa economica;
b10) aumentare la redditività del risparmio postale elevando il tasso
al 7%
b11) concedere incentivi prioritari ai settori:
I – turistico;
Il – trasporti marittimi
III – agricolo-specializzato (primizie-zootecnica);
IV – energetico convenzionale e futuribile (Nucleare-geometrico-solare);
V – industria chimica ine e metalmeccanica specializzata di trasformazione; in modo da sollecitare investimenti in settori ad
alto tasso di mano d’opera ed apportatori di valuta;
b12) sospendere tutte le licenze ed i relativi incentivi per impianti
di rainazione primaria del petrolio e di produzione siderurgica
pesante.
c) Pregiudiziale è che oggi ogni attività secondo quanto sub a) e b)
trovi protagonista e gestore un Governo deciso ad essere non già
autoritario bensì soltanto autorevole e deciso a fare rispettare le
leggi esistenti.
Così è evidente che le forze dell’ordine possono essere mobilitate per
ripulire il Paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative
centrali direttive soltanto alla condizione che la Magistratura li processi
e condanni rapidamente inviandoli in carceri ove scontino la pena senza
fomentare nuove rivolte o condurre una vita comoda.
Sotto tale proilo, sembra necessario che alle forze di P.S. sia restituita la facoltà di interrogatorio d’urgenza degli arrestati in presenza dei
reati di eversione e tentata eversione dell’ordinamento, nonché di violenza e resistenza alle forze dell’ordine, di violazione della legge sull’ordine pubblico, di sequestro di persona, di rapina a mano armata e di
violenza in generale.
d) Altro punto chiave è l’immediata costituzione di una agenzia per
il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni
successive nel tempo) e della tv via cavo da impiantare a catena in
modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese.
Piano di rinascita democratica
173
È inoltre opportuno acquisire uno o due periodici da contrapporre a
Panorama, Espresso, Europeo sulla formula viva Settimanale.
Medio e lungo termine
Nel presupposto dell’attuazione di un programma di emergenza a
breve termine come sopra deinito, rimane da tratteggiare per sommi capi un programma a medio e lungo termine con l’avvertenza che
mentre per quanto riguarda i problemi istituzionali è possibile in d’ora
formulare ipotesi concrete, in materia di interventi economico-sociali,
salvo per quel che attiene pochissimi grandi temi, è necessario rinviare
nel tempo l’elencazione di problemi e relativi rimedi.
a) Provvedimenti istituzionali
a1) Ordinamento giudiziario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
unità del Pubblico Ministero (a norma della Costituzione – articoli 107 e 112 ove il P.M. è distinto dai Giudici);
responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato
del P.M. (modiica costituzionale);
istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni
segreto istruttorio con i relativi e connessi pericoli ed eliminando le attuali due fasi d’istruzione;
riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento (modiica costituzionale);
riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente
e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile
esperimento di elezione di magistrati (Costit. art. 106) fra avvocati con 25 anni di funzioni in possesso di particolari requisiti
morali;
a2) Ordinamento del Governo
I.
modiica della Costituzione per stabilire che il Presidente del
Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può
essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni del successore;
174
Dalla P2 alla P4
II. modiica della Costituzione per stabilire che i Ministri perdono la
qualità di parlamentari;
III. revisioni della legge sulla contabilità dello Stato e di quella sul
bilancio dello Stato (per modiicarne la natura da competenza in
cassa);
IV. revisione della legge sulla inanza locale per stabilire – previo
consolidamento del debito attuale degli enti locali da riassorbire
in 50 anni – che Regioni e Comuni possono spendere al di là delle
sovvenzioni statali soltanto i proventi di emissioni di obbligazioni di scopo (esenti da imposte e detraibili) e cioè relative ad opere pubbliche da inanziare secondo il modello Usa. Altrimenti il
concetto di autonomia diviene di sola libertà di spesa basata sui
debiti;
V. riforma della legge comunale e provinciale per sopprimere le
province e rideinire i compiti dei Comuni dettando nuove norme sui controlli inanziari
a3) Ordinamento del Parlamento
I.
nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale
e proprozionale secondo il modello tedesco) riducendo il numero
dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado,
regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei
senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari – ex magistrati – ex funzionari e
imprenditori pubblici – ex militari ecc.);
II. modiica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed al Senato preponderanza
economica (esame del bilancio);
III. stabilire norme per efettuare in uno stesso giorno ogni 4 anni le
elezioni nazionali, regionali e comunali (modiica costituzionale);
IV. stabilire che i decreti-legge sono inemendabili.
a4) Ordinamento di altri organi istituzionali
1) Corte Costituzionale: sancire l’incompatibilità successiva dei
giudici a cariche elettive ed in enti pubblici; sancire il divieto di
sentenze cosiddette attive (che trasformano la Corte in organo
legislativo di fatto);
Piano di rinascita democratica
175
2) Presidente della Repubblica: ridurre a 5 anni il mandato, sancire
l’ineleggibilità ed eliminare il semestre bianco (modiica costituzionale);
3) Regioni: modiica della Costituzione per ridurre il numero e determinarne i conini secondo criteri geoeconomici più che storici. Provvedimenti economico sociali:
b1) Nuova legislazione antiurbanesimo subordinando il diritto di residenza alla dimostrazione di possedere un posto di lavoro ed un
reddito suiciente (per evitare che saltino le inanze dei grandi
Comuni);
b2) nuova legislazione urbanistica favorendo le città satelliti e trasformando la scienza urbanistica da edilizia in scienza dei trasporti veloci suburbani;
b3) nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignità
del cittadino (sul modello inglese) e stabilendo l’obbligo di pubblicare ogni anno i bilanci nonché le retribuzioni dei giornalisti;
b4) uniicazione di tutti gli istituti ed enti previdenziali ed assistenziali in un unico ente di sicurezza sociale da gestire con formule
di tipo assicurativo allo scopo di ridurre i costi attuali;
b5) disciplinare e moralizzare il settore pensionistico stabilendo:
1) il divieto del pagamento di pensioni prima dei 60 anni salvo
casi di riconosciuta inabilità;
2) il controllo rigido sulle pensioni di invalidità;
3) l’eliminazione del fenomeno del cumulo di più pensioni;
b6) dare attuazione agli articoli 39 e 40 della Costituzione regolando
la vita dei sindacati e limitando il diritto di sciopero nel senso di:
1) introdurre l’obbligo di preavviso dopo avere esperito il concordato;
2) escludere i servizi pubblici essenziali (trasporti; dogane; ospedali e cliniche; imposte; pubbliche amministrazioni in genere)
ovvero garantirne il corretto svolgimento;
3) limitare il diritto di sciopero alle causali economiche ed assicurare comunque la libertà di lavoro;
b7) nuova legislazione sulla partecipazione dei lavoratori alla proprietà azionaria delle imprese e sulla gestione (modello tedesco);
b8) nuova legislazione sull’assetto del territorio (ecologia, difesa del
suolo, disciplina delle acque, rimboscamento, insediamenti umani);
b9) legislazione antimonopolio (modello Usa);
176
Dalla P2 alla P4
b10) nuova legislazione bancaria (modello francese);
b11) riforma della scuola (selezione meritocratica – borse di studio
ai non abbienti – scuole di Stato normale e politecnica sul modello francese);
b12) riforma ospedaliera e sanitaria sul modello tedesco;
c) Stampa – Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare i bilanci deicitari con onere del pubblico erario ed abolire il
monopolio Rai – Tv.
Organigramma
Economia e inanza
- Governatore Banca d’Italia
- Direttore generale Banca d’Italia
- Presidente Iri (e inanziarie dipendenti)
- Direttore generale – Iri (e inanziarie dipendenti)
- Presidente Eni (e inanziarie dipendenti)
- Direttore generale Eni (e inanziarie dipendenti)
- Presidente e direttore generale Enti di gestione PP.SS.(Egam-EimCinema-Terme)
- Presidente Cassa del Mezzogiorno
- Direttore generale Cassa del Mezzogiorno
- Presidente Imi
- Direttore generale Imi
- Presidente Mediobanca
- Direttore generale Mediobanca
- Presidente Mediocredito Centrale
- Direttore generale Mediocredito Centrale
- Presidente Icipu
- Direttore generale Icipu
- Presidente Ina
- Direttore generale Ina
- Presidente Inps
- Direttore generale Inps
- Presidente Inam
- Direttore generale Inam
- Presidente Inadel
- Direttore generale Inadel
Piano di rinascita democratica
Magistratura
Primo presidente della Corte di Cassazione
Procuratore generale della Corte di Cassazione
Avvocato Generale della Corte di Cassazione
Presidente della Corte d’appello di Roma
Procuratore generale della della Corte d’appello di Milano
Presidente del Tribunale di Torino
Procuratore della Repubblica di Venezia
Consigliere istruttore di Bologna
Consigliere istruttore di Firenze
Consigliere istruttore di Napoli
Consigliere istruttore di Bari
Consigliere istruttore di Catanzaro
Consigliere istruttore di Palermo
Pubblica Ammnistrazione
- Presidente Consiglio di Stato
- Presidente Corte dei conti
- Procuratore generale Corte dei conti
- Ragioniere generale dello Stato
- Segretario generale Ministero Afari esteri
- Segretario generale Programmazione
- Capo della Polizia
- Direttore generale FF.SS.
- Direttore generale PP.TT.
- Direttore generale Anas
- Direttore generale Tesoro
- Direttore generale II.DD.
- Direttore generale II. Indiri.
- Direttore generale Ute
- Direttore generale fonti d’energia
- Direttore generale produzione industriale
- Direttore generale valute
- Direttori generali istruzione elementare
secondaria 1° grado
superiore
tecnica
professionale
universitaria
177
178
Corpi militari
- Capo S.M. Difesa
- Capo S.M. Esercito
- Capo S.M. Marina
- Capo S.M. Aeronautica
- Comandante Arma dei Carabinieri
- Capo S.M. Guardia di Finanza
- Comandanti Regioni territoriali dell’Esercito
- Comandanti Zone aeree
- Comandanti Dipartimenti militari marittimi
- Comandante Guardie PS
- Comandante Guardie forestali
- Comandante delle Guardie carcerarie
- Comandante Sid
Dalla P2 alla P4
179
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare
d’inchiesta sulla loggia massonica P2 (Legge 23 settembre 1981,
n. 527) dell’onorevole Tina Anselmi − IX legislatura
Introduzione
La valutazione e l’esatta comprensione delle conclusioni che la Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 consegna
al Parlamento al termine dei suoi lavori, richiedono alcune preventive
precisazioni intorno al metodo ed ai criteri secondo i quali la presente
relazione è stata redatta.
Il problema fondamentale con il quale la Commissione nel corso dei
suoi lavori ed il relatore nella stesura del documento inale si sono dovuti confrontare è stato quello della vastità della materia oggetto di indagine, che non solo interessa i più svariati campi della vita nazionale,
intrecciandosi altresì con argomenti oggetto di altre inchieste parlamentari, ma si estende inoltre lungo l’arco di un periodo di tempo più
che decennale.
Sta a testimonianza di questa peculiare natura del fenomeno analizzato l’ampiezza dei lavori della Commissione, protrattisi per oltre
trenta mesi, secondo un impegno che pochi dati statistici bastano ad
evidenziare in modo eloquente.
La Commissione ha efettuato un totale di 147 sedute, nel corso delle
quali sono state ascoltate testimonianze, per un totale di 198 persone
che hanno, a vario titolo, collaborato ai lavori di inchiesta in sede di audizione. Valendosi dei poteri concessi dalla legge istitutiva, la Commissione ha ordinato l’efettuazione di 14 operazioni di polizia giudiziaria,
tra le quali particolare rilievo hanno assunto quella diretta ad accertare
la situazione reale dell’assetto proprietario relativo al Corriere della Sera,
nonché quelle efettuate presso le comunioni massoniche maggiormente accreditate al ine di veriicare, in termini ultimativi, sia la consistenza della loggia massonica P2, sia la natura dei vari legami con l’ambiente
massonico. Nel corso dei suoi lavori la Commissione ha inine accumulato una mole di documenti, valutabile nell’ordine di alcune centinaia di
migliaia di pagine, che risulta in parte formata direttamente da attività
180
Dalla P2 alla P4
della Commissione, in parte acquisita da fonti esterne, ovvero, oltre che
da privati, da autorità giudiziarie ed amministrative di ogni ordine e
grado, che hanno prestato la loro collaborazione, sia autonomamente,
che su impulso della Commissione.
I dati esposti ofrono da soli, nella loro sintetica enunciazione, un
quadro signiicativo dell’importanza del fenomeno e della sua ramiicazione. Si vuole qui ricordare, inine, che la materia oggetto di indagine, o suoi aspetti particolari, è altresì oggetto di numerose inchieste
giudiziarie attualmente in corso, nelle quali sono rinvenibili presenze
non marginali di uomini ed ambienti che nella Loggia P2 trovavano
espressione.
Le considerazioni esposte rendono palese che il primo problema che
la Commissione ha dovuto afrontare in sede di conclusione dei propri
lavori è stato quello di delimitare l’ambito del proprio documento conclusivo, al ine di consentire al Parlamento ed ai cittadini uno strumento
atto a comprendere e valutare il fenomeno nella sua portata reale, nella
convinzione che dilatare indiscriminatamente il discorso oltre un certo limite equivarrebbe, in ultima sostanza, a perdere il signiicato reale
dell’evento. Quando si ponga mente alla varietà e qualità delle persone
ailiate alla loggia, alla estensione dei campi di attività che esse rappresentavano, alla durata nel tempo della sua accertata operatività, appare
evidente che una scelta metodologica che avesse privilegiato il criterio
di inseguire il fenomeno nelle sue molteplici ramiicazioni non avrebbe
avuto altro esito che quello di riprodurre descrittivamente, nel migliore
dei casi, una determinata situazione, senza peraltro pervenire ad una
comprensione politicamente apprezzabile della sua genesi, della sua sostanza e delle inalità ad essa preissate.
La Commissione, facendosi carico del grave compito assegnatole dal
Parlamento e della vigile attenzione con la quale l’opinione pubblica
ha seguito questa vicenda, ha ritenuto che una simile scelta si sarebbe risolta in un sostanziale in de non-recevoir politico, eludendo la vera
sostanza del problema, che è, ed altro non potrebbe essere, quella di
identiicare la speciicità dell’operazione piduista.
Si tratta in altri termini di veriicare se sia possibile individuare, indagando quella che il commissario Battaglia ha deinito la natura polimorfa di tale organizzazione, un ilo conduttore che attraverso la molteplicità degli aspetti e degli eventi riconduca ad una interpretazione
unitaria il fenomeno. In tale prospettiva il relatore ha proceduto, ponendosi di fronte al corpus testimoniale e documentale a disposizione, con l’intento di operare una selezione tra i fatti e i documenti che
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
181
si presentavano, contrassegnati da maggiore interesse e per i quali era
possibile stabilire un apprezzabile collegamento avente signiicato interpretativo. La enucleazione di questi momenti di analisi di maggior
pregio si è posta come intervento pregiudiziale ed indispensabile alla
necessaria opera di interpretazione dei dati, nella quale si è proceduto
alla veriica di una possibile ricostruzione generale del fenomeno, dando rilievo preminente, in tale operazione, alla verosimiglianza interpretativa dei risultati raggiunti, considerati soddisfacenti quando confortati dalla logica della conclusione proposta, ovvero dalla sua congruità a
fornire una spiegazione coerente alla massa indistinta di dati sottoposti
alla nostra attenzione.
In questo contesto, la Commissione ha operato uno sforzo nel tentare di capire e di interpretare non solo ciò che veniva sottoposto alla sua
attenzione, ma altresì ciò che ad essa veniva celato, quanto le carte e le
testimonianze dicevano in termini espliciti e quanto esse rivelavano, e
spesso era il più, implicitamente, attraverso i silenzi e le omissioni.
Le conclusioni alle quali si è pervenuti sono pertanto ritenute attendibili e come tali meritevoli di essere portate all’esame del Parlamento,
poiché ricevono supporto, oltre che dalla documentazione in nostro
possesso, dalla constatazione che gli elementi relativi trovano coerente
sistemazione e logica spiegazione.
Una sifatta operazione ha comportato l’emarginazione di alcune situazioni istruttorie, che pure avevano nel corso dei lavori della Commissione trovato adeguata attenzione, ma alle quali in sede conclusiva si è
dato più circoscritto rilievo o perché nulla aggiungevano di signiicativo
ai risultati ai quali si è pervenuti o perché l’approfondimento analitico
relativo non ha raggiunto ancora livelli che si possano giudicare suicientemente stabiliti. Tale ad esempio la ricostruzione della vicenda del
presidente dell’Ambrosiano, Roberto Calvi, oggetto di inchieste giudiziarie ancora in corso, che peraltro, ai ini della presente relazione, può
dirsi suicientemente conosciuta ed inquadrata nell’ambito del sistema
di relazioni che si incardinavano nella Loggia P2 e ruotavano intorno al
suo venerabile maestro, Licio Gelli.
Si intende pertanto che la scelta operata dalla Commissione è stata,
piuttosto che di circoscrivere l’ambito del proprio operato in sede conclusiva, quella di qualiicarlo funzionalmente, nell’intima convinzione
che quanto il Parlamento ed il Paese da essa si attendono è una risposta
chiara e precisa di fronte ad un fenomeno che nella sua stessa costruzione avvia ad una rete complessa di falsi obiettivi e di illusorie certezze,
giocando sull’ambiguità ed elevando a sistema di potere le allusioni e
182
Dalla P2 alla P4
le mezze verità e quindi l’intimidazione ed il ricatto che su di esse si
possono innestare.
È proprio la natura polimorfa di tale organizzazione che ne spiega
quella che il commissario Battaglia ha deinito la sua pervasività, e chiarisce come primario obiettivo sia quello di fornire una risposta politica
precisa che individui la speciicità del fenomeno; perché, come ha rilevato il commissario Petruccioli, questa distinzione costituisce il presupposto politico imprescindibile per l’estirpazione deinitiva del fenomeno.
La presente relazione rappresenta pertanto uno sforzo di sintesi e
di interpretazione diretto alla individuazione, attraverso la poliedrica
realtà del fenomeno e la sua voluta ambiguità, della connotazione speciica e della peculiarità propria che hanno contraddistinto la costruzione
della Loggia P2 e la sua operatività.
È convincimento del relatore che inalizzare il proprio lavoro nel
senso esposto abbia costituito il modo più adeguato per ottemperare al
dettato della legge istitutiva, la quale, nel momento di istituire la Commissione, ha issato l’obbligo di presentare una relazione al Parlamento
sulle risultanze delle indagini.
La Commissione ha tratto da questa previsione normativa la precisa
indicazione dell’ambito della sua competenza e del suo ruolo nel quadro
preissato dei poteri costituzionali, entro i quali essa si colloca come un
momento, sia pure di incisivo rilievo, proceduralmente coordinato alla
competenza ultima del Parlamento cui spetta di esaminare e deliberare,
nella sua plenaria responsabilità, in ordine ad ogni aspetto che attenga alla vita della Nazione. A questo ine la relazione della Commissione
mira ad inserirsi in tale articolato procedimento; e, lungi dal pretendere
di esaurire in modo deinitivo l’esame e la valutazione di un fenomeno
che ha interessato gli aspetti più qualiicati della società civile, si pone
l’obiettivo di consentire che il dibattito su questi problemi e sul complesso delle implicazioni e delle responsabilità ad essi inerenti sia argomentato e documentato nel modo più serio e costruttivo. In questa
prospettiva ed entro i limiti indicati, è convincimento di questa Commissione parlamentare di inchiesta che, pur nella naturale perfettibilità
delle cose umane, i risultati del proprio lavoro, che vengono rassegnati
nella presente relazione, potranno adempiere la funzione che è loro propria di costituire la base ragionata per un sereno ma fermo dibattito nel
Parlamento e tra i cittadini, a conferma − e del resto ne è testimonianza
l’esistenza stessa di questa Commissione − dell’intatta forza della democrazia italiana.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
183
La massoneria di Palazzo Giustiniani e le altre «famiglie» massoniche
L’organizzazione ispirata e guidata da Licio Gelli, denominata «Loggia Propaganda due», nasce e si sviluppa nell’ambito della maggiore
comunione massonica esistente in Italia: il Grande Oriente di Italia di
Palazzo Giustiniani. Si rende pertanto necessaria una breve disamina
della presenza massonica nel nostro paese e delle sue strutture al ine di
comprendere e valutare nella sua esatta dimensione il fenomeno della
loggia massonica P2, oggetto di un apposito provvedimento di scioglimento votato dal Parlamento.
La massoneria italiana si compone di due maggiori organizzazioni
o «famiglie», comunemente indicate con il sintetico riferimento alla
sede storicamente occupata, come di Palazzo Giustiniani e di Piazza del
Gesù; questa si conigura a sua volta come promanazione della prima a
seguito di una scissione intervenuta nel 1908, in ragione di contrasti
attinenti l’atteggiamento da assumere sulla legislazione concernente
l’insegnamento religioso nelle scuole.
Accanto a questi due gruppi di rilievo nazionale − la cui consistenza
è valutabile tra i 15-20 mila iscritti per Palazzo Giustiniani e tra i 5-10
mila per Piazza del Gesù − sono presenti altri minori gruppi locali con
una consistenza valutabile, per ognuno di essi, nell’ordine di alcune centinaia di iscritti.
Prendendo in esame le due organizzazioni principali va messo in rilievo, ai ini che qui interessano, che il modello strutturale assunto è
quello di una distribuzione degli iscritti secondo una scala gerarchica
modulata per gradi. Questa scala gerarchica conosce una divisione fondamentale tra «ordine», comprendente i primi tre gradi, e «rito», comprendente i gradi dal quarto al trentatreesimo, talché, mentre tutti coloro che fanno parte del rito sono necessariamente membri dell’ordine,
non necessariamente vale l’assunto contrario. Trattasi in altri termini
di due livelli collegati ma non coincidenti, l’uno sopraordinato all’altro secondo un modello di struttura verticalizzata che presiede a tutta
l’organizzazione massonica, all’interno della quale poi la mobilità degli
iscritti nella gerarchia è regolata dalla stretta applicazione del principio
di cooptazione che determina ogni passaggio di grado, nonché l’ingresso nell’ordine e poi nel rito.
Gli iscritti, a loro volta, sono raggruppati in logge aventi base territoriale; e la domanda di iscrizione ad una loggia è requisito fondamentale per l’ingresso di un «profano» nella massoneria, per cui, in linea di
principio, non si può appartenere alla massoneria se non attraverso il
184
Dalla P2 alla P4
momento comunitario della iscrizione ad una loggia. La massoneria di
Palazzo Giustiniani con altre «famiglie» contemplava, oltre a tale situazione, la possibilità di accedere all’ordine per iniziazione operata direttamente dal responsabile supremo − il Gran Maestro − senza pertanto
sottostare alla votazione che sancisce l’ingresso dell’iniziando nell’organizzazione. I «fratelli» che venivano iniziati «sul ilo della spada» si
venivano pertanto a trovare in una posizione particolare («all’orecchio»
del Gran Maestro) sia per non avere una loggia di appartenenza, sia per
il carattere riservato della loro iniziazione, intervenuta al di fuori delle
ordinarie forme di pubblicità statutariamente previste; essendo pertanto la loro iniziazione nota solo all’organo procedente, il Gran Maestro,
tali iscritti venivano designati come «coperti» ed inseriti d’uicio in una
loggia anch’essa «coperta» comprendente, per l’appunto, la lista degli
iscritti noti solo al Gran Maestro.
Tale loggia veniva designata come loggia «Propaganda»; ogni loggia poi essendo contrassegnata da un numero oltre che da un nome,
la loggia «Propaganda» avrebbe avuto in sorteggio il numero due. Tale
almeno è la spiegazione fornita dai responsabili massonici sull’origine
di questa denominazione.
Dalla vasta documentazione acquisita dalla Commissione nell’ambito
di operazioni di perquisizione e di sequestro di documenti, secondo i
poteri attribuiti dalla legge, è emerso che il fenomeno della «copertura»
era comune alle altre famiglie ed interessava sia singoli iscritti che intere logge, rivestendo portata più ampia di quanto non rappresentato in
questa prima schematica descrizione.
È accertato che, sia in sede centrale che in sede periferica, era assai
frequente l’uso di denominazioni ittizie per mascherare verso l’esterno,
verso il mondo «profano», la presenza di strutture massoniche. Così ad
esempio era prassi consueta intitolare a generici Centri studi i contratti
dì aitto per i locali necessari all’attività della loggia; ed è dato rilevare
come gli statuti di tali organismi non contenessero alcun riferimento
alla massoneria e alle attività massoniche nel designare l’oggetto dell’attività dell’ente, salvo poi riscontrare una perfetta identità personale tra
gli iscritti al Centro studi ed i membri della loggia. Nella linea del fenomeno descritto si poneva pertanto il Gelli quando intestava le varie sedi
successivamente occupate dalla Loggia P2 ad un Centro studi di storia contemporanea che fungeva, anche a ini di corrispondenza tra gli
iscritti, da copertura per l’organismo massonico da lui guidato. La tecnica impiegata realizzava una forma di copertura rivolta verso l’esterno,
verso il mondo «profano», accanto alla quale deve essere esaminata una
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
185
seconda forma di copertura rivolta in tutto od in parte all’interno della
stessa organizzazione. Sono stati infatti rinvenuti documenti che fanno
riferimento a logge coperte periferiche, ad una loggia coperta nazionale
numero uno (presso l’organizzazione di Piazza del Gesù), ad un Capitolo
nazionale riservato (presso il Rito scozzese antico ed accettato di Palazzo Giustiniani).
Sono stati inoltre acquisiti registri di appartenenti a logge (piedilista)
nei quali gli iscritti venivano elencati invece che con il proprio nome,
con soprannomi o pseudonimi di copertura. La documentazione in possesso della Commissione, ancorché frammentaria, testimonia in modo
certo un modus procedendi all’interno delle organizzazioni massoniche
improntato a connotazioni di riservatezza volte a salvaguardare le attività degli iscritti, o di alcuni settori, dall’indiscrezione e dall’interessamento non solo degli estranei all’istituzione, ma anche a parte, maggiore o minore, degli stessi ailiati alla comunione. Tale costume di vita
associativa è stato dai massimi responsabili della massoneria rivendicato come una forma di riservatezza propria dell’istituzione, motivata dal
rinvio ai contenuti esoterici che sarebbero propri della dottrina massonica, nonché dal richiamo a situazioni storiche di persecuzione degli afiliati. Ai ini che interessano nella presente relazione, va posto in rilievo
che i fenomeni di copertura indicati erano comunque largamente invalsi
nella vita delle varie famiglie massoniche con riferimento al periodo anteriore alla legge di scioglimento della Loggia P2 e traevano alimento,
oltre che nelle ragioni storiche addotte, largamente superate al presente, nell’assenza di un preciso quadro di riferimento normativo che desse
attuazione alla norma costituzionale in materia di libertà di associazione. È sintomatico peraltro che, posteriormente all’approvazione della
legge di scioglimento della Loggia P2, gli elementi più sensibili della
massoneria si siano posti il problema della ortodossia di tali modelli
organizzativi, risolvendolo nel senso di alcune modiiche statutarie, con
la conseguente soppressione di organismi quali il Capitolo riservato e la
Loggia nazionale coperta numero uno, come avvenuto presso la comunione di Piazza del Gesù.
Accanto alla connotazione della riservatezza altra peculiarità dell’organizzazione massonica generalmente considerata, sulla quale sofermare l’indagine, è quella dello spiccato interessamento delle varie comunità massoniche verso le attività del mondo «profano». Se è pur vero
che uno dei landmarks fondamentali della originaria massoneria inglese, che fungono da pietra miliare per le comunità massoniche di tutto
il mondo, contiene il divieto di occuparsi di questioni politiche, una ab-
186
Dalla P2 alla P4
bondante documentazione in possesso della Commissione dimostra che
l’attività delle logge non è volta soltanto allo studio ed all’approfondimento di questioni esoteriche, ma abbraccia un vasto campo di interessi che trovano il loro momento di uniicazione nella pratica massonica
della solidarietà tra fratelli. La solidarietà esplica la sua funzione per le
attività dell’ailiato nel mondo «profano», giungendo sino all’appoggio
esplicito per i fratelli candidati, formalizzato in circolari tra gli iscritti,
in occasione di consultazioni elettorali. Particolarmente signiicativo al
riguardo è l’esempio di un modello organizzativo veriicato presso la comunione di Piazza del Gesù: le camere tecniche professionali. Si tratta
di organismi settoriali che, su iniziativa e propulsione del centro, raccolgono gli iscritti in ragione della professione esercitata. Viene pertanto
aiancato al modello delle logge, che funzionano su base territoriale ed
interprofessionale, un sistema di raggruppamento degli ailiati parallelo alla struttura delle logge ed organizzato su base nazionale, avente
quale momento uniicativo gli interessi e le attività «profane».
Secondo tale schema troviamo così raggruppati i medici, i professori
universitari e i militari, esempio questo degno di particolare attenzione,
ove si consideri che la relativa «camera» rivestiva carattere di riservatezza. Va peraltro posto in rilievo che una ragione non ultima della pluralità
di famiglie massoniche esistenti va probabilmente ricercata − oltre che
in ragioni dì ordine puramente teorico − in una diversa consonanza di
opinioni e di interessi in materie estranee alle questioni di esclusivo proilo esoterico. La stessa massoneria d’altronde rivendica a proprio merito
l’aver rivestito un ruolo importante in vicende storiche del nostro paese,
anche se, purtroppo, osta ad una esatta valutazione di tali afermazioni
il carattere di riservatezza della istituzione, di cui si è trattato.
Nasce da questa propensione all’intervento nelle attività «profane»
ed in essa trova ragione di esistere, l’istituto tipicamente massonico della «solidarietà» tra gli ailiati, ovvero della mutua assistenza che essi si
garantiscono nell’esercizio delle loro attività professionali e comunque
delle vicende personali estranee alla vita associativa. La solidarietà tra
fratelli rappresenta l’estensione al di fuori della comunione del vincolo
associativo, che viene di tal guisa ad esplicare una eicacia di rilevante
portata e nel contempo di diicile valutazione, attesa la riservatezza
che gli ailiati mantengono nel mondo «profano» sull’esistenza del rapporto di reciproco afratellamento. La solidarietà massonica sanzionata in forma solenne al momento dell’iniziazione, costituisce infatti un
elemento che potrebbe in sé considerarsi non solo legittimo ma perfettamente naturale, poiché appare. logico che individui che dichiarino di
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
187
condividere i medesimi convincimenti morali ed esistenziali in ordine ai
problemi fondamentali dell’uomo si sentano legati da un forte vincolo
che per l’appunto viene chiamato «fraterno».
Quello che induce non poche perplessità nell’osservatore esterno l’accentuata riduzione in termini pratici e concreti di tale afratellamento
e la sua coniugazione con un radicato costume di riservatezza. Non è in
altri termini la solidarietà in sé e per sé considerata a destare legittime
riserve, quanto piuttosto la sua non avvertibilità sociale. Una avvertibilità che tanto più dovrebbe essere consentita quanto più chi ne è protagonista attribuisce ad essa efetti, di immediato rilievo terreno.
In deinitiva e per concludere sembra doversi rilevare il rischio che la
solidarietà massonica, quando si traduca in una occulta agevolazione di
successi personali, possa rendersi incompatibile con non poche regole
della società civile, specie quando tale forma di solidarietà operi all’interno di carriere pubbliche.
Ultima connotazione di ordine generale utile ai nostri ini è la rilevanza dell’aspetto internazionale della massoneria, che si pone come
un contesto di organizzazioni nazionali fortemente legate tra di loro
secondo due schieramenti, che, per quanto concerne l’Europa, possono
identiicarsi in una parte a primazia britannica verso la quale è orientata la comunione di Palazzo Giustiniani, ed una parte di orientamento
cosiddetto latino egemonizzata dalla massoneria francese, alla quale si
ispira la famiglia di Piazza del Gesù. In un più ampio contesto argomentativo si può dire che la massoneria vive sotto l’egida del mondo
anglosassone, nell’ambito del quale il primato attribuito agli inglesi per
motivi di tradizione è confrontato dalla grande potenza organizzativa
della massoneria nord americana.
Ai nostri ini il dato che viene particolarmente in luce è la connessione tra la massoneria statunitense e la comunione di Palazzo Giustiniani. Traccia di questi legami si rinviene nella presenza di tale Frank Gigliotti in momenti particolarmente qualiicati nella storia recente della
comunione di Palazzo Giustiniani.
L’arteice del primo riconoscimento del Grande Oriente da parte della prestigiosa Circoscrizione del Nord degli Usa (il riconoscimento da
parte della Gran Loggia unita di Inghilterra verrà soltanto nel 1982)
fu infatti nel 1947 Frank Gigliotti, già agente della Sezione italiana
dell’Oss dal 1941 al 1945, e quindi agente della Cia.
Più tardi Gigliotti fu presidente del «Comitato di agitazione» costituitosi negli Stati Uniti per rispondere all’appello lanciato dai fratelli del
Grande Oriente impegnati nella contestata opera di riappropriazione
188
Dalla P2 alla P4
della casa massonica di Palazzo Giustiniani coniscata durante il periodo fascista, a seguito dello scioglimento autoritario dell’istituzione. Il
compromesso tra il Grande Oriente e lo Stato italiano, patrocinato dai
fratelli americani, fu siglato il 7 luglio 1960. L’atto di transazione fu sottoscritto dal ministro delle inanze Trabucchi e dall’allora Gran Maestro
Publio Cortini, e vedeva presenti, al tavolo della irma di una stipula
tutta italiana, l’ambasciatore americano, J. Zellerbach, e Frank Gigliotti.
Sempre nel 1960 i fratelli americani intervennero attraverso il Gigliotti nell’operazione di uniicazione del Supremo consiglio della Serenissima Gran Loggia degli degli antichi liberi e accettati muratori
del principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale (il cui nome sarà
legato alle vicende del golpe Borghese, a quelle della Rosa dei Venti,
alle organizzazioni maiose), poi inito nella Loggia P2, con il Grande
Oriente. Sembra che quella dell’uniicazione del Grande Oriente con la
massoneria di Alliata, di forte accentuazione conservatrice, sia stata la
condizione posta da Gigliotti in cambio dell’intervento americano nelle
trattative con il Governo italiano concernenti il Palazzo Giustiniani.
L’uniicazione comportò l’estensione al Grande Oriente del riconoscimento che aveva già dato alla Serenissima Gran Loggia di Alliata la
Circoscrizione Sud degli Usa, nonché numerosi elementi di prestigio
nell’ambiente massonico. Non solo si deve rilevare, secondo quanto
emerge da queste vicende, che il progetto di uniicazione della massoneria italiana sembra corrispondere ad interessi non esclusivamente
autoctoni, ma risalta altresì alla nostra attenzione la comparsa di Gelli sulla scena quando Gigliotti scompare, secondo una successione di
tempi ed una identità di funzioni che non può non colpire signiicativamente. Si deve inine sottolineare come la denegata giustizia − nella
quale sostanzialmente si concretò la mancata restituzione del palazzo
coniscato dal fascismo − ebbe l’efetto di rendere la massoneria italiana
indebitamente debitrice di quella nord americana.
Nell’ambito del quadro sinora sinteticamente tracciato va vista e studiata l’attività di Licio Gelli e della Loggia Propaganda due, mirando ad
accertare quanto di tale fenomeno sia addebitabile all’impulso organizzativo ed alla intraprendenza personale del Gelli, ed in tal caso con la
protezione e l’appoggio di quali organi e di quali personaggi nell’ambito dell’ambiente massonico o eventualmente estranei ad esso. Quanto
qui preme riassuntivamente segnalare è che l’organizzazione e l’attività
massonica sembrano contrassegnate, ai ini che al nostro studio interessano, dall’adozione di forme di riservatezza, interne come esterne,
sia della vita associativa, che dell’appartenenza individuale. Tale riser-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
189
vatezza si appalesa poi come posta a tutela, oltre che dell’attività di indagine esoterica propria dell’istituzione, di attività volte eminentemente ad intervenire in vario modo nella vita extra-associativa degli iscritti,
in applicazione della pratica della solidarietà tra fratelli.
La prima fase della Loggia P2: dal 1965 al 1974
Quando si passi ad esaminare il ruolo ricoperto da Gelli nella massoneria e la portata dell’inluenza da lui esercitata nell’ambito dell’istituzione, e fuori di essa valendosi della sua posizione massonica, il dato
al quale occorre in primo luogo dare adeguato rilievo è quello relativo
alla data relativamente recente della sua militanza massonica. Il Gelli
infatti, personaggio che domina la scena massonica dalla ine degli anni
sessanta sino all’inizio degli anni ottanta, entra in massoneria solo nel
1965 e apparentemente non senza contrasti, poiché la sua domanda di
ammissione viene fermata per un anno prima di essere messa in votazione. Ma già l’anno successivo il Gran Maestro aggiunto, Roberto Ascarelli, segnala Licio Gelli al Gran Maestro, Giordano Gamberini, raccomandandolo come elemento in grado di portare un contributo notevole
all’istituzione, in termini di proselitismo di persone qualiicate. È così
che il Gelli, ancora fermo al primo grado della gerarchia (apprendista),
viene prima cooptato dalla originaria loggia Romagnosi alla loggia riservata Hod che fa capo allo stesso Ascarelli − con un provvedimento di
avocazione del fascicolo personale preso direttamente dal Gran Maestro
Gamberini − per essere quindi nominato nel 1971 segretario organizzativo della Loggia Propaganda che diventa «Raggruppamento Gelli-P2».
Se il procedimento di cooptazione è, come prima rilevato, tipico della
organizzazione massonica, bisogna pertanto constatare che esso funziona, nel caso di Gelli, in modo particolarmente accelerato, poiché successivamente al primo trasferimento ricordato, già di per sé anomalo, il
Gelli appare già nel 1969 investito di delicate mansioni che concernono
questioni di massimo rilievo per l’intera comunità massonica nazionale.
Pur senza infatti rivestire alcuna carica uiciale nel vertice di Palazzo
Giustiniani, il Gelli nel 1969 ha l’incarico, secondo un documento in
possesso della Commissione, di operare per la uniicazione delle varie comunità massoniche, secondo l’indirizzo ecumenico proprio della
Gran Maestranza di Gamberini, che operava sia per la riuniicazione con
la comunione di Piazza del Gesù, sia per far cadere le preclusioni esistenti con il mondo cattolico.
190
Dalla P2 alla P4
Licio Gelli quindi, a pochi anni dal suo ingresso in massoneria, appare
ricoprire un ruolo di rilievo, d’intesa con il vertice dell’Istituzione ed in
modo del tutto personale, sia per la portata delle questioni aidate alla
sua gestione, sia per la posizione afatto speciale che gli viene attribuita.
La posizione di preminenza assunta con rapida ascesa da Licio Gelli
nella comunione di Palazzo Giustiniani non è in realtà spiegabile se non
attraverso l’analisi dei rapporti che questi riuscì ad intrattenere con i
dirigenti dell’organizzazione ed in particolare con i gran maestri, a cominciare dal Gamberini, che patrocinò l’ascesa iniziale di Gelli, in sintonia con il Gran Maestro aggiunto Roberto Ascarelli. Terminata la Gran
Maestranza del Gamberini nel 1970, a questi succedeva, all’insegna della continuità, il medico iorentino Lino Salvini, il quale provvedeva a
ritagliare al predecessore un proprio spazio di inluenza, aidandogli
l’incarico retribuito di sovrintendere alle pubblicazioni della comunione, nonché quello di tenere i rapporti con le massonerie estere e, secondo vari testimoni, con la Cia. Di fatto quindi il Gamberini veniva ad
assumere il ruolo di plenipotenziario per i contatti internazionali del
Grande Oriente conservando nell’istituzione una posizione di personale prestigio e inluenza, che gli avrebbe consentito di traversare indenne, a diferenza del suo successore Salvini, le vicende burrascose e
le aspre polemiche, spesso poco «fraterne», che contrassegnano la vita
della comunità negli anni settanta. Sarà comunque il Gamberini, all’uopo retribuito dal Gelli, a presenziare, nella sua qualità di Gran Maestro,
alle iniziazioni che si tenevano presso l’hotel Excelsior ed è ancora il
Gamberini che − secondo un documento in possesso della Commissione
(debitamente periziato) − provvede a redigere la minuta della lettera
con la quale il Salvini eleva nel 1975 il Gelli alla dignità di Maestro Venerabile; un documento, questo, che getta una luce invero rivelatrice
sulla natura dei rapporti che correvano tra Gelli e la Gran Maestranza,
quale ne fosse il titolare, palesando una continuità di indirizzo per la
quale è legittimo chiedersi quali radicate motivazioni essa avesse e quali
ambienti ne fossero la reale fonte ispiratrice. Non meno stretti sono peraltro i rapporti di Gelli con il Gran Maestro Salvini che egli dichiarava,
agli inizi degli anni settanta, di poter distruggere in qualsiasi momento.
A testimonianza del legame non certo limpido tra i due personaggi vale
a tal ine ricordare l’attacco che il Gelli, manovrando dietro le quinte,
fece portare da Martino Giufrida al Gran Maestro nel corso della Gran
Loggia di Roma (1975). L’operazione sostanziata da una serie di precise
accuse sul piano della correttezza e moralità personali, venne fatta cadere solo dopo un incontro riservato tra il Gelli ed il Salvini, intervenuto
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
191
a seguito della mediazione dell’onnipresente Gamberini. Quanto inine
ai rapporti con il successore del Salvini, generale Battelli, basti qui ricordare i documenti − in possesso della Commissione − che riportano le dichiarazioni scritte di testimoni, secondo le quali il Battelli ed il suo Gran
segretario, Spartaco Mennini, erano inanziati dal Gelli per le spese di
campagna elettorale, oltre che regolarmente retribuiti.
In questa cornice di rapporti, che si svolgono sotto il segno della prevaricazione e della compromissione reciproche, vanno inquadrate la
carriera massonica di Licio Gelli e lo sviluppo della Loggia Propaganda
due, l’una e l’altra strettamente connesse, poiché vedremo che non solo
la presenza e l’opera di Licio Gelli nella massoneria si risolvono sostanzialmente nella sua gestione della Loggia P2, ma altresì che l’organizzazione e la consistenza di questa seguono di pari passo la storia personale del suo Venerabile maestro e le vicende che lo vedono protagonista,
al di dentro come al di fuori della istituzione. La costante relazione tra
il personaggio e l’organismo a lui aidato, che viene alla ine a risolversi
in una sostanziale identiicazione, costituisce non solo, come vedremo,
un valido strumento interpretativo ma si pone altresì come fonte di preziose considerazioni in sede conclusiva.
Il punto di partenza di questa duplice vicenda, dopo i prodromi
descritti, va issato con l’inizio della Gran Maestranza di Lino Salvini
(1970), il quale, tre mesi dopo la sua elezione, delegava al Gelli «la gestione» della Loggia P2, conferendogli altresì la facoltà di iniziare nuovi
iscritti. Provvedimento questo del tutto inusitato nell’istituzione massonica, essendo il potere di iniziazione, a norma degli statuti, esclusivamente riservato al Gran Maestro e ai Maestri Venerabili, o in caso di
loro impedimento, a chi già aveva ricoperto tali cariche.
Nel settembre dell’anno successivo il Salvini provvedeva quindi a
nominare Licio Gelli «segretario organizzativo della Loggia P2», incaricandolo di «voler predisporre uno studio per la ristrutturazione della
stessa»; ed a tal proposito è interessante rilevare che, pochi mesi dopo
(19 novembre 1971), Salvini si esprime, in una lettera a Gelli, nei termini seguenti: «prima che le cose entrino in funzione, avremo un faticoso
lavoro di assestamento per i residui della passata gestione».
I dati esposti si prestano ad alcune osservazioni di rilievo non secondario. È d’uopo innanzi tutto osservare che la carica di segretario
organizzativo non è compresa in alcun modo tra quelle componenti il
«Consiglio delle luci» (dirigenti della loggia) ed è appositamente escogitata da Salvini per attribuire un incarico iduciario e personale a Licio
Gelli nell’ambito dell’organismo che, da quel momento, assume conno-
192
Dalla P2 alla P4
tati di spiccata personalizzazione anche nella denominazione, che diviene quella di «Raggruppamento Gelli − P2».
Assistiamo, in buona sostanza, con le iniziative esposte al concreto
inserimento di Gelli nella Loggia P2; ed è interessante notare come esso
si accompagni ad una prima ristrutturazione dell’organizzazione, realizzata al di fuori dell’ortodossia statutaria. È questo il primo esempio
concreto, secondo il rilievo esposto in premessa, del peculiare incardinamento di Licio Gelli nella Loggia Propaganda e della circostanza che
esso si accompagna immediatamente ad un intervento che incide non
marginalmente nelle strutture e nella natura stessa della loggia.
Va in proposito sottolineato come questa operazione contrassegni
la Gran Maestranza del Salvini sin dal suo primo esordio; ed appare
signiicativo come lo spiccato interesse del nuovo Gran Maestro verso
i «fratelli coperti» non si esaurisca con l’adozione dei provvedimenti
studiati, poiché, nel 1971, il Gran Maestro irma la bolla di fondazione
di un’altra organizzazione coperta, la loggia P1, che nelle intenzioni
del Salvini doveva essere ancor più segreta ed elitaria: di essa infatti
avrebbero potuto far parte solo coloro che nell’amministrazione dello
Stato avessero raggiunto il grado quinto. Criterio, questo, di proselitismo suicientemente rivelatore della reale natura di questi organismi.
Non è dato allo stato attuale della documentazione esprimere un avviso deinitivo sull’esistenza di questa organizzazione, ma quello che
più conta è rilevare che nel mentre Salvini dava avvio ad un processo di
sostanziale spossessamento da parte del Grande Oriente della Loggia
Propaganda, tentava di costituire o meglio ricostituire nell’ambito della comunione una struttura analoga a quella che aveva ceduto in delega
a Licio Gelli.
Il senso dell’operazione appare ancor più chiaro quando si pensi che
pochi mesi dopo il provvedimento concernente la Loggia Propaganda uno il Salvini aveva, durante una seduta della Giunta esecutiva del
Grande Oriente, esternato le sue crescenti preoccupazioni per quanto
stava accadendo nella Loggia P2, per il gran numero di generali e colonnelli aidati ad un uomo come Licio Gelli, che, a detta del Gran Maestro,
stava preparando un colpo di Stato.
A completare il quadro descritto va ricordato che sempre nel luglio
del 1971 Gelli aveva afermato, di fronte a Benedetti e Gamberini, di
avere «la possibilità di girare l’interruttore e di rovinarlo» (Salvini) − vedremo in seguito la conseguenza di questo episodio − e va inine rilevato
che Gelli pervenne ad entrare nel progetto salviniano della loggia P1,
facendosi in essa riconoscere l’incarico di Primo sorvegliante.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
193
Il complesso dei dati oferti all’attenzione e le vicende che attraverso
essi si dipanano consentono al relatore di fornire un quadro abbastanza
preciso dei rapporti che sin dall’inizio si instaurano tra Licio Gelli e Lino
Salvini e, tramite questi, tra Licio Gelli e il Grande Oriente. Grazie al
successore di Giordano Gamberini, Gelli compie infatti un sostanziale
secondo passo in avanti nella comunione giustinianca, che gli consente
questa volta, dopo i primi progressi iniziali dianzi esaminati, di entrare direttamente in armi nel cuore più riposto dell’istituzione, la Loggia
Propaganda, dando avvio ad un processo di appropriazione personale
della sua più tutelata ed eiciente struttura di intervento nel «mondo
profano». In realtà il carteggio Ascarelli-Gamberini ci mostra che Gelli
non solo aveva avallato il proprio ingresso in massoneria ed il suo successivo passaggio alla Loggia P2 dimostrandosi in grado di avvicinare
e reclutare «gente qualiicata» (cfr. lettera dell’11 agosto 1966), ma altresì di avere sin dall’inizio piani precisi di ampia portata in materia di
organizzazione delle strutture massoniche. La rapida ascesa, agevolata
dal Gamberini, porta Gelli, nel giro di pochi anni e attraverso posizioni
di rilievo strategico, a pervenire al centro della comunione di Palazzo
Giustiniani e vede come esito conclusivo di questa prima fase il provvedimento ricordato con il quale il Salvini delega al Gelli la funzione di
«rappresentarmi presso i Fratelli che ti ho aidato, prendere contatto
con essi, esigere le quote di capitazione, coordinare i lavori, iniziare i
profani ai quali è stato rilasciato regolare brevetto».
Una delega di poteri di così vasta portata illumina meglio di ogni
altra considerazione la posizione afatto speciale che Licio Gelli viene
ad occupare nella massoneria, per consapevole volontà dei massimi responsabili della comunione, i quali, attraverso successivi provvedimenti, consegnano la Loggia Propaganda ad un elemento che dimostra sin
dagli esordi di avere idee ben precise sull’impiego al quale si può pervenire di uno strumento di tal fatta.
La Loggia Propaganda è in questa prima fase un organismo contrassegnato da una connotazione di accentuata riservatezza che conina
(se non probabilmente rientra) con una situazione di vera e propria
segretezza. Licio Gelli non solo procede ad accentuare tali caratteristiche − come si evince dalla circolare 20 settembre 1972 nella quale viene
data notizia che «con l’elaborazione degli schedari in codice, è stata ultimata l’organizzazione della nuova impostazione, adeguandola alle più
recenti esigenze» − ma soprattutto dà all’organizzazione un nuovo impulso di attività. Così nel medesimo testo è dato leggere: «Nonostante
il nostro Statuto non preveda riunioni, a seguito di sollecitazioni perve-
194
Dalla P2 alla P4
nute è stato disposto un calendario di incontri fra elementi appartenenti allo stesso settore di attività».
Un’azione questa di vasto respiro che il Gelli porta avanti in piena intesa con la Gran Maestranza del Grande Oriente, come ci dimostra a sua
volta la circolare (cfr. Circolare in data 11 dicembre 1972) con la quale
Lino Salvini comunica agli iscritti: «Sono lieto di informarti che la P2 è
stata adeguatamente ristrutturata in base alle esigenze del momento
oltre che per renderla più funzionale, anche, e soprattutto, per raforzare ancor più il segreto di copertura indispensabile per proteggere tutti
coloro che per determinati motivi particolari, inerenti al loro stato, devono restare occulti. Se ino ad oggi non è stato possibile incontrarci
nei luoghi di lavoro, con questa ristrutturazione avremo la possibilità
ed il piacere, nel prossimo futuro, di avere incontri più frequenti, per
discutere non solo dei vari problemi di carattere sociale ed economico
che interessano i nostri Fratelli, ma anche di quelli che riguardano tutta
la società».
La Commissione ha agli atti il verbale di una di queste riunioni. Da
essa ci è dato apprendere: vanno annoverati «la situazione politica ed
economica dell’Italia, la minaccia del Partito comunista italiano, in
accordo con il clericalismo, volta alla conquista del potere, la carenza
di potere delle forze dell’ordine, il dilagare del malcostume, della sregolatezza e di tutti i più deteriori aspetti della moralità e del civismo,
la nostra posizione in caso di ascesa al potere dei clerico-comunisti, i
rapporti con lo Stato italiano». Inviando il verbale della riunione agli
iscritti che ad essa non avevano potuto prendere parte, Licio Gelli così
si esprime: «Come potrai osservare, la ilosoia è stata messa al bando,
ma abbiamo ritenuto, come riteniamo, di dover afrontare solo argomenti solidi e concreti che interessano la vita nazionale»; ed aggiungeva: «Molti hanno chiesto − e non ci è stato possibile dar loro nessuna
risposta perché non ne avevamo − come dovremmo comportarci se un
mattino, al risveglio, trovassimo i clerico-comunisti che si fossero impadroniti del potere: se chiuderci dentro una passiva acquiescenza, oppure
assumere determinate posizioni ed in base a quali piani di emergenza».
Un’altra circostanza di estremo interesse al ine di valutare il clima
politico della Loggia P2 in questa sua prima fase organizzativa − e la
natura dell’attività attraverso essa condotta da Licio Gelli − è la testimonianza di una riunione tenuta presso il domicilio aretino del Gelli
(Villa Wanda) nel 1973. Partecipano a tale riunione il generale Palumbo,
comandante la divisione carabinieri Pastrengo di Milano, il suo aiutante
colonnello Calabrese, il generale Picchiotti, comandante la divisione ca-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
195
rabinieri di Roma, il generale Bittoni, comandante la brigata carabinieri
di Firenze, l’allora colonnello Musumeci, il dottor Carmelo Spagnuolo,
procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma. Licio Gelli si rivolse agli astanti, afermando che la situazione politica era molto incerta; esortandoli a tenere presente che la massoneria, anche di altri Stati,
è contro qualsiasi dittatura di destra e di sinistra e che la Loggia P2
doveva appoggiare in qualsiasi circostanza un governo di centro, il Venerabile invitava inine i presenti ad operare a tal ine con i mezzi a loro
disposizione e pertanto a ripetere il discorso ai comandanti di brigata e
di legione alle loro dipendenze. In questo contesto di discorsi fu altresì
ventilata l’ipotesi di un governo presieduto da Carmelo Spagnuolo, sulla
quale, come sull’intero episodio, ci si sofermerà più difusamente in
seguito. Altra riunione della quale è di un certo interesse, ai nostri ini,
fare menzione è quella tenuta il 29 dicembre 1972, presso l’hotel Baglioni di Firenze, dallo stato maggiore della Loggia P2. Dal verbale agli
atti della Commissione, si evidenzia un’intensa attività organizzativa e
di solidarietà, la previsione di una articolazione in «gruppi di lavoro atti
a seguire situazioni e problemi attinenti alle varie discipline di interessi», la proposta dell’invio «ad alcuni Fratelli di una lettera in cui si chiede
di voler fornire quelle notizie di cui possano venire a conoscenza e la
cui difusione ritengano possa tornare utile… le notizie raccolte, previo
esame di un non precisato “comitato di esperti” dovrebbero essere poi
passate all’agenzia di stampa O.P.».
Tale ultima proposta non venne accettata per la decisa opposizione
del generale Rosseti, uscito poi dalla Loggia P2 in aperta polemica con
Licio Gelli.
I dati proposti all’attenzione ed i documenti relativi consentono alla
Commissione di delineare in termini suicientemente deiniti il quadro di intenti e di attività entro il quale si muove la Loggia P2 durante
questa prima fase di espansone. Ci ritroviamo di fronte ad un’organizzazione caratterizzata da una forma di riservatezza − innestata con connotati accentuativi nell’ambito della riservatezza rivendicata come propria dalla comunione di Palazzo Giustiniani − che evolve verso forme di
indubbia segretezza quale certamente denotano l’adozione di appositi
codici per gli iscritti nonché di un nome di copertura, «Centro studi di
storia contemporanea», per indicare l’organismo. La loggia si muove comunque ancora nell’ambito della tradizione massonica e conserva sostanziali legami strutturali ed operativi con l’istituzione che ad essa ha
dato origine. Ne sono testimonianza la presenza di un forte numero di
militari − a due di essi, De Santis e Rosseti, sono tra l’altro assegnate
196
Dalla P2 alla P4
le funzioni di segretario amministrativo e di tesoriere − che s’inquadra nella tradizionale propensione della massoneria verso tali ambienti,
nonché il ruolo ancora centrale del Gran Maestro nella gestione della
loggia, pur se esercitato in condominio con il personaggio emergente
che all’organismo ha dato nuovo impulso: il segretario organizzativo
Licio Gelli.
Quello che appare invece afatto nuova è l’accentuata connotazione
politica dell’organizzazione, che, sotto il proilo operativo, si rivela come
in tutto dedita alla gestione e all’intervento nelle attività «profane» inquadrate nell’ambito di una ben deinita connotazione politica e gestite
ad un livello di impegnativo rilievo. A tal proposito è di primario interesse rilevare che la Loggia P2, formalmente e sostanzialmente strutturata come loggia massonica, non conduce peraltro nessuna attività
di tipo rituale, quale correntemente esplicata dalle logge massoniche;
la vita della loggia infatti, «messa al bando la ilosoia», si palesa del
tutto incentrata nella gestione della solidarietà tra ailiati e, in un più
ampio contesto, nell’attenzione rivolta alle vicende politiche del Paese.
Il progetto politico sottostante a tale contesto organizzativo potrebbe
apparire informato ad una generica visione di stampo conservatore, di
per sé non particolarmente allarmante e perfettamente lecita, se non
fosse accompagnata da due elementi meritevoli di particolare attenzione. Il primo è rilevabile nella posizione di rilievo assunta nella vita della
loggia da elementi di spicco della gerarchia militare, che divengono così
destinatari dei discorsi politicamente contraddistinti in modo univoco
tenuti nelle riunioni di loggia, secondo quanto ci documenta la riunione
tenuta ad Arezzo nel 1973: un dato questo che impone di prestare la
dovuta attenzione a quelle che altrimenti potrebbero essere considerate
banalità prive di concreto valore politico.
La seconda osservazione è relativa alla connotazione marcatamente antisistematica della loggia, i cui ailiati svolgono un discorso che
denuncia una posizione di critica generalizzata nei confronti di tutto
il sistema politico, sbrigativamente identiicato nella formula clericocomunista, e delle soluzioni legislative che da esso promanano nei più
vari campi: dalla magistratura alla politica sindacale, dalla riforma dei
codici alla riforma scolastica, che, si legge sempre nel documento citato,
avrebbe dovuto essere preceduta da un piano di riforme elaborato «non
da politici, ma da tecnici».
Lo sviluppo della Loggia Propaganda nell’ambito della comunione di
Palazzo Giustiniani, secondo le linee tracciate, non mancò peraltro di
provocare ripercussioni all’interno della famiglia, poiché le iniziative
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
197
di Salvini determinarono, sin dal primo momento, la reazione di un
gruppo di dissidenti interni che sotto le insegne della denominazione:
«massoni democratici», raccolse la parte politicamente meno retriva
della comunione giustinianea, conducendo una serrata battaglia contro la coppia Gelli-Salvini. Questo gruppo esercitò una notevole inluenza nel portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti e trame
destinati altrimenti a restare ignoti, grazie alla copertura fornita dai
vertici di Palazzo Giustiniani, anche se non è del tutto chiaro il senso
dell’operazione, poiché alcuni almeno degli oppositori di Gelli ne conoscevano i trascorsi fascisti sin dal momento del suo ingresso in massoneria, che peraltro non vollero o non poterono contrastare in modo
risolutivo. I cosiddetti «massoni democratici» si fecero promotori di
due iniziative di portata uiciale nell’ambito massonico, decisamente
avverse alla gestione Gelli: la prima era incentrata in una tavola di accusa irmata da Ferdinando Accomero, membro della Giunta esecutiva del Grande Oriente. Il documento era relativo alle afermazioni del
Gelli sul suo potere di ricatto nei confronti del Gran Maestro Salvini,
nonché alle attività di Gelli a danno dei partigiani, durante la guerra di
liberazione. Il Salvini decise per un sostanziale non luogo a procedere,
non ritenendo colpa massonica i fatti addebitati e disponendo che gli
atti del procedimento restassero nell’archivio personale del Gran Maestro. La seconda iniziativa si sostanziò nella denuncia del «caso Gelli»,
efettuata dal Grande oratore, Ermenegildo Benedetti, nel corso di uno
dei momenti più signiicativi della vita dell’istituzione: la Gran Loggia
ordinaria (1973).
Anche questa seconda operazione non condusse peraltro a nessuna
conseguenza immediata, rimanendo priva di eco nella comunione la denuncia efettuata in una occasione particolarmente solenne da colui che
ne era pur sempre uno dei massimi dignitari.
Il punto che a tale proposito è da valorizzare è che mentre la requisitoria di Benedetti non sortì efetto alcuno, ci è dato constatare che,
nell’anno seguente (1974), il Grande Oriente delibera di prendere le distanze dalla Loggia P2 e dal suo capo, Licio Gelli. Sul rilievo politico che
quell’anno assume nella nostra storia ci si sofermerà più difusamente
in seguito, ma rileviamo per il momento che in un anno che vede giungere al suo apice quella che fu deinita la strategia della tensione, con
gli episodi dell’Italicus e di Piazza della Loggia, Lino Salvini conida al
confratello Sambuco di ritenere opportuno non allontanarsi per l’estate
da Firenze perché è stato informato da Gelli sull’eventualità di possibili
soluzioni politiche di tipo autoritario.
198
Dalla P2 alla P4
Non si può per il momento non sottolineare, salvo l’approfondimento successivo, che è proprio a chiusura di una fase politica così travagliata e di un anno così denso di eventi eccezionali che i Maestri Venerabili riuniti nella Gran Loggia di Napoli decretano la «demolizione»
della Loggia P2. Come questo voto rimarrà disatteso nella sostanza, è
materia che verrà studiata nella sezione successiva; l’elemento di grande
interesse è la coincidenza riscontrabile tra eventi di così grave rilievo
politico ed il manifestarsi di una precisa volontà da parte dei rappresentanti più qualiicati del «popolo massonico» di sbarazzarsi di Licio
Gelli, la cui presenza era ormai avvertita, anche all’interno di Palazzo
Giustiniani, come un peso ingombrante, per le sue collusioni con eventi
politici di segno inquietante.
Il voto della Gran Loggia di Napoli denuncia, al di là di ogni dubbio,
da un lato la efettiva consistenza dei rapporti equivoci di Gelli e della
sua loggia con ambienti e situazioni fuori della legalità politica, che verranno in seguito analizzati difusamente, dall’altro che tale realtà non
era ignota all’interno della famiglia giustinianea, secondo una conoscenza che certamente coinvolgeva in maggiore misura i vertici della comunità, ma che era comunque suiciente a rendere avvertito il «popolo
massonico» dei pericoli cui la «famiglia» poteva andare incontro per il
peso che in essa aveva acquistato il Venerabile maestro della Loggia P2.
La seconda fase della Loggia P2: dal 1974 al 1981
Gli anni che corrono dal 1975 al 1981 segnano il periodo cruciale
nella storia della Loggia P2 per le vicende che essa attraversa sia all’interno della massoneria che al di fuori di essa. Per la comprensione di tali
avvenimenti vanno premesse alcune considerazioni di ordine generale
senza le quali risulta diicile la lettura dell’ampia documentazione in
possesso della Commissione.
Si deve in primo luogo ricordare che è proprio in questi anni che va
posto il culmine di espansione della loggia; sono questi anni nei quali,
sia in termini quantitativi che in termini qualitativi, l’attività di proselitismo del Gelli perviene a dimensioni che trascendono di gran lunga
la portata ridotta della antica Loggia Propaganda, tradizionalmente
conosciuta dal Grande Oriente. Salvo quanto in seguito si dirà sulla reale consistenza della associazione, il numero degli ailiati arriva a rappresentare comunque una quota oscillante tra il 10 e il 20 per cento
dell’intero organico degli iscritti attivi al Grande Oriente. Ben si intende
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
199
quindi come questo fenomeno trascenda ampiamente la ristretta cerchia di «casi di coscienza» che, secondo l’espressione del Gamberini, giustiicava la creazione di una loggia riservata. Ancor più rilevanti sono i
risultati ai quali si perviene sotto il proilo qualitativo delle adesioni, tra
le quali si annoverano igure eminenti in campo nazionale nei settori
della pubblica amministrazione, sia civile che militare, dell’economia,
dell’editoria ed inine del mondo politico.
Altra considerazione, dalla quale non si può prescindere, è quella relativa al graduale venire a conoscenza presso l’opinione pubblica dell’esistenza del personaggio Gelli e della sua organizzazione, che vengono
posti all’attenzione, con connotati non rassicuranti, da parte di organi
di stampa qualiicati, i quali, pur nella approssimatività delle informazioni, sottolineano la pericolosità del fenomeno ed il suo collegamento
con attività illecite, di criminalità sia comune che politica.
Non va inine scordato che sono questi gli anni contrassegnati da
una fase politica di estremo interesse che segue ai risultati elettorali del
1976 e dal nuovo ruolo che, in conseguenza di essi, assume il partito
comunista nel quadro politico nazionale: è quindi entro queste coordinate di riferimento, sia interne che esterne alla massoneria, che vanno
studiati lo sviluppo e l’assetto della Loggia P2 e le vicende di Licio Gelli.
Il punto di partenza è costituito dalla Gran Loggia di Napoli del dicembre 1974 quando i Maestri Venerabili del Grande Oriente votano
quasi all’unanimità la «demolizione» della Loggia Propaganda. In esecuzione di tale deliberato il Gran Maestro Salvini decreta (30 dicembre
1974) la abrogazione dei regolamenti particolari governanti attualmente la Risp. Loggia P2 e le deleghe e norme organizzative ed amministrative da essi derivanti». Il Salvini chiedeva altresì ai fratelli coperti
se intendessero mantenere tale posizione, rivelando in tal modo che la
vera inalità dell’operazione era quella di mantenere in vita la Loggia P2,
espellendone peraltro Licio Gelli.
Interviene in tale momento la vicenda della Gran Loggia all’hotel Hilton, sopra ricordata, con gli attacchi portati al Salvini e poi ritirati e il
nuovo accordo Gelli-Salvini, garantito dal Gamberini; sta di fatto che
subito dopo tali eventi, in data 12 maggio 1975, il Salvini decreta la
ricostituzione della Loggia P2, stabilendo, tra l’altro, che essa «non apparterrà per il momento, a nessun Collegio Circoscrizionale dei Maestri
Venerabili e sarà ispezionata dal Gran Maestro o da un suo Delegato».
La nuova Loggia P2 ha un piè di lista uiciale dal quale si rileva che di
esso fanno parte sette fratelli: pochi giorni dopo il Salvini, con procedura del tutto anomala, eleva il Gelli alla carica di Maestro Venerabile
«
200
Dalla P2 alla P4
della ricostituita loggia. Le minute, sia del decreto di ricostituzione, sia
della lettera di nomina, come già accennato, irmati dal Salvini, sono di
pugno del sempre presente Gamberini, nume tutelare della vita massonica di Licio Gelli.
Al tirar delle somme si constata quindi che questa prima fase si apre
con la presa di posizione di Maestri Venerabili che votano la eliminazione dal corpo massonico della Loggia Propaganda per chiudersi con
una sua ristrutturazione il cui efetto sostanziale è quello di rendere
ancora più riservata l’organizzazione che ha adesso un piè di lista uiciale, mentre come precisa il Gelli scrivendo al Gran Maestro «rimane
inteso che detta loggia avrà giurisdizione nazionale ed i fratelli, per la
loro personale situazione, non dovranno essere immessi nella anagrafe
del Grande Oriente».
A questa prima ristrutturazione doveva seguirne nel giro di un anno
una ancor più radicale.
Accadeva infatti nel frattempo che il Gelli e la Loggia Propaganda venivano a trovarsi al centro di campagne di stampa di ampia risonanza
che mettevano gli ambienti della loggia in contatto con eventi di malavita, quali i sequestri di persona, e con ambienti dichiaratamente di destra.
Si vedano al proposito sia le disavventure giudiziarie dell’avvocato Minghelli, compreso nel citato piè di lista uiciale, arrestato per riciclaggio
di denaro proveniente dai sequestri, sia gli articoli apparsi su l’Unità e su
altri quotidiani che ponevano in relazione Gelli e Saccucci e la lettera di
smentita che Gelli invia al quotidiano nel maggio del 1976, dopo essersi
fatto rilasciare da Italo Carobbi un terzo certiicato di benemerenza partigiana. Gelli e la sua loggia costituiscono sempre più un peso non facilmente tollerabile per una organizzazione come il Grande Oriente, mentre nel contempo possono ormai dirsi ben lontani i tempi dell’assoluta
ignoranza e disattenzione presso l’opinione pubblica nei confronti della
massoneria e nelle sue vicende organizzative interne. È lo stesso Gelli a
chiedere allora l’inusitato provvedimento, non contemplato dagli statuti
e dalla pratica massonica, della sospensione dei lavori della Loggia P2: la
domanda viene accolta (26 luglio 1976) con la concessione della sospensione dei lavori a tempo indeterminato». Ma la cautela della Gran Maestranza del Grande Oriente va oltre provvedendo ad una più radicale,
sterilizzazione amministrativa della ingombrante igura del Gelli al quale
viene comminata la sospensione dall’attività massonica per tre anni.
Nell’autunno del 1976 viene infatti incardinato un procedimento
massonico a carico di Gelli e di vari altri personaggi per i fatti relativi
alla Gran Loggia di Roma tenuta un anno e mezzo prima.
«
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
201
Questa vicenda giudiziaria massonica merita una attenzione particolare, infatti è doveroso ricordare che i processi massonici a carico di Gelli
erano due: oltre a quello già citato, era stato instaurato presso il Tribunale del Collegio Circoscrizionale Lazio-Abruzzo un processo massonico
per le ormai pubblicamente note e sospettate collusioni tra Loggia P2,
eversione nera e anonima sequestri. L’azione del Grande Oriente in tale
congiuntura fu quella di avocare presso la Corte centrale − superando le
vive resistenze dell’organo periferico che gli atti ampiamente documentano − questo processo di ben più grave contenuto e di uniicarlo a quello
relativo alle ofese al Gran Maestro; a questo contesto procedimentale
vennero altresì annessi i processi relativi ai cosiddetti «massoni democratici», anche in questo caso espropriandone il Collegio Circoscrizionale, dopo una contrastata ulteriore procedura di avocazione.
Il risultato inale di questa complessa operazione fu il seguente:
- il primo processo a carico di Gelli, relativo a sole vicende massoniche, si concluse con la censura solenne per le ofese al Gran
Maestro;
- l’altro processo, relativo a situazioni di grave rilievo esterno,
scomparve, perché di esso non vi è traccia nella sentenza;
- il processo a carico del gruppo dei «massoni democratici»,
anch’esso avocato, si concluse con l’espulsione dall’Ordine di Siniscalchi, Bricchi, eccetera.
Il senso dell’operazione appare chiaro quando si consideri che il processo che portò alla censura di Gelli fu incardinato dopo più di un anno
dall’episodio che ne costituiva il presupposto – concludendosi poi nel
giro di due soli mesi − evidentemente all’esclusivo scopo di creare in
sede centrale il presupposto processuale per le avocazioni del grave e
più compromettente processo a carico di Gelli, instaurato in sede circoscrizionale, e del processo, sempre in tale sede avviato, a carico dei
cosiddetti «massoni democratici».
L’esito della sentenza conferma l’interpretazione proposta, quando si
consideri che Gelli venne subito dopo graziato dal Salvini, con un provvedimento interno al quale non venne peraltro data pubblicità alcuna.
Non si può non sottolineare a tale proposito che questa sottile strategia giudiziaria è imputabile in modo esclusivo alla sede centrale del
Grande Oriente e che fu attuata solo superando le vivaci resistenze della
sede circoscrizionale, con palesi violazioni degli statuti massonici. Ma
il risultato ancor più rilevante è che la sospensione del Gelli comportava, come abbiamo detto, la sospensione per tre anni, poneva cioè una
202
Dalla P2 alla P4
certa distanza di sicurezza tra il Venerabile ed il Grande Oriente, ma
solo nell’apparenza delle cose perché noi sappiamo che nella sostanza
l’intreccio Salvini-Gelli-Gamberini continuava come sempre ad operare,
pur tra i noti contrasti, nella stessa immutata direzione di sostegno e di
incentivazione dell’operazione piduista. A stretto rigore di ortodossia
statutaria si dovrebbe comunque fermare la storia massonica della Loggia P2 al termine del 1976.
È a tale artiiciosa situazione procedurale che evidentemente si fa riferimento quando si aferma che la Loggia Propaganda 2 altro non è
che un gruppo privato del Gelli da questi organizzato all’insaputa del
Grande Oriente, attivata valendosi abusivamente delle insegne di questo: tale assunto sarebbe comunque valido limitatamente al periodo di
sospensione citato, che decorre dal luglio 1976, ma in realtà anche in
tale più circoscritta accezione questa tesi non può essere accettata.
Ostano infatti a tale interpretazione alcune circostanze che risultano
provate da atti in possesso della Commissione.
In primo luogo il 20 marzo 1979 il Gelli scrive al nuovo Gran Maestro, Ennio Battelli, quanto segue: «In relazione a quanto concordato in
data 14 febbraio 1975 con il Tuo illustre predecessore, mi pregio confermare che i nominativi al vertice del R.s.a.a. (cfr. Rito scozzese antico
ed accettato) non appariranno “nel piè di lista” del R.L. Propaganda 2
(P2) all’Oriente di Roma. Resta ben inteso che della R.L. continuerà ad
avere giurisdizione nazionale ed i Fratelli non potranno essere immessi
nell’anagrafe del G.O., mentre le capitazioni saranno da me pagate».
Si noti in tale documento il richiamo alla lettera del 14 febbraio 1975
sopra citata, che denota una continuità mai interrotta di rapporti tra il
Grande Oriente e la Loggia P2 e denuncia in maniera inequivocabile la
natura ittizia e strumentale del piè di lista uiciale.
Altrettanto esplicito è il signiicato della seguente lettera inviata da
Lino Salvini a Licio Gelli in data 15 aprile 1977: «Ti delego ai rapporti
con i FFr. inailiati, ossia a quei FFr. che non risultano iscritti ai ruoli,
né delle Logge come membri attivi né del Grande Oriente come membri
non ailiati.
Sono dunque i FFr., nella tradizione massonica italiana chiamati
Massoni a memoria, quelli di cui dovrai curare i contatti, ai ini di perfezionarne la vocazione e la preparazione massonica.
Per efetto di tale delega, risponderai soltanto a me per quanto farai
a tale scopo, promuovendo e sollecitando quelle realtà che Tu stesso
reputerai di interesse e di utilità per la Massoneria.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
203
Sono sicuro che Tu svolgerai questo importante ruolo con l’animo intrepido che hai rivelato di fronte ai proditori attacchi dei traditori della
Istituzione».
In terzo luogo è provato che sia il Salvini che il Battelli non cessarono
di consegnare al Gelli tessere in bianco per procedere ad iniziazioni in
assoluta autonomia.
Queste iniziazioni erano per lo più celebrate dal Gamberini nella sua
qualità di passato Gran Maestro, la quale, d’altronde, lo abilitava a partecipare ai lavori della giunta direttiva del Grande Oriente.
Nel 1980 il Gelli invia al Grande Oriente la somma di lire 4 milioni
quale versamento delle quote degli iscritti per il triennio precedente.
Si aggiunga inine a tali elementi, la normativa predisposta nell’autunno del 1981, con la quale si issavano da parte del Grande Oriente
le modalità per il reinserimento degli iscritti alla Loggia P2 nel circuito
ordinario della vita massonica.
Ma al di là dei riferimenti testuali e documentali, pur inequivocabili, da inquadrare peraltro nella assoluta disinvoltura con la quale il
Grande Oriente gestiva le procedure, quello che va realisticamente
considerato è che non appare assolutamente credibile sostenere che
l’attività massiccia di proselitismo portata avanti in questi anni dal
Gelli − che coinvolgeva alcune centinaia di persone, per lo più di rango
e cultura di livello superiore − sia potuta avvenire frodando allo stesso
tempo ed in pari misura il Grande Oriente e gli iniziandi. Né appare
dignitosamente sostenibile che tutto ciò si sia veriicato senza che il
primo venisse mai a conoscenza del fenomeno ed i secondi non venissero mai a sospettare della supposta frode perpetrata a loro danno,
consistente nell’ailiazione abusiva ad un ente totalmente all’oscuro
di tale procedura.
Sembra invece più ragionevole ritenere che la sospensione decretata nel 1976 rappresentò una più soisticata forma di copertura, alla
quale fu giocoforza ricorrere perché Gelli e la sua loggia costituivano
un ingombro non più tollerabile per l’istituzione. Si pervenne così al
duplice risultato di salvaguardare nella forma la posizione del Grande
Oriente, consentendo nel contempo al Gelli di continuare ad operare
in una posizione di segretezza che lo poneva al di fuori di ogni controllo proveniente non solo dall’esterno dell’organizzazione ma altresì da
elementi interni. A tal proposito si ricordi che non ultimo vantaggio
acquisito era quello di avere eliminato dall’organizzazione il gruppo dei
cosiddetti «massoni democratici», avversari di lunga data del Gelli e dei
suoi protettori.
204
Dalla P2 alla P4
La situazione che si delinea al termine del lungo processo sin qui ricostruito è pertanto contrassegnata da due connotati fondamentali:
- Gelli ha acquisito nella seconda metà degli anni settanta il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda due,
espropriandone il naturale titolare e cioè il Gran Maestro;
- la Loggia Propaganda due non può nemmeno eufemisticamente
deinirsi riservata e coperta: si tratta ormai di una associazione segreta, tale segretezza sussistendo non solo nei confronti
dell’ordinamento generale e della società civile ma altresì rispetto alla organizzazione che ad essa aveva dato vita.
Rileviamo inoltre che le due ristrutturazioni seguite alla «demolizione», votata dalla Gran Loggia nel 1974, furono strettamente interdipendenti alle vicende personali di Licio Gelli tanto nella loro genesi,
quanto nel loro risultato inale, secondo quella logica di identiicazione
tra la Loggia Propaganda e Licio Gelli che, sin dall’ingresso di questi
in massoneria, fu dai massimi dirigenti di Giustiniani programmata e
perseguita secondo una non smentita linea di comportamenti. Furono
infatti i responsabili della comunione che, manovrando statuti e procedure interne, crearono una situazione nella quale le insegne della massoneria venivano a fungere da schermo o, se si preferisce, da pretesto
ad un organismo avente natura e inalità afatto peculiari. Ma sia ben
chiaro che tali anomalie altro non furono se non il frutto di processi
interni alla istituzione che a questa organizzazione aveva dato origine,
che aveva consentito si evolvesse verso l’assetto inale, guidandone con
accorta regia lo sviluppo, che ne aveva inine tutelata la forma particolare di organizzazione raggiunta.
Concludendo la ricostruzione di queste vicende la Commissione può
pertanto afermare che la Loggia P2 può a buon diritto essere deinita
una loggia massonica, secondo la terminologia adottata dalla legge di
scioglimento votata dal Parlamento, per la primaria considerazione che
la sua forma degenerativa rispetto alla comunione di appartenenza fu
dalla stessa, nella espressione dei suoi vertici elettivi, consapevolmente
voluta e realizzata.
Licio Gelli, la Loggia Propaganda due e la massoneria. Conclusioni
Volendo capire le ragioni che sottostanno all’abnorme situazione che
abbiamo delineato − anche al ine di evitare l’espressione di sommari
giudizi che inirebbero per coinvolgere, con suo ingiusto danno, chi
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
205
per tali vicende non porta responsabilità alcuna o comunque ha una
responsabilità estremamente limitata − è necessario formulare alcune
considerazioni inali di ordine generale.
Va in primo luogo dichiarato che il ruolo e le attività di Licio Gelli erano conosciuti, anche se in modo parziale e frammentario, nell’ambito
dell’intera comunità massonica, presso la quale il fenomeno Gelli e le
sue possibili implicazioni erano in qualche modo note e non paciicamente accettate, poiché è certo che esse costituirono punto di dissenso
e di scontro all’interno della famiglia massonica: ne fanno fede la mai
sopita lotta condotta dai cosiddetti «massoni democratici», nonché il
voto dei Maestri Venerabili che decretarono la demolizione della Loggia
P2 nel corso della Gran Loggia di Napoli.
Se dunque si pervenne alla situazione dianzi delineata fu in sostanza
soprattutto, come si è dimostrato, grazie all’inluenza che Gelli riuscì ad
esercitare sui vertici del Grande Oriente. I rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e
con i loro collaboratori diretti, ampiamente documentati presso la Commissione, ofrono un quadro di compromissione degli organi centrali di
governo della famiglia massonica giustinianea che ampiamente giustiica e spiega le tormentate vicende ripercorse nelle pagine precedenti.
Sono vicende queste che richiedono un approfondito esame del rapporto tra Licio Gelli e la massoneria, per il quale dobbiamo, come punto
di partenza, muovere dalla afermazione, prima ribadita, che la Loggia
Propaganda è una loggia massonica inserita a pieno titolo nella comunione massonica di più antica tradizione e di più vasta ailiazione di
aderenti. La realtà dei fatti è incontestabilmente quella di un organismo presente nella comunione di appartenenza come entità integrata
secondo peculiari prerogative che ad essa venivano riconosciute dagli
statuti e dalla pratica stessa di vita dell’associazione: la connotazione
della Loggia P2, secondo l’ordinamento massonico, era quella di essere
una loggia coperta. Come poi questa copertura sia stata gestita dai dirigenti responsabili, anche in violazione degli statuti dell’associazione,
evolvendo verso forme di vera e propria segretezza, questo è argomento
che nulla inferisce nel nostro discorso, poiché è palese che quanto viene
stabilito nello speciico ordinamento massonico e quanto in esso viene
operato, anche in sua violazione, nessuna inluenza esplica nell’ambito
dell’ordinamento giuridico generale, alle cui sole previsioni normative
ci si deve riportare in sede di analisi giuridica e di valutazione politica
del problema. A tal ine possiamo afermare che l’adozione di forme di
copertura dirette verso l’esterno come verso l’interno della comunione
206
Dalla P2 alla P4
di appartenenza costituisce indubbia connotazione di segretezza ed è
soltanto a ini di mera confusione che si può spostare il tema del discorso sulla presunta segretezza o meno della massoneria, poiché se è certo,
secondo la pregevole notazione di un autore, che la massoneria non è
una associazione segreta, è per altro certo che essa è una associazione
con segreti, e uno di questi era la Loggia Propaganda due.
Appare alla Commissione incontrovertibile secondo l’analisi sinora
condotta, che la Loggia P2 era una loggia massonica, dotata di segretezza, ma la posizione di queste due afermazioni non esaurisce il problema
ed anzi potrebbe, se ci si arrestasse a questa prima soglia interpretativa, condurre ad una rappresentazione dei fatti monca se non del tutto
inesatta.
Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta in chiave massonica, non spiega il fenomeno nella sua genesi
più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo.
Per rendere esplicita questa afermazione non si può non riconoscere come Licio Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del
tutto atipico: egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico
esponente di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta
adesione, informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al ine
ultimo della maggior gloria della famiglia; Licio Gelli, in altri termini,
non sembra sotto nessun proilo, nella sua contrastata vita massonica,
un nuovo Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come iniettato dall’esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.
Ci soccorre a tal ine il rilievo cui dianzi si accennava, quando notavamo come il procedimento di cooptazione, proprio della massoneria,
ebbe a funzionare per Licio Gelli con inaspettata e sorprendente celerità, secondo quanto ci dimostrano due dati a noi provenienti dalla documentazione in nostro possesso.
Il primo è che Licio Gelli ha dovuto subire un periodo di attesa, al
suo ingresso in massoneria avvenuto nel 1965, di oltre un anno; il secondo è che una volta entrato nell’istituzione i tempi per l’apprendista
Gelli si abbreviano singolarmente, poiché nel 1969 egli ci appare nelle
vesti, secondo un documento già citato, di tessitore di una delicata operazione di riuniicazione delle varie famiglie massoniche: una operazione di vertice che coinvolge tutta la massoneria italiana. Tra queste due
date, sappiamo, corre l’operazione di ascesa nella comunione pilotata
dall’Ascarelli e dal Gamberini in favore di un personaggio che, come il
primo non manca di sottolineare al secondo in una lettera agli atti, ha a
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
207
disposizione un folto gruppo di domande di iniziazione «di gente estremamente qualiicata».
Ponendo questi dati in parallelo − e coordinandoli con le osservazioni
svolte in ordine all’inserimento di Licio Gelli nella Loggia Propaganda,
operato subito dopo dal Salvini − non si può non vedere come l’ingresso
e l’ascesa di Licio Gelli, massone di fresca data, si svolgano sotto l’egida di una accorta regia che, dopo aver superato le resistenze frapposte
all’acquisto di questo nuovo fratello, ne pilota la carriera massonica con
tempestivo e felice esito di risultati. E non è chi non veda come il nome
che compare come centrale in questa operazione sia quello del Gran Maestro che sarà il vero nume tutelare della vita massonica di Licio Gelli,
quel Giordano Gamberini che, come abbiamo ampiamente dimostrato,
ritroviamo nella veste di accorto consigliere e di ine stratega in tutte
le vicende che vedono il Gelli al centro delle contrastate decisioni della
comunione che lo interessano.
Possiamo quindi afermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono a ritenere come la presenza di Gelli nella comunione
di Palazzo Giustiniani appaia come quella di elemento in essa inserito
secondo una precisa strategia di iniltrazione, che sembra aver sollevato
nel suo momento iniziale non poche perplessità e resistenze nell’organismo ricevente, e che esse vennero superate probabilmente solo grazie
all’interessamento dei vertici dell’istituzione i quali, questo è certo, da
quel momento in poi appaiono in intrinseco e non usuale rapporto di
solidarietà con il nuovo adepto. Questa iniltrazione inoltre fu preordinata e realizzata secondo il ine speciico di portare Licio Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto
di identiicazione tra il personaggio e l’organismo, il quale ultimo inì
per trasformarsi gradualmente in una entità morfologicamente e funzionalmente afatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione, degli
eventi proposta.
Quanto detto appare sufragare l’enunciazione dalla quale eravamo
partiti, perché il rapporto tra Licio Gelli e la massoneria viene a rovesciarsi in una prospettiva secondo la quale il Venerabile aretino, lungi
dal porsi rispetto ad esso in un rapporto di causa ed efetto, come ultimo prodotto di un processo generativo interno di autonomo impulso,
assume piuttosto le vesti di elemento indotto, di programmato utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta della
comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni che costituirono l’autentico nucleo di interessi e di attività che la
Loggia P2 venne a rappresentare.
208
Dalla P2 alla P4
Ci troviamo in altri termini di fronte ad un complesso rapporto che
non può semplicisticamente ridursi in sommarie attribuzioni di responsabilità, in forme di addebitamento più o meno generalizzate che come
tali non rientrano nell’ambito degli interessi di questa Commissione, il
cui primo compito è quello di studiare la genesi dei fenomeni e la loro
ragione di essere e di svilupparsi, ainché il Parlamento possa su tali
basi pronunciare il proprio giudizio ed assumere le eventuali deliberazioni conseguenti. Quello che per la Commissione è di primario interesse sottolineare è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a
trovarsi, nel seguito della vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole la base e conniventi i vertici.
Non v’ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in
senso speciico e la massoneria in senso lato abbiano negativamente
risentito dell’attenzione, tutta di segno contrario, che su di esse si è
venuta a concentrare, ma altrettanto indubbio risulta che l’operazione
Gelli, sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato
una sostanziale copertura − per non dire oggettiva complicità − senza
la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità − pur sostanziale che
sia − non si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei
vertici dell’associazione, peraltro espressione elettiva della base degli
associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi in una
pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da una concreta tradizione di radicato costume massonico degli ailiati tutti, che
ha costituito l’imprescindibile terreno di coltura per l’innesto dell’operazione. Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2,
né per primo ha contrassegnato l’organismo con la caratteristica della
segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare la
tecnica della copertura, ma l’una e l’altra ha trovato funzionanti e vitali
nell’ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto
suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere meglio Licio Gelli e non la massoneria.
Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono suicientemente stabilite e tali da consentire, a
chi ne abbia interesse, di trarre le proprie conclusioni.
Sia ciò consentito anche al relatore perché l’argomento e l’occasione
sono tali da meritare una qualche considerazione di più ampia portata su un tema che vanta di certo una pubblicistica di non trascurabile
impegno e valore, e che ha interessato sinora non solo il nostro ordinamento.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
209
La storia della Loggia P2 ha il pregio, a tal ine, di svelare l’equivoco
sul quale stanche polemiche si trascinano intorno alla distinzione tra
segretezza e riservatezza. La certa segretezza della loggia, al di là di soismi cartolari e notarili, trova infatti radice ed al tempo stesso costante e
vitale alimento nella riservatezza della comunione intera. Sollevandoci
ad un più generale livello di considerazioni che prescinda dalla soluzione
normativa concreta che gli ordinamenti vogliano dare a tale situazione,
ci è consentito rilevare, in via di principio, che i due concetti si pongono,
pur in teoria ed in pratica diversi, in rapporto di reciproca interazione
e funzionalità tali che la segretezza senza riservatezza non ha modo di
esistere e la riservatezza, non posta a tutela di una intima più ristretta
segretezza, non ha ragione di essere.
Sono questi argomenti che ci conducono al cuore del problema e che
allargano il tema sulla riservatezza massonica ad un più ampio contesto
di considerazioni in ordine al ruolo che questa associazione può svolgere legittimamente nell’ambito dell’ordinamento democratico. Chi infatti guardi al contenuto dottrinale proprio di questa forma associativa, il
suo conclamato richiamarsi al trinomio di princìpi Libertà – Fratellanza − Uguaglianza (art. 2 delle Costituzioni massoniche), non può non
constatare come questo sia verbo al quale mal si appongono forme di
culto riservato e quanto piuttosto chieda di essere con orgoglio portato
nella società degli uomini, nella quale è messaggio che non può porsi
che come fonte di beneiche inluenze.
È avviso di questa Commissione parlamentare che una terza soluzione non sia data tra i due corni di questo dilemma: o infatti questo,
o altro lecito, è il cemento morale della comunione ed allora non v’ha
luogo a riservatezza alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana a tutti i cittadini; o piuttosto la ragione d’essere
dell’associazione è di diversa natura e va allora revocata in dubbio la sua
legittimità in questo ordinamento.
Passando, poi, dal piano generale della logica corrente a quello più
speciico della logica giuridica, e con riferimento alla normativa sulle
associazioni segrete, il dilemma deve porsi in questi diversi termini: o
la comunione esclude ogni possibile interferenza con la vita pubblica
dalla sua sfera di interessi (come dovrebbe essere in base alle regole
originarie), ed allora indulga quanto crede al rito esoterico del segreto,
o vuol piuttosto partecipare in toto al divenire della nostra società. Se
è vera la seconda alternativa sarà giocoforza che essa rinunci alle coperture, alle iniziazioni sul ilo della spada, alle posizioni «all’orecchio».
Riti tutti che hanno il fascino dei costumi misteriosi di tempi lontani,
210
Dalla P2 alla P4
ma che l’esperienza ha purtroppo dimostrato essere fertile terreno di
cultura per illeciti di tempi recenti.
Il sequestro di Castiglion Fibocchi
L’esame dell’operazione di sequestro efettuata presso gli uici e la
residenza di Licio Gelli dalla Guardia di Finanza su ordine dei giudici
Turone e Colombo, nell’ambito dell’inchiesta loro aidata sull’afare
Sindona, precede logicamente l’analisi del problema relativo alla veridicità delle liste, poiché elementi di sicuro interesse ai nostri ini possono
essere tratti dall’esame degli eventi che precedettero ed accompagnarono il loro ritrovamento.
Ricordiamo in primo luogo che il generale Orazio Giannini, all’epoca
comandante generale della Guardia di Finanza, telefonò al colonnello
Vincenzo Bianchi che stava efettuando la perquisizione e lo invitò a
prestare attenzione a quello che faceva poiché nella lista dei nomi vi erano «tutti i vertici» e che l’operazione avrebbe potuto essere di estremo
pregiudizio per il Corpo.
Interrogato poi dalla Commissione, il generale Giannini non ha saputo fornire persuasive spiegazioni circa la sua conoscenza di un’attività di
polizia giudiziaria che sappiamo gli organi procedenti avevano cautelato con la massima cura e che il loro operato e la loro integrità ci garantiscono coperta dal più assoluto segreto istruttorio. Il generale Giannini
non è stato in grado di spiegare le ragioni che lo indussero a comportarsi nel modo descritto né, particolare ancora più signiicativo, di rivelare
la fonte della sua efettiva conoscenza del contenuto degli elenchi.
Numerose e concordanti risultanze generano poi legittime perplessità sugli antefatti dell’operazione di sequestro degli elenchi di cui si
discute e, quindi, sulla sorpresa, in via generale, che essa abbia potuto
costituire per Licio Gelli. Testimonianze in questo senso sono state rese
da vari personaggi al corrente delle vicende inerenti alla Loggia P2: tali
infatti le dichiarazioni del colonnello Massimo Pugliese al giudice istruttore di Trento, da Placido Magrì, la cui fonte dichiarata fu in proposito
Francesco Pazienza, ed inine dall’ingegner Francesco Siniscalchi.
Questi accenni e queste indiscrezioni trovano conferma in un esame
analitico dell’operazione e dell’epoca in cui intervenne. Le operazioni di
sequestro ordinate dai giudici di Milano si pongono come conclusivo
episodio di una vicenda di contorni non chiari, ma di signiicato generale abbastanza deinito.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
211
Il sistema gelliano di potere sembra infatti entrare in crisi alla ine
degli anni Settanta, secondo quanto denunciano alcuni avvenimenti che
intervengono in quel periodo. Così il processo che Salvini subisce negli Stati Uniti da parte della massoneria americana, motivato proprio in
ragione delle sue compromissioni con Gelli; processo, questo, del tutto
anomalo, ma che non può non colpire signiicativamente perché è comunque un dato di fatto che Salvini pone termine anticipatamente al
suo mandato, presentando le dimissioni da Gran Maestro, con un gesto
invero inusuale per un personaggio che si era dimostrato quanto mai
restio a simili passi. Così ancora è nel 1979 che i Servizi segreti consegnano a Pecorelli l’informativa Cominform perché questi ne faccia uso:
senza anticipare le conclusioni che su questo punto verranno tratte nel
capitolo apposito, è questo un atto che non sì può non interpretare come
indubbio segno di incrinamento nel rapporto tra Gelli e questo apparato.
Così ancora inine è nel 1979, secondo le testimonianze, che compare presente in Italia Francesco Pazienza, uomo legato ai Servizi segreti in ambienti internazionali, di non ben certa origine; il Pazienza è
elemento comunque sicuramente legato ai Servizi segreti italiani, ed in
particolare al generale Santovito, e ricopre un ruolo che non si riesce ad
interpretare chiaramente se si ponga in termini di vicarietà o successione, consensuale o meno, rispetto a Licio Gelli. In questa prospettiva
il commissario Crucianelli ha sottolineato l’autonomia acquisita dalla
Loggia P2, come struttura obiettiva che ha messo in moto meccanismi
che prescindevano anche dagli stessi protagonisti soggettivi: tale appunto Francesco Pazienza che vediamo subentrare a Gelli, quasi automaticamente, nei rapporti con Roberto Calvi e con il generale Santovito.
L’elemento connotativo di questa situazione, nella quale il potere del
Venerabile sembra patire elementi di disturbo, se non di cedimento, è
certamente l’intervista che Licio Gelli rilascia al Corriere della Sera nel
1980, una iniziativa invero sorprendente per un uomo che si era sempre
mosso nella riservatezza più assoluta e che in essa aveva trovato una
delle armi più eicaci.
L’intervista di Gelli, letta attraverso l’ostentata sicurezza delle dichiarazioni, sembra in realtà un messaggio che il capo della Loggia P2 invia
all’esterno come all’interno dell’organizzazione; di quell’organizzazione
che aveva cautelato con gli stratagemmi che abbiamo studiato nel precedente capitolo, è ora egli stesso a svelare l’esistenza ed i contenuti,
quasi a voler avvertire che il riserbo di cui tutti si erano sino ad allora
giovati poteva un giorno, in parte od in tutto, cadere ad opera del suo
stesso arteice.
212
Dalla P2 alla P4
Il quadro di eventi che abbiamo disegnato fa da cornice alla perquisizione di Castiglion Fibocchi ordinata dai giudici di Milano, titolari dell’inchiesta su Michele Sindona, ai quali l’avviso della pista Gelli,
inserito in un ampio contesto istruttorio testimoniale e documentale,
era stato fornito da un personaggio notoriamente legato al inanziere
siciliano per il quale aveva gestito in Sicilia l’operazione di into rapimento. Quale segno sia da attribuire a questa iniziativa nei confronti
di Gelli non può essere chiarito, ma certo essa si iscrive nel complesso
rapporto Gelli-Sindona, mostrando che la collaborazione tra i due si era
seriamente incrinata: l’interrogatorio reso da Miceli Crimi, in data 26
febbraio, ai giudici milanesi, mostra, al termine di una lunga, ostinata
reticenza, la chiara volontà di denunciare il Gelli.
Prendendo adesso in esame il materiale sequestrato proveniente alla
Commissione come frutto dell’operazione eseguita a Castiglion Fibocchi, un dato sopra ogni altro colpisce l’attenzione dell’osservatore: la
constatazione che il nucleo della documentazione avente valore fondamentale ai ini dell’indagine non era contenuto nella cassaforte dell’uficio, suo naturale luogo di deposito, ma in una valigia. Questa valigia
conteneva, oltre ad una lista degli iscritti alla Loggia P2, tutta una serie
di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia era implicata; si noti che qualora infatti la Guardia di Finanza avesse
provveduto al sequestro del solo materiale contenuto nella cassaforte − nella quale erano altre copie dei soli elenchi − il dato conosciuto agli
investigatori sarebbe stato soltanto quello relativo all’appartenenza ad
una Loggia massonica di un certo gruppo di eminenti personalità.
Il materiale contenuto nella valigia ha invece la natura di denunciare al
contempo l’esistenza della Loggia, poiché contiene una ulteriore serie di
elenchi, nonché la sua valenza politica, per la natura dei documenti a quegli elenchi annessi. Rimane pertanto dimostrato che il blocco di documentazione a noi pervenuta ha una intrinseca reciproca funzionalità, perché
la valigia che li conteneva, oggetto invero strano per collocare materiale di
tal fatta, aveva un suo autonomo valore di eccezionale signiicato.
Avendo riguardo a queste considerazioni, l’importanza intrinseca
dei documenti contenuti nella valigia, esaminati nella loro reciproca
correlazione, porta a ritenere che questo materiale era verosimilmente
inserito in un processo di trasferimenti dell’archivio di Licio Gelli, che
l’incerta e contrastata ultima fase della vicenda del Venerabile, prima
tratteggiata, rende attendibile ed al quale siamo indotti a pensare sia
per la costituzione, da far risalire a questo periodo, della cosiddetta Loggia di Montecarlo, intesa da Gelli come alternativa alla localizzazione
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
213
italiana del centro delle sue attività, sia dall’esistenza di una duplicazione dell’archivio in questione nella residenza uruguayana del Venerabile.
Questa ricostruzione, che non possiamo collocare nell’ambito delle
certezze acquisite per l’incompletezza di informazioni su tale ultimo
periodo, peraltro riveste certamente connotati di estrema attendibilità.
Quel che è fuori dubbio è che comunque essa ci consente di afermare che la documentazione in possesso della Commissione non può che
essere presa in attenta e seria considerazione per la primaria constatazione che essa si trovava al centro di un complesso gioco nel quale i
protagonisti le attribuivano altissimo valore, e tra essi va ricordato il
Comandante generale della Guardia di Finanza, autore del maldestro
tentativo di insabbiamento già ricordato.
Le considerazioni esposte sono riferite naturalmente agli attori espliciti di questa vicenda ed ai suoi retroscena, ed in nulla attengono alla
integrità ed attendibilità dell’inchiesta giudiziaria e della operazione di
sequestro in sé considerata, come si evince se non altro dalle modalità
di esecuzione predisposte dall’organo inquirente ed attuate da quello
procedente, delle quali è testimonianza eloquente la denuncia che il colonnello Bianchi efettuò dell’indebita ingerenza tentata nei suoi confronti dal superiore gerarchico.
Autenticità ed attendibilità delle liste
La risposta al quesito circa la veridicità e completezza delle liste precede logicamente ogni altro problema ed esso sarà da veriicarsi, tenendo ben presenti l’oggetto e le inalità della legge istitutiva che all’articolo 1 demanda alla Commissione di accertare, tra l’altro, «la consistenza
dell’associazione massonica denominata Loggia P2».
Questo compito postula non già l’esigenza di analitici riscontri individuali sulla efettiva appartenenza alla loggia dei singoli iscritti,
riscontri che invece sono propri dell’inchiesta giudiziaria inalizzata
all’accertamento di responsabilità individuali, ma richiede, per contro,
un giudizio complessivo inerente al numero e alla qualità degli ailiati
che consenta di delineare «la consistenza» della loggia, al ine di poterne
poi valutare i contenuti.
Quando si passino in rassegna le risultanze acquisite sul punto, pare
corretto distinguere quelle emergenti da accertamenti riferibili all’autorità giudiziaria o ad altre autorità, da quelle desumibili da indagini
disposte dalla Commissione o da documenti acquisiti.
214
Dalla P2 alla P4
Quanto alle prime, si ricorda che la sentenza emessa dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura nei confronti dei magistrati iscritti nella lista ha dichiarato la «complessiva attendibilità» degli
elenchi e della documentazione; nella requisitoria del procuratore della
Repubblica di Roma, l’estensore mostra invece di non credere «alla veridicità delle liste degli iscritti»; a sua volta il Comitato amministrativo di
inchiesta costituito a suo tempo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri esprime il dubbio che la lista non sia un «puntuale elenco di coloro
che avevano efettivamente aderito alla P2»; inine, nell’appello proposto
avverso la sentenza del giudice istruttore di Roma, il procuratore generale
presso la Corte d’appello muove dal presupposto della «attendibilità complessiva di elenchi e documentazione sequestrati salvo riscontri negativi».
Vi è poi da considerare che la «Relazione informativa sulla Loggia
P2», efettuata dal Sisde, per la parte relativa all’analisi strutturale
dell’elenco dei novecentosessantadue (962) presunti ailiati, si sofferma sulla eterogenea e contraddittoria compresenza di alcuni componenti, postulando la esigenza di integrare le risultanze con il dato
relativo alle domande di ammissione, ma esclude l’ipotesi di una falsiicazione dell’elenco medesimo.
Con riferimento alle indagini disposte dalla Commissione, si premette che un primo accertamento riguarda l’epoca in cui presumibilmente
sono stati formati gli elenchi in questione: tale arco di tempo può collocarsi con suiciente approssimazione dal 1979 al 1981 in base alle
risultanze desumibili:
- dalla corrispondenza intercorsa tra Gelli e i capigruppo della loggia, da cui emerge che intorno al 1979 vi fu una generale revisione degli elenchi degli iscritti, una ripartizione degli efettivi tra i
capigruppo e quindi l’aggiornamento e la riscrittura degli elenchi
medesimi;
- dagli esiti della perizia tecnica disposta dalla Commissione sul
nastro della macchina da scrivere sequestrata a Castiglion Fibocchi. Di tale perizia, consistente nella decifrazione dei caratteri
impressi sul nastro rimasto inserito nella macchina da scrivere
della segretaria del Gelli, inequivocabilmente si evince che gli
elenchi furono redatti con la macchina in questione e che furono ultimati in data precedente l’8 marzo 1981, con la inclusione
degli ultimi 18 iscritti per i quali la data di iniziazione era stata
programmata per il successivo 26 marzo 1981.
Tenendo conto di questo riscontro temporale, il primo problema da
afrontare in ordine logico è quello relativo alla individuazione della
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
215
natura del documento in esame, secondo una rilevazione esterna che
attenga ai connotati funzionali del reperto studiato al ine di veriicare
se possa essere considerata autentica quella che appare essere ictu oculi
la sua natura di elenco di iscritti ad una associazione data: nella specie
la Loggia massonica P2.
A tal ine è primaria argomentazione rilevare che le liste di Castiglion
Fibocchi trovano riscontro in ulteriori reperti, antecedenti o contemporanei, che accompagnano, con signiicative concordanze, i dati relativi.
Elementi di riscontro in ordine ai dati contenuti nelle liste sono stati
infatti successivamente acquisiti dai documenti dell’archivio uruguaiano di Gelli, pervenuti alla Commissione nel corso dei lavori, comprendenti anche un duplicato (con annotazioni in lingua spagnola) della lista
generale, nonché 109 fascicoli personali di altrettanti iscritti, contenenti sicure conferme documentali sull’appartenenza alla loggia. L’esistenza di un secondo archivio dell’organizzazione gelliana denuncia la non
episodicità dei reperti sequestrati a Castiglion Fibocchì, e comunque denota una signiicativa e non improvvisata sistematicità di archiviazione.
Inoltre l’autenticità dell’elenco è comprovata dal riscontro con altri
analoghi documenti ad esso anteriori. In particolare la lista con cinquecentoundici (511) nominativi di cui si compone l’elenco degli iscritti
alla disciolta Loggia P2 consegnato al giudice Vigna di Firenze da Gelli e Lino Salvini separatamente e con il libro matricola, che consta di
cinquecentosettantatre (573) efettivi, sequestrato dalla Commissione
presso la comunione di piazza del Gesù, che porta a nostra conoscenza la composizione della Loggia P2 durante l’arco di tempo che corre
dall’anno 1952 ino al 1970. Questi elenchi rappresentano un secondo
elemento di indubbio signiicato perché dimostrano che la lista di Castiglion Fibocchi non costituisce un unicum, ma si pone invece come il
prodotto ultimativo di una stratiicazione di documenti la cui redazione
si è protratta lungo un arco di tempo più che decennale: considerazione
che indebolisce signiicativamente la ipotesi di una artata prefabbricazione delle liste o della loro natura di documento informale e conduce
anch’essa, come la precedente osservazione, ad una rassicurante valutazione in ordine alla sistematicità dell’archiviazione dei dati al nostro
studio.
Argomento, poi, che si ritiene di estremo rilievo in ordine alla natura
degli elenchi, secondo quanto osservato dal commissario Mattarella, è
quello che si ricava dalle conclusioni della seconda perizia ordinata sulle
liste stesse dalla Commissione, non preceduta in questi suoi riscontri da
alcuna consimile attività da parte di altri organi inquirenti.
216
Dalla P2 alla P4
I periti, rispondendo ai quesiti loro posti, hanno speciicato che le
liste non sono state compilate in un unico contesto, ma risultano il frutto di successive, diverse operazioni di battitura; in particolare l’analisi
peritale condotta partitamente su ogni pagina del documento dimostra
che molte delle annotazioni apposte in margine ad ogni singolo nome
non furono battute contestualmente al nome relativo. Questa conclusione dimostra, al di là di ogni verosimile dubbio, che le liste sequestrate
erano in sostanza quello che ad un primo esame denunciano di essere:
un documento nel quale veniva registrata la gestione amministrativa e
contabile della loggia. Si vuole inine osservare che tali argomentazioni collimano con i risultati della prima perizia, dianzi citata, dai quali
emerge che gli ultimi nominativi (di ailiati per i quali era da perfezionare l’iniziazione) vennero inseriti nelle liste poco prima della efettuazione della perquisizione, essendo i loro nominativi impressi nel nastro
ancora inserito nella macchina da scrivere in uso nell’uicio di Gelli. Si
osserva da ultimo che la constatazione dei periti che alcune delle annotazioni furono riportate invece contestualmente al nome relativo, vale a
indicare che gli elenchi sequestrati non costituivano l’unico documento
anagraico in uso presso la segreteria di Gelli, ponendosi piuttosto come
una copia od un estratto del documento di segreteria per il quale vi era
correntezza di uso da parte del personale addetto.
Le conclusioni desumibili dalle perizie sono sufragate dalla testimonianza della segretaria di Gelli, la quale, pur rendendo la non verosimile dichiarazione di ignorare il signiicato delle sigle contenute
nel documento, ha peraltro afermato che tali annotazioni venivano
da essa efettuate meccanicamente, sotto diretta dettatura del Gelli.
Tale afermazione contiene dunque l’indiretta ammissione che l’elenco
veniva usato per apporvi le indicazioni del caso, al momento nel quale
se ne manifestava la necessità, ed è sufragata dalle annotazioni riportate in un foglio tra le quali il Gelli, sotto la voce «Memoria x Carla»
ricordava tra l’altro alla segretaria di «inire gli elenchi per settori con
aggiornamento».
Ultimo riscontro relativo alla rilevazione esterna del documento è
quello relativo alla coincidenza tra le sigle apposte in margine ad ogni
nome e le ricevute contenute negli appositi bollettari, le annotazioni del
registro di contabilità, nonché i versamenti sul conto intestato a Licio
Gelli presso la Banca popolare dell’Etruria, nel senso che ogni registrazione consegnata in uno di questi documenti risulta generalmente apposta, con la sigla relativa, sulle liste in esame, che pertanto, anche sotto questo proilo, risultano frutto di puntuali aggiornamenti contabili.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
217
Conclusivamente i dati peritali e documentali e quello testimoniale
convergono nel denunciare la rilevata natura funzionale e non meramente dimostrativa del reperto e − considerati unitamente alle argomentazioni che verranno esposte successivamente − consentono alla
Commissione di afermare che le liste sequestrate a Castiglion Fibocchi
sono il documento, o uno dei documenti, in uso presso la segreteria della loggia che conteneva, con adeguati aggiornamenti, la rappresentazione, nel suo dato oggettivo e personale, della organizzazione massonica
denominata Loggia Propaganda 2.
Questa conclusione, relativa alla funzione del reperto sequestrato,
viene dalla Commissione ritenuta di decisivo rilievo al ine della valutazione inerente alla autenticità dell’elenco considerato nella sua natura
di documento che rappresentava, secondo l’espressione del commissario Mattarella, «la vita della loggia».
Secondo la distinzione, sempre da tale commissario argomentata, il
discorso sulla autenticità delle liste precede logicamente quello relativo
alla loro attendibilità, in quanto concettualmente distinguibile da esso.
Una volta infatti posto l’assunto che le liste di Castiglion Fibocchi sono,
come documento, direttamente riferibili in modo certo alla Loggia P2,
in quanto contenenti la rappresentazione del dato personale ed anagraico di tale organismo, il problema della attendibilità delle liste viene
di conseguenza a porsi, in modo più circoscritto, nei termini seguenti:
se esse siano la puntuale ed esatta conigurazione della Loggia P2 o se
piuttosto possano essere ritenute inesatte per eccesso o per difetto. A
tal ine è necessario premettere che il discorso inerente alla attendibilità non può comunque mai essere trasformato in una argomentazione
sulla esistenza o meno della Loggia P2. L’esistenza della Loggia P2 come
organismo operante nei più svariati e qualiicati settori della vita nazionale è infatti ampiamente documentata, oltre ogni invocabile dubbio,
dal complesso della documentazione in possesso della Commissione
che dimostra l’esistenza di legami tra gruppi di individui, inseriti in rilevanti posizioni, che hanno operato in sintonia di intenti e di azioni durante un ragguardevole arco temporale. Sarebbe dunque procedimento
logicamente capzioso voler scindere i due dati, quello documentale e
quello sostanziale, per procedere ad una analisi separata, argomentando inine da una supposta non attendibilità delle liste la non esistenza
della loggia o, per contro, da una non ritenuta credibile esistenza, la
falsità degli elenchi. Vero è piuttosto che procedimento logico corretto
appare alla Commissione quello di considerare e valutare il dato formale
e quello sostanziale congiuntamente, poiché essi concorrono entrambi,
218
Dalla P2 alla P4
pur se partitamente analizzati per comodità espositiva, a formare base
delle conclusioni alle quali pervenire. Le argomentazioni in questa sede
vanno pertanto lette e considerate unitamente alla complessiva analisi
delle attività della loggia e del progetto che essa si poneva, difusamente
esaminati nei due capitoli successivi.
Partendo dalla premessa esposta, e riportandosi alle conclusioni
dianzi argomentate, è dato quindi ribadire che il problema dell’attendibilità degli elenchi si risolve nel più ridotto problema della loro puntuale
attendibilità, e a tal ine possiamo in primo luogo sottolineare che esistono non pochi elementi o indizi di prova che militano a favore della
ipotesi di un’incompletezza delle liste che, pertanto, non comprenderebbero nomi di altre persone, oltre quelle elencate, pur ugualmente
ailiate alla Loggia. Gli argomenti in proposito possono essere elencati
secondo l’ordine seguente:
- l’intervista rilasciata da Gelli al settimanale L’Espresso del 10 luglio 1976, secondo la quale l’organico della Loggia ammontava
all’epoca a ben duemilaquattrocento (2.400) unità1;
- l’audizione del dignitario massonico Vincenzo Valenza (27 settembre 1983), il quale, sulla base di dati desunti dalla numerazione degli iscritti, aferma recisamente che la lista è veritiera,
ma incompleta;
- le risultanze, testimoniali e non, riferentesi a persone formalmente non iscritte negli elenchi, ma indicate come appartenenti
alla P2: è il caso del generale Mino, defunto comandante generale
dell’Arma dei carabinieri;
- la lettera del 20 marzo 1979, già citata, indirizzata da Gelli al Gran
Maestro Ennio Battelli che, confermando precedenti intese intercorse con il predecessore Lino Salvini, dichiara che i nominativi di
otto persone «al vertice del Rsaa» (Cicutto, De Megni, Gamberini,
Motti, Salvini, Sciubbà, Stievano, Tomaseo) non sarebbero apparsi nel piè di lista della P2 pur facendovi parte: tali nominativi non
risultano invece nell’elenco di Castiglion Fibocchi;
1
L’afermazione non manca di provocare richieste di delucidazione in sede di
Giunta esecutiva del Grande Oriente. Dal verbale, acquisito dalla Commissione, risulta che il Salvini ed il Mennini afermarono che il testo da loro visionato
era diverso da quello pubblicato; assicurarono inoltre che il «fratello» Gelli, per
l’inesattezza del testo pubblicato, aveva sporto querela contro il settimanale.
Da riscontri efettuati presso il Tribunale risulta per contro che tale querela
non venne mai presentata. Vedi le pagine sui rapporti tra il Grande Oriente e
la loggia.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
-
219
la raccomandata inviata dal generale Battelli alla scadenza del
suo mandato nella quale alcune centinaia di fratelli alla memoria
venivano invitati a decidere sulla loro destinazione (due dei nominativi in questione risultano essere iscritti alla Loggia P2);
- la lettera inviata da Licio Gelli al capogruppo Bruno Mosconi con
la quale, alla richiesta di istruzioni in ordine alla nuova Gran Maestranza del generale Battelli, il Venerabile della Loggia così si
esprimeva: «Per quanto riguarda il Gruppo, come ti accennai ad
Incisa, l’esame dello schedario centrale non è ancora terminato
e, inoltre, se non trovi alcuni degli elementi da te segnalati, è
per motivi che ti spiegherò al nostro prossimo incontro durante
il quale ti indicherò anche le ragioni per cui ti sono stati aidati
alcuni elementi che non erano stati segnalati da te. Con l’elezione
del Gran Maestro Ennio Battelli nulla è cambiato nei confronti
del Grande Oriente perché nulla poteva cambiare. Perciò tutto
procede come procedeva con le precorse Grandi Maestranze,
anzi, meglio, perché devo dirti che l’attuale Gran Maestro ha dimostrato maggior intuito ed intelligenza degli altri, dandoci una
maggior valorizzazione. Mi chiedi se abbiamo molti candidati: ti
rispondo che il proselitismo che abbiamo avuto in questi ultimi
tre anni è stato veramente massiccio: nel 1979 siamo arrivati ad
oltre quaranta iniziazioni al mese».
I due documenti da ultimo citati pongono il problema se in via generale − e comunque in particolare nella seconda fase della Loggia P2,
caratterizzata dalla totale acquisizione all’orbita di inluenza gelliana − le
due categorie degli ailiati alla Loggia Propaganda e degli ailiati alla
memoria del Gran Maestro fossero in tutto coincidenti o meno. Il quesito, riportato al contesto dei rapporti tra Licio Gelli ed i Gran Maestri, si,
risolve nell’accertare se il Grande Oriente fosse riuscito a preservare una
propria quota di fratelli coperti, di fronte al potere acquisito dal Venerabile Maestro della Loggia P2. Si tratta di quesito al quale non è consentito, allo stato degli atti, dare una risposta deinitiva in un senso o nell’altro, attesa la gestione tortuosa ed inaidabile delle norme statutarie e
delle procedure proprie del Grande Oriente: rimane pertanto aperta la
possibilità che alcuni o tutti i nominativi ricompresi nella raccomandata
del Gran Maestro Battelli fossero altresì membri della Loggia P2.
Possiamo adesso prendere in esame il secondo aspetto del problema denunciato: se cioè le liste siano da considerare non attendibili per
eccesso ovvero se in esse possano considerarsi inclusi nominativi che
nulla avevano a che vedere con la Loggia Propaganda.
220
Dalla P2 alla P4
A questo ine la Commissione ha proceduto ad un censimento di
riferimenti relativi ad ogni nominativo presente nelle liste in esame,
preordinato, sempre secondo l’assunto metodologico premesso, alla valutazione generale del documento complessivamente considerato.
Prendendo in primo luogo in esame i documenti contabili, la Guardia di Finanza ha efettuato uno studio analitico del conto intestato a
Licio Gelli presso la Banca popolare dell’Etruria (conto «Primavera») ed
ha riscontrato che sia le ricevute che le annotazioni contenute nel libro contabilità, sequestrati in Castiglion Fibocchi, trovavano puntuale
riscontro in versamenti che venivano contestualmente efettuati nel
conto «Primavera», secondo una continuità temporale che va dal maggio 1977 al febbraio 1981. Questo dato consente di escludere l’ipotesi
di una artata prefabbricazione della documentazione contabile (come
tale eccessivamente macchinosa e non verosimile) e consente alla Commissione di rilevare che da tale contesto documentale emerge che per
duecentosettantasei nominativi (276) esiste il triplice riscontro del
rilascio della ricevuta, della notazione nel registro di contabilità e del
versamento, alla stessa data o il giorno successivo, degli importi relativi
sull’apposito conto bancario.
Il valore di questo dato deve essere posto in adeguata evidenza, poiché, se pur esso non si riferisce a tutti i nominativi compresi nell’elenco
generale, per quasi un terzo di essi possiamo afermare che esiste una
prova documentale inconfutabile sulla loro iscrizione alla loggia, suffragata paradossalmente dalle versioni fantasiose e palesemente non
credibili che gli interessati hanno fornito alla Commissione in sede di
audizione a giustiicazione di tali versamenti.
Altro riscontro di estremo rilievo è quello relativo alle prove di appartenenza provenienti dai diretti interessati, ed in specie dall’esistenza di
una irma apposta in calce ad una domanda di iscrizione, anche come
presentatore, ad un giuramento o ad un assegno incassato dal Gelli: tale
prova è riscontrabile in duecentosessantadue (262) casi, secondo la documentazione attualmente in possesso della Commissione.
Altro dato che si vuole sottolineare è quello relativo a trecentodieci
(310) nominativi che, compresi nelle liste in esame, sono altresì presenti nelle altre liste sopraindicate (libro matricola ed elenchi consegnati
ai giudici Vigna e Pappalardo): viene così sufragato il rilevante argomento della stratiicazione dei documenti anagraici della loggia, che
corrisponde fedelmente alla sua accertata operatività lungo un arco di
tempo più che decennale.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
221
Si vuole inine ricordare che dei seicentosettantuno (671) ailiati
ascoltati dal magistrato, duecentotrentacinque (235) soltanto hanno
negato di appartenere alla Loggia P2. La Commissione peraltro è in possesso di prove documentali (ad esempio, irme su assegni) che inducono
a ritenere questa dichiarazione non vera per centosedici (116) delle situazioni indicate, ovvero per circa la metà dei casi.
I riscontri statistici accennati, che prescindono da ulteriori riscontri
di tipo sostanziale, relativi ad alcune centinaia di nominativi, alcuni dei
quali rientrano in più di uno dei riscontri proposti (che pertanto non
sono da sommare tra loro) dimostrano che le liste si inseriscono in un
corpus documentale più ampio nell’ambito del quale trovano puntuale riscontro e che sottostante ad esse è pertanto rinvenibile una griglia di riferimenti incrociati che sufragano l’attendibilità generale del
documento.
Tutti i dati enunciati devono naturalmente essere poi interpretati, secondo l’assunto metodologico dianzi premesso, alla stregua del
presuntivo, ma qualiicante, argomento di prova costituito dal potere
acquisito da Gelli nei più delicati settori ed ai più alti livelli della vita
nazionale: tale acquisita inluenza è indirettamente, ma univocamente,
dimostrativa dell’esistenza di un esteso, autorevole e capillare apparato
di persone del quale il Gelli, appunto nella sua qualità di Maestro Venerabile della loggia, poteva disporre e quindi rappresenta una obiettiva
conferma della attendibilità della consistenza della Loggia P2 emergente dai documenti in qui esaminati.
Non è azzardato, anzi, ritenere − proprio sulla base delle riferite circostanze, concomitanti all’esecuzione del sequestro, nonché di
quant’altro attinente all’incompletezza della lista − che la forza e la capacità operativa della loggia, acquisite mediante la penetrazione nei più
importanti settori delle istituzioni dello Stato e nei centri economici,
fossero maggiori di quanto documentano gli elenchi, i quali sarebbero
quindi approssimativi per difetto rispetto all’efettiva consistenza della
Loggia P2 anche per queste più generali considerazioni di merito, che si
aggiungono ai riscontri obiettivi dianzi citati.
Né deve essere trascurato il rilievo che a tali conclusioni la Commissione è potuta giungere pur senza aver consultato la maggior parte
dell’archivio uruguaiano di Gelli, che avrebbe fornito esaurienti riscontri e puntuali veriiche sugli organici della loggia, come è dimostrato
dall’importanza e dall’aidabilità dei contenuto di quei pochi documenti dell’archivio medesimo pervenuti alla Commissione.
222
Dalla P2 alla P4
Si ricorda inine che lo stesso Licio Gelli ha, in un suo scritto di recente inviato alla Commissione, ribadito l’afermazione che le liste rappresentano un elenco di iscritti, di simpatizzanti e di amici. Volendo così
sminuire il dato formale dell’iscrizione, afermazione alla quale peraltro
la Commissione, secondo quanto sinora detto, presta credito relativo
(2), il Venerabile della loggia ha confermato indirettamente la connessione di tutti coloro che appaiono nelle liste con le proprie attività.
D’altro canto si può rilevare che la detta tripartizione, giudicata in tale
contesto ininluente dai commissari Battaglia e Petruccioli, potrebbe
tutt’al più condurre, secondo l’osservazione del secondo commissario,
alla conclusione di una maggiore censurabilità, dal punto di vista sostanziale, del comportamento del simpatizzante, il quale in quanto tale
non potrebbe dedurre a giustiicazione del proprio comportamento il
motivo della errata conoscenza del fenomeno.
Il discorso sinora svolto conduce all’univoca conclusione che le liste
sequestrate a Castiglion Fibocchi sono da considerare:
- autentiche: in quanto documento rappresentativo della organizzazione massonica denominata Loggia P2 considerata nel suo
aspetto soggettivo;
- attendibili: in quanto, sotto il proilo dei contenuti, è dato rinvenire numerosi e concordanti riscontri relativi ai dati contenuti
nel reperto.
- Conclusivamente la risposta all’iniziale quesito circa la veridicità del piè di lista, di cui la Commissione doveva farsi non può
che essere ampiamente afermativa, in conformità molteplici e
persuasive ragioni in qui illustrate, con la conseguenza che «la
consistenza dell’associazione massonica denominata P2» − cui si
riferisce la legge istitutiva − si identiica meno con il dato numerico e qualitativo del complesso iscritti.
Si deve naturalmente ribadire, a tal punto, riprendendo il discorso
già accennato in apertura di capitolo, come esuli dai compiti della Commissione ogni e qualsiasi analisi di responsabilità a livello individuale,
restando coninate le funzioni di una Commissione di inchiesta parlamentare all’accertamento di situazioni e responsabilità, trascendenti i
singoli accertamenti di innocenza o di colpevolezza.
Avuto riguardo inine alle competenze proprie della Commissione
che la legge istitutiva inalizzata all’accertamento della consistenza della Loggia P2 ed alla valutazione del suo rilievo politico, rimane irrilevante la eventuale abusiva menzione di qualcuno che con Gelli abbia
simpatizzato e non sia stato ritualmente ailiato alla loggia.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
223
Il complesso contesto di documenti, nell’ambito del quale le liste abbiamo visto si inseriscono con puntuale riscontro, consente di afermare come il margine di dubbio è da circoscrivere a coloro che risultano
menzionati nella lista e per i quali non si rinvengono ulteriori riscontri
dell’appartenenza alla loggia né di attività in qualche modo riconducibili alla stessa: rilievo questo che, a prescindere dalla estrema esiguità
dei casi, alla luce delle considerazioni in qui svolte, appare sicuramente
insuiciente a smentire l’attendibilità generale dell’intero compendio
documentale sequestrato al Gelli, dal quale ha preso le mosse l’inchiesta
parlamentare.
Dovere di questa Commissione era esprimere, in termini di ragionevole convincimento basato su prove, su concordanti elementi indiziari
e sulle argomentazioni logiche che da tale quadro si possono trarre un
giudizio complessivo di attendibilità, al quale la Commissione ritiene
doveroso aggiungere che l’ipotesi che singoli casi possano sfuggire in
via di eccezione alla afermazione di principio non può certo essere
esclusa, poiché la sfortunata coincidenza di un accumularsi di indizi
fuorvianti è evento astrattamente ben ipotizzabile anche se statisticamente improbabile.
Il problema della veridicità degli elenchi va tenuto distinto dal problema dell’appartenenza alla massoneria degli iscritti alla Loggia P2, e
proprio equivocando sui termini di tale discorso la generalizzata linea
difensiva sostenuta in sede di procedimenti disciplinari e giudiziari da
parte degli ailiati è stata quello o di negare in toto ogni forma di iscrizione o di afermare che essi ritenevano di ailiarsi alla massoneria e
non ad una sua loggia retta da regime particolare, in essa ricompresa.
Bisogna permettere in proposito il rilievo proposto dal commissario
Gabbuggiani relativo alla provenienza degli ailiati alla Loggia P2, che
la documentazione in nostro possesso ci mostra reclutati anche presso
comunioni massoniche diverse da quella di Palazzo Giustiniani. L’esistenza comprovata di logge coperte presso le famiglie di minor rilievo e
la contemporanea iscrizione di alcuni soggetti presso più organizzazioni
ci mostra un aspetto peculiare della Loggia P2, che veniva in un certo
senso a porsi come la struttura più qualiicata di questo variegato mondo
sommerso. L’individuazione di questa complessa realtà complica peraltro l’analisi delle posizioni singole. Per fare chiarezza in questo discorso
la Commissione ha efettuato due operazioni di sequestro di documenti,
acquisendo le schede di tutti gli iscritti alle comunioni di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù. La conoscenza dei dati, sia globali, sia analitici
che ne è seguita non consente peraltro di risolvere in via deinitiva il
224
Dalla P2 alla P4
complesso problema, i cui termini vanno chiariti adeguatamente sulla
scorta della ricostruzione efettuata nel capitolo precedente. Si è dovuto infatti constatare che in entrambe le organizzazioni non esiste una
forma di tenuta dei registri degli iscritti tale da consentire di afermare
con certezza se una persona data sia o meno appartenente a quelle comunioni. Centrando il discorso sulla famiglia di Palazzo Giustiniani (ma
in termini del tutto analoghi esso vale per la famiglia di Piazza del Gesù)
si è riscontrato che gli iscritti venivano nominativamente classiicati in
appositi schedari con schede mobili non numerate in ordine progressivo,
né secondo altro criterio che garantisse la non alterabilità del metodo
adottato. Ad un successivo livello di analisi − e sulla scorta di informazioni pervenute in possesso della Commissione − si è appurato che agli ailiati viene attribuito al momento dell’iscrizione un numero progressivo
che distingue il brevetto massonico consegnato singolarmente ad ogni
iscritto. È questo l’unico documento, al di là anche della tessera di appartenenza, che attribuisce la qualiica di massone e che come tale viene
internazionalmente riconosciuto. La Commissione avendo avuto notizia
dell’esistenza di registri contenenti le varie progressioni dei numeri di
brevetto, la cui esistenza è anche logicamente deducibile, ha provveduto
ad una seconda ispezione che ha dato risultati non apprezzabili perché,
non solo dei registri in parola è stata negata l’esistenza, ma in loro sostituzione sono stati esibiti dei bollettari relativi ad alcuni anni recenti, in
serie non completa perché alcuni risultavano mancanti ed in loro vece
era inserita la notazione: «consegnati alla Loggia P2».
Dalla narrativa di questi fatti emerge l’impossibilità concreta di stabilire con certezza, ai ini della nostra indagine, la consistenza della
comunione massonica di Palazzo Giustiniani, nonché di avere dati certi sulle ailiazioni massoniche di molti iscritti alla Loggia P2, perché
non è stata trovata in possesso di tali organizzazioni nessuna forma di
documentazione certa, sulla tipologia del registro dei soci nelle società
commerciali.
Al ine di mettere ordine nella materia, la Commissione ritiene di osservare quanto segue.
Premesso che comunque i fratelli coperti ailiati «sul ilo della spada» non venivano inseriti nei registri ordinari degli ailiati si può comunque identiicare un primo consistente gruppo di iscritti (175) alla
Loggia P2 per i quali siamo in possesso di dati che confermano l’iscrizione alla massoneria, al di là delle dichiarazioni degli interessati. Per i
restanti nominativi non si è in grado di confermare se l’ailiazione alla
Loggia P2 avvenne direttamente presso Gelli, con eventuale successiva
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
225
trasmissione dei dati al Grande Oriente, o in alternativa si trattò di ailiazioni alla comunione trasmesse poi alla Loggia P2.
Il problema non è nel suo signiicato reale una questione di ordine
meramente anagraico, poiché si inserisce nel contrasto che, come sappiamo, ha contrassegnato i rapporti tra Licio Gelli ed i Gran Maestri
sino al deinitivo impossessamento della Loggia P2 da parte del suo
Venerabile Maestro ed alla sua attività di ailiazione diretta, materialmente oiciata dal Gamberini, che aveva come punto di riferimento i
recapiti romani della sede di via Condotti e dell’hotel Excelsior; questa
attività era resa possibile dalla consegna di tessere in bianco da parte
dei Gran Maestri, che rappresentava una forma di delega incontrollata,
segno della loro resa al potere gelliano. Questa situazione, di indubbio
riscontro nella nostra ricostruzione, ribalta i termini del problema perché è certo che, nella seconda fase della Loggia P2, coloro che si accostavano a Gelli erano mossi dall’intento di aderire ad una organizzazione la
cui presenza era certo meno ignorata in ambienti qualiicati, di quanto
lo fosse presso il grosso pubblico; un’organizzazione che − per l’indipendenza che si era acquistata nell’ambito di una comunione che le prestava ormai solo formale copertura − esentava l’ailiato dall’osservanza
di rituali ed adempimenti di indubbio impaccio per l’iniziando mosso
da più terrestri motivazioni. Appare di palese evidenza infatti che la
pratica inesistenza di attività massonica di ordine rituale nell’ambito
della Loggia P2, non poteva che chiarire agli ailiati oltre ogni dubbio
che l’iscrizione veniva efettuata presso un organismo di natura afatto particolare quale la Loggia P2. Vero è quindi che la eventuale non
formalizzazione dell’iscrizione avvenuta presso la segreteria del Grande
Oriente era, dal punto di vista degli ailiati ininluente, attenendo essa
ai rapporti interni tra la loggia e l’organismo di cui essa era emanazione.
Rimane da ultimo da ricordare che alcuni iscritti alla Loggia P2, per
i quali sono state rinvenute le schede di appartenenza alla massoneria,
recano poi l’indicazione anagraica di essere usciti dall’organizzazione
per passare ad altra loggia. La Commissione in proposito rileva che sono
stati rinvenuti pie’ di lista di logge coperte (Emulation, Zamboni De
Rolandis) alle quali appartenevano «fratelli» ailiati peraltro contemporaneamente alla Loggia P2; e del resto il principio della doppia appartenenza appare sanzionato dalle Costituzioni massoniche (art. 15).
Queste considerazioni, unitamente alle perplessità più volte espresse
sulla regolarità della tenuta dei registri e della gestione delle procedure,
non consente pertanto di dare pieno e deinitivo aidamento a queste
registrazioni e non esclude che elementi che appaiono in transito nella
226
Dalla P2 alla P4
Loggia P2 fossero in realtà rimasti nell’ambito dell’organizzazione realizzando, attraverso l’exeat ad altra loggia, una forma ulteriore di copertura della loro appartenenza.
La Commissione ritiene in proposito di rilevare che la disinvoltura
con la quale la massoneria di Palazzo Giustiniani ha gestito la propria
segreteria ha inito per risolversi in un sostanziale danno per gli ailiati,
concretando in tal modo un lampante esempio di come la salvaguardia
della sfera dei diritti dei singoli vada ricercata, con primaria considerazione, nella trasparenza di ogni forma di vita associativa.
La struttura associativa della Loggia P2
Il complesso di documentazione pervenuto alla Commissione consente di formare un quadro suicientemente preciso in ordine alle
strutture organizzative della Loggia P2.
Il primo dato che emerge a tal ine dai documenti è l’assenza di quel
fondamentale momento di vita associativa costituito dall’assemblea
degli aderenti all’organizzazione, dalla riunione cioè nella quale i soci
dibattono i problemi dell’associazione, tirano i consuntivi dell’attività
svolta, programmano la vita futura ed inine procedono alla elezione
delle cariche sociali. In una associazione regolarmente costituita e isiologicamente funzionante, questa complessa attività interviene secondo
scadenze preissate in astratto, sulle quali il vertice non può inluire ad
arbitrio, ed è sottratta altresì ad un eventuale potere derogatorio dei
soci, promanando dallo statuto sociale.
Nulla di tutto questo è dato riscontrare nella Loggia P2. I documenti
al nostro studio, non abbondanti ma esaurienti ai nostri ini, e le testimonianze raccolte consentono di afermare che non solo una consimile
attività collegiale non ha mai avuto luogo, sia pure in modo episodico,
ma che di essa non si è nemmeno mai prospettata l’esigenza o quanto
meno contestata la mancanza.
Questa incontrovertibile constatazione può condurre a due diverse
soluzioni: ritenere non qualiicabile la Loggia P2 come associazione o
per converso riconoscerle natura associativa, tale peraltro da essere
coninata nella patologia di tale forma di vita di relazione.
La Commissione considera che questa sia la soluzione da accogliere,
per una serie di ragioni che possiamo elencare secondo l’ordine seguente.
È in primo luogo accertato che la Loggia P2 conosceva momenti assembleari di parziale portata. Sono infatti in possesso della Commissione
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
227
documenti che testimoniano di riunioni di gruppi di ailiati che per altro
non avvenivano secondo una calendarizzazione preissata, caratteristica tra l’altro di tutte le logge massoniche, quanto piuttosto per impulso
episodico del vertice dell’organismo. In secondo luogo è dato di sicuro
riscontro la presenza di strutture stabili che garantivano la funzionalità
dell’organizzazione in quanto tale, assicurando i contatti tra settori di
soci variamente identiicati: sono questi i diciassette gruppi costituiti
nella seconda fase, ai quali si aggiungeva il gruppo centrale guidato da
Gelli. Sotto il proilo strutturale è altresì da rilevare che l’organizzazione
aveva un vertice, ovvero un capo riconosciuto come tale dagli ailiati e
che questo vertice, modellato secondo una tipologia strettamente personalizzata andava individuato nella igura di Licio Gelli, poiché i riferimenti ad un vertice più allargato, che viene indicato come direttorio, non
trovano pratica attuazione secondo i documenti in nostro possesso. Terzo rilievo è che appare acclarato come una conoscenza interpersonale tra
i soci, in quanto tali, fosse certamente garantita dalle riunioni di gruppo:
è paciico cioè che gli ailiati entravano in contatto con altri ailiati, riconoscendosi reciprocamente tale qualiica. Il quarto argomento è relativo all’esistenza di un indubbio momento qualiicato, particolarmente
solennizzato nella iniziazione, attraverso il quale l’ailiato riconosceva
di aderire alla associazione accettandola in quanto tale. Va da ultimo
sottolineato, con riferimento alla sede, come dato certo, che la loggia
in quanto tale ha usufruito sempre di un punto di riferimento stabile in
modo continuativo (via Lucullo, via Cosenza, via Condotti, via Vico, via
Romagnosi). Per altro a tale sede può farsi riferimento nell’ultima fase,
solo per la sessantina di iscritti che igurano nel pie’ di lista uiciale. È
certo infatti che durante questo periodo, quello di maggior signiicato
e di più grande sviluppo, la gestione amministrativa e contabile venne
a trovare il suo punto di riferimento presso la segreteria personale del
Gelli, negli uici personali di Castiglion Fibocchi, mentre il vero centro
di attività del Venerabile e della loggia andava localizzato nella suite da
questi occupata presso l’hotel Excelsior, meta assidua di pellegrinaggi di
ailiati (e non) secondo le concordi testimonianze. Questa duplice localizzazione della reale sede della loggia ben rappresenta il rapporto di
totale predominio che Gelli aveva inine raggiunto nella Loggia Propaganda, anche nei confronti della comunione di Palazzo Giustiniani.
Gli argomenti che abbiamo esposti ci consentono di afermare non
solo che la Loggia P2 era oggettivamente costituita come struttura associativa ma che, in quanto tale, essa era soggettivamente considerata
dagli aderenti.
228
Dalla P2 alla P4
Il successivo passaggio è pertanto quello di stabilire secondo quali
modalità questa associazione si organizzava relativamente alle peculiarità del tutto singolari del suo concreto operare e delle sue inalità, quali
ci vengono mostrate dai documenti.
Riprendendo gli argomenti sopra esposti ci è dato osservare che una
connotazione ad essi comune è la settorializzazione dei rapporti tra gli
ailiati: non è tanto cioè che manchino del tutto strutture e modelli
propri di una associazione normalmente funzionante ad assumere rilievo, quanto piuttosto che essi sono presenti in forme che tendono ad
escludere la circolarità delle relazioni intersociali. Così manca l’assemblea generale, ma esistono assemblee di gruppo; così pure è assicurata
la conoscenza personale tra gli ailiati, ma è negato al socio il possesso
del dato conoscitivo relativo alla totalità degli altri associati: altro elemento questo, si noti, assolutamente caratterizzante una associazione
di tipo regolare. Questi rilievi ci consentono di osservare come la prima
manifestazione della patologia associativa della Loggia P2 risieda nella
sua struttura, modellata al ine di realizzare una sostanziale parcellizzazione della vita sociale e dei rapporti tra i soci2.
Tale assunto ci consente di pervenire all’acquisizione di un ulteriore
risultato interpretativo di estremo interesse. Non è chi non veda che
una struttura parametrata al modello descritto può avere possibilità di
concreto funzionamento solo postulando una direzione di vertici che,
superando la parzialità delle relazioni sociali ed in sé assumendole, consenta all’organizzazione di estrinsecare i propri contenuti. L’assenza infatti di un fondamentale momento di vita associativa quale l’assemblea,
comporta di necessità l’esistenza di un modello funzionale nel quale il
vertice provveda a quanto non realizzato dalla base: determinare, cioè,
le linee generali di azione della organizzazione.
Tale modello era per l’appunto quello della Loggia P2 nella quale il
Venerabile Maestro assumeva conigurazione di dominus assoluto
2
«Sintesi delle norme»: «Per una maggiore e più assoluta sicurezza non sarà mai
indicato il numero degli iscritti che prestino servizio nello stesso ente, organismo o amministrazione… tutt’al più l’elemento preposto a quel determinato
ente dovrà venire a conoscere i nominativi di circa un cinque per cento degli
iscritti a lui sottoposti». v. «Sintesi delle norme»: «…tra i compiti principali
dell’ente vi sono sia quello di adoperarsi per far acquisire agli amici un grado
sempre maggiore di autorevolezza e di potere perché, quanta più forza ognuno
di essi potrà avere, tanto maggior potenza ne verrà all’organizzazione stessa,
intesa nella sua interezza, sia quello di elargire ai componenti la massima assistenza possibile».
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
229
dell’associazione, non trovando di fronte a sé alcuna forma dì espressione consorziata della volontà degli ailiati. Come tale Licio Gelli non
ripeteva la sua posizione da procedimenti elettivi, dei quali non si ha
traccia alcuna, mentre per converso ci è noto che il Salvini ne decretò,
su impulso del Gamberini, l’elevazione al rango di Maestro Venerabile
rigidamente elettiva secondo gli statuti massonici.
Lo schema di funzionamento sociale, che abbiamo individuato ci
consente di afermare che la Loggia P2 si pone come una associazione
di assetto piramidale caratterizzato dall’assenza o dall’estrema labilità
dei rapporti orizzontali tra i soci. Ad essa corrisponde l’individuazione,
estremamente signiicativa, di una serie di rapporti verticali instaurati
tra la base ed il vertice, tra gli ailiati ed il Gran Maestro, ampiamente
documentati, in univoco senso, alla documentazione epistolare e dai riscontri testimoniali.
Questo modello funzionale era del resto esplicitamente portato a
conoscenza degli ailiati, secondo quanto si ricava da una lettera circolare dal Gelli inviata ai nuovi iscritti, nella quale è dato leggere: «Colgo
l’occasione per ricordarti che per qualsiasi tua necessità dovrai metterti
sempre in contatto diretto con me e che nessuno che non sia stato da
me esplicitamente autorizzato – della qualcosa ti darò preventiva comunicazione − potrà venire ad importunarti: qualora si dovesse veriicare
la deprecabile ipotesi che del resto è assai remota, per non dire impossibile − di un tentativo di avvicinamento da parte di persona che si presenti a te facendo il mio nome, sarei grato se tu respingessi decisamente
il visitatore e mi dessi immediata notizia dell’accaduto».
Il testo citato ofre alla nostra attenzione un duplice dato conoscitivo, perché, oltre alla puntuale descrizione della situazione di verticalizzazione dei rapporti sociali individuata come caratteristica strutturale
della Loggia P2, ci conduce alla prospettazione in termini conclusivi del
problema della segretezza dell’organizzazione.
La ricostruzione proposta della storia della loggia nell’ambito del
Grande Oriente ci ha consentito di afermare che, attraverso il processo
di ristrutturazione che intervenne a partire dalla Gran Loggia di Napoli
del 1974, la Loggia P2 venne a porsi in una condizione di segretezza
non più assimilabile alla riservatezza propria della tradizione massonica e tale da consentirci di deinire l’organizzazione come contrassegnata da una connotazione oggettiva, ovvero strutturale, di segretezza.
Quando adesso si considerino le raccomandazioni agli iscritti contenute
nella circolare riportata ci si avvede che in seconda analisi esse altro
non sono che una modalità attuativa della segretezza della loggia, ri-
230
Dalla P2 alla P4
portata all’estrinsecarsi delle relazioni sociali. La segretezza della loggia vale cioè non solo nei confronti dell’esterno, ma permea essa stessa
la vita dell’associazione, trovando nella igura del Maestro Venerabile
l’elemento esclusivo di contatto tra gli ailiati ovvero l’arbitro ultimo
delle relazioni sociali e della loro stessa riconoscibilità nell’ambito della
organizzazione.
Quanto all’esterno dell’organizzazione, nei confronti del mondo
«profano», la segretezza veniva sanzionata da un documento che issava le regole di comportamento dei soci. In questo singolare testo, intitolato «Sintesi delle norme», è dato leggere che l’ailiato deve evitare
di cadere in situazioni che possano condurlo ad «infrangere − anche se
involontariamente − la dura regola del silenzio». Una regola, questa,
che l’ailiato accettava sin dal momento del suo ingresso nella loggia,
quando, prestando giuramento, si impegnava a non rivelare i segreti
dell’iniziazione muratoria.
I riferimenti documentali riportati, richiamati dal commissario Bellocchio, ci consentono pertanto di afermare conclusivamente, completando il discorso impostato nel primo capitolo, che non solo la Loggia
P2 era organizzazione oggettivamente strutturata come segreta, ma
che essa, come tale, era soggettivamente riconosciuta ed accettata dagli
iscritti.
Dopo aver studiato la struttura dell’associazione, vediamo adesso
come essa si ponesse in relazione al perseguimento dei ini associativi,
nonché quali fossero la compartecipazione programmatica e la conoscenza reale dei soci in ordine agli scopi ultimi dell’organizzazione alla
quale avevano scelto di aderire.
Anticipando qui argomenti e conclusioni che costituiscono lo sviluppo successivo del presente lavoro, possiamo afermare che la Loggia P2
si delinea nettamente alla nostra attenzione come una complessa struttura dedita ad attività di indebita, se non illecita, pressione ed ingerenza sui più delicati ed importanti settori, ai ini sia di arricchimento personale, sia di incremento di potere, tanto personale quanto della loggia.
Questa ramiicata azione, perturbatrice dell’ordinato svolgimento
delle istituzioni e degli apparati, interessava i campi più svariati della
vita nazionale: dalla politica all’economia, dall’editoria ai ministeri.
Questa enunciazione consente alla Commissione di afermare, con
riferimento alla inalità immediata della Loggia P2, che essa era come
tale non solo conosciuta dagli aderenti, ma si poneva come motivo primo della loro adesione alla associazione. Entrare a farvi parte, infatti,
altro non denunciava se non la dichiarata e consapevole volontà di con-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
231
correre a tale azione perturbatrice per la parte di rispettiva competenza, ad essa apportando il patrimonio personale della propria capacità
professionale, delle proprie relazioni e delle inluenze esercitabili. In
questa prospettiva possiamo afermare che la inalità immediata della
Loggia P2 era, come tale, in pari modo conosciuta da tutti i membri
dell’associazione e da tutti, con pari impegno, perseguita, le diferenze
riscontrabili, rispetto a tale ine concreto, avendo ragione di essere solo
per il diverso ruolo da essi membri ricoperto nella società civile.
Possiamo osservare da ultimo che l’identiicazione della ragione associativa con questa inalità immediata altro non costituisce se non lo
sviluppo del tradizionale concetto di solidarietà massonica, che il Gelli, dando notizia agli iscritti della costituzione dei gruppi, così eicacemente individuava: «…solidarietà che, come sai, rappresenta il trave
maestro della nostra Istituzione…».
Notiamo allora che lo speciico apporto gelliano, nel consolidato
quadro di vita massonica, risiede nello sviluppo, sino alle estreme conseguenze, di fenomeni prima di lui esistenti: come dalla riservatezza
si passa per gradi alla deinitiva segretezza, con un compiuto salto di
qualità, così dalla tradizionale solidarietà, funzionale ad operazioni di
piccolo cabotaggio, si arriva alla dimensione afatto nuova di una operazione generalizzata di interferenza nella vita del Paese. È facile allora
osservare come i due fenomeni, secondo quanto ci mostra lo studio della vicenda della loggia, corrano in parallelo secondo un legame di intrinseca reciprocità, il primo essendo funzionale alla ambizione di propositi
del secondo.
Accanto, o meglio oltre, questo ine immediato la Loggia P2 si poneva
un ine mediato o ultimo al quale il primo era subordinato, e che verrà
analizzato e studiato nel capitolo concernente il progetto politico della
Loggia Propaganda: possiamo già dire, in tale sede, che il ine ultimo
della organizzazione risiedeva nel condizionamento politico del sistema.
Il problema che ci poniamo è quello di rilevare quale reale conoscenza
vi fosse presso gli ailiati in ordine a tale ultimo ine della Loggia P2, se
e con quale grado di intensità fosse in loro presente la percezione che il
concorso complessivo delle loro azioni, uniicate dal vincolo associativo
della loggia, tendeva al perseguimento del ine politico indicato: se cioè
essi fossero avvertiti della subordinazione del ine immediato, da tutti
condiviso, al ine ultimo della Loggia P2.
Dall’esame degli atti e della documentazione in nostro possesso non
risulta che il concorso della solidarietà tra ailiati pervenisse al riconoscimento esplicito di questo collegamento; questa inalità ultima, pe-
232
Dalla P2 alla P4
raltro, secondo l’ampia analisi che svolgeremo in seguito, costituisce la
connotazione generale del fenomeno piduista, più che come professata
dichiarazione intenzionale, in termini di implicita, sottesa direzione
delle azioni della loggia e dei suoi aderenti. A riprova di quanto afermato notiamo che il piano di rinascita democratica, del quale si farà analisi
particolareggiata, delinea lucidamente tale strategia, ma ad essa non
fa mai esplicito riferimento, come del resto è lecito attendersi attesa la
gravità dell’obiettivo.
Tale premessa ci consente di afermare in via induttiva, ma con verosimiglianza di risultato, che la consapevolezza del ine ultimo della
loggia non poteva che essere graduata a seconda del ruolo rivestito dagli
ailiati e − trattandosi di inalità squisitamente «profana», per restare
nella terminologia − non poteva che assumere a metro di paragone il
loro ruolo «profano», ovvero gli incarichi e le funzioni da essi ricoperti
nella società. In via esempliicativa ci sembra di poter evidenziare che,
rispetto a tale ultimo ine, il coinvolgimento del direttore dei Servizi
segreti fosse ben diverso da quello di un uiciale subalterno.
Di pari evidenza risulta che, per quanto invece attiene al ine immediato dell’organizzazione, diversa era la conoscenza delle attività della loggia a seconda dei settori di appartenenza; talché, tenendo anche
conto del grado di espansione delle attività, quanto avveniva nel settore
editoria coinvolgeva certamente gli appartenenti del gruppo Rizzoli, ma
non in pari misura, ad esempio, gli esponenti di vertice del mondo militare i quali, pur essendo a conoscenza della penetrazione nel settore,
ricorrevano alla intermediazione del Gelli per i contatti reciproci, secondo quanto dimostrano vari episodi di ingerenza nel Corriere della Sera,
gestiti, verosimilmente, dal Trecca.
Possiamo allora concludere che a livello di ini dell’associazione, immediati o ultimi che siano, si riscontra lo stesso fenomeno di parcellizzazione tra i soci rilevato a livello strutturale; conclusione questa che,
per la convergenza dei risultati interpretativi, non solo arricchisce il nostro patrimonio conoscitivo, ma attribuisce connotazioni di verosimile
attendibilità alla ricostruzione proposta.
Rimane da ultimo da precisare che il modello organizzativo studiato,
anche a livello di inalità dell’associazione, presupponeva che il possesso
completo della loro conoscenza risalisse soprattutto alla igura che vi fa
capo e quindi al Venerabile Maestro, la cui infaticabile attività è testimoniata da tutte le fonti e che risulta ben spiegabile in un contesto associativo così organizzato. La Loggia P2 ci appare allora, in tutta la sua
funzionale essenzialità, patologica, certo, rispetto ai modelli normali di
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
233
associazione, ma assolutamente idonea quale strumento destinato alla
gestione di una generale operazione di inserimento nel sistema a ini di
condizionamento e controllo. Il modello assunto è stato deinito «per
cerchi concentrici» dall’onorevole Rognoni e tale espressione ben rappresenta la settorialità di strutture e di relazioni sociali proprie dell’organizzazione.
Non è inine chi non veda come questa tipologia associativa, pur patologica, non sia peraltro del tutto nuova. Il Procuratore generale della
Repubblica, nei motivi di appello avverso la sentenza del Giudice istruttore del tribunale di Roma, ha infatti afermato, con riferimento al problema di segretezza, che «sembra quasi di vedere enunciate, per tabulas,
le regole del silenzio, omertà e sicurezza a cui si dovevano attenere gli
appartenenti ad organizzazioni terroristiche o maiose o camorristiche».
Analogo riferimento è proposto dalla sentenza del Consiglio Superiore della magistratura. Questi rilievi possono essere allargati ad un
più generale contesto interpretativo, poiché ci è dato osservare che da
tali organizzazioni, che si muovono nell’illegalità in forma organizzata,
la Loggia P2 mutua quella frammentazione dei rapporti sociali e quella
non conoscibilità, nei gradi intermedi, dei ini ultimi dell’organizzazione, che la stessa non liceità di tali ini rende indispensabili connotati
strutturali.
La posizione personale degli iscritti
L’analisi della struttura associativa che abbiamo sviluppato ci consente di afrontare il problema delle responsabilità degli ailiati in termini
corretti, evitando di dare adito a controproducenti polemiche. Partendo
infatti dalla distinzione tra ine immediato e ine ultimo della loggia ci
sembra naturale concludere che tutti gli ailiati erano responsabili di
appartenere ad una associazione che aveva il ine evidente di interagire
nella vita del paese in modo surrettizio.
Rispetto al ine ultimo invece, cui tale inquinamento era diretto, si
può afermare che la media degli ailiati ne era sostanzialmente non avvertita, per lo meno quanto alla sua concreta efettiva natura di pericolo
grave per la società civile. Questa generale esenzione non va peraltro
estesa a tutti coloro per i quali è lecito presumere che l’elevato incarico
ricoperto (pubblico o privato che fosse), ovvero la natura delicata delle
funzioni svolte non consentono errori di valutazione così macroscopici
o compromissioni di sorta nell’adempimento del proprio dovere.
234
Dalla P2 alla P4
Proseguendo nell’analisi del problema va ricordato che, in sede di procedimento disciplinare, alcuni uiciali hanno addotto a giustiicazione
della loro adesione l’invito loro rivolto da uiciali gerarchicamente sopraordinati, i quali avrebbero fatto intendere, più o meno velatamente,
che l’ingresso nell’organizzazione costituiva passaggio obbligato per lo
sviluppo della carriera. Se è di palese evidenza che un simile comportamento costituisce una aggravante per coloro che hanno esercitato simili
forme di pressione, lo spunto in esame si ofre ad alcune considerazioni
di più ampio respiro.
Il modulo di domanda per l’ailiazione alla Loggia P2 conteneva, oltre alle richieste di informazione che è dato attendersi in consimili occasioni, un’illuminante postilla: «…eventuali ingiustizie subite nel corso
della carriera:…;…danno conseguente:…;… persone, istituzioni od ambienti a cui si ritiene possano essere attribuiti:…».
Questi dati ci pongono di fronte all’esempliicazione palese del viziato rapporto associativo che sottostava a questo organismo, al malsano
intreccio di interessi che sin dal primo momento il Venerabile Licio Gelli proponeva e gli ailiati accettavano, quale base della mutua collaborazione futura. La sottoscrizione di questa domanda suona a disdoro
per tutti coloro che vi hanno apposto la loro irma, perché essi hanno
così denunciato la loro siducia nell’ordinamento quale fonte di tutela
e garanzia dell’individuo, aidandosi a tal ine ad una organizzazione
parallela e clandestina.
Soccorre qui naturale il richiamo alle organizzazioni maiose, già
proposto, e alla loro collaudata tecnica di porsi allo stesso tempo come
fonte di illegalità e di protezione contro l’illegalità da esse stesse creata,
che costituisce il cardine di una sostanziale operazione tentata di avocazione di poteri statuali, nella quale va individuata la maggior ragione
di pericolo di tali forme associative per la collettività. Analogamente la
Loggia P2 sperimentava nei confronti di coloro che venivano individuati come elementi utili per l’organizzazione, quando recalcitranti, forme
di pressione delle quali sono testimonianza, ad esempio, l’esperienza
dell’onorevole Cicchitto, che ha denunciato di essersi iscritto dopo una
persistente opera di pressione intimidatoria e le denunce degli uiciali
subalterni, sopra ricordate.
La valutazione della responsabilità degli iscritti va poi riportata,
secondo quanto ha osservato il commissario Battaglia, al momento di
appartenenza alla Loggia P2, distinguendo tra coloro che ad essa appartenevano prima dell’ingresso di Licio Gelli nell’organizzazione e coloro
che ad essa hanno aderito durante il periodo della gestione gelliana, con
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
235
particolare riferimento alla seconda fase caratterizzata dalla sostanziale
emancipazione dalle strutture massoniche che funzionavano oramai da
semplice copertura formale.
Contrariamente a quanto sostenuto dagli iscritti in sede di esami testimoniali, lo studio delle vicende del rapporto tra la loggia e le istituzioni massoniche che ad essa avevano dato vita, consente di afermare
che chi si ailiava alla Loggia P2 intendeva, soprattutto nel secondo periodo di sviluppo, accedere piuttosto che alla massoneria, per l’appunto
all’organizzazione guidata da Licio Gelli.
In questo senso, come abbiamo afermato che Gelli era un massone
atipico, così è dato osservare che gli ailiati alla Loggia P2 sono anch’essi massoni atipici tra i quali è dato distinguere una varia articolazione di
individui che va da veri e propri massoni ovvero da coloro che accedevano alla massoneria, accettandone per altro le peculiarità organizzative
della copertura − ed erano questi coloro che appartengono alla loggia
prima dell’arrivo di Licio Gelli – a coloro che entrano nella Loggia P2
sotto l’egida della gestione gelliana e che hanno un rapporto con l’istituzione massonica via via più labile, secondo la rilevata progressiva emancipazione della loggia.
Questa valutazione, che ci si ritiene in dovere di fornire sul comportamento degli iscritti, attiene alla valutazione politica, propria come
tale della Commissione ed alla quale la Commissione è doverosamente
tenuta, ed in nulla interferisce sulle deliberazioni che verranno prese in
proposito dai tribunali civili e militari, i quali sono tenuti, nella loro sovrana prerogativa giudiziaria, ad assumere criteri di giudizio di diversa
natura e di diverse conseguenze.
La Commissione, giunta al termine dei suoi lavori, ritiene per altro
doveroso afermare, con riferimento all’elemento della posizione personale degli iscritti, che non ci si può sottrarre all’impressione, ricavabile
soprattutto dal contesto delle audizioni efettuate, che l’elemento della
scarsa aidabilità e la approssimativa deontologia di comportamento
di molti ailiati abbiano giocato un ruolo determinante nella creazione del sistema di potere gelliano. In questo senso la storia della Loggia P2 è una storia di uomini sbagliati − una categoria del costume l’ha
deinita il commissario Mora – di uomini che non hanno risposto alla
iducia che in loro veniva riposta dalla società. Durante le audizioni la
Commissione ha riscontrato atteggiamenti negatori che contestavano
emergenze istruttorie sufragate prima ancora che da innegabili riscontri documentali, dalla logica stessa dei fatti ed ha potuto constatare che
tale atteggiamento accomunava, con sorprendente identità di tecniche
236
Dalla P2 alla P4
e di forme, uomini che avrebbero dovuto apparire del tutto diversi tra
loro per rango occupato nella società. Questo comune porsi di fronte
alla Commissione in posizioni di palese reticenza è del resto, vada detto
in loro danno, ulteriore conferma dell’ampiezza del fenomeno e della
sua eccezionale gravità.
Una precisazione inale è d’obbligo: la peculiarità della struttura
associativa e organizzativa della Loggia P2 e la distinzione sulla consapevolezza dei ini − immediati e ultimi − enunciata, comportano la
ricostruzione di un modello funzionale che non consente di ritenere
ciascun componente partecipe e responsabile di tutte le attività della
loggia. Se è vero, infatti, da un lato, che la compromissione degli ailiati
con un organismo di accertata illecita natura è complessivamente certa, vero è anche, dall’altro, che tale compromissione varia tra il minimo
della consapevolezza del ine immediato (propria della media di base)
ed il massimo della programmazione del ine ultimo eversivo, propria
dei vertici.
Di più: il tipo di organizzazione per settori verticali, operanti il più
delle volte con il sistema dei compartimenti stagni propri della Loggia
P2, fa sì che l’attribuzione alla loggia di determinate attività debba intendersi riferita non già all’intera associazione, sebbene solo al settore
competente nella relativa materia (così come, ad esempio, editoria, magistratura, commercio con l’estero, forze armate, eccetera).
In deinitiva e per concludere, ogniqualvolta si voglia risalire a responsabilità personali per attività imputabili alla loggia, occorrerà
procedere innanzitutto alla individuazione del “settore” dell’organizzazione competente per materia e quindi all’individuazione dei singoli
ailiati che di quel settore facevano parte.
Gli apparati militari e i Servizi segreti
La documentazione anteriore all’informativa Cominform
Per una corretta interpretazione del problema del rapporto instaurato
tra Licio Gelli ed i Servizi segreti è imprescindibile prendere le mosse da
un analitico e dettagliato esame dei documenti pervenuti ed in particolare dal fascicolo intestato a Licio Gelli, conservato negli archivi dei Servizi
di informazione, ed inviato dal Sismi alla Commissione. Questo fascicolo
verrà analiticamente studiato al ine di interpretare, nei suoi termini reali, il ruolo svolto dai Servizi segreti nella vicenda della Loggia P2.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
237
Dalla documentazione inviata apprendiamo che i Servizi si sono interessati per la prima volta di Licio Gelli nel 1945, nell’ambito di indagini
relative a due agenti nemici che avevano lasciato Pistoia al seguito dei
tedeschi. Da questa prima nota informativa apprendiamo che nel corso
delle indagini era infatti emerso che nel novembre 1944 un certo Gelli
si era presentato alla famiglia di uno dei due, cercando di scoprire se
questa sapesse dove il congiunto fosse riparato. I Servizi raccolsero a
questo punto notizie sul Gelli in questione e lo identiicarono in Gelli
Licio di Ettore e fu Gori Maria, nato il 21-4-1919 a Pistoia. Gelli, che si
trovava all’epoca e La Maddalena, fu sottoposto ad interrogatorio presso il Centro di Cagliari.
Nell’occasione raccontò che il 9 settembre 1943 si trovava a Viterbo
come tenente dei paracadutisti; venne rastrellato da un reparto tedesco
e, posto di fronte all’alternativa di aderire alla Repubblica di Salò o di
essere deportato in Germania, optò per la prima soluzione, rientrando
a Pistoia come uiciale di collegamento con le SS presso la Federazione
dei Fasci. Stando sempre a quanto dichiarato da Gelli, egli avrebbe quindi preso contatti con il Cln pistoiese e reso utili servizi ai partigiani. I
comandi nazifascisti, venuti a conoscenza di questa sua collaborazione,
gli diedero la caccia, istituendo una taglia di lire centomila (100.000) a
favore di chi lo avesse catturato. Con l’aiuto del Cln Gelli e la sua famiglia ripararono allora in montagna per rientrare in città soltanto dopo la
liberazione, avvenuta nel settembre 1944.
Nell’ottobre del 1944, sempre secondo le sue dichiarazioni, Gelli
fu chiamato a collaborare con il Counter Intelligence Corps al seguito
della V Armata, vale a dire con il servizio di controspionaggio militare americano, su indicazione del quale si sarebbe recato nell’abitazione
dell’agente nemico. I servizi resi gli consentirono nel dicembre del 1944
di recarsi a La Maddalena, munito di un lasciapassare rilasciatogli in
data 12 gennaio 1945 dal Presidente del Cnl di Pistoia, Italo Carobbi:
una specie di «lettera di raccomandazione» per il Cln di Napoli ainché
Gelli fosse aiutato «nel limite delle possibilità, nell’espletamento della
concessione del permesso per recarsi in detta località» (La Maddalena).
Già nell’ottobre del 1944 Italo Carobbi, a nome del Cln pistoiese, aveva rilasciato a Gelli una sorta di «carta di libera circolazione». Il rilascio
di questo attestato doveva aver suscitato critiche nell’ambito dello stesso Cln pistoiese, tanto che La Voce del Popolo (organo del Cln di Pistoia)
dovette uscire il 4 febbraio 1945 con un articolo di chiarimento sulla
vicenda. In questo attestato, che Gelli esibì nel corso dell’interrogatorio
cui fu sottoposto a Cagliari, si rileva che Gelli, pur essendo stato al ser-
238
Dalla P2 alla P4
vizio dei fascisti e dei tedeschi, si era reso utile in vari modi alla causa
dei patrioti pistoiesi.
Egli aveva infatti:
- avvisato partigiani che dovevano essere arrestati;
- messo a disposizione e guidato personalmente il furgone della
Federazione fascista per portare sei volte consecutive rifornimenti di viveri ed armi alla formazione di Silvano e alle formazioni di Pippo, dislocate in Val di Lima;
- partecipato e reso possibile la liberazione dei prigionieri politici
detenuti alla Villa Sbertoli.
La dichiarazione di Carobbi termina con questa frase: «Resta salva la
facoltà di esaminare con maggiore cura le attività svolte dal Gelli Licio,
onde stabilire deinitivamente la sua posizione».
Questo dunque il tenore della prima informativa su Licio Gelli agli
atti nei fascicoli dei Servizi.
Gelli fornì in occasione dell’interrogatorio cagliaritano la versione
dei fatti a lui più congeniale, ma ammise comunque la sua attività di
doppiogiochista e di delatore, e fornì in quell’occasione i nominativi di
quelle 56 persone che avevano attivamente collaborato con i tedeschi; la
lista che Pecorelli prometteva di rivelare nel successivo numero di O.P.,
quello che non sarebbe mai uscito.
Le due informative successive (luglio 1945 e gennaio 1946) contengono molte notizie sui trascorsi del Venerabile. Lette in parallelo con
le informative contenute nel fascicolo inviato dalla questura di Pistoia,
relative agli stessi anni, e con il fascicolo inviato dal Tribunale di Pistoia,
ci consentono la seguente ricostruzione.
1936: Gelli si arruola volontario nell’ex Mvsn proveniente dalla
Gil Partecipa alla guerra di Spagna.
1940: Si iscrive al Partito nazionale fascista, proveniente dai Guf.
1942: È chiamato a Cattaro (Jugoslavia) da Alzona, ex federale di
Pistoia. Qui diviene uomo di iducia di Parini, segretario dei fasci
italiani all’estero. Resta a Cattaro ino al 25 luglio 1943.
1943: Aderisce alla Repubblica sociale italiana. È uno dei primi
a costituire a Pistoia il fascio repubblicano. Diviene uiciale di
collegamento con le SS. È attivo nel rastrellamento dei prigionieri inglesi e degli antifascisti. Fa arrestare il parroco di San
Biagio in Cascheri che a suo dire avrebbe favorito alcuni di essi.
Capeggia le squadre per il rastrellamento dei renitenti alla leva;
è complice dell’arresto di quattro di essi, poi fucilati nella fortezza di Pistoia.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
239
1944 − 26 giugno: Partecipa, con la formazione partigiana di Silvano Fedi, all’attacco alle carceri giudiziarie di Pistoia, Villa Sbertoli, che consenti la liberazione di 57 detenuti politici e di due
ebrei.
1944 − 28 agosto: È ucciso il commissario capo di PS presso la
questura di Pistoia, Giuseppe Scripilliti, che collaborava con i
partigiani. Gli fu teso un agguato proprio mentre stava portando
al capo partigiano Silvestro Doli un elenco di fascisti repubblicani e di collaboratori dei tedeschi. Gelli fu coinvolto in questo
delitto dalle deposizioni rese nel 1947 da Doli, al quale il nominativo di Gelli come sicario di Scripilliti era stato fatto da un
altro partigiano, Michele Simoni. Il Simoni però, in seguito alle
indagini personalmente compiute, modiicò in un secondo tempo i suoi convincimenti e ritenne Gelli estraneo al delitto.
1944 – settembre: Dopo la liberazione di Pistoia, Gelli è oggetto
di rappresaglie: l’11 novembre è aggredito in piazza San Bartolomeo.
1944 − 2 ottobre: Primo attestato di Carobbi (carta di libertà di
circolazione).
1945 − 12 gennaio: Secondo attestato di Carobbi.
1945 − 4 febbraio: Sul settimanale La Voce del Popolo appare un
articolo intitolato: «Un chiarimento del Cpln». Si giustiica il rilascio dell’attestato del 2 ottobre 1944.
1945 – febbraio: ritornando clandestinamente dalla Sardegna è
arrestato nei pressi di Lucca dalla polizia militare alleata.
1945 − 22 marzo: La procura del Re di Pistoia emette nei suoi
confronti mandato di cattura per i delitti commessi durante il
regime fascista (sequestro di Giuliano Bargiacchi, iglio di un collaboratore dei partigiani).
1945 − 21 aprile: È condannato in contumacia dal Tribunale di
Pistoia a due anni e sei mesi di reclusione per sequestro di persona e furto.
1945 − 11 settembre: in relazione al sequestro Bargiacchi è arrestato a La Maddalena.
1946 − 20 marzo: Sempre per lo stesso episodio ottiene la libertà
provvisoria ed è rinviato da La Maddalena a Pistoia.
1946 – 25 marzo: Il procedimento penale presso la corte d’assise
straordinaria, provocato da una denuncia del colonnello dell’aeronautica Ferranti Vittorio (a suo dire Gelli avrebbe organizzato
rastrellamenti di prigionieri inglesi), è trasmesso, con la richie-
240
Dalla P2 alla P4
sta di proscioglimento per insuicienza di prove, alla Corte d’appello di Firenze che dispone invece l’istruttoria formale.
1946 – 1° ottobre: In relazione al sequestro Bargiacchi è assolto
dalla Corte d’appello di Firenze perché il fatto non costituisce
reato.
1946 − 30 novembre: Nella cartella biograica intestata a Licio
Gelli presso la prefettura di Pistoia leggiamo, nel riquadro riservato alla situazione economica: «Nullatenente. È aiutato dai parenti, mentre egli si industria con il piccolo commercio».
1947 − 7 gennaio: È iscritto nel Casellario politico centrale del
Ministero dell’interno e sottoposto ad «attenta vigilanza».
1947 − 27 gennaio: Il processo penale iniziato a seguito della denuncia di Ferranti si conclude con sentenza assolutoria per amnistia della sezione istruttoria della Corte d’appello di Firenze.
1947 − 11 settembre: ottiene il passaporto per la Francia, Spagna, Svizzera, Belgio ed Olanda.
1948 − 9 luglio. Per quanto concerne la posizione del Cpc, la vigilanza è ridotta da «attenta» a «discreta».
1949 − 12 aprile: Il Tribunale di Pistoia lo condanna all’ammenda di lire 1.400 per contrabbando e frode dell’Ige. La pena è sospesa.
1950 – 24 marzo: È radiato dal Cpc.
Questo è dunque il quadro che emerge dalle informative precedenti
il settembre 1950.
L’informativa Cominform ed i suoi sviluppi
Il 20 gennaio di quell’anno perviene ad un Centro Sifar periferico
una nota proveniente dall’Uicio romano (nei documenti dei Servizi
inviati alla Commissione, le indicazioni dei mittenti e dei destinatari
sono sempre cancellate e non è quindi possibile stabilire con certezza
la provenienza e la destinazione delle note). L’Uicio scrive al Centro
periferico che «Organo collaterale ha segnalato quale sospetto agente
del Kominform tale Gelli, non meglio indicato, da Pistoia» e chiede di
svolgere accertamenti. Nel febbraio (il 24) il Centro risponde all’Uicio che il Gelli segnalato deve identiicarsi in Gelli Corrado, né peraltro
l’organo rispondente fornisce alcuna spiegazione circa l’identiicazione
proposta, per quali motivi cioè la notizia in possesso della sede centrale
possa essere riferita ad un nominativo (Gelli Corrado) con esclusione di
un altro (Gelli Licio).
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
241
Nel settembre successivo il Centro periferico invia all’Uicio il documento noto come informativa Cominform, smentendo così la sua precedente segnalazione. Anche in questa seconda occasione il Centro non
fornisce alcuna spiegazione di tale invero strano modo di procedere,
poiché non rende ragione né di questa sua seconda deinitiva identiicazione, né delle ragioni dell’errore nel quale era incorso precedentemente, quando tale identiicazione aveva negato.
Risalta in altri termini, dalla corrispondenza che accompagna l’informativa, un quadro invero singolare di rapporti tra una sezione periferica subalterna ed il centro che mal si concilia con la subordinazione
gerarchica esistente tra i due organi corrispondenti; la corrispondenza
che accompagna il documento appare in tale contesto più il pretesto
formale, burocraticamente indispensabile, per l’incardinamento dell’informativa nel fascicolo, che la reale rappresentazione cartolare di una
procedura di acquisizione di notizie tra organi posti in posizione di subordinazione gerarchica e funzionale. Nel rapporto si sostiene che Gelli,
legato al partito comunista in dal 1944, è per lo meno dal 1947 un
agente dei servizi segreti dell’Est (Kominform). Avrebbe mascherato
questa sua attività dietro quella di industriale e commerciante prima
(trailati di ferro e di rame), e di libraio in un secondo momento. Nella necessità di ottenere a tutti i costi un passaporto, il Gelli si sarebbe
iscritto prima alla Democrazia cristiana, quindi al Partito monarchico e
inine al Movimento sociale italiano. Vanterebbe relazioni con eminenti
personalità politiche ed è in grado di spendere quantità di denaro esagerate rispetto alle sue probabili entrate.
L’informativa descritta dà luogo ad un unico accertamento successivo in ordine ai gravi elementi informativi in essa contenuti.
Il solito Centro periferico comunica all’Uicio centrale il risultato
dell’unico riscontro che era stato efettuato in ordine alle notizie contenute nell’informativa: la libreria di Gelli era stata sottoposta ad attenta
sorveglianza e l’attività in essa svolta dal Gelli non aveva dato luogo a
nessun sospetto.
Non era inoltre risultato che al Gelli fosse stata perquisita l’abitazione perché sospettato di traico d’armi e di spionaggio a favore dei paesi dell’Est, né tanto meno risultava che egli fosse stato segnalato dalla
questura di Livorno quale elemento in relazione con una banda di contrabbandieri di armi e di esplosivo (queste ultime afermazioni erano
anch’esse contenute nel rapporto).
Dopo una nota in data 1953, che riepiloga in termini molto blandi il
tenore dell’informativa, segue nel 1960 un ultimo documento nel quale
242
Dalla P2 alla P4
il Gelli viene sostanzialmente presentato come un uomo di afari che
non si occupa più di politica. A partire da questa data cade il silenzio
su Gelli per ben 13 anni, per arrivare al 1973, quando con una nota si
chiede se è possibile identiicare Gelli con tale Luigi Gerla, segnalato nel
1964 per avere reso servizi ai Servizi segreti ungheresi (Avh). Nella stessa nota si sostiene che «il soggetto aferma di avere avuto connessioni
con il Sifar e sembra avere connessioni con i circoli ungheresi».
La documentazione successiva all’informativa Cominform
Nel fascicolo proveniente dal Sismi quindi sono contenute due note
scritte, nel 1972 e nel 1974, da uiciali del Centro di Firenze su incarico
dell’allora comandante del Raggruppamento Centri; dal loro testo emerge che Gelli avrebbe afermato, in data precedente il giugno 1971, di essere un agente del Sid. La conidenza fu fatta a più persone, alle quali Gelli
forni anche una serie di elementi di riscontro, risultati poi attendibili;
tra questi il suo nome di copertura nel Servizio, che era quello di Filippo.
Nell’occasione le note aggiornavano il quadro delle conoscenze politiche
del Gelli e gettavano luce sull’ultimo periodo frusinate. Gelli si era infatti
trasferito nel 1962 a Frosinone come uomo di iducia del commendator Poferi, proprietario della Permalex, che lo aveva nominato direttore
dello stabilimento locale. Risale a questo periodo l’episodio delle commesse di materassi per le forze armate Nato, ottenute dal Poferi grazie
alla intermediazione di Gelli, ma qualcosa d’altro avvenne poi a Frosinone perché Gelli è accusato nella nota del 1974 di essersi appropriato di
trecento milioni della Permalex. Comunque alla ine del 1967 Licio Gelli
lasciò Frosinone per Arezzo, passando ai materassi della società Dormire,
dove comincia il suo rapporto con i fratelli Lebole. Per la prima volta nella
nota si parla dell’appartenenza di Gelli a logge massoniche.
Come è ammesso nella lettera di trasmissione (l° settembre 1981)
le due note non partirono mai per Roma ed il perché possiamo capirlo
leggendone un brano signiicativo: «Dopo qualche giorno lo stesso Comandante del… mise al corrente il Comandante di questo Centro che
l’allora Comandante del Reparto D era andato su tutte le furie per le
indagini svolte sul conto di Gelli. Infatti qualche tempo dopo lo stesso
Comandante del Reparto D rimproverò personalmente il Comandante
di questo Centro di aver ubbidito al Comandante del… nello svolgere indagini su Gelli, persona, secondo lo stesso, inluente e utile al Servizio,
minacciandolo, per altro, di restituirlo all’Arma territoriale».
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
243
L’interesse della vicenda sta nella a dir poco singolare disparità di
trattamento che i Servizi di informazione riservano a Gelli in sede periferica ed in sede centrale; ma questa incrinatura che si intravede nell’atteggiamento dei Servizi nei confronti di Gelli va letta unitamente ai dati
che analizzeremo relativamente al 1974, l’anno che il commissario Crucianelli ha deinito il momento di diicoltà di Licio Gelli.
Il 1974 è infatti anche l’anno della prima relazione sul «gruppo Gelli»
inviata alla magistratura dall’allora direttore dell’Ispettorato per l’azione contro il terrorismo, Emilio Santillo; ad essa, trasmessa nel dicembre del 1974 al giudice Tamburino, titolare dell’inchiesta sulla Rosa dei
venti, ne seguiranno altre due rispettivamente nel dicembre del 1975 e
nell’ottobre del 1976. La seconda fu trasmessa al giudice Zincani che indagava su Ordine nero, la terza ai giudici Pappalardo e Vigna, impegnati
nell’inchiesta sull’omicidio del giudice Occorsio.
Queste tre relazioni sono di fondamentale importanza nell’ambito
della nostra storia poiché dalla loro lettura si evince che Santillo aveva lavorato isolatamente e non aveva potuto accedere, nello svolgere le
sue indagini, al fascicolo, o ai fascicoli su Gelli in possesso dei Servizi.
L’Ispettorato infatti per ricollegarsi ai trascorsi fascisti del Venerabile
ricorre come fonte soltanto alla citazione di alcuni brani di documenti
redatti dai massoni democratici. Santillo sostanzialmente centra, nelle
tre relazioni, i collegamenti tra Gelli e gli ambienti massonici legati al
generale Ghinazzi (comunione di Piazza del Gesù) con l’eversione nera,
disegnando una aggiornata mappa della «massoneria nera», e parla per
la prima volta di inanziamenti massonici a gruppi dell’estrema destra
(golpe Borghese).
L’ispettore Santillo denota, nella sua attività investigativa, un crescente interesse per Licio Gelli, per il quale sin dalla prima nota (1974)
aferma «… la cui Loggia deinita anche “Raggruppamento Gelli” potrebbe signiicare che il gruppo aveva una destinazione di attività diversa da quella speciica della massoneria».
Di notevole interesse è inine la terza nota (1976) che verte completamente, con notizie suicientemente precise e puntuali, su Gelli e sulla
Loggia P2 e nella quale è dato tra l’altro leggere: «In occasione della recente campagna elettorale, egli avrebbe inviato ad alcuni “Fratelli”, suoi
intimi, un documento propagandistico, decisamente antimarxista, con
cui si invita la Democrazia cristiana ad uscire dalla grave crisi in cui versa
il Paese, attuando un vasto piano di riforme: controllo radio-televisivo,
revisione della Costituzione, soppressione dell’immunità parlamentare,
riforma dell’ordinamento giudiziario, revisione delle competenze delle
244
Dalla P2 alla P4
Forze dell’Ordine, sospensione, per due anni, dell’azione dei Sindacati e
il bloccaggio dei contratti di lavoro».
Non è diicile rinvenire in questa informazione gli estremi del piano
di rinascita democratica, con elementi che ci orientano a ritenere che
il riferimento sia da riportarsi a tale documento o ad un suo estratto o
riassunto.
Nelle informative dei Servizi su Gelli, redatte in quegli stessi anni
e negli anni successivi, non vi è peraltro traccia delle relazioni Santillo e dovremo attendere il 1979 per sentire nuovamente parlare, in un
appunto redatto dalla questura di Arezzo, di inanziamenti massonici
all’eversione.
Nel 1974 anche l’Uicio I della Guardia di Finanza si interessò a Licio
Gelli, predisponendo nella primavera tre relazioni, alle quali non fu riservata una sorte migliore di quella toccata alle due note del Centro Sid
di Firenze prima ricordate.
Le indagini sembra che furono avviate su richiesta dell’Ispettorato
antiterrorismo di Santillo − in relazione a quelle svolte su Lenzi Luigi di
Quarrata (P2), sospetto di traico di armi − e furono aidate dal comandante dell’Uicio I, colonnello Florio, al tenente colonnello Giuseppe Serrentino, al maggiore Antonino De Salvo ed al capitano Luciano Rossi. Il
più completo dei tre rapporti è senza dubbio quello del maggiore De Salvo che riferisce delle nuove attività economiche di Gelli e degli incarichi
ricoperti in due società del gruppo Lebole nel settore dell’abbigliamento:
la Giole e la Socam. Circa la posizione politica di Gelli, la qualiica «spiccatamente destrorsa», dopo aver peraltro riferito che il Gelli «in Pistoia
sino al 1956 era di orientamento comunista»; il rapporto si dilunga sulle
amicizie e sui rapporti politici e con le autorità civili e militari di colui che
indica come «un alto esponente della massoneria internazionale» ed afferma che proprio attraverso la massoneria passerebbero i suoi rapporti
con Peron e Campora (nel 1973 ha ricevuto la nomina a console onorario
d’Argentina). Il maggiore dà anche notizia dei rapporti di Gelli con i paesi
arabi ed avanza l’ipotesi che egli svolga funzioni di public relationman
per i rapporti non palesi e non uiciali intrattenuti dall’Italia con Stati
arabi, chiedendosi se ciò non sia in relazione al traico di armi. Questo
ilone di indagine non fu più ripreso da nessun apparato informativo,
nonostante nel rapporto si documenti in modo certo il contatto tra Licio
Gelli e Luigi Lenzi. Il rapporto accennava anche al sicuro possesso, da
parte del Centro di Firenze, di un fascicolo personale intestato a Licio
Gelli, del quale non gli fu possibile prendere visione. Le indagini svolte su
Licio Gelli non sembra giovarono agli uiciali che se ne erano occupati. Il
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
245
maggiore De Salvo appare iscritto alla Loggia P2; Luciano Rossi ini suicida dopo essere stato, come sembra, minacciato da Gelli; Serrentino abbandonò il Servizio per infermità; quanto al colonnello Florio, dopo aver
subito una vera e propria persecuzione nell’Arma con l’arrivo di Giudice
e Trisolini (su Giudice, a dire della vedova, aveva raccolto uno scottante
dossier), morì in un incidente d’auto.
Ai ini dell’analisi successiva quello che preme qui rilevare è che
il 1974 è l’anno in cui certi settori dei Servizi (Centro Sid di Firenze,
Ispettorato antiterrorismo, Uicio I della Guardia di Finanza) si sono
attentamente interessati di questo «personaggio emergente». Il quadro
complessivo che viene fuori da una lettura combinata dei rapporti è ancora oggi pienamente valido e signiicativo, e tanto più ci colpisce in
quanto compilato nel 1974, l’anno che segna, come vedremo, l’apice del
fenomeno terroristico, di connotazione nera in Italia.
Continuando la lettura del fascicolo del Sismi, troviamo una nota datata 1977, quando in seguito ad un articolo apparso su l’Unità il Servizio,
sollecitato dal ministro della difesa, risponde di non avere «sinora sviluppato speciiche attività di ricerca sulla massoneria» e con riferimento a
Licio Gelli aferma che «è risaputo che il noto Licio Gelli ha intrattenuto ed intrattiene rapporti con varie personalità di rango elevato, sia in
campo nazionale che in quello internazionale». Il Servizio è soltanto a
conoscenza che «il Pci ha recentemente deciso di ridimensionare la forza
e l’inluenza delle logge massoniche italiane, ritenute “centri di potere”
capaci di intralciare le attività politiche ed economiche del partito».
A tal ine avrebbe intrapreso una campagna di stampa che, accusando
la massoneria di «inquinamento fascista», tende solo a screditarla. Per
concludere su questa nota, vale la pena di sofermarsi su quanto il Servizio scrive in materia di sua stretta competenza e sull’inefabile rinvio
all’ortodossia massonica per escludere la consistenza del reclutamento
massonico di quattrocento uiciali dell’esercito («Al riguardo è da rilevare, oltretutto, che detta procedura sarebbe stata assolutamente non
aderente ai metodi propri del proselitismo massonico, che prevede la
presentazione individuale degli elementi da iniziare, da parte di garanti,
già appartenenti all’organizzazione»).
Nel 1978, inine, sotto la gestione del generale Santovito, il Servizio
redige una relazione sull’argomento, che verte peraltro non sulla Loggia
P2 e su Licio Gelli, ma sulla massoneria in generale. Il documento viene
approntato per consentire al ministro della Difesa di documentarsi in
seguito alla presentazione di una interrogazione dell’onorevole Natta
alla Camera dei deputati.
246
Dalla P2 alla P4
Dopo un lungo excursus storico, il documento aferma che è «opinione difusa» ritenere che la massoneria italiana, spinta da quella americana, si sia intromessa in note vicende politiche (si citano la scissione
di Palazzo Barberini, l’estromissione del Pci dal governo De Gasperi,
l’introduzione del Psi nell’area di governo, il divorzio, la scuola laica),
ma bisogna riconoscere che il suo peso in tali vicende è indiretto, ed
è soltanto dovuto alla presenza di «fratelli» in Parlamento, negli enti
locali, nella dirigenza statale, nell’industria, nella inanza e così via. Su
istigazione del comunismo internazionale, leggiamo nella pagina successiva, si tende a disgregare la massoneria, ma per fortuna Gamberini,
a partire dal 1974 (lapsus freudiano?) ha cominciato ad espellere falsi
fratelli antimassonici, afaristi e intrallazzatori.
Si sostiene quindi che di fronte all’alternativa del compromesso storico
si è scatenata in seno al Grande Oriente un’aspra lotta tra gruppi sostenuti da forze interne ed internazionali. I gruppi che fanno capo a Salvini e a
Gelli (recentemente giunti ad un accordo), in contrasto con il gruppo degli
ex di Piazza del Gesù, sostengono la linea dell’attuale governo Andreotti
di coinvolgimento del Pci, che porterà inevitabilmente o al compromesso storico o al totale rigetto del comunismo. Si rileva quindi che l’azione
mondiale della massoneria è ispirata dalla direttiva economico-politica
che viene dagli Usa e dall’Inghilterra; si chiariscono i termini di questo
collegamento Usa-massoneriaitaliana. L’intera azione sarebbe sostenuta
dalla «Trilateral Commission», organismo creato da David Rockfeller nel
1973, che potrebbe a sua volta essere una emanazione della massoneria
internazionale. Farebbero parte della Trilateral circa 180 uomini politici
e militari americani e una trentina di europei occidentali e giapponesi.
Si legge inoltre che «sui presunti collegamenti della massoneria con
attività criminose contingenti è noto soltanto che da tempo stanno indagando, in particolare, la magistratura iorentina e quella romana e
che in genere le persone chiamate in causa hanno risposto alle denunce
con l’inoltro di querele».
Quanto alla difamatoria campagna del Pci promossa contro la massoneria, questa è anche sostenuta dalle giovani leve socialiste, interessate a screditare il gruppo dei vecchi notabili del partito, in genere ritenuti
massoni. Inine, il documento conclude che «la massoneria, nell’ambito
delle Forze Armate, ha un’inluenza modesta e non certo tale, nonostante la propaganda in contrario, da riuscire a distorcere le leggi che
regolano la progressione delle carriere e l’assegnazione degli incarichi».
Il documento esaminato costituisce un esempio probante di disinformazione mirata, in quanto è sostanzialmente centrato su una serie
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
247
di valutazioni politiche, concernenti il ruolo del partito comunista, ma
anche di altri partiti, mentre difetta in modo esemplare di informazioni
e notizie precise. Nulla si dice infatti di concreto sulla massoneria, per la
quale ci si riporta ad informazioni tanto più puntuali quanto più lontano nel tempo è il periodo al quale sono riferite; ma soprattutto notiamo
che esso è del tutto carente di notizie concernenti Licio Gelli e la Loggia
massonica P2.
Non meno singolare uno degli ultimi prodotti della gestione del generale Santovito agli atti nel fascicolo del Sismi; la data della declassiicazione è quella del 3 aprile 1981 ed il documento va letto attentamente,
ponendolo in relazione a quello appena illustrato, poiché assai istruttivo è il combinato disposto dei due testi, che ci mostra un indubbio
tentativo di continuità nella linea tenuta dai Servizi di informazione,
pur di fronte al precipitare degli eventi.
In questo secondo documento, che può essere compreso nel suo valore reale solo ponendo attenzione alla circostanza che esso viene redatto dopo il sequestro di Castiglion Fibocchi, è dato leggere che dopo i
trascorsi contatti con la resistenza, «richiede molta attenzione l’ipotesi
che il Gelli sia stato posto “a dormire” (e non in senso massonico), abbia
assunto una nuova veste, sia stato favorito per penetrare i più delicati
ambienti politici, economici, industriali, militari, della magistratura,
del giornalismo e professionali». Sempre sul Gelli il Servizio aferma che
«solo l’esplosione del caso poteva richiamare l’attenzione su un personaggio liberatosi da oltre un trentennio da un passato ambiguo e trasformatosi, da abile attore, in un manager di interesse per le questioni
economiche e politiche del Paese». Queste conclusioni vengono dal Servizio ricondotte all’esame dei documenti in possesso, e da noi analizzati
sinora, ed in particolare dall’esame dell’informativa Cominform e dai
trascorsi legami del Gelli con il partito comunista, in ragione dei quali «sembra possibile ritenere verosimile quanto sostenuto in rapporti
dell’epoca, e cioè che il Gelli aveva avuto salva la vita in cambio di future
prestazioni per le quali fu sottoposto successivamente a veriiche».
Tutto quanto sinora detto si riporta all’assunto che «i documenti citati hanno esclusivo valore informativo e non di prove».
Ma ai nostri occhi ciò che veramente ha valore di prova è che il Servizio per la prima volta denuncia l’esistenza dell’informativa Cominform
e delle notizie in essa contenute, elementi questi sinora accuratamente
celati e dei quali ci si era ben guardati dal fare menzione nei rapporti
precedenti, quale che fosse l’autorità richiedente. L’informativa consente
così al Servizio di non escludere «Che il Gelli possa essere divenuto un
248
Dalla P2 alla P4
agente dell’Est nell’immediato dopoguerra in cambio della salvezza, sia
stato successivamente “congelato” secondo la metodologia più classica
propria dei Servizi segreti, sia stato fatto gradualmente penetrare in settori sensibili e tenuto alla mano per lo sfruttamento delle occasioni più
propizie». Sono tutte queste notizie e valutazioni certo verosimili, ma
alla base delle quali sta il difetto di origine di venire formulate solo dopo
il sequestro di Castiglion Fibocchi, in un documento che letto − in parallelo a quello precedentemente analizzato denuncia la sua inequivocabile
natura di uscita di sicurezza da una situazione che vedeva il Servizio ben
più pesantemente coinvolto nel fenomeno oggetto del rapporto, secondo l’analisi e le conclusioni alle quali si perverrà nel paragrafo successivo.
Analisi dei documenti
Si è ritenuto di fornire una illustrazione analitica dei documenti in
possesso della Commissione su questa materia, in primo luogo perché
questo è argomento assolutamente centrale per la comprensione del
personaggio Gelli e della sua invero resistibile ascesa e per la spiegazione dell’accumulazione di potere che ha inito per conluire in capo ad
un personaggio che molti ailiati, in sede di audizione, si sono trovati
concordi a deinire modesto e di mediocre cultura, non avvertendo forse
come una simile afermazione inisse, in ultima analisi, per tornare a
loro personale disdoro.
Una esposizione sistematica e dettagliata dei documenti si è inoltre
resa necessaria perché essi sono suscettibili di analisi e possono fornire elementi conoscitivi non solo e non tanto per quello che ci dicono
esplicitamente ma altresì per quanto in essi non viene detto, ovvero per
quanto è implicitamente contenuto: per le omissioni come, se non forse
più, per le azioni informative; poiché questa è, quant’altra mai, materia
nella quale la rappresentazione documentaria e cartolare degli eventi e
dei fenomeni risponde a sue proprie peculiari modalità e prerogative.
Partendo da questo assunto metodologico possiamo in prima approssimazione distinguere le fonti informative su Licio Gelli in due gruppi:
quelle provenienti dai Servizi di informazione propriamente detti − e
quindi nell’ordine Sifar, Sid e inine Sismi e Sisde – e quelle provenienti
da organi informativi pubblici di diversa natura: Guardia di Finanza e
Ispettorato generale antiterrorismo.
Dedicando la nostra attenzione al primo gruppo − premessa la considerazione che il materiale pervenuto alla Commissione ofre garanzia di
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
249
rilettere con genuinità quanto esistente sul conto di Gelli negli archivi
dei Servizi, essendo l’invio stato operato sotto la nuova gestione immune da inluenze piduiste − conviene innanzitutto farne un rilievo in
termini quantitativi constatando come da esso risulti una consistente
attività informativa dedicata al personaggio sino al 1950, alla quale si
contrappone una carenza di produzione documentale nella fase successiva, tale da consentire di afermare tranquillamente che dopo il 1950 il
fascicolo Gelli diventa praticamente inesistente, salvo poche eccezioni.
La cesura tra questi due così diversi atteggiamenti dei Servizi nei confronti di Licio Gelli è segnata dall’informativa Cominform che cade per
l’appunto nel 1950 e che segna praticamente l’inizio della ine, si consenta
il bisticcio, del fascicolo Gelli, dato questo che non può che colpire l’attenzione dell’osservatore in quanto non solo l’informativa costituisce il
documento di gran lunga più esauriente sul personaggio, acquisito agli
archivi del Servizio, ma perché proprio in ragione della gravità delle informazioni e valutazioni in essa contenute, lungi dal segnare la cessazione
delle segnalazioni e delle note dedicate all’interessato, avrebbe dovuto
inaugurare, a rigor di logica, una stagione di più ampia documentazione.
Rileviamo quindi una prima contraddizione, che caratterizza l’atteggiamento dei Servizi nei confronti di Licio Gelli, che possiamo indicare nella circostanza che essi cessano praticamente di occuparsi di
lui proprio quando dovrebbero iniziare, avendolo schedato negli archivi
quale «pericolosissimo» elemento sovversivo, probabile agente dei paesi dell’Est. È questa una contraddizione che nasce dall’interno stesso
della documentazione fornita dai Servizi, alla quale corrisponde la contraddizione rilevabile altresì da un approccio esterno al problema, prescindendo cioè dal fascicolo in esame, quando si rilevi che la mancata
attività informativa sul Gelli da parte dei Servizi contrasta altresì con
il peso che il personaggio viene via via acquistando, nel frattempo, sino
a giungere a livello di pubblica notorietà, per argomenti e motivi tali
da non poter non interessare un apparato informativo primariamente
indirizzato, per ragioni di istituto, alla tutela della sicurezza dello Stato.
La contraddittorietà di questo atteggiamento viene denunciata in fatto dalla circostanza che altri organismi informativi quali la Guardia di
Finanza e l’Ispettorato per l’antiterrorismo, palesemente non collegati
con i Servizi di informazione, pervengono autonomamente a valutare,
nel 1974, il Gelli elemento degno di essere preso sotto osservazione per
le sue molteplici attività − prima fra tutte, quella di possibile contatto
con ambienti eversivi di destra − sul rilievo delle quali attorno al 19741975 ormai anche la stampa è in grado di fornire notizie e valutazioni.
250
Dalla P2 alla P4
La giustapposizione, sempre in soli termini quantitativi, tra l’assenza
di produzione di documenti da parte dei Servizi segreti e l’attività investigativa degli altri organismi informativi ci fornisce quindi un secondo
punto di riferimento degno di attenta considerazione.
Passando adesso ad una analisi che, abbandonando l’approccio quantitativo, entri nel merito dei documenti al nostro studio, estremamente
signiicativo è il confronto tra la nota dei Servizi del 1977 e la relazione
Santovito del 1978 da un canto e le informative Santillo, in particolare
quella del 1976, dall’altro.
Si impone infatti all’attenzione come dato di tutta evidenza come i
primi due documenti − che nascono per impulso esterno, la richiesta
cioè del Ministero della difesa − sottovalutino, minimizzandola (nota
del 1977), la Loggia P2 per incentrare l’analisi sulla massoneria in generale, secondo un’ottica che consente di sviluppare su tale generico argomento un ampio discorso a metà tra l’analisi sociologica e l’interpretazione politica; ci troviamo insomma di fronte ad un documento invero
singolare quando si consideri che, per la sua provenienza da un servizio
informativo, ci si dovrebbero in esso attendere informazioni (che mancano) piuttosto che valutazioni (che abbondano), proprie come tali più
dell’autorità politica ricevente che dell’organo tecnico mittente.
Ben altro discorso invece per le note dell’Ispettorato antiterrorismo;
il questore Santillo − confermando le doti di investigatore che tutti gli
riconoscevano, ma che non gli valsero la nomina al Sisde, naturale successore dell’Igat, alla cui guida fu preferito il generale Grassini, iscritto
alla Loggia P2 − centrando il cuore del problema fornisce una serie di
documenti che, in luogo di fumose considerazioni sulla massoneria rilevabili anche da pubblicazioni in commercio, danno precise informazioni
su Licio Gelli e sulla Loggia Propaganda 2.
Colpisce in particolare la nota del 1976 (ultima della serie) nella quale è dato riscontrare, accanto ad inesattezze anche vistose sulla massoneria (si confonde l’Ordine con il Rito scozzese), notizie precise e dettagliate sulla Loggia P2, che segnano una mirata attenzione investigativa
in netto e stridente contrasto con la invero singolare disattenzione dei
Servizi nei confronti di Licio Gelli e della sua organizzazione.
Riepilogando le argomentazioni svolte, possiamo quindi afermare
come dato di tutta evidenza l’esistenza di una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi a tutela ed a salvaguardia del Gelli
e di quanto lo riguarda secondo una linea non smentita di continuità,
che non interessa soltanto il periodo dell’apogeo della carriera gelliana − epoca nella quale sarebbe spiegabile facendo ricorso all’argomento
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
251
dell’inluenza da lui acquisita nel Servizio e fuori di esso − ma che rimonta al 1950, quando il Gelli è personaggio di ben minore caratura,
tale comunque da non potergli certamente addebitare azioni di pressione deviante sui Servizi. Una continuità di atteggiamento dunque che
accompagna il Gelli durante lo sviluppo della sua carriera, senza apprezzabili scarti che ne contrassegnino i progressi invero sorprendenti.
Tra le varie spiegazioni possibili di tale costante atteggiamento scartata quella della Ineicienza dei Servizi perché palesemente non proponibile − non rimane altra conclusione che quella di riconoscere che il Gelli è egli stesso persona di appartenenza ai Servizi, poiché solo ricorrendo
a tale ipotesi trova logica spiegazione la copertura di questi assicurata al
Gelli in modo sia passivo, non assumendo informazioni sull’individuo,
sia attivo, non fornendone all’autorità politica che ne fa richiesta.
L’assunto al quale si è pervenuti fornisce spiegazione ad alcuni dei
problemi in esame, ma non ancora alla natura dell’informativa Cominform, inserita nel fascicolo Gelli nel 1950. La presenza di questo singolare documento mentre infatti ci fornisce una indicazione orientata in
una direzione − marcando vistosamente la successiva carenza di attività
informativa, secondo la contraddizione dianzi sottolineata − per altro
verso sembra porsi in contrasto con la stessa conclusione alla quale essa
pur avvia, poiché fornisce comunque un segno di attenzione investigativa da parte dei Servizi nei confronti del Gelli ed è da essi inserita nel suo
fascicolo. D’altro canto non è diicile riconoscere che il documento per
la quantità e la qualità delle notizie raccolte non può non suscitare l’interesse anche polemico di chi si accinga allo studio del fenomeno Gelli.
Non è mancato ad esempio nella Commissione chi, riportandosi all’informativa, ha elaborato una chiave di lettura del personaggio Gelli in
termini antitetici a quelli della pubblicistica corrente: non si può infatti
non riconoscere che le notizie sul Gelli fornite dal redattore del documento sono in stridente contrasto con il passato dell’uomo come con le
successive, dichiarate e mai smentite professioni di fede anticomunista.
Per una soluzione del problema è necessario, anche in tal caso, issare
quali siano i punti di sicuro aidamento: a tal ine dobbiamo rilevare
che dato certo e non controvertibile è che il Gelli, sul inire della seconda
guerra mondiale, non si peritò di stabilire contatti di collaborazione e
di intesa con la parte che si andava delineando come inevitabilmente
vincitrice. Mentre ancora indossava la divisa tedesca, o meglio proprio
valendosi di essa, Licio Gelli si metteva a disposizione del Cln ed in particolare della componente comunista di esso, conducendo una diicile
partita in costante equivoco equilibrio tra le due parti che ci consente di
252
Dalla P2 alla P4
valutare appieno la sottigliezza del personaggio e che ci ofre il dato di
inequivocabile certezza che Licio Gelli operò in modo tale da contrarre
presso i comunisti pistoiesi un credito di sicura portata e di non piccolo
momento, se ancora nel 1976 Italo Carobbi, richiestone, si riteneva in
dovere di rinnovare l’attestato di benemerenza partigiana.
La posizione di questo dato ci consente di afermare con buona certezza che alla base dell’informativa risiede un nucleo di verità non controvertibile; in altri termini l’informativa, riportata al momento nel
quale fu redatta, è indubbiamente un documento attendibile.
Il Gelli, infatti, negli anni politicamente turbinosi del dopoguerra,
proseguì nella sua attività di doppio gioco che gli consentiva di mantenere i piedi in due o più stafe in attesa che si delineasse la soluzione
vincente; fu probabilmente dopo le elezioni del 1948 che egli comprese
come fosse intervenuto il momento di una scelta di campo, se non deinitiva, per lo meno meno equivoca.
L’informativa, fermando sulla carta una volta per tutte la sua attività
di collaboratore con la parte perdente avversaria e non segnando per
converso alcuna conseguente attività da parte di chi è in possesso di tale
conoscenza, denuncia al di là di ogni equivocabile dubbio il momento
nel quale il Gelli entra nell’orbita dei Servizi segreti italiani.
L’informativa come tale poteva infatti avere, secondo logica, due
esiti soltanto: o accertamenti che ne dimostrassero l’infondatezza, con
la conseguente chiusura del fascicolo, o riscontri sulla sua attendibilità con i relativi esiti di giustizia per una spia al servizio di un paese
straniero. Vediamo invece che da essa scaturisce una terza, inaspettata
soluzione, essa viene cioè semplicemente accantonata, il che, nel caso
di specie, vuol dire tesaurizzata perché l’organo che ne è in possesso ha
deciso di gestire in proprio il personaggio.
Seguendo tale assunto vengono infatti a dipanarsi anche le residue
contraddizioni che dianzi sottolineavamo, poiché si perviene ad una
linea ricostruttiva che consente di dare logica spiegazione a tutti gli
aspetti dei problema riconducendo ad una visione unitaria dati e documenti che sembrano porsi in contrasto reciproco.
Appare infatti chiaro perché l’informativa, pur vera nella sostanza,
non ha alcun esito: i Servizi segreti al momento dell’acquisizione del
Gelli, ben conoscendo l’individuo, accludono agli atti un documento che
rappresenta per loro una sorta di polizza di assicurazione per il futuro;
(lo inchiodano in altri termini in una posizione che, per la sua radicale opposizione al ruolo che gli viene assegnato in pubblico, costituisce
l’unica eicace garanzia di controllo di un personaggio la cui abilità essi
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
253
sono i primi a valutare adeguatamente, ed i cui precedenti non rassicurano sulla fedeltà alle scelte di campo adottate.
Quello che accade nel 1950 è dunque la scissione dei due aspetti del
personaggio Gelli: il Gelli nero, di solidi trascorsi fascisti, rimane quello
pubblicamente noto e, a quei trascorsi viene riallacciata senza soluzione di continuità l’iconograia uiciale del personaggio; da questa, viene
estratto il secondo volto del Gelli, il Gelli rosso, fermato in un documento custodito negli archivi, e di esso viene fatta sparire accuratamente
ogni traccia. Il collegamento tra i due è patrimonio conoscitivo detenuto da chi è in possesso dell’informativa ed assicura il controllo del
personaggio.
La soluzione prospettata è l’unica tra quelle in astratto ipotizzabili che fornisca adeguata spiegazione alle contraddizioni che abbiamo
messo in evidenza nel corso dell’analisi sui documenti sinora condotta.
Secondo la linea interpretativa proposta appare chiaro perché i Servizi
organizzino quello che abbiamo deinito un cordone sanitario informativo attorno alla igura di Licio Gelli ed al contempo trova adeguata spiegazione la presenza di un documento, in questo contesto, quale
l’informativa: un documento che ad un primo livello di analisi sembra
al tempo stesso denunciare e smentire l’inerzia del Servizio nei confronti di Gelli. Per superare tale ambivalenza è necessario infatti porsi in
un’ottica che centri l’attenzione, prima ancora che sul suo oggetto, al
quale essa capziosamente ci avvia, sulla sua funzione; un’ottica che non
si lasci fuorviare, privilegiando quanto nell’informativa viene detto in
termini espliciti, per tralasciare così quanto essa implicitamente rappresenta per la sua presenza nel fascicolo di Licio Gelli.
Diversamente operando si inisce inevitabilmente sul terreno della
polemica, di evidente signiicato politico immediato, se Gelli sia o meno
attribuibile a Servizi segreti di paesi dell’Est − tema questo da non considerare certamente risolto − per ignorare che prima ancora Gelli è comunque sotto il controllo diretto dei Servizi che dovrebbero operare
tale veriica.
Nell’ambito di queste argomentazioni viene allora a chiarirsi secondo
una luce signiicativa il disguido che interviene tra periferia e vertice
dei Servizi quando il comandante di un centro ebbe a vedersi minacciato l’esonero dal servizio per le incaute iniziative prese sul Gelli, che ormai − d’altronde siamo negli anni settanta − è personaggio di ben altra
levatura rispetto agli esordi.
L’ignoranza della sede periferica sulla qualità di Gelli come elemento del Servizio dimostra che la sua posizione, e la pratica relativa, non
254
Dalla P2 alla P4
è mai stata quella di un qualsiasi agente ma quella di persona che sin
dall’ingresso nell’orbita del Servizio ha interessato il vertice della gerarchia, per la qualità delle operazioni alle quali applicarlo.
Per usare le parole della reprimenda del capo del reparto D al comandante del centro periferico, il Gelli era insomma «persona inluente e
utile al Servizio».
Viene da ultimo a trovare spiegazione, secondo l’analisi proposta,
la diformità di atteggiamento che contrassegna l’attività investigativa
della Guardia di Finanza e dell’ispettore Santillo da un canto e quella
dei Servizi, sottolineata in precedenza; ed è a tal ine facile adesso osservare come il risveglio di interesse nei confronti di Licio Gelli cada
nello stesso torno di tempo, il 1974, sia al di fuori che all’interno di
alcuni ambienti dei Servizi, e come in entrambi i casi scatti il meccanismo di copertura e di disinformazione posto a protezione del Gelli;
così pure è palese la diversità di posizione di Gelli davanti a questi e a
quelli, dato che verso Santillo e la Guardia di Finanza egli può attuare,
in presenza di iniziative investigative a lui sgradite, interventi repressivi dall’esterno (l’insabbiamento avocazione dei rapporti e la punizione
dei loro autori) propri di chi controlla quegli apparati senza esserne
condizionato, mentre rispetto ai Servizi nei quali in qualche modo è
incardinato non vi è necessità di pervenire ad analoghi risultati di censura e persecuzione.
Abbiamo visto il destino riservato agli uiciali della Finanza che intrapresero indagini su Gelli; quanto all’ispettore Santillo, che non poteva essere liquidato con una reprimenda in via gerarchica come il comandante capocentro dei Servizi sopra ricordato, suscita a questo punto più
di un motivo di seria rilessione la sua mancata ascesa alla guida del
Sisde, cui si accennava innanzi.
Vediamo adesso di sottoporre la tesi esposta a veriica, muovendo
alla ricerca di ulteriori elementi in un contesto di documentazione che
non può dirsi abbondante, come del resto è logico attendersi in, materia
così riservata.
Dopo le considerazioni svolte sulla protezione accordata a Gelli dai
Servizi non può non destare meraviglia che questo comportamento
venga rovesciato radicalmente quando non solo il silenzio su Gelli viene
rotto ma addirittura l’informativa Cominform inisce in mano al giornalista Pecorelli che, data la sua professione, inizia a fame un sapiente
uso con il dosaggio delle notizie in essa contenute; dosaggio parziale
che non viene portato a compimento perché il Pecorelli viene, come
noto, assassinato pochi giorni prima della preannunciata pubblicazione
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
255
integrale del contenuto del documento. Documento che invero non poteva non avere efetti devastanti per il capo riconosciuto di una organizzazione a carattere segreto con accentuata colorazione politica anticomunista, perché essa in sostanza conteneva due informazioni che certo
non avrebbero fatto piacere ai sodali di un capo che si veniva a sapere
era un delatore, un ex agente dei Servizi dei paesi dell’Est.
È certo che il giornalista Pecorelli aveva accumulato nel corso della
sua carriera più di un motivo per temere della propria incolumità, ma
questa è valutazione che spetta comunque al magistrato responsabile
dell’inchiesta ancora in corso. Quanto compete alla Commissione osservare è che l’informativa Cominform appare presente in questa situazione con connotati tali che non consentono di svilirne oltre un certo
limite il contenuto. Il punto centrale è infatti non tanto quello di stabilire se essa si ponga in rapporto di causa ed efetto con la morte del divulgatore inale del documento, quanto piuttosto − e soprattutto − quello
di sottolineare che di essa viene fatto concretamente uso. Noti infatti
come sono i legami tra l’agenzia OP ed ambienti dei Servizi segreti che
il Pecorelli stesso denunciava, dichiarando nei Servizi la fonte del documento − al ine di sufragarne l’autenticità, attesa l’importanza dell’argomento − il suo apparire tra le carte del Pecorelli denuncia in primo
luogo come nella carriera di Licio Gelli sia intervenuto un momento
nel quale l’informativa viene in fatto utilizzata, viene cioè chiamata ad
adempiere alla funzione per la quale era stata inserita nel fascicolo che
i Servizi avevano sull’uomo e che noi abbiamo deinito come quella di
una polizza di assicurazione.
La vicenda Pecorelli, quale che sia l’esito istruttorio che essa avrà, ha,
ai nostri ini, il valore di riconfermare l’informativa nella sua funzione,
sulla quale si era in precedenza insistito in via di ipotesi; ma se questo è
vero è allora giocoforza ammettere che essa viene confermata altresì nel
suo contenuto, nella sua attendibilità, poiché è di palese evidenza che la
funzione non avrebbe potuto essere adempiuta al momento dell’utilizzo se il contenuto fosse stato destituito di ogni fondamento. Ed è altresì provato che chi aveva conservato per quasi trenta anni l’informativa
negli archivi poteva gestire il documento, poiché essa era lo strumento
attraverso il quale gestire la persona, come durante quei trenta anni era
accaduto.
Si vuole inine ricordare, nel quadro di riferimento che siamo venuti
tracciando, un altro episodio che sembra inquadrarsi in modo univoco
nell’esposizione sinora condotta. Citiamo, in proposito la risposta che
il direttore del Sid, ammiraglio Casardi, irmò in data 4 luglio 1977, ri-
256
Dalla P2 alla P4
spondendo ai giudici di Bologna che indagavano sulla strage dell’Italicus. Essa va trascritta per esteso: «Il Sid non dispone di notizie particolari sulla Loggia P2 di Palazzo Giustiniani… non si dispone di notizie sul
conto di Licio Gelli per quanto concerne la sua appartenenza alla Loggia
P2 oltre quanto difusamente riportato dalla stampa».
Non può non risaltare agli occhi, se non altro per questioni di stile,
l’incredibile rinvio che un capo dei Servizi segreti fa alle notizie apparse sulla stampa, alla quale egli non ha vergogna di riportare il proprio
patrimonio di conoscenze. Per valutare del resto il tasso di segretezza
di queste notizie si pensi che siamo, a parte ogni considerazione, a due
anni di distanza dalla delibera di demolizione della Loggia P2, decisa
dalla Gran Loggia di Napoli, quando i Maestri Venerabili delle logge di
Palazzo Giustiniani avevano ritenuto Licio Gelli e la sua loggia un peso
troppo compromettente per la comunione. Come già detto, l’ipotesi della ineicienza sarebbe troppo macroscopica per venire nemmeno presa
in considerazione.
Ma il vero punto di interesse è che nel rispondere in tal modo il direttore dei Servizi negava al giudice inquirente la conoscenza delle notizie
contenute nell’informativa, che, come sappiamo, era agli atti. Ciò avveniva non solo e non tanto per proteggere il Gelli, ma per la più sottile ragione che il patrimonio di conoscenze contenuto dal documento veniva
considerato dai Servizi come lo strumento in loro mano per controllare
l’individuo: in quanto tale essi non potevano che essere gli unici arbitri
sul come e sul quando farne uso, cosa che, per l’appunto, si sarebbe veriicata dopo poco più di un anno.
I riscontri forniti e la linea di argomentazione che su di essi abbiamo incentrato, testimoniano in modo chiaro l’esistenza di una barriera protettiva posta dei Servizi a tutela di Gelli e della Loggia P2
che scatta puntuale di fronte a qualsiasi autorità politica e giudiziaria,
che chieda, nell’esercizio delle sue funzioni, ragguagli e delucidazioni su questi argomenti. Abbiamo individuato la ragione profonda di
questo comportamento nell’appartenenza di Licio Gelli all’ambiente
dei Servizi segreti, ed abbiamo datato questa milizia al 1950, anno
di compilazione dell’informativa Cominform. Le conseguenze di tale
afermazione sono che la ragione vera dei cordone sanitario informativo va cercata non nel presunto controllo che Gelli eserciterebbe nei
Servizi segreti, ma nell’opposta ragione del controllo che essi hanno
del personaggio.
Le conclusioni che abbiamo esposto sono di tenore tale che l’estensore di queste note avverte per primo l’esigenza di procedere con la mas-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
257
sima cautela possibile in questa materia, per la quale peraltro, si deve
riconosce, è del tutto illusorio sperare di raggiungere dimostrazioni che
poggino su prove inconfutabili. Si è così argomentato sulla base dei documenti proponendo una linea interpretativa che si riconduca a logica
e coerenza, pronti a veriicare tale assunto con altre possibili ricostruzioni posto che, secondo l’assunto metodologico seguito, consentano di
fornire altra spiegazione coerente ed unitaria dei fenomeni.
La soluzione proposta ci consente di risalire un anello della catena,
rispondendo ad una serie di quesiti, per aprirne nel contempo altri di
forse maggiore portata.
Afermare che Licio Gelli è uomo dei Servizi segreti sin dagli esordi
della sua carriera signiica chiederci se questa sua situazione sia rapportabile all’organizzazione in quanto tale o a suoi settori, perché è certo
che in questi ambienti l’apparato ha una sua variegata realtà interna
che l’apparenza monolitica rilevabile dall’esterno non farebbe sospettare. Signiica altresì chiedersi se ed in qual modo il personaggio Gelli
si muova nel contesto dei rapporti internazionali che i Servizi segreti
intrecciano, secondo una logica naturale, nell’ambito di alleanze omogenee se non anche, sostengono alcuni, talora in via trasversale rispetto
agli stessi contesti politici di appartenenza.
Vogliamo qui dire che l’ambiguità dell’operazione gelliana non può
dirsi risolta dal dato conclusivo al quale si è pervenuti, il quale, ponendo
la igura di Gelli sotto nuova luce, nel contempo ne arricchisse il chiaroscuro, aprendo interrogativi ai quali non si ritiene si possa dare risposta
in senso univoco, per lo meno allo stato degli atti. Poiché è evidente
che il cordone sanitario informativo di cui si è discusso opera adesso in
nostro danno e non ci consente di acclarare a quali ultimi mandanti, e
di quale parte, si possa risalire.
Quello che con tutta onestà si può dire è che in materia di così diicile trattazione e di fronte ad un personaggio di così sfuggente proilo
ogni ipotesi è in astratto formulabile e nessuna conclusione può palesemente dichiararsi assurda. Questo è anche quanto può essere afermato, sulla scorta degli atti in nostro possesso, sulla vexata quaestio della
veridicità o meno delle notizie che l’informativa Cominform ci consegna su Licio Gelli, anche per il periodo successivo alla sua redazione, pur
se tale problema va adesso studiato nel quadro delle gravi conclusioni
alle quali siamo pervenuti.
258
Dalla P2 alla P4
Gli apparati militari. Conclusioni
Negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi gli iscritti sono ripartiti
anche per settori di appartenenza: uno di questi settori è quello delle
Forze Armate, nel quale igurano cinquantadue uiciali dei carabinieri,
nove dell’Aeronautica, ventinove della Marina, cinquanta dell’Esercito,
trentasette della Guardia di Finanza e sei della Pubblica Sicurezza.
Dall’elenco generale degli iscritti sequestrato, peraltro, il numero
complessivo degli uiciali risulta anche superiore (centonovantacinque) e gli iscritti negli elenchi trovano riscontro, anche se non completo, nelle informative inviate alla Commissione dal Sismi e dal Sisde.
Il primo dato che occorre mettere in rilievo in proposito è l’elevato
grado ricoperto dagli ailiati.
Così, ad esempio, dei cinquantasei uiciali dei carabinieri, in servizio
o a riposo, che igurano negli elenchi, dodici ricoprono il grado di generale ed otto quello di colonnello; così ancora troviamo otto ammiragli,
ventidue generali dell’Esercito, cinque generali della Guardia di Finanza
nonché quattro generali dell’Aeronautica. Il dato totale, di per sé eloquente, ci dice che su centonovantacinque esponenti del mondo militare, ben novantadue ricoprono il grado di generale o colonnello.
Ancor più signiicativo, per quanto in seguito si dirà, è sofermarsi
sulle funzioni assegnate a molti dei nominativi citati: così l’ammiraglio
Torrisi che fu capo di Stato Maggiore della Marina negli anni 1977-1980
e poi della Difesa negli anni 1980-1981, il generale Grassini che diresse il Sisde dal novembre 1977 al luglio 1981, il generale Santovito che
diresse il Sismi dal gennaio 1978 all’agosto 1981 e il generale Picchiotti
che fu negli anni 1974-1975 vicecomandante generale dell’Arma dei carabinieri e in precedenza comandante la divisione carabinieri di Roma,
il generale Palumbo comandante la divisione carabinieri «Pastrengo» di
Milano e poi anch’egli vicecomandante generale dell’Arma, il generale
Miceli che diresse il Sid dal 1970 al 1974, il generale Musumeci che fu
segretario generale del Sismi con il generale Santovito, i generali Giudice e Giannini che furono comandanti generali della Guardia di Finanza,
rispettivamente negli anni 1974-78 e negli anni 1980-1981.
Come è facile rilevare a prima vista, si delinea una mappa del potere militare più qualiicato, con personaggi che hanno spesso assunto un
ruolo centrale in vicende di particolare signiicato nella storia recente del
nostro paese, anche in relazione ad avvenimenti di carattere eversivo.
La maggior parte degli uiciali che igurano negli elenchi sono stati sottoposti ad inchieste disciplinari che hanno portato a delle vere e
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
259
proprie conclusioni solo per quelli che erano tuttora in servizio, per i
quali la sanzione è stata generalmente quella del rimprovero, applicata
in poco più di un terzo dei casi. Le pronunce di proscioglimento sono
state invece emesse perché non risultava pienamente provata l’appartenenza dell’uiciale alla Loggia P2, facendo a tal ine soprattutto fondamento sul diniego di appartenenza alla loggia dell’uiciale interessato.
Per un certo numero di uiciali che non erano più in servizio, pur non
applicandosi alcuna sanzione, è stata ritenuta provata l’appartenenza
alla loggia. Vi è da rilevare inine che per alcuni uiciali, anche di grado
elevato e che hanno avuto compiti di rilievo nelle Forze Armate, non
sono pervenuti alla Commissione i fascicoli relativi.
Per un esame del problema vanno in primo luogo ricordate le dichiarazioni rese da esponenti della massoneria (Siniscalchi, Brilli) circa i
massicci reclutamenti di militari operati sulla ine del mandato di Gamberini: secondo le voci ricorrenti in ambito massonico il Gran Maestro
aveva proceduto ad iniziare sul ilo della spada circa quattrocento militari, all’uopo presentati dal Gelli.
Il dato è probabilmente esagerato, ma è peraltro certo che la prima
fase della gestione gelliana della Loggia P2 è contrassegnata da una forte e qualiicata presenza di militari: dato questo che non dovrebbe in sé
essere considerato particolarmente signiicativo poiché è ampiamente
documentata una tradizionale propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo massonico.
L’elemento invece al quale va prestata adeguata considerazione e che
contraddistingue con carattere di speciicità la Loggia P2 ed il suo intervento in questi ambienti è, per contro, quello della spiccata connotazione politica che al complesso di tali ailiazioni veniva attribuita da
Licio Gelli, al quale faceva riscontro, secondo gli atti in nostro possesso,
l’accettazione da parte degli iscritti di tale impostazione. Ne è esempio
la riunione dei generali tenuta a Villa Wanda nel 1973; ed è in proposito
da rilevare che i discorsi che in tale occasione si tennero non erano del
tutto nuovi, ma anzi possono ritenersi in certa misura abituali se di essi
abbiamo almeno un altro signiicativo esempio documentabile, quale
la lettera che, nel 1972, il Gelli inviò agli elementi militari iscritti alla
sua loggia – missiva che non sappiamo se diretta a tutta la categoria
o solo agli elementi di maggior spicco − nella quale dai discorsi di condanna generalizzata del sistema, che già abbiamo segnalato, si traeva la
conclusione che solo una presa di posizione molto precisa poteva porre
ine al generale stato di disfacimento e che tale iniziativa poteva essere
assunta soltanto dai militari. Siamo, come si vede, di fronte ad una im-
260
Dalla P2 alla P4
postazione politica ben deinita che si pone al margine della legalità repubblicana e che non solo non viene dissimulata, ma è oggetto di valutazione e di esame presso alte gerarchie militari. Essa segna certamente
un salto di qualità rispetto al tradizionale interessamento massonico
per le gerarchie militari, testimoniato tra l’altro, presso la Commissione, dai documenti relativi alla camera tecnico-professionale coperta dei
militari, costituita presso la comunione di Piazza del Gesù, dai quali si
evince un interessamento a questioni di più ristretto proilo, quali la
gestione delle carriere o degli incarichi.
I due riferimenti documentati citati assumono poi piena credibilità
quando si consideri come le ventilate ipotesi di soluzioni di tipo autoritario trovano un adeguato e conforme retroterra politico nella ideologia
spiccatamente conservatrice − calata in una prospettiva di avversione al
sistema nel suo complesso, e come tale sostanzialmente eversiva − consegnata al nostro esame dalla documentazione in possesso della Commissione, più volte citata.
Se indubbia appare quindi la valenza politica che l’intreccio tra ambienti militari e Loggia P2 assumeva nelle prospettive e nei piani di Licio
Gelli, un ulteriore approfondimento analitico ci dimostra che tale connotazione politica non rimaneva astretta ad un piano di generica e velleitaria progettazione, ma trovava concreti sbocchi di pratica attuazione. Tale
è l’esempio che ci viene fornito dalle vicende relative alla divisione Carabinieri «Pastrengo» di Milano, in ordine alla quale il tenente colonnello
Bozzo, che in essa ha prestato servizio, ha testimoniato sulla «presenza
di un vero e proprio gruppo di potere al di fuori della gerarchia… che
aveva una matrice comune nella provenienza di servizio dalla Toscana».
Il gruppo comprendeva il generale Palumbo, comandante della divisione, il maggiore Antonio Calabrese e il generale Franco Picchiotti, la
cui presenza ai vertici dell’Arma ne contraddistinse il «periodo di maggior splendore». Succeduto al Palumbo, il generale Palombi, estraneo al
gruppo citato, la gestione di questi venne contrastata con il trasferimento a Milano di due uiciali, il tenente colonnello Panella ed il tenente colonnello Mazzei, che risultano iscritti alla Loggia P2, e con il distacco (un’iniziativa dello Stato Maggiore dell’Arma) del Servizio speciale
anticrimine, che si era segnalato per i brillanti risultati ottenuti specie
nella lotta al terrorismo, dal comando di divisione alla legione di Milano
e quindi alle dipendenze del Mazzei e del Penella.
Il Mazzei ebbe in seguito a subire procedimento disciplinare per la
protezione oferta al professore Piero Del Giudice, imputato di reati
connessi con fatti di terrorismo; prima della chiusura di tale procedi-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
261
mento il Mazzei diede le dimissioni dall’Arma, assumendo presso il Banco Ambrosiano un incarico per lui appositamente creato e che al suo
decesso non venne ulteriormente ripristinato.
La situazione sommariamente delineata si presta a due osservazioni: la prima è relativa al riscontro che essa trova nell’appartenenza di
tutti i nominativi del gruppo citato alla Loggia P2, e in particolare alla
circostanza che tre di essi (Picchiotti, Palumbo, Calabrese) sono altresì
presenti alla riunione in Villa Wanda del 1973.
La seconda concerne il rilievo strategico e politico che il comando
della divisione «Pastrengo» venne ad assumere nella seconda metà degli
anni Settanta nella lotta contro il terrorismo, che faceva di quell’incarico un punto nevralgico sia per l’importanza della piazza di Milano,
sia perché la divisione ha competenza territoriale estesa a tutta l’Italia
settentrionale.
Il generale Dalla Chiesa ha deposto in proposito, denunciando l’impressione ricevuta, durante il suo comando alla brigata di Torino, di una
scarsa collaborazione da parte degli elementi della divisione di Milano.
Il progredire e lo svilupparsi della Loggia P2 denota un sempre più
marcato interessamento di Licio Gelli per gli ambienti militari, soprattutto con riferimento alle alte gerarchie; per le nomine relative, secondo
quanto ha testimoniato il generale Fulberto Lauro, il capo della Loggia
P2 era comunque sempre estremamente informato in anticipo, con riferimento sia all’Esercito che ai Carabinieri ed alla Guardia di Finanza.
Iniziando dalla Guardia di Finanza si succedono al comando generale:
Rafaele Giudice dal 1974 al 1978, Marcello Floriani dal 1978 al 1980,
Orazio Giannini dal 1980 al 29 luglio 1981.
Gelli si interessa alla nomina di Giudice, che igura tra gli iscritti alla
loggia, unitamente a Palmiotti, iscritto anch’egli alla Loggia P2 e segretario dell’onorevole Mario Tanassi, all’epoca ministro delle Finanze, titolare della competenza per la sua nomina: gli stretti legami tra Gelli
e Giudice sono del resto ampiamente documentati dal fascicolo M.FO.
BIALI.
Gelli propone al generale Floriani di iscriversi alla massoneria e probabilmente alla Loggia P2 e si vanta poi di averlo fatto nominare al comando generale della Guardia di Finanza. Quanto al generale Giannini
questi ammette di essere iscritto alla massoneria e igura tra gli iscritti
alla loggia: Gelli lo indica come futuro comandante della Guardia di Finanza (risultano infatti interventi di Gelli, per la sua nomina), mentre
l’interessamento di Giannini, al momento del sequestro operato a Castiglion Fibocchi, è ampiamente rivelatore dei suoi legami con Gelli.
262
Dalla P2 alla P4
Per quanto riguarda i Carabinieri il generale Enrico Mino, che ne è
comandante generale dal 1973 al 1977, non igura tra gli iscritti alla
Loggia P2, ma ad essa lo indicano come appartenente l’onorevole Pannella, nella sua audizione in Commissione, e il senatore Giovanni Leone. Il maggiore Umberto Nobili ha dichiarato che Gelli afermò di essere
riuscito a determinarne la nomina a comandante generale dell’Arma; ed
è comunque provato che il generale Mino conosceva bene Gelli ed era
con lui in stretti rapporti.
È altresì documentato in atti che Licio Gelli si interessò alla nomina
del successore del generale Mino prima ancora della sua naturale scadenza. Le intercettazioni telefoniche del fascicolo M.FO.BIALI ci mostrano che la successione in esame fu oggetto di attivo interessamento
da parte di Gelli, Giudice, Trisolini e dei consigliere Ugo Niutta, che discutono del problema con sicurezza di toni e con padronanza dell’argomento: dalle conversazioni emerge una preferenza di Licio Gelli per
il generale Santovito. Successore del generale Mino risultò alla ine il
generale Pietro Corsini.
Per quanto riguarda i comandi dei Servizi segreti Gelli, nella deposizione resa al giudice Vigna, ammise di essersi interessato per la nomina
del generale Miceli a capo del Sid: questa deposizione è sufragata da
testimonianze del generale Rosseti e del giornalista Coppetti.
Anche dopo la riforma dei Servizi segreti nel 1978, i capi dei Servizi
risultano tutti negli elenchi della P2: il generale Grassini capo del Sisde,
il generale Santovito capo del Sismi ed il prefetto Pelosi capo del Cesis,
che doveva coordinare i due servizi precedenti.
Il generale Musumeci assume l’incarico di capo dell’uicio controllo
e sicurezza e la segreteria generale del Sismi all’epoca di Santovito. Di
particolare interesse ai nostri ini la igura di questo uiciale, che non
solo troviamo accanto al generale Santovito, ma che, secondo attendibile testimonianza, mentre dipendeva dal comando della XI brigata in
Roma era in stretta frequentazione con il generale Palumbo − presso la I
divisione in Milano − dal quale non dipendeva gerarchicamente.
Il contatto tra il Palumbo ed il Musumeci, al di fuori dei rapporti gerarchici e delle strette esigenze di servizio, denota una consuetudine di legami e di interessi comuni che, considerato unitamente al dato relativo alla
circostanza che gli stessi nominativi di iscritti alla loggia si trovano sempre assegnati a destinazioni comuni, segnala alla nostra attenzione una
rete di interessi e di legami che corre parallela ai normali vincoli gerarchici.
Per il generale Santovito vi è anche da osservare che egli continua,
pure dopo il 17 marzo 1981, a tenere stretti rapporti con ambienti
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
263
massonici e con ambienti che possono conigurarsi come continuatori
dell’opera della Loggia P2: signiicativo a tale riguardo è il suo rapporto
con Francesco Pazienza e il potere da costui assunto all’interno del Sismi,
a documentare il quale esistono precise ed inequivocabili testimonianze.
Va, rilevato, come osservazione generale, che i legami che gli esponenti delle Forze Armate assumevano con l’iscrizione alla Loggia P2 e la
«dipendenza» nella quale si ponevano nei riguardi di Licio Gelli venivano a costituire una situazione per la quale esponenti di primo piano del
potere militare si inserivano attivamente nel programma e nelle inalità
politiche di Gelli e della Loggia P2, inalità diicilmente riportabili al
servizio delle istituzioni democratiche, quanto piuttosto alle direttive
di centri di potere estranei, se non ostili, ad esse.
In deinitiva, attraverso loro Gelli e la Loggia P2 erano in grado di condizionare scelte importanti di alcuni settori delle Forze Armate, con riferimento ai loro obiettivi politici. Indubbiamente almeno alcuni militari
agirono, a volte, anche per interessi personali o parteciparono a traici
illeciti, cui erano interessati direttamente e che riguardavano anche uomini politici ad essi collegati, secondo quanto può desumersi dal coinvolgimento di Giudice, Lo Prete e Trisolini in vicende come quelle attinenti
al traico dei petroli, per le quali pendono vari procedimenti avanti l’autorità giudiziaria. Non si può escludere che anche tali traici non si esaurissero solo nell’ambito dell’interesse economico di coloro che ne sono
stati coinvolti; ma il dato che più interessa, ai ini della nostra analisi, è
quello politico e a tal ine un episodio meglio di ogni altro illumina questo aspetto della problematica allo studio: la riunione dei generali tenuta
ad Arezzo nel 1973. In proposito un dato analitico di estremo interesse
è la brevità del preavviso della convocazione che denuncia chiaramente
come quella riunione non fu un evento eccezionale, ma si inseriva in una
consuetudine collaudata di rapporti e di frequentazioni.
Non è comunque senza disagio che può essere rievocata la convocazione nella sua villa di alcuni generali della Repubblica da parte di
un personaggio ampiamente al margine dell’ortodossia e della legalità
come Licio Gelli; e veramente inaudito appare che essi ascoltassero da
questi, alla stregua di un capo di Stato maggiore ombra, condizioni sullo
svolgimento delle loro delicate mansioni, facendosi destinatari dell’ordine di trasmetterle ai propri quadri subalterni.
La lettura dell’audizione del generale Palumbo, delle reticenze, delle
scuse e delle mezze ammissioni in ordine all’episodio citato non possono non suonare ofesa a quanti, e sono la maggioranza, indossano la
divisa con dignità e senso dell’onore.
264
Dalla P2 alla P4
La propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo massonico e la forte compenetrazione tra vertici militari e Loggia P2 sono
peraltro argomenti che richiedono una qualche considerazione di ordine più generale.
Una conclusione politicamente signiicativa su tali vicende non può
infatti prescindere dalla considerazione che il delicato tema del rapporto tra esercito e società civile va forse, rimeditato alla luce dei gravi
episodi illustrati, evitando di cadere nelle opposte ed egualmente perniciose tentazioni di una neutralizzazione che si ammanti di ipocrita
tecnicismo da una parte e di una appropriazione partitica, mascherata
da pretestuosi ideali di motivazione politica dall’altra.
Si pone in primo luogo il problema della responsabilità politica del
controllo e della direzione di questi apparati, tema che per sua natura
non può che essere rinviato e proposto dalla Commissione al dibattito
del Parlamento. In questa sede, alla luce delle conoscenze acquisite, è
peraltro dato rilevare che l’attuazione di forme associative parallele alla
struttura gerarchica uiciale va, prima che stigmatizzata, compresa nelle sue radici e nelle sue motivazioni.
Per valutare appieno questo fenomeno è d’uopo riportarsi alla posizione che i militari sono venuti a rivestire nella società italiana a partire
dal dopoguerra, sottolineando la particolare sterilizzazione politica che
nei loro confronti si era venuta ad operare, nella classe politica come
nella società civile, per una serie di ragioni, che qui non è il caso di analizzare a fondo, sulle quali comunque inluirono in modo determinante
sia l’esito del conlitto, sia il cambiamento istituzionale.
Basti qui riportarsi ai discorsi che gli elementi più accreditati dei nostri vertici militari propongono attualmente sulla esigenza di un accordo permanente e fecondo tra esercito e società civile, per non ritenere
azzardato l’afermare in questa sede che l’elemento di novità della Loggia P2 sta nella scoperta, o meglio riscoperta, a partire dalla metà degli
anni Sessanta, del ruolo e − in termini di presenza politica − dell’importanza che i militari possono assumere ed in fatto assumono nella vita
del Paese. Trattasi di una conclusione che, se accettata, fornisce ampia
materia di rilessione non solo ai ini di una valutazione della Loggia
P2 nel suo complesso, ma di una interpretazione del personaggio Gelli,
del suo peso speciico, dei suoi eventuali punti di riferimento politico
e strategico: poiché è di palese evidenza che simile intuizione politica
trascende il personaggio Gelli.
L’inserimento prepotente della Loggia P2 negli ambienti militari
(spesso non a caso deiniti «casta») è stato certamente efetto di una
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
265
disattenzione della società civile e politica nei confronti di un ambiente che trova il suo momento di coesione in motivazioni a torto spesso
ritenute superate dalla moderna società, fortemente laicizzata e contrassegnata da una cultura, soprattutto di ordine superiore, al tempo
problematica e dissacrante. Un non corretto od incompleto circuito di
motivazioni e di ideali tra società civile e società militare può certo generare quelle situazioni di frustrazione morale e materiale che hanno
costituito il fertile terreno di coltura dell’interessato proselitismo di
Gelli e della Loggia Propaganda, facendo balenare la possibilità di una
presenza nella vita del paese che iniva per trascendere, pervertendolo,
il ruolo che in un moderno Stato costituzionale i cittadini in divisa devono, in quanto tali, legittimamente ricoprire, nel quadro delle leggi e
degli ordinamenti generali.
È dato qui individuare uno dei punti di possibile debolezza del sistema, nel quale trova spazio per inserirsi un operazione di segno sostanzialmente eversivo quale quella al nostro esame. Un dato interpretativo
di estremo interesse ai nostri ini sta nella considerazione che il piano
di rinascita democratica, pur contenendo un’analisi dettagliata, corredata da proposte di riforma, praticamente di tutti gli apparati esecutivi, ignora completamente il settore delle Forze Armate. È questa una
disattenzione che non può non destare meraviglia, attesa la pignoleria
argomentativa del documento, e che non può non essere interpretata se
non nel senso che questi problemi costituivano per il Venerabile e per i
suoi tutori una sorta di riserva personale da non porre in alcun modo in
discussione con terzi.
Questa osservazione è sufragata dall’esame dei vari documenti citati
sinora, dai quali emerge la constatazione che essi, contenendo argomentazioni critiche intorno ai più vari problemi della società, non toccano
mai i problemi del mondo militare, pur essendo in sostanza tali ambienti tra i destinatari più qualiicati di questi discorsi. L’enucleazione della
tematica militare da questo contesto argomentato, non può non colpire
in modo signiicativo e va, a questo punto del discorso, interpretata alla
luce dell’analisi svolta nel precedente paragrafo sulla appartenenza di
Licio Gelli all’ambiente dei Servizi, ovvero al settore che del mondo militare costituisce uno dei centri nevralgici di maggiore interesse politico.
Ricordiamo a tal proposito che il Gelli ebbe a testimoniare di aver
inluito sulla nomina di Miceli a capo del Sid, e di averlo introdotto
negli ambienti della massoneria facendolo iniziare da Salvini. Questa
notizia, presa con la dovuta cautela che la fonte merita, quando fosse
da considerarsi vera non potrebbe che indicare come il Gelli nell’am-
266
Dalla P2 alla P4
bito dei Servizi aveva conquistato un proprio potere contrattuale, che
non lo sottraeva al loro potere di controllo ultimativo, come dimostra
l’episodio Pecorelli, ma gli attribuiva di certo un margine di spazio autonomo. Tale spazio può essere spiegato sia con il peso che il Gelli aveva
nel frattempo conquistato come capo della Loggia P2, sia ipotizzando
altri possibili punti di riferimento per l’operazione piduista, nell’ambito
dei quali i Servizi trovavano collocazione non esclusiva. In altri termini,
la carriera di Gelli, volendo prestare fede a questa sua testimonianza,
lungi dal contestare la tesi espressa sulla sua appartenenza ai Servizi,
verrebbe ad indicare che la parabola percorsa in quell’ambiente segna
un percorso in parte analogo a quello seguito nella massoneria, dove
da delegato del Gran Maestro egli era al ine pervenuto ad impadronirsi
della Loggia P2 ed a condizionare la vita dell’intera comunione. In tale
ottica il commissario Gabbuggiani ha rilevato come il rapporto tra Gelli
ed i Servizi si qualiica come un rapporto non a senso unico.
In questo senso può essere estesa in via generale l’osservazione formulata con riferimento ai Servizi segreti dai commissari Mattarella e
Rizzo, ipotizzando che la compenetrazione tra la Loggia P2 e gli ambienti del vertice della gerarchia militare aveva inito per creare una situazione nella quale l’accesso alla loggia costituiva una sorta di passaggio obbligato per accedere a superiori livelli di responsabilità. Del resto,
testimonianze in tal senso, già ricordate, denunciano la pressione di
uiciali superiori nei confronti dei subalterni con la indicazione dell’ingresso nell’organizzazione per accedere ai gradi superiori della gerarchia
ed a certe destinazioni particolarmente qualiicate. Una concordante indicazione può essere colta nella testimonianza del generale Dalla Chiesa
il quale, pur in modo sfumato, inquadra in tale contesto la proposta di
iscrizione alla Loggia P2 rivoltagli dal generale Picchiotti.
Il tema dei Servizi segreti è stato dal commissario Ruilli inquadrato
in un più ampio contesto di argomentazione politica, partendo dal rilievo che un ragionato esame di questo problema non può prescindere
dalla considerazione della collocazione internazionale del nostro Paese,
quale punto di raccordo, di particolare rilievo, per la sua collocazione
tra mondo occidentale e mondo orientale, nei conlitti che tra tali aree
politiche si instaurano all’interno di una zona cruciale quale il bacino
del Mediterraneo. Queste considerazioni spiegano come l’Italia sia diventata, secondo tale commissario, una base di operazione per i servizi
segreti dì diverse appartenenze; e in relazione a tale divenire storico
trova allora comprensibile riscontro quella che il commissario Andò ha
deinito l’ambivalenza ideologica dei nostri Servizi, nei quali, a partire
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
267
da un certo momento, si sono identiicati per lo meno due partiti: quello
ilo-arabo che faceva capo al generale Miceli e quello ilo-israeliano che
si riportava al generale Maletti, entrambi, come noto, iscritti alla loggia
pur se dichiaratamente nemici.
Nell’ambito di questa dialettica di rapporti, si comprende come la
Loggia P2 abbia potuto acquisire un ruolo determinante quale stanza
di compensazione per l’assorbimento di tensioni e di contrasti che per
loro natura non potevano che essere mediati in sede riservata. Che poi
tale sede fosse, per così dire, aidata a persona riconducibile all’ambiente, ovvero controllata, ma ad esso non appartenente in forma uiciale,
come precedentemente abbiamo cercato di dimostrare, questa appare
conclusione non solo logica, ma addirittura imprescindibile.
L’ordine di discorsi al quale siamo pervenuti solleva una serie di problemi fondamentali per il corretto funzionamento dell’ordinamento democratico che richiedono di essere conclusivamente inquadrati per consentire un approfondito dibattito del Parlamento su questa complessa
materia.
A tal ine il commissario Crucianelli ha rilevato come una corretta determinazione del quadro, entro il quale svolgere l’analisi, richieda di evitare da un canto la prospettazione dei Servizi come variabile impazzita
del sistema, dotata di autonoma soggettività politica, dall’altro il pericolo di ipotizzare meccanici rapporti di dipendenza, rispetto al potere
politico per apparati che, per deinizione, si muovono nell’indistinto e
conservano, sotto ogni latitudine, una rete articolata di legami orientati
in più direzioni. La complessa dialettica di questi rapporti è argomentata nel discorso di tale Commissario con la interpretazione fornita agli
eventi del 1974, punto culminante della strategia della tensione, e dalla
successiva emarginazione dall’apparato del Miceli e del Maletti, massimi responsabili dei Servizi, che segue, in quel tragico anno, alla denuncia che il ministro della difesa, onorevole Andreotti, fa dell’esistenza di
altri due tentativi di colpo di Stato (oltre quello Borghese) previsti per il
gennaio e l’agosto del 1974.
Riservandoci di sofermarci più approfonditamente su tale periodo
cruciale della storia del nostro paese, in tema di analisi dei collegamenti con l’eversione, si vuole qui sottolineare, in via conclusiva, il rilievo,
ampiamente condiviso dalla maggioranza dei commissari, che l’intreccio tra Loggia P2, Servizi segreti ed ambienti militari assume nell’interpretazione del fenomeno oggetto dell’inchiesta parlamentare un rilievo
centrale e che come tale pone l’imprescindibile esigenza che su tale delicato argomento si possa svolgere un discorso che rifugga da schematiz-
268
Dalla P2 alla P4
zazioni preconcette, che ad altro risultato non conducono se non a quello di impedire la comprensione dei fenomeni nella loro reale portata.
Non è chi non veda peraltro che le conclusioni alle quali si è pervenuti hanno comunque un rilievo politico generale di straordinario rilievo,
perché conducono ad una interpretazione di Gelli e della sua attività,
attraverso lo strumento della Loggia P2, che amplia il tema dei rapporti
tra Gelli, gli ambienti militari ed i Servizi segreti ben oltre la primitiva
portata, di riferimento al dato di immediata percezione della presenza nella Loggia P2 dei vertici militari e dei Servizi. Prendere le mosse
dall’assunto che Licio Gelli è pertinenza dei Servizi sin da antica data
rovescia il discorso sulla materia da un taglio in ultima analisi riduttivo,
sull’inquinamento dei servizi segreti, alla prospettiva, di valenza politica
diametralmente opposta, di una attività di inquinamento che i Servizi
possono aver progettato di svolgere ed in fatto svolto, attraverso questo
abile e fortunato personaggio. Volendo sintetizzare in una formula, corre tra le due ipotesi tutta la diferenza che c’è tra Servizi segreti inquinati
e Servizi segreti inquinanti, tra strumento corrotto ed agente corruttore, tra oggetto e soggetto di attività eversive del sistema democratico.
È, questo, argomento che per la sua portata di ampio respiro politico
coinvolge sedi ed autorità cui spetta, in via istituzionale, la competenza
su questa delicata materia. Essi peraltro hanno già dovuto prendere atto
nella storia della Repubblica di fenomeni di segno eversivo, che hanno
sollecitato più di un intervento correttivo. Il contributo che la Commissione può portare è quello di ofrire a tali sedi ed al dibattito democratico tra le forze politiche il dato istruttorio che siamo venuti cercando di
enucleare dai documenti e dagli atti in nostro possesso.
Collegamenti con l’eversione
Contatti con l’eversione nera
Il periodo che corre tra il 1970 e il 1974 registra la proliferazione
di movimenti extraparlamentari, la nascita di sempre nuove organizzazioni eversive paramilitari o terroristiche, la moltiplicazione di gravi
delitti politici − secondo forme afatto nuove per il Paese − la rinnovata
virulenza della malavita comune e delle sue organizzazioni criminali.
Sono questi gli avvenimenti che formano il quadro entro cui si sviluppa quella che venne deinita la «strategia della tensione», favorita dalla
crisi economica e dalla crescente instabilità del quadro politico.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
269
Quegli anni, oltre ad essere caratterizzati, come abbiamo già visto,
dall’intensa opera di politicizzazione della loggia svolta da Licio Gelli,
si contraddistinguono anche per i collegamenti che ci è consentito di
identiicare tra Licio Gelli, la Loggia P2, suoi qualiicati esponenti ed il
complesso mondo dell’eversione nera.
Dal materiale in possesso della Commissione si trae infatti la ragionata convinzione, condivisa peraltro da organi giudiziari, che la Loggia
P2 attraverso il suo capo o suoi esponenti (le cui iniziative non possono considerarsi sempre soltanto a titolo personale) si collega più volte
con gruppi ed organizzazioni eversive, incitandoli e favorendoli nei loro
propositi criminosi con una azione che mirava ad inserirsi in quelle aree
secondo un disegno politico proprio, da non identiicare con le inalità,
più o meno esplicite, che quelle forze e quei gruppi ponevano al loro
operato.
Al ine di procedere ad una lettura politica di queste relazioni e di
questi collegamenti è d’uopo individuare entro la vasta mole di materiale documentale − peraltro ampiamente incompleto: né altrimenti
poteva essere, in considerazione della vastità dell’argomento − che alla
Commissione è pervenuto, alcuni episodi che si ritengono più signiicativi ai ini della nostra indagine, secondo il metodo di analisi espresso
nell’introduzione al presente lavoro.
Prima tra tali situazioni nelle quali appare sicuramente documentato
un coinvolgimento signiicativo di Licio Gelli e di uomini della loggia, è
il cosiddetto golpe Borghese, attuato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre
1970, sotto la spinta degli esponenti oltranzisti del Fronte Nazionale, i
quali avevano da ultimo prevalso all’interno dell’organizzazione.
La vicenda ha registrato un lungo e non facile iter processuale, concluso con sentenza passata in giudicato, sul cui esito non è qui il caso di
entrare, perché ai ini che a noi interessano quel che più preme è porre l’accento su alcuni aspetti sicuramente documentati che sufragano
l’ipotesi prospettata della collusione esistente tra esponenti della loggia
con questa situazione eversiva, tale da consentire una valutazione attendibile del rilievo concreto che tali contatti ebbero a rivestire.
È così dato rilevare prima di tutto come molti dei personaggi che nel
golpe ebbero un ruolo non secondario appartengano alla Loggia P2 o
alla massoneria: così infatti troviamo tra gli attori di quella vicenda Vito
Miceli, Duilio Fanali, Sandro Saccucci (da più fonti indicato come appartenente alla massoneria) assieme ad altri imputati del golpe quali
Lo Vecchio, Casero, De Jorio, che tutti igurano nelle liste di Castiglion
Fibocchi. Altre fonti poi riconducono alla massoneria sia Salvatore Dra-
270
Dalla P2 alla P4
go, accusato di aver disegnato la pianta del Ministero dell’interno, sia
il costruttore Remo Orlandini, che l’ispettore Santillo, nella sua terza
nota informativa, indica più speciicamente come appartenente alla
Loggia P2.
Questo primo dato di palese riscontro è sufragato da ulteriori testimonianze, anche documentali, dalle quali si evince come ambienti massonici si fossero posti in posizione di collateralità o iancheggiamento
con i gruppi che al Borghese facevano capo. Esplicita in questo senso
la lettera di Gavino Matta (comunione di Piazza del Gesù) al principe
Borghese: «Caro Comandante, debbo comunicarle che la Loggia non
intende assecondare la sua iniziativa, essendo per principio fondamentalmente contraria ai metodi violenti. Con la presente, pertanto, vengo
autorizzato ad annullare ogni precedente intesa…».
Questi elementi di indubbio riscontro fanno da cornice a situazioni
di più puntuale incisività in ordine al ruolo che due personaggi quali
Licio Gelli ed il direttore del Sid, Vito Miceli, ebbero a ricoprire durante
e dopo il golpe. Come noto, punto cruciale di quella vicenda fu l’inopinato, per gli esecutori, arresto delle operazioni già avviate: Orlandini,
stretto collaboratore del Borghese, dirà che non poca fatica gli costò correre ai ripari per fermare quei gruppi che già erano entrati in azione. Lo
sconcerto provocato tra i congiurati da quella improvvisa inversione di
marcia è del resto ben testimoniato dalla reazione di Sandro Saccucci,
che poche settimane dopo ebbe ad esprimere l’auspicio che il responsabile venisse «preso», distinguendo nella vicenda la posizione dei golpisti
da quella di «altre piccole manichette, più o meno in divisa». Numerose comunque sono le testimonianze dalle quali si evince la convinzione
difusa tra quanti avevano a vario titolo preso parte all’operazione «che
qualcosa non aveva funzionato», o, come afermò Mario Rosa, stretto
collaboratore di Borghese «…è la valvola di testa che non ha concorso a
quello che doveva concorrere…».
Recentemente alcune deposizioni di appartenenti agli ambienti
dell’eversione nera consentono di indirizzare l’attenzione direttamente
su Licio Gelli in relazione al contrordine operativo che paralizzò l’azione insurrezionale. Si hanno infatti testimonianze secondo le quali il
Venerabile era ritenuto elemento determinante nel contrordine: tale il
convincimento di Fabio De Felice, il quale ne fece parte ad un giovane
adepto, Paolo Aleandri, che poi provvide a mettere in contatto con Licio
Gelli. L’incarico era quello di tenere i contatti tra questi e l’avvocato De
Jorio, allora latitante a Montecarlo; e in tale veste l’Aleandri ebbe numerosi incontri con Licio Gelli, che si sarebbe prodigato per «alleggerire» la
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
271
posizione processuale degli imputati. Le deposizioni dell’Aleandri − che
trovano conferma in quelle di altri elementi quali Calore, Sordi, Primicino − hanno il pregio di fornire la prova del contatto diretto tra Licio
Gelli e quegli ambienti, aggiungendo un riscontro preciso alle considerazioni generali già espresse.
È stato altresì testimoniato che Licio Gelli teneva il contatto con uficiali dei carabinieri, e certo è che tra i congiurati era difusa l’opinione
che ambienti militari sostenevano o quanto meno tolleravano l’operazione. Certo, il Borghese si esprimeva nel suo proclama con decisione:
«Le Forze Armate sono con noi».
A loro volta questi elementi ben si inquadrano nel contesto di una
serie di deposizioni dalle quali emerge come la generazione immediatamente successiva a quella direttamente coinvolta nel golpe Borghese vedeva nel Gelli l’espressione di ambienti «che in forma più o meno
palese venivano contattati, però non con l’esplicita richiesta di aderire
ad un golpe, quanto per avvicinarli a posizioni che implicassero un loro
consenso per una svolta autoritaria o comunque per una democrazia
forte». Tale almeno l’interpretazione di Fabio De Felice.
Sta di fatto che nell’analisi che questa generazione forniva di quegli
eventi si assumeva che un’opera di strumentalizzazione fosse poi stata
messa in atto proprio dal Gelli e da coloro che gli erano vicino. Per tali
considerazioni venne prospettata persino l’eventualità di eliminare isicamente il Venerabile della Loggia P2, segno questo che la presenza
di Gelli in quegli ambienti aveva assunto un rilievo non secondario, incidendo sulla loro operatività con conseguenze che venivano valutate
come deleterie per l’organizzazione.
Accanto alla igura di Licio Gelli, un altro elemento di spicco nell’analisi di questa vicenda è costituito dal generale Vito Miceli, direttore del
Sid dal 1970 al 1974. In proposito quello che a noi interessa è rilevare come sia accertata l’esistenza di contatti tra il generale Miceli, allora
nella sua veste di capo del Sios, Orlandini e Borghese, contatti da far
risalire al 1969, epoca nella quale il generale entra nella Loggia P2. Tali
eventi si accompagnano signiicativamente alla sua nomina al vertice
dei Servizi, che il Gelli si vantò, come sappiamo, di aver favorito e che
precede di poco il tentativo insurrezionale guidato dal principe nero.
Contatti aveva altresì il generale Miceli con Lino Salvini, al quale aveva consentito di mettersi in contatto con lui sotto lo pseudonimo di
«dottor Firenze».
Questi dati, unitariamente considerati, vanno letti in parallelo con
la successiva inerzia del generale nei confronti delle indagini sul Fron-
272
Dalla P2 alla P4
te nazionale, condotte dal reparto D guidato dal generale Maletti. Con
questi il Miceli entrò poi in contrasto, avendo richiesto lo scioglimento del nucleo operativo facente capo al capitano La Bruna; e va a tal
proposito sottolineata la svalutazione che il direttore del Sid faceva dei
risultati investigativi raggiunti sul golpe, come non mancò di esternare
all’onorevole Andreotti e all’ammiraglio Henke.
Gli elementi conoscitivi indicati, che non esauriscono di certo una situazione oggetto di una contrastata vicenda giudiziaria, debbono essere
a questo punto del discorso inquadrati nell’ambito delle considerazioni
alle quali siamo pervenuti analizzando il rapporto tra Gelli ed i Servizi
segreti.
Il dato relativo all’appartenenza di Licio Gelli a quegli ambienti va
considerato alla luce delle successive attività che vedono il Venerabile
impegnato a venire in soccorso degli imputati, svolgendo un’azione che
si muove signiicativamente in perfetta sintonia con la documentata
inerzia del direttore del Sid. Il minimo che si possa dire è che questi non
sembra aver seguito con particolare accanimento le indagini sul Fronte
Nazionale, pur avendo avuto contatti diretti con i suoi massimi dirigenti.
Contatti che peraltro egli aveva giustiicato proprio con la necessità
di acquisire informazioni, nella sua veste di dirigente di apparati informativi. È del pari in tale prospettiva che vanno valutate sia le difuse
convinzioni maturate nell’ambiente golpista sul ruolo di Licio Gelli,
quale cerniera di raccordo con gli ambienti militari, che il risentimento
maturato per il fallimento dell’operazione.
Come si vede, anche muovendo da questa situazione l’analisi ci conduce alla igura di Licio Gelli, al suo ruolo di elemento intrinseco ai Servizi,
come del resto riteneva il De Felice, ma soprattutto alla individuazione
della Loggia P2 come struttura nella quale ed attraverso la quale si intrecciano rapporti e si stabiliscono collegamenti la cui ortodossia lascia ampi
margini di dubbio, anche accedendo alla più benevola delle valutazioni.
Elementi di estremo interesse ai nostri ini emergono poi dalla inchiesta condotta dal giudice Tamburino di Padova sul movimento denominato Rosa dei Venti, nel quale troviamo la presenza di uomini iscritti al
«Raggruppamento Gelli», secondo quanto afermato dall’ispettore Santillo nelle sue note informative. Venivano in tali documenti considerati
come appartenenti all’organizzazione gelliana il generale Ricci, Alberto
Ambesi e Francesco Donini. L’inchiesta sulla «Rosa dei Venti» si segnala
peraltro alla nostra attenzione per due testimonianze raccolte dal giudice patavino che rivestono per noi un sicuro interesse se poste in relazione ad altri elementi conoscitivi emersi nel corso del nostro lavoro.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
273
Va ricordato in primo luogo che il giornalista Giorgio Zicari ha testimoniato di aver collaborato con l’Arma dei carabinieri e con i Servizi
segreti, entrando in contatto nel 1970 con Carlo Fumagalli e Gaetano
Orlando, elementi di spicco del gruppo dei Mar, ed ottenendo da costoro informazioni per i detti apparati investigativi.
Quando nel 1974 lo Zicari venne riservatamente convocato dal giudice Tamburino, gli accadde di ricevere nel giro di poche ore l’invito ad
un colloquio con il generale Palumbo nel corso del quale l’alto uiciale
ebbe ad esprimersi nei seguenti termini: «…il tema centrale fu che io
non dovevo parlare, che poteva succedermi qualcosa, dei fastidi, che io
avevo tutto da perdere dalla vicenda, che i magistrati stavano tentando
di sostituirsi allo Stato, riempiendo un vuoto di potere, che non si sapeva che cosa il giudice Tamburino volesse cercare, che non ero obbligato
a testimoniare…».
Questa iniziativa del generale Palumbo viene a collocarsi in modo
preciso a sostegno della già ricordata osservazione del generale Dalla
Chiesa sulla collaborazione non particolarmente motivata degli ambienti della divisione Pastrengo nell’azione che il generale conduceva
contro il terrorismo. Va altresì rilevato che l’atteggiamento del generale
Palumbo riporta alla nostra attenzione il tipo di risposta che l’ammiraglio Casardi, direttore del Sid, forniva ai giudici che indagavano sulla
strage dell’Italicus quando si rivolsero al Servizio per ottenere notizie su
Licio Gelli, ottenendo un rinvio alle notizie apparse sulla stampa.
Sempre nel corso del 1974 il giudice Tamburino raccolse alcuni riferimenti testimoniali sul cosiddetto Sid parallelo, il cui procedimento si
chiuse inine con la richiesta di archiviazione formulata dal Procuratore
della Repubblica di Roma, accolta dal giudice istruttore in data 22 febbraio 1980.
È di particolare interesse, nel contesto di tali deposizioni, quanto
ebbe a dichiarare il generale Siro Rossetti, uscito nel 1974 dalla Loggia
P2 in posizione polemica nei confronti di Licio Gelli.
L’alto uiciale in ordine al problema dell’esistenza di un’organizzazione parallela ai Servizi afermò: «…la mia esperienza mi consente di
afermare che sarebbe assurdo che tutto ciò non esistesse…» ed ancora
«…a mio avviso l’organizzazione è tale e talmente vasta da avere capacità operative nel campo politico, militare, della inanza, dell’alta delinquenza organizzata…».
Questa descrizione letta oggi sulla base delle conoscenze acquisite in
ordine alla Loggia P2, non può non porsi per noi quale motivo di seria
rilessione, soprattutto quando si ponga mente alla sua provenienza da
274
Dalla P2 alla P4
parte di un elemento che conosceva la loggia direttamente dall’interno
e che professionalmente si occupava di servizi di informazione.
Passando ad altro argomento di ben più impegnativo rilievo, ricordiamo che i gruppi estremistici toscani compirono parecchi degli attentati (specialmente ai treni) che funestarono l’Italia tra il 1969 e il 1975.
Il generale Bittoni (P2), comandante la brigata dei Carabinieri di Firenze, iniziò a svolgere indagini, cercando di dare impulso all’inchiesta e
di coordinare le ricerche dei comandi di Perugia e di Arezzo. L’impegno degli uiciali aretini si rivelò, peraltro, del tutto insuiciente, come
ebbe a lamentare lo stesso Bittoni e come risulta dalle deposizioni dei
sottuiciali.
Rilevato come ben due degli uiciali superiori del comando di Arezzo
incaricati delle indagini facessero parte della Loggia P2 (uno di essi parlò della relativa iscrizione come di una «necessità») e che Gelli rivolse al
generale Bittoni discorsi suicientemente equivoci da provocarne una
accesa reazione, non sembra azzardato mettere in rapporto di causa ed
efetto l’iniltrazione della Loggia nell’Arma e l’insuicienza dell’indagine. A questo si aggiunga che analoga situazione si veriicava per la
questura della stessa città, essendosi potuta accertare l’iscrizione alla
Loggia non solo di due dei suoi funzionari, ma addirittura del questore
pro tempore.
Anche in tal caso appare legittimo mettere in rapporto di causa ed
efetto il fenomeno di iniltrazione piduista con disfunzioni «mirate»:
così, ad esempio, nel caso della informativa su Gelli e Marsili e sui rapporti del primo con il gruppo Sogno e Carmelo Spagnuolo, richiesta dal
giudice istruttore di Torino alla questura di Arezzo e mai ottenuta. Fu
rinvenuta, però, tra le carte di Castiglion Fibocchi copia dello scritto
anonimo che aveva sollecitato alla richiesta i giudici torinesi: il Venerabile era stato quindi tempestivamente informato ed aveva potuto
predisporre le sue difese. In deinitiva, sembra potersi concludere sul
punto che le iniltrazioni piduistiche ad Arezzo nella Polizia e nei Carabinieri (ed il sospetto di iniltrazione anche nella magistratura, come si
vedrà in seguito) servirono in quegli anni a conferire al Gelli un’aura di
intangibilità, lasciandogli mano libera per tutte le proprie − non certo
lecite − attività.
Un discorso a parte merita, poi, la strage perpetrata con la collocazione di un ordigno esplosivo sul treno Italicus, ordigno esploso nella notte
fra il 3 ed il 4 agosto 1974.
I fatti relativi sono stati già giudicati in primo grado dalla corte d’assise di Bologna con sentenza assolutoria dubitativa che, pur se non pas-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
275
sata in cosa giudicata, costituisce per la Commissione doveroso − anche
se non esclusivo − punto dì riferimento.
Le istruttorie di una Commissione di inchiesta e quelle dell’autorità
giudiziaria penale hanno infatti la comune caratteristica di utilizzare
prove storiche e prove critiche per giungere, attraverso un processo logico esternato di libero convincimento, a determinate conclusioni. Gli
elementi diferenziali riguardano invece l’oggetto e lo scopo dell’indagine. Quanto al primo occorre rilevare che la giustizia penale ha come
limite di accertamento realtà oggettivate od oggettivabili, mentre la
Commissione parlamentare può (e deve) tener conto anche di più soggettive emergenze come modi di pensare, opinioni e convincimenti diffusi (cfr. Corte costituzionale, sentenza 231/75).
Quanto al secondo appare evidente che, mentre la giustizia penale
ha un compito di accertamento strumentale rispetto ad afermazioni di
responsabilità personali, la Commissione ha invece quello di un accertamento funzionalizzato ad un più puntuale futuro esercizio dell’attività legislativa, e in esso vi è dunque spazio per afermazioni di responsabilità che siano di tipo morale o politico, secondo la natura propria
dell’istituto.
Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni
dell’analisi che ci si appresta a svolgere, si può afermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una
sentenza assolutoria per non suicientemente provate responsabilità
personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida,
quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per afermare:
- che la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione
terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in
Toscana;
- che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di
inanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana;
- che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage
dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in
termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.
Gioverà a tal ine riportarsi direttamente agli accertamenti giudiziari.
Già nella sentenza-ordinanza bolognese di rinvio a giudizio (14.4.1980)
si leggeva: «Dati, fatti e circostanze autorizzano l’interprete a fondatamente ritenere essere quella istituzione (la Loggia P2, ndr), all’epoca
276
Dalla P2 alla P4
degli eventi considerati, il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale: e ciò in incontestabile contrasto
con le proclamate inalità statutarie dell’istituzione».
Più puntualmente nella sentenza assolutoria d’Assise 20.7.198319.3.1984 si legge (i numeri tra parentesi indicano le pagine del testo
dattiloscritto della sentenza): «(182) A giudizio delle parti civili, gli attuali imputati, membri dell’Ordine Nero, avrebbero eseguito la strage in
quanto ispirati, armati e inanziati dalla massoneria, che dell’eversione
e del terrorismo di destra si sarebbe avvalsa, nell’ambito della cosiddetta “strategia della tensione” del paese creando anche i presupposti
per un eventuale colpo di Stato. La tesi di cui sopra ha invero trovato
nel processo, soprattutto con riferimento alla ben nota Loggia massonica P2, gravi e sconcertanti riscontri, pur dovendosi riconoscere una
sostanziale insuicienza degli elementi di prova acquisiti sia in ordine
all’addebitalità della strage a Tuti Mario e compagni, sia circa la loro
appartenenza ad Ordine Nero e sia quanto alla ricorrenza di un vero e
proprio concorso di elementi massonici nel delitto per cui è processato».
Signiicativamente, poi, si precisa in proposito:
«(183-184) Peraltro risulta adeguatamente dimostrato:
- come la Loggia P2, e per essa il suo capo Gelli Licio (dapprima
“delegato” dal Gran Maestro della famiglia massonica di Palazzo
Giustiniani, poi − dal dicembre 1971 − segretario organizzativo
della Loggia, quindi − dal maggio 1975 − Maestro Venerabile della stessa), nutrissero evidenti propensioni al golpismo;
- come tale formazione aiutasse e inanziasse non solo esponenti della destra parlamentare (all’udienza in data 27.10.1982 il
generale Rosseti Siro, già tesoriere della Loggia, ha ricordato
come quest’ultima avesse, tra l’altro, sovvenzionato la campagna
elettorale del “fratello” ammiraglio Birindelli), ma anche giovani
della destra extraparlamentare, quanto meno di Arezzo (ove risiedeva appunto il Gelli);
- come esponenti non identiicati della massoneria avessero oferto alla dirigenza di Ordine Nuovo la cospicua cifra di L. 50 milioni al dichiarato scopo di inanziare il giornale del movimento
(vedansi sul punto le deposizioni di Marco Afatigato, il quale ha
speciicato essere stata tale oferta declinata da Clemente Graziani);
- come nel periodo ottobre-novembre 1972 un sedicente massone della “Loggia del Gesù” (si ricordi che a Roma, in Piazza del
Gesù, aveva sede un’importante “famiglia massonica” poi fusasi
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
277
con quella di Palazzo Giustiniani), alla guida di un’auto azzurra
targata Arezzo, avesse cercato di spingere gli ordinovisti di Lucca
a compiere atti di terrorismo, promettendo a Tomei e ad Afatigato armi, esplosivi ed una sovvenzione di L. 500.000».
Aggiunge signiicativamente il magistrato: «appare quanto meno
estremamente probabile» − si legge a pag. 193 − che anche tale «fantomatico massone appartenesse alla Loggia P2».
La conclusione, su questo punto corre − signiicativamente − come
segue: «(194) Peraltro tali importanti dati storici non sembrano ulteriormente elaborabili ai ini della costruzione di una indiscutibile prova
di colpevolezza dei prevenuti circa la strage del treno Italicus».
La statuizione − che non spetta alla Commissione valutare − appare ispirata al principio di personalità della responsabilità penale ed a
quello di presunzione di innocenza: letta in controluce e con riferimento alla responsabilità storico-politica delle organizzazioni che stanno
dietro agli esecutori essa suona ad indiscutibile condanna della Loggia
P2. Una condanna raforzata dalle enunciazioni contenute nella prima
parte della sentenza ove si esterna il convincimento del giudice sulla
matrice ideologica ed organizzativa dell’attentato, una matrice ovviamente irrilevante in sede penale inché non si individuino mandanti,
organizzatori od esecutori ma preziosa in questa sede.
Scrivono ancora, infatti, i giudici bolognesi: «(13-14) Premesso doversi ritenere manifesta la natura politica dell’orrendo crimine di che
trattasi (anche in assenza di inequivoche rivendicazioni), data la natura dell’obiettivo colpito e la gravità delle prevedibili conseguenze della
strage sul piano della paciica convivenza civile (fortunatamente poi
risultate assai modeste per la “tenuta” della collettività) e dato l’inserimento dell’attentato in un contesto di analoghi crimini politici veriicatisi in Italia negli anni 1974-1975 (si pensi alla strage di Piazza
della Loggia ed alle bombe di Ordine Nero)»; ed ancora: “(15) è paciica
l’immediata ascrivibilità del fatto ad un’organizzazione terroristica che
intendeva creare insicurezza generale, lacerazioni sociali, disordini violenti e comunque (nell’ottica della cosiddetta strategia della tensione)
predisporre il terreno adatto per interventi traumatici, interruttivi della normale, isiologica e paciica evoluzione della vita politica del Paese.
Ebbene, non è dubbio che, nel variegato quadro delle organizzazioni
terroristiche operanti in Italia negli anni in cui fu eseguito il crimine al
nostro esame, l’impiego delle bombe e la loro collocazione preferenziale su obiettivi “ferroviari” caratterizzasse, usualmente, gruppi di ispirazione neofascista e neonazista (si ricordino gli attentati sulla linea
278
Dalla P2 alla P4
ferroviaria Roma-Reggio Calabria in occasione dei disordini di Reggio
Calabria e dei successivi raduni, il mancato attentato in cui venne ferito
Nico Azzi, l’attentato di Vaiano, rivendicato dalle Brigate Popolari Ordine Nuovo, gli attentati dicembre 1974-gennaio 1975, per cui furono
condannati dalla corte di assise di Arezzo proprio Tuti e Franci) e che fra
tali gruppi debba annoverarsi come già vivo e vitale, nell’agosto 1974,
quello ricomprendente Tuti e Franci».
Concludono peraltro malinconicamente i giudici bolognesi con la
constatazione di un limite invalicabile alla loro indagine, costituito dal
fatto che «l’imputazione riguarda solo esecutori materiali e non, ahimè,
lontani mandanti».
Già tanto potrebbe bastare per legittimare le conclusioni sopra anticipate. A ciò si aggiunga che sospetti di protezione dell’ultra-destra
eversiva gravano su ben individuati uici della magistratura aretina.
Persino la sentenza di Bologna (pag. 191) ne riferisce, confermando il
convincimento degli eversori neri di poter contare sull’importante protezione di un magistrato ailiato ad una potentissima loggia massonica, e risultano agli atti dichiarazioni assai gravi relative ad autorizzazioni di intercettazioni telefoniche non concesse ed ordini di cattura non
emessi (cfr. Deposizioni Cherubini e Carlucci. Vedasi anche deposizione
Filastò 3 luglio 1981 resa al dott. Cappelli della Procura della Repubblica di Arezzo). Il dato − al di là di responsabilità individuali su cui non è
questa la sede per disquisire – è dimostrativo di una di quelle «opinioni»
o «stati d’animo» signiicativi − fondati o meno che siano − che legittimamente una commissione d’inchiesta accerta e da cui altrettanto legittimamente trae motivi di convincimento.
Le afermazioni dei giudici competenti vanno adesso riportate alle
conoscenze proprie della Commissione ed in particolare a due dati di
conoscenza emersi con particolare signiicato in questa relazione.
Il primo è che la pista della Loggia P2 e di Licio Gelli fu seguita in
fase istruttoria dai magistrati bolognesi che indagavano sulla strage
dell’Italicus e che chiesero notizie in proposito al Sid: il Servizio, che,
come ben messo in risalto in altra parte della relazione, era assai più che
documentato in proposito, altra risposta non forni se non quella, già
ricordata, di nulla sapere riportandosi a quanto difuso dalla stampa.
Secondo elemento di estremo interesse è quello riguardante i rapporti fra l’Ispettorato antiterrorismo ed i già ricordati ambienti della
magistratura aretina. Il commissario De Francesco che, per incarico di
Santillo, seguiva la pista piduistica di Arezzo, in stretta collaborazione
con i magistrati bolognesi, ebbe uno scontro violentissimo con un ma-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
279
gistrato aretino che lo accusò – convocandolo in questura nel cuore della
notte − di violare il segreto istruttorio (vedansi la deposizione Zanda
23 novembre 1982 al sostituto procuratore della Repubblica di Bologna
e Carlucci 10 febbraio 1982 alla Assise di Bologna, per non citarne che
due). L’incidente, che comprometteva in loco i rapporti tra magistratura
e polizia, condusse al richiamo a Roma del commissario De Francesco
da parte di Santillo per ordine superiore (cfr. deposizione del De Francesco al dott. Persico 9-6-1981), con conseguente accantonamento di
una «pista» pur così sagacemente iutata dal capo dell’antiterrorismo.
Non è diicile vedere sulla base degli elementi sinora riportati come
le considerazioni svolte dai giudici bolognesi si pongano in piena armonia con le conclusioni alle quali il presente lavoro è pervenuto in altra
sezione. Non è chi non veda infatti che, ricondotte ad un singolo episodio concreto quale quello in esame, le afermazioni prima argomentate
trovano puntuale conferma.
Emerge infatti che in primo luogo venne dai Servizi negata ai giudici
bolognesi la conoscenza delle notizie su Licio Gelli che essi detenevano e
che nei loro confronti venne attivato quel cordone sanitario informativo le cui ragioni abbiamo prima individuato, e che adesso vediamo operante nei confronti del giudice inquirente che indagava sul caso dell’Italicus. Appare in secondo luogo che il ilone investigativo Gelli-Loggia
P2 venne anche in questo caso speciico individuato dall’unico apparato
investigativo − l’ispettore Santillo − che autonomamente arrivò ad intuire il valore di questa organizzazione e del suo capo perseguendola con
costanza nel tempo.
Quanto sopra esposto ci mostra che, alla certezza raggiunta dai giudici bolognesi sul coinvolgimento piduista nella strage dell’Italicus attraverso prove storiche, si aggiungono i risultati ai quali la Commissione
è pervenuta attraverso prove critiche tutte gravi, precise, concordanti e
che quella certezza già acquisita, quindi, corroborano ed arricchiscono
di particolari.
Nel periodo compreso tra la ine del 1973 ed il marzo del 1974 viene
ad evidenziarsi un’altra iniziativa nella quale si trovano coinvolti uomini risultati iscritti alla P2 o indicati, nella più volte ricordata relazione
Santillo del 1976, come aderenti alla stessa quali Edgardo Sogno, Remo
Orlandini, Salvatore Drago e Ugo Ricci.
Dai documenti in nostro possesso si può avanzare l’ipotesi che il
gruppo facente capo a Sogno, pur non ignorando le iniziative più tipicamente eversive, abbia sviluppato sin dalla ine degli anni Sessanta,
per proseguire nella prima metà degli anni settanta, una linea più le-
280
Dalla P2 alla P4
galitaria, che però muove sempre dalle premesse di un grave pericolo
delle istituzioni provocato dagli opposti estremismi e dalla incapacità
delle forze politiche di farvi fronte. Tale linea quindi si pone gli obiettivi di realizzare riforme anche costituzionali e mutamenti degli equilibri − politici al ine di dare vita ad un governo forte e capace di resistere
alle minacce incombenti sul, paese. Possono citarsi in questo contesto
la costituzione dei Comitati di resistenza democratica sorti nel 1971
per iniziativa di Edgardo Sogno e le proposte avanzate nei periodici Resistenza democratica e Progetto 80.
Quello che più interessa ai ini della nostra indagine è che la complessa tematica legata al gruppo Sogno, le proposte di riforme costituzionali
avanzate, come pure, in parte, la strategia adottata, rivelano punti di
contatto con il Piano di rinascita democratica e la strategia di Gelli dopo
il 1974.
Ricordiamo inine che nella busta «Riservata personale» che Gelli
custodiva a Castiglion Fibocchi era custodita copia di un anonimo, per
il quale ci fu richiesta di informativa su Gelli inviata alla questura di
Arezzo nel marzo del 1975 dal giudice Violante che indagava sulla eversione di destra. Nell’anonimo leggiamo tra l’altro: «Il Gelli sembra inoltre collegato al gruppo Sogno e ad altri ambienti che fanno capo all’ex
procuratore Spagnuolo oltre che ad ambienti inanziari internazionali».
Un’ultima notazione sul delitto del giudice Occorsio, il quale avrebbe
iniziato ad investigare sui possibili collegamenti tra l’Anonima sequestri
ed ambienti massonici ed ambienti dell’eversione.
Tale almeno fu la conidenza che Occorsio fece ad un giornalista il
giorno prima di essere, ucciso.
Per quanto a nostra conoscenza il questore Cioppa, iscritto alla Loggia P2, ha dichiarato alla Commissione di aver incontrato Licio Gelli
nell’anticamera del giudice Occorsio, due giorni prima dell’omicidio del
magistrato. L’esito dell’istruttoria relativa esclude collegamenti tra la
Loggia P2 ed il delitto; rimane peraltro da spiegare per quale motivo
il giudice avesse convocato il Gelli, secondo il dato in nostro possesso.
Considerazioni conclusive
Abbiamo elencato i punti di contatto che si possono issare, sulla
scorta dei nostri atti, tra Licio Gelli, la Loggia P2 e gli ambienti della
destra eversiva: quelle fasce al margine, o meglio al di fuori del sistema
politico legale, raggruppate sotto una variegata quantità di formule, la
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
281
cui azione caratterizza la prima metà degli anni Settanta, con iniziative
di portata traumatica in ordine alle quali dobbiamo purtroppo constatare come ben poche siano le certezze acquisite. I processi che su questi
eventi si sono celebrati, o non sono ancora conclusi, pure a distanza di
tempo, o hanno portato a sentenze che non consentono di arricchire
sostanzialmente il quadro conoscitivo di dati certi dai quali muovere. Il
nostro compito è quindi quello di portare al dibattito su questi fenomeni il contributo delle nostre conoscenze speciiche, cercando il possibile
collegamento con quanto risulta noto, al ine di veriicare la validità delle nostre tesi.
La prima constatazione riguarda la coincidenza riscontrabile tra il
periodo politico così contraddistinto e la prima fase politica e organizzativa della Loggia P2. Risalta alla nostra attenzione, con evidente
parallelismo, che il tono dei discorsi che si tengono nella loggia è in armonia, per quanto ci viene dai documenti, con questo contesto politico
esterno di propositi ed azioni. Ancor più rilevante, ai nostri ini, è poi
constatare, che quando nella seconda metà degli anni settanta il pericolo dell’eversione nera si avvia a scemare d’intensità, muta in parallelo il
livello organizzativo e la composizione personale della loggia, considerata sotto il proilo qualitativo delle adesioni.
La loggia in doppio petto degli Ortolani e dei Calvi, caratteristica
della seconda fase, ben si accompagna da un lato con la sostanziale attenuazione del pericolo nero e dall’altro con la fase politica che interviene in Italia dopo il 1976, secondo la ricostruzione che proporremo
nel capitolo seguente. Riportandoci all’analisi della storia organizzativa
della Loggia P2 ci è dato riscontrare che quelle che abbiamo delineato
come due fasi organizzative di spiccata caratterizzazione, coincidono
sostanzialmente con due periodi della vita nazionale da un punto di
vista politico suicientemente individuati ed il cui discrimine si pone
a cavallo della metà degli anni Settanta: nel 1974 viene raggiunto infatti l’apice della strategia della tensione, nel 1976 si registra il risultato
elettorale che inaugura le stagioni politiche della solidarietà nazionale. Ponendo mente a queste coordinate di riferimento dobbiamo allora
sottolineare che il 1974 è un anno fondamentale non solo nella vita del
Paese, ma anche nella vicenda organizzativa della Loggia Propaganda,
poiché è questo l’anno che si chiude con il voto della Gran Loggia di Napoli, nella quale viene sancita la demolizione della Loggia P2. Il punto
che in proposito deve sollecitare l’attenzione dell’interprete è che tale
deliberazione non segue ad alcuna particolare attività nota all’interno
della famiglia massonica; al contrario la relazione annuale del Grande
282
Dalla P2 alla P4
Oratore Ermenegildo Benedetti, appartenente al gruppo dei cosiddetti
«massoni democratici») svolta nel 1973, nel corso della quale erano state pesantemente denunciate le deviazioni politiche della Loggia P2, era
praticamente caduta nel vuoto non provocando alcuna reazione nella
comunione giustinianea.
Non è dunque ad essa che dobbiamo riportarci per trovare la causa
scatenante delle decisioni assunte nella Gran Loggia di Napoli che interviene invece, non preceduta direttamente da alcun evento interno, l’anno successivo, ovvero l’anno che registra nel maggio la strage di Piazza
della Loggia e nell’agosto la strage dell’Italicus.
Quell’anno Licio Gelli aveva inviato ai suoi ailiati una lettera su carta intestata «Centro Studi di Storia Contemporanea», nella quale, secondo la ben nota tecnica gelliana più volte documentata, è dato individuare, calato nelle abituali banalità, un messaggio politico ben preciso,
accompagnato da una afermazione che non può non destare l’attenzione dell’osservatore: «Con il nostro buon senso, con la nostra vocazione
alla libertà, dobbiamo sperare che le opposte tendenze, tutte per altro
incluse nell’arco democratico-costituzionale, trovino inalmente un terreno di intesa e di incontro al ine di dare l’avvio alla esecuzione e alla
programmazione di una azione intesa a conseguire una vera pace sociale, ad un autentico atto di paciicazione politica».
«Non è allarmisticamente che si prevede una estate veramente calda, direi scottante per una notevole quantità di problemi estremamente
impegnativi».
Questa afermazione letta alla luce delle conoscenze in nostro possesso, ovvero alla riscontrata specularità tra vicende politiche e fasi organizzative della Loggia P2, al ricordato risveglio di interesse di apparati
investigativi nei confronti di Licio Gelli che cade proprio nel 19741, alla
citata «demolizione» votata dalla Gran Loggia di Napoli, viene ad acquisire un signiicato ben diverso da quello di innocue lamentazioni sulle
disfunzioni del sistema come a prima vista potrebbe apparire. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un concordante quadro di elementi conoscitivi
che tutti si armonizzano tra loro in univoco senso: quello di denunciare
un legame tra quelle attività eversive e Licio Gelli, poiché se una coincidenza è non solo possibile ma probabile, una serie dì coincidenze, come
quella denunciata, è piuttosto indicativa di un rapporto di connessione
e di causalità. Ed è di conforto alla nostra ipotesi constatare che tale
collegamento venne individuato o comunque presentito sia all’interno
che all’esterno della comunione massonica e che la sua individuazione
non fu poi senza conseguenze, poiché all’interno della massoneria si
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
283
avviò da quel momento quel processo di ristrutturazione che valse a
rendere deinitivamente ancor più segreta la Loggia e ad espellere dalla
comunione i cosiddetti «massoni democratici».
Quanto agli ambienti esterni abbiamo ricordato il destino non favorevole nel quale incorsero gli uiciali della Guardia di Finanza che avevano lavorato alle informative, ed abbiamo anche alzato un velo di dubbio
sugli esiti della carriera dell’ispettore Santillo che, adesso sappiamo, era
responsabile agli occhi di Gelli non solo delle tre note già commentate,
ma dell’accanimento con il quale aveva seguito la pista individuata, tramite l’ispettore De Francesco. Notiamo che terza autorità costituita ad
individuare un collegamento Gelli-eversione nera, sarebbe stato il giudice Occorsio che comunque andò incontro ad un tragico destino: una
coincidenza questa, e non certo la prima nella nostra storia, che riteniamo comunque doveroso, con piena autonomia di giudizio, sottolineare.
Quello che ci chiediamo allora è se Licio Gelli e la sua loggia siano in
tutto identiicabili con situazioni che si ponevano decisamente al di fuori del sistema democratico e comunque quale tipo di rapporto avessero
stabilito con tali realtà. Certo è che la connotazione nera di Gelli e della
sua loggia è quella consegnata all’iconograia uiciale, per la quale non
si è mai mancato di insistere sui trascorsi fascisti e repubblichini del
Venerabile: questa almeno era l’immagine che di lui ampiamente pubblicizzava la stampa durante quegli anni, prima che Gelli e la sua organizzazione provvedessero a costituirsi quella radicale mimetizzazione
che abbiamo studiato nel primo capitolo.
Ma che questa non sia la vera o per lo meno l’unica chiave di lettura
del fenomeno ci viene oferto dall’osservare la trasformazione intervenuta nella seconda fase della Loggia P2, che alla luce di un attento
studio del fenomeno verrà a dimostrarsi in realtà come una accorta
operazione di adeguamento, all’insegna della continuità, alla situazione
politica mutata.
Vedremo infatti come Licio Gelli non abbia diicoltà a dismettere i
panni del fascista quando di essi non avverte più la necessità in ragione del cambiamento dei tempi e del succeddersi delle fasi politiche. Il
Gelli che si muove all’insegna del piano di rinascita democratica e che
in quel contesto controlla il Corriere della Sera – non interferendo con la
linea d’appoggio alla politica di solidarietà nazionale − è pur sempre lo
stesso Gelli che nel verbale di riunione di loggia del 1971 identiicava
il nemico da battere in un’area di forze deinite «clerico-comunismo».
In quella riunione nella quale era stata «messa al bando la ilosoia», si
erano tenuti discorsi che, se per molti versi anticipano nel contenuto il
284
Dalla P2 alla P4
piano di rinascita democratica, peraltro si situano in un contesto politico marcatamente diverso da quello nel quale il piano verrà a collocarsi.
Ma per comprendere allora se e quale interpretazione unitaria si possa
dare a questi dati è forse opportuno entrare, sia pure per un istante,
nella logica del sistema di potere gelliano e, «messa al bando la ilosoia», cercare di vedere i fatti e gli avvenimenti, al di là del loro primo
apparente signiicato.
A tal ine riprendiamo lo spunto relativo al golpe Borghese per notare
come il colpo di Stato al quale il principe nero tramava, non manca di
presentare alcuni aspetti di sorprendente anacronismo.
Vogliamo cioè fare riferimento a quel che di vagamente ottocentesco che il piano nel suo insieme lascia trasparire nella sua ideazione,
fondata come è su un’analisi politica a dir poco approssimativa, come
quando ignora il peso che nel sistema hanno partiti e sindacati e trascura la loro capacità di mobilitazione in tempo reale di vaste masse di
cittadini. Pensare di fronteggiare una situazione quale di certo sarebbe
ipotizzabile in una simile deprecata evenienza con un proclama letto
alla radio, sembra a dir poco supericiale. Come altresì si mostra supericiale il piano nei suoi risvolti attuativi, tra i quali gioca un ruolo decisivo
il famoso contrordine, sulla cui paternità sappiamo quali dubbi esistano
e quali possibili riferimenti ci conducano a Licio Gelli o a persone a lui
vicine. Questo contrordine rappresenta per noi molto più che un banale
disguido attuativo, quale sembra a prima vista, perché in realtà si cela
in esso la chiave di lettura politica di tutta l’operazione. Una operazione
che nella mente di chi stava dietro le quinte mirava più all’efetto politico che il golpe tentato poteva provocare in termini di reazione presso
l’opinione pubblica e la classe politica, che non al reale conseguimento
di una conquista del potere, che il piano poteva garantire solo ai pochi
e non molto provveduti congiurati che si esposero in prima persona.
Per contro, quando si pensi al giustiicato clamore che l’evento suscitò
all’epoca − e che solo adesso, nella prospettiva storica, è possibile ridimensionare − non sembra un forzare l’interpretazione afermare che il
colpo di Stato tentato e non consumato, esperì comunque i suoi sperati
efetti politici alternativi: in altri termini se il piano operativamente fallì, politicamente per qualcuno fu un successo perché pose sul tappeto
come possibile realtà l’ipotesi che in Italia esistevano forze ed ambienti
pronti ad un simile passo.
Ponendoci allora ad un livello di analisi meno approssimativo, non
possiamo non rilevare che la consistenza concreta, in termini politici, del
golpe Borghese appare di poco maggiore, secondo una evidente analo-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
285
gia, di quella del governo sostenuto dai militari e presieduto da Carmelo
Spagnuolo, del quale si discusse nella riunione a Villa Wanda del 1973.
Le considerazioni sulle quali ci siamo dilungati ci pongono il problema se dai rilievi proposti emergano elementi tali che consentano di
sufragare un’interpretazione dei fenomeni allo studio che rivesta connotati di verosimiglianza politica. È chiaro per altro, che il problema
viene adesso a centrarsi, prendendo le mosse dai due episodi citati, sulla
cosiddetta strategia della tensione e sul suo reale signiicato, ed è problema che correttamente si pone nei termini di accertare quale sia stato
il disegno politico sotteso agli eventi.
Si tratta, come si vede, di argomento di vasta portata che trascende
l’indagine speciica assegnata alla Commissione, la quale peraltro è in
grado di contribuire al relativo dibattito in sede politica e storica, ad
esso prestando il patrimonio di dati e di conoscenze che le è proprio.
Possiamo allora rilevare che gli elementi conoscitivi in nostro possesso inducono a ritenere improbabile che Licio Gelli e gli uomini e gli
ambienti dei quali egli era espressione si ponessero realisticamente
l’obiettivo politico del ribaltamento del sistema, mentre assai più verosimile appare attribuire loro il progetto politico di un orientamento
verso forme conservatrici di più spiccata tendenza.
Comprova questa interpretazione non solo l’esame delle testimonianze e dei documenti, sinora ampiamente citati e che si pongono in
una non interrotta linea di continuità, ma soprattutto, ed è questo patrimonio conoscitivo proprio della Commissione, lo studio di come gli
stessi uomini si muovono in fasi politiche successive, di segno totalmente diverso: di come cioè adeguino tattiche e forme di intervento al
mutare degli eventi. È la stessa diversità tra le due fasi della Loggia P2
che, correndo in parallelo, secondo la ricostruzione che la Commissione
è in grado di fornire, alla diversità di periodo storico, ci testimonia la
identità del fenomeno e la sua sostanziale continuità.
Se tutto ciò è vero − tutto infatti ci conduce a questa analisi − non è
azzardato allineare, accanto all’interpretazione più evidente dei fatti,
un’altra ipotesi ricostruttiva di pari possibile accoglimento, che la prima
non esclude: quella cioè che la politica di destabilizzazione − nella quale
il Gelli ed i suoi accoliti si inserivano − mirava piuttosto, con paradossale ma coerente lucidità, alla stabilizzazione del sistema, su situazioni
naturalmente di segno politico ben determinato.
Di fatto la realtà politica che si delinea alla nostra attenzione è che se
certamente vi furono in quel periodo forze e gruppi che in modo autonomo si preiggevano il ribaltamento del sistema democratico attraverso
286
Dalla P2 alla P4
l’impiego di mezzi violenti, questa situazione di indubbia autonoma matrice da non sottovalutare, come ha sottolineato il commissario Covatta,
venne utilizzata da altre forze, secondo un più sottile disegno politico.
Partendo dalla premessa del commissario Battaglia che vi furono cioè
certamente in quel periodo forze che aspiravano a destabilizzare per destabilizzare, la dialettica di rapporti che ci è dato individuare all’interno
di questa articolata situazione consente la posizione di due afermazioni: la prima è che la Loggia P2 non è identiicabile toto modo con gli ambienti eversivi, la seconda è che, proprio in ragione di tale distinzione, la
diversa autonomia politica di questi ambienti ci consente di individuare
un rapporto di strumentalizzazione che intercorre tra chi il sistema voleva soltanto condizionare e chi invece aspirava a rovesciare.
In questa prospettiva il commissario Covatta ha sottolineato come costituisca un paradosso della politica clandestina la possibilità di essere,
più o meno consapevolmente utilizzata da altre strutture clandestine.
Un collegamento questo tra quello che fu chiamato il «partito armato»
e quello che l’onorevole Rodotà ha deinito il «partito occulto» che sembra saldarsi all’insegna della necessità, secondo il pensiero del ilosofo
Norberto Bobbio (citato nel corso del dibattito) quando aferma: «dove
c’è il potere segreto, c’è quasi come suo prodotto naturale, l’antipotere
altrettanto segreto sotto forma di congiure e complotti, di cospirazioni.
Accanto alla storia degli arcana dominationis si potrebbe scrivere con la
stessa abbondanza di particolari, la storia degli arcana seditioni».
Si comprende anche in questa linea come tracce di gellismo siano rintracciabili in eventi ben più drammatici che non il golpe Borghese: la
strage dell’Italicus; anche in questo caso la cronologia ci viene in aiuto
perché ci consente di constatare come le bombe della cellula eversiva
toscana (è il 1974) segnino un sostanziale passaggio alle maniere forti.
Un mutamento di tattica e di mezzi che possiamo comprendere quando
si valuti come il paese e la classe politica avevano dimostrato, al di là di
ogni residua illusione, di non cedere ai facili isterismi: chi voleva farli
approdare verso lidi di più sicura conservazione doveva evidentemente
rassegnarsi a ricorrere non a qualche spinta di orientamento, ma a ben
più robuste spallate.
Seguendo allora il solco della traccia argomentativa proposta sinora e
dando come dato acquisito la compenetrazione ma non l’identiicazione tra Loggia P2 ed ambienti eversivi, riusciamo a far combaciare con
esatta simmetria le due facce della Loggia P2, perché la seconda trova
origine nella prima e ad essa si collega con tutta coerenza. È una constatazione questa che appare politicamente accettabile quando si ten-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
287
ga conto che il quadro di riferimento generale, nel quale la logica della
strategia della tensione si era inserita, aveva segnato uno sviluppo dal
quale era uscita una risposta politica del tutto inaspettata: quella delle
elezioni del 1975-1976. Si era così registrata una spinta a sinistra del
quadro politico ed era maturata una situazione afatto nuova, tale da
obbligare gli ambienti che gravitavano intorno alla loggia ad elaborare
nuove e più soisticate strategie.
Il commissario Crucianelli ha sottolineato con dovizia di argomentazioni il valore politico cruciale degli eventi del 1974, già indicato precedentemente, rilevando che è proprio questo l’anno nel quale, oltre agli
eventi citati, si registra lo scioglimento presso il ministero dell’Interno
dell’Uicio afari riservati, diretto dal prefetto D’Amato, presente negli
elenchi della Loggia, l’avvio delle inchieste giudiziarie su Ordine nuovo
e su Avanguardia nazionale, nonché il declino delle posizioni dei generali Miceli e Maletti. Non è dato sapere con certezza se questo succedersi
di eventi contrassegnò un momento di disgrazia delle sorti di Licio Gelli, ma se anche così fosse, certo è che, come abbiamo visto studiando la
ristrutturazione della Loggia P2, a partire dal 1976 il Venerabile aretino
appare saldamente sulla cresta dell’onda alla guida di una rinnovata organizzazione, strumento idoneo al formidabile sviluppo della seconda
fase.
L’afare Moro
La Commissione, analogamente a quanto rilevato dalla Commissione
di inchiesta sulla strage di via Fani e sull’uccisione dell’onorevole Moro,
non ha potuto non prospettarsi il problema del signiicato della presenza di numerosi elementi iscritti alla Loggia P2 che rivestivano in quel
periodo ed in ordine a quella vicenda posizioni di elevata responsabilità.
Sono questi interrogativi che emergono dalla testimonianza, ad
esempio, del sottosegretario Lettieri, che di fronte a quella Commissione ha rilevato come le riunioni al Viminale del Comitato di coordinamento tra le forze dell’ordine vedevano presente intorno allo stesso
tavolo una maggioranza di iscritti alla Loggia P2, tra gli organi tecnici di
ausilio ai responsabili politici. Dagli appunti del sottosegretario Lettieri
risultano infatti presenti a queste riunioni, oltre ai ministri interessati
e ai vertici della Polizia e dei Carabinieri, i seguenti ailiati alla Loggia
P2: i generali Giudice, Torrisi, Santovito, Grassini, Lo Prete, nonché, ad
una di esse, il colonnello Siracusano.
288
Dalla P2 alla P4
Questa constatazione pone il quesito se l’inadeguatezza degli apparati informativi e di polizia dello Stato, sulla quale si è registrato un ampio
consenso tra le forze politiche, abbia avuto a suo fondamento, motivazioni di ordine esclusivamente tecnico, o sia invece da riportare ad altro
ordine di considerazioni. Questa problematica non ha trovato nel corso
dell’indagine ulteriori riscontri, fatta eccezione per la deposizione del
commissario di Pubblica Sicurezza Elio Cioppa, vice del generale Grassini al Sisde, il quale ha confermato la testimonianza resa di fronte al
magistrato di aver successivamente ricevuto dal suo superiore, all’epoca del suo arrivo al Servizio, l’incarico di efettuare ricerche nell’ambito
dell’ambiente della sinistra, sulla base di informazioni e valutazioni, e
tra queste anche valutazioni relative alla vicenda Moro, che il suo superiore aveva recepito direttamente da Licio Gelli con il quale si incontrava saltuariamente, nell’interesse esclusivo del Servizio.
La testimonianza non viene smentita dal generale Grassini il quale, dichiarando di non ricordare l’episodio riferito dal Cioppa, aferma
peraltro che, se lo aveva riferito Cioppa – funzionario serio e competente − doveva essere senz’altro vero. Aggiunge che, se aveva ricevuto
informazioni da Gelli, ciò era avvenuto non in occasione di una riunione
alla quale Gelli era presente, ma in un incontro fra lui e lo stesso Gelli.
Il problema, sul quale si è sofermato a lungo il commissario Flamigni, si pone, al di là dei supporti documentali e testimoniali in nostro
possesso, nei termini di accertare se un episodio di così tragico e rilevante momento possa essere inquadrato nel contesto dei rapporti che
Licio Gelli intratteneva con i suoi ailiati.
Su tale ordine di problemi quello che la Commissione è in grado di affermare, facendo riferimento al patrimonio conoscitivo che le è proprio,
è che, mentre si pone come dato sicuro l’interesse attivo e politicamente determinato delle relazioni che Gelli intratteneva con gli ambienti
militari della Loggia, come è ampiamente documentato nel corso della
presente relazione, per eventi e situazioni di ben minore portata rispetto a questo tragico evento, per contro, allo stato degli atti, non si hanno
sicuri riscontri sul collegamento tra questo livello qualiicato di rapporti
e la vicenda speciica in esame.
Queste considerazioni relative alla precisa valenza politica che Licio
Gelli attribuiva ai rapporti instaurati con quegli ambienti vanno pertanto a porsi in aggiunta alle osservazioni ricordate sulla insuicienza
dimostrata dagli apparati e lasciano aperti, in un più ampio contesto,
gli interrogativi da più parti sollevati. Interrogativi in ordine ai quali la
Commissione non è in grado di fornire risposte certe ma che peraltro,
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
289
attesa la delicatezza della materia e il suo preminente rilievo politico,
non ritiene, alla luce soprattutto dell’ambiguo rapporto identiicato tra
Licio Gelli ed i Servizi segreti, di poter sottacere.
La Loggia P2, la pubblica amministrazione e la magistratura
I rapporti con la pubblica amministrazione
Una trattazione sull’argomento − svolta nel più ampio contesto
della disamina dei mezzi di penetrazione impiegati dalla Loggia P2
per l’attuazione dei suoi ini − richiede una preliminare chiariicazione relativa alla mancanza di un piano operativo elaborato dalla loggia medesima con riferimento alla pubblica amministrazione nel suo
complesso: si vuol cioè dire che nei documenti programmatici acquisiti
e segnatamente nel piano di rinascita democratica non si rinvengono
enunciazioni di principio o proposte di riforma circa il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire l’amministrazione dello Stato. Vi è al riguardo soltanto un accenno quando si auspica, con un riferimento poco chiaro,
una riforma di quel settore dello Stato «fondata sulla teoria dell’atto
pubblico non amministrativo»; ed inoltre si formulano generiche indicazioni sulla necessità di tener separata la responsabilità politica da
quella amministrativa e di sostituire il sistema del silenzio-riiuto con
quello del silenzio-consenso.
Queste due ultime prospettazioni possono verosimilmente interpretarsi la prima come esigenza di afermazione di una classe di tecnocrati in contrapposizione alla categoria degli esponenti politici − secondo
un’idea ricorrente nei documenti della loggia − e la seconda come potenziamento dei diritti e delle facoltà dei privati in confronto alle prerogative della pubblica amministrazione.
Trattasi dunque di formulazioni programmatiche generiche e di segno non univoco, talché è lecito desumerne che ai ini della attuazione
del disegno politico della Loggia P2 − e della deinizione della sua strategia di intervento − alla pubblica amministrazione non viene sostanzialmente riconosciuto un ruolo particolare, né si delineano ipotetici
cambiamenti della struttura, della funzione e dei meccanismi operativi
della medesima, contrariamente a quanto risulta documentato per il
Parlamento, il Governo, la magistratura e altre istituzioni dello Stato.
Vedremo in seguito il valore da attribuire alla proposta di reintrodurre
l’uicio dei segretari generali dei ministeri.
290
Dalla P2 alla P4
Risulta quindi più interessante e signiicativo cercare la risposta al
quesito che i due termini (Loggia P2 e pubblica amministrazione) sottendono, con l’analisi degli elenchi, per meglio approfondire il collegamento con le singole persone degli iscritti alla loggia appartenenti alla
pubblica amministrazione e le ragioni della loro ailiazione, veriicando, se ed in che modo, le attività di costoro e gli uici ricoperti, siano
rilevanti ai ini dell’indagine che l’articolo 1 della legge istitutiva ha devoluto a questa Commissione.
Per meglio delimitare il campo dell’analisi strutturale dell’elenco,
deve poi chiarirsi che la locuzione «pubblica amministrazione» viene qui
intesa nel suo più estensivo signiicato ino a ricomprendere non solo
le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e gli enti pubblici,
ma anche le società gli istituti e le aziende a partecipazione statale e le
banche, con la sola esclusione dei ministri e sottosegretari per i quali si
valuta come prevalente la qualiicazione politica e dei quali si fa perciò
menzione in altro luogo della relazione.
Considerando i ministeri, si rileva che quello dell’Interno ha un organico di diciannove iscritti tra i quali quattro questori (Palermo, Cagliari, Salerno, Treviso), tre prefetti (Brescia, Pavia, Commissario governativo per
la regione veneta), tre vice questori (Trapani, Genova, Arezzo), un ispettore di Pubblica Sicurezza (per il Piemonte e la Valle d’Aosta), un direttore dei
servizi di polizia di frontiera, un direttore della squadra mobile di Palermo,
tre commissari di Pubblica Sicurezza (Roma, Arezzo, Montevarchi).
Per il Ministero degli Afari Esteri si contano quattro ailiati di cui
un ambasciatore a capo della segreteria generale e un direttore della ragioneria centrale; per il Ministero dei Lavori Pubblici e per quello della
pubblica istruzione, rispettivamente, quattro e trentaquattro elementi;
per il ministero delle Partecipazioni Statali ventuno iscritti così divisi:
diciassette dipendenti Iri e quattro dipendenti Eni; il ministero del Tesoro, ivi comprese le banche, può contare un organico di sessantasette
unità; del ministero della Sanità si rinvengono tre iscritti, tra cui i primi
dirigenti della divisione I (afari generali) e della divisione VI (professioni sanitarie); per il ministero dell’Industria e Commercio risultano
ailiati tredici elementi, di cui il vice presidente del Cnr, un direttore generale, l’amministratore delegato dell’Ina e il primo dirigente del ruolo
di personale dell’energia nucleare Nato a Bruxelles; nel ministero delle
Finanze si contano cinquantadue ailiati, mentre per quello di Grazia e
Giustizia ve ne sono ventuno (compresi i magistrati).
Seguono poi i ministeri con scarsa rappresentatività di iscritti tra i
loro dipendenti, quali quello dell’Agricoltura con uno, quello dei Tra-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
291
sporti con due, quello del Lavoro con uno, quello del Commercio con
l’Estero con due (tra cui il direttore della Sace), quello dei Beni Culturali
con quattro, quello per il coordinamento della Ricerca Scientiica e Tecnologica con tre (tra cui il direttore del Cnr), quello per gli Interventi
Straordinari nel Mezzogiorno con uno, quello della Marina Mercantile
con due, quello per gli Afari Regionali con uno.
Con riferimento agli altri enti o istituti diversi dai ministeri, si rilevano i
seguenti dati: l’Inps conta tre iscritti, come pure la Corte dei conti, mentre
l’Avvocatura generale dello Stato e il Consiglio di Stato vantano un iscritto
ciascuno. Per la Presidenza della Repubblica si annoverano tre ailiati.
Riepilogando, l’organigramma complessivo della iniltrazione dalla
loggia negli apparati pubblici ammonta a ben quattrocentoventidue effettivi, divisi nelle varie amministrazioni e situati ai diversi livelli gerarchici, onde poter garantire la riuscita degli interventi di Galli o di altri
ailiati nei settori di rispettiva competenza.
Dagli elementi sopra menzionati emerge dunque una presenza penetrante e capillare di uomini della Loggia P2 in praticamente tutti i
settori della pubblica amministrazione, diretta ed indiretta, compresi
gli enti a partecipazione statale. Si osserva però come Gelli e la Loggia
P2 curassero in modo particolare la penetrazione in alcuni settori maggiormente determinanti per la vita e la politica dello Stato.
Già in altra parte della relazione si è descritta la penetrazione nelle
forze armate e nei Servizi segreti e di conseguenza nei ministeri che
avevano competenza in questi settori. Così pure va ricordato che nel
settore di competenza del ministero delle Finanze, oltre a numerosi e
importanti militari, compresi i comandanti della Guardia di Finanza,
dei quali si è parlato pure in altra parte della relazione, risultano appartenere alla loggia un numero non irrilevante di funzionari civili.
Restando sempre nel campo dei ministeri che governano l’attività
economica e inanziaria dello Stato, un cenno particolare merita la penetrazione nei ministeri del Tesoro e del Commercio con l’Estero.
Emerge che nelle liste della Loggia P2 sono inclusi sia alti dirigenti del ministero del Tesoro, sia importanti personaggi posti in istituti
come la Sace e come la Banca d’Italia, che hanno funzioni decisive anche
in tema di rapporti inanziari con l’estero, nonché esponenti di numerosa banche pubbliche e private.
Per completare il quadro può essere opportuno ricordare quanto riferiscono Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din e cioè che, quando Gaetano
Stammati si presentò candidato ad un seggio senatoriale, Gelli ed Ortolani davano per certa la sua nomina a ministro del Tesoro, cosa che
292
Dalla P2 alla P4
puntualmente avvenne. Inoltre Gelli ed Ortolani gli indicarono quale
persona che si occupasse della sua campagna elettorale Giuseppe Battista che era − a dire di Rizzoli − un loro factotum, al quale essi aidarono
diversi incarichi importanti. Battista, anch’egli iscritto alla Loggia P2,
divenne poi segretario particolare di Stammati, il quale aidò inoltre
l’incarico di suo addetto stampa a Luigi Bisignani, anch’egli ailiato alla
loggia. Quando poi Stammati − dopo una parentesi al ministero dei Lavori Pubblici − passò al ministero del Commercio con l’Estero, Battista
e Bisignani lo seguirono e Stammati aggiunse a loro, con l’incarico per
la segreteria tecnica, Lorenzo Davoli, pure igurante nelle elenchi. Davoli − sempre a dire di Rizzoli − fu fatto assumere da Gelli e Ortolani alla
società Rizzoli per poi essere distaccato presso Stammati.
Va aggiunto ancora che al Commercio con l’Estero operava anche
Ruggero Firrao, allora direttore generale delle valute, che Ortolani e
Gelli indicavano − sempre a dire di Rizzoli − come un loro uomo.
Il Firrao igura anche come dirigente della Sace (Società di assicurazione per i crediti nell’esportazione) ed è compreso negli elenchi della
Loggia P2.
Non sembra inutile sottolineare come in tal modo Gelli ed Ortolani possano aver conseguito un controllo in un settore chiave dell’amministrazione statale dalla quale passano tutte le operazioni di natura valutaria.
Si ricordi inine che presso il ministero del Commercio con l’Estero
funziona pure un Comitato interministeriale composto dai rappresentanti dei ministeri degli Esteri, dell’Industria, della Difesa, delle Finanze e del Commercio con l’Estero, nonché del Sismi (in precedenza del
Sid) che esercita il controllo sulla vendita delle armi a paesi terzi.
Ad ulteriore conferma dell’interesse che un qualche potere non istituzionale aveva per il ministero del Commercio con l’Estero si può ricordare quanto riferito nella sua audizione in Commissione il 24 gennaio
1984 dall’onorevole Zanone. Nel 1979, in occasione della formazione
del primo Governo dell’VIII legislatura, il ministero del Commercio con
l’Estero, anziché essere aidato, come sembrava in base agli accordi di
Governo, all’onorevole Altissimo, fu assegnato di nuovo a Stammati:
Zanone aferma che egli ebbe l’impressione che forti pressioni fossero
state esercitate perché si addivenisse ad una soluzione del genere. Riscontriamo tra l’altro che successivamente venne attribuito all’onorevole Enrico Manca, elenchi della Loggia P2.
Le interferenze sul ministero del Commercio con l’Estero da parte di
Gelli trovano ulteriore illuminazione dal fatto che copia dei documenti
più rilevanti dell’afare Eni-Petromin, ivi compresa la copia di una me-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
293
moria in proposito redatta personalmente da Stammati, furono rinvenute presso Gelli nella perquisizione del 17 marzo 1981.
L’accenno ai rapporti internazionali induce ad esaminare la penetrante azione della loggia in un altro ministero-chiave, come quello degli Afari Esteri Francesco Malfatti, da lunghi anni segretario generale
di quel ministero e quindi in posizione di rilievo centrale e determinante, risulta anch’egli negli elenchi della Loggia P2.
Al di là però di tale iscrizione non possono ignorarsi gli intensi rapporti di Gelli con paesi esteri, in particolare con quelli dell’America latina, rapporti che non potevano non ricevere appoggi e facilitazioni da
parte del ministero suindicato, in considerazione della posizione che
Gelli raggiunse in tali paesi e delle sue relazioni con alte personalità di
Governo e della pubblica amministrazione civile e militare dei paesi stessi: si ricordino in proposito i suoi rapporti con il generale Peron, il generale Massera ed altri per menzionare solo un paese come l’Argentina, di
cui Gelli era anche consigliere economico presso l’ambasciata a Roma.
A questo proposito dagli atti della Commissione sembra potersi derivare come da parte degli organi centrali e periferici del ministero degli
Esteri sia stata stesa quasi una cortina protettiva nei confronti di Gelli
e delle sue attività all’estero. Tra l’altro, allorché il ministero degli Esteri
richiese il 6 marzo 1982 alle nostre rappresentanze diplomatiche, su
sollecitazione di questa Commissione, di trasmettere documenti e notizie relativi alla Loggia P2 a Licio Gelli, a Umberto Ortolani e a Francesco
Pazienza, l’ambasciata di Buenos Aires, cioè della capitale di un paese
dove la presenza di Gelli non poteva essere passata inosservata, rispose
in maniera del tutto negativa. Per contro, a parte ogni altra considerazione, da una informativa del Sisde in data 17 febbraio 1982 risulta che
Gelli svolgeva attività economiche e inanziarie in Argentina, oltre che
in Brasile, in Uruguay e in Paraguay.
Altro ministero importante nel quale va segnalata una penetrante
presenza della Loggia P2 è quello dell’Interno. Già si è ricordato come
molti questori e commissari di Pubblica Sicurezza, oltre ad uiciali di
Polizia, iguravano iscritti alla loggia. Dagli atti e in particolare dall’audizione del dottor Luongo in Commissione si deriva come Gelli ricevesse una particolare protezione da parte della questura di Arezzo: Luongo parla in proposito di una «combutta» all’interno della questura; era
quella evidentemente una sede particolarmente importante perché vi si
trovavano la residenza di Gelli e uno dei centri della sua attività.
Una particolare menzione richiede, ai ini della penetrazione di cui si
parla, la igura di Federico Umberto D’Amato, iscritto alla Loggia P2, la
294
Dalla P2 alla P4
cui presenza emerge in tante vicende della vita italiana in questi anni e
che igura in rapporti stretti e costanti con molti degli uomini in qualche modo coinvolti nella storia e nell’attività della loggia, da Roberto
Calvi a Francesco Pazienza, da Angelo Rizzoli a Mino Pecorelli, oltre che
con Licio Gelli.
Informazioni su D’Amato o raccolte dal D’Amato si rinvengono anche
presso l’archivio di Gelli di provenienza uruguaiana. Sugli stretti rapporti tra D’Amato e Calvi, ino agli ultimi giorni di vita di quest’ultimo,
riferiscono ampiamente i familiari di Calvi.
Gli elementi forniti vanno letti unitamente alla raccomandazione rivolta dal Venerabile Maestro agli ailiati nella già citata «Sintesi delle
norme» che delucida suicientemente il rilievo del proselitismo gelliano: «Al ine di poter conservare la continuità della copertura dei punti
di interesse previsti dall’organigramma per i vari settori delle attività
pubbliche e private, è necessario che ogni iscritto − prima di un suo
eventuale avvicendamento, da qualsiasi causa determinato, nella sfera
delle sue competenze − segnali la persona che ritenga più idonea e capace a sostituirlo».
Emerge così dal quadro delineato una attenzione rivolta agli apparati
amministrativi che supera qualitativamente la tradizionale iniltrazione
massonica, di tipo erratico e non programmata, nella burocrazia statale. Analogamente a quanto riscontrato con riferimento agli apparati
militari, ci troviamo di fronte ad un reclutamento che si qualiica, oltre
che per il livello al quale si pone, per la mirata individuazione di alcuni
settori chiave, come ad esempio i dicasteri economici.
Estremamente rivelatrice in proposito è l’afermazione esplicita
dell’esistenza di un organigramma che prevedeva precisi «punti di interesse», denotando un reclutamento ragionato che mira prima ancora
che all’acquisizione di individui all’occupazione di centri di potere amministrativo determinati.
Esempio di questa logica è la penetrazione nel ministero del Commercio con l’Estero, nel ministero del Tesoro e nel ministero degli Afari
Esteri, che poneva la Loggia P2 in posizione di assoluto privilegio nella
gestione degli afari, molti dei quali comportavano rilevanti manovre
inanziarie con l’Estero, secondo l’analisi che verrà svolta nella sezione
successiva. Concludendo su questo argomento, la Commissione rileva
che, non tanto e non solo deve costituire motivo di rilessione il dato
quantitativo delle ailiazioni, comunque già di per sé allarmante, quanto piuttosto la logica consequenziale che attraverso di esso si lascia intravedere.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
295
I rapporti con la magistratura
Risultano presenti negli elenchi della Loggia P2 sedici magistrati in
servizio più tre collocati a riposo. I detti magistrati sono stati sottoposti
a procedimento disciplinare dal Consiglio Superiore della magistratura,
che con sentenza emessa in data 9 febbraio 1983 ha deciso di assolvere
quattro degli ailiati, pronunciando per gli altri sentenze varie di condanna, ivi compresa la rimozione.
Con riferimento alla questione dei rapporti tra la Loggia P2 e la magistratura (intesa nella sua interezza, come ordine giudiziario), gli accenni più signiicativi si rinvengono nel piano di rinascita democratica
in cui si delinea il ruolo della magistratura nel complessivo disegno politico descritto nel documento e si evidenzia la necessità − a tal ine − di
stabilire un raccordo «morale e programmatico» con la corrente di Magistratura Indipendente dell’Anm «che raggruppa oltre il 40 per cento
dei magistrati italiani su posizioni moderate per poter contare su un
prezioso strumento già operativo nell’interno del corpo, anche ai ini di
taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla
sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non
già di eversione».
Lo stesso documento indica poi quali debbano essere, nel quadro della riforma dello Stato delineata, le modiiche da apportarsi al vigente
ordinamento giudiziario, sia nel breve che nel lungo periodo.
Le indicazioni sono le seguenti: a breve termine in tema di ordinamento giudiziario: «- responsabilità civile (per colpa) del magistrato; − divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti
di procedimenti giudiziari; − la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari); − la modiica delle norme in tema di
facoltà di libertà provvisoria in presenza di reati di eversione − anche
tentata − nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, di
sequestro di persona e di violenza in generale».
A medio e lungo termine: «- unità del Pubblico Ministero (a norma
della Costituzione − articoli 107 e 112 ove il Pubblico Ministero è distinto dai giudici); − responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento
sull’operato del Pubblico Ministero (modiica costituzionale); − istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa
di fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio
con i relativi e connessi pericoli ed eliminando le attuali due fasi d’istruzione; − riforma del Consiglio Superiore della magistratura che deve
296
Dalla P2 alla P4
essere responsabile verso il Parlamento (modiica costituzionale); − riforma dall’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione
per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per
funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a
giudicante la funzione pretorile; − esperimento di elezione di magistrati
(Cost. art. 106) fra avvocati con 25 anni di funzioni in possesso di particolari requisiti morali».
La richiamata sentenza disciplinare del Consiglio Superiore ha rilevato in proposito che, per lo meno con riferimento alla magistratura, il
piano ha superato lo stadio di mera elaborazione programmatica per diventare efettivamente operativo mediante iniziative di inanziamento
della stampa del gruppo di Magistratura Indipendente e di versamento
di somme in favore del segretario generale dello stesso.
Anche in tema di magistratura è dato constatare che il piano si pone
in linea di continuità con altri documenti nei quali si era constatata e
lamentata l’inluenza sulla magistratura dell’azione dei politici, «i quali
cercano di strumentalizzarla conculcandone la libertà dispositiva», nonché la perdita delle prerogative dell’autonomia e dell’Indipendenza conseguente all’espandersi, nel suo ambito, «delle varie intendenze e fazioni
politiche che compromettono e sfaldano la compattezza dall’Istituto».
L’interesse che la Loggia P2 riservava alla magistratura e la completezza e vastità delle informazioni di cui disponeva al riguardo, emergono poi dall’elenco di magistrati, anch’esso sequestrato a Maria Grazia
Gelli e contenente una vera e propria schedatura degli stessi, con la indicazione della corrente dell’Anm di rispettiva appartenenza e con la
ulteriore speciicazione della loro qualità di «opportunisti» o «attivisti»:
occorre pertanto rilevare che del documento medesimo sono ignoti sia
l’autore che il destinatario.
Inoltre il collegamento esistente con la magistratura, e segnatamente
con la corrente di Magistratura Indipendente di cui si è sopra detto, si
sarebbe manifestato anche con la corresponsione di somma di denaro:
il condizionale è d’obbligo perché del documento che riferisce di un inanziamento di lire 26 milioni a favore di magistrati dirigenti di quel
gruppo per le elezioni del Consiglio dell’Anm, non sono state accertate
né l’autenticità, né la provenienza, né la destinazione.
Al riguardo si ricorda, per inciso, che la lettera in oggetto risulta inserita nel fascicolo intestato al magistrato Antonio Buono di cui innanzi
si è scritto, fascicolo che contiene altri documenti comprovanti la frequenza ed intensità di rapporti tra il medesimo e Gelli, rapporti che
avevano per oggetto anche segnalazioni o raccomandazioni richieste
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
297
a Buono a favore di persone coinvolte in procedimenti giurisdizionali.
Con riferimento a tal documento è il caso di ricordare − per completezza
espositiva − che il Consiglio Superiore della magistratura, con provvedimento del 5 aprile 1984, ha deciso l’archiviazione dell’indagine iniziata
nei confronti dei magistrati nominati dalla suddetta lettera, proprio per
l’assenza di riscontri probatori in ordine ai fatti riportati.
A proposito di inanziamenti alla corrente associativa di Magistratura Indipendente, la sentenza disciplinare del Consiglio Superiore ha
accertato che in favore del magistrato dottor Pone, e per la stampa della
rivista di corrente denominata Critica giudiziaria, l’editore Rizzoli si assunse un consistente onere economico, per decisione del direttore generale Tassan Din, «certamente richiesto di intervenire dal Gelli».
Per completare il quadro dei rapporti tra la Loggia P2 e la magistratura vanno ricordate una serie di altre risultanze attinenti le posizioni
del banchiere Roberto Calvi e di Francesco Pazienza, i quali assumono
posizioni di rilievo nella fase inale della vicenda della Loggia P2 e nella
fase successiva al sequestro di Castiglion Fibocchi. A tal ine numerosi
elementi testimoniali e documentali, denunciano una frenetica attività
di Roberto Calvi indirizzata nei confronti di ambienti giudiziari al ine
di sistemare le proprie pendenze penali.
Presso la procura della Repubblica di Brescia fu instaurato un procedimento penale, poi trasmesso all’uicio istruzione della stessa città,
nei confronti di Roberto Calvi, Licio Gelli, Marco Cerruti (noto esponente della Loggia P2), Mauro Gresti, Luca Mucci e Ugo Zilletti per fatti
connessi al sequestro e alla restituzione del passaporto a Roberto Calvi
a seguito del processo promosso a suo carico a Milano per reati valutari
e societari. Il procedimento penale a Brescia veniva poi riuniicato con
gli altri procedimenti pendenti avanti agli uici giudiziari di Roma, concernenti la vicenda della Loggia P2.
Nell’ambito dei procedimento suindicato venne assunta la testimonianza del dottor Carlo Marini, all’epoca procuratore generale della
Repubblica presso la Corte d’appello di Milano, il quale riferì di aver
appreso dal procuratore della Repubblica Mauro Gresti che quest’ultimo
era stato sollecitato a restituire il passaporto a Roberto Calvi da Ugo Zilletti, all’epoca vicepresidente del Consiglio Superiore, e dal magistrato
Domenico Pone.
Ha aggiunto inoltre il Marini che, dopo l’avocazione del processo al
suo uicio, ricevette una telefonata dal medesimo Zilletti che lo pregò di
adottare la massima cautela nel trattare il procedimento a carico di Calvi,
procedimento nell’ambito del quale era avvenuto il ritiro del passaporto,
298
Dalla P2 alla P4
e che lo stesso Zilletti gli mandò, sempre per lo stesso motivo, come suo
messaggero, il dottor Giacomo Caliendo, componente del Consiglio.
Dopo l’istruttoria compiuta, prima a Brescia e poi a Roma, il consigliere istruttore di Roma, Ernesto Cudillo, proscioglieva, con la sentenza-ordinanza emessa in data 17 marzo 1983, tutti gli imputati con
ampia formula, non ravvisando nella attività di nessuno di essi comportamenti penali rilevanti; la procura generale presso la Corte d’appello di
Roma rinunciava all’appello in precedenza interposto sul punto avverso
la sentenza-ordinanza istruttoria suindicata.
Clara Canetti, vedova Calvi, interrogata presso la procura della Repubblica di Milano in data 19 ottobre 1982, ha riferito che, nella primavera dello stesso anno e anche in precedenza, essa e il marito avevano ricevuto diverse visite da parte di un magistrato di Como, il dottor
Ciraolo, che spesso veniva in compagnia dell’avvocato Taroni di Como,
oiciato dal Calvi per la sua difesa nel processo a suo carico pendente
innanzi all’autorità giudiziaria di Milano; la Calvi ha riferito che il marito aveva dato al Ciraolo il numero di una sua riservatissima utenza
telefonica che serviva la casa di Drezzo e a tale numero spesso riceveva
telefonate dal suddetto magistrato.
La vedova di Roberto Calvi in data 24 novembre 1983 ha altresì dichiarato ai giudici istruttori di Milano che suo marito aveva instaurato con il magistrato dottor Gino Alma, procuratore aggiunto presso la
procura della Repubblica di Milano, del quale si parla anche nel procedimento attinente la restituzione del passaporto cui sopra si è fatto
riferimento, un rapporto in base al quale il suddetto magistrato percepiva dal presidente dell’Ambrosiano un emolumento mensile isso e si
impegnava di comunicare a Calvi tutte le notizie che lo riguardavano
raccolte negli uici giudiziari milanesi.
Emilio Pellicani, nella sua audizione in Commissione il 24 febbraio
1983, riferisce poi che Flavio Carboni e Armando Corona, eletto Gran
Maestro della massoneria di Palazzo Giustiniani in successione al generale Battelli, avevano rapporti con due magistrati milanesi Pasquale
Carcasio e Francesco Consoli, rapporti relativi alla ricerca di appoggi
per la nomina del Consoli a procuratore generale di Milano. A tal ine vi
fu una riunione conviviale in Roma alla quale parteciparono l’onorevole
Roich e Graziano Moro, nella quale si parlò anche del processo a carico
di Calvi e degli interessamenti in atto per farlo concludere con l’assoluzione dell’imputato.
Va sottolineato che questi episodi s’inquadrano nell’azione svolta nei
confronti della magistratura da parte di Roberto Calvi per sistemare le
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
299
pendenze giudiziarie scaturite dalla vicenda P2, nelle quali erano coinvolti lo stesso Calvi, Licio Gelli, Umberto Ortolani, Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din.
Secondo quanto dichiara in più occasioni Emilio Pellicani, Calvi stava
cercando di mettere insieme somme di denaro, che dovevano raggiungere la cospicua somma di 25 miliardi, sollecitando a tal ine la collaborazione di Rizzoli e Tassan Din, somme che dovevano essere consegnate
all’avvocato Wilfredo Vitalone.
Anche Rizzoli e Tassan Din riferiscono che Calvi, tramite Francesco
Pazienza, li sollecitò a versare somme cospicue per ottenere una soluzione favorevole alle pendenze giudiziarie suindicate.
Rizzoli fa esplicito riferimento ai «giudici di Roma» e al conlitto di
competenza poi risolto dalla Corte di cassazione con la riuniicazione
dei diversi procedimenti presso la magistratura romana.
Sempre secondo quanto riferisce Rizzoli anche Gelli ed Ortolani avevano versato somme di denaro e Calvi aveva precisato minacciosamente
che, se non avessero pagato, Rizzoli e Tassan Din non se la sarebbero
cavata.
Conclusivamente, volendo tentare una sommaria analisi sulla scorta delle risultanze degli elenchi di Castiglion Fibocchi circa la composizione del gruppo dei magistrati iscritti in base all’uicio di rispettiva
appartenenza, si rileva che la Loggia P2 aveva conseguito signiicative
adesioni a livello di presidenti di tribunali, seppur in modo sporadico.
L’iniltrazione della loggia si presentava invece più debole con riferimento sia agli uici di procura della Repubblica, sia alla Suprema Corte
di cassazione, pur non potendosi escludere una certa inluenza, in considerazione delle vicende processuali che coinvolgevano esponenti della
loggia. Gli episodi citati peraltro testimoniano di una tentata penetrazione deviante nei confronti della procura di Milano, che prescinde dal
dato meramente formale dell’iscrizione.
Notevole, concentrata e capillare era invece la penetrazione realizzata all’interno del Consiglio Superiore sia a livello di componenti dell’organo di autogoverno (Buono, Pone), sia con riferimento agli uici di
segreteria (Pastore, Croce, Palaia).
L’attenzione e i propositi della Loggia P2, nonché le sue penetrazioni
a livello della magistratura, appaiono comunque pericolose sotto più di
un proilo.
In primo luogo vi è da osservare che le connotazioni di segretezza
e di accentuata solidarietà, in termini di concorso mutualistico tra gli
iscritti nelle attività professionali, assumevano maggiore gravità con
300
Dalla P2 alla P4
riferimento all’attività dei magistrati ed alle guarentigie issate dall’ordinamento a tutela della loro indipendenza.
Questi rilievi vengono in considerazione non solo per quanto attiene
gli sviluppi di carriera per il singolo magistrato − già di per sé fatto sospetto − ma per quanto riguarda possibili condizionamenti che il magistrato potrebbe subire a livello della sua attività giurisdizionale, soprattutto allorché tale attività abbia ad oggetto procedimenti importanti,
con implicazioni anche di natura politica.
Infatti la solidarietà intesa in aggiunta alla segretezza dei rapporti
potrebbe inluire sulle scelte del magistrato e sulla sua attività giurisdizionale, ponendo in dubbio la sua imparzialità o almeno la sua serenità
di giudizio.
L’elemento che viene peraltro in maggiore considerazione è che le
proposte in materia di ordinamento giudiziario − alcune delle quali implicanti anche modiiche di natura costituzionale – sono tese a ridare
una struttura gerarchica alla magistratura, con particolare riferimento
agli uici del Pubblico Ministero e ad intaccare il principio della separazione dei poteri (vedasi in merito la riforma del Consiglio Superiore).
Tutto ciò acquista rilievo particolare con riferimento al piano politico
generale, più volte espresso da Gelli ad esponenti della Loggia P2, di
accentuare il momento autoritario nella vita dello Stato.
La ricerca di contatti con magistrati anche non iscritti alla P2 (alcuni
nomi di magistrati ricorrono in altri atti in possesso della Commissione) − induce a sospettare che si siano almeno tentate iniziative rivolte
ad inluire sull’andamento dì alcuni procedimenti che o riguardavano
uomini della istituzione o comunque avevano ad oggetto fatti nei quali
la istituzione era coinvolta direttamente o indirettamente o ai quali era
in qualche modo attenta.
A tale proposito non può passarsi sotto silenzio come la riuniicazione disposta dalla Corte di cassazione di tutti i procedimenti giurisdizionali attinenti la Loggia P2 presso gli uici giudiziari di Roma − anche se poteva trovare giustiicazione in norme processuali e in motivi
di opportunità − non abbia giovato alla speditezza dell’istruttoria e al
raggiungimento di un risultato concreto (a tale proposito una rogatoria rivolta all’autorità giudiziaria svizzera relativa al cosiddetto Conto
Protezione, già trasmessa dalla magistratura di Brescia prima della riuniicazione dei procedimenti a Roma, attende ancora la sua evasione a
distanza di quasi tre anni).
Non può ancora passarsi sotto silenzio come la requisitoria del procuratore della Repubblica di Roma, dottor Gallucci (in data 29 maggio
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
301
1982) e la successiva sentenza istruttoria del dottor Cudillo (in data 17
marzo 1983) tendono a rappresentare la Loggia P2 come un fenomeno
associativo di scarsa pericolosità, attribuendo al solo Gelli e a pochi
altri i reati più gravi, scolorendo il loro signiicato politico complessivo
e svalutando la genuinità della documentazione proveniente dalla perquisizione del 17 marzo 1981. Questa conclusione degli organi inquirenti romani si è posta, come ha rilevato il commissario Trabacchi, in
palese contraddittorietà con la richiesta di avocazione del procedimento, motivata dal procuratore della Repubblica di Roma con la deinizione della Loggia P2 quale «nucleo ad altissimo potenziale criminogeno,
versatilmente impegnato nella consumazione di eteroformi attività
delittuose».
Come è noto, la sentenza istruttoria è stata impugnata dal Procuratore generale presso la corte di appello di Roma; e si attende la decisione
della sezione istruttoria della Corte.
Si ha anche l’impressione che i magistrati che hanno adottato le decisioni suindicate non abbiano completamente e tempestivamente preso
visione di una serie di atti che, almeno indirettamente, avrebbero potuto contribuire a fornire ulteriormente elementi ai ini di una valutazione del fenomeno P2 e della condotta degli imputati. Così documenti
relativi alle indagini su Gelli svolte nel 1974 dalla Guardia di Finanza,
al loro rinvenimento presso l’archivio di Gelli e alle vicende connesse a
tali indagini − inviati dalla procura della Repubblica di Milano a quella
di Roma − per lungo tempo non sono stati reperibili presso gli uici
romani. Tra l’altro numerosi degli iscritti alla Loggia P2 − anche personaggi di rilievo – non risultano mai interrogati: si è omesso anche di
procedere contro due capigruppo della Loggia P2 e cioè De Santis Luigi
e Niro Domenico. Inine − per ciò che vale − non può tacersi che già nel
gennaio 1982 Gelli, in una telefonata all’avvocato Federico Federici, si
diceva convinto dell’esito più che favorevole dell’istruttoria in corso a
suo carico presso gli uici giudiziari romani.
Il mondo degli afari e dell’editoria
Un primo approccio per una disamina dei collegamenti e della inluenza della P2 nel mondo degli afari va efettuato, tenendo presente,
al momento del ritrovamento delle «liste», la elevata consistenza numerica, sessantasette, degli iscritti appartenenti al ministero del Tesoro, a
banche e ad ambienti inanziari in senso stretto.
302
Dalla P2 alla P4
In particolare, per quanto riguarda il ministero del Tesoro (dodici
iscritti), l’esame delle funzioni espletate dalle persone che compaiono
negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi permette di identiicare la
natura e l’importanza dei collegamenti instaurati, inalizzati ad assicurare contatti con dirigenti situati in punti chiave della amministrazione,
sì da far conseguire al gruppo stabili agganci con ambienti di rilevante
inluenza sia nell’ambito nazionale sia, soprattutto, in quello internazionale. Sotto quest’ultimo proilo, in efetti, assume estrema rilevanza
l’inclusione nelle liste di alti dirigenti del ministero del Tesoro e di altri
personaggi situati in delicati istituti come la Sace (organismo che dà sostanzialmente sostegno inanziario nell’assicurazione degli interventi
commerciali) e come la, Banca d’Italia, aventi funzioni decisive in tema
di rapporti inanziari con l’estero.
A completare il quadro concorrevano, inoltre, i contatti emergenti con
esponenti di numerose banche pubbliche e private per alcune delle quali
le presenze erano particolarmente signiicative per qualità e rappresentatività, come per la Banca nazionale del lavoro (quattro membri del Consiglio di amministrazione, il direttore generale, tre direttori centrali di cui
uno segretario del Consiglio), il Monte dei Paschi di Siena (il provveditore), la Banca Toscana (il direttore centrale), l’Istituto centrale delle casse
rurali ed artigiane (il presidente ed il direttore generale), l’Interbanca (il
presidente e due membri del Consiglio), il Banco di Roma (due amministratori delegati e due membri del Consiglio di amministrazione) ed il
Banco Ambrosiano (il presidente ed un consigliere di amministrazione).
Le indagini efettuate solo da alcuni degli istituti citati si sono in genere limitate al mero riscontro dell’appartenenza o meno alla Loggia
massonica P2 e non hanno consentito di acquisire elementi di rilievo in
ordine all’attività svolta da ciascuno dei cennati esponenti ed al segno
di interferenza che la loro appartenenza alla loggia può aver rappresentato nella ordinata gestione degli afari.
Solo il Collegio sindacale del Monte dei Paschi di Siena risulta aver
condotto una inchiesta attenta e dettagliata per valutare gli efetti dei
collegamenti piduisti sull’operatività aziendale. L’inchiesta si è conclusa ponendo in evidenza «casi di possibile trattamento di favore, casi di
perdite avute o temute dall’Istituto (frequenti i casi di trasferimento di
posizioni a contenzioso con perdite già previste e/o deinite)».
L’attività della Commissione appena si è delineato il quadro operativo della Loggia P2 si è quindi concentrata sull’esame del disegno
complessivo e sull’azione svolta da alcuni gruppi, non solo inanziari,
in dagli inizi degli anni Settanta, collegandosi con le risultanze della
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
303
Commissione d’inchiesta sul caso, Sindona che ha messo chiaramente
in evidenza come gli interventi operati a favore del banchiere siciliano
si erano sviluppati nell’ambito di solidarietà ed accordi, che esistevano
nel mondo inanziario e bancario tra alcuni esponenti di primo piano e
che contribuivano ad agevolare l’attuazione di operazioni speculative,
inalizzate ad estendere il potere di determinati gruppi economici.
Quali fossero la matrice, il metodo, l’obiettivo di tali gruppi non appare sempre con chiarezza, ma indubbiamente la loro azione non può
essere ristretta ad un fenomeno di mera criminalità economica o ad
accordi diretti ad accrescere la ricchezza dei singoli. In efetti «intorno
alla mobilitazione in difesa di Sindona accade qualcosa di più di una
semplice accanita gestione di interessi da proteggere magari con l’omertà e l’uso della forza: si raforza e si espande il potere del sistema P2
che collega ed uniica tanti personaggi operanti in diverse collocazioni»
(Cfr. Relazione della Commissione di inchiesta Sindona).
Il momento più signiicativo a livello documentale di tali azioni è collegato alla presentazione di aidavit a favore di Sindona (rilasciati negli
ultimi mesi del 1976), quando Gelli ed altri personaggi (Francesco Bellantonio, Carmelo Spagnuolo, Edgardo Sogno, Flavio Orlandi, John Mc
Cafery, Stefano Gullo, Philip Guarino, Anna Bonomi) si espongono in
modo chiaro e scoperto per efettuare uno sforzo ritenuto decisivo per
il salvataggio di Michele Sindona.
Alcuni dei irmatari, oltre al Bellantonio, sono in termini di intrinseca dimestichezza con Licio Gelli; ciò vale sia per Carmelo Spagnuolo, sia
per Philip Guarino che, secondo una corrispondenza in possesso della
Commissione, ha con Gelli un rapporto di mutua ed operante amicizia.
Appare dagli atti il ruolo centrale assunto da Licio Gelli che è il regista
attivo di questa operazione, segno concreto di un non eimero legame
tra i due personaggi, che prosegue sino al sequestro di Castiglion Fibocchi nel quale Michele Sindona, come abbiamo visto nel capitolo secondo, gioca un ruolo non secondario.
I contatti ed i legami tra questi ambienti si intrecciano in un contesto
che assume, a motivazione delle malversazioni e delle attività economiche fraudolente poste in essere, inalità politiche di ordine più elevato.
Così ad esempio le dichiarazioni di John Mc Cafery senior (già capo del
controspionaggio inglese in Italia e membro dei Consiglio di amministrazione della Banca privata italiana) quando dichiara che esisteva un
più nobile collegamento tra i gruppi che «condividevano le sane idee
occidentali nel tentativo di opporsi alla difusione del comunismo in Europa» e di conseguenza erano orientati a favorire l’ascesa di personaggi
304
Dalla P2 alla P4
aventi la medesima ideologia, da situare nei punti chiave dei settori economici per inluenzare, per questa via, l’andamento politico generale.
Quando si pensi ai corposi collegamenti tra tali settori ed ambienti
di malavita comune a livello internazionale, non si può non rilevare che
l’identiicazione delle «sane idee occidentali» con questi ambienti risulta quanto meno problematica e che il sistema capitalista occidentale,
quando isiologicamente funzionante, dispone di ben altri strumenti
per garantire la propria autonomia.
È comunque avendo riguardo a questi ambienti che deve essere vista e spiegata l’ascesa di Sindona e l’azione da questi esplicata per acquisire sia la inanziaria La Centrale sia, unitamente al generale Sory
Smith − già capo del gruppo consultivo di assistenza militare Usa in
Italia − la proprietà del Roine Daily American.
Nella stessa prospettiva va quindi collocato il mutamento operativo
che si determinò allorquando il fallimento dell’oferta pubblica di acquisto per il controllo della Bastogi (13.9.1971/8.11.1971) fece emergere
una resistenza a queste operazioni di iniltrazione più estesa di quanto
fosse stato possibile immaginare e rese necessaria una loro più accurata
preparazione. Quando Sindona, in conseguenza di tali eventi trasferisce
la sua attività nei paesi al di là dell’Atlantico, in Italia cresce e si aferma Roberto Calvi, nominato direttore generale del Banco ambrosiano
nel 1971, che ne acquisisce l’eredità, oltre che la tutela condizionante di
Gelli e Ortolani.
La nuova strategia prende il via con il trasferimento (1972) della quota di controllo de La Centrale alla Compendium S.A. holding, inanziaria
del Banco ambrosiano, che nel 1976 muterà nome in Banco ambrosiano
holding − Lussemburgo. Si viene così a realizzare tra Calvi e Sindona un
modulo operativo che, all’estero, era gestito unitamente a Sindona e che
in Italia era articolato in diversi comparti (bancari, assicurativi, inanziari) sempre più complessi ed intrecciati man mano che si accresceva la
iducia in Calvi dei più importanti gruppi economici.
Per quest’ultimo aspetto un ruolo di rilevante importanza è stato
svolto da Umberto Ortolani il cui ingresso nella Loggia P2 rappresentò l’acquisizione all’organizzazione di un elemento dotato di una vasta
rete di relazioni personali di grande prestigio, sia nel mondo politico che
negli ambienti della curia vaticana e di quella competenza nel campo
inanziario che si rivelerà necessaria nella seconda fase di sviluppo delle
attività gelliane e della Loggia Propaganda.
In efetti proprio mentre Sindona viene estromesso deinitivamente
dall’Italia, e poi arrestato, si estende e si raforza la rete P2 nel setto-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
305
re degli afari e Calvi diventa il principale braccio operativo nel settore
inanziario per tutte le necessità previste dai programmi della loggia.
Il gruppo Ambrosiano assume così una struttura particolarmente funzionale per far da tramite ad ogni tipo di transazione, articolandosi in
Italia ed all’estero in una serie di società bancarie e inanziarie i cui principali afari erano ordinati e seguiti da un univoco centro, ma parcellizzati in diversi segmenti operativi in modo da impedire spesso agli stessi
esecutori materiali la percezione del quadro complessivo.
Non è ancora disponibile (e forse non lo sarà mai) una visione completa delle operazioni poste in essere da tale struttura ma possono comunque essere identiicate due grandi linee direttrici di intervento che
attengono, da un lato, alla necessità di conservare saldamente il controllo dello strumento così predisposto e, dall’altro, all’utilizzo, per ben
precisi ini, dello strumento stesso.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il dissesto del Banco Ambrosiano ha messo chiaramente in evidenza le coperture, gli accordi, gli interventi efettuati per mantenere e raforzare le posizioni di comando
in questa banca. La rilevante quantità di azioni Ambrosiano risultate in
Italia ed all’estero di pertinenza del Banco stesso, è la testimonianza di
un’attenta acquisizione che consentiva di spostare dall’Italia all’estero, e
viceversa, ingenti disponibilità, mascherando tali movimenti come operazioni di compravendita di titoli per le quali ignoti intermediari fruivano di consistenti provvigioni.
L’azione così sviluppata permetteva
anche di conseguire l’efetto non secondario di coinvolgere in traici
illeciti numerosi operatori che, una volta intervenuti a fare da schermo
a tali irregolari transazioni, si ponevano nelle condizioni idonee per essere ricattati ed utilizzati.
L’esempio tipico di intrecci di transazioni improntate a tali inalità è
costituito dagli interventi efettuati per l’acquisizione della maggioranza delle azioni del Credito Varesino, un istituto di credito che il gruppo
Bonomi aveva ceduto parte in Italia a La Centrale e parte all’estero alla
Cimain (società appartenente al gruppo Sindona) che a sua volta le
avrebbe poi cedute a inanziarie gestite dalla Banca del Gottardo, controllata dall’Ambrosiano.
Tutte queste operazioni vengono seguite da vicino dalla Loggia P2,
poiché presso Gelli viene poi rinvenuta copia dell’accordo stipulato
all’estero tra il gruppo Bonomi e la Cimain con la descrizione di tutti
i passaggi efettuati tramite apposite società strumento (Zitropo e la
Pacchetti), nonché dei collegamenti esistenti fra Calvi e Sindona e dei
movimenti inanziari veriicatisi nella circostanza.
306
Dalla P2 alla P4
In questo contesto i massimi esponenti della loggia, come si evince
dalla documentazione rinvenuta a Castiglion Fibocchi, potevano svolgere un ruolo di mediazione tra i diversi interessi e di composizione
degli eventuali contrasti (esemplari appaiono i documenti concernenti
i patti stipulati tra Calvi, il gruppo Bonomi ed il gruppo Pesenti), indirizzando nel contempo gli interventi inanziari degli operatori che dovevano fornire i mezzi per «permettere ad uomini di buona fede e ben
selezionati di conquistare della Rizzoli le posizioni chiave necessarie»
(così il piano di rinascita democratica) per il controllo delle formazioni
politiche in cui ognuno militava.
L’azione di Gelli ed Ortolani, quindi, di pari passo con il potenziamento della struttura strumentale rappresentata dal gruppo Ambrosiano, acquista connotazioni più precise e, all’estero, favorisce l’espansione
di istituzioni inanziarie collegate alla loggia nei paesi del Sudamerica
caratterizzati da regimi a spiccato orientamento conservatore, mentre
in Italia viene pilotato, con Gelli in posizione centrale, il tentativo di
salvataggio di Sindona, evitando peraltro il coinvolgimento in questa
operazione della struttura Ambrosiano. Scelta questa che costituisce il
segno più evidente di come gli ambienti che gravitano intorno alla loggia, già collegati con il inanziere siciliano, ritenessero la struttura costituita intorno all’Ambrosiano destinata ad altre inalità. In efetti era
in pieno sviluppo l’operazione più importante, sia per valenza politica,
sia per coinvolgimento di vari gruppi, che la Loggia P2 avesse posto in
essere: l’acquisizione e la gestione del gruppo Rizzoli, di cui viene efettuata un’analisi a parte. Il ruolo di Calvi, in tale vicenda, appare infatti
fondamentale poiché, a fronte del deteriorarsi della situazione generale
e del progressivo ridimensionamento del sostegno creditizio fornito a
quel gruppo da altre banche, il gruppo Ambrosiano risulta inine assumere il ruolo di unico ed insostituibile appoggio.
Non vanno peraltro trascurati anche altri interventi con identici ini,
anche se di portata minore, che la Loggia P2 pone in essere sia tramite il Banco ambrosiano, sia tramite altre banche ove alcuni operatori
(Genghini, Fabbri, Berlusconi, ecc.), trovano appoggi e inanziamenti al
di là di ogni merito creditizio. Molti degli istituti bancari, ai cui vertici
risultavano essere personaggi inclusi nelle liste P2, non hanno efettuato in merito opportune indagini, ma l’esistenza di una vasta rete di
sostegno creditizio per le operazioni interessanti la loggia risulta provata dalla già citata inchiesta portata a termine dal Collegio sindacale dei
Monte dei Paschi di Siena. Ovviamente i cointeressati a questa rete di
collegamenti e complicità al momento opportuno dovranno ofrire ade-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
307
guato aiuto, come risulta evidente dai movimenti inanziari che l’Eni
(dove alcuni iscritti avevano posizioni di assoluto dominio operativo)
efettua a partire dal 1978 tramite la sua struttura estera (Tradinvest,
Hidrocarbons, ecc.), per evitare che gli accertamenti ispettivi presso il
Banco Ambrosiano rivelassero gli oscuri e signiicativi travasi di fondi
avvenuti dall’Italia verso l’estero.
Sono dello stesso segno, del resto, i misteriosi passaggi concernenti una parte dei titoli Credito Varesino, a cui abbiamo già accennato,
per evidenziare accordi che hanno visto una partecipazione corale di
alcuni protagonisti P2. Si fa qui riferimento all’intervento della Baisud Corporation S.A. di Panama (inanziaria legata al Banco Financeiro
Sudamericano di Montevideo, facente capo alla famiglia Ortolani), che
acquista, con un inanziamento dell’Ambrosiano Group Commercial,
n. 4.500.000 azioni del Credito Varesino di proprietà de La Centrale,
consentendole di realizzare 26,6 miliardi di lire ed un’utile di oltre 10
miliardi rispetto all’esborso a suo tempo sostenuto per l’acquisto.
Tutta l’operazione viene efettuata tramite il Banco ambrosiano in
Italia − dove i titoli rimangono in deposito − e quando gli stessi verranno rivenduti (1982) procureranno a misteriosi beneiciari utili all’estero
per circa 45 miliardi.
La sostanziale strumentalità del gruppo Ambrosiano risulta inine
evidente allorquando Gelli ed Ortolani sono costretti ad abbandonare le
scene della inanza italiana: Calvi, eccessivamente compromesso, viene
abbandonato dai suoi protettori ed il gruppo è avviato al tracollo.
Nel contesto della nuova tattica adottata dalla Loggia P2 a partire
dalla seconda metà degli anni Settanta, un posto di rilievo occupa l’operazione di iniltrazione e di controllo del gruppo Rizzoli, emblematica
delle modalità operative della loggia. In presenza di una impresa che il
presidente della Montedison, Eugenio Ceis, aveva coinvolto nell’acquisizione della società editoriale del Corriere della Sera − nel quadro delle
lotte di potere sviluppatesi in quegli anni tra diversi gruppi politici ed
economici − la Loggia P2 intravede la possibilità di mettere in atto una
operazione che la nuova situazione politica rendeva opportuna e che
s’inquadra nelle previsioni del piano di rinascita democratica a proposito della stampa. È infatti disponibile una struttura da utilizzare per il
«coordinamento di tutta la stampa provinciale e locale»… «in modo da
controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese»; e le condizioni sono ideali in quanto il gruppo Rizzoli:
- è gestito come azienda a carattere familiare, con esponenti non
sempre all’altezza del loro ruolo imprenditoriale;
308
-
Dalla P2 alla P4
risulta proprietario di un quotidiano di grandi tradizioni ma appesantito da una diicile situazione inanziaria;
- si trova sotto la morsa dei inanziamenti − tra i quali, di particolare rilievo alcuni concessi dalla Banca Commerciale Italiana alla
cui guida era Gaetano Stammati (iscritto alla Loggia P2) − che
erano stati necessari per l’acquisto dell’editoriale del Corriere della
Sera; acquisto che risultava per certi versi ancora, solo formale in
quanto erano saldamente nelle mani dei inanziatori i pacchetti di
controllo delle società iguranti proprietarie della testata.
La P2, quindi, verso la ine del 1975 si serve di Calvi per coinvolgere il
gruppo Rizzoli anche in operazioni di sostegno dell’assetto proprietario
del Banco ambrosiano e da quel momento utilizza per le proprie inalità il gruppo editoriale indirizzandone le scelte operative e le iniziative
imprenditoriali mediante una manovra di condizionamento inanziario
destinata a diventare sempre più sofocante e senza uscita in relazione
al crescere dei debiti e dei costi.
Si sviluppano così le operazioni Savoia, Globo Assicurazioni, Rizzoli
Finanziaria, Banca Mercantile, Finrex e molte transazioni inanziarie
dai risvolti oscuri, in merito alle quali sono in corso indagini, a cura
dell’autorità giudiziaria, per accertare i deinitivi beneiciari di «premi»
e «tangenti» distribuiti, attraverso il gruppo Rizzoli, sotto la regia Gelli
ed Ortolani.
Nello stesso tempo vengono efettuati interventi di sostegno o di acquisizione di numerose testate a carattere locale (Il Mattino, Sport Sud, Il
Piccolo, L’Eco di Padova, Il Giornale di Sicilia, Alto Adige, L’Adige, Il Lavoro)
nell’ambito di un processo di collegamento con il Corriere della Sera, teso
a costituire un compatto mezzo di pressione, destinato a raggiungere
il maggior numero di lettori ed inluenzare così, in senso moderato e
centrista, l’opinione pubblica.
Nel progetto della loggia le imprese Rizzoli assolvono quindi una duplice funzione: da un lato sono utilizzate quali strumenti operativi per
fare da sponda ad operazioni inanziarie condotte nell’interesse di ailiati unitamente ad esborsi corruttivi; dall’altro rappresentano il polo
aggregativo di un sempre maggior numero di testate che, facendo perno
sul Corriere della Sera, si sviluppa con interventi partecipativi in imprese
editrici di quotidiani a carattere locale.
I mezzi inanziari per entrambi tali funzioni non mancano, in quanto
la rilevante presenza nel mondo delle banche consente di non lesinare
gli appoggi per superare ogni problema contingente e per consolidare la
posizione di comando all’interno del gruppo Rizzoli.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
309
Un passaggio signiicativo a tale riguardo è costituito dall’intervento
operato nel 1977 per far fronte all’impegno assunto nei confronti del
gruppo Agnelli all’atto dell’acquisto del Corriere della Sera, nonché per
rimborsare alla Montedison e alla Banca Commerciale Italiana (alla cui
guida non erano più rispettivamente Eugenio Ceis e Gaetano Stammati) gran parte dei fondi che a suo tempo erano stati messi a disposizione
per la stessa inalità.
La Commissione ha in proposito efettuato una approfondita operazione di polizia giudiziaria, condotta con la collaborazione del nucleo
operativo della Guardia di Finanza di Milano, volta ad accertare la reale
situazione proprietaria della Rizzoli e la natura della presenza in essa
della Loggia P2. È stata così accertata una convergenza di interventi
che, sotto la regia di Gelli e di Ortolani, coinvolgono il banchiere Calvi,
le banche dei gruppo Pesenti ed altre istituzioni, per la realizzazione
di un meccanismo teso a stabilizzare il completo controllo del gruppo,
mantenendo fermo lo schermo costituito dagli esponenti della famiglia Rizzoli.
La struttura estera del Banco ambrosiano fornisce infatti gli ingenti capitali (11,8 milioni di dollari) necessari per rimborsare una parte
dei inanziamenti concessi dalla Banca Commerciale Italiana, mentre in
Italia si realizza quel collegamento Banco Ambrosiano-Ior, destinato a
fornire alla Rizzoli Editore i fondi per completare l’operazione Corriere
della Sera.
Le banche del gruppo Ambrosiano concedono infatti un inanziamento per 22,5 miliardi di lire alla Rizzoli Editore che utilizza i fondi ricevuti per estinguere il predetto debito nei confronti del gruppo
Agnelli. Le banche inanziatrici, a fronte del loro intervento, acquisiscono in pegno sia il 51 per cento del capitale della «Rizzoli», sia l’intero
pacchetto azionario della società (Viburnum S.p.A.) proprietaria di un
terzo della «Editoriale del Corriere della Sera S.a.s.».
Nello stesso tempo si realizza l’aumento di capitale della Rizzoli editore S.p.A. con il quale vengono resi disponibili fondi per 20,4 miliardi
di lire, utilizzati per rimborsare in gran parte i inanziamenti erogati dal
gruppo Ambrosiano.
Giusta la ricostruzione efettuata, a seguito degli accertamenti posti
in atto dalla Commissione, tutta l’operazione di aumento di capitale si
concretizza:
- con fondi provenienti dall’Istituto Opere di Religione (Ior) che
utilizza a tal ine disponibilità esistenti a suo nome presso diverse banche;
310
-
Dalla P2 alla P4
con l’intestazione meramente formale ad Andrea Rizzoli di tali
nuove azioni nel libro soci della Rizzoli Editore S.p.A.; in realtà le azioni stesse erano state già girate a favore dello Ior ed al
momento della seconda operazione di ricapitalizzazione della
Rizzoli (1981) una delle condizioni previste sarà proprio la lacerazione dei titoli che riportavano le tracce di questo passaggio di
proprietà;
- con il deposito di tali azioni presso una commissionaria di borsa
(Giammei & C. S.p.A. di Roma) avente palesemente funzioni iduciarie;
- con un impegno − formalmente assunto da una banca (Credito Commerciale S.p.A.) appartenente all’epoca al gruppo Pesenti − di trasferire ad appartenenti alla famiglia Rizzoli le, dette
azioni al realizzarsi di determinate condizioni. Tra queste le più
signiicative risultavano essere l’impossibilità di procedere a tale
trasferimento prima del luglio 1980 e la variabilità del prezzo da
corrispondere per il riscatto.
Dalla disamina della complessa articolazione degli accordi viene così
in evidenza la funzione meramente di facciata della famiglia Rizzoli che,
da un punto di vista regolamentare, viene sancita con la previsione, per
ogni decisione assunta nell’ambito del Consiglio di amministrazione
della Rizzoli, di un diritto di veto a favore dei consiglieri entrati dopo
l’attuazione dell’aumento di capitale. Utilizzando Calvi come supporto
bancario e sfruttando bene l’inluenza esercitata su Angelo Rizzoli e
Bruno Tassan Din, Gelli ed Ortolani (quest’ultimo entra nel 1978 nel
consiglio di amministrazione della Rizzoli) cominciano quindi dal 1977
a gestire il gruppo editoriale.
Per quanto riguarda più speciicamente il Corriere della Sera, diventa
più stretto il controllo con la nomina a direttore del dottor Di Bella,
voluta esplicitamente da Gelli ed Ortolani in sostituzione del dimissionario Ottone. Si sviluppa da questo momento un sottile e continuo condizionamento della linea seguita dal quotidiano come posto in evidenza
dal Comitato di redazione e di fabbrica che, attraverso una esamina degli articoli pubblicati in quegli anni, ha sottolineato come possa essere
diicilmente contestabile un’inluenza esplicata con l’emarginazione di
giornalisti scomodi, con servizi agiograici ben mirati e con l’attribuzione di scelti incarichi a persone appartenenti alla loggia.
L’ampia analisi efettuata in proposito dal comitato evidenzia una
linea di tendenza che si sviluppa con una pressione continua la quale,
pur contrastata sempre dalla professionalità dei giornalisti, riesce spes-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
311
so ad orientare alcuni servizi per dare spazio a persone di «area» o per
lanciare oscuri messaggi o per evitare inchieste approfondite su alcune
vicende, come risulterà evidente per i servizi concernenti i paesi sudamericani. In America Latina, del resto, con il sostegno inanziario di
Calvi e con l’intervento di Ortolani e di Gelli (quest’ultimo formalmente rappresentante del gruppo Rizzoli presso le autorità governative dei
paesi esteri) la Loggia P2 stava estendendo la propria rete d’inluenza,
acquisendo dal gruppo editoriale Avril, e con l’appoggio dei generali in
carica in Argentina, una catena di giornali a larga difusione.
Per quanto riguarda più speciicatamente la linea seguita dal gruppo
in ordine alle vicende politiche italiane, l’attenzione va riportata con
particolare rilievo al 1979, allorquando uomini della loggia tentano di
utilizzare le tangenti connesse con il contratto di fornitura di petrolio
tra l’Eni e la Petromin per acquisire adeguati mezzi inanziari destinati
a colmare il deicit della gestione del gruppo Rizzoli.
In ordine alla cennata vicenda sono ancora in corso le indagini a cura
di una apposita Commissione parlamentare, ma è indubbio che Gelli ed
Ortolani erano perfettamente a conoscenza di tutti i risvolti della transazione. A Castiglion Fibocchi è stata infatti rinvenuta copia del contratto stipulato tra l’Agip e la Petromin, la richiesta avanzata dall’Agip al
Ministero del Commercio estero per ottenere l’autorizzazione a pagare
la tangente alla Sophilau, il diario predisposto dal ministro Stammati
per puntualizzare ino al 21 agosto 1979 gli sviluppi della vicenda nonché un appunto su tutte le circostanze rilevate, predisposto sotto forma
di un articolo da pubblicare. Ortolani, del resto, il 14 luglio 1979 aveva
prospettato al segretario amministrativo del Psi, senatore Formica − il
quale denunciò il fatto ai ministri competenti − la possibilità di erogazione di fondi, in connessione degli acquisti di petrolio da parte dell’Eni,
per interventi nel settore dei mass-media. Segno evidente dell’interessamento della loggia alla vicenda fu poi l’attacco a fondo condotto contro il ministro per le Partecipazioni statali Siro Lombardini, per il quale il Corriere della Sera arrivò a chiedere le dimissioni, con un fondo in
prima pagina che si distingueva per la violenza dei toni, oltre che per la
richiesta in sé, certo non usuale rispetto alla misurata prudenza propria
della testata milanese.
L’insuccesso del tentativo, anche per la ferma opposizione di alcuni
esponenti socialisti, determina la ricerca di nuove soluzioni, mentre lo
schermo Rizzoli viene utilizzato per patti con altri gruppi (accordo Rizzoli-Caracciolo) o per tentativi di acquisizione di altre testate (giornali
del gruppo Monti) con l’intervento di Francesco Cosentino.
312
Dalla P2 alla P4
Questa situazione induce ad un tentativo impostato alla inalità di
allentare la dipendenza del gruppo editoriale da una sola banca che
non può fronteggiare, senza pericolosi contraccolpi, oneri così elevati
ed evidenti.
Sin dai primi mesi del 1980 Gelli, Ortolani e Tassan Din cominciano quindi a studiare le varie possibilità per reperire nuovi fondi sotto
forma di partecipazione al capitale, senza comunque far perdere alla
loggia il controllo del gruppo. I vari progetti che vengono via via studiati ruotano sempre, come ampiamente rilevabile dalla documentazione
rinvenuta presso Gelli, intorno a questi principi fondamentali e si concretizzano, nel giugno del 1980, per essere formalmente esposti in una
«convenzione» irmata da Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto
Calvi, Umberto Ortolani e Licio Gelli.
È questo il documento più rappresentativo dell’intera vicenda che
consente la identiicazione delle inalità del progetto e dei diversi ruoli
svolti da ciascuno dei protagonisti. Il documento ritrovato tra le carte di
Castiglion Fibocchi consta di otto cartelle, ognuna siglata dai protagonisti dell’operazione. La Commissione, attesa l’importanza, ha veriicato tramite apposita perizia, che ha dato esito positivo, l’autenticità delle
sigle, riconosciute peraltro anche da Rizzoli e Tassan Din.
Alla base di tutta la costruzione inanziaria viene innanzitutto posta
la necessità che solo il più vulnerabile dei rappresentanti di facciata (i
componenti della famiglia Rizzoli) partecipi alla fase operativa. Ad Angelo Rizzoli è quindi fatto carico, con adeguato compenso, di concentrare a suo nome tutti i diritti concernenti la parte di azioni dell’azienda
capo-gruppo (20 per cento del capitale) che, pur soggetta a vincoli e
condizionamenti attuati tramite l’interposizione ittizia di banche estere, igurava ancora di pertinenza della famiglia Rizzoli.
Il successivo passaggio prevede poi la suddivisione del capitale azionario in quattro pacchetti di cui due assorbenti ciascuno il 40 per cento
del totale, mentre il residuo capitale era ripartito in altre due quote diseguali (10,2 per cento e 9,8 per cento). Per ognuna delle suddette parti
erano stabilite diverse modalità di gestione con l’intervento di Angelo
Rizzoli per una di esse (40 per cento) e con l’interposizione di societàschermo per le altre tre. A questa fase avrebbe forse dovuto far seguito,
almeno secondo quanto si può evincere dalla qualiica di intermediarie
attribuita alle società schermo, un ulteriore passaggio di azioni incentrato sulla successiva cessione di una parte del capitale (49,8 per cento),
mentre la quota di maggioranza (50,2 per cento) rimaneva di pertinenza di una struttura che legava tra loro stabilmente (almeno per dieci
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
313
anni) sia la quota intestata ad Angelo Rizzoli che il pacchetto di azioni
pari al 10,2 per cento del capitale: in questa struttura pertanto la quota
del 10,2 per cento veniva ad assumere valore determinante ai ini del
controllo della società.
La schematica rappresentazione degli accordi stilati tra gli esponenti
della loggia relativamente all’assetto della proprietà del gruppo Rizzoli − articolato su interventi inanziari comportanti in Italia ed all’estero
complesse trasformazioni di ragioni creditorie in proprietà azionarie
e che prevedevano la erogazione di una «tangente» (in contanti e/o in
azioni) pari a lire 180 miliardi – consente comunque di far risaltare la
funzione della loggia, che si pone come elemento centrale e determinante per ogni singolo passaggio della operazione.
Non risulta infatti tanto rilevante l’azione svolta dai vari protagonisti, ma si aferma ed emerge piuttosto in tutto il suo ruolo l’Istituzione,
così indicata nel documento, in rappresentanza della quale alcuni dei
partecipanti irmano il «pattone». È l’Istituzione la sola arbitra dell’attuazione delle varie fasi operative «tenuto conto delle alte inalità del
progetto», è l’Istituzione che sceglie le società intermediarie, è l’Istituzione che, con la interposizione ittizia di apposita società, acquisisce
la proprietà della quota cardine, pari al 10,2% del capitale, che domina
anche la parte (40%) igurante a nome di Angelo Rizzoli.
Questa vicenda segna forse il punto più alto toccato dalla loggia che
ritiene opportuna una adeguata pubblicizzazione del ruolo assunto e
dell’importanza raggiunta: ed in questa ottica possono essere valutati i
proclami, le valutazioni, agli avvertimenti che Gelli esprime nella intervista rilascia il 5 ottobre 1980 al Corriere della Sera («Il fascino discreto del potere nascosto») che viene adeguatamente divulgata a cura dei
«fratelli» operanti nel settore della carta stampata, suscitando nuove
adesioni e qualche preoccupazione.
Da un punto di vista operativo, il progetto delineato procede con l’intervento di Calvi, che dalla struttura estera del Banco ambrosiano attinge gli strumenti inanziari necessari per la realizzazione di una prima
parte degli accordi. La conclusione viene per altro afrettata a seguito
del sequestro di Castiglion Fìbocchi: risulta infatti incompiuta l’opera di
consolidamento al nome di Angelo Rizzoli di tutta quella parte del capitale (20%) su cui altri membri della famiglia vantavano ancora qualche
diritto. In buona sostanza, però, la esiguità (3,5%) dei titoli non ancora
sotto il pieno ed incontrollato dominio della loggia convince i protagonisti a passare alla fase successiva, che vede l’aidamento in Italia ad
una società del gruppo Ambrosiano (La Centrale Finanziaria S.p.A.), del
314
Dalla P2 alla P4
ruolo di intestataria di un pacchetto azionario pari al 40% del capitale
azionario, mentre ad un’altra società appositamente creata (Fincoriz
S.a.s. di Bruno Tassan Din) risultano destinate le azioni di spettanza
dell’Istituzione (10,2%).
Gli accordi formali resi pubblici nella circostanza prevedevano un
onere a carico de La Centrale, correlato alla quantità di fondi necessari
per portare a termine il complesso dell’intera operazione, per la parte
di azioni circolanti in Italia (aumento di capitale, rimborso di precedenti prestiti, spese, ecc.). Alla ine, infatti, La Centrale si troverà ad aver
erogato per l’intera operazione di aumento di capitale la somma di L.
177 miliardi che per L. 35 miliardi perverranno all’Istituto Opere di Religione a fronte dell’80% del capitale a suo tempo ceduto (al netto di un
fondo spese di L. 4 miliardi) e per la parte residua saranno versati alla
Rizzoli, venendo a coprire le quote di pertinenza de La Centrale stessa
(L. 61,2 miliardi per il 40%), di Angelo Rizzoli (L. 61,2 miliardi per il
40%) e della Fincoriz (L. 15,2 miliardi per il 10,2%).
Agli oneri sostenuti in Italia dal gruppo Ambrosiano tramite La Centrale vanno peraltro aggiunti quelli accollati alle banche estere del gruppo le quali, al momento del dissesto, risulteranno aver erogato, sia in relazione a ristrutturazione di crediti precedenti, sia per esborsi a favore
di Gelli, Ortolani e Tassan Din, fondi per $ 184 milioni in connessione
alle complessive operazioni di aumento di capitale. Quest’ultimo credito − che risulterà poi formalmente di pertinenza del Banco ambrosiano
Andino nei confronti di una società (Bellatrix S.a.), assistita da una «lettera di patronage» rilasciata dallo Ior − apparirà garantito da una parte
(3,5%) delle azioni Rizzoli Editore circolanti all’estero.
Il delicato meccanismo così messo in piedi riceve comunque duri
colpi con l’arresto di Calvi e con l’opposizione del ministro del tesoro
Andreatta, che ostacola la realizzazione dell’intervento de La Centrale e
ne condiziona l’operato, impedendo la conclusione della terza fase (ingresso di nuovi soci) ed avviando così tutta la struttura all’inevitabile,
successivo dissesto.
L’intreccio di ambienti inanziari (e non) e lo sviluppo di operazioni
che abbiamo delineato, sollecitano rilessioni di più generale portata in
ordine ai meccanismi sui quali si innestano operazioni inanziarie sui
capitali di tipo prettamente speculativo e sul loro collegamento a centri
di potere non solo economico. Sono problemi questi la cui analisi approfondita trascende l’ambito di interessi del presente lavoro; quello peraltro che appare certo è che sarebbe ipocrita chiedersi quali collegamenti
e di quale natura esistano tra situazioni quali la Loggia P2 e vicende
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
315
inanziarie come quelle studiate, ignorando o ingendo di ignorare che
il legame tra le due tipologie non può restringersi a contatti accidentali
ed interessati tra ambienti al margine della legalità, ma nasce sotto il
segno della intrinseca e reciproca necessità.
La seconda osservazione che emerge dalla precedente narrativa è
quella che è a metà degli anni settanta che sembra veriicarsi la saldatura concreta ed in termini operativi del gruppo Gelli-Calvi-Ortolani.
Gelli che si è battuto per aiutare Sindona, il cui tramonto è ormai inarrestabile, eredita nella sua orbita di inluenza il Calvi con una scelta,
ed una scansione di tempi e di avvenimenti che lascia pensare più ad
una successione programmata che ad una semplice coincidenza. Che
tutto questo avvenga contemporaneamente alla formulazione del piano di rinascita democratica è argomento di rilessione che verrà sviluppato difusamente nel capitolo quarto, relativo al progetto politico
della Loggia P2, ma che è quanto mai opportuno sottolineare già in
questa sede.
L’esame delle vicende inanziarie e lo studio della loro articolazione
ci mostrano inoltre la convergenza attraverso la Loggia P2, di gruppi ed
ambienti disparati, portatori di interessi anche non omogenei. L’eterogeneità di tali situazioni è del resto ben rappresentata dalla composita
articolazione del personale iscritto alla loggia, della quale le liste di Castiglion Fibocchi sono evidente esempio. È dato infatti rilevare come la
Loggia P2 annoveri tra i suoi iscritti persone di varia provenienza, spesso anche collocate su versanti apparentemente opposti; sono così contemporaneamente nella loggia, come ha notato il commissario Covatta,
coppie di nemici celebri, come il generale Miceli e il generale Maletti e,
per restare nel campo degli afari, Mazzanti e Di Donna, notoriamente
avversari nell’ultimo periodo di presenza all’Eni.
Soccorre a questo proposito il rilievo contenuto nel piano di rinascita democratica sulla eterogeneità dei componenti della loggia, prevista
come elemento connotativo dell’organizzazione.
Un dato questo che ci mostra la funzione strumentale della loggia
presso chi dell’operazione aveva il controllo generale, e cioè il suo Venerabile Maestro, che appunto dalla eterogeneità dei componenti traeva
uno dei non secondari motivi del suo potere, in quella logica di contatti
verticali tra la base ed il vertice che, come abbiamo visto, è caratteristica
strutturale della Loggia P2.
La loggia stessa in questa prospettiva ci appare come una sorta di
camera di compensazione, della quale sono testimonianza eloquente gli
accordi inanziari di vario tipo trovati tra le carte di Castiglion Fibocchi;
316
Dalla P2 alla P4
si comprende allora il valore che poteva assumere nel mondo inanziario un centro di mediazione di interessi diversi così costituito e così protetto e risalta appieno il ruolo che in tale contesto veniva assegnato al
Venerabile Maestro della loggia.
Emblematica in tale senso è la gestione del gruppo Rizzoli nella quale
non solo questo articolato stato di cose trova signiicativa ed esemplare applicazione, ma che altresì ci consente di pervenire ad alcune importanti conclusioni in ordine al rilievo politico assunto dalla loggia ed
all’ampiezza di respiro dei suoi progetti e delle sue ambizioni. L’analisi
dell’assetto proprietario del Corriere della Sera ci conduce a risultati conoscitivi che fugano ogni dubbio residuo sulla proponibilità di tesi di
taglio riduttivo, quando si voglia comprendere e valutare nel suo signiicato reale un fenomeno quale quello costituito dalla Loggia P2 e dalle
attività che in essa e tramite essa venivano progettate e gestite da gruppi e forze anche disparate, ma uniicate dalla convergenza di interessi su
situazioni determinate.
Il dato dell’acquisizione del Corriere della Sera nell’orbita di inluenza
della Loggia Propaganda denuncia una inequivocabile connotazione di
rilevanza politica e letto in parallelo al dato precedentemente enucleato sull’ambiguo rapporto che lega Gelli agli ambienti dei Servizi segreti
lascia intravedere le linee generali di un allarmante disegno generale di
penetrazione e condizionamento della vita nazionale. Se le ombre e le
zone di ambiguità sono ancora molte, e solo in parte sarà possibile far
luce, quello che emerge con nitida chiarezza all’attenzione dell’osservatore, è che un sifatto fenomeno assurge a questione di rilievo politico
primario, come altrimenti non potrebbe essere, per il coinvolgimento di
attività e funzioni non solo pubbliche in senso stretto, ma altresì rilevanti per l’interesse della collettività, secondo la precisazione contenuta
nell’articolo 1 della legge istitutiva di questa Commissione.
I rapporti internazionali
Lo studio dei rapporti internazionali della Loggia P2 e dell’attività di
Licio Gelli in tale contesto non può che essere di circoscritte dimensioni
in considerazione della diicoltà, per non dire della impossibilità, per la
Commissione, di indagare su queste situazioni che trovano sviluppo al
di fuori delle frontiere nazionali. Né si può sottacere che la presenza di
Licio Gelli in paesi stranieri non ha lasciato praticamente traccia, con riferimento evidentemente al periodo antecedente al sequestro di Casti-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
317
glion Fibocchi, presso gli archivi delle nostre ambasciate, nonostante di
essa esistano numerose ed autorevoli testimonianze che tutte convergono ad indicare l’intrinseca dimestichezza di questo cittadino italiano
con personaggi stranieri di altissimo livello politico.
Muovendo da queste premesse, la Commissione è in grado di afermare, in base ai documenti ed alle testimonianze in suo possesso, che
il rilievo dell’attività internazionale del Maestro Venerabile è di segno
certamente non inferiore a quello della sua presenza italiana, anche se
l’analisi di questo versante della sua personalità non può essere in pari
modo approfondito per le oggettive ragioni già indicate.
Si pone in primo luogo, come dato di sicura constatazione, che Licio
Gelli pervenne ad inserire l’organizzazione da lui guidata in più ampio
contesto organizzativo di respiro internazionale.
Rilievo questo che si pone del resto in armonia con la natura in certo
qual senso internazionale della massoneria, la quale, come abbiamo già
rilevato, aspira a porsi e concretamente si muove come un’organizzazione
che, assumendo a sua base premesse ilosoiche di portata generale, tende a stabilire legami fra gli ailiati che travalicano le frontiere. Nell’ambito di questa dimensione sovranazionale, Licio Gelli appare interessato
a due iniziative la cui esistenza è documentata in modo certo. La prima è
la cosiddetta Loggia di Montecarlo, per la cui esistenza la Commissione è
in possesso di scarsi, ma inequivocabili elementi documentali. È agli atti
un modulo di iscrizione (le indicazioni sono in tre lingue e cioè nell’ordine: inglese, francese ed italiano), per un Comitato esecutivo massonico
che aveva sede nel Principato di Monaco e che dal contestuale riepilogo
delle inalità associative risulta porsi come una sorta di organizzazione
di livello superiore rispetto alle tradizionali strutture massoniche. La
inalità reale dell’organismo traspare dal documento, pur condito dagli
abituali generici richiami a superiori motivazioni, nel quale è dato leggere: «…scopo è quello di realizzare…una forza di governo universale…»
ed ancora: «…La Massoneria è l’organismo più qualiicato a governare,
perciò se non governa manca alla sua vera ragion d’essere…».
Schede di iscrizione già compilate e corrispondenza agli atti dimostrano che il Comitato di Montecarlo ebbe pratica attuazione, superando la fase progettuale; ma non ci è dato di sapere quale consistenza esso
venne a raggiungere. In sede interpretativa si può afermare che esso si
pose certamente come un momento qualiicante dell’operazione piduista; e particolare interesse suscita la circostanza che ad esso Licio Gelli
pose mano in quel periodo, alla ine degli anni Settanta, che abbiamo
indicato come contrassegnato da un inizio di incrinamento del potere
318
Dalla P2 alla P4
del Venerabile Maestro. In questa prospettiva l’iniziativa di creare una
organizzazione posta a ridosso dei conini nazionali, ma al di fuori della
portata delle autorità italiane, potrebbe inserirsi come elemento di arricchimento e conferma al quadro delineato.
Altra iniziativa di respiro internazionale è quella dell’Onpam, una
istituzione a carattere sovranazionale rivolta con particolare riferimento ai paesi dell’America latina, la cui esistenza è documentata in modo
certo e il cui signiicato appare, allo stato degli atti, ancor più diicile da
interpretare.
La Commissione è in possesso di una tessera intestata a Roberto Calvi, rilasciata nel 1975 e sottoscritta da Licio Gelli in qualità di Segretario. Si ha inoltre notizia che al Gamberini era stato aidato il compito di
tenere i contatti tra l’organizzazione ed il Grande Oriente. Risulta che
di questa organizzazione esiste ampia documentazione nel materiale
sequestrato presso la villa uruguaiana di Licio Gelli e certo la sua conoscenza aprirebbe squarci di notevole interesse su tutta la vicenda della
Loggia P2, la cui dimensione internazionale, una volta conosciuta in
modo meno sommario, consentirebbe una valutazione più completa del
valore politico di questa organizzazione, che del resto era stato intuito
dall’ispettore Santillo nella sua terza nota informativa.
Appare inine dalla documentazione che il Venerabile della Loggia P2
godeva egli stesso di un prestigio internazionale proprio nell’ambiente
massonico. Non solo egli era infatti tramite dei rapporti tra la massoneria italiana e quella argentina, ma già nel 1968 appare accreditato
presso il Grande Oriente quale garante di amicizia di una loggia estera,
elemento questo che conferma la precocità della carriera massonica di
Licio Gelli, ampiamente analizzata nel capitolo primo.
L’attività personale di Licio Gelli del resto appare sicuramente documentata come ampiamente proiettata fuori dell’Italia, attraverso una
itta rete di contatti, anche esterni alla massoneria, tutti di alto livello
per il rango delle personalità con le quali il Venerabile intratteneva rapporti. In questo senso l’epistolario rinvenuto apre uno spaccato, parziale ma eicace, delle relazioni che Licio Gelli intratteneva con un’opera
di continuo contatto e costante aggiornamento; ne emerge il ritratto di
un accorto professionista nell’arte dei rapporti sociali, comunque non
certo coninabile all’interpretazione di uno spregiudicato arrampicatore sociale, come dal tono generale delle lettere si evince in modo non
equivoco.
L’ambito di interessi di Licio Gelli appare in questo panorama rivolto
eminentemente ai paesi d’oltre Atlantico. Sicure e documentate sono le
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
319
relazioni di Gelli con i paesi del Sudamerica ed in particolare l’Argentina, paese nel quale egli era in relazione con l’ammiraglio Massera, ma
soprattutto con Peron e il suo entourage, nel quale grande rilievo aveva
Lopez Rega, interessato anch’egli alla iniziativa dell’Onpam.
Giancarlo Elia Valori, iscritto alla Loggia P2 e da questa espulso, ha
testimoniato di aver ricevuto una conidenza del Presidente Frondizi,
che si domandava quale ruolo un privato cittadino svolgesse per i Servizi segreti italiani ed argentini. In proposito di estremo interesse è la
deposizione del generale Grassini, direttore del Sisde, il quale davanti
alla Commissione ha dichiarato: «…Non avevamo nessun rapporto con
i Servizi dell’America latina…Sapendo bene che Gelli aveva grandissime possibilità per quanto riguarda l’Argentina, gli chiesi se mi poteva
mettere in contatto con gli argentini. Egli aderì a questa richiesta e l’indomani mattina puntualmente il Capo del Servizio argentino in Italia,
all’Ambasciata argentina in Italia, si presentò nel mio uicio, dicendosi
pronto a collaborare per qualsiasi cosa. Da quel momento nacque un
contatto perenne e continuo tra il nostro Servizio e il Servizio argentino, che si impegnò anche a fare da tramite tra noi ed i Servizi degli altri
paesi dell’America latina dove erano stati segnalati dei fuoriusciti, fu
impostato quindi un sistema idoneo per la ricerca di questi fuoriusciti».
Si ricorda al proposito che Gelli ricopriva un incarico uiciale presso
l’Ambasciata argentina in Italia in qualità di consigliere economico e in
tale veste intratteneva rapporti con autorità italiane, in particolare in
occasione di visite di Stato.
Altra importante direttrice degli interessi di Licio Gelli è costituita
dagli Stati Uniti, per i quali appare accertato un solido legame con Philip
Guarino in relazione alla vicenda Sindona. Gelli si mette a disposizione
di Guarino, membro del comitato organizzatore della campagna elettorale del Presidente Reagan, e da questi viene invitato all’insediamento
del nuovo Presidente americano.
Certo è che, come la vicenda degli aidavit raccolti in favore di Sindona ampiamente dimostra, Licio Gelli era in contatto con gli ambienti
politici e inanziari che costituivano il retroterra del inanziere siciliano
con una rete di rapporti di livello altamente qualiicato.
La componente afaristica, assolutamente da non sottovalutare nella interpretazione del personaggio Gelli, non gli impediva peraltro di
avere contatti con la Romania, paese con il quale l’azienda di Gelli aveva
instaurato un importante rapporto di collaborazione produttiva.
Gli elementi esposti, pur nella loro sommarietà, consentono alla
Commissione di afermare che la dimensione del personaggio Gelli, sot-
320
Dalla P2 alla P4
to il proilo indagato, è certamente di peso non minore rispetto a quello
pure rilevante già documentato con riferimento al nostro Paese. Se l’articolazione dei rapporti e delle conoscenze è necessariamente conosciuta, allo stato degli atti, in modo sommario, quello che appare sicuro in
questo contesto è non solo il rilievo assunto dal Venerabile della Loggia
P2, ma soprattutto, oltre la dimensione afaristica pur rilevante, il valore politico indubitabile che le relazioni intrattenute denunciano.
La Loggia P2 e il mondo politico
Dall’esame delle liste di Castiglion Fibocchi risulta che in esse sono
ricompresi 36 membri del Parlamento, più un certo numero di ex parlamentari e di esponenti politici di rilievo locale, nonché personaggi
che, se in apparenza sembrano porsi in posizione marginale rispetto al
mondo politico propriamente detto, potevano in realtà essere di grande
aiuto per i disegni e le attività della loggia, quali appunto segretari personali e capi di gabinetto di Ministri.
Particolare questo da non trascurare, come ha sottolineato il Commissario Andò, perché dimostra l’esistenza di un disegno di penetrazione che identiicava determinate situazioni da occupare in ogni modo,
quale che fosse il livello al quale si riusciva a pervenire.
L’area degli appartenenti al mondo politico iscritti alla Loggia P2 raggruppa in totale meno di un centinaio di nominativi, tra i quali è dato
trovare anche igure di primo piano che ricoprivano incarichi di rilievo
quali ministro, segretario di partito, capogruppo parlamentare, responsabile di importanti uici di partito.
La Commissione ha ascoltato membri ed ex membri del Parlamento,
registrando una generale forma di diniego sull’appartenenza alla Loggia
P2 − sola eccezione, quella dell’onorevole Cicchitto − sulla quale non si
ritiene in questa sede di esprimere giudizio diverso da quello già formulato in via generale in ordine al problema della autenticità ed attendibilità degli elenchi. In conformità, infatti, alle premesse generali del
presente lavoro, nessuna disamina particolare dei dati concernenti le
varie iscrizioni è stata sin qui operata, né per singoli, né per categorie
unitariamente considerate: analoga scelta viene quindi adottata, anche
per evidenti ragioni dì parità di trattamento, per gli appartenenti al
mondo politico, per nessuno dei quali si ritiene di entrare nel dettaglio
della speciica posizione e che ai ini della nostra analisi consideriamo
come iscritti alla Loggia P2, o comunque come rientranti nella sua or-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
321
bita di inluenza, secondo le conclusioni alle quali siamo pervenuti nel
capitolo secondo.
Coerentemente al metodo sinora seguito, cercheremo piuttosto di
individuare e descrivere il fenomeno dei rapporti tra Loggia P2 mondo
politico propriamente detto, al ine di accertare se essi siano da interpretare all’insegna di un connotato speciico che ci porti a conclusioni di
ordine più generale sulla loggia e sulla personale attività dì Licio Gelli; a
tal ine rileviamo, come dato di prima evidenza, che emergono dagli atti
alcuni episodi che sono accomunati dalla caratteristica di costituire vere
e proprie forme di ingerenza e dì pressione nella vita dei partiti politici,
attraverso contatti instaurati con dirigenti anche di primo piano.
In questa direzione emblematica appare la vicenda che vede un iscritto alla Loggia P2, Giampiero Del Gamba, farsi latore, per conto di Gelli,
di un messaggio intimidatorio diretto all’onorevole Piccoli.
L’episodio è verosimilmente da porsi in connessione con la presa di
posizione pubblicamente assunta dall’onorevole Piccoli, il quale alla ine
dell’anno 1980 ebbe a denunciare l’esistenza di una congiura massonica;
e testimonia in modo eloquente una determinazione di mezzi e tattiche
adottate della quale possono essere forniti ulteriori esempi, anche di
maggior respiro.
È accertato infatti che vennero esercitate forti pressioni da parte del
Salvini − non distinguibile, come abbiamo visto, nel suo operato dal Gelli
sotto molti proili − nei confronti del partito repubblicano, in occasione
dei congresso tenuto a Genova nel 1975. Il Salvini si fece promotore in
quell’occasione di riunioni di massoni iscritti a tale partito sostenendo
la necessità di formulare una linea di attacco all’onorevole La Malfa in
sede congressuale. Le motivazioni dell’operato del Salvini sono verosimilmente da cercare nel ruolo determinante ricoperto dall’esponente
repubblicano nella vicenda sindoniana quando, nella sua qualità di ministro del Tesoro, si era opposto all’aumento di capitale della Finambro
richiesto dal Sindona.
L’episodio genovese costituisce una signiicativa controprova dei legami tra Gelli e Salvini da un lato, e tra Gelli e Sindona dall’altro, dimostrando che, alla bisogna, Gelli era in grado di mobilitare a tutela dei
suoi interessi e delle sue operazioni non solo l’organizzazione da lui direttamente guidata, ma altresì i vertici del Grande Oriente estendendo,
loro tramite e grazie la loro connivenza, la propria sfera di inluenza ben
oltre i limiti propri della loggia.
Altri due episodi di ingerenza nella vita dei partiti sono quelli della scissione del Msi e del tentativo di creazione di un secondo partito cattolico.
322
Dalla P2 alla P4
L’operazione di scissione del Msi, consumata dal gruppo di Democrazia nazionale, sembra si possa collocare nell’ambito delle previsioni
politiche formulate nel piano di rinascita democratica, nel quale si fa
riferimento ai democratici della Destra nazionale.
L’operazione fu inizialmente proposta al presidente dal partito, poi
uscito dallo stesso nel 1974, onorevole Birindelli, che igura assieme ad
altri membri del suo partito − rimasti nel Msi dopo la scissione − tra
gli iscritti alla Loggia P2 e che ha ammesso, in sede di testimonianza
giudiziaria, di aver non solo conosciuto il Gelli, ma di aver da questi
ascoltato discorsi relativi alla opportunità di una «contrapposizione alla
linea politica della segreteria, per poi arrivare alla scissione ed eventualmente alla promozione di un ampio gruppo nel quale avrebbero potuto
convergere esponenti di altri partiti tra cui liberali e Dc».
Si deve in proposito sottolineare la coincidenza tra tale assunto e il
piano di rinascita democratica, laddove si aferma: «…usare gli strumenti inanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti l’uno…e
l’altro sulla destra (a cavallo fra Dc conservatori, liberali e democratici
della Destra nazionale)».
Sono queste indicazioni programmatiche che trovano puntuale riscontro, oltre che nella vicenda del Msi-Destra nazionale, nell’operazione documentata dal fascicolo di intercettazioni, conosciuto sotto la
sigla M.FO.BIALI, dal quale emerge una esauriente ricostruzione del
tentativo di dar vita ad un secondo partito cattolico, di stampo conservatore, inanziato attraverso non chiare operazioni di importazione di
greggio dalla Libia.
L’operazione, attesa anche la qualità delle persone coinvolte, sembra
scarsamente credibile nel suo complesso, ma va valutata nel contesto
delle tecniche intimidatorie proprie della Loggia P2 ed interpretata,
pertanto, piuttosto come un segnale di preciso contenuto politico diretto verso quel partito.
Il documento, frutto di una operazione condotta dai Servizi segreti,
meriterebbe una trattazione a parte, sia per la sorte riservatagli − inisce tra l’altro in mano al giornalista Pecorelli − sia per l’allarmante
spaccato di corruzione e di infedeltà alle istituzioni (in esso sono pesantemente coinvolti uiciali di rango superiore quali l’ex comandante
generale della Guardia di Finanza, generale Giudice) che lascia intravedere. Ai nostri ini quello che preme rilevare è la documentazione
di una operazione di preciso segno politico, puntualmente inquadrata
in quella strategia di medio e lungo termine formulata dal piano di
rinascita democratica.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
323
Secondo gli esempi documentali sinora illustrati, appare come, da parte della Loggia P2, si delinei un approccio nei confronti del sistema dei
partiti che non recede dall’uso di mezzi di aggressione sia diretta − con
l’esercizio di attività a carattere intimidatorio − sia indiretta, tentando la
via dei condizionamento interno (ingerenza nella vita degli organi direttivi) ed esterno, attraverso la creazione di poli alternativi concorrenziali.
L’onorevole Craxi ha del resto testimoniato alla Commissione che il
Gelli – fattosi ricevere da lui all’inizio degli anni Ottanta – non si peritò
di afermare di essere a capo di un’organizzazione in grado di inluire
sulla sorte del capo dello Stato. Questa afermazione si può collegare a
quanto dichiarato dal senatore Leone alla Commissione e cioè di aver
avvertito in varie occasioni, nell’esercizio del suo mandato di Presidente
della Repubblica, un’azione di condizionamento sulle cui origini egli non
aveva notizie sicure, ma che riteneva di poter far risalire ad ambienti dei
Servizi segreti, rilevando che solo a posteriori ha potuto rendersi conto
della presenza, intorno a lui, di persone non completamente aidabili.
L’individuazione di questa metodologia non esaurisce peraltro l’analisi
del fenomeno che vede, accanto ai mezzi di pressione indicati, modelli di
ingerenza e di intromissione più suasivi, seppure di non minore eicacia.
Così ad esempio è dato trovare tracce di attività di inanziamento
a singoli esponenti politici nelle deposizioni di Angelo Rizzoli e Bruno
Tassan Din che inducono a ritenere come la Rizzoli, soprattutto nell’ultimo tumultuoso periodo del suo intreccio con la Loggia P2, abbia in
qualche modo adempiuto la funzione di centrale per operazioni di pubbliche relazioni nel confronti dell’ambiente politico. Una rappresentazione questa non priva di verosimiglianza, tenuto conto delle diicoltà
nelle quali si dibatteva il gruppo e della portata dei disegni di espansione progettati ed attuati all’insegna di una operazione che, per i suoi
connotati di immediata valenza politica, non poteva non suscitare l’attenzione della classe dirigente.
Né mancano in atti documenti che ci illustrano attività di sostegno
e di intervento in occasione di competizioni elettorali. Questa forma di
esercizio di solidarietà è riferibile in primo luogo alla massoneria in via
generale, come ci dimostrano le lettere rinvenute presso varie famiglie
massoniche contenenti l’invito agli iscritti ad esprimere il loro voto preferenziale per i fratelli candidati.
La generalità del fenomeno è rilevata in particolare dalla lettera con
la quale il Gran Maestro di una famiglia di minore importanza, Vigorito, invita gli iscritti a votare per il Cosentino (indicato come grado
33), pur non risultando lo stesso agli atti come appartenente a quella
324
Dalla P2 alla P4
famiglia. Può dirsi pertanto in armonia con una tendenza generalizzata
e solidamente radicata nel costume massonico il Gelli quando ci appare
come inanziatore della campagna elettorale di candidati democristiani
e socialisti in Toscana.
Va inine ricordato che la stessa opera di reclutamento operata
nell’ambito dei partiti, testimoniata dagli elenchi, costituisce una indubbia forma di ingerenza la cui portata in ordine agli efetti non siamo
in grado di valutare, ma la cui consistenza è dato di evidenza immediata.
La Loggia P2 come associazione politica
Gli elementi di conoscenza in ordine agli episodi citati ci conducono a
porre il quesito se l’attività di pressione, di intervento e di iniltrazione
documentata possa essere inquadrata nell’ambito di normali operazioni di lobbyng, che sarebbe ipocrita non riconoscere ampiamente praticate − anche se nel caso della Loggia Propaganda si palesa il ricorso
a mezzi di pressione di particolare incisività − o se invece esse siano
riconducibili ad un disegno politico di più vasta portata.
Correttamente argomentando, i problemi a cui dare risposta sono:
- se la Loggia Propaganda 2 sia deinibile come associazione politica;
- in caso di risposta positiva, quali inalità politiche essa poneva al
suo operare.
Rispondere a questi interrogativi signiica ripercorrere riassuntivamente quanto sinora si è venuto esponendo nelle varie parti della relazione, per rinvenire un ilo conduttore che dia a fenomeni e a situazioni
spesso in apparenza distanti, se non divergenti, una interpretazione
che tendenzialmente ci conduca ad una visione unitaria della Loggia
Propaganda 2, delle sue molteplici ramiicazioni e della sua multiforme
attività.
A tal ine possiamo riprendere la notazioni più volte espresse che
emergono dallo studio della vicenda organizzativa e funzionale della
Loggia P2, rilevando come, nell’arco del decennio che segna approssimativamente il periodo della sua operatività, essa sembri vivere sostanzialmente due stagioni che, con diverso segno, contraddistinguono la
sua struttura, l’ambito dei suoi interessi, le forme di intervento.
La prima è quella che corre grosso modo dalla ine degli anni Sessanta alla metà degli anni Settanta; nel corso di questa prima fase, la Loggia
Propaganda vive sostanzialmente ancora nell’orbita della massoneria di
Palazzo Giustiniani, che conserva su di essa, attraverso la Gran Mae-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
325
stranza, una sorta di primazia esercitata in condominio con Licio Gelli.
Essa è già certamente qualcosa di diverso dalla tradizionale Loggia P2,
ma comunque sempre secondo una linea di continuità ideale ed organizzativa che unisce le due organizzazioni, ben rappresentata dal continuo contrasto tra il Gelli ed il Salvini, questi sempre volto al tentativo
di riafermare il suo ruolo di suprema guida della famiglia massonica e
quindi di tutte le strutture in essa ricomprese.
È questa la fase della penetrazione massiccia negli ambienti militari
che vede il Gelli, secondo la precedente ricostruzione, dedicare le sue
energie al reclutamento di un gran numero di uomini in divisa. Il tenore
dei discorsi che ad essi tiene è quello del verbale della riunione del 1971:
sono discorsi di segno spiccatamente conservatore che si indirizzano ad
una condanna del sistema nel quale le forze politiche da controbilanciare vengono individuate in un’area che si deinisce clericocomunista.
La Loggia si caratterizza così ai nostri occhi per una forte connotazione anti-sistema e di conseguenza per una sua accentuazione indirettamente eversiva, che si rilette nelle allusioni ad eventuali soluzioni di
tipo autoritario che il Gelli non tralascia di ventilare all’elemento militare, il quale, come abbiamo visto, costituisce se non l’elemento portante, certo una componente essenziale dell’organizzazione. Una testimonianza diretta di questo indirizzo politico ci viene oferta dalla riunione
dei generali che si tiene a Villa Wanda nel 1973.
Ma al Gelli, uomo d’ordine che chiede o sembra chiedere esiti politici
che portino, all’insegna della conservazione, a situazioni di maggiore
stabilità nel Paese, corrisponde in questi anni in modo speculare il Gelli
che trama con gli ambienti dell’eversione nera, secondo la ricostruzione oferta nel capitolo apposito, con quegli elementi cioè che coltivano
progetti ed attuano iniziative che si pongono come non ultimo degli
elementi destabilizzanti di quel periodo.
Sono questi gli anni del golpismo strisciante (golpe Borghese) e degli attentati dinamitardi che da piazza Fontana in poi accompagnano e
segnano una stagione politica contrassegnata dalla ricerca di soluzioni
non eimere, dopo la rottura degli equilibri politici e sociali intervenuta alla ine degli anni Sessanta, quando si consumava la prima fase
dell’esperimento politico di centrosinistra.
Durante questa fase, conviene da ultimo rilevare, Gelli gode del più
assoluto anonimato presso l’opinione pubblica e può agire indisturbato
all’ombra dello scudo che gli viene assicurato dalla doppia cintura protettiva, garantita dalla copertura massonica e dalla motivata disattenzione dei Servizi segreti nei suoi confronti.
326
Dalla P2 alla P4
Questa situazione si evolve in ogni senso verso la metà degli anni
Settanta, quando non solo il Gelli sale alla ribalta delle cronache e inisce per essere sottratto deinitivamente all’anonimato del quale ha
goduto inora, ma alcuni apparati informativi – non collegati ai Servizi
segreti − come la Guardia di Finanza e l’Ispettorato contro il terrorismo,
nonché i giudici di varie procure (Vigna, Pappalardo, Occorsio) iniziano
ad occuparsi del Gelli e della sua Loggia.
Nel 1975 viene verosimilmente redatto, come vedremo, il piano di
rinascita democratica che, dal punto di vista operativo piuttosto che da
quello ideologico, registra una radicale conversione di rotta, delineando
una strategia afatto diversa di occupazione articolata del sistema. Intervengono, poco dopo la sua redazione, le ristrutturazioni della loggia
che, attraverso l’operazione di sospensione pilotata dal Gamberini, consentono una deinitiva copertura dell’organizzazione che nel contempo è oramai stabilmente entrata sotto la sfera di controllo assoluto del
Gelli, al quale il Gran Maestro, deinitivo perdente dello scontro, non
può che limitarsi a consegnare le tessere di ailiazione in bianco. Di
esse, ed in gran numero, il Gelli sembra avere bisogno perché, secondo
quanto il piano richiede, questa è la fase del proselitismo massiccio che
segna il salto di qualità tra la vecchia Loggia P2 (sia pure ampliata e rivitalizzata) e la nuova struttura di impronta marcatamente gelliana che
allinea quell’impressionante schieramento di nomi qualiicati che è dato
riscontrare negli elenchi di Castiglion Fibocchi.
Nell’ambito di questo nuovo impulso organizzativo diminuisce l’interesse del Gelli per i militari visti come categoria, come denuncia la
mirata politica di reclutamento verso il settore che privilegia la qualità
sulla quantità degli ailiati in divisa, che vengono presi di mira soprattutto nei massimi vertici.
Per converso questa fase è contrassegnata dal rilievo che assumono
le attività di tipo inanziario e dal peso che in questo mutato contesto
rivestono igure come quelle di Umberto Ortolani e di Roberto Calvi,
stabilmente schierati, verso la metà degli anni Settanta, sotto l’insegna
del Venerabile aretino: per concludere, è un periodo questo che vede il
declino, nella Loggia P2, dei generali, ai quali subentrano come elemento portante gli uomini di inanza.
È questa infatti la fase che vede espandersi l’intreccio di combinazioni afaristiche, che ruotano attorno alla igura di Roberto Calvi e
prosperano all’ombra dello stretto sodalizio che lega il Presidente del
Banco ambrosiano alle due igure più eminenti della Loggia P2: Licio
Gelli ed Umberto Ortolani. Ma soprattutto è questa la fase che vede
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
327
l’ingresso del gruppo Rizzoli nella Loggia P2, con la conseguente acquisizione alla sua diretta azione di inluenza e di indirizzo del Corriere della Sera.
La fase di sviluppo di questi eventi, inine, cade proprio mentre la
vita politica nazionale, dopo le elezioni del 1976, registra quei risultati
elettorali e quei cambiamenti di linea politica che condurranno alla politica di solidarietà nazionale.
Non può non colpire in questo breve riepilogo, che deve essere letto
riportandosi alla conclusione dei precedenti capitoli, la constatazione
di come la vita della Loggia Propaganda corra in parallelo, secondo un
mutuo rapporto di scambievole inluenza, con le vicende politiche del
Paese, ad esse parametrando le stagioni organizzative ed i piani di intervento, con una sintonia tra il dato interno e quello esterno alla Loggia
che il commissario Covatta ha voluto sintetizzare deinendo la Loggia
P2 una struttura «plastica rispetto al potere».
Non è chi non veda, infatti, come nella storia del suo sviluppo sia
dato individuare una prima fase di contatto con gli ambienti militari
da un lato e con le fasce estreme dell’eversione nera dall’altro, che caratterizza marcatamente la prima metà degli anni Settanta, quando la
provvisorietà delle soluzioni politiche e la ricerca faticosa di più solide
maggioranze davano spazio e margine di credibilità politica a quei conati di golpismo strisciante, che solo in seguito si sarà in grado di collocare
nella giusta prospettiva, ma che all’epoca non mancarono di esercitare il
loro efetto di allarme destabilizzante.
Come del pari ad un efetto destabilizzante miravano eventi clamorosi di tragico segno quali gli attentati, che accreditarono, nella logica
della strategia della tensione, la teoria degli opposti estremismi e per
alcuni dei quali sappiamo che la Loggia si poneva come retroterra politico e inanziario.
Come abbiamo già osservato, se è certo che Gelli ed ambienti della
Loggia P2 hanno tramato con l’eversione nera, sarebbe peraltro giudizio
politicamente incauto identiicarli con essa, risolvendo così, in modo
semplicistico, un più complesso rapporto con fenomeni ed ambienti che
appaiono piuttosto strumentalizzati, secondo una accorta strategia di
inserimento che punta ad incentivarli, salvo poi a disinnescarli al momento opportuno.
Traspare piuttosto dalla trama degli eventi un disegno che sollecita
iniziative di valore eversivo, puntando al vantaggio politico di eventuali
contraccolpi sul sistema, più che ad un reale suo impossessamento nel
segno della restaurazione. Solo la pochezza politica di qualche generale
328
Dalla P2 alla P4
di mal apposte ambizioni poteva farsi irretire dalla prospettiva di un
governo presieduto da Carmelo Spagnuolo, quale il Gelli agitava ai sui
ospiti con le stellette nella riunione di Villa Wanda.
Fino al 1975 Licio Gelli sembra aver giocato con pari impegno sui
due tavoli diversi − ma lo furono poi veramente? o non fu piuttosto
una medesima spregiudicata partita che su di essi Gelli, o chi per lui,
condusse? − dell’eversione violenta al sistema e della politica di ordine
e di restaurazione, all’ombra dei militari. È questa la stagione politica
nella quale la Loggia P2 si conigura dunque, secondo l’espressione del
commissario Occhetto, come il luogo nel quale passa la convergenza fra
le forze dell’eversione ed il «partito d’ordine». Ma la non identiicazione
di Licio Gelli con l’eversione, l’approssimazione cioè di una lettura del
personaggio e del fenomeno che ad esso risale in chiave nera, risalta
con netto rilievo quando si consideri l’evoluzione che ci è dato registrare
secondo una lettura non schematica degli eventi successivi, quando la
strategia della tensione si avvia al tramonto.
Il piano di rinascita democratica segna l’ingresso alla seconda fase,
quella della penetrazione nel sistema, che viene aggredito attraverso la
ragionata acquisizione di alcuni suoi gangli di funzionamento essenziali. È la stagione organizzativa della completa copertura della Loggia e
del suo qualiicato ampliamento, con le quali i gruppi che si identiicano
nella loggia accompagnano l’esperimento politico dell’inserimento del
partito comunista nella maggioranza di governo.
Se vogliamo apprezzare in pieno la lessibilità dell’operazione e la
tempestività dei suoi tempi di attuazione, non possiamo non dare rilievo, a questo punto dell’analisi, al dato emergente dall’istruttoria,
ampiamente esposto precedentemente nelle sue modalità operative,
sull’ingresso del Corriere della Sera nell’orbita di inluenza della Loggia
P2; dato questo sufragato, con riscontro puntuale, dal documento che
il Comitato di redazione e di fabbrica del giornale ha inviato alla Commissione. In questo lavoro è rinvenibile una ampia e documentata testimonianza della penetrante azione, a livello anche di gestione di notizie
minori, che veniva esercitata sul quotidiano, il cui direttore, Di Bella,
era iscritto alla Loggia P2, completando così l’organigramma di controllo della testata. Di fronte a questo rilievo non può non essere posto
in luce che il giornale mantenne, durante l’esperimento politico della
solidarietà nazionale, un orientamento di sostanziale appoggio alla soluzione politica, di governo e di maggioranza parlamentare, che si veniva enucleando nelle sedi istituzionali. Valga per tutte la testimonianza
oferta dall’editorialista politico del quotidiano, Gianfranco Piazzesi, il
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
329
quale aferma in un suo volume di aver propugnato e difeso nei suoi corsivi tale linea, senza che la direzione avesse mai ad interferire in senso
censorio.
Il sostegno fornito dalla direzione di Di Bella all’operazione guidata
dall’onorevole Moro, va peraltro letto alla luce dei dati in nostro possesso sulla compenetrazione tra gruppo Rizzoli e Loggia Propaganda e
sul controllo che Gelli poteva esercitare, ed in fatto esercitava, nella sua
qualità di garante ultimo di quella situazione proprietaria e gestionale
emblematicamente rappresentata dal famoso «pattone».
I dati conoscitivi sul Corriere della Sera si pongono così alla nostra
attenzione con tutta la carica del loro ambivalente signiicato, poiché,
se da un lato segnalano alla nostra rilessione il rilievo indubitabile degli interessi politici della Loggia, dall’altro sollecitano un’analisi scevra
da ogni schematismo interpretativo, non dismettendo il quale diventa
impossibile cogliere il fenomeno nel suo più recondito signiicato.
Partendo da questa osservazione di metodo, il dato dal quale bisogna
prendere le mosse è la constatazione, di indubbio riscontro storico, che
le elezioni del 1976 avevano provocato nella situazione politica del Paese un mutamento profondo, costituito dal ruolo inedito che il partito
comunista veniva ad assumere, anche per la condizione, posta dal partito socialista, di non far parte di alcuna maggioranza di governo che non
includesse, in qualche modo, il partito comunista stesso.
Quanto ci è dato riscontrare, riferendoci ai dati sinora acquisiti, è che
l’instaurarsi di questa nuova situazione si accompagna al contemporaneo dispiegarsi di due concorrenti attività:
- nel 1977 − prima operazione di ricapitalizzazione del gruppo
Rizzoli − viene acquisito alla loggia un primario strumento di
formazione dell’opinione pubblica e viene iniziata una vasta operazione di espansione nel settore della stampa quotidiana;
- Licio Gelli procede ad una selezionata acquisizione di uomini collocati in ruoli centrali e determinanti della pubblica amministrazione, dei vertici militari nella loro massima espressione, della
dirigenza più qualiicata del mondo bancario e inanziario.
Non sembra, a questo punto del discorso, un voler forzare l’interpretazione il riconoscere che i fenomeni descritti sono legati da un rapporto di causa ed efetto, e che i dati che abbiamo allineato all’attenzione
dell’osservatore si pongono con un rilievo tale, sia per il numero e il
peso delle persone coinvolte, sia per la quantità di mezzi impiegati, da
non consentire di coninare operazioni di così vasto raggio nell’ambito
indeinito della casualità e della coincidenza.
330
Dalla P2 alla P4
Se vogliamo collegare questi dati al complesso delle considerazioni
svolte nel corso di tutto il lavoro, passando da un apprezzamento puramente esterno degli accadimenti ad una lettura che entri nel merito dei
contenuti, siamo allora in grado di afermare che fatti ed avvenimenti
sembrano invece legarsi tra loro secondo una logica ben precisa.
Posti di fronte alla nuova situazione che si era venuta ad instaurare,
Licio Gelli e gli uomini che nella sua loggia e tramite essa si esprimevano − il gruppo che si riconosceva nel piano di rinascita democratica dove
si stigmatizzava nel partito comunista la sua capacità di mimetizzazione pseudo-liberale in seno alla nuova società italiana composta di ceti
medi − dovette realisticamente prendere atto della situazione ed approntare le opportune misure di intervento. Nasce così l’operazione di concentrazione di testate che opera programmaticamente nel senso di allineare,
Corriere della Sera in testa, un blocco di quotidiani nel quale si riconoscesse la maggioranza di quei ceti medi rivelatisi capaci di così imprevisti scarti elettorali. Ed è in parallelo a questa operazione che si svolge quella di
ailiazione, selettivamente mirata, di tutta una serie di personaggi senza
i quali e contro i quali è diicile governare, in ragione del personale peso
speciico e della collocazione strategica degli incarichi loro aidati.
Il controllo di queste situazioni-chiave costituisce il rovescio della
medaglia, imprescindibile per la comprensione del vero signiicato del
prudente appoggio alla politica di graduale inserimento del partito comunista nell’area di governo, consentito a livello di immagine, ma che
gli uomini della Loggia P2 non potevano accettare senza precostituire, nella sostanza, una sorta di meccanismo di garanzia. Il senso reale
dell’operazione Corriere della Sera ci appare così come quello di un accorto adeguamento tattico che mimetizza una situazione reale di contenuto afatto diverso, ovvero l’autentico volto della Loggia P2 nella sua
seconda fase: un organismo di garanzia e di controllo, articolato a più
livelli di eicacia e di incisività rispetto ai processi decisionali che accompagnano l’attività politica.
Quale concreta percezione nelle forze politiche si sia avuta della esistenza di questi fenomeni così collegati − nella loro consistenza e nel
loro intrinseco e reciproco signiicato politico − come essi abbiano interagito con i concreti processi decisionali, quali ulteriori connivenze
ad ogni livello ed in ogni settore abbiano registrato per esplicare la loro
funzione, questi sono argomenti per i quali non si dispone di elementi
suicienti al ine di più mature conclusioni. Il contributo che si può portare al dibattito delle forze politiche è l’afermazione non controvertibile dell’esistenza di questa struttura legata, in modo funzionale, ad una
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
331
situazione politica determinata e la veriica che non costituì ostacolo al
suo approntamento, né fu presidio suiciente contro il pericolo che essa
rappresentava, la realizzazione dell’accordo di più ampia portata tra le
forze democratiche.
Quanto sinora detto costituisce una risposta implicita, ma non equivocabile, al primo dei quesiti dai quali abbiamo preso le mosse, poiché
non sembra possa essere ulteriormente messa in discussione la valenza
politica della Loggia P2. Abbiamo infatti dimostrato in altro luogo che
la storia della loggia può essere ricostruita individuando in essa una
coerente logica interna; ora, sulla base delle ultime notazioni, siamo in
grado di afermare che questa logica interna corrisponde a sua volta,
correndo in parallelo, ad eventi esterni alla loggia: nella specie, gli eventi politici; non ne rimane che concludere che la Loggia P2 è associazione
politica nella sua stessa ragione di essere.
Volendo quindi dare risposta al secondo quesito, che nasce di conseguenza, sugli obiettivi politici dell’organizzazione, non è diicile, tirando le ila dei discorso, deinire adesso la Loggia P2 come una associazione che non si pone il ine politico di pervenire al governo del sistema,
bensì quello di esercitarne il controllo. La ragione politica ed il movente
ispiratore della Loggia P2 vanno individuati, alla stregua di questo criterio, non nella conquista politicamente motivata delle sedi istituzionali
dalle quali si esercita il governo della vita nazionale, ma nel controllo
anonimo e surrettizio di tali sedi, attraverso l’inserimento in alcuni dei
processi fondamentali dai quali l’azione di governo nasce ed attraverso
i quali concretamente si dispiega.
Sotto il segno uniicante di questo dato interpretativo comprendiamo come Licio Gelli possa ispirare, con pari lucidità e con identica fermezza, sia le forme di eversione violenta ed esterna al sistema − proprie
della prima fase − sia la più sottile, ma non meno pericolosa, eversione
all’ordine democratico che la Loggia P2 rappresenta nel suo secondo
stadio di attuazione. Le due fasi identiicate altro infatti non rappresentano se non le diverse tattiche attraverso le quali attuare una medesima
strategia di controllo del sistema, aggredito dall’esterno prima, occupato dall’interno dopo: la prima come la seconda consumando diverse ma
non meno perniciose forme di violenza nei confronti delle istituzioni.
Un ordine di concetti, questo, che è stato dal commissario Covatta incisivamente riassunto con il deinire la Loggia P2 un complotto permanente − tale infatti esso è, poiché rappresenta un modo sommerso
di fare politica − che si sviluppa e si plasma in funzione dell’evoluzione
della situazione politica uiciale.
332
Dalla P2 alla P4
Alla luce di queste afermazioni appare allora spiegata l’ambivalenza
del dato relativo al Corriere della Sera.
Quale che fosse infatti la linea politica uiciale mantenuta dal giornale, l’ingerenza della Loggia P2 si manifestava in un sottile tentativo
di riallineamento dell’opinione pubblica, che riporta alla mente le tecniche note della persuasione occulta. Valga d’esempio la serie di articoli
inquadrati nell’occhiello «Le cose che non vanno» pubblicati non irmati
nel periodo precedente la consultazione elettorale del 1979. Scorrendone i titoli sembra di leggere altrettanti capoversi del piano di rinascita
democratica (Cfr. «La giustizia umiliata», «Due decreti non cancellano
le colpe dello Stato», «La scuola rotta», «Bisogno di pulizia», «Le piaghe
della sanità», «La polizia liquefatta»), dal quale mutuano l’allarmismo
pessimista proprio di tanti documenti della loggia, così lontano dalla
critica costruttiva che al sistema rivolge chi in esso tuttavia si riconosce.
Il discorso svolto sul Corriere della Sera ci riporta, con evidente analogia all’analisi precedentemente condotta, sull’informativa Cominform,
per rilevare come in entrambi i casi abbiamo dovuto esercitare uno
sforzo interpretativo che andasse al di là delle conclusioni di primo approccio che i dati sembrano ofrire. Questo ci sembra uno dei connotati
essenziali dell’intera vicenda della Loggia P2, storia quant’altra mai ricca di ambivalenze e di dati di duplice signiicato; una storia nella quale
apparenza e sostanza dei fenomeni si svelano legate da uno scambievole
rapporto di funzionale interdipendenza, una storia nella quale, come ha
eicacemente sottolineato il commissario Mora, assieme ad elementi
che avvalorano una tesi, emergono quasi sempre circostanze in grado di
giustiicare l’antitesi. Il rinvio continuo tra quello che i dati ci sembrano
dire a prima vista e quello che in realtà in essi si cela, nasconde la prima
ragione delle fortune di questo fenomeno, altrimenti non spiegabile e
cela l’insidia principale di un meccanismo che, con sapiente regia, gioca sull’ambiguità, ofrendo chiavi di lettura sulle quali innestare, con
scontata previsione, inevitabili polemiche il cui unico esito è quello di
perdere il signiicato profondo degli eventi.
Lo sforzo dell’interprete è quindi di non cedere alla tentazione di
afrettate conclusioni: noi sappiamo infatti come interpretare questa
ambiguità, perché sappiamo che essa rimonta alle scaturigini stesse del
personaggio Gelli, a quel suo rapporto con i Servizi segreti che nasce
all’inizio degli anni Cinquanta e si perpetua lungo l’arco di sei lustri, secondo una logica di continua mai smentita compromissione reciproca.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
333
Il Piano di rinascita democratica ed il principio del controllo
L’analisi sviluppata nel corso di questo capitolo trova puntuale conferma in due documenti di singolare ed illuminante contenuto: il piano
di rinascita democratica ed il memorandum sulla situazione politica in
Italia.
L’esame dei due documenti lascia ritenere che la loro redazione materiale sia riconducibile a persona in grado di formulare analisi politiche
non prive di inezza interpretativa, nonché dotato di una preparazione
giuridica di ordine superiore; trattasi inoltre, e lo testimonia la padronanza di terminologie proprie agli addetti ai lavori, di persona in dimestichezza con gli ambienti parlamentari.
Il piano di rinascita democratica può essere datato, in ragione di riferimenti interni, con suiciente approssimazione, alla seconda metà
del 1975 o agli inizi del 1976. Si tratta certamente di due testi comunque non redatti dal Gelli personalmente, se non altro per la sua carenza
di cultura giuridica speciica, ma da lui direttamente ispirati a persona
molto vicina.
L’attenzione da rivolgere al piano di rinascita democratica è giustiicata dalla considerazione che il documento si pone come il risultato
inale di una serie di testi nei quali è consegnata al nostro studio una
ideologia che abbiamo già deinito di stampo genericamente conservatore, contrassegnata da una propensione di avversione al sistema nel
suo complesso e da un supericiale apprezzamento del ruolo dei quadri
tecnici in rapporto alla dirigenza politica. Sono queste le osservazioni
già sviluppate, analizzando il verbale della riunione di loggia del 1971,
rispetto al quale il piano di rinascita democratica si pone come una successiva e più sistematica articolazione.
Altro riferimento documentale al quale riportarsi è il piano elaborato
dal gruppo Sogno all’incirca nello stesso torno di tempo.
Va inine ricordato che la terza nota informativa dell’ispettore Santillo denuncia la circolazione nell’ambiente della loggia di un documento del quale si riassumono i punti principali, in modo da consentirci di
afermare che il testo in questione era il piano al nostro esame o documento estremamente simile.
I riferimenti formali e sostanziali enunciati ci consentono pertanto di collocare nella giusta prospettiva il piano di rinascita democratica che, rispetto a questi testi, si contraddistingue, secondo una linea
di continuità, come la più articolata e consapevole espressione di una
somma di opinioni ed idee che costituivano il minimo comune denomi-
334
Dalla P2 alla P4
natore ideologico dei gruppi che si esprimevano nella Loggia P2. Come
tale il piano non va né sottovalutato, riducendolo a semplice manifesto
propagandistico agitato soprattutto a ini di confusione dell’osservatore
esterno, né sopravvalutato considerandolo come le immutabili tavole di
un organismo che, come sappiamo, «metteva al bando la ilosoia». Un
documento quindi che deve essere preso in considerazione e studiato
per quello che esso realmente vale: ovvero il riepilogo rivelatore degli
umori politici di ambienti determinati, la cui qualiicata presenza nella
vita del Paese deve indurci a non trascurare alcun dettaglio conoscitivo.
In tale prospettiva lo studio del piano di rinascita democratica, sotto il
proilo dei contenuti, conferma la ilosoia di fondo di stampo conservatore, o meglio predemocratica secondo le parole del commissario Ruilli,
che ci è nota, concretando in tale direzione un ulteriore stadio di sviluppo
quando si consideri la inalizzazione che esso postula del funzionamento
della società e delle sue istituzioni al perseguimento dell’obiettivo della
massima incentivazione della produzione economica. Traspare infatti
dalle righe di questo singolare breviario politico, calata in una prospettiva genericamente tecnocratica, l’immagine chiusa e non priva di grigiore
di una società dove si lavora molto e si discute poco.
L’analisi a tal ine svolta nel testo degli istituti politici ed amministrativi viene condotta, con conoscenza di causa, nel dettaglio dei problemi:
dalla riforma del pubblico ministero agli interventi sulla stampa, dai
regolamenti parlamentari alla politica sindacale, sino alla legislazione
antimonopolio ed a quella sull’assetto del territorio, nulla sembra sfuggire all’attenzione dell’anonimo redattore del documento eccezion fatta
per i problemi del settore militare, secondo il rilievo prima analizzato.
Il dato di analisi che occorre qui sottolineare è che il piano di rinascita
democratica non è un testo astratto dì ingegneria costituzionale, come
molti afermano proponendo incauti paragoni, né un documento di intenti che lo possa qualiicare come il manifesto della Loggia P2. Esso è
piuttosto un piano di azione che, oltre a issare degli obiettivi, predispone in dettaglio le conseguenti linee di intervento e come tale ne arriva a
preventivare perino il fabbisogno inanziario.
È facile constatare infatti che l’analisi in esso efettuata e le terapie
predisposte non appaiono astratte ed avulse dal concreto della realtà
politica italiana; valga per tutte considerare quanto previsto dal punto
D dei n. 3: «dissolvere la Rai-Tv in nome della libertà di antenna ex art.
21 della Costituzione». Afermazione questa che ofre ampi spunti di
meditazione quando si ponga mente alla data della sua formulazione
(1975) nonché alla singolare, a dir poco, preveggenza di quanto verii-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
335
catosi successivamente. Di maggior pregio il riscontro che le operazioni
politiche efettuate in danno della Democrazia cristiana e del Movimento sociale italiano, sopra citate in dettaglio, trovano nel testo puntuale
e speciica previsione.
Si vuole ancora portare all’attenzione il passaggio del testo in cui
possiamo leggere: «Primario obiettivo ed indispensabile presupposto
dell’operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli,
operatori imprenditoriali e inanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici che non superi (sic) il numero di 30 o 40 unità. Gli
uomini che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale tali cioè da costituire un vero e
proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali
e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un
collegamento valido con la massoneria internazionale».
Non vi è diicoltà a riconoscere nel testo citato, al di là del farisaico
riferimento alle virtù degli ailati, una descrizione fedele ed esauriente
della Loggia Propaganda, dove non si sa se apprezzare di più l’illuminante riferimento alla eterogeneità dei componenti od il richiamo alla
massoneria internazionale. Altra notazione da sottolineare è il tipo di
rapporto delineato con il mondo politico, per il quale si avverte l’assoluta indiferenza verso precise scelte di campo, come quando, in altro
punto del testo, si ipotizza l’eventualità di avvicinare («selezionare gli
uomini») esponenti di forze politiche diverse, appartenenti ad aree persino opposte. Ma certo una delle peculiarità del documento è l’approccio asettico e in certo senso neutrale che esso prospetta nei confronti
delle forze politiche, viste come uno degli elementi del sistema sui quali
inluire, di nessuna sposando per altro la causa politica in modo determinato. Rivelatore è in proposito il brano dianzi citato, dove si legge:
«uomini… tali da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano…».
Traspare da queste parole una concezione di subalternità e di strumentalità della politica in genere che costituisce uno dei tanti motivi di
rilessione che siamo venuti a sottolineare nel corso del nostro lavoro
sulla reale portata del personaggio Gelli e sui possibili suoi punti di riferimento politico e strategico.
Come si può constatare, la ricostruzione sinora condotta dei rapporti politici e dell’azione politica della Loggia P2 trova puntuale riscon-
336
Dalla P2 alla P4
tro nei contenuti del piano di rinascita democratica e viene pertanto
confermata sul versante ideologico oltre che su quello immediatamente operativo. A non dissimile conclusione infatti possiamo pervenire,
rispetto a quanto prima enunciato, afermando che la vera ilosoia di
fondo, che permea le pagine di questo documento, è quella di un approccio ai problemi della società, inalizzato al controllo e non al governo dei processi politici e sociali. La denuncia inequivocabile di questa concezione politica, sottesa a tutto il documento, sta proprio nel
ruolo subalterno che alle forze politiche viene assegnato nel contesto
dei progetto sistematico racchiuso nel documento, che a sua volta collima con il miraggio dell’opzione tecnocratica intesa come alternativa a
quella politica, secondo una indicazione ricorrente sin dal primo documento in nostro possesso. Un ruolo che abbiamo deinito strumentale,
secondo un rilievo che ci consente di afermare a tutte lettere come la
Loggia P2, secondo quanto il piano di rinascita conferma, non sia in
realtà attribuibile a nessun partito politico in quanto tale, né sia essa
stessa iliazione del sistema dei partiti. Lungi infatti dal porsi l’obiettivo
di correggere le eventuali disfunzioni di tale sistema, essa s’innesta su
di esse ed esse mira a coltivare ed incentivare; perfettamente logico appare, in tale distorta prospettiva, che nel piano di rinascita democratica
si prospetti la creazione di due nuove formazioni politiche in funzione
di contrappeso a quelle esistenti.
Ci si svela, in questi passaggi nei quali si prevede di «selezionare gli
uomini» e di intervenire sulle formazioni politiche esistenti, una delle
connotazioni principiali del progetto politico della Loggia P2, individuata dal commissario Occhetto nell’operare attraverso continue mediazioni, che si innestano nelle divisioni del sistema, una continua ricomposizione della classe dirigente.
La logica del controllo, vera chiave di volta interpretativa della storia della Loggia P2, è appunto quella di interagire sulle forze presenti
nel sistema, e tra queste e le forze politiche, pedine sulla scacchiera alla
pari delle altre, per pervenire al raggiungimento degli obiettivi del piano non con assunzione diretta di responsabilità, ma per via di delega:
sono questi i politici ai quali aidare l’attuazione del piano che l’ignoto
redattore qualiica con sinistra e involontaria ironia, «onere».
La logica del controllo contrapposta a quella del governo balza qui
in evidenza con tutta la cinica consequenzialità di una visione politica
che tende a situare il potere negli apparati e non nella comunità dei
cittadini, politicamente intesa. È alla razionalizzazione degli apparati e
dei processi produttivi, infatti, non del sistema di rappresentanza della
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
337
volontà popolare − del quale i partiti sono manifestazione − che il piano
sintomaticamente si inalizza con lucida coerenza: una razionalizzazione che appare calata dall’alto − o iniettata dall’esterno? − e che non promana come frutto dei processi politici attraverso i quali una società libera e vitale esprime le proprie tensioni e trova i suoi assetti istituzionali.
Questo è il limite storico del piano di rinascita e dell’esperimento politico della Loggia P2: il vizio d’origine che ne fa una soluzione alla lunga; perdente per una società nella quale la libera dialettica delle diverse
scelte politiche costituisce presupposto imprescindibile per la vita delle
istituzioni. Ma sarebbe assurdo e pericoloso adagiarsi su tale certezza e
non riconoscere che in quella libera dialettica, o meglio nelle sue possibili disfunzioni, si può celare il punto nevralgico di possibili debolezze
sulle quali fenomeni come la Loggia P2 s’innestano e fanno leva per dispiegare, in tal modo, tutta la forza di eversione corruttrice di cui sono
potenzialmente capaci.
In questo ordine di idee possiamo allora afermare che la Loggia P2
si contraddistingue per una connotazione politica che ci è dato deinire come di sostanziale neutralità, volendo con tale termine individuare
in primo luogo la potenzialità del progetto, al di là delle pregiudiziali
ideologiche, ad uniformarsi alle situazioni politiche che si determinano
nel sistema, quella che il commissario Padula ha chiamato la versatilità
della Loggia P2, ovvero la sua capacità di adattamento. Neutralità che
non deve peraltro confondersi con una generica indiferenza verso le vicende politiche che, al contrario, ricevono un diverso grado di attenzione e quindi di tradimento, secondo quanto ci dimostra l’analisi storica
efettuata ed il diverso impegno programmatico ed organizzativo che da
essa traspare nelle vicende dell’organismo studiato. Neutralità vuole inine indicare la sostanziale posizione di esteriorità nella quale il sistema
viene collocato dal progetto piduista: un sistema che viene prospettato
come entità esterna da sottoporre, per l’appunto, a controllo. In questo
senso la Loggia P2 attraversa, per usare l’espressione del commissario
Rizzo, il potere politico senza identiicarsi mai completamente con esso;
stabilisce rapporti e contatti con le forze politiche organizzate in partiti, che il dato delle ailiazioni indica in modo emblematico, ma di certo
non esaurisce, però si pone comunque sempre rispetto ad esse, come del
resto rispetto alle altre situazioni con cui entra in contatto, in termini di
esternità, ovvero di strumentalizzazione.
Un esempio di questo ambiguo rapporto che la Loggia P2 intesse con
il potere può essere individuato nella vicenda del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, nel senso indicato dal commissario Petruccio-
338
Dalla P2 alla P4
li quando ha rilevato come il Gelli che rivolge le sue blandizie al neoeletto
Presidente, pervenendo a farsi da questi ricevere, ed il Gelli che si vanta
con l’onorevole Craxi di poter condizionare la suprema magistratura della Repubblica, non solo non siano igure in contrasto tra loro ma possano
in ipotesi essere considerati due concordanti aspetti di un identico modo
di porsi di fronte al potere politico. Una ipotesi questa che la gravità del
problema e l’altissima responsabilità che ne viene interessata impongono di prendere in attenta e non preclusiva considerazione.
In armonia con queste considerazioni si pone l’insistente accenno al
ruolo dei tecnici, contrapposti dialetticamente ai politici più che ad essi
coordinati in funzione di ausilio e collaborazione: è infatti nella rottura dell’equilibrio tra decisione politica ed attuazione tecnica che viene
individuato, con modernità di approccio, un cuneo di inserimento per
l’attuazione dell’operazione di controllo.
Ponendosi in questa prospettiva esegetica possiamo allora allargare ad un più generale ordine di considerazioni lo spunto interpretativo
emerso nel capitolo riservato ai vertici militari, per afermare che una
delle idee centrali della operazione piduistica è appunto la riscoperta
e l’accentuazione del valore mediatamente politico che gli apparati rivestono al di là ed oltre l’immediata fruibilità meramente tecnica ed
esecutiva che di essi sembra avere una difusa seppur non apertamente
professata cultura di governo.
Ancora una volta, per apprezzare il rilievo del progetto piduistico,
dobbiamo scendere sul piano dei contenuti, osservando che negli elenchi di Castiglion Fibocchi sotto questo proilo non è tanto l’aspetto
quantitativo, il numero degli iscritti, a colpire l’attenzione; non è cioè il
fatto che vi si trovino molti direttori generali di ministero, ma il rilievo
che ve ne sono alcuni che sono titolari di precise determinate direzioni
generali, quali ad esempio il direttore generale del Tesoro e il segretario
generale della Farnesina. Sono questi titolari di funzioni sul cui tavolo
passa quanto di decisivo e di politicamente signiicativo interessa un
ministero, incarichi il cui peso ed il cui signiicato possono essere apprezzati solo prendendo a metro di paragone il ruolo del ministro.
Comprendiamo allora perché nel piano di rinascita venga prospettato il reinserimento dei segretari generali nei ministeri, di un istituto
amministrativo cioè invalso nell’epoca liberale e poi largamente caduto
in disuso, anche per la sua funzione di stabile contraltare amministrativo contrapposto dialetticamente alla provvisorietà dei titolari del dicastero. Il progetto politico piduista mira a ristabilire queste situazioni
per garantirsi l’esistenza di una rete permanente ad alto livello nella
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
339
quale potersi inserire ed esplicare quella funzione di controllo che, come
abbiamo già detto, costituisce la chiave di volta di tutta l’operazione:
una funzione di controllo messa al riparo della naturale provvisorietà
che contrassegna l’evoluzione delle fasi politiche. Ci si mostra ancora
una volta, nel dettaglio analitico, la lucidità di un disegno che dà pregio
a quel dato di antica conoscenza sulla stabilità degli apparati e sul loro
perpetuarsi attraverso diversi regimi.
La individuazione di questa ilosoia di condizionamento surrettizio delle strutture non può non indurre ad alcune considerazioni sul
pericolo di un distorto rapporto tra il potere politico, che ripete la sua
legittimazione dai processi elettivi, e il potere burocratico, in sé autoperpetuantesi: è attraverso le smagliature di tale sistema che possono
venire a crearsi i punti di attacco per operazioni che nel loro risultato
inale iniscono per porsi come fenomeni sostanzialmente eversivi. E
non è chi non veda come un rapporto tra queste due attività di governo, pur diverse per segno ed intensità, che si consumi in situazioni di
traumatico impegno che la prima può esercitare sulla seconda al momento della nomina, in quella fase concentrando tutto il suo potere di
primazia, può dare spazio ad una debolezza del sistema che sarebbe
pernicioso sottovalutare.
Lo studio del fenomeno P2 ci ricorda che l’attività di governo consiste
anche in un pedestre rinvio alla quotidianità, nella applicazione vigile
allo sviluppo delle cose e degli eventi attraverso il loro apparentemente
insigniicante dettaglio: quella che, con terminologia a torto superata,
veniva chiamata l’arte del buon governo.
In questo senso possiamo afermare che la vicenda della Loggia P2
rappresenta la rivincita degli apparati poiché vale a riportare alla nostra
attenzione la constatazione di indubbio rilievo politico che il funzionamento isiologico di un sistema democratico risiede non solo nella presenza di una opinione pubblica vigile e matura, ma altresì nel corretto
funzionamento delle strutture di governo, considerate anche nelle loro
ramiicazioni operative e nella garanzia che il potere politico assicuri,
alla comunità e per conto della comunità, la loro aidabilità.
È questa una concezione che, come abbiamo accennato, denota una
modernità di impostazione che sarebbe pernicioso sottovalutare, poiché una simile posizione rimarcherebbe una non corretta comprensione
del rilievo che, lo sviluppo tecnologico e la molteplicità di compiti che ad
uno Stato moderno vengono assegnati, comportano in termini di immediata valenza politica. Lo sviluppo degli apparati, che in un moderno
Stato industriale corre in parallelo all’allargamento della base democra-
340
Dalla P2 alla P4
tica di consenso − secondo un nesso di inscindibile correlazione funzionale, con esso ponendosi in rapporto di consequenzialità − impone
alle forze politiche una non eimera ed approfondita rimeditazione del
rapporto da instaurare con strutture che, lungi dal rappresentare l’elefantiaca espansione delle articolazioni amministrative elaborate dallo
Stato liberale, sono l’indispensabile strumento che consente alla volontà politica dei cittadini, fondamento dello Stato democratico, di tradursi
in modelli di libertà e benessere.
Conclusioni
La trattazione che abbiamo condotto nel corso dei capitoli che precedono ci consente di procedere alla formulazione di alcune considerazioni di ordine conclusivo, speciiche sul problema della Loggia P2 e del suo
inserimento nella vita del Paese.
L’esame di queste situazioni ci consente in primo luogo di ribadire
con fermezza il rilievo assoluto che la Loggia P2 ha rivestito nelle vicende della vita nazionale, intrecciandosi ad essa secondo trame che, se
non completamente conosciute, non è possibile ignorare o ridurre ad
interpretazioni di basso proilo. Questa è stata peraltro la valutazione
che l’opinione pubblica − alla quale sola, si spera, troppo afrettatamente si è inteso fare riferimento, in pur autorevole sede, quando sì è parlato di «improvvisati tribunali di opinione» − ha istintivamente fornito al
momento della pubblicazione delle liste, con un generale movimento di
allarme e di necessariamente generica riprovazione.
La documentazione in possesso della Commissione, la mole di dati
e di notizie in essa contenute, le audizioni efettuate, le argomentazioni che da un tale complesso patrimonio conoscitivo è possibile svolgere motivatamente, nonché smentire le prime reazioni della pubblica
opinione, si allineano dinanzi alla nostra attenzione per sufragare, in
ben precisa direzione, il quadro iniziale quale si ricavava dalla semplice
consultazione delle liste. Un quadro che, pur nella non ancora precisata
nettezza di particolari e di aspetti anche fondamentali, disegna una riconoscibile trama che si presta a risolvere molti interrogativi e altri ne
apre, nel contempo, di inquietante portata, tali, gli uni e gli altri, da non
consentire sommarie liquidazioni dei fenomeno e delle sue molteplici
inaspettate ramiicazioni.
L’esame degli avvenimenti ed i collegamenti che tra essi è possibile
instaurare sulla scorta delle conoscenze in nostro possesso portano in-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
341
fatti a due conclusioni che la Commissione ritiene di poter sottoporre
all’esame del Parlamento.
La prima è in ordine all’ampiezza ed alla gravità del fenomeno che
coinvolge, ad ogni livello di responsabilità, gli aspetti più qualiicati
della vita nazionale. Abbiamo infatti riscontrato che la Loggia P2 entra
come elemento di peso decisivo in vicende inanziarie, quella Sindona
e quella Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano in
modo determinante.
Non si è trattato, in tali casi, soltanto del tracollo di due istituti di
credito privati di interesse nazionale, ma di due situazioni inanziariamente rilevanti in un contesto internazionale, che hanno sollevato − con particolare riferimento al gruppo Ambrosiano − serie diicoltà
di ordine politico non meno che economico allo Stato italiano. In entrambe queste vicende, la Loggia P2 si è posta come luogo privilegiato
di incontro e centro di intersecazione di una serie di relazioni, di protezioni e di omertà che ne hanno consentito lo sviluppo secondo gli
aspetti patologici che alla ine non è stato più possibile contenere. In
questo contesto inanziario la Loggia P2 ha altresì acquisito il controllo
del maggiore gruppo editoriale italiano, mettendo in atto, nel settore di
primaria importanza della stampa quotidiana, una operazione di concentrazione di testate non confrontabile ad altre analoghe situazioni,
pur riconducibili a preminenti centri di potere economico. Queste operazioni inine, come abbiamo visto, si sono accompagnate ad una ragionata e massiccia iniltrazione nei centri decisionali di maggior rilievo,
sia civili che militari e ad una costante pressione sulle forze politiche.
Da ultimo, non certo per importanza, va inine ricordato che la Loggia
P2 è entrata in contatto con ambienti protagonisti di vicende che hanno
segnato in modo tragico momenti determinanti della storia del Paese.
La seconda conclusione alla quale siamo pervenuti è che in questa
vasta e complessa operazione può essere riconosciuto un disegno generale di innegabile valore politico; un disegno cioè che non solo ha in
se stesso intrinsecamente valore politico − ed altrimenti non potrebbe
essere, per il livello al quale si pone − ma risponde, nella sua genesi come
nelle sue inalità ultime, a criteri obiettivamente politici.
Le due conclusioni alle quali siamo pervenuti ci pongono pertanto di
fronte ad un ultimo concludente interrogativo: è ragionevole chiedersi se
non esista sproporzione tra l’operazione complessiva ed il personaggio
che di essa appare interprete principale. È questa una sorta di quadratura del cerchio tra l’uomo in sé considerato ed il frutto della sua attività,
che ci mostra come la vera sproporzione stia non nel comparare il fe-
342
Dalla P2 alla P4
nomeno della Loggia P2 a Licio Gelli, storicamente considerato, ma nel
riportarlo ad un solo individuo, nell’interpretare il disegno che ad esso
è sotteso, e la sua completa e dettagliata attuazione, ad una sola mente.
Abbiamo visto come Licio Gelli si sia valso di una tecnica di approccio
strumentale rispetto a tutto ciò che ha avvicinato nel corso della sua
carriera. Strumentale è il suo rapporto con la massoneria, strumentale
è il suo rapporto con gli ambienti militari, strumentale il suo rapporto
con gli ambienti eversivi, strumentale insomma è il contatto che egli
stabilisce con uomini ed istituzioni con i quali entra in contatto, perché
strumentale al massimo è la ilosoia di fondo che si cela al fondo della
concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde
se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere, ma è
al contempo al servizio di chi vi è sottoposto.
Ma allora, se tutto ciò deve avere un rinvenibile signiicato, questo
altro non può essere che quello di riconoscere che chi tutto strumentalizza, in realtà è egli stesso strumento.
Questa infatti è nella logica della sua concezione teorica e della sua
pratica costruzione la Loggia Propaganda 2: uno strumento neutro di
intervento per operazioni di controllo e di condizionamento. Quando
si voglia ricorrere ad una metafora per rappresentare questa situazione,
possiamo pensare ad una piramide il cui vertice è costituito da Licio
Gelli; quando però si voglia a questa piramide dare un signiicato è giocoforza ammettere l’esistenza sopra di essa, per restare nella metafora,
di un’altra piramide che, rovesciata, vede il suo vertice inferiore appunto nella igura di Licio Gelli. Questi è infatti il punto di collegamento tra
le forze ed i gruppi che nella piramide superiore identiicano le inalità
ultime, e quella inferiore, dove esse trovano pratica attuazione, ed attraverso le quali viene orientata, dando ad essa di volta in volta un segno determinato, la neutralità dello strumento. Che questa funzione di
travaso tra le due strutture non sia eccessiva per un personaggio quale
Licio Gelli ci sembra indubbio: non solo egli viene a trovare una logica e
concretamente accettabile collocazione, ma il fenomeno stesso nel suo
intero appare non improbabile nella sua struttura complessiva e nelle
sue inalità ultime.
Questa interpretazione del fenomeno può essere feconda di risultati
in sede analitica qualora non venga intesa in modo meccanico, come
delimitazione netta di zone o aree di collocazione di ambienti e personaggi, ma piuttosto come esempliicazione illustrativa del ruolo di
punto di snodo che il personaggio Gelli ha rivestito ponendosi come
elemento di raccordo tra forze di varia matrice e di diseguale rilievo,
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
343
che tutte hanno concorso alla creazione come alla gestione della Loggia
Propaganda. Funzione certo di non minor momento se, avuto riguardo,
dall’eterogeneità delle forze e dei gruppi interessati a questo progetto,
dei quali le liste- rappresentano uno spaccato esempliicativo, non è,
come ha osservato il commissario Andò, l’identità dei ini ultimi a rendere eiciente l’organizzazione e forte il progetto, ma il sistema delle
convenienze reciproche che costantemente interagisce.
Quali forze si agitino nella struttura a noi ignota questo non ci è dato
conoscere, sia pure in termini sommari, al di là dell’identiicazione del
rapporto che lega Licio Gelli ai Servizi segreti; ma, riportandoci a quanto
detto in proposito, certo è che la Loggia P2 ci esorta ad una visione della,
realtà nella sua variegata e spesso inaferrabile consistenza. Ne viene anche un invito ad interpretazioni non ristrette ad angusti orizzonti domestici, ma che sappiano realisticamente guardare ai problemi della nostra
epoca, ed al ruolo che in essa il nostro Paese viene a ricoprire.
In questa dimensione la Loggia P2 consegna alla nostra meditazione
una operazione politica ispirata ad una concezione pre-ideologica del
potere, ambìto nella sua più diretta e brutale efettività; un cinismo
di progetti e di opere che riporta alla mente la massima gattopardesca
secondo la quale «bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’era»:
così per Gelli, per gli uomini che lo ispirano da vicino e da lontano, per
coloro che si muovono con lui in sintonia di intenti e di azioni, sembra
che tutto debba muoversi perché tutto rimanga immobile.
La prima imprescindibile difesa contro questo progetto politico, metastasi delle istituzioni, negatore di ogni civile progresso, sta appunto
nel prenderne dolorosamente atto, nell’avvertire, senza ipocriti iningimenti, l’insidia che esso rappresenta per noi tutti − riconoscendola
come tale al di là di pretestuose polemiche, che la gravità del fenomeno
non consente − poiché esso colpisce con indiscriminata, perversa eicacia, non parti dei sistema, ma il sistema stesso nella sua più intima
ragione di esistere: la sovranità dei cittadini, ultima e deinitiva sede del
potere che governa la Repubblica.
Considerazioni inali e proposte
La ricostruzione della vicenda della Loggia Propaganda 2 che abbiamo condotto nel corso della presente relazione e lo studio di come tale
organismo ha interferito nella vita nazionale, testimoniano della molteplicità dei campi di intervento nei quali sono rinvenibili tracce della
344
Dalla P2 alla P4
presenza dì questa organizzazione con un rilievo spesso determinante,
sempre comunque incisivo e qualiicato.
La Commissione parlamentare al termine dei propri lavori ha pertanto dedicato un dibattito apposito all’esame delle eventuali proposte
da sottoporre al Parlamento, al ine di indicare mezzi e rimedi tali da
evitare il ripetersi del fenomeno analizzato o di situazioni consimili.
Tale dibattito, in considerazione della cruciale importanza dei temi in
argomento, non ha potuto non registrare diverse prospettive e punti
di dissenso, testimonianza ulteriore del non marginale rilievo di questo fenomeno la cui analisi conduce direttamente all’esame di questioni
fondamentali inerenti al funzionamento ed allo sviluppo del sistema
democratico.
Comprendere e valutare la vicenda della Loggia P2 nel suo reale signiicato e nelle sue ultime implicazioni vuol dire infatti pervenire all’analisi di alcuni nodi centrali, politicamente decisivi in un regime di democrazia che voglia coniugare l’eicienza dell’apparato di governo con
la più ampia estensione del consenso dei cittadini che in tale regime
esprimono la loro volontà politica.
Se logico appare, dunque, constatare che a tale discorso ogni parte
politica è approdata, portando il patrimonio delle scelte ideologiche e
politiche che le è proprio ed elaborando quindi diverse conseguenti prospettazioni risolutive, è dato peraltro al relatore registrare come unanime sia stata l’individuazione dei temi di intervento e l’analisi del loro
rilievo nel contesto generale dell’analisi del fenomeno.
Il primo argomento che viene in esame è quello relativo ai problemi
connessi all’applicazione della norma costituzionale concernente l’istituto stesso dell’inchiesta parlamentare.
La Commissione nel corso dei suoi lavori ha dovuto registrare come
la norma che estende a tali organismi i poteri dell’autorità giudiziaria,
con i limiti inerenti, può dar luogo, quando dalla astratta previsione si
scenda nel concreto delle attuazioni, ad alcuni problemi di non secondario momento.
La Commissione infatti, che dei poteri attribuiti ha fatto uso incisivo in più di una occasione, ha dovuto afrontare e risolvere situazioni
di delicato rilievo giuridico, con particolare riferimento alla tutela dei
diritti dei singoli a fronte di provvedimenti autoritativi emanati dalla Commissione in tema di perquisizioni e sequestri, ordinati al ine di
soddisfare esigenze istruttorie di particolare signiicato. Non vi è dubbio infatti che l’attuale normativa non consenta l’interposizione di gravame contro tali provvedimenti quando provenienti da autorità diversa
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
345
da quella giudiziaria, secondo quanto ha espressamente confermato la
Suprema Corte di cassazione, ma non v’è parimenti dubbio che in tale
quadro si viene a concretare per il cittadino una anomala situazione,
tale che lo vede sprovvisto, nel caso indicato di ogni mezzo di ricorso
di fronte a provvedimenti che incidano sulla sfera dei diritti soggettivi.
La Commissione, facendosi carico di questa anomalia, ha provveduto a
convocarsi appositamente in ulteriore istanza per deliberare in ordine a
ricorsi presentati da cittadini, ma non è chi non veda come il problema
sia di ordine più generale e meglio andrebbe prospettato con la elaborazione da parte del Parlamento di una legge-quadro che disciplini l’adeguamento delle norme del codice di procedura penale ai casi nei quali
l’organo procedente sia costituito da una Commissione parlamentare di
inchiesta. Tale normativa consentirebbe, ferme restando le prerogative
del Parlamento e dei suoi membri in sede di inchiesta, di realizzare l’applicazione del dettato costituzionale senza peraltro dar luogo a situazioni di incerta tutela dei diritti dei singoli, risolvendo anche, come ha
sottolineato il commissario Ricci, ulteriori problemi quali quelli inerenti
all’acquisizione di deposizioni di fronte alla Commissione d’inchiesta e
l’assunzione da parte di essa di rogatorie.
Ulteriore argomento di esame da parte della Commissione è stato
quello della funzionalità dell’istituto dell’inchiesta, tema per il quale si è
registrata una convergenza di opinioni sul danno all’eicienza dei lavori
che deriva dalla pletoricità della sua composizione.
A tal ine si ritiene, come ha proposto il commissario Battaglia, che
un più ristretto gruppo di commissari, selezionato garantendo sempre
il criterio della proporzionalità issato dalla Costituzione, meglio risponderebbe alle esigenze di riservatezza, di incisività e di sollecitudine
dei lavori che, quanto più assicurate, tanto più contribuiscono alla credibilità politica di questo istituto.
Il dibattito in Commissione ha logicamente assunto come premessa allo svolgimento dell’analisi propositiva le conclusioni alle quali si è
giunti lungo il corso del lavoro nelle varie parti e sui diversi argomenti
attraverso i quali si è sviluppato lo studio del fenomeno della Loggia
P2. La ramiicata attività di iniltrazione di questo organismo nei più
svariati settori della vita nazionale ha di necessità condotto l’esame a
considerare aspetti anche di dettaglio della legislazione in atto in diversi e disparati campi, per i quali è stata prospettata l’esigenza di soluzioni
normative diversamente articolate.
Quello che in sede conclusiva il relatore ritiene di poter sottolineare è
che questa discussione è riconducibile ad alcuni temi fondamentali che
346
Dalla P2 alla P4
si riportano alla sostanza delle conclusioni alle quali si è pervenuti e che
la Commissione unanime ha individuato come di rilievo preminente.
Primo fra tutti può essere individuato l’argomento della funzionalità degli apparati e del controllo del loro operato in sede politica. Si è
potuto rilevare infatti, attraverso lo studio condotto, il ruolo centrale
che gli apparati tecnici di supporto e di collaborazione hanno rispetto
all’attività di governo e si è individuato nell’apprezzamento del loro ruolo mediatamente politico uno degli elementi di maggior interesse nel
progetto politico della Loggia P2, che nella sua concreta attuazione è
pervenuto a realizzare quello che il commissario Rizzo ha stigmatizzato
come un uso privato della funzione pubblica da parte di alcuni apparati
dello Stato.
Il problema si è così posto al centro del dibattito conclusivo ed ha
evidenziato in primo luogo un sostanziale accordo sul rilievo che in tale
materia assumono le procedure inerenti alle nomine dell’alta dirigenza.
Si tratta di problema non da oggi oggetto di esame e di dibattito tra
le forze politiche, al quale la Commissione può portare il contributo di
alcune conoscenze che le sono proprie, relative all’esperienza del tutto
peculiare che ha costituito oggetto della propria indagine.
Riportandoci a quanto osservato nel precedente capitolo, il dibattito
in Commissione ha evidenziato il convincimento, comune a molti commissari, che l’esatta impostazione di questa tematica chieda di esaminare il problema delle nomine alla luce di criteri che realizzino il massimo
della trasparenza delle procedure attraverso le quali si concreta la discrezionalità del potere politico in questa materia. Il dibattito ha peraltro sottolineato come sia avvertita l’esigenza di un sistema di controllo
politico che non si limiti alla fase preventiva, ma si estenda all’operato
dei massimi dirigenti anche successivamente alla cessazione delle loro
funzioni, al ine di pervenire, come ha indicato il commissario Ruilli,
ad una responsabilizzazione più compiuta della gestione degli incarichi
loro aidati.
In questa prospettiva il dibattito si è centrato sui problemi inerenti
all’attività di uno degli apparati il cui operato riveste connotati di maggiore delicatezza, ovvero i Servizi segreti. È questo un tema nel quale
le opposte esigenze dell’autonomia dell’apparato e del controllo politico,
della trasparenza e della necessaria riservatezza richiedono un discorso
prudente, che rifugga da astratte prese di posizione. Il commissario Fallucchi ha sottolineato la peculiarità di questo apparato al quale devono
essere riconosciute, per sua natura, condizioni di operatività afatto speciali alle quali mal si appongono vincoli di troppo puntuale articolazione.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
347
Non è chi non veda peraltro come quello dei Servizi segreti sia campo di
attività di somma importanza, poiché viene in esso coinvolto il tema preminente della sicurezza nazionale e gli aspetti di politica interna ed estera che a questo momento fondamentale della vita del Paese si collegano.
La Commissione ha esaminato il problema alla luce delle gravi emergenze risultanti dall’istruttoria e delle conclusioni alle quali si è pervenuti, prospettando due possibili direttrici di intervento. Vi è chi ha
ipotizzato più puntuali procedure di controllo e di pubblicità, in ordine
alle quali peraltro non si è mancato di sollevare l’obiezione già ricordata
sulla. natura particolare dei servizi che a questi apparati vengono aidati. Una indicazione in senso diverso è venuta dal commissario Ruilli, il
quale ha prospettato una possibile linea alternativa a quella meramente
procedurale, in una diversa considerazione dell’istituto dei reati ministeriali. Questa osservazione ci conduce a rilevare in via generale come
il vero problema di fondo in materia di controllo e di funzionalità degli
apparati vada individuato in ultima analisi nella non eludibile esigenza
di una compiuta responsabilizzazione del potere politico, che di essi ha la
guida e quindi l’ultima responsabilità in sede di gestione e di aidabilità.
L’esperienza storica della Loggia P2 ci rivela, secondo quanto già osservato, che comportamenti etorodossi delle strutture di supporto possono e debbono trovare freno adeguato nel controllo che di esse efettua
il potere politico inteso nella sua globalità, sia come potere attivo di
governo, sia come controllo democratico che l’opposizione esercita nei
confronti dell’uso che di quel potere viene fatto.
Partendo da una ferma assunzione delle responsabilità politiche nella gestione di queste situazioni si potrà allora pervenire allo studio di
perfezionamenti tecnici, che comunque da soli non costituiscono rimedio risolutivo. L’ordine di considerazioni esposto ha condotto la Commissione ad una concorde conclusione sulla riafermata centralità del
ruolo del Parlamento come deinitiva sede responsabile dei controlli
preventivi e successivi, variamente modellati, ai quali riportarsi in ultima istanza per garantire la funzionalità e l’aidabilità del sistema nelle
sue varie articolazioni, politiche non meno che amministrative. Ma perché questo discorso non rimanga nell’indistinto va rilevato che l’esperienza della Loggia P2 deve condurre ad una rimeditazione di questa
tematica secondo una linea che porti ad individuare precise situazioni
di controllo e di assunzione di responsabilità politica, piuttosto che ad
una generica dilatazione di competenze.
Una indistinta estensione, infatti, concretando sostanzialmente una
duplicazione delle procedure, inirebbe per non inluire sulla loro inci-
348
Dalla P2 alla P4
sività in relazione a situazioni determinate, perché il problema, come
individuato dal commissario Ruilli, è non solo e non tanto quello del
controllo, ma quello dell’individuazione di responsabilità per le quali si
risponda in modo non formale.
Questo ordine di considerazioni conduce al secondo dei temi di maggior rilievo politico individuati dalla Commissione, poiché il tema del
controllo in genere e di quello parlamentare in specie è strettamente
legato al problema della pubblicità dell’ordinamento, secondo l’identiicazione tra i due concetti proposta dal commissario Ricci, per il quale la
democraticità di un sistema politico è in relazione alla quantità di informazioni rilevanti che circolano all’interno del sistema stesso.
A questi ini lo studio della vicenda storica della Loggia P2, della sua
genesi come del suo sviluppo, ci mostra in termini di esperienza concreta, prima ancora che come questione di principio, tutte le conseguenze
alle quali conducono limitazioni non strettamente motivate del criterio
di trasparenza generale dell’ordinamento.
Estendendo ad un più generale contesto una osservazione del commissario Andò, è dato afermare che la persistenza di inutili zone di opacità del sistema costituisce il presupposto fondamentale ed imprescindibile per dare vita ad attività che si pongono nell’illegalità o al margine
della legalità, in quell’area di comportamenti che l’uso sapiente e smaliziato delle leggi consente di individuare a chi sappia e possa far leva sul
tecnicismo e sulla estesa articolazione dell’intero complesso normativo.
Non vi ha dubbio in proposito che il primo e fondamentale correttivo di
fronte a tali situazioni vada cercato nella generale adozione di forme di
pubblicità che rendano possibile il controllo che i vari soggetti dell’ordinamento, pubblici o privati che siano, reciprocamente esercitano sulla
loro attività nel quadro dell’ordinamento democratico.
A questo ine uno degli insegnamenti di maggior momento che da
questa vicenda si può trarre, è l’aver dimostrato al di là dì ogni possibile
contestazione che la trasparenza dell’ordinamento costituisce la garanzia prima contro il manifestarsi di forme di potere alternativo le quali,
traendo origine ed alimento da una non compiuta estrinsecazione di
questo principio, si pongono esse stesse come strutture che aspirano
al controllo della società o di suoi settori. Tale in sostanza è stata la
Loggia P2, e tali sono, in più limitato ambito, le forme associative di
stampo maioso richiamate, studiando la struttura associativa di questa organizzazione, da altri autorevoli organi giurisdizionali. Quando si
pervenga alla comprensione piena del rapporto intrinseco e funzionale
tra segretezza e forme di potere alternativo, del quale la presente rela-
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
349
zione ha cercato di fornire illustrazione ampia e deinitiva, non apparirà
eccessivo il rilievo proposto dai Commissari Ricci e Bellocchio, secondo
i quali il tasso di democraticità dell’ordinamento è direttamente proporzionale alla sua trasparenza.
L’applicazione del principio di trasparenza è stata dalla Commissione
esaminata con riferimento dettagliato al più svariati settori dell’ordinamento, in ordine ai quali non si è mancato di registrare, atteso il tecnicismo della materia, diversità di avvisi e di soluzioni, con l’identiicazione
comune peraltro di alcuni settori nei quali questa tematica si ritiene
degna di particolare attenzione. Tali, ad avviso dei commissari, sono i
comparti normativi della legislazione economica, con particolare riferimento a quella bancaria e valutaria, e delle procedure amministrative,
in specie quelle concernenti le nomine dei massimi dirigenti.
Un particolare esame è stato dalla Commissione rivolto all’applicazione del principio di trasparenza alla materia associativa, tema questo che
non ha potuto registrare un accordo unanime, attesa del resto l’importanza anche ideologica dell’argomento. Sulla scorta del dibattito efettuato il relatore ritiene in proposito di sottolineare in primo luogo che il
problema delle associazioni deve correttamente essere inquadrato, non
tanto nella prospettiva di determinare quale estensione, maggiore o minore, dare al diritto dei singoli di associarsi, quanto piuttosto in quella di
contemperare tale imprescindibile diritto individuale con il diritto della
collettività, non meno degno di considerazione, di essere tutelata dal distorto uso che di esso possa essere operato da soggetti dell’ordinamento,
del che è esperienza ampiamente documentata la vicenda della Loggia
P2. In questo senso i commissari Andò e Ruilli hanno interpretato l’esigenza di democraticità, prevista dall’articolo 49 della Costituzione con
riferimento ai partiti politici, come criterio-guida indicato dal Costituente nella materia, anche in considerazione del rilievo fondamentale che
nella vita pubblica queste organizzazioni rivestono.
Al ine di un corretto inquadramento del problema, che prescinda
da polemiche strumentali, il relatore vuole inine osservare che questo
fondamentale diritto dell’individuo viene a trovare applicazione in una
società, quale quella contemporanea, informata a larghi criteri di tolleranza e di comprensione verso motivazioni morali ed ideologiche di
qualsiasi orientamento. Partendo da tale constatazione, segno tangibile dei valore non formale della democrazia italiana, è auspicabile che il
diritto di associazione venga a porsi come fondamentale momento per
l’esplicazione ed il potenziamento delle attività umane nella società, secondo il ruolo che la Costituzione mostra di attribuirgli.
350
Dalla P2 alla P4
L’ampiezza del dibattito svolto dalla Commissione è in relazione alla
gravità del fenomeno oggetto dell’inchiesta, che si è posto come motivo
di inquinamento della vita nazionale, mirando ad alterare in modo spesso determinante il corretto funzionamento delle istituzioni, secondo un
progetto che, per usare l’espressione del commissario Formica, mirava
allo snervamento della democrazia. Il suo sviluppo ha accompagnato
momenti di centrale rilievo nella nostra storia recente, contrassegnandone le tormentate vicende con una presenza della cui estensione ed
incisività questa relazione perviene a dare testimonianza sicura, ma
non conoscenza completa ed esauriente. Il punto di approdo di questa
vicenda è segnato dalla legge con la quale il Parlamento ha deciso, con
tempestivo provvedimento, lo scioglimento dell’organizzazione e dalla
successiva legge con la quale è stata creata questa Commissione d’inchiesta. La successione di questi provvedimenti ha chiarito oltre ogni
verosimile dubbio, che compito di questa Commissione non era quello
di emettere un giudizio, perché tale giudizio era già stato formulato dal
Parlamento che nella sua sovrana responsabilità aveva decretato che
per consimile organizzazione non vi era posto legittimo nel nostro ordinamento. A questo giudizio la Commissione si è riportata, intendendo
come suo compito principale fosse quello di studiare e di analizzare il,
fenomeno non al ine di sufragare a posteriori un giudizio già emesso, procedura questa, allora, invero aberrante, ma quello di portare la
propria vigile attenzione sul passato ainché dalla sua conoscenza si
traessero le ragioni onde fenomeni analoghi non abbiano a ripetersi nel
futuro. In questo senso i lavori della Commissione e la sua stessa relazione conclusiva vanno letti come la ricerca di un ragionato patrimonio
conoscitivo ed interpretativo che, muovendo da una esperienza concreta, consenta di meglio comprendere i problemi della nostra democrazia
al ine di consentirne il libero sviluppo. Problemi, sia detto a fugare ogni
inutile e a volte interessato pessimismo, di crescita e di maturazione,
come ha afermato il commissario Ruilli, che sono testimonianza essi
stessi della vitalità del sistema democratico e della qua intatta capacità
di determinare il proprio futuro.
Queste considerazioni ci inducono a rilevare, secondo lo spunto
emerso in Commissione, come il dibattito politico nel Paese si sia da ultimo incentrato, con signiicativa contemporaneità all’esplodere di questa vicenda, su due temi che le forze politiche hanno individuato come
di preminente rilievo in questo momento storico: la questione morale
ed il problema della riforma delle istituzioni.
Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
351
Temi questi di eminente rilievo politico, il primo non meno che il
secondo, perché essi vertono sul ruolo che l’ortodossia dei comportamenti individuali e la compiuta capacità delle istituzioni a dare risposta
ai problemi della realtà sociale rivestono ai inì di un ordinato procedere
della vita democratica. In questo ordine di argomentazioni e di proposte
il lavoro della Commissione e le sue conclusioni possono utilmente trovare il modo di inserirsi. L’esperienza delle deviazioni nel corretto uso
degli istituti, spesso secondo forme inusitate, e nei comportamenti di
soggetti investiti di alte responsabilità − basti qui ricordare il triste quadro che emerge dal fascicolo M.FO.BIALI − mostra sul terreno concreto
della realtà storica la stretta interrelazione esistente tra una compiuta
deontologia dei comportamenti individuali e il funzionamento ordinato degli istituti. Chi voglia dunque afrontare questi temi evitando di cadere in considerazioni di retorico moralismo o di astratta ingegneria costituzionale, potrà trovare nel lavoro della Commissione ampi spunti di
meditazione e l’invito a ricordare che le istituzioni si identiicano, prima
ancora che nei princìpi scritti e nelle perfettibili costruzioni normative,
negli uomini che in esse vivono ed operano e che ad esse danno concreto
valore ed eicacia. Soccorre a questo proposito e nel quadro delle considerazioni sviluppate l’argomento della compiuta responsabilizzazione
dei comportamenti individuali emerso dal dibattito in Commissione,
riportato ai massimi vertici della dirigenza degli apparati e del potere
politico che ad essi è preposto, come elemento imprescindibile di garanzia politica al ine di un corretto funzionamento del sistema.
Le conclusioni alle quali la Commissione parlamentare di inchiesta
è pervenuta al termine dei propri lavori muovendo dalla legge di scioglimento della Loggia massonica Propaganda 2, mostrano, in relazione ai quesiti posti dal Parlamento nell’articolo I della legge istitutiva
della Commissione, che tale organizzazione, per le connivenze stabilite
in ogni direzione e. ad ogni livello e per le attività poste in essere, ha
costituito motivo di pericolo per la compiuta realizzazione del sistema
democratico. La presente relazione è in grado di fornire una documentata ricostruzione del fenomeno ed una attendibile spiegazione delle
sue origini, della sua struttura e delle sue inalità, tale da consentire al
Parlamento una ragionata meditazione in ordine ai problemi dell’ordinamento democratico e delle misure da adottare a difesa della sua conservazione e del suo progresso. Accanto a queste conclusioni la Commissione non ha mancato di sottolineare gli interrogativi di non lieve
momento che rimangono tuttora aperti: nodi insoluti il cui scioglimento potrà semmai arricchire i risultati ai quali si è pervenuti, nelle loro
352
Dalla P2 alla P4
linee fondamentali, ma diicilmente pervenire a ribaltarne in modo determinante il proilo politico essenziale.
Per tali motivi la Commissione, assolvendo il mandato aidatole,
consegna la sua relazione conclusiva, nel sereno convincimento che
questo documento, così come il libero esame e l’aperta discussione che
su di esso il Parlamento e i cittadini intenderanno svolgere, non potranno che porsi al servizio dell’interesse primario della democrazia e della
Nazione.
353
Relazione di minoranza della Commissione parlamentare
d’inchiesta sulla loggia massonica P2 (Legge 23 settembre 1981,
n. 527) dell’onorevole Massimo Teodori − IX legislatura
Caso Moro: tra P2 e P38
Perché non fu ritrovato Moro? L’assoluta Ineicienza del servizi segreti. Al loro vertice tutti P2: Santovito, Grassini, Pelosi; ed ancora altri
piduisti ai posti giusti: Giudice, Ferracuti, Siracusano, Cornacchia.
Quel che interessa nell’inchiesta P2 del «caso Moro» non è la ricostruzione della vicenda, materia a cui è stata dedicata un’apposita Commissione parlamentare, e neppure l’individuazione delle responsabilità
esecutive per le quali ci sono stati vari procedimenti giudiziari conclusisi
in questi anni. In questa sede lo speciico interesse riguarda la presenza,
l’inluenza, le attività e gli efetti che la P2 come organizzazione e centro
di potere occulto, ed i piduisti come singoli attori, hanno avuto nel caso.
Non può essere tuttavia taciuta in questa sede la strumentalità
delle dichiarazioni che a più riprese la Presidente della Commissione
Tina Anselmi ha rilasciato sulle responsabilità della P2 nel caso Moro;
dichiarazioni che non hanno trovato doveroso seguito nell’attività
d’inchiesta della Commissione che, per volere della maggioranza, non
ha ritenuto necessario ed opportuno approfondire quegli aspetti della
vicenda in cui pur apparivano delle implicazioni di uomini appartenenti alla Loggia.
La domanda di fondo a cui si deve rispondere è: perché non fu fatto
tutto il possibile per giungere al ritrovamento dell’on. Moro e quindi
alla sua salvezza? Non interessa l’analisi dei motivi che portarono al
rapimento di Moro ma solo la seconda fase della vicenda: il suo mancato ritrovamento e la sua mancata salvezza. Questo solo interrogativo
pone anche Leonardo Sciascia, Commissario radicale colla commissione
«Moro», nella sua relazione conclusiva: «Perché Moro non è stato salvato nei 55 giorni della sua prigionia, da quelle forze che lo Stato prepone
alla salvaguardia, alla sicurezza, all’incolumità dei singoli cittadini, della
collettività, delle istituzioni?». Il discorso, quindi, da generale e politico
si sposta sul comportamento dei servizi di sicurezza e delle altre forze
354
Dalla P2 alla P4
e strutture a cui lo Stato in quel momento aidò la responsabilità delle
indagini, quindi del ritrovamento dell’on. Moro.
Per ciò che riguarda i servizi segreti è ormai accertato che nulla fecero
durante i 55 giorni per giungere all’identiicazione della prigione dell’on.
Moro e per individuare quelle piste che avrebbero in qualche modo potuto dare esito positivo. Il settore civile, invece, il Sisde, afrontò il caso
Moro in condizione di assoluta inadeguatezza e smobilitazione in seguito alla disgregazione del Servizio di Sicurezza (Sds), già Ispettorato
antiterrorismo, per quanto riguarda gli uomini, le strutture e gli archivi.
Ma nonostante la diversità di condizioni operative né il Sisde né il Sismi
portarono alcun contributo alle indagini ed alle operazioni per Moro.
A capo delle due branche dei servizi segreti erano stati posti i generali
Giuseppe Santovito (Sismi) e Giulio Grassini (Sisde) che risultano entrambi appartenenti alla Loggia P2. A capo poi dell’organismo di coordinamento Cesis di nuova istituzione e dipendente direttamente dalla
Presidenza del Consiglio, era stato posto il prefetto Gaetano Napolitano
con il compito di rendere più funzionale e più coordinata l’intera attività
dei servizi. Ma proprio durante i 55 giorni, il 5 maggio 1978, il prefetto
Napolitano fu costretto a dare le dimissioni in seguito all’impossibilità
di svolgere il suo lavoro, ostacolato dai vertici del Sismi e del Sisde e per
nulla ascoltato dal Governo a cui aveva esposto le diicoltà incontrate.
Dimessosi Napolitano, al suo posto subentrò Walter Pelosi anch’egli,
come Santovito e Grassini, iscritto alla P2.
Durante quelle settimane operarono anche altri organismi di carattere politico e tecnico-operativo. Il Governo, dopo che il Parlamento era
stato esautorato dal direttorio dei partiti, afrontò la crisi attraverso il
Comitato interministeriale per la sicurezza (Cis) che si riunì una prima
volta il giorno stesso della strage di via Fani sotto la presidenza del ministro degli Interni Cossiga con la partecipazione del ministro della Difesa
Attilio Ruini, del capo della polizia Parlato, del comandante generale
dell’Arma dei Carabinieri, Pietro Corsù, dei direttori del Sismi, del Sisde,
dell’Ucigos e del Questore di Roma: Santovito, Grassini, Fariello e De
Francesco. Al Cis parteciparono dal 17 marzo anche il comandante della
Guardia di Finanza generale Rafaele Giudice (P2) ed il capo di gabinetto
di Andreotti, dott. Milazzo. Il Ministero degli Interni, a sua volta, aveva
costituito un gruppo politico tecnico operativo mentre il Ministro degli
Interni si avvalse di alcuni «consulenti personali» tra cui il prof. Franco
Ferracuti (P2). In conclusione non può sfuggire che nella proliferazione
di organizzazioni nelle varie istanze il tasso di piduisti presenti è notevole: Santovito, Grassini, Pelosi, Giudice, Ferracuti.
Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
355
Passando poi dalle strutture di coordinamento al livello operativo si
trova come responsabili dei posti di blocco di Roma il gen. dei Carabinieri Giuseppe Siracusano (P2) noto per essere un fedelissimo di Gelli
da antica data. Per ricordare soltanto un episodio basta rilettere sul
fatto che i brigatisti, in presenza di spettacolari operazioni disposte dal
Siracusano, poterono indisturbati riportare le automobili che avevano
usato per la strage nei pressi di via Fani alcuni giorni dopo la strage.
Ha lucidamente osservato nella sua relazione alla Commissione Moro
Sciascia: «Sforzo imponente ma per nulla da elogiare (i posti di blocco,
i controlli delle auto, gli arresti ed i fermi). Prevalentemente condotte
a tappeto e però con inconsulte eccezioni, le operazioni di quei giorni
erano o inutili o sbagliate. Si ebbe allora l’impressione − e se ne trova
ora conferma − che si volesse impressionare l’opinione pubblica con la
quantità e la vistosità delle operazioni, non curanti afatto della qualità… Piano zero… Mancanza di uomini per il pedinamento… La nostra opinione sulla vacuità delle operazioni di polizia è condivisa e trova
autorevole conferma in questa dichiarazione del dott. Pascalino, allora
procuratore generale a Roma: in quei giorni si fecero operazioni di parata più che ricerche. Ed incontrovertibile che chi volle, chi assentì, chi
nulla fece per meglio indirizzare il corso delle cose, va considerato − nel
grado di responsabilità che gli competeva − pienamente responsabile».
Cioppa e Via Gradoli: il commissario entra nella P2 ed è nominato al vertici dei Sisde. Gelli ritenuto una «importante fonte conidenziale». Andreotti
e le carte di via Motenevoso.
Al comando del nucleo investigativo dei carabinieri di Roma si trovava il col. Antonio Cornacchia, P2, mentre alcune operazioni decisive del
non ritrovamento furono efettuate dal vice capo della Mobile romana
dott. Elio Cioppa, entrato signiicativamente nel «gruppo centrale» della P2 il 10/10/1978. Questo funzionario fu il protagonista del più misterioso − al momento di svolgimento ed ancora oggi rimasto tale − dei
pur tanti episodi oscuri di tutta la vicenda. Avvertito da una telefonata di movimenti sospetti in un appartamento di via Gradoli, il Cioppa
condusse una operazione di perquisizione dell’ediicio fermandosi davanti alla porta chiusa nonostante l’ordine di sfondamento delle porte
nel caso di impossibilità di accesso. Solo un mese dopo, il 18 aprile, fu
accertato che l’appartamento era un covo delle Brigate rosse mentre in
precedenza la Questura di Roma aveva fatto credere di non essere stata
356
Dalla P2 alla P4
messa sulla giusta pista a causa di uno scambio di località e della presunta non esistenza della via nello stradario romano.
Sul ruolo del commissario Cioppa occorre sofermarsi perché non
è solo il protagonista del misterioso episodio − di via Gradoli. Proprio
all’indomani del tragico esito del «caso Moro»; viene chiamato alla vicedirezione del Sisde guidato dal P2 generale Grassini; e contemporaneamente entra nella P2, quasi che fra le due cose ci fosse un legame
necessario. In questa sua nuova funzione il Cioppa fu chiamato ancora ad indagare sul caso Moro per secondo la sua stessa testimonianza,
del generale Grassini che gli diede un appunto che proveniva da Gelli o
da una riunione alla quale Gelli aveva partecipato, appunto nel quale
si parlava tra l’altro dei motivi per cui Moro era stato sequestrato e di
ambienti delle Br che dovevano essere implicati. Qualche anno dopo,
all’indomani della strage della stazione di Bologna, Cioppa, continuando una frequentazione abituale, contattò nuovamente Gelli ritenuto
«importante fonte conidenziale» per lui stesso e per il Sisde*.
Un ulteriore indizio − della presenza della P2 durante il caso Moro è
riferita dall’ex Questore di Arezzo, Antonio Amato (P2), circa un vasto
rastrellamento nella zona dell’aretino promossa dall’allora vice direttore della polizia, Santillo, il quale durante quei giorni gli chiese di appro*
Alcuni stralci della deposizione Cioppa ai magistrati Cudillo e Sica del 13 ottobre 1981- «Verso la seconda metà del settembre 1978, quando già ero stato
assegnato, dal 11 settembre, al Sisde, ebbi a conoscere Licio Gelli… Preciso
che già da tempo conoscevo Gelli perché da me visto nei pressi del servizio
di via Lanza nei primissimi del settembre 1978 e perché nel 1976, in occasione delle indagini a carico di Bergamelli, avendo questi afermato che era
protetto da una “Grande Famiglia” si ebbe a parlare anche della Massoneria
e dello stesso Gelli. Non ricordo se io ho incontrato il Gelli nello studio del
compianto Occorsio che allora si interessava di estremismo ed in particolare
di eventuali rapporti fra estremismo di destra e sequestri… Gli feci presente
che avevamo bisogno di fonti in materia di terrorismo ed il Gelli mi rispose
genericamente… Successivamente mi chiamò… Di solito Gelli presentandosi
con lo pseudonimo di Luciani, lasciava detto di richiamarlo all’Excelsior… Gli
telefonai dopo la strage di Bologna per conoscere eventualmente notizie in
merito (agosto e poi settembre 1980)… Il Gelli mi disse che avevamo sbagliato
tutto e che gli autori dell’attentato dovevano essere ricercati in campo internazionale… Preciso che quando sono arrivato al Servizio fui informato che il
Gelli era una fonte del Sisde… Di solito il generale Grassini, quando si trattava
di Gelli mi consegnava i biglietti, scritti a mano a matita, ed io poi sviluppavo
le indagini. Ricordo che il Gelli diede informazioni sull’avv. Spazzali, sull’avv.
Guiso, su Critica Sociale e sull’afare Moro ed anche altre cose. In particolare
nell’afare Moro era un discorso politico riguardo la strategia dell’attentato…».
Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
357
fondire la personalità del Gelli con ciò lasciando intendere che la pista
di Gelli andasse battuta in relazione allo stesso sequestro Moro. Interessante anche la deposizione in Commissione Moro del maggiore Umberto Nobili, il quale riferisce che, durante un incontro con Gelli, questi gli
disse che vi era un iniltrato dei carabinieri in un gruppo delle Br e che
tramite l’iniltrato si sarebbe venuti a sapere che il materiale scoperto
dal generale Alberto Dalla Chiesa nel covo milanese di via Montenevoso
riguardante l’uccisione ed il sequestro di Moro, era stato asportato e
coperto col segreto di Stato in quanto contenente cose assai imbarazzanti per uomini di partito e di governo. Questa circostanza relativa
alla sparizione di materiale di Moro riguardante in particolare Andreotti, sequestrato il primo ottobre 1978, viene confermata anche dalla
deposizione all’autorità giudiziaria della brigatista Anna Carla Brioschi
resa il 5 luglio 1982. Che Gelli in qualche maniera abbia a che fare non
tanto con il sequestro Moro, quanto con il suo non ritrovamento ed in
particolare con l’uso dei documenti che in quei 55 giorni furono emessi,
trova conferma in atri elementi. Marcello Coppetti, un teste non del
tutto attendibile, fornisce tuttavia la conferma delle circostanze testimoniate dal maggiore Nobile e, di fronte alla Commissione d’inchiesta,
riferisce che Gelli per quanto a sua diretta conoscenza, sapeva molte
cose del sequestro Moro aggiungendo testualmente: «Moro è stato un
afare di Stato e Gelli lo sa».
Lo smantellamento dell’Ispettorato anti-terrorismo di Santillo, presupposto necessario di via Fani e di via Caetani. Reticenze, ambiguità e mistero
nelle risposte di Cossiga.
Tentando dunque di rispondere al quesito posto del perché Moro non
sia stato ritrovato e salvato, si giunge ad una prima conclusione che riguarda il non funzionamento dei servizi segreti e degli altri apparati
dell’ordine pubblico e la presenza in essi di una larga rete di elementi
della P2. Si pone allora la questione se le ineicienze del Sismi, l’inerzia
del Sisde, la inconcludenza dei vari comitati e l’ingannevole carattere
di tante operazioni a cui partecipano uomini della P2 sia un puro fatto
casuale oppure se vi sia una deliberata convergenza di volontà per non
ottenere risultati positivi.
A sufragare la fondatezza della seconda ipotesi vi è la vicenda dello
smantellamento dell’ispettorato anti-terrorismo (poi Servizio di sicurezza) diretto dal Questore Emilio Santillo. Quest’organismo nel 1977
358
Dalla P2 alla P4
era l’unica struttura dei servizi che, uicialmente a conoscenza della P2,
della sua natura e dell’attività del suo capo, ne aveva dato uiciale notizia alle autorità politiche con tre successive note del 1974, del 1975
e del 1976; e al tempo stesso rappresentava l’unico organismo che era
sulla buona pista del terrorismo di ogni colore comprese le Br.
Invece del 22 maggio (alla scadenza cioè dei sei mesi dall’entrata in
vigore della legge di riforma dei servizi) l’Ispettorato di Santillo venne
improvvisamente ed inspiegabilmente smantellato nel giro di 24 ore il
30 gennaio 1978, con la costituzione formale del Sisde di Grassini; i suoi
uomini dispersi e le sue strutture rese inservibili con il relativo patrimonio di informazione e di capacità operativa messi insieme in tre anni. La
relazione di maggioranza della commissione Moro aferma: «L’Ispettorato anti-terrorismo aveva cominciato a costruire una mappa dei movimenti eversivi e a raccogliere informazioni sui singoli presunti terroristi
in una visione unitaria del fenomeno, la sola capace di consentire un
corretto apprezzamento e una lotta eicace».
Il nodo della messa fuori gioco di Santillo e della sua struttura è essenziale per comprendere come sia potuto avvenire il sequestro di via
Fani ed il mancato successivo ritrovamento. Probabilmente con l’Ispettorato funzionante il corso della vicenda Moro avrebbe potuto essere
diverso. Non ci sono state ino ad ora in nessuna sede convincenti risposte sulle ragioni che portarono a quello smantellamento, sui tempi
dell’operazione, sul suo carattere improvviso, sulla mancanza di adeguate strutture sostitutive, insomma su chi lo volle e perché.
Le dichiarazioni dell’allora Ministro dell’Interno alla Commissione
Moro, sono state ambigue e reticenti ed alla domanda di fondo del perché tutto ciò avvenne Cossiga non ha saputo rispondere: «Lo scioglimento fu una conseguenza della legge − ha afermato l’ex Ministro − e
ad un certo momento si ebbe la sensazione che vi potessero essere delle
resistenze nell’attuazione della riforma, ed allora si decise di procedere
e vennero emanate le disposizioni per cui il Sid fu cambiato in Sismi, ed
a capo del nuovo organismo fu chiamato il generale Santovito (anche se
non si trattava del vecchio organismo con un nome diverso): per cui in
attesa che si costituissero gli organismi del Sisde, si passò al Servizio di
sicurezza (Sds), ino alla piena applicazione della riforma alle dipendenze del Sisde.
Per quanto riguarda l’arruolamento, richiamo l’attenzione sul fatto
che in base alla legge non vi è nessun potere di trasferire d’autorità il
personale al Sisde ed al Sismi, in quanto nessuno può comandare, in
base alla legge, a prestare servizio in questi organismi. L’arruolamen-
Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2
359
to è fatto su base volontaria: passò al Sisde chi volle farlo di quelli del
Servizio di sicurezza». In realtà, l’onorevole Cossiga non dice la verità
perché la maggior parte degli alti funzionari dell’ispettorato antiterrorismo (poi Sds) che chiese di andare al Sisde fu da questo riiutato perché
tale servizio non doveva funzionare. Tant’è vero che durante i 55 giorni
della vicenda Moro il Sisde non funzionò: aveva meno di dieci uomini
mentre gli altri erano stati dispersi. Dice ancora Cossiga: «Ricordo che al
momento dello scioglimento del Sds è sorto, per quelli che non vollero
o non chiesero di andare al Sisde, un problema. Gli uici politici, infatti,
dovevano essere la destinazione naturale di costoro, ma vi era il fatto
che c’era il capo dell’uicio politico che era più anziano, per cui (queste
sono le realtà delle pubbliche amministrazioni) alcuni di questi chiesero
di non andare agli uici politici proprio per motivi di collocazione».
P2 e «Caso Moro»: la consegna di un cadavere alla politica Italiana.
La messa fuori gioco dell’ispettorato rimane quindi un mistero: uno
dei tanti del «caso Moro». Ma è forse quello che in termini di responsabilità è il più grave perché quella operazione misteriosa fu funzionale
all’accadimento ed al suo tragico esito.
Con le conoscenze acquisite nella Commissione P2 si possono, a questo punto, avanzare delle ipotesi fondate. L’antiterrorismo di Santillo fu
fatto fuori perché, unico tra le molte sezioni dei servizi segreti italiani,
era a conoscenza dell’attività della P2 e di Licio Gelli e non recedeva da
questa pista, contrariamente a tutti gli altri servizi segreti come risulta
nella nostra inchiesta secondo cui dagli anni sessanta ino al 1981 le
indagini su Gelli erano assolutamente tabù.
L’inspiegabilità della messa fuori uso dell’antiterrorismo di Santillo,
probabile conseguenza della sua eicienza e del suo comportamento
eterodosso nei confronti della P2, si aggiunge alla inspiegabilità dell’assoluta e parallela ineicienza di tutti i corpi dello Stato. Non abbiamo
prove certe che ci sia stato un deliberato disegno per non salvare l’onorevole Moro e per restituirlo morto invece che vivo alla scena politica
italiana dopo una drammatica esperienza della quale facevano parte i
messaggi e le rilessioni contenute nelle lettere e nei documenti redatti
durante i 55 giorni.
Certo è che il comportamento di tutti quegli organismi politici, tecnici ed operativi che dovevano, ognuno secondo le proprie responsabilità, adoperarsi per il ritrovamento, è singolarmente convergente verso
360
Dalla P2 alla P4
l’obiettivo opposto a quello che istituzionalmente avrebbero dovuto
assolvere. Certo è anche che in tutti questi organismi, da quello al più
alto livello, il Comitato interministeriale per la sicurezza, a quello più
operativo, la Questura di Roma, operarono uomini della P2, forse singolarmente, forse in una qualche sorta di collegamento fra di loro, forse
ognuno con contatti con Gelli il quale, a sua volta, non era certo privo di
rapporti anche con alte sfere politiche.
Sappiamo anche che la politica dell’allarme sociale (quell’allarme,
per esempio, che faceva fare le operazioni clamorose dei posti di blocco
a puro ine spettacolare), del favoreggiamento del terrorismo, quindi
delle morti e delle stragi, ha rappresentato una linea di fondo per tutti coloro che hanno perseguito l’emergenza come presupposto di leggi
eccezionali, di sospensioni costituzionali, dello stravolgimento delle libertà e dei diritti dei cittadini. L’assassinio di Moro si inserisce in questo quadro. Non vogliamo qui riprendere la polemica sul “partito della
fermezza” ma ci interessa solo la funzionalità a questo “partito” degli
obiettivi e delle operazioni di cui i piduisti furono responsabili.
In mancanza di una verità provata circa il complotto contro Moro, in
particolare per quel che riguarda il suo mancato ritrovamento, in questa
sede dobbiamo concludere che le molte tracce della presenza P2 in tutto
il caso devono esser lette nel senso di un contributo necessario all’esito della vicenda: la consegna della morte di Moro alla politica italiana
come momento cruciale per gli assetti della Repubblica.
373
Lista degli iscritti alla P2
A
ten. col. Sergio Acciai (Firenze, in sonno, fascicolo 113)
dott. Pierluigi Accornero (Viarigi, 321)
avv. Branko Agneletto (Trieste, 291)
rag. Giacomo Agnesi (Roma, 169)
dott. Enrico Aillaud (Roma, 560)
dott. Aldo Alasia (Buenos Aires, 150)
dott. Gioacchino Albanese (Roma, 913)
dott. Rafaele Albano (La Spezia, 286)
cap. Amedeo Aldegondi (Torino, 425)
ten. col. Vito Alecci (Milano, 789)
magg. Giuseppe «Pino» Alei (Pisa, 762)
dott. Alessandro Alessandrini (Roma, 728)
amm. Achille Alfano (Livorno, capo gruppo 12, fasc. 450)
gen. Giovanni Allavena (Roma, 505)
prof. Canzio Allegriti (Torino, 94)
principe Giovanni Alliata Di Montereale
dott. Italo Aloia (Cosenza, 173)
Bruno Alpi (Ancona, in sonno, 426)
dott. Roberto Amadi (Milano, 364)
dott. Antonio Amato (Cagliari, 807)
dott. Wilfrido Ambrosini (Verona, in sonno, 112)
avv. Walter Amendola (Brasile, 615)
dott. Aristide Andreassi (Roma in sonno, 170)
avv. Loris Andreini (Montecatini, 417)
dott. Mario Andreini (Verona, 177)
on. Clement Anet Bilé (Costa d’Avorio, 765)
avv. Franco Angeli (Montevarchi, 153)
dott. Ennio Annunziata (Roma, 134)
prof. Fausto Antonini (Roma, 1)
prof. Giuliano Antonini (Roma, 2)
Renzo Antonucci (Pisa, 736)
col. Pietro Aquilino (Perugia, in sonno, 358)
374
dott. Giuseppe Arcadi (Reggio Calabria, 3)
dott. Aldo Arcuri (Benevento, 4)
dott. Romolo Arena (Roma, 848)
dott. Giacomo Argento (Roma, 384)
dott. Sergio Argilla (La Spezia, 270)
on. Gian Aldo Arnaud (Torino, 726)
dott. Carlo Arnone (Firenze, 393)
dott. Francesco Aronadio (Roma, 944)
dott. Renato Aschieri (Milano, 917)
dott. Giuseppe Attinelli (Palermo, 942)
on. dott. Angelo Atzori (Oristano, capo gruppo 2, fasc. 651)
avv. Alfredo Aubert (Torino, in sonno, 287)
col. Mario Aubert (Milano, in sonno, 427)
Alberto Aureggi (Roma, 727)
dott. Josè Avila (Brasile, 599)
rag. Vittorio Azzari (Roma, 171)
B
rag. Gilberto Bacchetti (Firenze, 834)
cap. Vasco Bacci (San Vito, 5)
dott. Enzo Badioli (Roma, 581)
dott. Francesco Baggio (Vicenza, 732)
dott. Urio Bagnoli (Roma, in sonno, 6)
gen. col. Enrico Baiano (Reggio Emilia, in sonno, 175)
Pietro Baldassini (Firenze, 394)
cap. Giorgio Balestrieri (Livorno, 907)
dott. Giorgio Ballarini (Firenze, 701)
on. Pasquale Bandiera (Roma, 114)
dott. Guido Barbaro (Torino, 851)
dott. Vito Barbera (Livorno, 182)
rag. Franco Barducci (Firenze, 702)
gen. Tommaso Barile (Roma, in sonno, 420)
dott. Giovanni Barillà (Palermo, 288)
dott. Hippolito Barreiro (Buenos Aires, 689)
geom. Giovanni Bartolozzi (Firenze, 705)
dott. Federico Barttfeld (Buenos Aires, 479)
on. Antonio Baslini (Milano, 483)
dott. Giuseppe Battista (Roma, 518)
dott. Alberto Battolla (La Spezia, 800)
avv. Salvatore Bellassai (Palermo, 289)
avv. Girolamo Bellavista (Palermo, morto, 7)
dott. Danilo Bellei (Bologna, 484)
ing. Enzo Bellei (Roma, in sonno, 178)
Dalla P2 alla P4
Lista degli iscritti alla P2
dott. Ottorino Belli (Firenze, 229)
dott. Mario Bellucci (Perugia, in sonno, 174)
on. Costantino Belluscio (Roma, 540)
prof. Nello Bemporad (Firenze, 115)
dott. Giorgio Beninato (Roma, 563)
dott. Silvio Berlusconi (Milano, 625)
dott. Domenico Bernardini (Firenze, capo gruppo 6, fasc. 699)
dott. Francesco Bernasconi (Roma, 155)
cap. fr. Carlo Bertacchi (Roma, 629)
dott. Giuseppe Bertasso (Torino, 870)
dott. Luigi Bertoni (Roma, 179)
dott. Mario Besusso (Roma, morto, 180)
dott. Luis Alberto Betti (Buenos Aires, 481)
dott. Lodovico Bevilacqua (Milano, 877)
dott. Angelo Biagini (Firenze, 700)
ing. Livio Biagini (Roma, 529)
dott. Carlo Biamonti (L’Aquila, in sonno, 378)
avv. Gian Paolo Bianchi (Firenze, 703)
dott. Giorgio Bianchi (Torino, 422)
avv. Giulio Bianchi (Pistoia, 183)
avv. Pierluigi Bianchini Mortani (Firenze, 742)
prof. Francesco Biancoiore (Roma, 365)
ing. Franco Bida (Roma, 911)
p. i. Giorgio Bida (Novara, 423)
dott. Giorgio Billi (Firenze, 548)
dott. Maurizio Bina (Cagliari, 819)
dott. Luigi Bina (Roma, 8)
amm. Gino Birindelli (Roma, 130)
dott. Luigi Bisignani (Roma, 203)
dott. Garibaldo Bisso (Livorno, 773)
gen. Luigi Bittoni (Firenze, passato ad altra loggia, 116)
col. Bartolo Blasio (Roma, 824)
cap. Alessandro Boeris Clemen (Roma, 738)
prof. Giulio Bolacchi (Cagliari, 886)
uf. Josè Bolshaw Salles (Brasile, 601)
dott. Gianni Bonaga (Torino, 376)
Vincenzo Bonamici (Pistoia, 880)
dott. Ugo Bonasi (Roma, 857)
geom. Antonio Bonetti (Cesena, 366)
Sandro Boni (Firenze, in sonno, 704)
dott. Nicolò Borghese (Roma, 546)
avv. Fabio Borzaga (Trento, passato ad altra loggia, 424)
dott. Enrique Victor Boully (Buenos Aires, 691)
dott. Osvaldo Brana (Dakar, 101)
375
376
gen. Ettore Brancato (Roma, 504)
dott. Pasquale Brandi (Bari, 9)
avv. Agneletto Branko (Trieste, passato ad altra loggia, 291)
dott. Carlos Braulio (Brasile, 600)
Maurizio Bruni (Livorno, 774)
dott. Vittorio Bruni (Firenze, 706)
dott. Ottorino Bruno (Roma, 103)
dott. Paolo Bruno (Cosenza, 181)
gen. Walter Bruno (Roma, 10)
Ivan Bruschi (Arezzo, 395)
dott. Ettore Brusco (Roma, 11)
Renzo Bruzzone (Torino, 176)
dott. Fosco Buccianti (Firenze, 638)
avv. Brunetto Bucciarelli Ducci (Arezzo, 573)
gen. Paolo Budua (Roma, 292)
avv. Glauco Bufarini Guidi (Roma, 102)
dott. Roberto Bufetti (Roma, 322)
Aldo Bugnone (Torino, 785)
dott. Antonio Buono (Forlì, 104)
rag. Giancarlo Buscarini (Roma, 850)
C
magg. Antonio Cacchione (Firenze, 197)
cap. Carlo Cadorna (Roma, 780)
Giorgio Cagnoni (Ravenna, 166)
dott. Mario Cagnoni (Ravenna, 167)
Paolo Cagnoni (Ravenna, 168)
Paolo Caiani (Montecatini, 838)
Piero Caiani (Montecatini, 676)
dott. Salvatore Cajozzo (Svezia, 586)
col. Antonio Calabrese (Bologna, 485)
dott. Silvio Caldonazzo (Roma, 293)
cap. Guido Calenda (Roma, 156)
dott. Roberto Calvi (Milano, 519)
dott. Antonio Calvino (Buenos Aires, 692)
dott. Antonio Campagni (Pisa, 665)
dott. Ennio Campironi (Milano, 888)
dott. Umberto Campisi (Catania, 12)
maestro Paolo Candigliota (Roma, 379)
dott. Antonio Cangiano (Cosenza, 367)
col. Rocco Cannizzaro (Roma, 200)
cap. Antonio Cantelli (Messina, 185)
ing. Fernando Cantini (Firenze, 836)
Dalla P2 alla P4
Lista degli iscritti alla P2
dott. Alberto Capanna (Roma, 553)
prof. Ilvo Capecchi (Pistoia, sospeso, 205)
dott. Achille Capelli (Firenze, 640)
dott. Carlo Capolozza (Roma, 294)
rag. Franco Caponi (Civitanova, 882)
rag. Attilio Capra (Milano, 188)
on. Giulio Caradonna (Roma, 909)
prof. Luigi Caratozzolo (Messina, 875)
p. i. Antonino Carbonaro (Cagliari, 13)
dott. Eugenio Carbone (Roma, 493)
magg. Alberto Carchio (Livorno, 199)
dott. Italo Cardarelli (Roma, 385)
dott. Giampaolo Cardellini (Roma, 157)
col. Rocco Carducci (Roma, 186)
prof. Cesare Carella (Viterbo, 396)
on. Egidio Carenini (Milano, 551)
ten. col. Guido Carenza (Roma, 108)
on. Vincenzo Carollo (Palermo, 295)
dott. Piero «Pier» Carpi (Reggio Emilia, 14)
dott. Vittorio Carrieri (La Spezia, 878)
dott. Giorgio Carta (Roma, 794)
Silvio Casagni (Arezzo, 397)
dott. Roberto Casarubea (Palermo, in sonno, 296)
dott. Pietro Casellato (Treviso, 15)
gen. Giuseppe Casero (Roma, 488)
Remo Casini (Firenze, 428)
prof. Alessandro Casotto (Perugia, 190)
dott. Salvatore Cassata (Marsala, 903)
dott. Carlo Castagnoli (Torino, 876)
ing. Antonio Castelgrande (Roma, 956)
avv. Francesco Catalano (Bari, 16)
dott. Giuseppe Catalano (Roma, 17)
ing. Laico Bruno Cattaneo (Buenos Aires, 790)
dott. Filippo Causarano (Roma, 195)
col. Secondo Cavalli (Firenze, in sonno, 429)
prof. Luigi Cavallini (Pisa, 861)
prof. Giorgio Cavallo (Torino, 696)
dott. Enrico Ceccarelli (Roma, 189)
Mario Ceccherini (Grosseto, 191)
ten. col. Luigi Cecchetti (Roma, 919)
dott. Mario Cecchi (Firenze, 649)
rag. Bruno Cecchi (Firenze, 721)
dott. Bruno Cecchini (Firenze, 397)
amm. Marcello Celio (Roma, 815)
377
378
Dalla P2 alla P4
dott. Massimiliano Cencelli (Roma, 897)
prof. Isidoro Centrella (Roma, 905)
col. Amedeo Centrone (Roma, 187)
dott. Alberto Cereda (Roma, 645)
on. Gianni Cerioni (Ancona, 843)
dott. Giovanni Cerquetti (Roma, 18)
cap. Umberto Cesari (Roma, 630)
geom. Eugenio Cesarini (Roma, 741)
cap. Salvatore Cesario (Udine, 670)
dott. Gabriele Cetorelli (Roma, 723)
on. Aldo Cetrullo (Pescara, passato al Grande Oriente d’Italia, 154)
dott. Francesco Cetta (Roma, in sonno, 192)
rag. Alessandro Checchini (Firenze, 835)
rag. Claudio Chiais (Roma, 265)
dott. Antonio Chiarelli (Firenze, passato ad altra loggia, 399)
dott. Brunetto Chiarelli (Firenze, 797)
dott. Giulio Chiarugi (Firenze, 400)
gen. Giuseppe Cianciulli (Bari, 164)
on. Fabrizio Cicchitto (Roma, 945)
amm. Giovanni Ciccolo (Lerici, 129)
dott. Italo Cichero (Genova, morto, 204)
dott. Bernardino Cifani (Roma, 193)
dott. Luigi Cimino (Cagliari, 822)
geom. Mario Cingolani (Ancona, 668)
Manlio Ciocca (L’ Aquila, 380)
dott. Mario Ciolini (Firenze, 221)
Mario Ciolli (Firenze, morto, 430)
dott. Vasco Cioni (Firenze, 431)
dott. Elio Cioppa (Roma, 658)
col. Enzo Cirillo (Firenze, 352)
rag. Carlo Ciui (Firenze, 419)
dott. Roberto Ciuni (Roma, 814)
Renato Civinini (Firenze, 743)
col. Enzo Climinti (Roma, in sonno, 201)
col. Ennio Cocci (Pisa, 576)
dott. Joaquin Coelho (Brasile, 605)
dott. Antonio Colasanti (Roma, 360)
dott. Enrico Colavito (Venezia, 345)
rag. Giuseppe Colosimo (Livorno, 681)
dott. Giuseppe Compagno (Palermo, 298)
magg. Marino Conca (Roma, 351)
magg. Giuseppe Consalvo (L’Aquila, 381)
dott. Alfonso Coppola (Roma, 19)
dott. Loris Corbi (Roma, 562)
Lista degli iscritti alla P2
dott. Fausto Cordiano (Brescia, 910)
col. Antonio Cornacchia (Roma, 871)
Heitor Correa De Mello (Brasile, 593)
dott. Stefano Corruccini (Pisa, 664)
dott. Vincenzo Corsaro (Roma, 416)
p. i. Carmelo Cortese (Catanzaro, 20)
cap. vasc. Carlos Alberto Corti (Buenos Aires, 641)
dott. Francesco Cosentino (Roma, 497)
prof. Aliero Costantini (Fiesole, 512)
ten. col. Alessandro Costanzo (Roma, 152)
Maurizio Costanzo (Roma, 626)
dott. Francesco Cravero (Milano, 731)
Giovanni Cravero (Fossano, 140)
dott. Giampaolo Cresci (Roma, 525)
dott. Giovanni Cresti (Siena, 521)
dott. Fabio Crivelli (Cagliari, 299)
dott. Giuseppe Renato Croce (Roma, 787)
dott. Francesco Crupi (Roma, 300)
dott. Giorgio Csepanyi (Palermo, 301)
ing. Giampiero Cungi (Brasile, 184)
dott. Lino Curiale (Ancona, 583)
dott. Antonino Cusimano (Palermo, 302)
D
cap. vasc. Sergio D’Agostino (Roma, 131)
dott. Antonio D’Ali Staiti (Trapani, 303)
gen. Romolo Dalla Chiesa (Roma, 500)
cap. Giuseppe D’Allura (Palermo, 892)
dott. Federico Umberto D’Amato (Roma, 554)
dott. Antonio D’Ancona (Palermo, 941)
on. Emo Danesi (Livorno, 752)
dott. Mario D’Angelo (Viterbo, 763)
col. Salvatore Dargenio (Roma, 209)
ing. Giovanni D’Arminio Monforte (Milano, 936)
dott. Lorenzo Davoli (Roma, 659)
avv. Sergio De Almeida Marques (Brasile, 616)
dott. Stefano De Andreis (Roma, 939)
dott. Gabriele De Angelis (Roma, 277)
dott. Gustavo De Bac (Roma, 657)
dott. Hans De Belder (Vienna, 208)
magg. Umberto De Bellis (Venezia, 304)
dott. Svandiro De Blasis (Roma, 663)
rag. Antonio De Capoa (Roma, 21)
379
380
Dalla P2 alla P4
on. Massimo De Carolis (Milano, 624)
dott. Matteo De Cillis (Roma, 22)
sen. dott. Danilo De’ Cocci (Roma, 404)
dott. Pietro De Feo (Firenze, 432)
prof. Domenico De Giorgio (Reggio Calabria, 216)
Domenico De Giudici (Arezzo, 652)
geom. Giancarlo Degl’Innocenti (Firenze, 708)
dott. Renzo De Grandis (Bologna, 433)
ten. col. Sergio Deidda (Roma, 215)
on. Filippo De Jorio (Roma, 511)
dott. Guglielmo De La Plaza (Uruguay, 589)
dott. Cesar De La Vega (Argentina, 590)
Alessandro Del Bene (Firenze, 745)
geom. Vittorio Del Bianco (Firenze, 709)
col. Mario Del Bianco (Roma, 133)
rag. Giampiero Del Gamba (Livorno, 863)
ten. col. Manlio Del Gaudio (Roma, 117)
Pierluigi Del Guerra (Firenze, 710)
dott. Giuseppe Dell’Acqua (Roma, 305)
dott. Massimo Dell’Aquila (Bari, 306)
ten. col. Bruno Della Fazia (Livorno, capo gruppo 7, fasc. 23)
dott. Giuseppe Dell’Ongaro (Roma, 739)
dott. Pietro De Longis (Genova, 768)
dott. Jorio Del Moro (Firenze, 707)
on. Ferruccio De Lorenzo (Napoli, 25)
dott. Giuseppe Del Pasqua (Arezzo, passato al Grande Oriente d’Italia, 353)
dott. Pietro Del Piano (La Spezia, 212)
dott. Michele Del Re (Roma, 661)
prof. Edoardo Del Vecchio (Roma, 143)
magg. Vittorio De Marco (Roma, 890)
avv. Fulviano De Mari (Roma, 24)
Romolo De Martino (Firenze, 744)
dott. Paolo De Michelis (Roma, 213)
dott. Vincenzo De Nardo (Roma, 307)
ing. Salvatore Dente (Roma, 214)
Sergio Denti (Firenze, 643)
dott. Bonifacio De Oliveira (Brasile, 606)
dott. Carlo De Risio (Roma, 733)
col. Antonio De Salvo (Firenze, 194)
gen. Luigi De Santis (Roma, capo gruppo 8, fasc. 359)
dott. William De Sena (Brasile, 603)
dott. Ercole De Siati (Teramo, 308)
avv. Jorge De Souza (Brasile, 612)
Denis De Stafanis Baiardo (Tirrenia, 218)
Lista degli iscritti alla P2
dott. Levy De Suoza (Brasile, 597)
dott. Osvaldo De Tullio (Roma, 309)
Vincenzo De Vito (Roma, 310)
dott. Franco Di Bella (Milano, 655)
avv. Alberto Di Caro (Bra, 98)
ten. col. Sergio Di Donato (Roma, 158)
dott. Leonardo Di Donna (Roma, 827)
ten. vasc. Bruno Di Fabio (Roma, 210)
dott. Rodolfo Di Filippo (Roma, 311)
prof. Giuseppe Di Giovanni (Palermo, 935)
rag. Sergio Di Lallo (Firenze, 211)
gen. Sebastiano Di Mauro (Milano, 207)
dott. Mario Diana (Roma, 555)
dott. Luigi Dina (Milano, passato al Grande Oriente d’Italia, 118)
dott. Vincenzo D’Isanto (Firenze, 777)
prof. Giuseppe Donato (Roma, 902)
Massimo Donelli (Napoli, 921)
avv. Pedro Dos Santos (Brasile, 611)
dott. Duilio Dottorelli (Roma, 434)
cap. Gian Carlo D’Ovidio (Roma, 569)
avv. Giovanni Druetti Di Ussel (Roma, 940)
dott. Mario Duce (Cagliari, 799)
mar. Maurizio Durigon (Arezzo, 418);
E
on. Mario Einaudi (Roma, 552)
dott. Antonio Esposito (Roma, 251)
F
rag. Claudio Fabbri (Milano, 132)
dott. Giovanni Fabbri (Roma, 816)
dott. Carlo Fabricci (Trieste, 26)
dott. Luigi Fadalti (Treviso, 938)
col. Nicola Falde (Roma, in sonno, 119)
dott. Carlo Falla Garetta (Cremona in sonno, ha restituito la tessera, 96)
dott. Giovanni Fanelli (Roma, capo gruppo 5, fasc. 219)
cap. Giovanni Fantini (Livorno, 406)
dott. Francesco Farina (Arezzo, 510)
Mario Elpidio Fattori (Milano, 755)
dott. Tito Favi (La Spezia, 435)
gen. Enrico Favuzzi (Roma, 633)
dott. Mario Alberto Fazio (Roma, 27)
381
382
ten. col. Luciano Federici (Arezzo, 568)
prof. Franco Ferracuti (Roma, 849)
dott. Ruggero Ferrara (Roma, passato ad altra loggia, 28)
Alberto Ferrarese (Firenze, 746)
dott. Alberto Ferrari (Roma, 520)
dott. Aldo Ferrari (Roma, 891)
avv. Giuseppe Ferrari (Roma, 538)
dott. Mario Ferrari (Firenze, 401)
rag. Ivo Ferretti (Livorno, 29)
dott. Antonio Ferri (Roma, 729)
ten. col. Domenico Fiamengo (Cosenza, 837)
dott. Cirino Fichera (Catania, 312)
dott. Wilson Filomeno (Brasile, 613)
dott. Gerardo Finauri (Argentina, 595)
dott. Beniamino Finocchiaro (Molfetta, morto, 522)
dott. Ennio Finocchiaro (L’Aquila, 436)
dott. Walter Fernandes Fins (608)
dott. Ovidio Fioretti (Cagliari, 873)
dott. Publio Fiori (Roma, 646)
dott. Ruggero Firrao (Roma, 498)
dott. Alessandro Flora (Bari, 30)
dott. Fabrizio Flumini (Roma, 784)
gen. Carlo Foce (La Spezia, 120)
dott. Marco Folonari (Brescia, 927)
amm. Vittorio Forgione (Roma, 31)
on. dott. Franco Foschi (Roma, 680)
prof. Arnaldo Foschini (Roma, 32)
sen. Franco Fossa (Roma, 354)
Michele Fossa (Genova, 954)
dott. Artemio Franchi (Firenze, 402)
Giorgio Franchini (Firenze, 776)
cap. Luciano Francini (Pisa, 574)
dott. Gianfranco Franco (Roma, 579)
dott. Luigi Franconi (Roma, 437)
dott. Francesco Franzoni (Torino, 438)
on. Aventino Frau (Roma, 533)
dott. Luis Fugasot (Uruguay, 596)
dott. Sebastiano Fulci (Messina, passato ad altra loggia, 313)
dott. Silvestro Furgas (Cagliari, 798)
cap. Silvio Fusari (Livorno, 788)
dott. Ugo Fuxa (Palermo, 314)
Dalla P2 alla P4
Lista degli iscritti alla P2
G
dott. Gian Piero Gabotto (Roma, 928)
gen. Eduardo Gallardo Rincon Messico, 610)
dott. Salvatore Galante (Palermo, 315)
dott. Giuseppe Gallo (Genova, 33)
col. Salvatore Gallo (Roma, 933)
gen. Vitaliano Gambarotta (Livorno, 225)
dott. Adolfo Gamberini (Ravenna, 224)
dott. Edoardo Gasser (Trieste, passato ad altra loggia, 316)
comm. Licio Gelli (Arezzo, 440)
dott. Mario Genghini (Roma, 523)
dott. Carmelo Genoese Zerbi (Stati Uniti, 159)
ten. col. Francesco Genovese (Pisa, 860)
col. Pasqualino Gentile (Roma, 357)
amm. Antonino Geraci (Roma, 809)
dott. Roberto Gervaso (Roma, 622)
dott. Antonio Josè Ghirelli Garcia (Argentina, 620)
geom. Giancarlo Ghironi (La Spezia, 879)
dott. Giuseppe Giacchi (Roma, 217)
dott. Ado Giacci (Ravenna, 35)
prof. Giacomo Giacomelli (Massa, 441)
Romano Giagnoni (Firenze, 748)
dott. Domenico Gialli (Roma, 222)
ing. Mario Giannetti (Firenze, 712)
ing. Osvaldo Giannetti (Massa, 36)
gen. Orazio Giannini (Roma, 832)
dott. Orazio Giannone (Firenze, 650)
gr. uf. Piero Giannotti (Viareggio, 403)
prof. Gennaro Giannuzzi (Livorno, 735)
dott. Renato Giaquinto (Firenze, 711)
col. Renato Giarizzo (Roma, 223)
on. Ilio Giasolli (Roma, 556)
rag. Renzo Giberti (Genova, 895)
prof. Luigi Giofrè (Roma, 883)
dott. Tommaso Giorgeschi (Firenze, 747)
avv. Rafaello Giorgetti (Arezzo, 541)
dott. Angelo Giovanelli (Roma, 317)
dott. Giovanni Giraudi (442)
dott. Vincenzo Gissi (Bergamo, 227)
gen. Rafaele Giudice (Roma, 535)
cap. Giovanni Giufrida (Reggio Emilia, 561)
dott. Ezio Giunchiglia (Tirrenia, capo gruppo 11, fasc. 639)
ten. col. Umberto Giunta (Reggio Calabria, 904)
383
384
dott. Michele Giovanni Giuratrabocchetta (Potenza, 951)
Vittorio Gnocchini (Arezzo, 698)
dott. Gherardo Gnoli (Roma, 318)
ten. col. Vittorio Godano (Bologna, 226)
dott. Giordano Goggioli (Firenze, 444)
dott. Cesare Golfari (Galbiate, 817)
prof. Egone Golimari (Trieste, passato ad altra loggia, 443)
col. Umberto Granati (Siena, 248)
dott. Osvaldo Grandi (Massa, 37)
dott. Pietro Paolo Grassi (Potenza, 319)
gen. Giulio Grassini (Roma, 515)
dott. Gianfranco Graziadei (Roma, 679)
gen. Giulio Cesare Graziani (Roma, 503)
dott. Giuseppe Graziano (Palermo, 320)
Mario Grazzini (Firenze, 445)
Mario Luigi Gregoratti (Firenze, 858)
dott. Francesco Gregorio (Roma, 803)
dott. Angelo Grieco (Novara, 446)
dott. Matteo Grillo (Livorno, 439)
cap. Ernesto Grossi (Firenze, 636)
ten. col. Santo Gucciardo (Siena, 867)
dott. Ferdinando Guccione Monroy (Pavia, 136)
dott. Giovanni Guidi (Roma, 830)
dott. Paolo Gungui (Cagliari, 859)
gen. Giuseppe Guzzardi (Roma, capo gruppo 1, fasc. 694)
H
dott. Ever Haggiag (Roma, 137)
dott. Julio Haratz (Brasile, 604)
I
col. Rubens Iannuzzi (Roma, 138)
dott. Giuseppe Impallomeni (Palermo, 920)
Francesco Imperato (Genova, 865)
dott. Waldemar Incrocci (Torino, 97)
dott. Oreste Innocenti (Milano, in sonno, 355)
dott. Antonio Ioli (Torino, 852)
dott. Francesco Ioli (Torino, capo gruppo 16, fasc. 572)
dott. Carmelo Isaia (Cagliari, 38)
dott. Luigi Ivaldi (Roma, 230)
dott. Josè Isaac Katz (Buenos Aires, 688)
Dalla P2 alla P4
Lista degli iscritti alla P2
K
dott. Guido Kessler (Verona, in sonno, 39)
gen. Giuseppe Kunderfranco (Palermo, 372)
dott. Adolfo Kunz (Firenze, 766)
L
on. dott. Silvano Labriola (Roma, 782)
cap. Antonio La Bruna (Roma, 502)
dott. Luciano Lafranco (Perugia, in sonno, 232)
dott. Ippolito La Medica (Roma, 121)
ten. col. Michele La Medica (Firenze, 447)
comm. Remo Landini (Verona, 109)
dott. Claudio Lanti (Roma, 914)
dott. Giovanni La Rocca (Perugia, 672)
dott. Raul Alberto Lastiri (Argentina, 621)
Gennaro «Gino» Latilla (Firenze, 41)
dott. Armando Lauri (Firenze, 588)
dott. Silvio Lauriti (Roma, 952)
col. Fulberto Lauro (Roma, 542)
dott. Pablo Lavagetto (Buenos Aires, 480)
cav. lav. Mario Lebole (Arezzo, 139)
dott. Antonio Leccisotti (Roma, 662)
dott. Giovanni Ledda (Nuoro, 42)
col. Federico Lenci (Buenos Aires, 558)
avv. Vito Lenoci (Bari, 231)
Luigi Lenzi (Pistoia, sospeso, 236)
avv. Leonardo Leonardi (Roma, in sonno, 373)
dott. Emilio Leonelli (Roma, 448)
dott. Vincenzo Leporati (Torino, 324)
dott. Enzo Lerario (Firenze, 405)
dott. Walter Levitus (Trieste, in sonno, 325)
cap. Matteo Lex (Firenze, 724)
dott. Antonino Li Causi (Roma, 526)
cap. Seraino Liberati (Roma, 389)
dott. Vittorio Liberatore (Ancona, 804)
on. Gaetano Liccardo (Napoli, 557)
dott. Bruno Lipari (Roma, 693)
dott. Vincenzo Lipari (Roma, 326)
gen. Vittorio Lipari (Bologna, capo gruppo 13, fasc. 449)
prof. Gianfranco Lizza (Roma, 233)
ing. Glauco Lolli Ghetti (Genova, 539)
magg. Giovanni Longo (Roma, 234)
385
386
prof. Pasquale Longo (Alberobello, 165)
on. Pietro Longo (Roma 926)
dott. Gaetano «Nino» Longobardi (Roma, 368)
dott. Luigi Loni Coppedè (Firenze, 278)
avv. Gaetano Lo Passo (Messina, 43)
dott. Antonio Lopes (Brasile, 598)
dott. Josè López Rega (Argentina, 591)
gen. Donato Lo Prete (Roma, 482)
col. Giancarlo Lorenzetti (Roma, 44)
Giancarlo Lorenzini (Roma, 855)
prof. Massimo Losappio (Siena, 697)
dott. Domenico Lo Schiavo (Australia, 247)
cap. Mario Lotta (Udine, in sonno, 377)
col. Giuseppe Lo Vecchio (Roma, 514)
avv. Rocco Lo Verde (Palermo, 328)
dott. Alvaro Luciani (Roma, 329)
ing. Luciano Luciani (Trieste, 451)
M
dott. Otello Macchioni Di Sela (Roma, 45)
dott. Giuseppe Macina (Arezzo, 868)
dott. Luigi Madia (Milano, in sonno, 46)
sottoten. vasc. Fulvio Mafera (Pisa, 725)
gen. Gian Adelio Maletti (Roma, 499)
dott. Francesco Malfatti di Montetretto (Roma, 812)
prof. Giancarlo Maltoni (Firenze, 415)
on. dott. Enrico Manca (Roma, 864)
col. Pierluigi Mancuso (Piacenza, 206)
dott. Andrè Mandi (Roma, 363)
ten. col. Roberto Manniello (Firenze, in sonno, 249)
dott. Giuseppe Mannino (Palermo, 452)
dott. Dario Manzini (Firenze, 407)
cap. fr. Vito Marano (Livorno, 369)
geom. Guglielmo Marcaccio (Roma, 160)
col. Carlo Marchi (Reggio Emilia, 241)
arch. Antonio Marchitelli (Roma, 862)
Maresco Marini (Firenze, 408)
dott. Pasquale Marino (Roma, 566)
on. Luigi Mariotti (Firenze, in sonno, 489)
dott. Renato Marnetto (Roma, 677)
dott. Giovanni Marras (Cagliari,737)
dott. Osvaldo Marras (Firenze, 453)
cap. fr. Mariano Marrone (Ancona, 840)
Dalla P2 alla P4
Lista degli iscritti alla P2
Franco Marsili (Firenze, in sonno, 753)
Mario Marsili (Arezzo, in sonno, 506)
dott. Carlo Martino (Torino, 252)
on. Anselmo Martoni (Molinella, in sonno, 123)
cap. Antonio Marturano (948)
dott. Massimo Mascolo (Roma, 781)
dott. Marco Masini (Roma, 237)
on. Renato Massari (Milano, 889)
amm. Aldo Massarini (Roma, 695)
dott. Sergio Massenti (Pisa, 253)
amm. Emilio Eduardo Massera (Buenos Aires, 478)
dott. Carlo Massimo (Firenze, 409)
prof. Paolo Matassa Marchisotto (Palermo, 943)
dott. Carlo Mauro (Roma, 565)
dott. Giacomo Mayer (Roma, 47)
dott. Giorgio Mazzanti (Roma, 826)
col. Rocco Mazzei (Milano, 386)
sen. Luigi Mazzei (Roma, 48)
col. Giuseppe Mazzotta (Livorno, 818)
dott. Giuseppe Mazzotti (Roma, 454)
dott. Roberto Memmo (Roma, 564)
ten. col. Gaetano Mendolia (Roma, 550)
dott. Gianni Mercatali (Firenze, 778)
gen. Francesco Mereu (Roma, 490)
dott. Giorgio Merli (Roma, in sonno, 49)
cap. Pietro Mertoli (Livorno, 734)
prof. Renzo Merusi (Roma, 240)
dott. Marco Messeni Petruzzelli (Roma, in sonno, 50)
dott. Antonio Messina (Cosenza, 250)
prof. Michele Messina (Firenze, 414)
rag. Elio Messuri (La Spezia, 51)
dott. Roberto Romero Meza (Genova, 686)
dott. Leo Micacchi (Roma, 330)
gen. Vito Miceli (Roma, 491)
gen. Giuliano Micheli (Padova, 653)
dott. Franco Michelini Tocci (Roma, in sonno, 331)
rag. Enrico Michelotti (Messina, 52)
col. Giuseppe Midili (Roma, 244)
arch. Aladino Minciaroni (Roma, 931)
col. Giovanni Minerva (Roma, 517)
avv. Sergio Minervini (Livorno, 513)
gen. Osvaldo Minghelli (Roma, 142)
avv. Pietro Minnini (Bari, passato al Grande Oriente d’Italia, 456)
gen. Igino Missori (Roma, 559)
387
388
Dalla P2 alla P4
geom. Roberto Misuri (Pisa, 962)
dott. Arrigo Molinari (Genova, 767)
on. prof. Ottorino Monaco (Roma, 53)
cap. Giuseppe Mongo (Firenze, 684)
on. Amleto Monsellato (Lecce, 54)
col. Giuseppe Montanaro (Brescia, 906)
ten. col. Anselmo Montefreddo (Pavia, 246)
Riziero Monti (Ravenna, 55)
dott. Flavio Montisci (Cagliari, 823)
gen. brig. aerea Otello Montorsi (Roma, 144)
ten. col. Franco Morelli (Reggio Calabria, 918)
dott. Mario Moretti (Roma, 932)
cap. Carlo Mori (Roma, 841)
dott. Gaetano Morreale (Firenze, 56)
dott. Flaviano Morri (Forlì, 674)
dott. Panilo Morroni (Venezia, 239)
dott. Paolo Mosca (Roma, 813)
dott. Francesco Mosciaro (Palermo, passato ad altra loggia, 245)
comm. Bruno Mosconi (Firenze, capo gruppo 9, fasc. 392)
dott. Giovanni Motzo (Cagliari, capo gruppo 3, fasc. 57)
cap. fr. Angelo Murru (Savona, 58)
magg. Franco Murtas (Nuoro, 930)
dott. Arrigo Musiani (Siena, 59)
gen. Fausto Musto (Bolzano, 457)
col. Pietro Musumeci (Roma, 487)
N
dott. Franco Nacci (Roma, 759)
dott. Paolo Nannarone (Cortona, 536)
on. Vito Napoli (Roma, 887)
dott. Luigi Nebiolo (Roma, 810)
arch. Mario Negri (Firenze, 713)
prof. Rosario Nicoletti (Roma, 950)
ten. col. Renato Nicoli (Firenze, 455)
dott. Edilio Nicolini (Genova, 916)
col. Domenico Niro (Torino, capo gruppo 10, fasc. 458)
dott. Giovanni Nisticò (Roma, 675)
mar. magg. Enrico Nocilli (Livorno, 923)
Alighiero Noschese (Roma, morto, 343)
Alberto Nosiglia (Livorno, 869)
col. Franco Novo (Arezzo, 459)
prof. Angelo Nunziante (Messina, 460)
Antonio Nunziati (Firenze, 885)
Lista degli iscritti alla P2
O
ten. col. Salvatore Oddo (Roma, 937)
prof. Gianluigi Oggioni (Firenze, 637)
dott. Luigi Oliva (Rapallo, 770)
Carlo Onnis (Oristano, 898)
dott. Giovanni Organo (Padova, in sonno, 332)
dott. Giampiero Orsello (Roma, 60)
avv. Umberto Ortolani (Roma, 494)
P
dott. Antonio Pacella (Livorno, 671)
dott. Gian Carlo Pagano (Torino, 202)
dott. Antonio Paladini (Roma, in sonno, 61)
dott. Giovanni Palaia (Roma, 792)
dott. Claudio Palazzo (Cagliari 821)
avv. Giampaolo Pallotta (Firenze, 258)
dott. Bruno Palmiotti (Roma, 220)
gen. Giovambattista Palumbo (Firenze 135)
ing. Pasquale Palumbo (Roma, in sonno, 62)
comm. Costantino Panarese (Torino, 461)
dott. Roberto Pandolini (Firenze, 900)
ten. col. Giancarlo Panella (Milano, 371)
dott. Andrea Panno (Genova, 802)
dott. Sergio Panzacchi (Roma, 290)
col. Marco Paola (Bologna, passato ad altra loggia, 462)
avv. Mario Paola (Firenze, 257)
dott. Enrico Paoletti (Firenze, 254)
prof. Ivan Papadia (Bari, 922)
rag. Nicolino Pappalepore (Paganica, in sonno, 382)
Angelo Paracucchi (La Spezia, 769)
dott. Maurizio Parasassi (Roma, 582)
cap. dott. Giuseppe Paratore (Arezzo, 845)
dott. Angelo Parisi (Pesaro, 806)
Pieruggero Partini (Roma, 255)
dott. Tito Pasqualigo (Torino, 874)
dott. Andrea Pasqualin (Firenze, 683)
dott. Bruno Passarelli (Roma, 141)
dott. Vito Passero (Torino, 63)
dott. Ferdinando Pastina (La Spezia, 801)
ten. col. Franco Pastore (Nuoro, 370)
cap. Giovanni Pastore (Tirrenia, 894)
dott. Salvatore Pastore (Roma, 960)
389
390
Dalla P2 alla P4
Marcello Pastorelli (Livorno, 833)
dott. Giovanni Pattumelli (Roma, 64)
Alvaro Pazzagli (Firenze, passato al Grande Oriente d’Italia, 259)
dott. Franco Peco (Milano, 110)
avv. Carmine «Mino» Pecorelli (Roma, 235)
on. Mario Pedini (Brescia, morto, 570)
dott. Vitaliano Peduzzi (Milano, 111)
dott. Davide Pellegrini (Roma, 387)
dott. Olivo Pelli (Roma, 107)
prof. Renato Pellizzer (Siena, 682)
dott. Walter Pelosi (Roma, 754)
dott. Francesco Pennacchietti (Roma, 65)
dott. Corrado Pensa (Roma, in sonno, 333)
dott. Maurizio Pepe (Torino, 263)
Claudio Perez Barruna (Costa Rica, 594)
dott. Aldo Peritore (Roma, passato al Grande Oriente d’Italia, 261)
dott. Alberto Perna (Torino, 796)
dott. Cesare Peruzzi (Firenze, 716)
dott. Carlo Pesaresi (Forlì, 172)
rag. Lamberto Petri (Ancona, 567)
cap. Gianfranco Petricca (Livorno, 627)
Antonio Petrucci (Firenze, 715)
on. Sergio Pezzati (Firenze, 528)
Claudio Pica (in arte Claudio Villa) (Roma, in sonno, 262)
on. dott. Rolando Picchioni (Torino, 808)
gen. Franco Picchiotti (Roma, capo gruppo 4, fasc. 495)
ten. col. Antonio Piccirillo (Como, 264)
mar. cav. Romano Piccolomini (Firenze, 256)
prof. Claudio Pierangeli (Siena, 463)
dott. Giuseppe Pieri (Roma, 530)
Roberto Pieri (Firenze, 756)
Giovanni Pieroni (Firenze, 714)
on. Giulio Pietrosanti (Roma, 66)
dott. Michele Pignatelli (Roma, 334)
dott. Waldimiro Pinto (Brasile, 602)
magg. Francesco Pirolo (Roma, 260)
gen. sq. aerea Luigi Pirozzi (Roma, 854)
cap. Gino Pisani (Genova, 40)
dott. Giorgio Pisano (Cagliari, 642)
dott. Sergio Piscitello (Roma, 507)
dott. Alberto Pistolesi (Firenze, 749)
dott. Giuseppe Pizzetti (Firenze, 410)
dott. Giulio Pizzoccheri (Milano, passato ad altra loggia, 242)
dott. Michele Pizzullo (Roma, 145)
Lista degli iscritti alla P2
dott. Giovan Vincenzo Placco (Roma, 947)
prof. Carlo Poglayen (Macerata, 267)
dott. fr. Giuseppe Pluchino (Ragusa, 957)
cap. Giuliano Poggi (Caracas, 464)
cap. fr. Osvaldo Poggi (Padova, passato ad altra loggia, 161)
dott. Marcello Poggini (Roma, 388)
dott. Duilio Poggiolini (Roma, 961)
col. Italo Poggiolini (Livorno, 575)
avv. Wolfango Polverelli (Roma, 162)
dott. Domenico Pone (Roma, 421)
prof. Leonello Ponti (Roma, 660)
dott. Saverio Porcari Li Destri (Cuba, 831)
cap. Fausto Porcheddu (67)
cap. Roberto Porcheddu (68)
dott. Pasquale Porpora (Milano, capo gruppo 14, fasc. 70)
dott. Michele Principe (Roma, 829)
dott. Massimo Pugliese (Roma, 266)
prof. Clemente Pullè (Messina, 955)
prof. Pietro Pulsoni (Roma, 69)
cap. Giuseppe Putignano (Firenze, 764)
Q
ten. col. Giuseppino Quartararo (Livorno, 577)
amm. Giovanni «Juan» Questa (Argentina, 617)
R
dott. Domenico Rabino (Modena, 825)
dott. Giorgio Ramella (Genova, 771)
prof. Vincenzo Randi (Ravenna, 71)
dott. Giacomo Randon (Roma, 146)
Bruno Ranieri (Roma, 465)
dott. Domenico Raspini (Ravenna, 72)
gen. Osvaldo Rastelli (Bologna, 105)
maestro Giulio Razzi (Roma, 466)
dott. Angelo Rega (Roma, 73)
cap. Aldo Renai (Firenze, 268)
avv. Lucio Riccardi (Bari, 74)
avv. Emilio Riccardi (Torino, 95)
dott. Giuseppe Ricci (Viterbo, 467)
gen. Giovanni Rifero (Torino, 486)
dott. Renato Righi (Firenze, 122)
dott. Giovanni Rizzi (Verona, 760)
391
392
Dalla P2 alla P4
dott. Angelo Rizzoli (Milano, 532)
col. Vincenzo Rizzuti (Roma, 811)
dott. Enrico Rocca (Cagliari, 884)
col. Fausto Rodinò (Ostia, 269)
Carlo Rolla (Genova, 881)
dott. Francesco Romanelli (Roma, 75)
dott. Ovidio Romanelli (Roma, 335)
ten. col. Antonio Romano (Roma, 549)
dott. William Rosati (Genova, capo gruppo 15, fasc. 673)
cap. Andrea Roselli (Potenza, 585)
gen. Roberto Roselli (Roma, 99)
prof. Edmondo Rossi (Roma, 805)
dott. Giorgio Rossi (Milano, 323)
Mario Rossi (Frosinone, 730)
dott. Bruno Rozera (Roma, passato al Grande Oriente d’Italia, 76)
ing. Mario Rubino (Palermo, 336)
dott. Carlo Rufo della Scaletta (Firenze, 717)
dott. Felice Ruggiero (Roma, 847)
dott. Domenico Russo (La Spezia, 846)
dott. Francesco Russo (Agrigento, 196)
cap. Guido Ruta (Stati Uniti, 628)
S
dott. Claudio Sabatini (Roma, 783)
ten. col. Gianfranco Sabatini (Aosta, 953)
dott. Elio Sacchetto (Roma, 634)
arch. Ambrogio Sala (Torino, 228)
magg. Mario Salacone (Roma, 163)
ing. Simonpietro Salini (Roma, in sonno, 531)
dott. Francesco Salomone (Roma, 678)
arch. Francesco Sanguinetti (Roma, 337)
Ermido Santi (Genova, 772)
geom. Ferruccio Santini (Roma, 775)
dott. Mario Santoro (Bologna, 77)
gen. Giuseppe Santovito (Roma, 527)
dott. Roberto Sarracino (L’Aquila, 383)
geom. Stefano Sassorossi (Firenze, 719)
cav. Carlo Satira (Reggio Calabria, 78)
dott. Vittorio Emanuele di Savoia (Ginevra, 516)
dott. Vittorio Sbarbaro (Roma, 934)
dott. Francesco Scalabrino (Messina, 469)
dott. Leonardo Scali (Roma, 958)
ten. col. Pasquale Scarano (Oristano, 839)
Lista degli iscritti alla P2
ten. col. Michele Schettino (Torino, 761)
dott. Darcy Schettino Rocha (Brasile, 607)
Aldo Schiassi (Bologna, 924)
avv. Giulio Schiller (Padova, 654)
ten. col. Mario Scialdone (Firenze, 147)
dott. Santo Sciarrone (Milano, 635)
gen. Salvatore Scibetta (Roma, 124)
col. Domenico Scoppio (Roma, 274)
ing. Alberto Scribani (Parigi, 198)
on. Loris Scricciolo (Chiusi, 125)
dott. Piero Scricciolo (Arezzo, passato al Grande Oriente d’Italia, 149)
prof. Albino Secchi (Firenze, 411)
dott. Gustavo Selva (Roma, 623)
dott. Mario Semprini (Roma, 544)
dott. Pasquale Setari (Padova, 106)
ing. Lucien Sicouri (Genova, 580)
dott. Elio Siggia (Roma, 656)
ten. vasc. Giuseppe Silanos (Roma, 271)
dott. Enrico Silvio (Genova, 338)
prof. Augusto Sinagra (Roma, 946)
avv. Michele Sindona (501, morto)
magg. Giovanni Sini (Livorno, 578)
dott. Rafaele Sinisi (Arezzo, 297)
gen. Giuseppe Siracusano (Roma, 496)
dott. Fiorello Sodi (Firenze, 34)
dott. Edgardo Sogno Del Vallino (Torino, 786)
Ugo Soldani (Firenze, 718)
dott. Angelo Rafaele Soldano (Roma, 272)
dott. Gerolamo Sommo (Aosta, 912)
dott. Girolamo Sorrenti (Roma, 339)
dott. Franco Sorrentino (Cagliari, 79)
ten. col. Lino Sovdat (Firenze, 471)
gen. Pietro Spaccamonti (Roma, 472)
dott. Ettore Spagliardi (Aosta, 915)
dott. Carmelo Spagnuolo (Roma, in sonno, 545)
dott. Piero Spalluto (Milano, 872)
dott. Paolo Sparagana (Losanna, 537)
dott. Aldo Spinelli (Milano, in sonno, 80)
on. Gaetano Stammati (Roma, 543)
dott. Antonio Stanzione (Forlì, 793)
ten. col. Savino Stella (Firenze, 722)
dott. Domenico Stellini (Treviso, in sonno, 81)
magg. Marcello Stellini (Roma, 273)
dott. Giorgio Sternini (Venezia, 82)
393
394
dott. Giorgio Florio Stilli (Firenze, 648)
dott. Randolph K Stone (Los Angeles, 899)
dott. Bruno Strappa (Ancona, 584)
cap. dott. Giuseppe Strati (Reggio Calabria, 959)
dott. Francesco Sturzo (Palermo, 340)
gen. Carlos Suarez Mason (Argentina, 609)
dott. Giuseppe Szall (Milano, 524)
T
Leandro Tacconi (Roma, 632)
cap. Ezio Talone (Napoli, 276)
ing. Gennaro Tampone (Firenze, 750)
dott. Vittorio Tanassi (Roma 473)
magg. Giacomo Tarsi (Roma, 151)
avv. Paolo Tartaglia (Roma, 842)
dott. Bruno Tassan Din (Milano, 534)
Giovanni Tassitano (Pisa, 925)
dott. Elijak Taylor (Liberia, 619)
dott. Alberto Teardo (Albissola, 341)
dott. Mario Tedeschi (Roma, 853)
on. Emanuele Terrana (Roma, 356)
cap. Corrado Terranova (Taranto, 83)
prof. Carlo Terzolo (Torino, 342)
gen. Guido Tesi (Firenze, in sonno, 587)
Augusto Tibaldi (Roma, sospeso, 100)
dott. Mario Tilgher (Roma, passato al Grande Oriente, 84)
dott. Alessandro Tizzani (Torino, 795)
col. Mario Tognazzi (Firenze, 412)
dott. William Tolbert (Liberia, 618)
Emanuele Tomasino (Palermo, 669)
Osvaldo Tonini (Brasile, 614)
amm. Giovanni Torrisi (Roma, 631)
cap. Menotti Tortora (Firenze, 275)
Silvano Tosi (Arezzo, 477)
Massimo Tosti (Roma, 929)
dott. Gaetano Trapani (Milano, 779)
ten. col. Mario Traversa (Brindisi, 758)
dott. Roberto Trebbi (Tirrenia, 685)
prof. Fabrizio Trecca Trifone (Roma, capo gruppo 17, fasc. 327)
comm. Lorenzo Tricerri (Torino, in sonno, 85)
cav. Aurelio Tripepi (Reggio Calabria, 474)
col. Giuseppe Trisolini (Roma, 547)
avv. Francesco Troccoli (Bari, 86)
dott. Francesco Trois (Cagliari, 820)
Dalla P2 alla P4
Lista degli iscritti alla P2
ten. col. Domenico Tuminello (Perugia, 148)
gen. Mauro Turini (Roma, 740)
dott. Vincenzo Tusa (Palermo, 344)
U
comandante Paolo Uberti (Roma, 280)
dott. Asdrubale Ugolini (Firenze, 413)
geom. Mauro Ugolini (Firenze, 720)
ten. col. Giacomo Ungania (Roma, 901)
prof. Antonio Urbano (Catania, 279)
ten. col. Ottavio Urciuolo (Firenze, 126)
V
dott. Salvatore Vagnoni (Roma, 468)
avv. Mario Valenti (Arezzo, 644)
dott. Roberto Valenza (Roma, 757)
dott. Vincenzo Valenza (Roma, 243)
gen. Enzo Vallati (Roma, 508)
dott. Cesare Valobra (Milano, in sonno, 87)
dott. Giancarlo Elia Valori (Roma, espulso, 283)
prof. Walter Vannelli (Roma, 88)
prof. Cesare Vannocci (Livorno, 89)
dott. Giuseppe Varchi (Trapani, 908)
gen. Dante Venturi (Palermo, 346)
dott. Aldo Vestri (Genova, 90)
dott. Giovanni Viarengo (Torino, 91)
cap. Massimo Vicard (Roma, 866)
col. Mario Pompeo Vicini (Roma, 127)
col. Antonio Viezzer (Roma, 509)
dott. Alberto Vignes (Argentina, 592)
dott. Luigi Nello Villa (Torino, 374)
dott. Vincenzo Villata (Roma, 391)
dott. Maria Josè Villone (Buenos Aires, 690)
avv. Enrico Vinci (Roma, 282)
dott. Francesco Viola (Torino, 375)
magg. Enrico Violante (Livorno, 284)
dott. Ferdinando Visciani (Firenze, 281)
dott. Annibale Viscomi (Montecatini, 647)
Roberto Visconti (Firenze, 751)
dott. Angelo Visocchi (Roma, 791)
dott. Gaetano Vita (Roma, 390)
dott. Fabio Vitali (Torino, in sonno, 347)
395
396
Dalla P2 alla P4
dott. Vincenzo Vitali (Siena, 348)
avv. Mario Vitellio (Roma, 666)
gen. Ambrogio Viviani (Novara, 828)
avv. Carlo Voccia (Roma, 667)
avv. Gaetano Vullo (Milano, 856)
W
dott. Fernandes Wilson De Valle (Buenos Aires, 687)
Z
dott. Mario Zaccagnini (Roma, 92)
cap. Maurizio Zaino (La Spezia, 285)
dott. Leonida Zanaria (Milano, 896)
dott. Mario Zanella (Roma, 476)
dott. Lelio Zappalà (Roma, 475)
ing. Lucio Zappulla (Palermo, 349)
dott. Aldo Zecca (Roma, 350)
dott. Sergio Zerbini (Modena, 93)
dott. Giorgio Zicari (Roma, 844)
dott. Alfredo Zipari (Roma, 470)
prof. Amonasro Zocchi (Roma, 571)
Elie Zocheib (Modena, 893)
on. Michele Zuccalà (Roma, 492)
comm. Antonio Zucchi (Arezzo, 128)
dott. Paolo Zucchini (Roma, 362)
Le liste dei nomi sono riportate nella Relazione Anselmi (relazione inale
della commissione parlamentare d’inchiesta), nel libro primo, tomo primo, a
pagine 803-874 e 885-942, e nel libro primo, tomo secondo, a pagine 213 e
seguenti e 1126 e seguenti. Questa relazione fu presentata il 12 luglio 1984
dalla deputata democristiana Tina Anselmi, come conclusione dei lavori della
Commissione parlamentare d’Inchiesta sulla loggia massonica P2 istituita con
la Legge 23 settembre 1981, n. 527.
Note alla lista
La sentenza del Tribunale di Roma, Sezione I civile, n. 20537/01 ha escluso
l’appartenenza dell’on. Publio Fiori alla P2.
La Sentenza del Tar del Lazio, sez. I, del 15 marzo 1988, n. 353 ha afermato
testualmente «…non è dato rinvenire, nella pur copiosa realtà documentale, il
benché minimo elemento dal quale possa trarsi, sia pure con suiciente approssimazione, l’appartenenza alla Loggia P2 del Ten. Col. Giancarlo Panella…».
Lista degli iscritti alla P2
397
Una sentenza del 1985 del giudice romano Filippo Verde stabilisce che Enrico Manca è estraneo alla P2.
Gustavo Selva è stato dichiarato, in sede giudiziaria e amministrativa, completamente estraneo alla P2.
Si ringraziano per la collaborazione Eva Alieri, Eva Massari e Marina Burgatti.
Marco Marsili, giornalista, insegna presso l’Università degli Studi dell’Insubria
a Varese. È coordinatore scientifico e didattico del Master in Comunicazione e
giornalismo multimediale, docente di Copyright and other Legal Issues presso
il Sae International Technological Institute. Fondatore e direttore de «La Voce
d’Italia» (voceditalia.it), il primo quotidiano indipendente online, è accreditato
presso il ministero della Difesa in qualità di inviato in zone di guerra, ed è
osservatore elettorale Osce e Ue (è stato in Afghanistan, Kazakhstan e Armenia).
Ha pubblicato La rivoluzione dell’informazione digitale in Rete (Bologna, 2009),
Onorevole bunga-bunga. Berlusconi, Ruby e le notti a luci rosse di Arcore
(BePress, Lecce 2011), Mu’ammar Gheddafi: le mie verità (Termidoro, Milano
2011) e Libertà di pensiero (Mimesis, Milano 2011). www.marcomarsili.it
“L’attenzione pubblica è giustamente lodata come rimedio ai mali sociali
e industriali. La luce del sole è considerata come il migliore dei disinfettanti;
la luce elettrica il miglior poliziotto”.
Louis Brandeis, Other People’s Money - and How the Bankers Use It, 1914
TERMIDORO EDIZIONI
Distribuzione PDE
00,00 euro
ISBN 978-88-5750-xxx-x