23. međunarodni kolokvij MIC-a za kasnu antiku i srednji vijek
23rd International IRCLAMA Colloquium
i / and / et
XXVIIIe RÉUNION de l’Association pour l’Antiquité Tardive
28 May – 4 June 2016
International Research Center for Late Antiquity and the Middle Ages
University of Zagreb
© IRCLAMA, 2016
Publisher
University of Zagreb, International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages,
Zagreb - Motovun
Graphic design
Boris Bui
Printing
Stega-tisak, Zagreb
Number of copies
500
Cover photo
St Donatus, Zadar, interior
The program booklet has been created within the Project Croatian medieval heritage in European
context: mobility of artists and transfer of forms, functions and ideas CROMART, inanced by
the Croatian Science Foundation, and with a contribution of the Croatian Ministry of Science,
education and sports.
Programska knjižica izrađena je u okviru projekta Hrvatska srednjovjekovna baština u europskom kontekstu: mobilnost umjetnika i prijenos oblika, funkcija i ideja CROMART, inancirana od
Hrvatske zaklade za znanost te uz potporu Ministarstva znanosti, obrazovanja i sporta Republike
Hrvatske.
Program i sažetci predavanja
Program and Papers Abstracts
Međunarodni istraživački centar za kasnu antiku i srednji vijek /
International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages
Sveučilište u Zadru, Odjel za povijest umjetnosti /
University of Zadar, Department of History of Art
Z
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International Research Center for Late Antiquity and the Middle Ages, University of Zagreb
sa / with / avec
The Univeristy of Zadar, Department of History of Art
organizira / is organizing / organise
23. MEÐUNARODNI KOLOKVIJ MIC-A ZA KASNU ANTIKU I SREDNJI VIJEK
23RD INTERNATIONAL IRCLAMA COLLOQUIUM
U suradnji s / In collaboration with
Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Scienze della Formazione
Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
Centro Studi Longobardi
i / and / et
XXVIIIe RÉUNION de l’Association pour l’Antiquité Tardive
28 May – 4 June 2016
The colloquium is organized and partly inanced by the Project Croatian medieval heritage in
European context: mobility of artists and transfer of forms, functions and ideas CROMART,
inanced by the Croatian Science Foundation, and with a contribution of the Croatian Ministry of
Science, education and sports. / Kolokvij je organiziran i dijelom inanciran iz projekta Hrvatska
srednjovjekovna baština u europskom kontekstu: mobilnost umjetnika i prijenos oblika, funkcija i ideja CROMART, a inanciran je od Hrvatske zaklade za znanost te uz potporu Ministarstva
znanosti, obrazovanja i sporta Republike Hrvatske.
La réunion de l’Association pour l’Antiquité Tardive est organisée avec un support inancier
de l’Association / Sastanak Association pour l’Antiquité Tardive organiziran je uz inancijsku
potporu asocijacije.
The 23rd colloquium has been supported by the Università catolica del Sacro Cuore (Milano),
Centro Studi Longobardi / 23. kolokvij je podržan od strane Università catolica del Sacro Cuore
iz Milana i Centro Studi Longobardi.
XXVIIIe RÉUNION de l’Association pour l’Antiquité Tardive
Organizacijski i znanstveni odbor | organizing and scientiic committee
François BARATTE
Nikola JAKŠIĆ
Ivan JOSIPOVIĆ
Miljenko JURKOVIĆ
Thierry RECHNIEWSKI
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
SUBOTA, 28. SVIBNJA / SATURDAY, MAY 28 / SAMEDI, 28 MAI
dolazak sudionika / arrival of the participants / arrivée des participants
- registracija / registration / enregistrement
NEDJELJA, 29. SVIBNJA / SUNDAY, MAY 29 / DIMANCHE, 29 MAI
8.00 – bus: terenski obilazak / visit to / visite de Nin, Pridraga, prezentacija spomenika / presentation of sites and monuments / présentation des sites et monuments - Nikola Jakšić
(Uni. Zadar), Pascale Chevalier (Uni. Clermont-Ferrand), Ivan Josipović (Uni. Zadar),
Miljenko Jurković (Uni. Zagreb), Mate Radović (Museum Nin), Majda Predovan
(Museum Nin)
13.30 – ručak za sudionike / lunch for the participants / déjeuner pour les participants
16.00 – Aula 1 (hotel Kolovare)
First session: séance scientiique – Actualités archéologiques dans la région / Prva
sesija – Arheološke novosti u regiji
Chair: Pascale Chevalier
Nikola Jakšić (Uni. Zadar), La primitiva cattedrale di Zara
Josipa Baraka (Uni. Zadar), I siti archeologici della tarda età imperiale sul territorio di Zadar:
rilessioni, novità e prospettive
Ante Uglešić (uni. zadar), Podvršje – Glavčine: risultati delle indagini archeologiche più recenti
Meri Zornija (Uni. Zadar), Early Christian Church of st. Mary on the Island of Kornat
Ana Mišković (Uni. Zadar), Il pozzo della cattedrale di Zara
Sébastien Bully (CNRs-UMR ArteHis 6298, dijon-Auxerre), Morana Čaušević-Bully (Uni.
Besançon), Actualité de la recherche sur les sites paléochrétiens de l’archipel du Kvarner
Gian Pietro Brogiolo (Uni. Padova), Alexandra Chavarria (Uni. Padova), Miljenko Jurković
(Uni. Zagreb), Nouvelles recherches sur l’ile de Rab
19.00 – Assemblée générale de l’association
ABSTRACTS – SAŽETCI - RÉSUMÉS
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
Nikola Jakšić
University of Zadar
LA PRIMITIVA CATTEDRALE DI ZARA
Complesso vescovile di Zara è collocato accanto al foro della colonia romana Jader. Dotata
d’un battistero esagonale e di un cattacumeneo, la cattedrale, construita durante il V secolo,
chiudeva la parte settentrionale del foro. Gli eventi bellici della seconda guerra mondiale
cambiarono radicalmente l’aspetto di questa parte della città, e il battistero - l’unico ediicio
paleochristiano visibile - è stato centrato in pieno da una bomba aerea, e completamente demolito. Gli scavi condotti al posto del battistero destruto e della vicina sacrestia hanno portato
in luce le strutture romane che le hanno preceduto. Si è concluso che il battistero e la sacrestia
furono eretti entro lo spazio delle sei taverne del foro romano. La primitiva cattedrale, che
nella seconda parte del IV secolo occupò lo spazio delle tre taberne romane, oggi si ricognosce
sotto il pavimento della sacrestia attuale e nel corrispondente muro settentrionale conservatosi
all’altezza di 4 metri.
Josipa Baraka
University of Zadar
I SITI ARCHEOLOGICI DELLA TARDA ETÀ IMPERIALE SUL TERRITORIO DI
ZADAR: RIFLESSIONI, NOVITÀ E PROSPETTIVE
In questo contributo intitolato I siti archeologici della tarda età imperiale sul territorio di
zadar: rilessioni, novità e prospettive sarà presentata la documentazione archeologica del
territorio di Zadar (colonia Iader) al momento nota.
Il territorio esaminato è compreso tra i iumi Zrmanja (tedanius) e Krka (titius) e le isole da
Pag a Murter, cioè l’area gravitante verso l’antica colonia Iader. Questa zona, dal punto di vista
archeologico, si dimostra assai peculiare sia per le varietà tipologiche dei siti archeologici che
per lo studio di essi: risulta al contempo sia ricca di testimonianze e ben studiata, sia in larghi
tratti lacunosa e poco indagata. Questa contraddizione nell’ambito della ricerca è dovuta al
fatto che la documentazione archeologica relativa alla tarda età imperiale era generalmente
orientata, ino a tempi relativamente recenti, solo verso lo studio delle singole chiese, estrapolate di solito dal contesto generale, come prassi scientiica accettata e comune per tutte le aree
della provincia e dell’Impero.
In questa sede, partendo dalle informazioni fornite da diverse opere pubblicate (rilessioni), implementate con alcune interessanti scoperte archeologiche ancora sconosciute alla
comunità scientiica (novità), si cercherà di ofrire un inquadramento generale degli studi e
dei siti del periodo tardoantico, con una speciale attenzione ai casi ritenuti più rappresentativi.
In particolare l’attenzione sarà focalizzata su tipologie di siti che permettono di andare oltre il
mero esame delle singole chiese, compito arduo ma imprescindibile, che ha avuto però come
risultato la redazione di una nuova carta di distribuzione per le località tardoantiche, di tale
impatto da poter introdurre addirittura nuove prospettive nello studio di questa categoria di
aree archeologiche.
XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
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Ante Uglešić
University of Zadar
PODVRŠJE – GLAVČINE: RISULTATI DELLE INDAGINI ARCHEOLOGICHE PIÙ
RECENTI
Sul sito Podvršje – Glavčine, che si trova 16 km a nord della città di Zadar, nel 1997 sono state
scoperte casualmente le chiese doppie paleocristiane. Gli scavi sono stati organizzati da parte
di Dipartimento di Archeologia dell’Università di Zadar in diverse campagne archeologiche dal
2002 e sono ancora in corso. Il sito è ubicato presso l’antico percorso della strada ricordata nei
documenti medievali come Via Magna che fu comunicazione principale dell’antica Croazia e
la quale riprendeva il percorso della via romana che collegava municipi nedinum – Corinium
– aenona. Le tracce dei frammenti architettonici rinvenuti nei campi adiacenti indicano che
nelle vicinanze dovrebbe essere cercato un insediamento tardoantico.
Il caso di chiese doppie di Podvršje rappresenta un complesso archeologico composto dalle
chiese, battistero, un annesso presso la chiesa meridionale, piccolo cimitero intorno e due costruzioni anteriori alle chiese. Finora sono evidenziate più fasi costruttive. In un primo momento
venne costruito un ediicio minore, probabilmente una memoria, ediicata anche essa sopra
una struttura circolare di cui funzione inora non è ancora possibile individuare con certezza.
Tuttavia, risulta abbastanza indicativa un’iscrizione di prima età imperiale, riutilizzata in una
tomba tardoantica, su cui è menzionata la presenza di un tempio dedicato alle divinità siriache.
Poi è costruita la chiesa meridionale ed il battistero con la vasca battesimale cruciforme. In una
delle fasi successive venne aggiunta la chiesa settentrionale, più grande. In questa fase anche
il battistero venne allargato e al posto della vasca battesimale cruciforme venne applicata una
nuova ottagonale, mentre i presbiteri di tutte e due le chiese vengono separati dalle recinzioni
in forma della lettera “L” di cui basamenti sono abbastanza bene conservati. Le tombe rappresentano una varietà della tipologia: semplici fosse, tombe “alla cappuccina”, sepolture in sarcofagi ed altro. Particolarmente interessante si presenta la tomba rinvenuta presso il battistero
nella quale è stata riutilizzata la menzionata iscrizione che ricorda la ricostruzione del tempio
romano dedicato a dei siriani. In alcune tombe è stato rinvenuto anche il corredo funerario:
una ibbia del cosiddetto tipo mediterraneo, gli orecchini aurei, la ibbia alla forma di croce.
Meri Zornija
University of Zadar
EARLY CHRISTIAN CHURCH OF ST MARY ON THE ISLAND OF KORNAT
The complex of the church and the tower called Tureta, located in the Tarac bay in the
central part of the island of Kornat, represents one of the most remarkable sites of our Late
Antique heritage. The church itself is nestled in a bay with a little harbor at the foot of the early
Byzantine tower that dominates the typical landscape of Kornati for 1500 years. Until recently,
it was known only for its highly preserved apse in the back of today’s late Medieval church,
bearing witness to a remarkable skill of Dalmatian Late Antique builders. The entire site had
its irst systematic archaeological excavations during the last decade that have not yet been
inalized, but today it is possible to bring out at least some preliminary conclusions and display
its historical development as well as its signiicance among the island sites. Church complex,
most likely developed on the remains of an ancient villa rustica, consisted of single-nave church
and lateral chambers arranged in two rows. One of them was equipped with a piscina in the
shape of a Greek cross, and the other probably served as a funerary chapel or memoria in one
phase. Discovery of the baptistery in 2006 caused quite a surprise, considering the then interpretation of the church only as a station on the maritime route and a companion of the early
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
Byzantine tower above it. However, today’s understanding of the church allows the identiication of four successive phases of construction and its gradual expansion. This presentation
brings the contemporary interpretation of the entire church complex and the arguments for
the complexity of its spatial development, which is explained by the presence of the supposed
nearby settlement protected by the tower, in the vicinity of the fertile ield with the source of
water. Special attention is paid to the remains of the altar screen traces preserved in the irst
layer of the plastered looring in the sanctuary of the early Christian church. The arguments are
presented according to which these are the only archaeologically conirmed traces of wooden
liturgical instalations in the province of Dalmatia.
Ana Mišković
University of Zadar
IL POZZO DELLA CATTEDRALE DI ZARA
Nella navata destra della cattedrale di Zara, vicino al presbiterio, si trova un pozzo di pianta
circolare. Il pozzo non è visibile sull’odierno livello della chiesa, il cui pavimento risale al XVIII.
e XIX. sec., ma una parte del suo corpo si vede nella cripta dove è incorporato nel muro sud. Il
pozzo è più profondo del livello della cripta, anzi è più alto di stessa perché si apre nella navata
destra della basilica. Il pozzo era in funzione igienica, specialmente per pulire le suppellettili
sacre. Tuttavia, questo pozzo posto al centro della chiesa, forse, potrebbe indicare un’altra
funzione, questa liturgica, legata al culto del Sacro pozzo.
Tra gli esempi dei santuari con il pozzo situato dentro la basilica o presso la basilica, particolarmente indicativi sono quelli provenienti da Costantinopoli.
La basilica di Santa Soia sull’angolo sud-ovest, durante l’Alto Medioevo, ricevette una
cappella dedicata a Sacro pozzo. Si tratta dello spazio dentro il quale si trovava una reliquia in
forma di pietra sulla quale era presentato Gesù quando parlava con la Samaritana sul Pozzo
della Vita. Dentro la cappella c’era anche un pozzo vero. Un’altra chiesa di Costantinopoli, la
basilica di Santa Maria in Chalkoprateia, aveva un pozzo al centro della navata destra. Dalle fonti
letterarie è noto che si tratta del pozzo risalente al periodo precedente al IX. sec. Dallo periodo
tardo antico proviene il Sacro pozzo del’Hagiasma della basilica di Santa Maria di Blacherne,
pozzo dentro il quale si svolgeva un speciico rito di puriicazione.
Allora, possiamo chiederci: Si possa, dunque, il pozzo della cattedrale di Santa Anastasia,
collegare con i siti analoghi di Costantinopoli ed in tal punto anche proporre un legame al culto
del Sacro pozzo?; e per quanto riguarda la datazione sia possibile o no proporre la costruzione
del pozzo nei primi secoli della chiesa di Zara?
Sébastien Bully
CNRS-UMR ArTeHis 6298, Dijon-Auxerre
Morana Čaušević-Bully
Université de Bourgogne-Franche-Comté/UMR Chrono-environnement 7249
ACTUALITÉ DE LA RECHERCHE ARCHÉOLOGIQUE SUR LES SITES RELIGIEUX DE
L’ANTIQUITÉ TARDIVE DANS LE KVARNER
Situé entre la péninsule istrienne et la Dalmatie du nord (Zadar), l’archipel du Kvarner
regroupe les îles de Krk, Cres, Rab, Lošinj, Pag (en partie) et une multitude d’îlots. Ces îles
accueillent des monuments importants, dont certains sont bien connus de la communauté
XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
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scientiique depuis plusieurs décennies, comme le complexe paléochrétien de Mirine (commune
d’Omišalj, île de Krk), le groupe épiscopal d’Osor (île de Cres) ou celui de Krk. Mais depuis la
dernière rencontre de l’Association pour l’Antiquité tardive à Poreč en 2002, plusieurs chercheurs et équipes ont engagé de nouvelles recherches archéologiques sur le riche patrimoine de
l’Antiquité tardive et du haut Moyen Âge de la région. Ces recherches ont permis de révéler des
monuments religieux inédits, ou d’engager la révision d’autres, souvent seulement répertoriés,
notamment dans le cadre d’un programme de prospection-inventaire des « sites ecclésiaux ».
Cette communication propose donc de présenter un état du paysage monumental paléochrétien
du Kvarner à travers une approche architecturale des édiices, mais également des contextes
dans lesquels ils prirent place.
Gian Pietro Brogiolo
Università degli Studi di Padova
Alexandra Chavarria
Università degli Studi di Padova
Miljenko Jurković
University of Zagreb
NOUVELLES RECHERCHES SUR L’ILE DE RAB
Per documentare e valorizzare il patrimonio storico di Rab, da dieci anni le Università di
Zagabria e Padova, cui si sono aggiunte, per alcuni speciici progetti, quelle di Lille, Parigi e
Clermond Ferrand, hanno dapprima condotto scavi nella grandiosa villa romana di Kastelina,
una delle più grandi della costa dalmata. Sono poi passate a studiare, sulla base di nuovi rilievi,
il castello bizantino di San Damiano. Hanno altresì indagato sistematicamente i paesaggi storici
dell’isola e schedato le epigrai, le sculture e le architetture medievali. Nel 2014-2015 l’attenzione
si è inine focalizzata sulle mura della città, nelle quali sono riutilizzati interi sarcofagi romani
e su un sito della costa, noto come San Lorenzo di Banjol.
A ridosso delle mura, lo scavo ha documentato una sequenza di storia urbana che si sviluppa
tra attività metallurgiche (fosse di fusione e forge), un’edilizia altomedievale con muri a secco
e una ripresa di quella di qualità nel XII-XIII secolo.
A San Lorenzo di Banjol, dove la presenza di una chiesa era suggerita dal toponimo e da
alcuni elementi di arredo liturgico di VI secolo, è emersa una sequenza che comprende una
prima chiesa grande di tipo aquileiese a pianta rettangolare con sinthronos e una successiva
ricostruzione, in una data sinora imprecisata, di una chiesa più piccola provvista di abside
semicircolare. Sono stati ritrovati anche una capitello fogliato ed alcuni elementi di corredo di
sepolture databili nel VI-VII secolo.
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
PONEDJELJAK, 30. SVIBNJA / MONDAY, MAY 30 / LUNDI, 30 MAI
9.00 – Aula 2 (Sveučilište u Zadru, Svečana dvorana / University of Zadar, Great Hall /
Université de Zadar, Grande salle)
second session: séance scientiique – Transfers of forms, functions, materials, works
of art in the 6th century / druga sesija – Prijenosi oblika, funkcija, materijala i
umjetničkih djela u 6. stoljeću
Chair: Nikola Jakšić
Marta Fernandez Lahosa, Carles Mancho, Carles Buenacasa Perez (Uni. Barcelona), Un
ejemplo de apropiación semántica de la iconogràica imperial en el siglo vi: el tema de la
Ascensión de Cristo en Oriente
Alexandra Chavarria Arnau (Uni. Padova), Archaeological evidence for religious competition
in sixth century Iberian Peninsula
Marcello Rotili (Uni. Napoli), Forme e funzioni dello spazio urbano in Campania nella tarda
antichità
Simona Pastor (Uni. Paris Ouest), Les voies de la création et de la transmission des formes
dans le décor architectural du VIe siècle : le témoignage de tropaeum traiani
11.00 – 11.15 pauza / cofee break
Richard Schneider (Uni. toronto), Ambiguous transfer of forms as the generator of meaning
in the Justinian panel of san Vitale
Thomas Schweigert (Uni. Wisconsin), the iconography of the apse mosaics of saint Maurus
Cathedral in Poreč
12.15 – Prezentacija / presentation of / présentation de
Dissertationes et monographiae 7 - Scripta in honorem Igor Fisković
13.30 – ručak za sudionike simpozija i autore u zborniku / ofered lunch for all participants /
déjeuner ofert aux participants
16.00 – 19.00 zadar i njegovi spomenici – prezentacija kasnoantičkih i srednjovjekovnih spomenika / Zadar and its monuments - presentation of late antique and medieval monuments
/ zadar et ses monuments – présentation des monuments de l’antiquité tardive et du
moyen age (Nikola Jakšić, Pascale Chevalier, Ivan Josipović, Miljenko Jurković,…)
ABSTRACTS – SAŽETCI - RÉSUMÉS
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
Marta Fernández Lahosa
Carles Mancho
Carles Buenacasa Pérez
Universitat de Barcelona
UN EJEMPLO DE APROPIACIÓN SEMÁNTICA DE LA ICONOGRÀFICA IMPERIAL EN
EL SIGLO VI: EL TEMA DE LA ASCENSIÓN DE CRISTO EN ORIENTE
La iconografía de la Ascensión de Cristo, es un tema recurrente en numerosos soportes,
monumentales o no, del mundo tardoantiguo. Esta imagen del triunfo del Dios-Hombre sobre
la muerte se forja en los siglos IV y V, sin duda, a imitación del concepto paralelo de apoteosis
imperial. En el siglo VI, sin embargo apenas está presente ya en las decoraciones occidentales;
en Oriente, en cambio, mantiene una gran vigencia siendo en este contexto donde asume las
características formales que deinirán el modelo iconográico en los siglos subsiguientes.
Curiosamente, y a pesar de su importancia para consolidar la substitución conceptual del
Emperador por Cristo, el tema sólo ha sido analizado de forma tangencial por algunos autores,
entre los que destaca André Grabar, Gertrude Schiller, Ernes Kitzinger o Yves Christe entre otros.
El catálogo de obras orientales del siglo VI es de sobras conocido: la serie de ampullae de origen
palestino que se encuentran en las colecciones de los monasterios de Monza y Bobbio; los frescos
que decoran las capillas de Bawit (en Egipto); el icono, de procedencia palestina, conservado
en el Monasterio de Santa Catalina en el Sinaí; el evangeliario de Rabula, de procedencia siria
y conservado en la Biblioteca Laurenziana de Florencia; el conocido como “relicario del sancta
sanctorum Lateranensis” de los Museos Vaticanos; o el relieve de la columna de San Marcos en
el baldaquino de la catedral de Venecia.
El objetivo de esta comunicación no es, pues, sacar a la luz nuevas pieza, sino, por un lado,
poner de relieve los precedentes que dan lugar a este tipo iconográico en el siglo VI y justiicar
los motivos por los que el tema de la Ascensión llega a su madurez en dicho siglo en Oriente
mientras que en Occidente el tema parece decaer. Por el otro, destacar el contexto y las fuentes
ideológicas que explican tanto la tardía aparición del tema a inales del siglo IV, cómo su importancia en las luchas para la deinición de una ortodoxia impulsada pero no siempre controlada
desde la corte imperial.
Alexandra Chavarria Arnau
Università degli Studi di Padova
ARCHAEOLOGICAL EVIDENCE FOR RELIGIOUS COMPETITION IN SIXTH
CENTURY IBERIAN PENINSULA
Consistent archaeological evidence for urban and rural churches emerges in the Iberian
Peninsula by the middle of the sixth century. During this century ecclesiastical buildings in
many cities developed (Barcelona,Valencia or Mertola for example) and a large number of rural
churches seem to be endowed with monumental baptismal arrangements. During the last years
scholars have centered on the physic characteristics of this buildings and the identiication of
Mediterranean inluences which can be seen in the uses of particular constructive techniques
and plans.
In my paper i want to explore not only some problems related to the technique, forms and
functions of the churches in Hispania during the 6th century but also to analyse the data in
connection to the visigotic settlement, but in particularly interprete it as an evidence of the
tensions and competition, documented by the written sources by the middle of the sixth century between arian and catholic communites, a subject that has been little explored and that
deserves further investigation.
XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
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Marcello Rotili
Seconda Università degli Studi di Napoli
FORME E FUNZIONI DELLO SPAZIO URBANO IN CAMPANIA NELLA TARDA
ANTICHITÀ
Le recenti ricerche archeologiche condotte nei centri urbani campani hanno approfondito in
modo considerevole il tema delle trasformazioni delle forme e delle funzioni delle città antiche,
precisando e talvolta rinnovando profondamente alcuni modelli interpretativi.
La crisi dell’impero nel III secolo, la temporanea rinascita costantinina, l’età delle migrazioni,
la guerra greco-gotica, inine l’insediamento dei Longobardi furono tra i motivi che in un arco
di tempo di poco inferiore a quattro secoli provocarono radicali cambiamenti del paesaggio
urbano, che venne nuovamente caratterizzato da strutture di difesa (Benevento, Napoli); si registrarono altresì restringimenti dello spazio antico (Benevento) e l’occupazione di aree diverse
rispetto all’habitat antico di età classica (Avellino-Abellinum). Nel profondo rinnovamento del
tessuto urbano, un ruolo preponderante fu svolto dalla progressiva articolazione dello spazio
cristiano: i nuovi ediici di culto ebbero spesso una nuova funzione aggregante, come nel caso
di Capua ove i brandelli dell’insediamento tardoantico ruotarono proprio intorno ai neonati
ediici di culto.
Le complesse trasformazioni delle città antiche in Campania non sembrano riconducibili
ad un unico modello interpretativo, ma dipesero da esigenze e scelte locali.
Simona Pastor
Université Paris Ouest-Nanterre la Défense
LES VOIES DE LA CRÉATION ET DE LA TRANSMISSION DES FORMES DANS LE
DÉCOR ARCHITECTURAL DU VIE SIÈCLE: LE TÉMOIGNAGE DE TROPAEUM
TRAIANI
Un important lot de marbres, en quantité et en qualité, avait été trouvé dans les édiices
chrétiens de Tropaeum Traiani à la in du XIXe s., en particulier dans la basilique de marbre/B.
Très dispersé et en partie perdu, il n’a pourtant jamais fait l’objet d’une étude approfondie à la
mesure de sa valeur documentaire et historique. A la lueur des nouveaux objets sculptés recueillis
dans les fouilles récentes et des corpus régionaux, il est possible de reconsidérer cet ensemble.
Celui-ci livre, au-delà de son caractère homogène et singulier, un cas d’étude exceptionnel
pour aborder les problématiques du colloque. On peut suivre le processus complexe de la circulation des marbres et de la transmission des modèles décoratifs dans ce site sis à l’intérieur
des terres, à travers la panoplie des matériaux (divers marbres importés, d’autres remployés et
roches locales). On y décèle un répertoire décoratif très intrigant, autant nettement empreint
par l’art de Constantinople que particulièrement riche, rare et insolite par ses détails. Il soulève
la question des artisans très spécialisés travaillant à demeure des pièces rares pour des chantiers
ambitieux. Moins explorée par les historiens, la part de contribution des ateliers d’Asie Mineure
pourrait être étudiée.
De cette enquête et en confrontation avec la sculpture romaine locale, se dégage une rélexion
sur la genèse et la iliation antique d’un schéma décoratif riche difusé par la capitale : la croix
dans un calice d’acanthes.
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
Richard Schneider
University of Toronto
AMBIGUOUS TRANSFER OF FORMS AS THE GENERATOR OF MEANING IN THE
JUSTINIAN PANEL OF SAN VITALE
At the most obvious, literal the idea of transfer of forms has had a long history and a major
impact in the study of images, and was a basic tool in the development of iconology as a discipline (for example, in studies of survival of classical forms into their middle ages, and use of
these forms to present Christian subject matter, and so on).
At a deeper level, however, Byzantine iconography also is constructed with fundamental
visual tools which are exactly like a language with an underlying aesthetic grammar, created
by stylistic traits; this visual-rhetorical notion of form functions in every art work and forms a
basis of expectation which makes a hermeneutic of meaning and message readable. As a small
demonstration of this principle this paper suggests a reading of the Justinian panel in San Vitale
in Ravenna which provides a very diferent thematic from those which have been proposed in
the literature so far, almost all of which has, with one thematic emphasis or another, read the
panel as pro-Justinian imperial ideology.
At irst glance, the panel of the court of Justinian in San Vitale (Ravenna) does appear to
present a clear focus on the emperor as the central object of attention, and this efect is the
consequence of design and form: Justinian is positioned exactly in the centre, lanked by
two groups, so that he forms the vertical axis of symmetry which establishes the τάζις of the
composition and is the only formal hieratic igure in the panel. Since the surrounding groups
represent the secular state on one side and the clergy on the other, the result of this design is
to suggest a powerful Caesaropapism theme; and this is the common way this panel is presented – as an isolated image in both scientiic studies and many textbooks – as the archetypal
igura of Byzantine imperium. Such a notion would jibe closely with the context of current
events: reconquest, establishment of Ravenna as a capital, re-organization of the ecclesiastical
province of north Italy, and so on.
However, a deeper examination of the panel in relationship to the τάζις of the entire iconographic program of the sanctuary reveals the essential ambiguity of the Justinian panel, which
can – and should – be read as presenting Archbishop Maximianus, even though he is far to
the right and part of a narrative-igure group, as the most meaningful personage. The panel
creates ambiguous play by means of interchange of forms – the key bishop as a narrative igura
and emperor as hieratic, contrary to recensional expectation – establishing a subtle ecclesial
context which its perfectly the complex situation in which Maximianus, the programmer,
found himself, as an unpopular Justinianic appointee needing to show his people (and fellow
bishops) that “church” came ahead of empire. Sensitive treatment of forms and τάζις achieve
his functional goal.
This “ecclesial” reading of the Justinian panel is reinforced by placing the panel into the
framework of the entire programme of the apse – and it is this programme which creates
the underling thematic τάζις, into which the imperial panel its brilliantly –suggests a quite
diferent understanding of Maximianus and his motivations from the usual notion that he is
in his position to further Justinian’s theologico-political agenda; Maximianus is perceived to
be fostering a view of ecclesia much more in sympathy with the positions of his fellow North
Italian Metropolitans whose staunch Chalcedonianism resisted the moves by Justinian to lead
the church – manifested, for example, in the condemnation of the Three Chapters, the 5th
ecumenical council, and the kidnapping of Pope Vigilius – and to bring theology into accommodation with the more extreme Cyrillianism of the Eastern churches. From close analysis of
the rhetoric of the Justinian panel, we come at the end to “Maximianus the Archbishop” rather
than to the usual picture of the emperor’s lackey.
XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
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Thomas Schweigert
University of Wisconsin
THE ICONOGRAPHY OF THE APSE MOSAICS OF SAINT MAURUS CATHEDRAL IN
POREČ
The mid-sixth century wall mosaics of the Cathedral of St. Maurus (aka Eufrasiana) in Parentium (Parenzo/Poreč) are published in an invaluable two volume study by Terry and Maguire
(Dynamic Splendor). They accept that bishop Eufrasius was a “Three Chapters” schismatic and
intellectual author of the mosaic program; they identify schismatic elements in the iconography. I contend the church was consecrated before the 559 schism in Venetia et Histria, led
by the Metropolitan (styling himself Patriarch) of Aquileia. This was about ecclesial authority
and was a break with the bishop of Rome, not opposition to Justinian’s religious policies conirmed in 553 at the Fifth Ecumenical Council—Constantinople II. I see the church as a rare
survival, a Justinianic church of the Theotokos, an example of imperial/urban renewal in an
Istria deinitively reconquered in the irst months of the Gothic War. Many such were also built
in Syria and Palestine, reconquered from the Persians, and in North Africa, reconquered from
the Vandals, Saint Catherine’s in Sinai being the sole survivor. I read the central image of the
central apse mosaic at St. Maurus, often called Madonna and Child, as a composite statement
of three major, inter-related, tenets from Constantinople II: a neo-Chalcedonian, Cyrillian
emphasis on the oneness of Christ; the doctrine of Theotokos, Mary as mother of the (unitary)
second person of the Trinity, the Word made lesh; and the Theopaschite Formula, “One of the
Trinity sufered in the lesh”. The north and south side apses relect, respectively, Justinian’s
personal devotion to Saints Cosmas and Damian, and his elevation of the see of Ravenna to
arch-episcopal status under his close associate, Maximian.
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XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE
UTORAK, 31. SVIBNJA / TUESDAY, MAY 31 / MARDI, 31 MAI
8.00 – Cjelodnevni terenski obilazak brodom – kasnoantički i ranosrednjovjekovni spomenici
(kornati, Biograd) / all day trip by boat with lunch aboard – visit to late antique and early
medieval sites (Kornati, Biograd) / journée d’études en bateau avec déjeuner (Kornati,
Biograd) – Meri Zornija (Uni. Zadar), Nikola Jakšić (Uni. Zadar)
23. MEÐUNARODNI KOLOKVIJ MIC-A ZA KASNU ANTIKU I SREDNJI VIJEK
23RD I N T E R N A T I O N A L I R C L A M A C O L L O Q U I U M
LIvINg ANd dyINg IN ThE CLOISTER
Monastic life from the 5th to the 11th c.
vIvERE E MORIRE NEL ChIOSTRO
Spazi e tempi della vita monastica tra v e XI secolo
ŽIvjETI I UMRIjETI U kLAUSTRU
Samostanski život od 5. do 11. st.
The monastic life investigated through monk’s vision is the perspective of the XXIII International Symposium IRCLAMA: a meeting that, through the study of space and time of the monastic
asceticism, intends to penetrate deeply into one of the fundamental structures of development
of medieval society between East and West. History, art and architecture are the primary tools by
which, through the words spoken and written by the monks, are examined the forms of the monastic complexes, from late antiquity to the great lowering of Cluny, such as archetypes of Christian
Europe in the Middle Ages.
La vita monastica indagata con gli occhi dei monaci è la prospettiva del XXIII Simposio internazionale IRCLAMA. Un appuntamento che, mediante lo studio degli spazi e dei tempi dell’ascesi
claustrale, intende penetrare in profondità una delle strutture fondamentali dello sviluppo, tra
oriente e occidente, della società medievale. Storia, arte e architettura sono i principali strumenti
con cui, attraverso le parole dette e scritte dai monaci, si esaminano le forme di piccoli e grandi
complessi abbaziali, dalla tarda antichità alla grandiosa ioritura cluniacense, quali archetipi
dell’Europa medievale.
Monaški život iz perspektive monaha tema je 23. međunarodnog kolokvija MIC-a za kasnu
antiku i srednji vijek, susreta koji kroz proučavanje vremena i prostora samstanskog asketizma
ima za cilj prodrijeti duboko u jednu od temeljnih struktura razvoja srednjovjekovnog društva na
razmeđi Istoka i Zapada. Povijest, umjetnost i arhitektura osnovni su alati uz pomoć kojih se, kroz
monaške izgovorene i pisane riječi, ispituju oblici samostanskih kompleksa od kasne antike do
velikog procvata Clunyja kao arhetipovi kršćanske Europe u srednjem vijeku.
Organizacijski i znanstveni odbor | organizing and scientiic committee
Gabriele ARCHETTI
Xavier BARRAL I ALTET
Nikola JAKŠIĆ
Ivan JOSIPOVIĆ
Miljenko JURKOVIĆ
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
SRIJEDA, 1. LIPNJA / WEDNESDAY, JUNE 1
9.00 – Aula 2 (Sveučilište u Zadru, Svečana dvorana / University of Zadar, Great Hall)
Opening of the 23rd International IRCLAMA Colloquium / otvorenje 23. simpozija MICa,
Miljenko Jurković, University of Zagreb
Xavier Barral i Altet (Université Rennes II, Università Ca’ Foscari di Venezia), Introduction to
the topic / uvod u temu
Gabriele Archetti (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), Vivere e morire nel chiostro,
temi e prospettive di ricerca
10.00 – First session / Prva sesija
Structures of monastic life and liturgical spaces | Strutture di vita monastica e
spazi liturgici / Strukture monaškog života i liturgijski prostori
Chair: Roberto Greci
Carmelina Urso (Università degli studi di Catania), strutture monastiche e momenti di vita
quotidiana nel “Registrum epistularum” di Gregorio Magno
Fadia Abou Sekeh (Römisch-Germanisches Zentralmuseum, Mainz), Formen des Mönchtums
in den Felsenklöstern in der Phoenice Libanensis syriens
11.00 – 11.15 pauza / cofee break
Nikolina Uroda, (Museum of Croatian Archaeological Monuments split), From villa to monastery?
Jorge López Quiroga (Universidad Autónoma de Madrid), El “monacato rupestre” hispano
tardo-antiguo y altomedieval en el ámbito mediterráneo. Características y contextos
materiales de un tipo de edilicia singular
Zaroui Pogossian (Universität Bochum), Coenobitic Monasticism and Politics in IX century
Armenia
- Rasprava / discussion
13.00 – Prezentacija / presentation of / présentation de
Dissertationes et monographiae 8 – Alla ricerca di un passato complesso
14.00 – ručak za sudionike simpozija i autore / ofered lunch for all participants / déjeuner
ofert aux participants
16.00 – 18.30 First session continuing / nastavak Prve sesije
Chair: Gabriele Archetti
Stefano Parenti (Pontiicio ateneo sant’anselmo, roma), il ruolo del monachesimo greco nella
trasmissione della prassi liturgica
Cesare Alzati (Academia Romena, Bucarest), Liturgia della ecclesia e liturgia del monastero
nella tradizione ambrosiana
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Paul Tombeur (Université Catholique de Louvain), Prière et chant monastique au XIe siècle. La
réalité vécue à l’abbaye bénédictine de saint-trond
Laura de Castellet, Jordina Sales-Carbonell, Marta Sancho i Planas (Universitat de Barcelona), “Incensum in monasterium” en la Hispania pre-andalusi (siglos V-VIII)
Roberto Cassanelli (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), Il complesso monastico di
s. Maria d’Aurona: architettura e liturgia a Milano tra età longobarda e carolingia
Francesca Stroppa (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), Il senso della croce. Forme
liturgiche ed espressioni artistiche in santa Giulia di Brescia
Massimo De Paoli (Università degli studi di Brescia), strutture architettoniche e restauri in
san salvatore di Brescia
- Rasprava / discussion
ABSTRACTS – SAŽETCI
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Gabriele Archetti
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
VIVERE E MORIRE NEL CHIOSTRO, TEMI E PROSPETTIVE DI RICERCA
La vita monastica indagata con gli occhi dei monaci e, per così dire, vista dall’interno è la
prospettiva del XXIII Simposio internazionale dell’IRCLAMA. Un appuntamento che, mediante
lo studio degli spazi e dei tempi dell’osservanza claustrale, intende penetrare in profondità una
delle strutture fondamentali dello sviluppo, tra oriente e occidente, della società medievale.
Storia, arte, architettura e archeologia sono i principali strumenti con cui, attraverso le parole
dette e scritte dai protagonisti, i luoghi della preghiera, del lavoro e della vita quotidiana, le
immagini e le costruzioni (chiostro, capitolo, refettorio, biblioteca, scriptorium, dormitorio,
infermeria, orto, foresteria, ecc.), ino all’ultima dimora delle sepolture, comuni o elitarie, si
esaminano le forme di piccoli e grandi complessi abbaziali e i loro usi, dalla tarda antichità
alla grandiosa ioritura cluniacense, quali archetipi formativi dell’Europa cristiana medievale.
Il tempo per Dio e lo spazio della preghiera, corale e personale, si modulano così attraverso
il vissuto di eremiti e cenobiti – documentato dalle fonti scritte, dai resti materiali, dalle sopravvivenze edilizie, dalle pareti dipinte o scolpite delle chiese – lungo le stagioni della vita e le
sue occupazioni. Ne risulta uno spaccato dai colori intensi che guarda alla realtà di un’esistenza
aperta alle necessità interne dei chiostri, ma non indiferente allo scorrere delle vicende esterne,
attenta nel gestire gli interessi materiali, orientati da inalità spirituali, di patrimoni sovente
assai consistenti. La strada verso la perfezione appare perciò mediata dal confronto fraterno,
dal lavoro materiale e intellettuale, dal servizio di generosa accoglienza a poveri e pellegrini,
dal nutrimento corporale unito alla ritualità di quello spirituale, dalle vie dell’azione educativa
dei piccoli oblati e della carità verso i fratelli più deboli, sino ai gesti di pietà che con la morte
spalancano le porte della vita celeste.
Naturalmente la scelta dell’ascesi monastica, nelle sue declinazioni anacoretica e comunitaria, apre a mondi reali e a paesaggi dell’anima molto diversi tra loro e non sempre del tutto
codiicabili, ofrendo una varietà di esperienze religiose che, da questo punto di vista, non
sono riconducibili a modelli necessariamente unitari, né sarebbe giusto farlo. Ciò vale anche
per le strutture materiali che, a lungo, hanno risposto più ai bisogni contingenti delle singole
comunità che a schemi precostituiti. Certo, alcuni caratteri appaiono comuni – la preghiera, il
canto, l’obbedienza, l’umiltà, il silenzio, il lavoro, lo studio, la moderazione, l’astinenza, ecc.
– ma si tratta di un percorso molto personale, misterioso e quasi insondabile, come ricorda il
Prologo della Regola benedettina: obsculta, o ili, praecepta magistri et inclina aurem cordis tui
(Regula Benedicti, Prologus 1). Dimenticarsene non rende un buon servizio alla ricerca storica
e impedisce di comprendere l’essenza profonda del monachesimo.
Carmelina Urso
Università degli Studi di Catania
STRUTTURE MONASTICHE E MOMENTI DI VITA QUOTIDIANA NEL REGISTRUM
EPISTULARUM DI GREGORIO MAGNO
Il pontiicato di Gregorio Magno (590-604) si segnala come un momento di grande potenziamento per il monachesimo nell’intero Occidente. Egli favorì l’impianto di nuovi monasteri,
ne seguì la realizzazione e ne stigmatizzò i ritardi; fu pronto a sostenere le necessità, anche di
ordine materiale, delle comunità; denunciò e perseguì ogni devianza e ogni comportamento
immorale; fu soprattutto pronto a sostituirsi agli ordinari locali, per disposizione canonica
preposti al controllo e alla cura degli istituti monastici diocesani, quando costoro dimostravano
poca attenzione o poca capacità gestionale.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
I principi cui fu ispirata l’intera sua azione pastorale, nello speciico dell’ambito monastico,
pur basati su alcune note disposizioni della regola benedettina, specialmente sulla stabilitas
loci e sulla paupertas, non coincidono tout-court con i precetti della stessa Regula. In sintesi,
«le comunità non appaiono sottoposte all’imperio della norma scritta, ma piuttosto all’autorità
dell’abate, che governa in forza del suo carisma, o, in alcuni casi, del priore».
I progetti volti alla costruzione di nuovi monasteri o a dare ospitalità a comunità monastiche
in grandi ediici privati opportunamente trasformati si moltiplicarono già dai primissimi tempi
del pontiicato di Gregorio. Nuove strutture monastiche, nuovi oratori e nuovi xenodochia furono
realizzati a Roma, in Sicilia e nelle altre isole piccole e grandi del Mediterraneo, in Campania,
nella Lunigiana, nel ravennate e nel territorio della Pentapoli, e, fuori dal patriarcato romano,
in Gallia ecc. La portata delle iniziative è certamente rilevante, ma ciò che più interessa è che
esse provenivano anche da ecclesiastici, fra i quali lo stesso ponteice, ma in prevalenza da
“privati”, vale a dire da benefattori laici.
Nel settore si impegnarono regine e alti dignitari, così come personaggi comuni spinti da
motivazioni non sempre chiare e convincenti. I modi dei loro interventi, recuperabili attraverso
un attento spoglio delle epistole gregoriane, alimentano, spesso, la convinzione che l’evergetismo aristocratico nel settore, segnali, più che un rinnovamento religioso, «una moda che nella
realtà è un disorientamento spirituale», un mezzo per sfuggire ai problemi quotidiani sempre
più angosciosi, o, cosa ancora più grave, un vantaggioso progetto imprenditoriale. Gregorio,
come cercheremo di documentare, era del tutto consapevole dei rischi connessi a questa nuova
dimensione del movimento e intenzionato a controllarlo perché si mantenesse nel solco dettato
dalla religio e dalla lex. Da una parte, pertanto, egli lo sostiene e si dimostra pronto ad afrontare per risolverle le questioni che vengono sottoposte al suo giudizio da religiosae feminae e
sanctimoniales, da monachi, così come da vescovi, defensores e pubblici uiciali, dall’altra non
esita a denunciare ogni atto e ogni comportamento sospetti.
Gregorio dovette confrontarsi con problemi che, onde evitare il perpetuarsi di incresciose
situazioni, era opportuno esaminare e sbrogliare con autorevolezza, oltre che con gli appropriati
strumenti legali. Su tutti spiccava la necessità di controllare l’origine, la titolarità dei progetti
e il rispetto degli obblighi di legge: sapeva che molti avevano espresso nei loro testamenti la
volontà di costruire monasteri, individuando anche le risorse economiche necessarie, ma era
altrettanto consapevole che gli esecutori testamentari, accampando speciose motivazioni, ne
procrastinavano talvolta l’attuazione, incuranti delle norme giuridiche che imponevano tempi
certi e brevi.
La vita nei monasteri del tempo, dunque, scorreva in mezzo a tanti obblighi e a tante diicoltà. I problemi, le necessità si sommavano e pretendevano un impegno individuale costante.
La situazione era particolarmente diicile nelle isole e ancora di più in quelle che componevano
i piccoli arcipelaghi del Tirreno, se è vero che lo stesso Gregorio, ad esempio, escludeva che dei
giovani ante decem et octo annorum tempore potessero essere accettati in Palmaria aliisque
insulis. Lì, così come altrove, i monaci dovevano preoccuparsi di riparare, direttamente o per
mezzo di maestranze che andavano comunque dirette e sorvegliate, i danni alle strutture;
dovevano, così come competeva anche ai chierici e ai laici, efettuare turni di sorveglianza
delle mura; dovevano soprattutto gestire i beni fondiari di cui disponevano già all’atto della
loro costituzione o che erano successivamente testati da benefattori. E non si trattava di amministrazione inanziaria dei patrimonia, faccenda per la quale, specialmente alle istituzioni
femminili, era consigliato che si avvalessero di procuratores, di amministratori di specchiata
onestà e auspicabilmente appartenenti all’ordo ecclesiasticus, bensì della loro messa in produzione. L’autonomia economica serviva a preservare «il decoro del culto», ma nel contempo
concorreva a dare sicurezza alle comunità monastiche. Proprio a soddisfare le stesse esigenze
serviva anche la proprietà o quantomeno la disponibilità di un hortus, un ad condimenta holerum nutrienda locus isdem aptus. Si comprende ora perché tra gli impegni degli abati e delle
badesse rientrassero certamente anche la cura del patrimonio dell’istituto che presiedevano
e, all’occorrenza, la difesa dello stesso da ogni attacco esterno volto ad usurparne la proprietà.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Ciononostante, il quadro che emerge dall’epistolario è sconfortante: i beni della Chiesa e, in
particolare, quelli monastici erano spesso concupiti da uiciali pubblici, da homines ecclesiae
nostrae e, in qualche caso, dagli stessi familiari dei religiosi. Gli esiti delle appropriazioni indebite, delle ruberie, sommati agli efetti del diicile contesto politico e militare del tempo, compromettevano in più casi la sopravvivenza stessa delle comunità, travolte alcune dalla miseria.
Spesso, proprio per scongiurare questi pericoli e difendere nelle sedi competenti i beni dei
loro istituti, abati e badesse erano costretti a impelagarsi in contenziosi che, nonostante di
norma fossero assegnati dal ponteice alle deliberazioni di giudici elettivi, risultavano di non
semplice soluzione e soprattutto annose. Poteva avvenire che questi impegni li spingessero a
trascurare il loro ministero con conseguenze delagranti per il sistema monastico stesso. Nel
caso in cui infatti le preoccupazioni mondane fossero prevalse sugli impegni spirituali, la possibilità di cadere nel peccato o di assumere atteggiamenti sempre più irrispettosi dei precetti
fondamentali della scelta monacale si faceva sempre più concreta. Lo attestano le cospicue
notizie che giungevano a Roma su religiosi e religiose che ritornavano nel secolo, spogliandosi
dell’habitus monastico, o che, nel chiostro, commettevano reati di ogni tipo.
Da Roma Gregorio seguiva con grande energia, seppure con qualche scoramento, gli accadimenti e suggeriva le soluzioni a sostegno del prestigio dell’intero movimento. Se, infatti, si
può certamente concordare con quanti hanno sottolineato la iducia accordata dal ponteice
al clero secolare su cui caricò tutto il peso dell’amministrazione della Chiesa e soprattutto del
patrimonium Petri, è pur vero che su chi abbracciava l’ideale monastico e ai suoi contenuti
improntava il suo comportamento e i suoi pensieri, puntò per attuare alcuni suoi progetti prettamente pastorali. Sono a tutti note l’impresa del monaco Agostino e dei suoi compagni presso
gli Angli e le missioni svolte da alcuni monaci presso la corte longobarda. Gregorio, d’altronde,
agiva nella convinzione che «nessuno potesse conseguire maggiori successi di tutti i monaci e
di tutte le monache che, al chiuso dei loro chiostri, pregavano».
Fadia Abou Sekeh
Römisch-Germanisches Zentralmuseum
FORMEN DES MÖNCHTUMS IN DEN FELSENKLÖSTERN IN DER PHOENICE
LIBANENSIS SYRIENS
Zum Phänomen der spätantiken Felsenklöster Syriens gehören vier bisher noch unbekannte
Klöster, die in der sogenannten Phoenice Libanensis (Phoenice II) lagen: Das Jazal-Kloster in
der Region von Palmyra, das Kloster Maġaret el- Ruhban, das Kloster im Wadi El- Ruhban am
Hermon-Berg und das Scherubim-Kloster (Deir el- Scherubim) im Qalamoun-Gebirge.
In diesen Felsenklöstern zeichnen sich vielfältige Formen des Mönchtums ab. So haben wir
sowohl das Beispiel eines Koinobions (Wadi El- Ruhban) als auch das von Koinobien, bei denen
auch ein Einsiedler lebte (Jazal-Kloster, Maġaret el- Ruhban) und das einer Laura (also ein lockerer Zusammenschluss von Einsiedlern) (Deir el- Scherubim). Alle diese Formen des Mönchtums
waren im 6. und 7. Jh. n. Chr. in Syrien verbreitet, innerhalb von Felsenklöstern stellen sie aber
eine bisher wenig erforschte Alternative zu den baulich errichteten Klöstern in Syrien dar.
Das Vorhandensein verschiedener monastischer Formen in Felsenklöstern ist tief in der
syrischen asketischen Literatur verwurzelt. In meinem Beitrag wird das Verhältnis dieser Felsenklöster zu den anderen syrischen Klöstern und zu den asketischen Traditionen in Syrien
thematisiert, wobei vor allem die archäologischen Befunde und die Architektur im Vordergrund
stehen werden.
Im Fokus der Forschung steht also die Frage, ob und inwieweit diese neu entdeckten Felsenklöster in den Kontext der bisher bekannten syrischen eremitischen Traditionen gestellt
werden können. Um auf diese Frage zu antworten, lassen sich archäologische Befunde mit den
überlieferten Textquellen in Zusammenhang bringen.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Nikolina Uroda
Museum of Croatian Archaeological Monuments Split
FROM VILLA TO MONASTERY?
Researchers of western monasticism often draw parallels between monasteries and late roman villas in its architectural forms (cloisters or courtyards), and the combination of labor and
contemplation. From the sources of the 4th and 5th centuries we can ind out how important
role private villas had for the founders of the monastic communities on the west (St. Martin,
St. Augustine, St. Benedict of Nursia...). Even in the archaeological practice, early monasteries
are in most cases very close to villas or they even grow upon their walls.
This lecture aims to ind the correlation between roman villas and the irst monasteries at
the territory of Dalmatia. Although we do not have written sources for the speciic locations,
We can point out some speciic characteristics of certain sites, which are traditionally held as
early monasteries. Sometimes it is diicult to notice without detailed archeological excavation
whether those sites have been continuously inhabited or there was a discontinuity between
the former and the later occupancy of the site. However, we can try to ind some criterion and
apply it to the known sites bearing in mind the diiculties of determining a monastic community in its period of formation.
Jorge López Quiroga
Universidad Autónoma de Madrid
THE LATE ANTIQUE AND EARLY MEDIEVAL HISPANIC RUPESTRIAN
MONASTICISM IN ITS MEDITERRANEAN FRAMEWORK. FEATURES AND
MATERIAL CONTEXTS OF A SINGULAR ARCHITECTURE
The rupestrian architecture as a constructive typology destined to house Christian cult
spaces, whose formal record should look at the underground hypogea (also known as catacombs)
from the early days of Christianity, as well as spaces for housing, funeral and productive uses,
conforms a type of architecture widespread throughout the Mediterranean, which has been
widely studied focussing their characteristics and materiality as well as the enhancement and
dissemination of a unique heritage.
While the origin of the Christian use of this architecture is found in centre (Lazio, Umbria,
Abruzzo) and southern Italy (Campania, Basilicata, Calabria, Apulia), its development linked
to spaces of monastic communities and hermits are located in the Middle East (Syria, Jordan)
and north Africa (Egyptian Tebaida particular), spread throughout the rest of the Mediterranean from, and inluence of, these formal models.
This type of construction that take advantage of the rock as a construction material, have
traditionally been linked to hermits environments, considering them as isolated parts because
of their topographical features and ‘decoupled’ from the rest of the world. The reality, if we look
carefully to their places of location in relation to the existing network of settlement, roads and
circuits of production and consumption, is somewhat diferent. The bio-anthropological and
bio-archaeological studies, accompanied by reliable archaeological record, still undeveloped
and scarce in the Iberian Peninsula, made in some of these places show the invalidity of the
traditional model of individuals and/or isolated communities. On the contrary, it is found the
interrelation and close interweaving of these sets with the late-antique and early medieval
system of settlement, its relationship with the road network and the existence of a productive
activity chiely intended for domestic consumption, but also oriented to output and input
products beyond the strictly local framework and sometimes surpassing the regional level.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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The rupestrian architecture linked to monastic communities formed authentic rural settlements, while Christian cult complex, in which a community not exclusively dedicated to
religious activities conduct their daily life, because there would not be composed only of monks
(as evidenced by burial areas), forming what we might call ‘agricultural monasteries’, which are
also, to a certain extent, ‘village communities’ in which the religious element, of monastic type
in this case, would be a factor of social cohesion that because their hierarchical and regulatory
nature generate at the same time socio-economic inequality.
Some years ago we have suggested that the activity of Fructuosus of Braga in the Iberian
Peninsula has favoured and stimulate the development of a number of rural communities in
spatial areas not traditionally associated with the ‘Roman settlement system’. The religious
component, either because they are monastic communities of ‘fructuosian type’ (based on the
monastic rule written by him circa 646: the Regula Communis) or by the presence of a Christian
cult building initially dug in the rock, it is a unifying element for these rural communities.
In the Iberian Peninsula these are generally cult spaces of individual (a simple cave) or collective (complexes formed by several caves) character, with annexes spatial areas equipped with
various functionalities (residential, warehouse, production, etc.) and simple in its architecture,
although the absence of constructive complexity is not indicative of simplicity or marginality,
as has sometimes been defended. Indeed, we must not forget that, regardless of the presence
of a Christian cult place, we are talking about settlements of rural communities that are not
exclusively composed of monks in the strict sense; we are really in presence of ‘village communities’, as we can seen in the whole Mediterranean area.
The topographical location of this sites in Hispania, as in the rest of the Mediterranean, is
very characteristic taking advantage of mountainous areas and crags, but his situation is not
deined by its ‘isolation’ or ‘the light to the desert’, as it has been wrongly airmed many times
in respect to the Hispanic rupestrian monasticism, since these complexes are placed not in
solitary spaces, but next to the settlement and communication network system.
From a chronological point of view, the preliminary existence of an individual Christian
cult place in the 6th or 7th century, derived often in the coniguration of a coenobitic complex
of communitarian type in the 9th or 10th centuries in the Iberian Peninsula.
EL „MONACATO RUPESTRE“ HISPANO TARDO-ANTIGUO Y ALTOMEDIEVAL EN EL
ÁMBITO MEDITERRÁNEO. CARACTERÍSTICAS Y CONTEXTOS MATERIALES DE
UN TIPO DE EDILICIA SINGULAR
La edilicia rupestre como tipología constructiva destinada a albergar espacios cultuales
cristianos, cuyos precedentes formales debemos buscar en los hipogeos subterráneos (también
conocidos como catacumbas) de los primeros tiempos del Cristianismo, así como espacios de
uso habitacional, funerario y productivo, conforma un tipo de arquitectura muy difundida por
todo el mediterráneo que ha sido objeto de profusos estudios que han abordado sus características y realidad material al igual que la puesta en valor patrimonial de un fenómeno singular.
Si bien el origen del uso para el culto cristiano de esta arquitectura la encontramos en el
centro (Lazio, Umbria, Abruzzo) y sur de Italia (Campania, Basilicata, Calabria, Apulia), su
desarrollo vinculado a espacios y ambientes monásticos y eremíticos se localizan en Oriente
Medio (Siria, Jordania) y norte de África (la Tebaida egipcia particularmente), extendiéndose
por el resto del Mediterráneo a partir de, y por inluencia, de esos modelos formales.
Este tipo de construcciones que aprovechan al máximo la roca como material de construcción,
se han vinculado tradicionalmente con ambientes anacoréticos y eremíticos, considerándolos
como lugares aislados por sus características topográicas y ‘desconectados’ del resto del mundo.
La realidad, si analizamos con detenimiento sus lugares de emplazamiento en relación a la red
de poblamiento existente, vías de comunicación y circuitos de producción y consumo, es algo
diferente. Los estudios bio-antropológicos y bio-arqueológicos, acompañados de registros
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
arqueológicos iables, aún incipientes y escasos en la Península Ibérica en lo que a la edilicia
religiosa rupestre se reiere, efectuados en algunos de estos lugares evidencian la invalidez
del modelo tradicional de individuos y/o comunidades aisladas. Al contrario, se constata la
interrelación e imbricación estrecha de estos conjuntos en el sistema de poblamiento tardoantiguo y alto-medieval, su relación con la red viaria y la existencia de una actividad productiva
básicamente de consumo interno, pero también orientada a la salida y entrada de productos
más allá del marco estrictamente local y superando en ocasiones el ámbito regional.
La edilicia rupestre vinculada con ambientes monásticos conforma auténticos asentamientos
rurales, al tiempo que complejos cultuales cristianos, en los que desarrolla su actividad cotidiana
una comunidad no exclusivamente dedicada a actividades de tipo religioso, pues no estaría
únicamente compuesta de ‘monjes’ (como evidencian las áreas funerarias), dando lugar a lo
que podríamos denominar como ‘monasterios agrícolas’ que constituyen también, y en cierta
medida, ‘comunidades aldeanas’ en las que el elemento religioso, de tipo monástico en este
caso, sería un factor de cohesión social que por su carácter jerárquico y normativo generaría a
su vez desigualdad socio-económica.
Zaroui Pogossian
Universität Bochum
COENOBITIC MONASTICISM AND POLITICS IN IX C. ARMENIA
The ninth century, especially the second half, marks a period of economic and cultural
lourishing in various medieval Armenian regions. It is at this time that three new dynasties
-- Bagratids, Artsrunis and Syunis -- attempt to acquire ever more autonomy from the Abbasid overlords, culminating in the coronation of A?ot Bagratuni as King A?ot I in 884 and his
grandson Gagik Artsruni as King of Vaspurakan in 908. In the same period there is a revival of
cenobitic monasticism. New monasteries were founded or older ones re-founded, often under
royal or high princely patronage. This paper seeks to explore the relationship between the rising
power of new Armenian nobility and the establishment and patronage of monasteries based
on some important examples from the IX century.
Stefano Parenti
Pontiicio ateneo Sant’Anselmo, Roma
IL RUOLO DEL MONACHESIMO GRECO NELLA TRASMISIONE DELLA PRASSI
LITURGICA
“Were the early monks liturgical?” Questa domanda, volutamente provocatoria, lanciata da
Eligius Dekkers all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, se la deve porre ancora oggi chiunque
voglia afrontare il complesso rapporto tra monachesimo e liturgia. Il dotto abate benedettino
interrogava il monachesimo occidentale, ma la domanda ha un senso, anche quando è rivolta
al monachesimo greco e, in genere al monachesimo ortodosso ed orientale. Ogni storia della
cultura religiosa si deve confrontare con le rivisitazioni ideali del passato, e se l’Occidente
ancora oggi deve fare i conti con la deinizione “monachus propter chorum”, creata in pieno
romanticismo da Prosper Guéranger (1805-1875), l’ortodossia russa si riconosce nella deinizione di Gogol (1809-1852) “La Russia è un grande monastero”. Le due deinizioni, lontane per
geograia e per politica – una nata nella Francia post-rivoluzionaria, l’altra in pieno regime
zarista – in realtà si sostengono a vicenda nella visione di un monachesimo eminentemente
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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liturgico proiettato all’indietro nella storia per poi essere ripristinato (Guéranger) o per essere
presentato come norma di vita e di preghiera a tutta la Chiesa (Gogol).
Le fonti storiche del monachesimo e della liturgia presentano un quadro diverso, dove il
monaco non svolge un apostolato liturgico ante litteram, non vive a servizio della preghiera
liturgica ma plasma e riforma la liturgia nella misura in cui risulta funzionale allo stile di vita che
ha scelto. Esiste nel monachesimo antico tutta una corrente a-liturgica in seno alle esperienze
eremitiche e lauriotiche che vede nella preghiera oraria non una “liturgia delle ore” ma una
risposta personale all’invito del Nuovo Testamento alla preghiera continua, “senza stancarsi”
(Lc 18,1).
L’adattamento della liturgia all’impostazione della vita comunitaria operata dal monastero
di Stoudios a Costantinopoli dopo il secondo Iconoclasmo ha incontrato resistenze perché
considerata troppo “secolare” nelle forme e nell’esecuzione, ma proprio questo compromesso
le ha consentito una enorme difusione dal Mediterraneo alla Rus’, facendo del rito monastico
il culto liturgico dell’intera Ortodossia. A Costantinopoli nell’XI secolo la preghiera liturgica
del monaco e del laico praticamente era la stessa.
Già nel XII secolo l’astro del monastero di Stoudios con il suo fondamentalismo cenobitico,
rilesso nella liturgia, comincia un inesorabile tramonto. L’eremitismo mai del tutto sopito
all’interno del monachesimo greco riprende lentamente il sopravvento e trova nell’esicasmo
sostegno e motivazioni.
Cesare Alzati
Accademia Romena, Bucarest
LITURGIA DELLA ECCLESIA E LITURGIA DEL MONASTERO NELLA TRADIZIONE
AMBROSIANA
Le forme rituali della ecclesia e quelle in vigore nei cenobi già per tempo hanno conosciuto
in Oriente speciiche modalità di interazione nella prassi cultuale dei monasteri urbani. La
centralità del paradigma celebrativo episcopale insita nella conseguente fenomenologia liturgica trova in Milano una sua peculiare declinazione. L’evoluzione determinatasi al riguardo nei
cenobi della città di Ambrogio non è peraltro il frutto della semplice intraprendenza redazionale
di singoli scriptoria in cui circolavano libri rituali romani, ma rilette l’immissione anche nelle
comunità monastiche milanesi della sensibilità ecclesiologica, di cui l’ambiente franco sotto
la spinta della dinastia carolingia s’era fatto portatore.
Paul Tombeur
Université Catholique de Louvain
PRIÈRE ET CHANT MONASTIQUE AU XIe SIÈCLE. LA RÉALITÉ VÉCUE À L’ABBAYE
DE SAINT-TROND
Ce qui caractérise la vie des moines est bien l’oice monastique dans lequel ils se plongent
de nuit et de jour. Le cadre retenu est essentiellement celui présenté par la Règle de saint Benoît
qui va devenir avec le temps ‘la’ règle observée dans les monastères d’Occident du IXe siècle à nos
jours. Comment savoir de quelle manière se présentait concrètement la célébration de l’oice ?
C’est notamment toute la question du chant. L’étude des textes laisse bien des incertitudes. Le
vocabulaire à interroger laisse bien des ombres. Il n’en reste pas moins que le chant qu’il faut
prendre en considération est le chant dit grégorien.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Dans l’évolution de ce chant et dans le développement musical, une région a joué un rôle
particulier : en gros l’Austrasie et ce qui correspond à la Belgique actuelle avec l’immédiat de
ses frontières.
Etudier le développement du chant monastique requiert nécessairement l’examen de
l’histoire et du développement de la notation musicale. Là aussi les contrées évoquées ont joué
un rôle important, et notamment l’abbaye bénédictine de Saint-Trond, fondée au VIIe siècle.
On évoquera ainsi, d’une part, Guy d’Arezzo, et, d’autre part Raoul, abbé de Saint-Trond qui
introduit dans son abbaye la notation musicale ‘moderne’. Le but inalement recherché est de
faire ‘entendre’ le chant dans les monastères du XIe siècle.
Laura de Castellet
Jordina Sales-Carbonell
Marta Sancho i Planas
Universitat de Barcelona
‘INCENSUM IN MONASTERIUM’ EN LA HISPANIA PRE-ANDALUSÍ (SS. V-VIII)
En el presente estudio se sistematizan y analizan las referencias literarias y arqueológicas
conocidas, tanto directas como indirectas, acerca de la presencia y producción de incienso y
sus sucedáneos (resinas aromáticas) en la Hispania tardoantigua.
A partir de las fuentes escritas se percibe claramente el origen oriental –tanto geográico
como “ideológico”– de este producto en el marco de la liturgia cristiana. Y la procedencia de los
incensarios encontrados en diversos yacimientos tardoantiguos de Hispania así lo conirma,
pues todos ellos, sin excepción, se clasiican como de origen copto u oriental.
Por otro lado, en nuestra investigación constatamos el rechazo frontal que la presencia del
incienso generó en la liturgia cristiana de la Hispania visigoda. Una costumbre, la de quemar
incienso, instaurada por las oleadas de cristianos de origen oriental (principalmente monjes)
que se instalaron en la Península Ibérica durante los siglos VI-VII y que tan profusamente
documentados aparecen en la literatura (no así en la arqueología, sobre todo por lo que a
asentamientos monacales se reiere).
Recientes hallazgos y estudios realizados en un yacimiento arqueológico de los Pre-Pirineos,
cercano a la sede episcopal de Ilerda e identiicado como una comunidad monástica de montaña
(Els Altimiris, Lleida), aportan por primera vez en Hispania indicios sobre la manufactura de
resinas aromáticas. Signiicativamente, este monasterio estaba conectado, mediante una ruta
ganadera, con otro probable monasterio ubicado en el llano (El Bovalar, Lleida) y en el cual
se encontró un lujoso incensario que, junto con otros elementos, ha permitido proponer un
origen oriental para este último.
En suma, el análisis de esta actividad en torno al incienso pretende contribuir al debate sobre
la identiicación de comunidades monásticas en Hispania –tanto “autóctonas” como de origen
oriental–, y por ello el incienso (y por extensión las resinas aromáticas) resultan un indicador
de alto valor arqueológico que ha pasado relativamente desapercibido en la historiografía del
monacato primitivo en Hispania. Creemos que su estudio puede paliar parcialmente la escasez
de información arqueológica sobre monasterios tardoantiguos en la Península Ibérica.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Roberto Cassanelli
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
IL COMPLESSO MONASTICO DI S. MARIA D’AURONA A MILANO: ARCHITETTURA
E LITURGIA TRA ETÀ LONGOBARDA E CAROLINGIA
Nel corso degli scavi per la costruzione della sede della Cassa di Risparmio, in una vasta
area lungo l’attuale via Monte di Pietà a Milano, tra 1868 e 1869 riemerse una vasta congerie di
materiali lapidei, di prevalente di funzione architettonica, ascrivibili a un ampio arco cronologico dall’età romana al Rinascimento. Il primo indagatore, l’abate Antonio Ceruti, riferì che
nello scavo s’intercettarono anche i resti di una torre e di un muro che si sviluppava per trenta
metri, subito riferiti alla cerchia muraria tardoantica detta massimianea. I materiali lapidei
vennero invece collegati al monastero di Santa Maria d’Aurona, fondato secondo la tradizione
nella prima metà dell’VIII secolo e legato alla memoria di Aurona, sorella di re Liutprando,
citata da Paolo Diacono (Hist. Lang., VI 22). Decisiva in tal senso fu la lettura, sull’abaco di un
capitello di pilastro (peraltro pertinente alla successiva fase romanica) di un’iscrizione di tenore apparentemente funerario menzionante un vescovo Teodoro «qui iniuste fuit damnatus»,
identiicato con l’omonimo vescovo citato nel Versus de Mediolano civitate, morto intorno alla
metà dell’VIII secolo e sepolto appunto nel monastero. I primi indagatori furono così indotti
ad attribuire cumulativamente a quel secolo gran parte dei materiali e a collegarli alla chiesa
del monastero. I pezzi furono subito studiati e disegnati da Gaetano Landriani, collaboratore
di Fernand de Dartein, che li inserì nel suo Étude sur l’architecture lombarde (1865-82), individuando in S. Maria d’Aurona il precedente del sistema di coperture voltato del S. Ambrogio,
anch’esso anticipato al IX secolo. Rafaele Cattaneo afermò invece l’esigenza di una più chiara
partizione cronologica in due gruppi principali (VIII-IX e XI-XII sec.). A sciogliere in parte l’enigma della forma dell’ediicio giunse nel 1944 il ritrovamento da parte di Alberto de Capitani
d’Arzago di una pianta cinquecentesca. Lo studioso non ebbe diicoltà a proporre una possibile
ricostruzione della planimetria originaria di età longobarda e della successiva rielaborazione
romanica. Tale restituzione, a tutt’oggi un riferimento imprescindibile, è stata per molti anni
accettata, anche se con riserve.
Il contributo critico decisivo si ebbe nel 1954, quando Wart Arslan ricondusse il nucleo di
sculture riferibili all’VIII secolo alla vasta categoria della “rinascenza liutprandea”, nell’eicace
triangolazione con le testimonianze delle sedi regie di Pavia e Brescia. Occorre giungere al 1989
per un nuovo tentativo di riconsiderazione generale dei materiali da parte di Paola Dianzani,
non esente da mende, cui ha fatto seguito una più puntuale revisione e catalogazione dei pezzi
(F. Ravaglia, R. Cassanelli, M. David 2000; R. Cassanelli 2012; M. Vaccaro 2015).
Il monastero benedettino femminile di S. Maria d’Aurona occupava l’isolato tra le vie Andegari, Monte di Pietà e Romagnosi. Le fonti tacciono riguardo la fondazione, presumibilmente
avvenuta nei primi decenni dell’VIII secolo. Il terminus ante quem sarebbe issato dalla morte
e sepoltura nel monastero del vescovo Teodoro, sulla quale non vi è peraltro piena concordanza. La menzione, nel Versus de Mediolano civitate (739 ca.), di Teodoro come natus de regali
germine ha indotto a supporre che fosse iglio di Ansprando e fratello di Liutprando, di cui
Paolo Diacono ricorda appunto una sorella di nome Aurona. L’ipotesi è plausibile, ma ostano
alcuni elementi. Paolo menziona in efetti una Aurona, iglia di Ansprando, che andò sposa
ed ebbe due igli, ma non accenna né alla fondazione del monastero né ad un suo eventuale
ruolo di badessa, limitandosi a riferire della mutilazione inlittale da Aripert; ugualmente non
ricorda un Teodoro arcivescovo di Milano fratello di Liutprando (legame taciuto anche dalle
liste episcopali). Resta il fatto della pertinenza regia del monastero, testimoniata dalla sua prima efettiva menzione nel diploma dell’880 col quale Carlo il Grosso conferma la donazione a
Sant’Ambrogio del «monasterium… quod vocatur Aurune» disposta dall’imperatrice Angilperga
in memoria del defunto marito Ludovico II, morto nell’875. A causa del grande incendio del
1075 le strutture vennero profondamente rielaborate in forme romaniche. Nel 1472 Sisto IV sop-
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
presse l’abbazia, mentre il 7 novembre 1593 vi fecero il loro ingresso le cappuccine di S. Barbara,
che vi abitarono sino alle soppressioni giuseppine del 1782, promuovendo il rifacimento della
chiesa. E’ in questa occasione che venne demolita la maggior parte del complemento plastico
altomedievale e romanico, riutilizzato come riempimento nelle fondazioni del nuovo ediicio.
La chiesa di S. Maria d’Aurona costituisce l’unica testimonianza pervenuta di architettura
religiosa di età longobarda a Milano. Sulla base delle planimetrie cinquecentesche è possibile
ipotizzarnecon suiciente approssimazione l’articolazione planimetrica. La chiesa si appoggiava alle mura del circuito tardoantico, inglobando parzialmente una torre (poi trasformata in
campanile e demolita intorno al 1580). Il piano inferiore della torre era in diretta comunicazione
con la chiesa e fungeva forse da sagrestia. Si trattava di una struttura ad aula unica (16,80 x 10,20
m ca.), secondo uno schema rettangolare allungato. Era preceduta da un breve atrio e conclusa
da una parete rettilinea con tre absidi allineate in spessore di muro. Sul chiostro, grosso modo
trapezoidale, insistevano i principali ediici monastici. Lo schema detto dreiapsidensaal è diffuso in ambito alpino, e il confronto più immediato è il S. Benedetto di Malles in Val Venosta;
ma si può richiamare anche il caso del monasterium theodotis di Pavia, dove si ripropone il
rapporto con una torre delle mura urbiche.
Dall’esame delle planimetrie emerge che la ridistribuzione romanica degli spazi non interessò se non marginalmente l’originario assetto, in particolare della parete absidale, mentre per
quanto concerne l’arredo liturgico vanno considerate le esigenze di adeguamento funzionale sia
del periodo carolingio (IX sec.) sia di quello romanico (ine XI sec.). Sopravvivono ancora tra i
materiali pervenuti porzioni signiicative dell’incorniciatura superiore della porta d’ingresso, che
recava al centro la «mano di Dio», e degli stipiti. I capitelli-mensola (talvolta impropriamente
deiniti “pulvini”), da collegare a pilastri o forse lesene a sezione quadrangolare, potrebbero
provenire dalla parete absidale, nella quale la planimetria cinquecentesca segnala un sistema di
“colonne esposte”. Dell’arredo liturgico sopravvivono due alti pilastrini, lievemente rastremati,
ricomposti per l’intera altezza e decorati sulle quattro facce, oltre a esigui frammenti di quella
che potrebbe interpretarsi come una fronte di altare o di pluteo. Non sono emerse testimonianze
di stucchi decorativi (a diferenza del S. Salvatore di Brescia), materiale peraltro facilmente
deperibile, mentre l’unico lacerto di pittura, molto rovinata, con la igura di un diacono, di
incerta datazione (età carolingia?), è andato disperso ed è documentato solo da una fotograia.
La qualità di alcuni pezzi, realizzati con tutta probabilità da una bottega locale sulla base di un
repertorio di modelli comuni largamente circolante, ne fa uno dei punti di riferimento della
c.d. “rinascenza liutprandea”, in diretta relazione con la produzione delle oicine attive per la
corte regia a Pavia (in un arco di attività che da Corteolona si spinge sino a Bobbio) e soprattutto
a Brescia, nel cantiere “desideriano” del S. Salvatore.
Francesca Stroppa
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
IL SENSO DELLA CROCE. FORME LITURGICHE ED ESPRESSIONI ARTISTICHE IN
SANTA GIULIA DI BRESCIA
L’immagine di Giulia, la martire cartaginese crociissa per non aver abiurato la sua fede,
insieme alla grande e notissima croce di Desiderio sono indagate all’interno della prassi liturgica e devozionale del monastero femminile di San Salvatore - Santa Giulia di Brescia. Reliquie
preziosissime, conservate nella cripta del monastero fondato dal re longobardo Desiderio e
dalla moglie Ansa, le spoglie giuliane diventano prima del Mille l’orizzonte ideologico per
l’autorappresentazione delle monache che, intorno alla croce, costruiscono il loro percorso
di ascesi claustrale di cui la cosiddetta “croce di Desiderio” diventa il naturale corollario nel
collegamento con la passione del Signore in un’originalissima, sapiente e senza precedenti
commistione di arte e di fede.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Massimo De Paoli
Università degli Studi di Brescia
STRUTTURE ARCHITETTONICHE E RESTAURI IN SAN SALVATORE DI BRESCIA
Il saggio propone il rilievo, la restituzione graica e l’analisi architettonica degli spazi della
preghiera del complesso monastico di San Salvatore - Santa Giulia di Brescia, con particolare
riguardo alla basilica desideriana. In particolare, attraverso l’esame dello spazio liturgico e il
rilievo mensorio si evidenziano una serie di dettagli architettonici, decorativi e costruttivi di
grande interesse per la comprensione delle secolari stratiicazioni edilizie, degli usi e degli
interventi di restauro condotti sulla chiesa dalle monache dal Medioevo al Novecento. Ne
risulta una sorta di originale intelaiatura di informazioni che rende oggi il cantiere giuliano un
palinsesto tra più originali e complessi dell’architettura medievale europea.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
ÈETVRTAK, 2. LIPNJA / THURSDAY, JUNE 2
9.00 Aula 1 (hotel Kolovare)
First session continuing / nastavak Prve sesije
Chair: Carmelina Urso
Carla Bino (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), dal “vedere” al “sentire”. Le radici
monastiche del teatro della misericordia (sec. IX-XI)
Fabrizio Bisconti (Università degli studi Roma tre), La rappresentazione di san Benedetto
nelle catacombe di s. Ermete a Roma
second session / druga sesija
Cloistered forms and religious symbols / Forme claustrali e simboli religiosi /
Klaustarski oblici i religiozni simboli
Roberta Cerone (sapienza Università di Roma), “ Hic studet atque legit monachorum cetus
et orat ”. Forma e funzione del chiostro nello spazio del monastero
Gerardo Boto Varela (Universitat de Girona), Planning monastic cloisters in the Iberian
península (siglos VIII-XI): regular layouts and functional challenges
Imma Lorés (Universitat de Lleida), spazi e funzioni nei chiostri monastici dell’anno Mille in
Catalogna
Marcello Angheben (Université de Poitiers), Les portails des cloîtres et des abbatiales
romanes: fonctions et signiications
11.00 – 11.15 pauza / cofee break
Maria Cristina Rossi (sapienza Università di Roma), La decorazione scultorea nei chiostri
dell’italia meridionale come veicolo di rilessione. i casi di Benevento e di monreale
Margherita Tabanelli (sapienza Università di Roma), Il chiostro di san Bartolomeo a Lipari:
sperimentazioni progettuali e decorative nella prima comunità benedettina della sicilia
normanna
Marcello Rotili (seconda Università degli studi di Napoli), spazi monastici a Benevento
Xavier Costa Badia (Universidad de Barcelona) Fundadores y abades. La institución de monasterios a través de pactos entre particulares en la Cataluña carolingia (siglos IX y X)
- Rasprava / discussion
13.30 – 15.30 pauza za ručak / lunch break
15.30
second session continuing / nastavak druge sesije
Chair: Béatrice Caseau
Artemio Manuel Martínez Tejera (Universidad Autónoma de Madrid), Los monasterios
hispanos en la Alta Edad Media (siglos IX-X) y su organización: los espacios de la ‘aldea
espiritual’
Milagros Guardia (Universitat de Barcelona), La vita nella “Valle del silencio” (Il Bierzo): il
monastero di Peñalba de santiago (León) nel X secolo
Gian Pietro Brogiolo (Università degli studi di Padova), Collegiate e monasteri nel basso
adige tra seconda metà X e ine Xi secolo
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Meri Zornija (University of Zadar), From Boka to Bojana: remarks on the pre-romanesque
sculpture of the benedictine monasteries of the southern Adriatic
Ivan Josipović (University of Zadar), Ivana Tomas (University of Zagreb), the Abbey of st.
Chrysogonus in Zadar between Early Christian sculpture and the Romanesque architecture
18.00 – 18.15 pauza / cofee break
third session / treća sesija
Building and working in the monastic world / Costruire e lavorare nel mondo
monastic / Graditeljstvo i rad u monaškom svijetu
Pietro Dalena (Università degli studi della Calabria, CosenzaIl lavoro manuale nelle esperienze monastiche del Mezzogiorno rurale (secc. VI-XI)
Fabio Redi (Università degli studi dell’Aquila), strutture produttive e di servizio nei monasteri rupestri della Cappadocia. Un’esperienza recente di archeologia “leggera”
Paolo de Vingo, Marco Casazza (Università degli studi di torino), time for labour and its
economy. Production systems and management of economic activities in the early
medieval monasteries of Northern Italy
Annika Rulkens (University of Amsterdam), Living and dying on an island. the early building phases of Reichenau
- Rasprava / discussion
ABSTRACTS – SAŽETCI
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Carla Bino
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
DAL “VEDERE” AL “SENTIRE”. LE RADICI MONASTICHE DEL TEATRO DELLA
MISERICORDIA (SEC. IX-XI)
La cultura visuale del Medioevo cristiano è uno dei temi di maggior interesse per la storiograia internazionale che, negli ultimi anni, si è occupata soprattutto del problema della
rappresentazione in relazione alle immagini igurative e al loro statuto, alle dinamiche della
visione e alla dimensione performativa dello sguardo. Sin dagli anni Sessanta del Novecento,
anche gli studi teatrologici si sono orientati verso un’analisi fenomenologica di testi e contesti,
rileggendo documenti e fonti secondo un metodo interdisciplinare e in relazione ad ambiti
diversi. Uno dei risultati più stimolanti che sono emersi è il profondo legame che l’‘azione
drammatica’ intrattiene sia con la costruzione delle immagini mentali e artistiche (determinandone forma e funzione), sia con i meccanismi retorici di scrittura e lettura, basati su tecniche
della memoria locative e assai usati per la preghiera e la meditazione. Oggi è un dato assodato
che la reinvenzione della mnemotecnica in ambito monastico abbia molto a che fare con lo
strutturarsi di quel ‘teatro della memoria’ cristiano di cui parla già Agostino e che, nel corso dei
secoli, si andrà costituendo in una scena mentale di volta in volta nuova, sino ad ‘incarnarsi’,
dal X secolo, in una rappresentazione concretamente agita. Allora gli elementi della retorica
memorativa (inventio, dispositio, ductus, imagines agentes, loci) si ritroveranno in questo teatro
le cui caratteristiche saranno il movimento, i luoghi e le immagini. Rappresentare sarà un isico
agere memoriam, ovvero compiere un percorso, passando di persona da un posto ad un altro,
vedendo prima una scena e poi un’altra ‘al vivo’, quasi partecipandone.
Quest’incrocio tra retorica e drammatica della memoria è particolarmente evidente nell’episodio culminante di tutto il mistero cristiano, cardine teologico, cristologico ed escatologico:
la Passione di Cristo. La Passione è lo snodo drammatico, o meglio è il dramma in sé, poiché
quella del Golgota è la scena dove uomo e Dio sono faccia a faccia, dove c’è la resa dei conti tra
morte e vita, corpo e spirito, dolore e amore. Perciò, il modo in cui si racconta quella vicenda,
quali immagini vengono composte e come si ordinano, come si propone di vederle, in che
misura si partecipa di ciò che si vede sono tutti elementi profondamente legati al mutamento
della spiritualità cristiana nel corso dei secoli.
Ma c’è di più: mettendo al centro del proprio dramma un vero e proprio spettacolo del dolore
e della morte, la croceissione, il cristianesimo dice qualcosa di decisivo a proposito dell’idea
stessa di spettacolo e lancia una sida al concetto di ‘visibile’. Lì, di fronte a un Uomo condannato, nudo, massacrato, morente, ma allo stesso tempo Dio, re, vivo entrano in crisi e vengono
rideinite tanto le dinamiche della visione quanto le caratteristiche dello sguardo e dell’immagine. Lì, emerge in modo inedito l’idea di una responsabilità del vedere, tutta consegnata agli
occhi di chi vede. Lì, lo sguardo diviene azione drammatica, profondamente partecipata, vicina,
sensibile, emotiva. Per tale ragione il teatro cristiano avrà il suo punto apicale proprio nel teatro
della passione, che preferisco deinire ‘teatro della misericordia’, scena del compatire viscerale,
dove il vedere da lontano proprio dello spettacolo si annulla per essere sostituito da un sentire
da vicino, da una compenetrazione di anima e corpo, da una condivisione piena, quasi che due
o più individui fossero uno soltanto.
L’obiettivo del presente intervento è mostrare come le premesse per questo cambio di
prospettiva che passa dal ‘vedere’ al ‘sentire’ siano poste in ambito monastico tra il IX e l’XI e
riguardino il modo con cui nella preghiera e nella meditazione viene visualizzato il corpo di
Cristo in croce e, attraverso di esso, l’intera sua Passione. Si tratta di un mutamento radicale
dell’impianto retorico memorativo con cui la preghiera è strutturata e che è riassumibile in
una variazione del punto di vista e dell’intenzione con cui si guarda. Intendo illustrare questo
cambio drammatico enuclenandone tre tappe attraverso altrettanti esempi testuali. In tutti
e tre i casi cercherò di mostrare come a mutare sia il dispositivo della visione e come da esso
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
dipendano tanto l’impianto scenico quanto l’ordine drammaturgico, quanto, inine, l’esito
emotivo sullo spettatore.
La prima tappa riguarda un ‘imparare’ a vedere il corpo di Cristo sulla nuda croce, vale a
dire ‘come’ vederlo e ‘cosa’ ricordare vedendolo. Gli esempi che porterò saranno alcuni testi
meditativi scritti da Rabano Mauro e da Pier Damiani.
La seconda tappa è relativa ad un primo cambio di intenzione che porta il meditante verso
la condivisione emotiva. Si tratta di un ‘iniziare a compatire’ che determina sia la composizione
di una diversa immagine del corpo di Cristo, sia una nuova qualità dello sguardo con cui vedere
quel corpo, sia l’evocazione di un diverso tipo di ricordo. L’esempio che porterò è Giovanni da
Fècamp.
La terza ed ultima tappa è quella segnata dalla cosidetta ‘rivoluzione afettiva’ di XI secolo
che non si accontenta più semplicemente di vedere il corpo del Signore piagato e morente sulla
croce, ma vuole vederlo stando dentro ad una relazione afettiva, ossai vederelo come se fosse
il corpo di un amato, di una madre, di un iglio, di un fratello. Assumendo una punto di vista
afettivo, dunque, non solo si vede il corpo, ma lo si sente sofrire, e la Passione diviene una
reale esperienza di condivisione del dolore: un isico condolere che implica l’agire. L’esempio
che porterò sarà, ovviamente Anselmo di Aosta.
Inine, mostrerò come a queste tre tappe corrispondano altrettante modiiche del rito
monastico della adoratio crucis la quale, tra IX e XI, va verso un’accentuata dimensione drammatica, segnata da un sempre maggiore ‘realismo’ dei gesti e ‘ripresentatività’ delle azioni: la
croce non è più solo adorata come un segno, ma viene trattata come se fosse il corpo di Cristo,
prima mostrato sul legno, poi deposto e avvolto in lini e, inine, sepolto.
Fabrizio Bisconti
Universita degli Studi Roma Tre
LA RAPPRESENTAZIONE DI SAN BENEDETTO NELLE CATACOMBE DI S. ERMETE
A ROMA
Il grande archeologo maltese Antonio Bosio il 7 dicembre del 1608 visitò un ambiente-oratorio scoperto, già nel 1576, durante la costruzione di una casa di campagna per il Collegio Germanico dei Gesuti, che verrà deinita “La Pariola” . La scoperta rappresentava il primo recupero di
un ambiente catacombale in piena età controriformista anche se questa non fu percepita come
tale, in quanto non si era collegato l’oratorio alla sottostante catacomba di S. Ermete nel complesso di Bassilla sulla via Salaria vecchia. Il monumento si incastonava, infatti, in una grande
basilica ipogea e rappresentava il cuore di una catacomba organizzata in tre piani, che accoglieva
le spoglie del santo eponimo Ermete insieme ai martiri a Proto e Giacinto. Di quest’ultimo si
intercettarono le spoglie alla metà dell’Ottocento e tale scoperta rappresentò un grande avvenimento, poiché dentro al loculo della sepoltura si rinvennero ancora i resti del martire con evidenti
tracce di bruciato. Tornando al nostro oratorio, questo fu di nuovo visto da Sandro Carletti negli
anni centrali del secolo scorso, tanto da poter riconoscere il programma decorativo dell’abside,
restaurata una decina di anni orsono ed ora perfettamente leggibile. Nella calotta superiore si
distende il gruppo ternario del Cristo tra due angeli, mentre in basso la Madonna regina assisa
con il Bambino sulle ginocchia tra i due arcangeli funge da perno per una teoria rappresentata, a
sinistra, da S. Ermete e S. Giovanni e, a destra, da S. Benedetto. Quest’ultima rappresentazione si
propone tra le prime immagini del santo monaco, insieme a quelle ritrovate nella basilica inferiore di S. Clemente. Ambedue le manifestazioni pittoriche, infatti, si collocano agevolmente nel
secondo quarto dell’XI secolo. L’oratorio di S. Ermete suggerisce, per quel tempo, la presenza di
un monastero per custodire il santuario, come accade in altri complessi martiriali del suburbio
romano, quali S. Lorenzo fuori le Mura e S. Sebastiano sulla via Appia.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Roberta Cerone
Sapienza Università di Roma
HIC STUDET ATQUE LEGIT MONACHORUM CETUS ET ORAT. FORMA E FUNZIONE
DEL CHIOSTRO NELLO SPAZIO DEL MONASTERO
Con il termine chiostro si indica nell’architettura monastica (ma anche in quella canonicale)
lo spazio a corte che si trova chiuso tra l’ediicio di culto e l’organismo residenziale, fornito di
gallerie aperte a giorno che corrono lungo il perimetro dell’impianto, di norma quadrangolare.
La funzione centrale che nel corso nel Medioevo la struttura del claustrum viene ad assumere
nello spazio nel monastero è ricordata dall’iscrizione che corre lungo il chiostro del cenobio
romano di S. Paolo fuori le mura. Nonostante sia piuttosto tarda in riferimento ai limiti cronologici di questo convegno (prima metà del XIII secolo), riassume pienamente tutte le funzioni
simboliche e pratiche del chiostro, con la solenne chiarezza che solo la scriptura esposta di
matrice romana riesce a ottenere: “Agmina sacra regit locus hic quem splendor honorat. Hic
studet atque legit monachorum cetus et orat. Claustrales claudens claustrum de claudo vocatur. Cum Christo gaudens fratrum pia turma seratur. Hoc opus exterius pre cunctis pollet in
Urbe. Hic nitet interius monachalis regula turbe. Claustri per girum decus auro stat decoratum
materiam mirum precellit materiatum (…)”.
A dispetto della sua centralità nella scansione della vita regolare, la presenza del claustrum
all’interno dello spazio dei monasteri medievali è tutt’altro che scontata: la sua difusione è infatti
relativamente tarda e, ino al Medioevo centrale, geograicamente limitata all’Europa centrale.
Da qui l’ambiguità che riveste la parola claustrum (o claustra) nelle prime regole di vita comune
e nelle fonti altomedievali, quando il termine poteva indiferentemente indicare l’intero monastero, l’area di clausura o la corte del cenobio. La sua coincidenza con il chiostro vero e proprio si
deinisce solo a partire dal IX secolo quando però, per chiarirne il signiicato, gli scrittori sentono
il bisogno di chiarirne il signiicato, come nel caso di Ildemaro di Corbie (“Claustra enim dixit
de illa cortina, ubi monachi sunt, i.e. quae est inter porticum et porticum”) cui si deve, peraltro,
anche un’approfondita disamina del signiicato del chiostro in rapporto alla Regula Benedicti.
All’incertezza lessicale e al suo progressivo chiarimento corrisponde pienamente la graduale
introduzione dell’impianto claustrale nel panorama dell’architettura monastica. L’analisi delle
testimonianze materiali, infatti, attesta per i primi secoli del Medioevo la prevalenza dell’insediamento/recinto con molteplici oratori sparsi al suo interno (Jouarre, Novalesa), talvolta
collegati con gallerie in legno, al ianco della tipologia più “ordinata” di monastero con la chiesa
e una o due ali abitative disposte attorno a una cortile (Jarrow). In seguito alla riforma anianea
cominciano a comparire i primi chiostri, ma solo in ambito centro-europeo, mentre l’Europa
mediterranea tardò ancora di qualche secolo. La difusione dell’impianto claustrale nei monasteri carolingi sembra dunque andare di pari passo con la generale adozione della regola di
Benedetto da Norcia; il chiostro, d’altronde, permetteva una più razionale disposizione degli
ediici necessari alla vita comune e garantiva il totale isolamento della comunità.
L’introduzione del chiostro in epoca carolingia è cristallizzata nella celebre Pianta di San
Gallo, ma è provata anche da quanto emerso in seguito alle campagne archeologiche a Lorsch e
nella Reichenau-Mittelzell e dalla testimonianza delle fonti che, non senza qualche ambiguità,
sembrano attestarlo in altri contesti (Landévennec, Fontenelle e Jumièges…).
La successiva importante tappa nello sviluppo dell’architettura claustrale è rappresentata dal
cantiere di Cluny che darà il via alla grande stagione del chiostro romanico. Tra XI e XII secolo,
infatti, sulla scia della riforma cluniacense, si registra l’adeguamento all’impianto claustrale delle
maggiori abbazie e la progressiva identiicazione del chiostro con l’essenza della vita regolare
e dunque con il monastero stesso, come evocato in numerosi testi dell’epoca che caricano la
corte porticata di forti signiicati simbolici.
D’altronde, uno sguardo alle coeve Consuetudines che descrivono le attività e gli usi liturgici delle comunità conferma l’importanza crescente delle gallerie claustrali nel quotidiano
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
svolgimento della vita dei monaci e, nel caso di Cluny e di Hirsau, anche nella liturgia. Proprio
l’indagine funzionale attraverso la lettura delle fonti monastiche ino al XII secolo, in relazione ai
dati monumentali e archeologici, vuole essere lo strumento privilegiato del presente contributo,
un approccio inora scarsamente praticato nella comprensione della genesi e dell’evoluzione
della parabola claustrale, a fronte della ricca serie di contributi che hanno afrontato questo
tema focale attraverso altri criteri d’indagine.
Gerardo Boto Varela
Universitat de Girona
PLANNING MONASTIC CLOISTERS IN THE IBERIAN PENÍNSULA (S. VIII-XI):
REGULAR LAYOUTS AND FUNCTIONAL CHALLENGES
As it is well known, the spatial coniguration of cloisters of monasteries and cathedrals,
designed as quadrilaterals with porches and communitarians rooms arranged on the perimeter,
took place since the end of the eighth century. We know their development and consummation
from philological (Fontanelle), documental (Sankt Gallen) and archaeological studies (Munstair,
Lorsch or Fulda). This formula has used in France along the X and XI centuries, as evidenced
by the cloister of Cluny II, what Odilo
(994-1049) received up till then executed in wood. We can to demonstrate the construction
of wooden cloisters in the eleventh century in Catalonia (Lluça), Castilla (Silos). However, it’s
still not well analyzed their relationship with other parts of Europe, as the cloisters promoted
Lanfranc at Bec Abbey (vers 1039), the abbot of Petershausen Thierry
(1086-1116) in Saint-Pierre d’Andelsbuch or Saint-Pierre of Bregenz, the cloister of Zwiefalten
Odolric ordered by Abbot (1095-1109) or the restored Saint-Trond Rodolphe Abbot (1108-1138).
Recent indings in the Catalan monastery of Ripoll raise the possibility that before 1000
had cloisters in the south of the Pyrenees. This cloister should be studied in relation to others
Catalan enclosures, as Sant Cugat (begin 11th c.) with stone portico from the beginning, or the
lower cloister of Rodes. Should be justiied even morphology of these enclosures and contrast
with other early examples from Catalonia as Colera, Gorgs or Cornellà de Conlent. But, when
did rise the iguration at cloister’s capitals?
However, the international literature has not considered the possibility that in the Iberian
Peninsula, from the Visigoth period and then, there were regular cloisters. Perhaps the Carolingian proposals were not the only ield of experimentation around quadrangles cloisters, in
the High Middle Ages Europe.
Immaculada Lorés i Otzet
Universitat de Lleida – IRCVM-Universitat de Barcelona
SPAZI E FUNZIONI NEI CHIOSTRI MONASTICI DELL’ANNO MILLE IN CATALOGNA
Il proposito della presente dissertazione è quello di conoscere gli spazi e le funzioni dei
chiostri catalani nei loro momenti iniziali, mantenendo certa prudenza, a partire dalle strutture
conservate e dalle fonti documentarie.
Come avvenne in altri territori europei, intorno all’anno Mille gran parte dei monasteri delle
contee catalane rinnovarono quasi completamente le loro strutture. Nella gran parte dei casi,
dal punto di vista della pianiicazione, è possibile evidenziare un’integrazione dell’insieme degli
ediici monastici disposti intorno al chiostro come spazio centrale; quest’ultimo diveniva allo
stesso tempo colonna vertebrale del complesso architettonico e cardine della vita monastica.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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L’organizzazione dei diversi ediici intorno al chiostro, tra cui compariva la chiesa, convertiva il complesso architettonico in un tutt’uno organico in apparenza pianiicato per esserlo. Il
chiostro, fulcro dell’ordinamento, risultava essere uno spazio multifunzionale: nesso comunicazionale tra le stanze, luogo di lavoro, di lettura e meditazione, di liturgia, ecc.
Si trattava di un’ottimizzazione e di un ordinamento degli spazi così coerente con gli obiettivi
funzionali da sembrare d’esser stato pianiicato in ogni singolo caso e realizzato a partire da
un progetto architettonico unitario. Nonostante ciò, sull’ipotesi in questione vanno realizzate
delle puntualizzazioni. Nei casi in cui ha avuto luogo una raccolta di dati, riguardanti le fasi
archeologiche connesse all’erezione dei monasteri, ma anche inerenti agli ediici parzialmente
conservati, non si è potuta veriicare l’esistenza di un progetto originario d’ordinamento delle
strutture intorno al chiostro. Com’è possibile osservare nei casi di Saint-Michel di Cuxa, di
Sant Llorenç prop Bagà e di Sant Pere de Rodes, le fasi anteriori all’anno Mille ci restituiscono
un impianto strutturale disgregato, composto dalla chiesa e da uno o due ediici aggiuntivi.
Bisogna inoltre precisare che nei casi succitati l’ediicio principale era disposto in posizione
perpendicolare rispetto alla chiesa, non formando però con quest’ultima una forma angolare.
L’ordinamento delle costruzioni intorno ad un patio centrale divenne una realtà solo a
partire dell’anno Mille, momento in cui è possibile situare la pianiicazione di nuovi ediici
seguendo questa speciica distribuzione. Va però precisato che non sempre si trattava di un
progetto completamente nuovo destinato alla completa rinnovazione degli ediici. I casi già
noti permettono la stesura di alcune interessanti linee di lavoro/ricerca:
Le strutture preesistenti condizionarono il nuovo progetto, integrandosi in esso e mantenendo la loro ubicazione di origine. Questo aspetto può essere veriicato nella fattispecie della
chiesa ma anche di altri ediici monastici. I casi di Cuxa, di Sant Llorenç prop Bagà e di Sant
Pere de Rodes ne sono un valido esempio.
Le nuove costruzioni del XI secolo tendevano a deinire uno spazio aperto all’interno del
monastero che favorisse la comunicazione tra i diversi ediici. Poteva trattarsi di un processo
più o meno lungo nel quale s’integravano strutture anteriori e ne venivano progettate di nuove.
Nel caso delle gallerie porticate non è possibile afermare che precorressero integralmente tutti
i lati di questo spazio giacché si tratta di strutture soggette a modiiche nel corso del tempo.
Sant Pere de Rodes è un caso eccezionale giacché le sue gallerie e i rispettivi elementi decorativi
sono giunti intatti sino ai nostri giorni.
Nella maggior parte dei casi la pianta del XI secolo, la chiesa ed altri spazi monastici sono
sopravvissuti nei secoli. Nonostante dal XII secolo in poi prenda il via la ricostruzione di molte
delle strutture, intervenendo in particolar modo sulla chiesa e monumentalizzando i porticati del chiostro grazie all’introduzione della decorazione scultorea (colonne e capitelli che
fungevano da sostegno per gli archi), l’organizzazione e le dimensioni generali dei monasteri
non cambiarono in maniera sostanziale. Nella maggior parte dei casi gli spazi corrispondenti
ai chiostri dell’XI secolo, ma anche ad altri ambienti, appaiono intatti malgrado la successiva
ediicazione di nuovi porticati. I chiostri di Sant Cugat del Vallès e di Ripoll, perfettamente
deiniti già agli inizi del XI secolo, li convertono in validi esempi al rispetto.
Marcello Angheben
Université de Poitiers
LES PORTAILS DES CLOÎTRES ET DES ABBATIALES ROMANES : FONCTIONS ET
SIGNIFICATIONS.
Depuis le milieu du XIe siècle, le moine franchissant le seuil de son église est progressivement
accueilli par les images peintes ou sculptées d’un portail dont la monumentalité n’a cessé de
croître. Lorsque cet accès s’ouvrait sur un espace accessible aux idèles, le message iguré pouvait
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
s’adresser également à eux, mais dans les rares exemples de portails faisant communiquer le
cloître avec l’église, on peut supposer qu’ils concernaient avant tout la communauté monastique.
Pour illustrer ces deux types de fonctions, la communication présentera les tout premiers
exemples de portails « publics », en commençant par ceux dont le décor est composé de peintures : Sant Pietro de Civate et Saint-Savin-sur-Gartempe. Il sera ensuite question des premiers
portails sculptés qui se situent chronologiquement autour de 1100 : Charlieu, Anzy-le-Duc et
Nonantola.
Pour en comprendre la signiication, il faudra toutefois comparer ces œuvres à celles de la
première moitié du XIIe siècle dont le foisonnement iconique permet une meilleure compréhension des intentions des commanditaires : Moissac, Cluny, Vérone, etc. On verra que ces
portails annoncent généralement la vision théophanique que le moine comme le idèle sont
appelés à contempler à l’intérieur de l’édiice, se référant parfois explicitement à la liturgie
eucharistique, tandis que d’autres exaltent le saint patron du monastère ou délivrent un message d’ordre politique.
En se fondant sur ces observations, il sera possible de dégager les spéciicités des rares portails donnant accès au cloître. Sera d’abord examinée la Puerta de las Vírgenes du cloître de
Silos car c’est le principal exemple que l’on peut situer avant 1100. Il est d’autant plus intéressant
qu’il pourrait évoquer la pratique monastique de la pénitence. L’analyse portera ensuite sur le
portail du cloître de Tarragone, même s’il est plus tardif, car son programme est d’une richesse
sans équivalent dans le monde roman. L’analyse du tympan et des chapiteaux montrera qu’il
se réfère probablement à la pratique de l’ensevelissement dans les galeries du cloître. On verra
également que la théophanie ne se distingue guère de celles de façades publiques et qu’il
importe par conséquent de ne pas établir de séparation rigide entre les deux types de portails.
Maria Cristina Rossi
Sapienza Università di Roma
LA DECORAZIONE SCULTOREA NEI CHIOSTRI DELL’ITALIA MERIDIONALE
COME VEICOLO DI RIFLESSIONE. I CASI DI BENEVENTO E DI MONREALE
Nella complessa struttura monastica, il chiostro costituiva il luogo deputato alla preghiera
e alla meditazione. Per tale motivo, in vista di un convegno di studi dedicato allo “spazio” del
chiostro e dunque al contenitore di una funzione spirituale, si rivela interessante analizzare
quali fossero i mediatori artistici di quella inalità. Non é un caso, a tal proposito, che proprio
quei luoghi isolati e di preghiera, accoglievano una produzione scultorea signiicativamente
dedicata alla “resa per immagini” di testi biblici ed evangelici. E non solo. Il più delle volte, la
decorazione dei capitelli esponevano veri e propri programmi didascalici, con scene desunte
dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, dal simbolico linguaggio bestiario, da un repertorio iconograico esaltante la Regola benedettina, insieme con episodi mitologici e profani.
Si propone dunque l’analisi dei programmi decorativi dei capitelli dei chiostri della chiesa di
Santa Soia a Benevento e del duomo di Monreale, quali esempi signiicativi e rappresentativi
nel panorama artistico dell’Italia meridionale.
Costruito nel XII secolo nell’abbazia benedettina di Santa Soia, fondata quattro secoli prima
dal principe longobardo Arechi II, il chiostro si sviluppa su una pianta quadrata e si costituisce di
ampie arcate ricadenti su pilastri. Protagonisti del chiostro sono i pulvini, elementi architettonici
strutturali a forma di tronco di piramide rovesciata, posti tra il capitello e l’imposta dell’arco e
variamente scolpiti con scene tratte dalle pagine evangeliche e dal mondo animalesco. Accanto
a queste, si ritrovano anche brani della storia benedettina, con San Benedetto e l’esposizione
della Regola, secondo una composizione tipica del registro narrativo miniato. Ecco che la
scultura divenne anche strumento della vita monastica, legata alla celebrazione liturgica, alla
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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meditazione e alla comprensione dei testi sacri. Non è un caso che fu proprio Gregorio Magno,
il papa che propose di Benedetto una lettura nuova, a teorizzare la funzione didascalica degli
ornamenta ecclesiae e della pittura come lectio degli illetterati (Registrum epistolarum, IX,
208). È presente inoltre il gruppo dei Mesi, che pure si ritrova in Sicilia.
Il chiostro di Monreale, addossato alla cattedrale normanna del XII sec., è anch’esso a forma
quadrata, ediicato al tempo di re Guglielmo e caratterizzato dalla ritmica sequenza di 228
colonnine binate che si raggruppano a quattro negli angoli. I capitelli delle colonnine istoriate
sono una mirabile antologia scultorea, frutto del lavoro artistico di diverse maestranze, che
gli studiosi hanno assegnato, per le diverse cifre stilistiche, ad artisti campani, provenzali,
bizantini e musulmani. I temi proposti nei capitelli sono vari e spaziano da quelli sacri a motivi
animaleschi e simbolici. Nei capitelli delle quattro colonnine d’angolo della fontanella posta
nell’area sud-occidentale del chiostro, sono compendiati tutti i dodici mesi dell’anno, nella
tipica rappresentazione di igure intente in occupazioni agropastorali e connotati da una scritta
in latino incisa nella parte superiore della igurazione stessa, riferita al mese rappresentato.
La storiograia del XIX secolo considerò i cicli dei Mesi del Medioevo sia come documenti
di un rinnovato interesse scientiico nei confronti della natura, sia come ammaestramento
morale relativo alla scansione metaforica del tempo della vita del cristiano. La centralità del
tema del lavoro nell’iconograia del calendario comportò sin dall’inizio uno stretto legame con
il ciclo della Genesi. L’inclusione del ciclo dei Mesi in una serie di programmi iconograici
si spiega pertanto con il topos del trascorrere del tempo, quale metafora della vita cristiana:
il lavoro dell’anno è consacrato a Dio e il tempo del lavoro umano equivale al tempo di Dio.
Insieme al calendario compare di solito un gruppo di episodi ricorrenti, tra i quali emergono
la Creazione, la storia di Adamo ed Eva, la Natività, l’Epifania, il Battesimo di Cristo, i vizi e le
virtù e temi propri della cultura profana, come racconti cavallereschi e narrazioni storiche.
Alcuni cicli, oltre a mettere in relazione i mesi con la nascita di Cristo o con la ine dei tempi, si
trasformavano in calendari allegorici dell’era dell’Incarnazione, che rappresentavano il tempo
dell’uomo in attesa della seconda venuta di Cristo.
In Italia la bottega di Wiligelmo e i suoi seguaci realizzarono, tra il 1115 e il 1130, come decorazione di stipiti, le serie dei Mesi della porta della Pescheria della cattedrale di Modena, così
come lo scultore Niccolò sperimentava nel 1138 la formula dei Mesi come decorazione degli
architravi laterali del protiro del portale di S. Zeno Maggiore a Verona. Inluenze antelamiche
sono presenti anche nelle serie del portale mediano del duomo di Parma, nell’archivolto del
1220 del portale centrale di facciata della pieve di S. Maria ad Arezzo e negli stipiti del portale
centrale della facciata della cattedrale di S. Lorenzo a Traù, in Dalmazia, del maestro Radovan.
Nel resto della penisola italiana, tuttavia, la frequenza appare meno uniforme, variando dalla
marcata impronta emiliano-lombarda dei cicli del chiostro di Santa Soia a Benevento del 11591172 e di quello del duomo di Monreale, del 1172-1189, i casi, appunto, che s’intendono esaminare.
Margherita Tabanelli
Sapienza Università di Roma
IL CHIOSTRO DI S. BARTOLOMEO A LIPARI: SPERIMENTAZIONI PROGETTUALI
E DECORATIVE NELLA PRIMA COMUNITÀ BENEDETTINA DELLA SICILIA
NORMANNA
Il cenobio di S. Bartolomeo sull’acropoli di Lipari, fondato da Ruggero I e Roberto il Guiscardo entro il 1085, rappresenta il primo insediamento monastico latino di età normanna in area
siciliana. La comunità, cui fu aidato il compito di regolare il ripopolamento delle isole Eolie
e al cui abate fu conferito dal 1131 il titolo vescovile, dovette essere verosimilmente composta
anche da religiosi italosettentrionali, come sembrano suggerire i nomi di diversi monaci, tra cui
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
il primo abate Ambrogio. L’arcipelago, inoltre, accolse nello stesso periodo gruppi di coloni di
lingua latina, forse provenienti dalle terre d’origine della terza moglie di Ruggero, l’aleramica
Adelasia del Vasto.
Delle strutture medievali sopravvivono oggi parte delle murature perimetrali della chiesa
abbaziale e tre bracci del chiostro con i circostanti ambienti monastici.
Le relazioni redatte in occasione delle visite ad limina Apostolorum dai presuli eoliani
consentono di stabilire che ino al terremoto del 1768 la chiesa presentava una pianta a croce
con transetto triabsidato e unica nave alta et oblonga voltata a crociera. Si tratta di un impianto
ben noto nel mondo monastico e adottato nel Meridione normanno sia per cenobi greci che
dalla nuova Chiesa latina.
Solo successivamente furono aggiunte le navatelle, distruggendo il braccio settentrionale
del chiostro e le prime campate dei due contigui. Gli ambienti claustrali, d’altra parte, erano in
condizioni di semiabbandono da diversi secoli, a causa sia dell’estinzione della comunità monastica nel corso del XIV secolo che dei danni dell’incendio appiccato da Kaireddin Barbarossa al
termine dell’assedio di Lipari del 1544. Le strutture del chiostro sono tornate progressivamente
alla luce a partire dal 1979, grazie all’impegno dell’archeologo Luigi Bernabò Brea.
Gli ambienti monastici circondanti il chiostro appartengono a un cantiere distinto rispetto
alla chiesa, ma l’avvenuto distaccamento tra la testata del transetto Sud e la contigua parete della
sala capitolare non consente di veriicare quale struttura sia stata eretta precedentemente. Non
è da escludere che i lavori siano stati portati avanti in parallelo da diverse squadre, una addetta
alla chiesa e l’altra agli spazi residenziali. A un momento successivo risale invece il chiostro,
che si appoggia ai perimetrali sia dell’ediicio sacro che degli ambienti monastici. La stessa
disposizione dei corpi di fabbrica intorno a un cortile quadrilatero, tuttavia, suggerisce che il
chiostro fosse presente dall’origine a livello progettuale. L’ala orientale a due piani afacciata
sul mare (verosimilmente comprendente sala capitolare e dormitorio), il corpo scala angolare
con duplice arco d’accesso, il vasto ambiente meridionale a due piani con inestre prospettanti
al di sopra del chiostro e la serie di vani minori a Ovest delineano un complesso monastico di
matura progettazione.
La scelta del chiostro a tale altezza cronologica sembra essere un antefatto nel Meridione
normanno. I più antichi chiostri noti con certezza nel Mezzogiorno, ad eccezione del singolare caso di Cava dei Tirreni, si collocano dopo la metà del XII secolo, come Cefalù e S. Soia di
Benevento. Arduo è individuare la causa dell’impianto di tale moderna soluzione a Lipari. Si
potrebbe forse pensare a una scelta dettata dalla provenienza dell’abate e di parte della prima
comunità, dato che nel Nord Italia, tendenzialmente più rapido nella recezione delle tendenze
architettoniche europee, l’apparizione dei primi chiostri si colloca per lo meno nei primi
decenni del secolo. Isolata – e rara anche a livello europeo - è pure l’adozione di una copertura
a crociera per le corsie, che può ragionevolmente essere stata dettata dalla scarsità di legname
idoneo sull’isola. Le volte esibiscono elementi di relativo arcaismo come le nette nervature, un
leggero andamento cupoliforme e una certa irregolarità di imposta, ma non necessitano di archi
formeret e trasversali, il che ben si sposa con una datazione ai primi decenni del XII secolo.
L’ipotesi di W. Krönig di spostare verso la ine del XII secolo gli ambulacri di Lipari, curiosamente motivata da una presunta “mancanza di presupposti per un’architettura monumentale
già nella prima generazione dei conquistatori” che ignora l’impressionante serie di fabbriche
avviate tra la ine degli anni Cinquanta e gli anni Novanta dagli Altavilla, non è a mio avviso più
sostenibile. Da un lato la confezione complessiva con doppio giro di colonne e volte a crociera
non accenna in alcun modo ai supposti prototipi di Cefalù e Monreale, dall’altro la scultura
architettonica non sembra suscettibile di una datazione così bassa. E questo non tanto per
la scarsa credibilità in termini di mimesis delle igure animali e degli ornati vegetali – perché
scalpellini di poca abilità non sono mancati in tutte le epoche – quanto per la composizione del
programma decorativo. Mancano infatti totalmente le scene narrative, che soprattutto da metà
XII proliferano sui capitelli dei chiostri italiani, e la igurazione si riduce a sagome di animali
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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– spesso di ardua identiicazione – disposte isolatamente su ciascuna faccia delle imposte. Lo
stesso repertorio geometrico e vegetale sembra appartenere alla tradizione protoromanica di
XI secolo: intrecci spigolosi, vortici e penduli elementi vegetali racchiusi da girali.
Pur ammettendo un certo attardamento delle maestranze attive a Lipari, se il cantiere
fosse stato intrapreso sulla scia delle iniziative reali di Cefalù e Monreale almeno qualche
tentativo, seppur naïf, di replicarne le novità dovrebbe palesarsi. La squadra di scalpellini di S.
Bartolomeo, composta a quanto pare da uno o due “maestri” di maggiore abilità e da un certo
numero di aiuti – forse improvvisati - di una gofaggine tale da ostacolare non solo l’esecuzione
di tracciati molto semplici ma anche la stessa corretta squadratura dei blocchi, non esce mai
dal seminato del repertorio protoromanico. Credo sia possibile circoscriverne l’attività entro i
primi decenni del XII secolo, senza dover forzatamente legare l’avvio del cantiere alla creazione
della diocesi nel 1131.
Il chiostro di S. Bartolomeo rappresenta uno dei più emblematici episodi della strategia
normanna di “latinizzazione” religiosa e culturale del Meridione, che si è espressa con maggiore
forza laddove le esigenze politiche lo suggerivano e che ha inito per prevalere nel corso del
XII secolo, una volta terminata l’utilità mediatrice nei confronti delle popolazioni autoctone
del monachesimo greco.
Marcello Rotili
Seconda Università degli Studi di Napoli
SPAZI MONASTICI A BENEVENTO
Nell’alto medioevo il tessuto urbano di Benevento appare caratterizzato da una densa maglia
di cenobi, dislocati nei settori nevralgici della città. Dall’esame delle fonti scritte e materiali
risulta poco più di una decina di istituzioni monastiche (maschili e femminili), ubicate nel
perimetro urbano: dall’area nord-orientale alla Civitas nova, dalla zona vicina all’insula episcopalis a quella prossima all’arco di Traiano (la Port’Aurea delle fonti medievali). Sedi monastiche
sono altresì note anche nel comprensorio extra moenia, lungo i principali assi viari, quali le
vie Appia e Traiana.
Si tratta di fondazioni in gran parte riconducibili alla committenza ducale beneventana che
evidentemente gestiva lo spazio urbano anche attraverso questi complessi religiosi provvisti di
patrimoni fondiari adeguati al loro sostentamento.
Centri illustri di conservazione e di trasmissione culturale e sedi della devozione dell’aristocrazia longobarda, i monasteri riuscirono a giocare in taluni casi, attraverso i propri abati,
un signiicativo ruolo nello scenario politico.
Xavier Costa Badia
Universitat de Barcelona
FUNDADORES Y ABADES. LA INSTITUCIÓN DE MONASTERIOS A TRAVÉS DE
PACTOS ENTRE PARTICULARES EN LA CATALUÑA CAROLINGIA (SIGLOS IX Y X)
En los condados catalanes, después de su incorporación al Imperio Carolingio y de poner
in a varias décadas de domino musulmán, se establecieron un importante número de monasterios. Tradicionalmente, se ha considerado que, si bien es cierto que en los condados más
occidentales los hispani huidos del mundo islámico pudieron tener cierta relevancia en este
lorecimiento monástico, en los sectores más orientales fueron los condes y obispos sus principales instigadores y patrocinadores.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
No hay duda que los condes catalanes fueron grandes mecenas de monasterios, aunque
debamos esperar hasta el último cuarto del siglo IX para encontrarnos con las grandes fundaciones condales como Santa Maria de Ripoll. Por lo que a los obispos respecta, tampoco debe
dudarse de su papel reorganizador del monacato catalán; sabemos, por ejemplo, que antes del
814 el obispo Posidonio de Urgel recibió un precepto del futuro emperador Luis por el cual se le
autorizaba a fundar cenobios en los yermos del isco. Sin embargo, creo que debe cuestionarse la
atribución mayoritaria de las fundaciones urgelitanas a la acción episcopal, pues si descartamos
las hipótesis sustentadas únicamente sobre la dotalia de la catedral de Urgel, hoy considerada
falsa por la inmensa mayoría de los investigadores, sólo se le puede atribuir este origen a uno
de los veinte monasterios de esta diócesis documentados antes del siglo X.
A la luz de estas novedades, debemos replantearnos cómo se produjo y quién impulsó el
renacimiento monástico que siguió a la llegada de los carolingios al noreste peninsular. En este
sentido, creo interesante volver la mirada hacia las fundaciones de Sant Vicenç de Gerri y Sant
Esteve de Servàs, tradicionalmente marginadas del discurso general por el escaso papel que en
ellas jugaron condes y obispos. Estos dos cenobios, ambos ubicados en el condado de Pallars, a
escasos kilómetros uno del otro, nacieron del pacto entre un individuo preeminente, que aportaba la fábrica monástica, y el resto de la comunidad, que le recompensaba con su obediencia y
reconocimiento; un tipo de fundación que, a pesar de sus muchas particularidades, hunde sus
raíces en la tradición pactista del monacato visigodo, como también lo hicieron los numerosos
monasterios que bajo este signo surgieron en el noroeste peninsular y zona de Castilla.
En el presente trabajo, por lo tanto, he estudiado en profundidad estos pactos, analizando sus
características formales, los personajes que en ellos intervinieron y el contexto en que nacieron,
ya que es difícil creer que todos los monasterios registrados en los primeros decenios del siglo
IX aparecieran de la nada, sin un proceso fundacional o un sustrato anterior que los avalara. Del
mismo modo, también he intentado analizar si el modelo fundacional de Gerri y Servàs se podría
aplicar a otros de los monasterios del antiguo obispado de Urgel, pues, como he comentado, a día
de hoy desconocemos cómo nacieron la mayoría de ellos. En este sentido, he alcanzado algunas
conclusiones interesantes que reducen el papel otorgado a los poderes francos, condes y obispos,
y ponen el acento en el papel que jugó la población local en todo este proceso.
Artemio M. Martínez Tejera
Universidad Autónoma de Madrid
LOS MONASTERIOS HISPANOS EN LA ALTA EDAD MEDIA (SIGLOS IX-X) Y SU
ORGANIZACIÓN: LOS ESPACIOS DE LA ‘ALDEA ESPIRITUAL’
THE ORGANIZATION OF HISPANIC MONASTERIES IN THE HIGH MIDDLE AGES
(IX-X CENTURIES): THE SPACES OF THE ‘SPIRITUAL VILLAGE’
Aunque pueda parecer paradójico, nuestros conocimientos sobre el fenómeno monástico
hispano en la Antigüedad Tardía (ss. IV-VII) superan a los que poseemos para la Alta Edad Media
(ss. VIII-X). En el caso de las fuentes escritas, la superioridad es incuestionable, pues para los
siglos altomedievales carecemos de testimonios escritos como los ofrecidos por San Fructuoso
o San Isidoro en el siglo VII y en sus respectivas reglas, autores con dos visiones muy distintas
de la vida monástica que quedaron relejadas en dos regulae monásticas, en dos reglas para
monjes. O lo que es lo mismo, dos maneras de entender el espacio para la vida cenobítica: una,
la fructuosiana, de un cariz netamente oriental, y la otra, la isidoriana, más occidentalizada,
dependiente de la regula sancti Benedicti.
Lo que si nos encontramos en la Alta Edad Media hispana es una cristiandad dividida a
partir del s. VIII y una iglesia bicéfala con dos sedes episcopales y metropolitanas que pugnan
por el liderato cristiano en Hispania: Oviedo y Toledo. Por un lado se encuentran los cristia-
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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nos libres que residen en los reinos cristianos del norte de la Península Ibérica y, por otro, los
cristianos que vivieron en los territorios dominados por el islam. Entre estos últimos, entre los
cristianos que vivieron en territorio sometidos, los hubo que irmaron un pacto de convivencia
(especialmente las comunidades ligadas a centros urbanos) y otros que se resistieron al nuevo
dominador. Los primeros son los cristianos dhimmíes o ‘cristianos del pacto’, aquellos que
decidieron pagar impuestos para conservar su religión y sus tradiciones; cristianos a los que la
historiografía tradicional denominó ‘mozárabes’ y a los que consideró ‘cristianos arabizados’,
los autores de los ediicios altomedievales monásticos que salpicaron el paisaje del reino del
León durante los siglos IX-X. Unos cristianos de al-Andalus que vieron muy mermadas sus
posibilidades de fundar monasterios, y no solo por la legislación islámica al respecto (más permisiva en unos momentos que en otros), también por las autoridades cristianas. Solo los nobles
fundaron monasterios en al-Andalus, al menos eso es lo que dicen las fuentes. Una situación
muy distinta a la vivida en los reinos cristianos del norte, donde reyes, nobles y obispos fueron
los grandes impulsores del monacato.
Sin embargo, diversos estudios apuntan, desde principios del s. XXI, a que los verdaderos
‘cristianos arabizados’ de la Hispania altomedieval no fueron los dhimmíes, sino los ex-muladíes (cristianos convertidos al Islam que retornan a la fe cristiana) o bien los ‘nuevos cristianos’
de la Alta Edad Media hispana, los musulmanes convertidos al Cristianismo. Estos ‘cristianos
nuevos’ fueron quienes patrocinaron, entre los años 899-904, las “bellas y cuidadas” iglesias de
Bobastro (Ardales, Málaga). Menos noticias tenemos de los ‘cristianos rebeldes’, aquellos que se
resistieron a irmar pactos con el nuevo poder dominante y que se refugiaron en las montañas
cordobesas, granadinas o malagueñas.
¿Cómo inluyó esta compleja realidad histórica en la evolución del espacio cenobítico altomedieval hispano? Esta es la cuestión que venimos a analizar aquí por vez primera, pues nunca
antes se había realizado un análisis comparativo del espacio monástico entre ambos ámbitos:
el cristiano del norte y el cristiano al-Andalus. Respecto al espacio en el que el monje hispano
desarrolló su vida espiritual, la Historia del Arte ha ofrecido reconstrucciones idealistas poco
ajustadas a la realidad, mientras que la Arqueología ha aportado muy poco a lo ya conocido por
las fuentes escritas, hasta el momento nuestra mayor y más creíble fuente de información; y
estos, los textos y documentos, lo que parecen indicar es que durante los siglos IX-X el espacio
monástico hispano todavía resultaba personalista, difícil de encorsetar en tipologías, tal y como
sucedía en la Antigüedad Tardía.
A falta de textos monásticos (reglas) será la actividad fundacional desplegada por personajes
como San Genadio de Astorga o San Rosendo de Dumio, dos abades-obispos, la que ahora nos
informe de las pautas de habitabilidad establecidas (infraestructura y organización) para las
‘aldeas espirituales’ altomedievales, al menos en lo que importa a los reinos cristianos del norte
de Hispania, especialmente en los territorios de la antigua Gallaecia, ahora, en la alta Edad
Media, reino de León, pues el fenómeno monástico altomedieval en al-Andalus y en territorios
sometidos todavía está por estudiar (como también lo está el papel desempeñado por los exmuladíes y los ‘nuevos cristianos’).
Milagros Guardia
Universitat de Barcelona
LA VITA NEL «VALLE DEL SILENCIO»: IL MONASTERO DI PEÑALBA DE
SANTIAGO (LEÓN) NEL X˚ SECOLO
All’inizio del X secolo, per iniziativa di Alfonso III, monarca di León, e del monaco-vescovo
Genadio, venne fondato un monastero dedicato a san Jacopo nei monti del Bierzo. L’intensiicarsi
di fondazioni cenobitiche in questi paraggi era volto a mantenere, o recuperare, il prestigio che
la regione aveva avuto in epoca visigota per l’azione dei santi Fruttuoso e Valerio.
48
23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Accanto alla pietra alba (Peñalba) si conserva tuttoggi la chiesa dedicata a san Jacopo nella
cui abside occidentale, luogo di sepoltura privilegiata, era venerato il corpo del santo fondatore.
Questa chiesa è fra le architetture più rilevanti del X secolo ispanico. Nonostante ciò, la data
precisa di essa è ancora oggetto di dibattito. Un documento del 937 ci tramanda la decisione,
presa su iniziativa del vescovo di Astorga, Salomone, di trasferire in un luogo più adeguato il
monastero di S. Jacopo nel quale doveva essere accolto il sepolcro del suo predecesore, Genadio. D’altro canto, nella navata della chiesa si conservava, sempre a vista, un’iscrizione che
indicava l’anno della consacrazione, nel 1105, data che non può, però, che corrispondere a una
nuova consacrazione della chiesa dovuta all’introduzione della nuova liturgia franco-romana
che sostituiva il rito ispanico.
Recentemente è venuta alla luce, dopo il restauro, una straordinaria decorazione pittorica;
l’afresco copre per intero i muri dell’ediicio e non c’è dubbio che siamo di fronte alla prima
decorazione pittorica della chiesa. In studi precedenti credo di aver dimostrato, a partire
dall’analisi comparativa e contestualizzata dei temi e delle composizioni di questa decorazione,
che essa non può essere anteriore alla metà del X secolo. Gli spettacolari debiti provenienti
dall’arte califale di Cordova non consentono altra cronologia.
L’iscrizione dipinta nella modanatura da cui parte la volta dell’abside, il cui contenuto è il
soggetto del mio intervento, condivide con quella decorazione tecnica e momento di escuzione.
Nonostante la diicile restituzione del testo integrale, la lettura che propongo ci consente di
aprire nuovi interrogativi sulla cronologia dell’ediicio. Infatti, oltre al riferimento alle reliquie
di diversi santi, l’iscrizione conclude con una esplicita menzione a Salomone, vescovo di Astorga, e a una data, l’anno 937. In seguito all’analisi comparativa del contenuto a partire da altre
iscrizioni della regione, ma consideando anche le rare iscrizioni dipinte conservate, alcune più
tarde, giungiamo alla conclusione che essa fu concepita per commemorare pubblicamente la
volontà di Salomone di construire la chiesa. Mancano purtroppo alcuni elementi essenziali
delle iscrizioni di consacrazione –come il giorno preciso– e si è perso il verbo che potrebbe
fare chiarezza sul fatto. Trattandosi di un’iscrizione dipinta non c’è dubbio che fu eseguita
nello stesso momento in cui la chiesa fu decorata, ciononostante, la data a cui fa riferimento
non è necessariamente né quella della decorazione né della consacrazione dell’ediicio. Non
c’è dubbio che esso fu cominciato nel 937 ma altri documenti conservati suggeriscono che ci
furono donazioni nel X secolo, durante tutto il processo di costruzione. Quindi, la conclusione
dei lavori, e con essi degli afreschi, la cui analisi in relazione alla recezione dei modelli califali
mostra gli stretti contatti fra il regno di León e il Califato di Cordova, non poté essere anteriore
alla metà del X secolo.
Durante tutto il periodo di attività del cenobio, che non andò oltre la ine del XII secolo,
lo spazio del coro dei monaci, quello a più alta frequentazione dell’intera chiesa, fu “animato”
da numerosi graiti incisi ad opera, indubiamente, dei monaci. Graiti nei quali, e al di là dei
luoghi comuni su questo tipo di intervento, in modo insistente viene fuori il nome di Genadio,
e di altri abati che sotto la sua protezione furono sepolti nello spazio funerario creatosi intorno
alla sua tomba e che inglobò l’intero settore nord e l’abside occidentale dove gli si rendeva onore.
Gian Pietro Brogiolo
Università degli Studi di Padova
COLLEGIATE E MONASTERI NEL BASSO ADIGE TRA SECONDA METÀ X E FINE XI
SECOLO
Il territorio del basso Adige, già dipendente dalla città di Este e in età carolingia comitato
di Monselice, tra il 952 (istituzione della Marca di Verona da parte di Ottone I) e la ine dell’XI
secolo (nell’età di Matilde) assume un ruolo chiave, economico e politico, nei rapporti tra
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
49
l’impero e l’emergente Venezia. In questo periodo vi dominano personaggi di grande rilievo
che si muovono al vertice dell’impero: da Ugo il grande di Tuscia ad Alberto Azzo II (996-1097),
fondatore della casa estense, padre del duca di Baviera Guelfo IV ed uno dei protagonisti della
lotta per le investiture al ianco di Matilde di Canossa che, a 43 anni, ne sposerà il sedicenne
nipote. Accanto a questi si muovono i vescovi di Padova, pur essi protagonisti delle vicende
politiche del tempo: da Gauslino (964-1010) a Olderico (964-980) e Sinibaldo (1112-1123).
Un rilesso della centralità del basso Adige si coglie nell’alto livello architettonico delle fondazioni religiose, delle quali, grazie a recenti ricerche multidisciplinari, è ora possibile proporre
piante, sequenze e cronologie.
Nel convegno, limitatamente alle collegiate che evolvono in monasteri, verranno discussi
l’articolazione planimetrica, le diferenti funzionalità degli spazi destinati alla residenza, all’accoglienza, alla liturgia comunitaria, al culto delle sante reliquie e alle sepolture dei conversi e
degli aristocratici fondatori.
Meri Zornija
University of Zadar
FROM BOKA TO BOJANA: REMARKS ON THE PRE-ROMANESQUE SCULPTURE OF
THE BENEDICTINE MONASTERIES OF THE SOUTHERN ADRIATIC
The presentation will discuss the pre-Romanesque reliefs from the sites on which, according
to written sources and archaeological conirmations, benedictine monasteries were located.
Analysis of its stylistic features enables its more precise dating, based on which a wider picture
of arrival and development of the Benedictine Order in this area will be provided. The questions of the direction of their arrival, routes of expansion as well as cultural ties with neighboring areas will also be considered. The oldest monasteries in this part of the eastern Adriatic
coast were founded in the Bay of Kotor in the early 9th century at the latest. However, special
lourishing of the Order followed in the irst half of the century, when the newly established
monasteries are distributed on four important strategic points in the bay, no doubt with the
aim to Christianize the newly arrived Slavic population. In all of these locations fragments of
stone liturgical equipment of their churches can be attributed to the production of the Kotor
Stonecarver’s Workshop, which allows their precise dating. At the end of the 9th or during the
10th century the female branch of the Order has arrived in Kotor, and the evidence of their
presence is recognized in the fragments of reliefs found in today’s Franciscan monastery. This
was a period when the further spread of the order to the south is taking place, which is best
illustrated by the few fragments from the site of Ratac north of Bar. As for the inal phase of
pre-Romanesque period, we are able to recognize at least the echoes of the 11th century reform
of the Benedictine Order, as testiied by the inscription of the master Regolus in the church in
Bogdašići, with the inluences of the beneventan script. In the area of sclavinia Duklja, as it was
two centuries ago with neighboring Croats, also comes to the interaction between the Benedictines and the political elite – the ruling dynasty of Vojislavljevići founded the monastery of
St. Sergius and Bacchus on the river Bojana, establishing here their family mausoleum. Recent
archaeological excavations give indications of the presence of the Benedictines at some other
sites in the Duklja’s hinterland, about which the future research will certainly provide answers.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Ivan Josipović
University of Zadar
Ivana Tomas
University of Zagreb
THE ABBEY OF ST. CHRYSOGONUS IN ZADAR - BETWEEN EARLY CHRISTIAN
SCULPTURE AND THE ROMANESQUE ARCHITECTURE
The monastery of St. Chrysogonus in Zadar was one of the most notable Benedictine abbeys
on the eastern Adriatic coast. The monastery was irst mentioned in the irst half of the tenth
century, but we have very little knowledge about the earliest (Benedictine) building. The present-day church of St. Chrysogonus, consecrated in the year of 1175, is a monumental three-nave
basilica and one of the most signiicant Romanesque religious monument in the east Adriatic
region. Monastery was repealed by the French administration in 1806 and after that used for
various functions. Conservation and restoration work headed by Ćiril Metod Iveković (1911-1914)
which was carried out on the church led to the discovery of Romanesque parts of the church
and former monastery. Besides that, several interesting fragments of Early Medieval sculpture
were found. During the Second World War the ex-monastery complex was completely destroyed,
but fortunately there was no major structural damage to the church building.
One of the aims of the paper is to discuss the problem of the irst church and monastery
of St. Chrysogonus - therefore special attention will be given to the interpretation of Early
Medieval and Early Christian fragments of liturgical furnishings and architectural decoration
found in the well-preserved Romanesque monument. Attention will also be focused on the
Romanesque church, especially on the interpretation of its architecture and surviving remains
of architectural sculpture, and architectural inluences that has always been in the center of
scientiic interest. The purpose of this paper is to improve the past knowledge of the Benedictine
monastery in Zadar, which will contribute to a better understanding of Benedictine (medieval)
monuments of the eastern Adriatic coast and the adjacent area.
Pietro Dalena
Università degli Studi della Calabria, Cosenza
IL LAVORO MANUALE NELLE ESPERIENZE EREMITICHE E CENOBITICHE DEL
MEZZOGIORNO RURALE (SECC. VI-XI)
Il monachesimo tardoantico del Mezzogiorno d’Italia è scandito da poche esperienze per
lo più concentrate in aree urbane o preurbane che esauriscono la loro vitalità già agli inizi del
VII secolo. La difusione più omogenea la si riscontra a partire dal IX-X secolo, con forme di
aggregazione e di spiritualità del tutto nuove rispetto al monachesimo tardo antico. Un decisivo impulso alla monacazione (sperimentata nelle tre forme ricordate nella scala Paradisii di
Giovanni Climaco) si ha in alcune regioni, in particolare quella calabro-lucana, dove monaci di
provenienza sicula e d’ispirazione orientale praticando l’anacoresi anche in forme cenobitiche
col lavoro manuale fondano monasteri, curano l’accoglienza e l’attività scrittoria, urbanizzano
il paesaggio e vi sviluppano una fertile economia agro-pastorale. Il monaco e il monastero
diventano referenti religiosi ed economici dei villaggi (anche rupestri) e delle aggregazioni
demiche che si formano attorno. E il lavoro manuale (la cui importanza è richiamata tanto
nella Regola di Benedetto, quanto nelle diataxeis di Basilio Magno e nei typikà dei monasteri
italo-greci) è inalizzato al bene comune del monastero nella sua duplicità di funzione economica e di esercizio spirituale espresso nella pittura.
Diverso l’atteggiamento del monachesimo latino che, dalla metà dell’XI secolo e con
l’auspicio normanno, si espande in modo pressoché omogeneo nel Mezzogiorno: si organizza
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
51
in forme generalmente cenobitiche e avvia una radicale trasformazione del paesaggio agrario
attraverso i villani ascrittizi. Forme di vita cenobitica ed eremitica dei monachesimi coesistono
in alcune regioni (come Calabria e Lucania) le cui peculiarità morfologiche e la pregnanza
dell’esperienza monastica italo-greca si prestavano a soddisfare larvate pratiche eremitiche.
Ne è riprova la lettera di Bruno di Colonia a Raoul il Verde, invitato a raggiungerlo in Calabria,
nella zona delle Serre, per condividere nella preghiera l’amenità dei luoghi solitari. L’anacoreta e
l’eremita realizzano l’ascesi attraverso la vita solitaria e la contemplazione (eremia ed esukia); e il
lavoro manuale risulta pressoché assente o limitato alla realizzazione di qualche icona rupestre.
Il lavoro manuale, invece, considerato pratica ediicante per il cenobita, incarna pienamente
lo spirito della tradizione benedettina sintetizzato nell’Ora et Labora.
Ma se si eccettuano le esperienze eremitiche di Guglielmo da Vercelli e di Giovanni Scalcione da Matera che maturano (ine XI - prima metà del XII secolo) anche in contesti rupestri
grecizzati della Puglia (ma fondano la Congregazione Benedettina di Montevergine e la Congregazione degli Eremiti Pulsanesi con caratteristiche cenobitiche), il Mezzogiorno verso la ine
dell’XI secolo si va latinizzando in aggregazioni di tipo cenobitico, variabili da luogo a luogo,
su impulso delle potenti abbazie di Montecassino e Cava dei Tirreni. E se Montecassino punta
perspicuamente sul monopolio delle attività assistenziali, Cava, invece, apprezza maggiormente
le attività manuali (dalle attività agropastorali alla cura dei codici) che consentono un deciso
ampliamento della giurisdizione e un cospicuo sviluppo economico.
Fabio Redi
Università degli Studi dell’Aquila
STRUTTURE PRODUTTIVE E DI SERVIZIO NEI MONASTERI RUPESTRI DELLA
CAPPADOCIA. UN’ESPERIENZA RECENTE DI ARCHEOLOGIA “LEGGERA”
Una ricerca di archeologia “leggera” condotta nel biennio 2002-2003 nel distretto di Ürgüp
in Cappadocia ha fornito alcuni dati signiicativi nell’organizzazione interna e del territorio
dei numerosi insediamenti monastici rupestri ancora largamente presenti.
Secondo le raccomandazioni che Girolamo invia al monaco Rustico di Tolosa nel 411, l’attività
agricola e l’indispensabile canalizzazione delle acque per l’irrigazione ha lasciato segni evidenti
riconducibili alla presenza monastica di VI-VII secolo, ma anche altre attività a essa connesse,
come l’allevamento di colombi e di api e la coltivazione della vite, hanno lasciato tracce cospicue
negli insediamenti rupestri del territorio.
La relazione al Convegno IRCLAMA 23 che presentiamo tocca sinteticamente i seguenti
argomenti:
Organizzazione dei terreni agricoli e irrigazione;
Allevamento dei colombi e produzione di concime;
Allevamento delle api e produzione di miele;
Viticoltura e produzione di vino;
I cereali e la farina: granai e molini;
analizzando e interpretando le strutture materiali superstiti e considerando il loro signiicato
all’interno della vita monastica e l’impatto ambientale nella gestione del territorio da parte dei
monaci.
Un ultimo capitolo riguarda i luoghi dell’elaborazione e del consumo comunitario dei cibi,
cioè:
Cucine e refettori: forni, fornelli, acquai, dispense.
Il problema principale, derivante dalla natura stessa degli ambienti e delle strutture analizzati, cioè dalla loro qualità di manufatti in negativo, realizzati tagliando anziché aggiungendo
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
materia, e dalla diacronia desumibile in molti casi dalle interferenze stratigraiche fra diversi
interventi, appunto la cronologia degli stessi e l’esatta attribuzione a forme associative laiche o
monastiche, troglodite, preromane o romane, bizantine o islamiche, frequentemente può essere
superato da un’attenta indagine stratigraica e dall’evidenza di alcuni indicatori cronologici.
Ne risulta un quadro accettabile di vita monastica dedita al lavoro manuale e alla contemplazione.
Paolo de Vingo
Università degli Studi di Torino
Marco Casazza
Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
TIME FOR LABOUR AND ITS ECONOMY. PRODUCTION SYSTEMS AND
MANAGEMENT OF ECONOMIC ACTIVITIES IN THE EARLY MEDIEVAL
MONASTERIES OF NORTHERN ITALY
The working time management in the monastic world evolved, starting from the agriculture,
which was fundamental for the survival of each community. Its evolution was related to the
conspicuous number of land donations to the monasteries. The organization of productivity
in a larger number of properties greatly inluenced in the formation of post-Roman European
civilization, as diferent case studies can demonstrate.
In particular, the agricultural performance was gradually shared and leaved to the lay
brothers, who transformed the landscapes both around and far from the monasteries. Grain
growth, viticulture, forestry, farming and their associated technologies were newly developed.
The balanced and sustainable integration between resources and production capacity, based
also on the key role played by the value of stabilitas, provided the conditions for developing a
main component of early-medieval economy in Europe.
Monks were in charge of the management of such a system, where the generated surplus –
considering also the handcraft products – was either donated to the poor or commercialized.
Diferent economic circuits were triggered, supporting the growth of trade and commerce (e.g.:
the organization or participation to diferent fair and markets). This, in turn, supported the
enlargement of import-export business, whose proits were used both to buy locally unavailable
commodities (e.g.: olive oil) and precious objects to adorn the monasteries.
Annika Rulkens
University of Amsterdam
LIVING AND DYING ON AN ISLAND. THE EARLY BUILDING PHASES OF
REICHENAU.
During the irst two centuries of its existence, the monastery on the island of Reichenau
(founded in 724) witnessed a number of building phases. In this paper, I will argue that the
development of the monastic architecture went hand in hand with and is illustrative of the
maturation of the community in other respects. The evidence from Reichenau shows clearly
how an early medieval monastic community sought to adapt its living environment to a vibrant
and constantly changing religious, economic and political situation, and how it managed to
do so without disrupting monastic life.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
53
The early ninth-century abbey church of Reichenau can be seen as something of a hybrid,
combining elements from various (local) building traditions with ideas and relics from much
further aield. Due to the monks’ appropriation of these elements and their adaptation to the
local situation, they can be shown to have merged seamlessly.
The case of Reichenau is exemplary for Carolingian monastic architecture, not because
it showcases a standard design, but because it illustrates how each community shaped and
continued to re-shape its own living environment.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
PETAK, 3. LIPNJA / FRIDAY, JUNE 3
9.00 Aula 2 (sveučilište u zadru, svečana dvorana / university of zadar, Great Hall)
third session continuing / nastavak treće sesije
Chair: Pietro Dalena
Alessandro Di Muro (Università degli studi della Calabria, Cosenza), Vivere e morire in un
centro di pellegrinaggio: san Michele di Olevano sul tusciano (secc. VIII-IX)
Antonio Macchione (università degli studi della Basilicata, Potenza), da san nilo all’afermazione del monachesimo latino in Calabria
Nicolas Reveyron (Université Lumière-Lyon 2), Vivre et mourir au cloître. Les interférences du
chantier de reconstruction dans l’organisation de la vie monastique
Paola Galetti (Università degli studi di Bologna), Civiltà del legno: il monastero
11.00 – 11.15 pauza / cofee break
Vasco La Salvia (Università degli studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara) I possedimenti monastici
in aree minerarie nell’Italia alto medievale: strutture economiche e del potere
Simona Gavinelli (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano) Leggere e scrivere nel chiostro
Flavia De Rubeis (Università Ca’ Foscari, Venezia), Lo “scriptorium” di san Vincenzo al Volturno
in Italia meridionale: mito o realtà?
- Rasprava / discussion
13.00 – Prezentacija 22. broja HORTUS ARTIUM MEDIEVALIUM-a / Presentation of the 22nd
issue of HORTUS ARTIUM MEDIEVALIUM
13.45 – 16.00 pauza za ručak / lunch break
16.00
third session continuing / nastavak treće sesije
Chair: Imma Lorés
Mattia Cosimo Chiriatti (Universitat de Barcelona), Lo “scriptorium” del monastero di san
Nicola di Casole (Otranto, Lecce) secondo la testimonianza del “typikon” (Codex taurinensis Gr. C III 17): un’analisi storico-letteraria
Lucinia Speciale (Università degli studi del salento, Lecce), L’“École bénedictine” tra mito
storiograico e realtà. montecassino, san vincenzo al volturno e le origini della pittura
benedettina
Fourth session / Četvrta sesija
Asceticism of the food, attendance and charity / Ascesi del cibo, assistenza e carità
/ Asketizam s hranom, asistencije i dobročinstvo
Giulia Oroino (Università degli studi di Cassino), Mangiare la parola: il refettorio come luogo
di nutrimento spirituale
Béatrice Caseau (Université Paris-sorbonne), La table monastique à Byzance : la question de
l’égalité ou de l’inégalité (4e siècle-14e siècle)
Antoni Riera i Melis (Universidad de Barcelona), Alimentación y ascetismo en los monasterios
de la Hispania visigoda (siglos VI-VII)
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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18.00 – 18.15 pauza / cofee break
Federico Marazzi (Università suor Orsona Benincasa, Napoli), Un’ascesi incompleta? Cibo e
cucina a san Vincenzo al Volturno nel IX secolo
Maria Soler Sala (Universidad de Barcelona), Patrimonio monástico y sustento alimentario.
La gestión de los espacios productivos del monasterio de sant Cugat del Vallès entre los
siglos X y XI
Mia Rizner (Ministarstvo kulture Republike Hrvatske, Konzervatorski odjel Rijeka), diet reconstruction of monks of st. Peter monastery in Osor: the role of molluscs in the following
the rule of st. Benedict
Jadranka Neralić (Hrvatski institut za povijest, Zagreb), Aspects of daily life in dalmatian
monastic houses: hospitality and the care for the sick
- Rasprava / discussion
ABSTRACTS – SAŽETCI
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Alesandro Di Muro
Università degli Studi della Calabria, Cosenza
VIVERE E MORIRE IN UN CENTRO DI PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE
NEL MEZZOGIORNO LONGOBARDO: SAN MICHELE DI OLEVANO SUL TUSCIANO
(SECC. VIII-IX)
I grandi santuari altomedievali, luoghi di enunciazioni ideologiche e di devozione, possono
essere annoverati tra i siti potenzialmente più ricchi di informazioni sulla società di quei secoli.
È ben noto come i santuari mete di pellegrinaggi a distanza, posti lungo importanti arterie viarie, fossero punti d’incontro tra uomini di diverse culture e appartenenze, tra i più frequentati
nell’alto Medioevo. Su di essi si concentrò spesso l’attenzione delle élites aristocratiche e dei
sovrani, che intervennero in maniera particolarmente eicace per la loro promozione, facendone
talora strumento della propria legittimazione e momento aggregativo potente della società che
governavano. La natura di centri focali, per tanti aspetti, della società altomedievale ne fece,
oltre che luoghi di spiritualità e punti di dichiarazioni ideologiche, centri di accumulazione e
consumo particolarmente prosperi.
Problematiche storiograiche complesse, dunque, convergono e si intrecciano nelle vicende
dei grandi santuari altomedievali: si va dalle forme di manifestazione del potere ai rapporti
città-territorio, dal livello tecnologico alla cultura artistica, dall’organizzazione delle comunità
monastiche alla liturgia, dalle modalità del pellegrinaggio alla circolazione ceramica e così
via: mentalità, istituzioni, economia, cultura esistenziale e cultura materiale si annodano e si
fondono nel crogiuolo dei santuari internazionali altomedievali.
Il santuario di San Michele ad Olevano sul Tusciano, nel cuore del Mezzogiorno longobardo,
costituisce un luogo privilegiato dove poter indagare le numerose problematiche legate ad un
centro di pellegrinaggio internazionale dell’alto medioevo. La malagevole accessibilità del sito
e il declino della fortuna del santuario olevanese a partire dal XIII secolo, consentono ancora
oggi di osservare quasi integro il luogo descritto dal monaco pellegrino Bernardo che, di ritorno
dalla Terra santa, lo visitò nell’870.
L’eccezionale stato di conservazione del complesso olevanese ne fa uno dei siti più interessanti per la comprensione della cultura e della società dell’altomedioevo longobardo meridionale. L’inusuale convergente abbondanza di fonti scritte e storico-artistiche, intrecciate
all’enorme mole di dati provenienti dalle numerose campagne di scavo dal 2003 ad oggi (oltre
80000 reperti inora catalogati) consente di tracciare un bilancio complessivo e indicare nuove
vie da percorrere per la comprensione del signiicato e per le ipotesi sulle origini di uno dei siti
più straordinari dell’alto Medioevo europeo.
Antonio Macchione
Università degli Studi della Basilicata, Potenza
DA SAN NILO ALL’AFFERMAZIONE DEL MONACHESIMO LATINO IN CALABRIA.
A partire dal IX secolo sono ben documentati i rapporti tra l’abbazia di Montecassino e
il monastero di Santa Maria di Cosenza dotato di numerosi beni immobiliari, così come dal
secolo successivo si seguono con buona continuità le relazioni tra la Badia di Cava e i monasteri
italo-greci della Calabria settentrionale.
In questo orizzonte caratterizzato dalla convivenza, e dall’incontro, di esperienze latine
e italo-greche si innestò, nell’XI secolo, l’espansione monastica benedettina. Infatti dopo il
concilio di Meli (1059), i Normanni promossero (tra il 1062 e il 1091) la fondazione di importanti istituzioni monastiche latine per favorire il recupero dell’ordito ecclesiastico regionale
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
all’obbedienza romana. Esse, tuttavia, si rivelarono eicace strumento per il raforzamento dei
poteri ducali di controllo del territorio e dei più importanti snodi viari calabresi. E, per meglio
assolvere a questo compito, tali fondazioni furono dotate di cospicui patrimoni fondiari la cui
gestione, insieme a quella dei lasciti e delle donazioni ricevute, li trasformò in fondamentali
cellule dell’economia agraria della regione.
Nicolas Reveyron
Université Lumière-Lyon 2
VIVRE ET MOURIR AU CLOÎTRE. LES INTERFÉRENCES DU CHANTIER DE
RECONSTRUCTION DANS L’ORGANISATION DE LA VIE MONASTIQUE
En 1964, Anselme Dimier publiait chez Fayard une belle synthèse sur la vie monastique au
Moyen Age, ayant pour titre : Les moines bâtisseurs, et sous-titre : Architecture et vie monastique.
Le projet était ainsi clairement déini : étudier les rapports entre les formes architecturales et les
formes de vie cénobitique ou semi-érémitique. Les progrès accomplis aujourd’hui par l’archéologie, et singulièrement par l’archéologie du bâti, permettent de considérer le même sujet,
mais dans une visée dynamique : quelles ont été au Moyen Age les incidences d’un chantier de
construction au sein d’un monastère, dans une situation qui mêlait donc l’ancien et le nouveau ?
Dans le monde monastique, la reconstruction des édiices formant le carré du cloître, et
tout particulièrement celle de l’église, occasionne des perturbations lourdes de la vie commune.
D’une part, en efet, l’opération se déroule au cœur du monastère et sur l’emplacement de
l’église (chantier homotopique), c’est-à-dire dans les lieux directement dévolus à l’exercice de
la vie spirituelle. D’autre part, l’ampleur des édiices en cours de reconstruction, projetés plus
grands que ceux qu’ils remplacent, pose le problème du débordement des travaux sur des lieux
stratégiques comme la galerie nord (ou sud) du cloître, l’accès au dortoir, la salle capitulaire,
l’espace réservé au lavement des pieds …
A ces diicultés peut s’ajouter celle du inancement. Au Monastier-sur-Gazeille, par exemple,
la reconstruction de l’abbatiale de Saint-Chafre, commencée sous l’abbatiat de Guillaume
III (1074-1086) et poursuivi sous celui de Guillaume IV (1086-1136), a été arrêtée bien avant
l’achèvement de l’édiice, pour permettre de consacrer une part substantielle du budget à la
reconstruction des bâtiments monastiques, en mauvais état. Les aléas du chantier ont laissé des
traces visibles dans l’église actuelle. Pour limiter ces problèmes d’empiètement des travaux sur les
lieux habités, l’abbé Didier du Mont Cassin (1058-1087) a eu l’idée de faire tourner les pôles du
chantier, installant les moines dans la seconde église de l’abbaye, fraîchement achevée, avant de
réédiier rapidement l’abbatiale sur le même emplacement que la précédente. A Cluny, Hugues
de Semur a contourné le problème, en optant pour la formule du chantier hétérotopique : la
grande abbatiale a été érigées à côté du vieux cloître tardo-carolingien. Mais la question d’une
organisation eicace des travaux s’était posée auparavant pour l’église mariale. Lieux majeur de
l’intimité monastique, l’église mariale est aussi le véritable pivot de l’espace et de la vie monastique, la pérennité de son emplacement étant commandée par l’antiquité de son origine qui
est l’église de la villa carolingienne. Mais ici encore, le chantier a concerné le fait de mourir au
cloître, puisque l’église mariale est directement associée à l’accompagnement des mourants.
Vivre et mourir au cloître : le chantier est aussi un danger et l’on voit à Paray-le-Monial, par
exemple, un jeune moine blessé à mort par la chute d’une poutre lors de travaux de construction
(sans doute l’avant-nef) et guéri in extremis par Hugues de Semur. L’analyse morpho-spatiale
permet aujourd’hui de mieux comprendre quels impératifs de la vie commune – et de la mort
des moines aussi – ont induit l’élaboration de telle ou telle solution dans l’organisation des
travaux et la conception architecturale de l’église majeure, comme on a pu le constater au
Monastier-sur-Gazeille, à Cluny, à Marcigny, à Paray-le-Monial ...
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
59
Paola Galetti
Università degli Studi di Bologna
CIVILTÀ DEL LEGNO: IL MONASTERO
Il contributo, attraverso la considerazione di fonti scritte (di diverse tipologie) e di fonti
materiali, vuole ofrire una serie di rilessioni sulle strutture edilizie monastiche, con particolare riguardo per materiali costruttivi ( il legno in particolar modo) e loro messa in opera. Perciò,
inevitabilmente, l’attenzione sarà rivolta anche all’attività lavorativa prevista e necessaria per
ediicazione e riattamento delle strutture, al personale impiegato e al reperimento di risorse
e materia prima. Il panorama italiano, per i secoli considerati, può ofrire utili testimonianze.
Ma, visto che il focus è in primo luogo sul legno, qualche considerazione sarà fatta anche sulla
cultura materiale documentata da fonti di diverso genere.
Vasco La Salvia
Università degli Studi “G. D’Annunzio”, Chieti-Pescara
I POSSEDIMENTI MONASTICI IN AREE MINERARIE NELL’ITALIA ALTO
MEDIEVALE: STRUTTURE ECONOMICHE E DEL POTERE.
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Simona Gavinelli
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
LEGGERE E SCRIVERE NEL CHIOSTRO
La rappresentazione dello scriba proposta dalla Bibbia Amiatina (inizi del secolo VIII), ripresa da modelli tardo-antichi cassiodoriani, o da alcuni evangeliari altomedievali, sottolinea
l’importanza rivestita dal copista-miniatore nella cultura monastica in vista della trasmissione dei libri liturgici e di studio che, quotidianamente, cadenzavano i ritmi di preghiera e di
lavoro previsti dalla Regola di s. Benedetto. Attraverso alcuni esempi, selezionati soprattutto
tra le sopravvivenze librarie dell’Italia settentrionale, si intende dunque documentare come le
comunità monastiche cercassero di riservare all’interno dei propri chiostri spazi adeguati per
la riproduzione, la consultazione e la conservazione dei manoscritti.
Flavia De Rubeis
Università Ca’ Foscari, Venezia
LO SCRIPTORIUM DI SAN VINCENZO AL VOLTURNO IN ITALIA MERIDIONALE:
MITO O REALTÀ?
Lo scavo del monastero di S. Vincenzo al Volturno (IS) ha riportato alla luce un vasto numero
di epigrai (ca. 1400), databili tra VIII e IX secolo, realizzate su basi lapidee, afreschi, graite.
Tale produzione potrebbe indicare l’esistenza di una scrittura mirata alla sola realizzazione delle
epigrai. Tuttavia, ad una più attenta valutazione della morfologia di alcune lettere, è possibile
osservare la presenza di elementi che indicano con precisione prestiti dalle scritture librarie.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Proprio partendo da questi elementi librari in seno alle scritture epigraiche, si intende riaprire la questione circa l’esistenza o meno di uno scriptorium presso il monastero vulturnense,
alla luce di recenti discussioni che ne hanno messo in dubbio l’esistenza. Si tratta in particolare
di manoscritti databili tra la seconda metà del secolo VIII e il secolo XI-XII, di recente sottratti
allo scriptorium e che in questa sede si propone di rivendicare al monastero sia su base paleograica, sia alla luce dei rinvenimenti di manufatti metallici che indicano univocamente l’esistenza
dello scriptorium stesso, nonché la proposta di individuazione di un ambiente da identiicarsi
con il probabile scriptorium, anche alla luce della pianta cd. di S. Gallo.
Mattia C. Chiriatti
Universitat de Barcelona
LO SCRIPTORIUM DEL MONASTERO DI SAN NICOLA DI CASOLE (OTRANTO,
LECCE) SECONDO LA TESTIMONIANZA DEL TYPIKON (CODEX TAURINENSIS
GR. C III 17): UN’ANALISI STORICO-LETTERARIA
“Dopo di esso ecco il cenobio dedicato a San Nicola, un miglio e mezzo lontano da Otranto.
Qui viveva una numerosa comunità di monaci basiliani […] istruiti tutti nella conoscenza delle
lettere greche e moltissimi in quella delle lettere latine […]. A quanti volessero apprendere le
lettere greche, essi assicuravano la maggior parte del vitto, un insegnante e ospitalità senza
richiedere alcun compenso. In tal modo si sosteneva lo studio del greco e si alimentava la comprensione della cultura greca […] vi fu un ilosofo, Nicola d’Otranto, di cui, prima della venuta
dei turchi, si conservavano in questo monastero molte opere di logica e di ilosoia […] costui,
senza badare a spese, costituì in questo cenobio una biblioteca che raccoglieva ogni genere di
libri, quanti ne poté rintracciare per tutta la Grecia” (de situ Japigiae, 8, 7-9, pp. 34-35).
Il medico e umanista pugliese Antonio de Ferrariis ritrae, in questa breve descrizione, la
fervente attività culturale dell’abbazia idruntina. In base alla testimonianza di un manoscritto
inedito, conservato nella biblioteca dell’università di Torino sotto la segnatura CCXVII. b. III.
27, del quale la maggior parte è costituita da un typikon -una dettagliata descrizione della vita
quotidiana del cenobio- è possibile delineare a grandi linee la funzione dello scriptorium basiliano come centro nevralgico di cultura e difusione del sapere, il quale, mediante la copiatura
dei manoscritti, permise una rilevante circolazione libraia tra l’ambiente sacro e quello secolare.
Lucinia Speciale
Università degli Studi del Salento
L’ÉCOLE BÉNEDICTINE TRA MITO STORIOGRAFICO E REALTÀ. MONTECASSINO,
S. VINCENZO AL VOLTURNO E LE ORIGINI DELLA PITTURA BENEDETTINA.
La straordinaria fortuna critica della sintesi L’art dans l’Italie méridionale di Émile Bertaux
ha alimentato, tra la ine dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo, il mito di una
tradizione storico-formale legata alla produzione artistica dei monasteri benedettini. Centri
d’irradiazione di questa corrente artistica erano, a giudizio di Bertaux, le due grandi fondazioni
monastiche dell’alto medioevo italomeridionale, l’abbazia di Montecassino e quella di S. Vincenzo al Volturno. A questi due insediamenti dovevano riferirsi le principali testimonianze della
‘scuola’: le pitture della cripta dell’abate Epifanio, riscoperta nei primi decenni dell’Ottocento
in prossimità delle sorgenti del Volturno, e soprattutto, il programma decorativo della priorale
benedettina di Sant’Angelo in Formis.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
61
Il complesso pittorico della piccola dipendenza cassinese, interamente liberato dallo scialbo
che lo ricopriva solo negli anni Ottanta del XIX secolo, è da sempre considerato una germinazione
del grande cantiere artistico che l’abate Desiderio impiantò a Montecassino nel terzo quarto
dell’XI secolo, radunando artisti provenienti da diverse aree culturali, Costantinopoli, Roma,
la costiera amalitana. A questo importante episodio rimonta la profonda trasformazione del
linguaggio che segna il XII secolo centromeridionale. Meno facili da deinire restano il patrimonio di forme e temi iconograici che caratterizzavano la produzione pittorica predesideriana.
Le molte scoperte che hanno caratterizzato il sito di S. Vincenzo a partire dall’ultimo ventennio del Novecento, e i molti studi su singoli monumenti collocati nel raggio d’inluenza di
Montecassino e della stessa S. Vincenzo, hanno modiicato le nostre conoscenze sulla cultura
pittorica nell’alto medioevo meridionale tra IX e XI secolo. Di questa lunga parabola di ritrovamenti, lo studio vorrebbe ofrire un primo bilancio, provando a mettere a fuoco il vero raggio
d’inluenza della cultura artistica maturata all’interno delle due abbazie.
Giulia Oroino
Università degli Studi di Cassino
MANGIARE LA PAROLA: IL REFETTORIO COME LUOGO DI NUTRIMENTO
SPIRITUALE NEL MONASTERO MEDIEVALE
Tutte le regole monastiche (orientali e occidentali) considerano il refettorio come luogo di
nutrimento spirituale oltre che isico, sulla base del precetto evangelico “Non in pane solo vivit
homo, sed in omni verbo dei” (Lc 4, 4).
La ‘controparte’ al cibo (e alle sue tentazioni) è garantita da una parte dalle letture sacre,
recitate dal pulpito, dall’altra dalle immagini raigurate sulle pareti del refettorio e dai riti che
accompagnano il pasto dei monaci.
Il contributo analizza, attraverso alcuni casi esemplari come Cluny e Montecassino, i modi
in cui si stabilisce il rapporto tra ruminatio carnale e spirituale (un rapporto che le stesse fonti
scritturali, da Ezechiele all’Apocalisse, trasformano da metaforico a reale, creando la potente
immagine del libro mangiato): quali manoscritti sono presenti nel refettorio e quali tracce ha
lasciato su di essi questa presenza; come la pittura monumentale favorisce la meditazione e
nello stesso tempo articola gli spazi, deinendo i loca rituali all’interno del refettorio; quale
ruolo hanno il cibo e la sua consumazione nell’iconograia monastica.
Béatrice Caseau
Université Paris-Sorbonne
LA TABLE MONASTIQUE À BYZANCE : LA QUESTION DE L’ÉGALITÉ OU DE
L’INÉGALITÉ (4 e SIÈCLE-14 e SIÈCLE)
Cette communication porte sur la question de l’égalité ou de l’inégalité à table dans les
sources monastiques de l’antiquité tardive et de la période byzantine. Deux attitudes existent
dans les milieux cénobitliques: une stricte égalité des portions qui sont servies à la table commune ou bien au contraire, une inégalité des portions servies aux moines et moniales qui tienne
compte du statut dans le monastère (oicier monastique versus simple moine), du rang social
tenu dans la société avant l’entrée au monastère, du travail à accomplir, de l’âge ou des besoins
personnels. Pour faire un état de la situation on se penchera sur les règles monastiques et les
typika byzantins et sur la littérature de conseils spirituels ou pratiques écrite par des moines.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Antoni Riera i Melis
Universidad de Barcelona
ALIMENTACIÓN Y ASCETISMO EN LOS MONASTERIOS DE LA HISPANIA VISIGODA
(SIGLOS VI-VII)
Mi contribución al coloquio consistirá en un análisis del sistema alimentario de los monasterios masculinos y femeninos de la Hispania visigoda, a partir de las reglas de Leandro
de Sevilla (femenina), Isidoro de Sevilla, Fructuoso de Braga y la “Regla Común” (masculinas)
Se analizarán la procedencia de los alimentos, la preparación de los platos, la composición
de la dietas ordinarias, penitenciales y festivas, y los horarios y ritos del refectorio. También se
estudiarán las sanciones alimentarias, la utilización del ayuno como instrumento de corrección
moral; se averiguará la relación existente en cada una de las normativas entre la gravedad de los
pecados y faltas y la intensidad y duración de las restricciones alimentarias correspondientes
La información aportada por la reglas ibéricas será conparada con la aportada por las dos
normas monáticas de mayor difusión geográica en aquella época, la Regla del Maestro y la
Regla de Benito de Nursia.
Federico Marazzi
Università Suor Orsona Benincasa, Napoli
“UN’ASCESI INCOMPLETA? CIBO E CUCINA A SAN VINCENZO AL VOLTURNO NEL
IX SECOLO”
“Gli scavi condotti presso il monastero di San Vincenzo al Volturno hanno oferto sin dai
loro esordi indicazioni di grande interesse rispetto al consumo di cibo all’interno del monastero. Ma è stato grazie alla scoperta delle cucine monastiche e alle indagini condotte nel tratto
dell’alveo del iume Vol,turno antistante queste ultime e il refettorio, avvenute fra 2002 e 2007 e
recentemente pubblicate, che si è potuto ottenere un quadro di incredibile precisione, per il IX
secolo, rispetto alla dieta seguita dalla comunità e all’organizzazione relativa alla preparazione
dei pasti e all’approvvigionamento alimentare in genere.
L’intervento che qui si presenta vuole ofrire, per la prima volta, un quadro dettagliato
e d’insieme relativo ai dati emersi dagli scavi, esaminato in un’ottica di confronto con altri
analoghi ritrovamenti e con gli orientamenti maturati in età carolingia rispetto alle pratiche
alimentari di ambito monastico”.
Maria Soler Sala
Universidad de Barcelona
PATRIMONIO MONÁSTICO Y SUSTENTO ALIMENTARIO. LA GESTIÓN DE LOS
ESPACIOS PRODUCTIVOS DEL MONASTERIO DE SANT CUGAT DEL VALLÈS ENTRE
LOS SIGLOS X Y XI.
El territorio constituye una magníica manera de acercarnos al estudio del monacato medieval.
Desde el momento en que un cenobio se implanta en un determinado lugar y amplía o disminuye
su patrimonio deja testigo de su actividad sobre el territorio. Es lo que hemos deinido como
paisaje monástico: una manera de acercarnos a las comunidades de monjes medievales desde
una perspectiva territorial1. Para ello, hemos creído necesario utilizar los sistemas de información
Este trabajo se enmarca en el proyecto “Paisajes espirituales. Una aproximación espacial a las transformaciones de
la religiosidad femenina medieval en los Reinos Peninsulares en la Edad Media” (HAR2014 52198-P).
1
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
63
geográica (GIS) y adoptar una perspectiva de análisis interdisciplinar, que tenga en cuenta todo
tipo de fuentes a nuestro alcance: documentales, arqueológicas y territoriales.
La aplicación de esta metodología nos ha permitido analizar la formación y desarrollo patrimonial de algunos monasterios altomedievales catalanes. En esta ocasión, centraremos nuestra
atención en el cenobio benedictino de Sant Cugat del Vallès (Barcelona, Spain) entre los siglos
X y XI. A partir del análisis y representación cartográica de la información contenida en su
rico Cartulario, analizaremos el origen y progresiva expansión del patrimonio santcugatense
en tierras del condado de Barcelona. Para la cronología estudiada, el monasterio disponía de
abundantes propiedades en el territorio del Vallès, la cuenca del Llobregat y las fértiles llanuras
barcelonesas, a las que añadió numerosos espacios de concentración agrícola en el Penedès.
Estos últimos jugaron un papel fundamental en la consolidación del dominio condal sobre los
territorios recién incorporados a expensas de Al-Andalus.
Entre los siglos X y Xl el monasterio de Sant Cugat acumuló una gran cantidad de tierras de
cultivo, capaces de garantizar el sustento económico y alimentario de la comunidad. Entre los
predios identiicados destacan los campos de cereal (trigo, cebada, mijo, escanda), seguidos por
las viñas, los árboles frutales y los huertos. Dentro de las propiedades del cenobio se describe la
existencia de ganado estabulado –bueyes y vacas–, algunos rebaños –ovejas y cabras– así como
aves de corral y cerdos. La carne de estos últimos (bacconem, perna de porcu) aparece entre
los censos percibidos por el monasterio, a pesar de las restricciones establecidas por la regla
benedictina en relación al consumo de carne. Las fuentes aportan también información sobre
el instrumental utilizado en el procesado del cereal y la uva: los molinos y los hornos para la
confección de pan; y la infraestructura necesaria para la elaboración de vino.
Todo ello permitía disponer de los productos alimentarios necesarios para las colaciones
monásticas. En primer lugar, el cereal, con el que se confeccionaba el pan (fogacias), pero también las gachas (pulmentum). En segundo lugar, el vino, que aluía al monasterio a través de
censos y legados testamentarios. El monasterio tenía a su disposición todo tipo de productos
frescos (verduras, hortalizas, legumbres) recolectados en los huertos de ubicación más cercana,
así como frutas carnosas y secas (pomiferos, impomiferos) procedentes de la práctica arborícola.
Son pocas, sin embargo, las referencias a olivos, destinados a la producción del aceite, utilizado
tanto para la iluminación como para la cocción y aliño de las menestras y ensaladas cotidianas.
También con aceite se cocía el pescado, un producto sobre el que el monasterio ejerció un
estricto control para garantizar su abastecimiento.
La expansión territorial y el volumen de las rentas del cenobio a lo largo del siglo XI es tan
elevado que sus productos no debieron ser utilizados solamente para la alimentación de la
comunidad, sino que una parte importante de los excedentes debió ser comercializado en el
mercado. El Cartulario de Sant Cugat del Vallès se reiere al mercado como un espacio cercano. En
él aparecen mencionados –a menudo a través de sus pesos y medidas particulares– los mercados
más antiguos del condado de Barcelona: Martorell, Caldes de Montbui, la Granada, Sabadell. Y
a través de sus páginas conocemos también la existencia de un mercado en los alrededores del
monasterio. Durante el siglo XII a dicho mercado se le añadió una feria, la cual fue víctima de
las ambiciones de Guillem de Montcada, quién el día de la onomástica del patrón de 1165 ocupó
la plaza y consiguió trasladar la celebración de la feria a otro lugar bajo su entera jurisdicción.
Tal y como se ha dicho, el monasterio disponía de una gran cantidad de molinos, distribuidos entre los múltiples cursos hidráulicos del condado de Barcelona. Uno de ellos era el denominado Molí dels Monjos –hoy conocido como Molí del Foix (Santa Margarida i els Monjos,
Barcelona, Spain)–, localizado a través de un triple análisis documental, territorial y arqueológico. La realización de una intensa campaña arqueológica y el uso de los GIS en el estudio de
sus fases constructivas nos ha permitido conocer con detalle las características de este espacio
productivo de posesión monástica. Primero, en manos del cenobio de Sant Cugat del Vallès,
y más adelante, propiedad del monasterio cisterciense de Santes Creus. Fue entonces, ya en
pleno siglo XIII, cuando se transformó en un molino de grandes dimensiones, dotado de tres
pares de muelas cobijadas por una magníica bóveda gótica. Dicho molino, hoy musealizado,
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
constituye un magníico ejemplo sobre la utilización de fuentes de origen diverso en el estudio
del patrimonio monástico medieval.
Así pues, nuestra contribución pretende relacionar el proceso de expansión patrimonial
del cenobio benedictino de Sant Cugat del Vallès con las estrategias de gestión destinadas a
garantizar el sustento alimentario y el desarrollo económico de la comunidad. Todo ello, desde
una perspectiva territorial e interdisciplinar.
Mia Rizner
Konzervatorski odjel u Rijeci
DIET RECONSTRUCTION OF MONKS OF ST. PETER MONASTERY IN OSOR: THE
ROLE OF MOLLUSCS IN FOLLOWING THE RULE OF ST. BENEDICT
A signiicant amount of land and marine malacofauna remains have been uncovered during
the perennial excavations of St. Peter’s monastery in Osor. This paper examines the dietary
signiicance of edible land snail and marine shell based on extensive taphonomical analyses.
In the theoretical part of the paper the interpretation of dietary restrictions in regard to the
Rule of St. Benedict and speciically its interpretation by the monks of St. Peter’s monastery is
given. Filtering the results of taphonomical analyses of this indirect evidence for subsistence
through theoretical frameworks socially mediated food acquisition and consumption choices
of Benedictine monks at St. Peter’s monastery are explored.
Jadranka Neralić
Hrvatski institut za povijest
ASPECTS OF DAILY LIFE IN DALMATIAN MONASTIC HOUSES: HOSPITALITY AND
THE CARE FOR THE SICK
By drawing attention to a range of documentary (papal and provincial dispensations,
authorisations, absolutions, indulgencies) and narrative sources (hagiographies, chronicles,
monastic regulations) I propose to examine questions like: did Dalmatian medieval Benedictine monks and nuns dispense hospitality to travellers and guests (independently of their
profession or social status, with the spaces involved like guest houses to lodge powerful and
rich travellers, other abbots and monks, intellectuals); display concern for the poor and hungy
(spaces involved like kitchen, refectories, halls, shelters of any kind), care for the sick, inirm
and elderly (inirmaries and inirmary cloisters for their own sick inmates as well as their
guests, i.e. inpatient and outpatient health care; medical personnel involved in caring for the
sick, level of care available, types of diagnostic and therapeutic treatments) and to explore the
ways in which health care was an integral component of daily monastic life (work, worship and
monks’ devotion to the display and veneration of relics, garden and gardening, water and food
supplies, clothing, lodging furnishing, death and commemoration, ...).
The answer to these questions will lead us to conclude that the monastic milieu, which
functioned as a «surrogate family» to the individuals who renounced to their traditional social
and familial bonds, commodities and services like clothing, shelter, food, emotional support
and health care, provided for these needs and invented a wide scale of new ways of social interaction between sick and healthy. The monastic inirmaries duplicated the care that the more
fortunate individuals would have received at home, whereas those without family received far
more than it would have been available through patronage, philantropy or ecclesiastical charities. The sick as well as elderly, disabled and inirm were able to dwell within the monastery
as a special class aforded diferent beneits and subject to diferent obligations.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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SUBOTA, 4. LIPNJA / SATURDAY, JUNE 4
9.00 Aula 1 (hotel Kolovare)
Fourth session continuing / nastavak Četvrte sesije
Chair: Jorge López Quiroga
Roberto Greci (università degli studi di Parma), la malattia isica e spirituale: infermeria e
farmacia
Ioannis Grossmann (universität Wien), the inirmary of the Pachomian monasteries. origin,
structure and organisation
Giuliana Albini (Università degli studi di Milano), La rete di assistenza monastica tra accoglienza interna e strutture esterne
Alessia Frisetti (Università degli studi suor Orsola Benincasa, Napoli), Costruire e vivere nei
monasteri. Materiali e tecniche edilizie nei monasteri altomedioevali: Campania e Molise
fra IX e XI secolo
11.00 – 11.15 pauza / cofee break
Nicola Busino (seconda Università degli studi di Napoli), Nuovi dati su un monastero nel
territorio di Capua
Pasquale Corsi (Università degli studi di Bari), Monaci italo greci in pellegrinaggio
Fifth session / Peta sesija
With the glance beyond time | Con lo sguardo oltre il tempo / Pogled kroz vrijeme
Daniel Lemeni (West university of timişoara), the untimely tomb: the Practice of death in
the “Apophtegmata Patrum”
Giuseppe Motta (Università Cattolica del sacro Cuore, Brescia), Lo sguardo oltre il tempo: la
morte e il cimitero
Simona Moretti (Libera Università di Lingue Comunicazione, Milano), La morte del monaco:
le fonti igurative bizantine (secc. v-Xi)
- Rasprava / discussion
13.00 – 15.00 pauza za ručak / lunch break
15.00
Fifth session continuing / nastavak Pete sesije
Chair: Miljenko Jurković
Jorge Rodrigues (Universidade Nova de Lisboa), death and memory at the monastery: privileged
burials and their patrons in the newly founded kingdom of Portugal
Rutger Kramer, Veronika Wieser (Institute for Medieval studies, Austrian Academy of
sciences – vienna), You only die twice. the death of abbots and the Consolidation of
Communities - the Cases of Martin of tours and Benedict of Aniane
Daniele Ferraiuolo (Università degli studi suor Orsola Benincasa, Napoli), I luoghi della
memoria funeraria: rilessioni su forme e contesti delle epigrai sepolcrali di ambito
monastico nei secoli VIII-X
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Meta Niederkorn-Bruck (Universität Wien), Cura mortuorum – Cura pro institutione. Memoria, die Gemeinschaft stiftet, als Basis für die Historiographie
Paola Novara (soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Ravenna), sepolture privilegiate nei
monasteri altomedievali ravennati
Debora Ferreri (Università degli studi di Bologna), seppellire un vescovo, seppellire un monaco.
La gestione della morte all’interno del complesso di san severo (Classe-Ravenna)
Gisela Ripoll, Francesc Tuset, Eduardo Carrero, Daniel Rico, Ángela González (Universitat de Barcelona, Universitat Autònoma de Barcelona) y Laboratorio de Fotogrametría Arquitectónica de la Universidad de Valladolid, Sancti Cirici de Colera / sant
quirze de Colera (Parc Natural de l’Albera, Alt Empordà, Girona). Estudio del conjunto
monástico, siglos VIII al XV
- Rasprava / discussion
zaključci / conclusioni
Gabriele Archetti, Miljenko Jurković
ABSTRACTS – SAŽETCI
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Roberto Greci
Università degli Studi di Parma
LA MALATTIA FISICA E SPIRITUALE: INFERMERIA E FARMACIA
Il contributo, che si colloca entro la sezione riservata alla malattia isica e spirituale in
ambiente monastico, intende privilegiare l’aspetto della malattia isica e gli spazi che, all’interno del monastero, erano riservati alla sua cura. Ciò comporta necessariamente due piani di
osservazione.
Da un lato si impone una rilessione sulla percezione della malattia e della guarigione per
cogliere il signiicato ad esse attribuito entro la complessa dimensione spirituale della vita monastica; per questo risulta necessaria un’analisi delle regole e una lettura delle fonti agiograiche.
Dall’altro lato è necessario concentrarsi sugli spazi materiali riservati alla malattia e alla
cura, ovvero sui locali dell’infermeria. Di tale ambiente si intende descrivere l’organizzazione
interna sofermandosi sulle funzioni dei monaci dedicati a questo particolare servizio e sulle
conoscenze mediche e farmaceutiche di cui la tradizione monastica fu depositaria.
Inine si valuterà il rapporto tra lo spazio riservato all’infermeria e la comunità cenobitica
a partire dalla sua collocazione entro l’insieme del complesso monastico. Da tale rapporto è
possibile cogliere gli aspetti funzionali e i signiicati simbolici e spirituali sottesi ai progetti
e alle concrete realizzazioni note. In questo caso risulta necessario rifarsi agli spunti oferti
dagli studi degli storici dell’architettura e degli archeologi per connetterli alle trasformazioni
intervenute nella vita monastica dell’XI secolo.
Ioannis Grossmann
Universität Wien
THE INFIRMARY OF THE PACHOMIAN MONASTERIES. ORIGIN, STUCTURE AND
ORGANISATION
Saint Pachomios, the 4th century Egyptian monk and abbot of several monasteries, who
successfully organised and spread the coenobitical way of ascetical life, built his irst monastery at Tabennese where at some time he installed an inirmary, which as it seems was the irst
monastery inirmary in the history of Christian asceticism. Therefore Pachomios seems to
have invented the monastery inirmary. The basic idea of this inirmary is well grounded in
the tradition of the anchorites, which Pachomios experienced when he lived for several years
together with Palamon and his small community. The coenobitical rules Pachomios provided
for his monks, which are extant partly in Sahidic Coptic and fully in the latin translation by
Hieronymus, and the life of Pachomios, which is extant in several Sahidic Coptic fragments
(S1-20), a late Bohairic Coptic version (Bo), an early Greek abridged version (G1) and two main
Arabic versions (Ag, Av), both unpublished, deliver useful insights concerning the structure
and the organisation of the inirmary. These results are to be compared with the other few
extant examples of monastery inirmaries, primarily from the texts of the famous 5th century
abbot Shenute.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Giuliana Albini
Università degli Studi di Milano
LA RETE DI ASSISTENZA MONASTICA TRA ACCOGLIENZA INTERNA E
STRUTTURE ESTERNE.
Nella tradizione altomedievale presso le porte dei monasteri e delle grandi abbazie si trovavano gruppi di poveri che attendevano aiuto: razioni di cibo venivano distribuite in occasioni
particolari, soprattutto nel caso di feste (domenica, feste liturgiche). Si trattava di elargizioni
fortemente connotate da valori simbolici: il numero dei poveri, la quantità e la qualità di pane
(o di altri alimenti), il giorno prescelto, tutto riconduce più ad una prassi in larga misura
motivata da una necessità spirituale di chi donava che dalle reali esigenze dei poveri. L’aiuto
elargito dai monaci, infatti, avveniva solo dopo che il portenarius aveva valutato i requisiti per
poter godere dell’accoglienza e dell’ospitalità (con la nota distinzione tra hospitale pauperum
e hospitale divitum).
La porta era dunque il luogo dove la comunità monastica incontrava il mondo esterno,
ma anche il luogo che ne segnava i limiti e il distacco, che garantiva l’impenetrabilità della
comunità monastica a coloro che non dovevano farvi parte. Come detto, all’accoglienza all’interno del monastero si aggiungeva la distribuzione di cibo alla porta del monastero. La prassi
condivisa è quella di attendere il povero nel monastero, il povero che bussa e chiede elemosina
o accoglienza: il monaco non cerca chi sofre, ma attende, espletando poi, in modo selettivo,
funzioni di accoglienza e aiuto, nelle prospettiva della vita di perfezione alla quale si è votato.
Già nell’alto medioevo, però, le funzioni di accoglienza e di aiuto ai poveri (in particolare
legate alla pratica del pellegrinaggio) erano condivise con quelle strutture (xenodochia e hospitalia) che si erano sviluppate sia all’interno degli spazi urbani, sia lungo le direttrici viarie.
Sebbene poco approfondito, il tema del rapporto tra monasteri e strutture di assistenza esterne
pone interessanti quesiti sia dal punto di vista dell’erogazione dell’assistenza sia dal punto di
vista dell’evoluzione delle strutture monastiche e della loro capacità di confronto e di rapporti
con il mondo esterno.
Alessia Frisetti
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli
COSTRUIRE E VIVERE NEI MONASTERI. MATERIALI E TECNICHE EDILIZIE NEI
CANTIERI MONASTICI ALTOMEDIOEVALI FRA CAMPANIA E MOLISE (SECC. IX-XI)
L’analisi delle realtà insediative altomedioevali, condotta in questi ultimi anni dal Laboratorio di Archeologia Tardoantica e Medioevale (LATEM) dell’Università degli Studi Suor Orsola
Benincasa di Napoli, ha consentito di arricchire il quadro delle conoscenze anche su numerosi
insediamenti monastici a cavallo di VIII/IX e XI secolo.
A tal proposito le recenti indagini archeologiche efettuate presso il sito di San Vincenzo
al Volturno (Aprile 2016) hanno portato alla luce un interessante contesto relativo ad un’area
produttiva attiva nel corso dell’altomedioevo, che aggiunge nuove informazioni sull’organizzazione del cantiere monastico.
L’insedimento di San Vincenzo si pone quindi, ancora una volta, come punto di partenza
per una discussione più approfondita che può essere facilmente collegata ai dati provenienti
dal censimento su vasta scala dei siti monastici benedettini, con particolare attenzione all’area
molisana. Questi dati infatti, consentono di operare una sintesi ragionata delle conoscenze
tecniche approntate nei secoli post antichi.
Pertanto in questa sede, si propone un excursus sulle attività produttive nel campo dell’edilizia aidata ad architetti e maestranze specializzate ma dirette e gestite dalle comunità monas-
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
tiche. In particolare si afronterà l’analisi delle tecniche murarie riscontrate e documentate in
un’area geograica che comprende la Campania settentrionale ed il Molise. Questo quadro sarà
completato da un accenno sui materiali litici impiegati e sulla produzione delle malte, per le quali
si sta approntando una campagna di analisi qualitative e quantitative dei componenti chimici.
Il censimento su vasta scala dei siti monastici, da cui sono stati estrapolati alcuni casi oggetto
di approfondimento, consente di afermare con maggiore certezza rispetto al passato, l’idea
che le grandi comunità benedettine di San Vincenzo e Montecassino - avendo goduto di uno
status politico privilegiato sin dalla loro genesi - abbiano sperimentato tecniche, soluzioni
cantieristiche e modelli architettonici poi difusi in un ampio territorio. Tali sperimentazioni
hanno interessato insediamenti monastici “minori” dipendenti dalle due grandi abbazie, ma
anche ediici religiosi non monastici quali cattedrali e chiese rurali nel corso di due principali
fasi storiche. La prima fase è inquadrabile a cavallo di ine VIII e IX /prima metà X sec., in un
contesto culturale piuttosto vivace che caratterizza la Langobardia Minor; la seconda invece,
interessa l’XI-XII secolo, quando questa zona del mezzogiorno vede ormai il radicamento della
cultura normanna, portatrice essa stessa di nuove conoscenze in campo architettonico.
Nicola Busino
Seconda Università degli Studi di Napoli
NUOVI DATI SU UN MONASTERO NEL TERRITORIO DI CAPUA (CAMPANIA,
ITALIA)
New archaeological researches have been leading since 2013 at Monte Santa Croce (north
Campania), a small settlement which is close to the present town of Capua. The small built
up area rose on the southern border of the Trebulani mountains which dominate the valley of
the river Volturnum.
Excavations have documented a small Benedictine monastery, built by the initiative of
Lombard comes of Caiazzo (ancient Caiatia), Landulfus IV, at the end of the Xth century AD.
By the closing of the following century, the complex was included into the properties of Saint
Lawrence ad septimum in Aversa (Caserta, Italy), a big Benedictine convent which had been
extending its importance thanks to the Norman princes as they set themselves in the North
of the Campania.
The hilltop was in reality irst occupied by a Hellenistic community, whose traces are represented by a double circuit of surrounding walls, in opus poligonalis: a recent examination has
focused on chronological aspects of that phases (fortresses erected in the second half of IVth
century BC) linked to the peopling dynamics of the neighboring landscape in pre-Roman Age.
The monastery church is the main structure of the Medieval settlement, placed on the
southern part of the top of the hill. It is a place of worship with a single nave, a transept with
three inal apses (a central bigger one and two smaller at both sides) and a three crypt rooms in
low level of the presbytery: archaeological explorations have testiied that the transept-church
substituted a precedent building of which it have been discovered traces of the main apse. The
more ancient structure, which is completely diferent by the wall’s techniques, has been clearly
dismantled for erecting the newest one, whose size is more monumental and majestic.
Keeping together written sources and archaeological remains, it seems clear that the irst
building is attributable to the Early Middle Age or, in other words, to the will of the Lombard
comes, Landolfus IV, who decided to build up a monastery at the end of the Xth century with
the purpose to control the western part of his county. The second church should be the consequence of the progressive Norman political difusion to the North, with a transmission of
architectonical knowledge that may have inluenced the new foundation at Monte Santa Croce.
At the north of the church, it has been discovered a little necropolis which was probably used
by the local community during the Medieval phase. It have been discovered three rectangular
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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tombs, in two cases not very much disturbed and covered by a four tuf blocks; inside, explorations have showed multi-bodies burials with a main ones together with some reductions. The
graves were without any goods.
According to the written sources, we do not have data about the Late Medieval phases
of the convent: it really disappears from every kind of black and white documentation, but
we have archaeological data concerning good quantities of objects (ceramics, coins, metals,
glasses) that certify the occupation of the area in Late Middle Age. The preliminary analyses
clarify the closeness of the convent to the local network of pottery consumption: as matter of
fact, some table ceramics, i.e. cups, bowls, etc. (both glazed and enameled), are quite similar
to some others in the surroundings sites.
According to the ceramics records, the abandon of the Medieval settlement should have
happened at the beginning of the Modern Age: it was a progressive phenomenon which can
be considered close by the half of XVIth century. According to the written sources the only
information about the monastery, after the Medieval phase, is a little hint in a 1561 inventory:
it communicates a beneicium sanctae Crucis, placed at Caiacza, which is also too weak for
hypothesizing the occupancy of the place at the half of XVIth century.
New interesting perspectives are ofered by the irst explorations of the contiguous rooms on
the southern border of the Medieval church. We have a big, rectangular chamber (refectory?),
opened to the external and also linked to the southern branch of the church’s transept. Excavations have revealed two other more little spaces, probably used for food preserves according to
the emerged pottery typologies (amphoras, big containers, etc.).
Pasquale Corsi
Università degli Studi di Bari
MONACI ITALO GRECI IN PELLEGRINAGGIO
Nelle Vite dei santi monaci italo greci risultano frequenti le notizie circa la pratica del
pellegrinaggio, secondo motivazioni che si richiamano di consueto all’esercizio delle pratiche
ascetiche, all’inizio o nel corso di un itinerario spirituale, nel segno della rinuncia al mondo
e della penitenza. La storia del pellegrinaggio viene così a conigurarsi come un elemento
costitutivo della storia della santità. La ricerca che è stata realizzata per il prossimo Convegno
sulle strutture monastiche intende quindi ofrire un contributo all’analisi di questo aspetto, nei
limiti delle fonti considerate e dell’ambito territoriale di alcune regioni dell’Italia meridionale,
in particolare della Calabria, Basilicata e Puglia.
A titolo di esempio, nella Vita dei SS. Saba e Macario, scritta da Oreste, patriarca di Gerusalemme, testimone oculare degli avvenimenti, si racconta che tra il 991 ed il 1006 san Saba,
siciliano di cultura bizantina, insieme al fratello Macario raggiunge la zona del Mercurion, tra
Basilicata e Calabria, dove insieme costruiscono una chiesa in onore dell’arcangelo Michele, il
cui santuario è una delle mete più frequentate da questi monaci, che di solito al loro ritorno
dedicano all’Arcangelo un tempio o un oratorio. Successivamente Saba si reca in pellegrinaggio
a Roma. Il tema del pellegrinaggio ad limina apostolorum si trova anche nelle Vite di sant’Elia
lo Speleota (scritta nella seconda metà del secolo X), di san Leoluca (scritta probabilmente
verso il 915 e pervenuta solo nella sua traduzione latina), di san Luca di Demenna o di Armento (anch’essa pervenuta in una traduzione latina). Un particolare rilievo è ovviamente da
riservare alle testimonianze trasmesse dalla Vita di san Nilo da Rossano, cui si aggiungono
quelle rintracciabili nelle Vite di san Nicodemo di Kellarana e di san Fantino il Giovane. Tutti
questi elementi ed altri ulteriormente rintracciabili nelle fonti coeve confermano l’importanza
del pellegrinaggio nel contesto della spiritualità della vita monastica italo greca, in rapporto
ovviamente al quadro generale del monachesimo di matrice orientale.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Daniel Lemeni
West University of Timişoara (Romania)
THE UNTIMELY TOMB: THE PRACTICE OF DEATH IN THE APOPHTEGMATA
PATRUM
Introduction
In this paper we shall explore the „practice of death” in the early monastic tradition. The
focus of our attention will be on the sayings of the desert Fathers (Apophtegmata Patrum).
The withdrawal from the world is the most powerfull metaphor to describe the mortiication
in the spirituality of the desert. More than that the monk is a metaphor of „death”, because for
ascetics the desert was the place of burial. The ascetics strove to „die to themselves” and „to the
world”, so that the Desert Fathers characterize their life as a kind of „death”, because they live
as though dying each day. This kind of „death” („daily dying”) contains the seeds of later ascetic
emphasis on a „practice of death”: the monk, though not actually dead, efectively dies each day.
The paper is divided into two sections. Section 1 draws on elements from the desert as
place of the death. Ascetics symbolized this death by locating their existence in the desert. In
Section 2, we turn to the Desert Fathers, whose apophtegms are elaborated with increasingly
consistent reference to death.
The Way of the Desert: Withdrawal as Death
Special emphasis is placed on the importance of the desert—a symbol of total withdrawal
and rejection of the world—as a training ground for those who aspire to spiritual progress. The
insistence on the physical desert setting as most beneicial for ascetic life, was augmented by the
notion that the soul could achieve complete inner detachment regardless of its surroundings.
That is to say, the word ‚desert’ refers not only to a physical place, but, in the words of Tim
Vivian, „takes on two additional levels of meaning: the spiritual and the mystical. Not only was
the desert a religious place, it signiied a spiritual way of being.”1
From this perspective, the wisdom of the desert emphasized remembrance of death. And
indeed, the Desert Fathers embraced their mortality; they were comfortable with death. As John
Chryssavgis has remarked „they recognized death as another form of community, as another
profound way of connection to themselves, to their neighbor and to God as the Lord of life and
death.”2 For example, Saint Antony lived always with his own death in sight. In other words,
Antony preached a kind of daily „dying” to his disciples. The dying Antony commanded his
disciples to „live as though dying each day.”3
This kind of instruction became extremely popular in Egypt from the late third century.
The Desert Fathers attracted to Egypt individuals from all over the Roman Empire who came
to emulate their lifestyle and receive instruction from them. Therefore, the desert – as locus
of intense spiritual experience – is of crucial importance to the development of the ascetic
experience.
The Untimely Tomb: Living in Death
In this section we will trace various „practices of death” as they emerge in Desert literature.
Beginning with general metaphorical depictions of monks as dead or entombed, I will then
describe ways in which ascetics strove to „die to themselves” and „to the world”. I will draw particular attention to practices that are clearly important to the Desert Fathers, but which, in this
literature, are only sometimes connected with death. Nevertheless, Desert literature develops
enormous conceptual material for practices and virtues of cutting of the will, non-judgment,
apatheia, and obedience, all of which will be understood in terms of death.
Paphnutius, Histories of the Monks of Upper Egypt, Introduction by Tim Vivian, p. 23.
John Chryssavgis, In the Heart of the desert. the spirituality of the desert Fathers and Mothers, Foreword by
Metropolitan Kallistos Ware, World Wisdom, 2008, p. 47.
3
Life of Antony 91.3.
1
2
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Let us begin with one famous genre of apophtegms: those that portray a young monk coming
to an elder to ask for „a word of salvation.” These stories open with a standard formula: „Abba,
give me a word.” For example: One day a brother came to Abba Macarius the Egyptian with
the classic request, ‚Abba, give me a word that I might be saved.’ Macarius demanded action:
„Go to the cemetery and abuse the dead.” And so the monk went to the cemetery and hurled
insults at those buried there. The apophtegm gives no hint of what the monk felt during this
odd display of wrath. Nor is there any hint what colorful insults he used. Only that he „threw
rocks.” The monk then returned to Macarius, who questioned him: „Didn’t they say anything
to you?” „No,” the monk replied. Macarius then told him to go back the next day, and this time
he was to praise the dead. The monk did as he was told. He poured out compliments: „Apostles,
saints, rightnouse ones.” Again the monk returned to Macarius, who again asked him: „Did
they answer you back?” „No,” the monk again replied. Macarius then gave him a word: „You
know how you insulted them and they did not reply, and how you praised them and they did
not speak; so you too, if you wish to be saved, must do the same and become a dead man. Like
the dead, take no account of either the scorn of men or their praises, and you van be saved.”4
Therefore, a monk have to die before his death. In other words, the awarness of his coming
death, combined with renunciation of secular life, led the monk to regard himself as dead.
Also, several sayings of Abba Poemen illustrate the interior meaning of this „death”: Once Abba
Anoub came to ask if Poemen would like to invite some priests over. Poemen kept silent and
inally Anoub left saddened. When asked the reason for his behavior, Poemen responded, „I
have nothing to do here. For I died and a dead man does not speak.”5 Abba Poemen was annoyed
with his brother Paesius whose conversations were not to Poemen’s liking. Poemen led then to
Abba Ammonas and told him the situation. Ammonas responded thus: „Poemen, are you still
alive? Go, sit in your cell and set it in your heart that you have already been in the grave a year.”6
On the other hand, Moses the Robber, one of the more colorful igures in the sayings of the
desert Fathers, points to the exterior meaning of ascetic „death”. He says: „A person ought to
mortify himslef from every wicked act before he departs the body that he may do ill to no one.”7
The „dead” monk both cultivates an interior tranquility that isolates him from distractions and
temptations, and he takes care how he relates to others. We must explore both of these two
facets of ascetic „death”: death to oneself and death to one’s neighbor.
The memory and practice of death emerge in Apophtegmata Patrum as important but
contested means of cultivating and communicating the whole ascetic life.
Giuseppe Motta
Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia
MORIRE IN MONASTERO
Il tema della ine della vita e del trapasso all’interno delle mura claustrali viene indagato
sulla base delle fonti letterario-agiograiche e liturgiche; ne emerge il clima spirituale di serena
mestizia che si percepisce nel monastero quando un monaco è prossimo alla ine della sua esistenza. Il momento viene vissuto dall’intera comunità che accompagna con preghiere e rituali,
che afondano le loro radici nelle primitive esperienze eremitiche, quel momento cruciale e
supremo. Vengono quindi descritti i vari riti funebri, le modalità e i diversi luoghi di sepoltura.
Apophtegmata Patrum Macarius 23 (trans. Benedicta Ward, CS 59:134).
AP Poemen 3; see also Moses the Ethiopian 11-12.
6
AP Poemen 2.
7
Moses the Ethiopian 15.
4
5
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Simona Moretti
Libera Università di Lingue Comunicazione, Milano
LA MORTE DEL MONACO: LE FONTI FIGURATIVE BIZANTINE (V-XI SECOLO)
La cappella funeraria della Lavra che il cappadoce Saba (439-532) aveva fondato a sud di
Gerusalemme conservava – secondo la testimonianza dell’archimandrita Gretenio, pellegrino
russo del XV secolo – l’eigie su tela del santo fondatore, Saba appunto, adagiato nel feretro. È
stato sottolineato come questa immagine ricordi i ritratti funebri egiziani dipinti sulle mummie o quelli del Fayyum e anticipi, se dobbiamo dar fede alla sua antichità, di diversi secoli le
igure di giacenti in Occidente. Questo contributo è dedicato proprio alla rappresentazione del
monaco morto, giacente, nelle fonti igurative più antiche dell’Oriente greco ino all’XI secolo.
Alla Dormizione dell’eremita ha destinato di recente un contributo Manuela De Giorgi,
prendendo in considerazione esempi bizantini e post-bizantini che vanno dal XIII al XVIII secolo
e limitando l’analisi alla produzione pittorica murale o su tavola. In questa sede presteremo
invece attenzione alle testimonianze visive più antiche e alla igura del monaco bizantino nella
duplice ‘versione’, l’eremita e il cenobita, con uno sguardo privilegiato alla produzione miniata.
L’analisi mostrerà alcune caratteristiche ricorrenti come, ad esempio, la sobrietà della
composizione, l’immancabile abbigliamento monastico, la valorizzazione dell’ascesi. Mentre
nella lettura delle fonti si troverà la spiegazione di dettagli iconograici e la conferma di usanze
liturgiche.
La critica ha sottolineato, nella genesi iconograica del tema, la dipendenza – o piuttosto
la derivazione – da modelli di dormizioni ben più consuete, in primis quella della Vergine,
iconograia nata in età preiconoclasta ma difusasi solo a partire dal X-XI secolo, e a seguire
le koimeseis di santi, per lo più vescovi. Le immagini qui prese in considerazione, che vedono
coinvolto l’umile monaco, presentano però alcune diferenze rispetto ai modelli per così dire
‘aulici’ ora menzionati, diferenze che non è opportuno trascurare, naturalmente dando conto
anche delle ainità.
Nell’epoca tardo bizantina la morte dei monaci diventerà oggetto di un ciclo composto da
diversi episodi: si tratta dell’illustrazione del canto liturgico attribuito ad Andrea da Creta (600
circa-740), il Canone degli agonizzanti. Ma questa è un’altra storia che non racconteremo qui.
Benché più sobrie e limitate alla scena della morte, le immagini del periodo preso in esame
ofrono comunque interessanti spunti di rilessione e provano, ancora una volta, la stretta
connessione tra storia e arte.
Jorge Rodrigues
IHA and DHA of the FCSH/Universidade NOVA de Lisboa
Calouste Gulbenkian Museum
DEATH AND MEMORY AT THE MONASTERY: PRIVILEGED BURIALS AND THEIR
PATRONS IN THE NEWLY FOUNDED KINGDOM OF PORTUGAL
From the time a irst time a place of memory was built preceding the monastic church of
Cluny II, for the privileged burial of the ducal family of Burgundy, to the widespread adoption of this solution throughout Christendom, the use of galilees worked as a response to the
interdiction of burials inside the temples decided by the Council of Braga in 561, reminiscent
of the separation of the ‘cities’ of the living and that of the dead in the Ancient world. Used
solely by those that could be considered as founders of the temples and monasteries, this 11th
century model of privileged burial would travel through Spain to reach the rising kingdom of
Portugal shortly after, concentrating initially on the irst royal pantheons, those of the Holy
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Cross in Coimbra and, later, Saint Mary of Alcobaça, and subsequently spreading throughout
the territory, following the expansion of the kingdom, used in a vast group of burial spaces
sponsored by the noble landlords.
Amongst the many galillees built in the kingdom, mainly in the 12th century, some of them
are still standing and their relationship to the founders can still be traced through documental
or epigraphic testimonies. Such are the cases of the galillees of Santa Cristina [Saint Christina]
of Serzedelo, São Miguel [Saint Michael] of Vilarinho or São Martinho [Saint Martin] of Mancelos. Others were not so fortunate and were destroyed, either by misjudgements on the part of
the restorers or by lack of function, and consequent abandon of the ensembles, on the course
of the years but mainly on the 20th century. Such was the case of the greatest of them all, the
galilee of the monastic church of Pombeiro of Ribavizela, a symbol for the power of one of the
main supporters of the cause of our irst king Afonso Henriques: the Sousa family. At a smaller
scale churches like Sanins of Friestas, São Pedro [Saint Peter] of Ferreira or Salvador [Saviour]
of Freixo de Baixo also presented these places of memory preceding the western façade that
were destroyed, misinterpreted or poorly restored.
A second type of pantheons - justiied by the economic and political relevance of its patrons that could not, however, be considered as founders - was also associated to the monastic
temples but placed laterally, addorsed, normally to the north side of the church for symbolic
and functional reasons, and with an inner connection. Amongst them we must point out the
irst Portuguese pantheon that we were able to identify, the corporal chapel of Egas Moniz, the
template for many others to follow, with one of the sole underground burial crypts identiied
in the Portuguese Romanesque.
Amongst our chosen examples the one of Salvador of Souto is one of the most curious
because, although destroyed, it is very well documented by an 18th century researcher that still
saw in 1726 not one but two burial structures, with apparently diferent symbolic and hierarchic
functions. Other addorsed pantheons worth mention, built in the 12th century but often kept in
continued use by the same family, or reused by others, are the ones of Santa Maria of Cárquere,
São Pedro of Cete or the more intriguing cases of São Vincente [Saint Vincent] of Sousa or the
Saviour of Ansiães: the irst one integrating a burial structure dated 1162 on the ground level
of the transformed (but still very present) bell tower; the second one adjusted in an awkward
and inexplicable way to the church’s forecourt.
Rutger Kramer
Veronika Wieser
Institute for Medieval Studies, Austrian Academy of Sciences – Vienna
YOU ONLY DIE TWICE. THE DEATH OF ABBOTS AND THE CONSOLIDATION OF
COMMUNITIES – THE CASES OF MARTIN OF TOURS AND BENEDICT OF ANIANE
Whenever the founding abbot of a monastic community died, his followers were faced with
the irst profound challenge of their existence. In the wake of the demise of their charismatic
father igure, they now had to ind a way to continue both his spiritual legacy and the material
well-being of their monastery. In this paper, the researchers will compare two case studies from
Gaul, in which diferent communities each dealt with this challenge in their own way. The irst
revolves around the late-fourth century bishop and monk Martin of Tours, one of the founding
fathers of Western Monasticism, and the various descriptions of his death from the letters of
Sulpicius. The second case is centred on the depictions of the death of Benedict of Aniane in
821, a close advisor to Louis the Pious and one of the architects of the monastic reforms undertaken in the Carolingian Empire. In both cases, the ensuing existential crisis caused those
with a vested interest to re-assess their place vis à vis the monastery and its erstwhile leader.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
Comparing diferent versions from each time period will highlight the preoccupations of the
authors, and show their idiosyncratic view of the place of monasteries in the world. Taking a
diachronic perspective will allow us to look at the changing relation between cloister and court,
allowing us to extrapolate larger developments taking place in the monastic world in the early
medieval West. Contrasting these cases, one from when monasticism still represented a radical
counter-movement, and one from when it was irmly embedded in the empire, will not only
further an analysis of the way monks coped with the death of their abbot. It will also shed light
on how the tension between the developing Church and the lingering Roman Empire shaped
political, religious and social thinking as Late Antiquity gave way to the early Middle Ages – when
monasteries represented forces of stability, but were just as often seen as harbingers of change.
Daniele Ferraiuolo
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
I LUOGHI DELLA MEMORIA FUNERARIA: RIFLESSIONI SU FORME E CONTESTI
DELLE EPIGRAFI SEPOLCRALI DI AMBITO MONASTICO NEI SECOLI VIII-X
Chi intende afrontare l’aspetto riguardante il contesto d’origine delle epigrai sepolcrali di
età altomedievale, deve necessariamente misurarsi con l’estrema rarità di manufatti superstiti
conservati ancora in situ. La quasi totalità dei prodotti sottoposti ad analisi nel presente contributo è, infatti, fuori contesto, ragion per cui si è ritenuto indispensabile intraprendere la
ricerca partendo da una rapida distinzione tipologica dei manufatti documentabili in campo
monastico, tenendo conto della sola produzione di ambito funerario.
Scegliendo l’insieme delle componenti isiche come punto di partenza, l’incrocio con i formulari e con le principali fonti cronachistiche a disposizione ha permesso di avanzare alcune
ipotesi sulla contestualizzazione topograica originaria dei manufatti epigraici, rendendo possibile, in alcuni casi, l’identiicazione delle pratiche di segnalazione delle sepolture di monaci
ed abati all’interno degli spazi claustrali.
Se per l’Italia settentrionale – rappresentata da alcuni casi signiicativi, quali il San Salvatore
di Brescia, il monastero femminile di Sant’Agata al Monte di Pavia e quello di Bobbio – iscrizioni di grandi dimensioni e dal contenuto aulico costituiscono lo specchio di un fenomeno
di “monumentalizzazione” delle pratiche funerarie destinate alle élites, diverso è il caso dei
monasteri italo-meridionali, per cui l’approccio al medium epigraico anche da parte delle categorie meno in vista della gerarchia monastica presuppone, a quanto pare, lo sviluppo di una
prassi improntata sull’uso difuso di iscrizioni di medie e piccole dimensioni poste in origine,
con ogni probabilità, all’interno di ambienti distinti a destinazione funeraria.
Nel novero delle realtà cenobitiche della Langobardia Minor, il caso di San Vincenzo al Volturno costituisce quello forse maggiormente rappresentativo, data la consistenza del campione
epigraico e la sua speciicità.
Meta Niederkorn-Bruck
Universität Wien
CURA MORTUORUM – CURA PRO INSTITUTIONE
MEMORIA, DIE GEMEINSCHAFT STIFTET, ALS BASIS FÜR DIE HISTORIOGRAPHIE
Totengedächtnis und Memorialquellen und Memorialquellen spiegeln immer ein speziisches Interesse, die Identität einer sozialen Gruppe – einer Institution. Dies gilt für geistliche
wie für weltliche Institutionen: Memoria stiftet Gemeinschaft. Das Salzburger Verbrüderungs-
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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buch (8. Jhdt.) belegt dies ebenso, wie das Kalendar/Nekrolog aus dem Kloster Melk aus dem
12. Jahrhundert. Beide Quellen zeigen in ihrer Anlage und jeweils vor allem durch Nachträges
ihre Bedeutung sowohl in der liturgischen Memoria als auch im Hinblick auf die Geschichte
der Institution.
Der Salzburger „Liber Vitae“
Der Jesuit Marcus Hansiz1 hat sich bereits im beginnenden 18. Jahrhundert intensiv mit
dem Liber vitae beschäftigt und durch Ergänzungen nicht nur manche Zuschreibungen – etwa
der Widmungsverse an Alcuin – vorgenommen, sondern auch zu einzelnen Bischöfen und
Erzbischöfen Annotationen gesetzt. Der Liber vitae diente ihm als Quelle im Rahmen seiner
Studien zur Chronologie der Erzbischöfe von Salzburg.
Der „Liber Vitae“ markiert durch seinen Inhalt verschiedene Einluss/Interessenssphären:
die Gemeinschaft der Lebenden und der toten, die sich durch ihre Bitte um das Gebet in
die Gemeinschaft eingliederten; die Erweiterung dieser Gemeinschaft durch „Stiftungen“ /
Wohltaten leistende Personen („Famulorum famularumque tuarum (sic!: tuarum)2,
Kirchenpolitische Interessen Salzburgs a) –> Gebetsverbrüderung, b) -> monastische
Reformverbände c) -> über die Kirchenprovinz hinaus
Der Liber Vitae stellt sich durch das „Diptychon“, in dem der Ordo Patriarcharum seu
Prophetarum testamenti Veteris einerseits, der Ordo Apostolorum, sanctorum Martyrum et
Confessorum andererseits verzeichnet sind3, auch als Brücke zwischen dem Alten und dem
Neuen Testament dar.
Der Liber Vitae belegt durch die Verzeichnung griechischer Namen (in griechischen Buchstaben!) deutlich die Spannweite der Interessen; sei es, dass Salzburger Mönche / Kanoniker
diese Informationen nach Salzburg brachten, sei es, dass diese Informationen durch Mönche
aus dem byzantinischen Osten in den lateinischen Westen transferiert wurden. Jedenfalls hat
man diese Notizen wenige Jahre nach 1054 (Schisma) eingetragen4.
Kalendar/Nekrolog, Melk, 1123
Das Kalendar/Nekrolog aus dem Kloster Melk, das in seinem Grundstock im Jahr 1123
geschrieben wurde, bestätigt im Kalender wie auch in dem parallel dazu angelegten Nekrolog
den Entwicklungsprozess in der Herausbildung und Absicherung der Identität des Klosters
und der mit diesem verlochtenen verschiedenen sozialen Gruppen.
Die Festzone des Kalenders weist naturgemäß Nachträge auf; z.B: Nikolaus, Thomas von
Canterbury, Antonius von Padua, Franciscus, Elisabeth. Die Verzeichnung der Memoria beati
Gothalmi (VII kal. Augusti) bestätigt die Initiative des Hauses, den hl. Koloman, der hier seit
1015 begraben liegt, durch einen „Assistenzheiligen“ in seiner Identität abzusichern.
Im parallel dazu angelegten Nekrolog verzeichnet man von 1123 bis ins beginnende 16. Jahrhundert immer wieder Namen von Mitgliedern des Konventes – vor allem von Äbten - und
vereinzelt von Personen, die im Verwandtschaftsverhältnis zu Konventualen stehen („tuota
laica obiit: mater Erchinfridis abbatis. mater Erchinfridis abbatis“5). Die hier verankerte Memoria
spiegelt allerdings weniger die Memoria der Konventualen, sondern ganz besonders deutlich die
enge Verknüpfung von Memoria und Geschichte: Bei der Verzeichnung einzelner Babenberger
wurde im 14. Jahrhundert ergänzt, welche „Bedeutung“ ihnen jeweils im Hinblick auf Bestand
und Besitz (Reliquien und Grundbesitz!) des Klosters zukommt.
Marcus Hansiz, SJ, Archiepiscopatus Salisburgensis chronologice propositus ( Augsburg 1729)
Salzburg, St. Peter, Liber Vitae, Pag. 5
3
Salzburg, St. Peter, Liber Vitae, Pag. 5
4
Salzburg, St. Peter, Liber Vitae, Pag.31
5
Melk, Stiftsbibliothek, Cod. Mell. 391 pag. 13
1
2
78
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Beide Texte, das Verbrüderungsbuch, das in den 80er Jahren des 8. Jahrhunderts entstand,
wie da Kalendar/Nekrolog aus dem 12. Jahrhundert, bestätigen durch Bearbeitungsspuren
bereits für das 15. Jahrhundert eine Beschäftigung aus historischem Interesse; Memoria stiftet
hier nicht nur Gemeinschaft sondern bietet Grundlagen für die Geschichte der Institution und
deren Netzwerke im Regionalen wie im Überregionalen.
Paola Novara
Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Ravenna
SEPOLTURE PRIVILEGIATE NEI MONASTERI ALTOMEDIAEVALI RAVENNATI
A Ravenna il fenomeno monastico è attestato precocemente. Accanto alle indicazioni
riguardanti alcuni gruppi legati a Gregorio Magno, a partire dall’VIII secolo le testimonianze
della fondazione e della presenza di monasteri a Ravenna e nei quartieri extraurbani, sono
ininterrotte ino alle soppressioni settecentesche. Indagini svolte durante il XIX e il XX secolo
e alcuni materiali conservati presso i locali musei ci permettono di sintetizzare alcune importanti considerazioni riguardo le sepolture privilegiate nei monasteri alto medievali. Particolare
attenzione sarà prestata al monastero urbano di S. Vitale e a quello extraurbano di S. Maria
della Rotonda. Il primo aveva come chiesa madre l’antica basilica di S Vitale, il secondo l’antica
tomba del sovrano goto Teodorico, trasformato nella chiesa di S. Maria al Faro o della Rotonda.
In San Vitale indagini svolte a varie riprese nella prima metà del XX secolo hanno permesso
di individuare le tracce di due contesti sepolcrali, da cui provengono importanti attestazioni
epigraiche. Lo stesso accade per S. Maria della Rotonda.
Debora Ferreri
Università degli Studi di Bologna
SEPPELLIRE UN VESCOVO, SEPPELLIRE UN MONACO. LA GESTIONE DELLA
MORTE ALL’INTERNO DEL COMPLESSO DI SAN SEVERO (CLASSE-RAVENNA).
Il complesso di San Severo a Classe, poco a sud di Ravenna, è un luogo della memoria
emblematico per comprendere la pratica funeraria in questo territorio. Il monastero è stato
costruito alla ine del IX secolo a ridosso della basilica dedicata a uno dei più importanti vescovi ravennati, vissuto nel IV secolo. L’importanza politica e religiosa del centro monastico è
attestata sia dalle fonti scritte a partire dal X secolo sia dalle indagini archeologiche che hanno
consentito di datare la sua fondazione alla metà del secolo precedente. Da alcuni anni l’Università di Bologna sta indagando in maniera estensiva l’intero complesso, portando alla luce i
diferenti ambienti del monastero intorno all’ampio chiostro rettangolare e numerose sepolture,
distribuite in modo organico intorno a tutta l’area della basilica e al sacello in cui fu sepolto il
Vescovo. Le aree funerarie sono associate sia agli ambienti della basilica e in seguito a quelli del
monastero, come il chiostro, il portico o la sala capitolare, destinata soprattutto alle sepolture
privilegiate. In questo contributo verranno presentati i risultati delle ricerche condotte intorno
all’organizzazione cimiteriale del complesso monastico che indica spazi destinati ai membri
della comunità monastica e del clero, separati da quelli dei laici. Verrà inoltre presentata l’analisi
antropologica efettuata sui resti scheletrici che ha fornito nuovi dati sulla comunità legata al
complesso e al territorio di Classe e di Ravenna.
23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM
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Gisela Ripoll
Francesc Tuset
Eduardo Carrero
Daniel Rico
Ángela González
Universitat de Barcelona
Universitat Autònoma de Barcelona
Laboratorio de Fotogrametría Arquitectónica de la Universidad de Valladolid
SANCTI CIRICI DE COLERA / SANT QUIRZE DE COLERA (PARC NATURAL DE
L’ALBERA, ALT EMPORDÀ, GIRONA). ESTUDIO DEL CONJUNTO MONÁSTICO,
SIGLOS VIII AL XV
sancti Cirici de Colera / Sant Quirze de Colera es un conjunto monástico en la cara sur de
los Pirineos Orientales. Las diferentes estructuras conservadas junto con las fuentes textuales
tienen una dilatada cronología entre el siglo VIII y el siglo XV, momento en que la comunidad
monástica se traslada y pasa a manos particulares hasta los años 1990 en que se empiezan las
primeras consolidaciones, restauraciones e intervenciones arqueológicas.
El estudio sobre Sant Quirze de Colera se realiza dentro del proyecto ECLOC – Ecclesiæ,
cœmeteria et loci (sæc. VIII-XI). sancti Cirici de Colera, sidilianum, Olerdola y es parte de los
trabajos de investigación del ERAAUB (Equip de Recerca Arqueològica i Arqueométrica de la
Universitat de Barcelona) y del CARE – Hispania. Nuestro principal objetivo es llevar a cabo
un estudio integral. Es decir el análisis de las fuentes y de las estructuras conservadas para
comprender las fases y transformaciones tanto constructivas como funcionales y litúrgicas.
Para la correcta ejecución de este análisis estamos trabajando en diferentes líneas. Por un
lado es primordial disponer de una topografía, una fotogrametría, una planimetría y una lectura
de paramentos. Los primeros resultados que presentamos en este coloquio son provisionales
y atañen al sector sur de la cabecera y el transepto, tanto interior como exterior, debido a la
alta densidad de superposición de estructuras en este zona. El trabajo emprendido ya sugiere
reinterpretaciones funcionales y litúrgicas de la iglesia abacial.
El proyecto ECLOC se beneicia del soporte de la Generalitat de Catalunya (Projectes quadriennals de recerca en matèria d’arqueologia i paleontologia per el període 2014-2017) y en él
colaboran Núria Molist, Jelena Behaim, Joan Tuset y Josep Benseny.
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23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek
©
2016