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23. međunarodni kolokvij MIC-a za kasnu antiku i srednji vijek 23rd International IRCLAMA Colloquium i / and / et XXVIIIe RÉUNION de l’Association pour l’Antiquité Tardive 28 May – 4 June 2016 International Research Center for Late Antiquity and the Middle Ages University of Zagreb © IRCLAMA, 2016 Publisher University of Zagreb, International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages, Zagreb - Motovun Graphic design Boris Bui Printing Stega-tisak, Zagreb Number of copies 500 Cover photo St Donatus, Zadar, interior The program booklet has been created within the Project Croatian medieval heritage in European context: mobility of artists and transfer of forms, functions and ideas CROMART, inanced by the Croatian Science Foundation, and with a contribution of the Croatian Ministry of Science, education and sports. Programska knjižica izrađena je u okviru projekta Hrvatska srednjovjekovna baština u europskom kontekstu: mobilnost umjetnika i prijenos oblika, funkcija i ideja CROMART, inancirana od Hrvatske zaklade za znanost te uz potporu Ministarstva znanosti, obrazovanja i sporta Republike Hrvatske. Program i sažetci predavanja Program and Papers Abstracts Međunarodni istraživački centar za kasnu antiku i srednji vijek / International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages Sveučilište u Zadru, Odjel za povijest umjetnosti / University of Zadar, Department of History of Art Z A 2 D 0 A 1 R 6 International Research Center for Late Antiquity and the Middle Ages, University of Zagreb sa / with / avec The Univeristy of Zadar, Department of History of Art organizira / is organizing / organise 23. MEÐUNARODNI KOLOKVIJ MIC-A ZA KASNU ANTIKU I SREDNJI VIJEK 23RD INTERNATIONAL IRCLAMA COLLOQUIUM U suradnji s / In collaboration with Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Scienze della Formazione Dipartimento di Storia moderna e contemporanea Centro Studi Longobardi i / and / et XXVIIIe RÉUNION de l’Association pour l’Antiquité Tardive 28 May – 4 June 2016 The colloquium is organized and partly inanced by the Project Croatian medieval heritage in European context: mobility of artists and transfer of forms, functions and ideas CROMART, inanced by the Croatian Science Foundation, and with a contribution of the Croatian Ministry of Science, education and sports. / Kolokvij je organiziran i dijelom inanciran iz projekta Hrvatska srednjovjekovna baština u europskom kontekstu: mobilnost umjetnika i prijenos oblika, funkcija i ideja CROMART, a inanciran je od Hrvatske zaklade za znanost te uz potporu Ministarstva znanosti, obrazovanja i sporta Republike Hrvatske. La réunion de l’Association pour l’Antiquité Tardive est organisée avec un support inancier de l’Association / Sastanak Association pour l’Antiquité Tardive organiziran je uz inancijsku potporu asocijacije. The 23rd colloquium has been supported by the Università catolica del Sacro Cuore (Milano), Centro Studi Longobardi / 23. kolokvij je podržan od strane Università catolica del Sacro Cuore iz Milana i Centro Studi Longobardi. XXVIIIe RÉUNION de l’Association pour l’Antiquité Tardive Organizacijski i znanstveni odbor | organizing and scientiic committee François BARATTE Nikola JAKŠIĆ Ivan JOSIPOVIĆ Miljenko JURKOVIĆ Thierry RECHNIEWSKI 6 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE SUBOTA, 28. SVIBNJA / SATURDAY, MAY 28 / SAMEDI, 28 MAI dolazak sudionika / arrival of the participants / arrivée des participants - registracija / registration / enregistrement NEDJELJA, 29. SVIBNJA / SUNDAY, MAY 29 / DIMANCHE, 29 MAI 8.00 – bus: terenski obilazak / visit to / visite de Nin, Pridraga, prezentacija spomenika / presentation of sites and monuments / présentation des sites et monuments - Nikola Jakšić (Uni. Zadar), Pascale Chevalier (Uni. Clermont-Ferrand), Ivan Josipović (Uni. Zadar), Miljenko Jurković (Uni. Zagreb), Mate Radović (Museum Nin), Majda Predovan (Museum Nin) 13.30 – ručak za sudionike / lunch for the participants / déjeuner pour les participants 16.00 – Aula 1 (hotel Kolovare) First session: séance scientiique – Actualités archéologiques dans la région / Prva sesija – Arheološke novosti u regiji Chair: Pascale Chevalier Nikola Jakšić (Uni. Zadar), La primitiva cattedrale di Zara Josipa Baraka (Uni. Zadar), I siti archeologici della tarda età imperiale sul territorio di Zadar: rilessioni, novità e prospettive Ante Uglešić (uni. zadar), Podvršje – Glavčine: risultati delle indagini archeologiche più recenti Meri Zornija (Uni. Zadar), Early Christian Church of st. Mary on the Island of Kornat Ana Mišković (Uni. Zadar), Il pozzo della cattedrale di Zara Sébastien Bully (CNRs-UMR ArteHis 6298, dijon-Auxerre), Morana Čaušević-Bully (Uni. Besançon), Actualité de la recherche sur les sites paléochrétiens de l’archipel du Kvarner Gian Pietro Brogiolo (Uni. Padova), Alexandra Chavarria (Uni. Padova), Miljenko Jurković (Uni. Zagreb), Nouvelles recherches sur l’ile de Rab 19.00 – Assemblée générale de l’association ABSTRACTS – SAŽETCI - RÉSUMÉS 8 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE Nikola Jakšić University of Zadar LA PRIMITIVA CATTEDRALE DI ZARA Complesso vescovile di Zara è collocato accanto al foro della colonia romana Jader. Dotata d’un battistero esagonale e di un cattacumeneo, la cattedrale, construita durante il V secolo, chiudeva la parte settentrionale del foro. Gli eventi bellici della seconda guerra mondiale cambiarono radicalmente l’aspetto di questa parte della città, e il battistero - l’unico ediicio paleochristiano visibile - è stato centrato in pieno da una bomba aerea, e completamente demolito. Gli scavi condotti al posto del battistero destruto e della vicina sacrestia hanno portato in luce le strutture romane che le hanno preceduto. Si è concluso che il battistero e la sacrestia furono eretti entro lo spazio delle sei taverne del foro romano. La primitiva cattedrale, che nella seconda parte del IV secolo occupò lo spazio delle tre taberne romane, oggi si ricognosce sotto il pavimento della sacrestia attuale e nel corrispondente muro settentrionale conservatosi all’altezza di 4 metri. Josipa Baraka University of Zadar I SITI ARCHEOLOGICI DELLA TARDA ETÀ IMPERIALE SUL TERRITORIO DI ZADAR: RIFLESSIONI, NOVITÀ E PROSPETTIVE In questo contributo intitolato I siti archeologici della tarda età imperiale sul territorio di zadar: rilessioni, novità e prospettive sarà presentata la documentazione archeologica del territorio di Zadar (colonia Iader) al momento nota. Il territorio esaminato è compreso tra i iumi Zrmanja (tedanius) e Krka (titius) e le isole da Pag a Murter, cioè l’area gravitante verso l’antica colonia Iader. Questa zona, dal punto di vista archeologico, si dimostra assai peculiare sia per le varietà tipologiche dei siti archeologici che per lo studio di essi: risulta al contempo sia ricca di testimonianze e ben studiata, sia in larghi tratti lacunosa e poco indagata. Questa contraddizione nell’ambito della ricerca è dovuta al fatto che la documentazione archeologica relativa alla tarda età imperiale era generalmente orientata, ino a tempi relativamente recenti, solo verso lo studio delle singole chiese, estrapolate di solito dal contesto generale, come prassi scientiica accettata e comune per tutte le aree della provincia e dell’Impero. In questa sede, partendo dalle informazioni fornite da diverse opere pubblicate (rilessioni), implementate con alcune interessanti scoperte archeologiche ancora sconosciute alla comunità scientiica (novità), si cercherà di ofrire un inquadramento generale degli studi e dei siti del periodo tardoantico, con una speciale attenzione ai casi ritenuti più rappresentativi. In particolare l’attenzione sarà focalizzata su tipologie di siti che permettono di andare oltre il mero esame delle singole chiese, compito arduo ma imprescindibile, che ha avuto però come risultato la redazione di una nuova carta di distribuzione per le località tardoantiche, di tale impatto da poter introdurre addirittura nuove prospettive nello studio di questa categoria di aree archeologiche. XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE 9 Ante Uglešić University of Zadar PODVRŠJE – GLAVČINE: RISULTATI DELLE INDAGINI ARCHEOLOGICHE PIÙ RECENTI Sul sito Podvršje – Glavčine, che si trova 16 km a nord della città di Zadar, nel 1997 sono state scoperte casualmente le chiese doppie paleocristiane. Gli scavi sono stati organizzati da parte di Dipartimento di Archeologia dell’Università di Zadar in diverse campagne archeologiche dal 2002 e sono ancora in corso. Il sito è ubicato presso l’antico percorso della strada ricordata nei documenti medievali come Via Magna che fu comunicazione principale dell’antica Croazia e la quale riprendeva il percorso della via romana che collegava municipi nedinum – Corinium – aenona. Le tracce dei frammenti architettonici rinvenuti nei campi adiacenti indicano che nelle vicinanze dovrebbe essere cercato un insediamento tardoantico. Il caso di chiese doppie di Podvršje rappresenta un complesso archeologico composto dalle chiese, battistero, un annesso presso la chiesa meridionale, piccolo cimitero intorno e due costruzioni anteriori alle chiese. Finora sono evidenziate più fasi costruttive. In un primo momento venne costruito un ediicio minore, probabilmente una memoria, ediicata anche essa sopra una struttura circolare di cui funzione inora non è ancora possibile individuare con certezza. Tuttavia, risulta abbastanza indicativa un’iscrizione di prima età imperiale, riutilizzata in una tomba tardoantica, su cui è menzionata la presenza di un tempio dedicato alle divinità siriache. Poi è costruita la chiesa meridionale ed il battistero con la vasca battesimale cruciforme. In una delle fasi successive venne aggiunta la chiesa settentrionale, più grande. In questa fase anche il battistero venne allargato e al posto della vasca battesimale cruciforme venne applicata una nuova ottagonale, mentre i presbiteri di tutte e due le chiese vengono separati dalle recinzioni in forma della lettera “L” di cui basamenti sono abbastanza bene conservati. Le tombe rappresentano una varietà della tipologia: semplici fosse, tombe “alla cappuccina”, sepolture in sarcofagi ed altro. Particolarmente interessante si presenta la tomba rinvenuta presso il battistero nella quale è stata riutilizzata la menzionata iscrizione che ricorda la ricostruzione del tempio romano dedicato a dei siriani. In alcune tombe è stato rinvenuto anche il corredo funerario: una ibbia del cosiddetto tipo mediterraneo, gli orecchini aurei, la ibbia alla forma di croce. Meri Zornija University of Zadar EARLY CHRISTIAN CHURCH OF ST MARY ON THE ISLAND OF KORNAT The complex of the church and the tower called Tureta, located in the Tarac bay in the central part of the island of Kornat, represents one of the most remarkable sites of our Late Antique heritage. The church itself is nestled in a bay with a little harbor at the foot of the early Byzantine tower that dominates the typical landscape of Kornati for 1500 years. Until recently, it was known only for its highly preserved apse in the back of today’s late Medieval church, bearing witness to a remarkable skill of Dalmatian Late Antique builders. The entire site had its irst systematic archaeological excavations during the last decade that have not yet been inalized, but today it is possible to bring out at least some preliminary conclusions and display its historical development as well as its signiicance among the island sites. Church complex, most likely developed on the remains of an ancient villa rustica, consisted of single-nave church and lateral chambers arranged in two rows. One of them was equipped with a piscina in the shape of a Greek cross, and the other probably served as a funerary chapel or memoria in one phase. Discovery of the baptistery in 2006 caused quite a surprise, considering the then interpretation of the church only as a station on the maritime route and a companion of the early 10 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE Byzantine tower above it. However, today’s understanding of the church allows the identiication of four successive phases of construction and its gradual expansion. This presentation brings the contemporary interpretation of the entire church complex and the arguments for the complexity of its spatial development, which is explained by the presence of the supposed nearby settlement protected by the tower, in the vicinity of the fertile ield with the source of water. Special attention is paid to the remains of the altar screen traces preserved in the irst layer of the plastered looring in the sanctuary of the early Christian church. The arguments are presented according to which these are the only archaeologically conirmed traces of wooden liturgical instalations in the province of Dalmatia. Ana Mišković University of Zadar IL POZZO DELLA CATTEDRALE DI ZARA Nella navata destra della cattedrale di Zara, vicino al presbiterio, si trova un pozzo di pianta circolare. Il pozzo non è visibile sull’odierno livello della chiesa, il cui pavimento risale al XVIII. e XIX. sec., ma una parte del suo corpo si vede nella cripta dove è incorporato nel muro sud. Il pozzo è più profondo del livello della cripta, anzi è più alto di stessa perché si apre nella navata destra della basilica. Il pozzo era in funzione igienica, specialmente per pulire le suppellettili sacre. Tuttavia, questo pozzo posto al centro della chiesa, forse, potrebbe indicare un’altra funzione, questa liturgica, legata al culto del Sacro pozzo. Tra gli esempi dei santuari con il pozzo situato dentro la basilica o presso la basilica, particolarmente indicativi sono quelli provenienti da Costantinopoli. La basilica di Santa Soia sull’angolo sud-ovest, durante l’Alto Medioevo, ricevette una cappella dedicata a Sacro pozzo. Si tratta dello spazio dentro il quale si trovava una reliquia in forma di pietra sulla quale era presentato Gesù quando parlava con la Samaritana sul Pozzo della Vita. Dentro la cappella c’era anche un pozzo vero. Un’altra chiesa di Costantinopoli, la basilica di Santa Maria in Chalkoprateia, aveva un pozzo al centro della navata destra. Dalle fonti letterarie è noto che si tratta del pozzo risalente al periodo precedente al IX. sec. Dallo periodo tardo antico proviene il Sacro pozzo del’Hagiasma della basilica di Santa Maria di Blacherne, pozzo dentro il quale si svolgeva un speciico rito di puriicazione. Allora, possiamo chiederci: Si possa, dunque, il pozzo della cattedrale di Santa Anastasia, collegare con i siti analoghi di Costantinopoli ed in tal punto anche proporre un legame al culto del Sacro pozzo?; e per quanto riguarda la datazione sia possibile o no proporre la costruzione del pozzo nei primi secoli della chiesa di Zara? Sébastien Bully CNRS-UMR ArTeHis 6298, Dijon-Auxerre Morana Čaušević-Bully Université de Bourgogne-Franche-Comté/UMR Chrono-environnement 7249 ACTUALITÉ DE LA RECHERCHE ARCHÉOLOGIQUE SUR LES SITES RELIGIEUX DE L’ANTIQUITÉ TARDIVE DANS LE KVARNER Situé entre la péninsule istrienne et la Dalmatie du nord (Zadar), l’archipel du Kvarner regroupe les îles de Krk, Cres, Rab, Lošinj, Pag (en partie) et une multitude d’îlots. Ces îles accueillent des monuments importants, dont certains sont bien connus de la communauté XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE 11 scientiique depuis plusieurs décennies, comme le complexe paléochrétien de Mirine (commune d’Omišalj, île de Krk), le groupe épiscopal d’Osor (île de Cres) ou celui de Krk. Mais depuis la dernière rencontre de l’Association pour l’Antiquité tardive à Poreč en 2002, plusieurs chercheurs et équipes ont engagé de nouvelles recherches archéologiques sur le riche patrimoine de l’Antiquité tardive et du haut Moyen Âge de la région. Ces recherches ont permis de révéler des monuments religieux inédits, ou d’engager la révision d’autres, souvent seulement répertoriés, notamment dans le cadre d’un programme de prospection-inventaire des « sites ecclésiaux ». Cette communication propose donc de présenter un état du paysage monumental paléochrétien du Kvarner à travers une approche architecturale des édiices, mais également des contextes dans lesquels ils prirent place. Gian Pietro Brogiolo Università degli Studi di Padova Alexandra Chavarria Università degli Studi di Padova Miljenko Jurković University of Zagreb NOUVELLES RECHERCHES SUR L’ILE DE RAB Per documentare e valorizzare il patrimonio storico di Rab, da dieci anni le Università di Zagabria e Padova, cui si sono aggiunte, per alcuni speciici progetti, quelle di Lille, Parigi e Clermond Ferrand, hanno dapprima condotto scavi nella grandiosa villa romana di Kastelina, una delle più grandi della costa dalmata. Sono poi passate a studiare, sulla base di nuovi rilievi, il castello bizantino di San Damiano. Hanno altresì indagato sistematicamente i paesaggi storici dell’isola e schedato le epigrai, le sculture e le architetture medievali. Nel 2014-2015 l’attenzione si è inine focalizzata sulle mura della città, nelle quali sono riutilizzati interi sarcofagi romani e su un sito della costa, noto come San Lorenzo di Banjol. A ridosso delle mura, lo scavo ha documentato una sequenza di storia urbana che si sviluppa tra attività metallurgiche (fosse di fusione e forge), un’edilizia altomedievale con muri a secco e una ripresa di quella di qualità nel XII-XIII secolo. A San Lorenzo di Banjol, dove la presenza di una chiesa era suggerita dal toponimo e da alcuni elementi di arredo liturgico di VI secolo, è emersa una sequenza che comprende una prima chiesa grande di tipo aquileiese a pianta rettangolare con sinthronos e una successiva ricostruzione, in una data sinora imprecisata, di una chiesa più piccola provvista di abside semicircolare. Sono stati ritrovati anche una capitello fogliato ed alcuni elementi di corredo di sepolture databili nel VI-VII secolo. 12 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE PONEDJELJAK, 30. SVIBNJA / MONDAY, MAY 30 / LUNDI, 30 MAI 9.00 – Aula 2 (Sveučilište u Zadru, Svečana dvorana / University of Zadar, Great Hall / Université de Zadar, Grande salle) second session: séance scientiique – Transfers of forms, functions, materials, works of art in the 6th century / druga sesija – Prijenosi oblika, funkcija, materijala i umjetničkih djela u 6. stoljeću Chair: Nikola Jakšić Marta Fernandez Lahosa, Carles Mancho, Carles Buenacasa Perez (Uni. Barcelona), Un ejemplo de apropiación semántica de la iconogràica imperial en el siglo vi: el tema de la Ascensión de Cristo en Oriente Alexandra Chavarria Arnau (Uni. Padova), Archaeological evidence for religious competition in sixth century Iberian Peninsula Marcello Rotili (Uni. Napoli), Forme e funzioni dello spazio urbano in Campania nella tarda antichità Simona Pastor (Uni. Paris Ouest), Les voies de la création et de la transmission des formes dans le décor architectural du VIe siècle : le témoignage de tropaeum traiani 11.00 – 11.15 pauza / cofee break Richard Schneider (Uni. toronto), Ambiguous transfer of forms as the generator of meaning in the Justinian panel of san Vitale Thomas Schweigert (Uni. Wisconsin), the iconography of the apse mosaics of saint Maurus Cathedral in Poreč 12.15 – Prezentacija / presentation of / présentation de Dissertationes et monographiae 7 - Scripta in honorem Igor Fisković 13.30 – ručak za sudionike simpozija i autore u zborniku / ofered lunch for all participants / déjeuner ofert aux participants 16.00 – 19.00 zadar i njegovi spomenici – prezentacija kasnoantičkih i srednjovjekovnih spomenika / Zadar and its monuments - presentation of late antique and medieval monuments / zadar et ses monuments – présentation des monuments de l’antiquité tardive et du moyen age (Nikola Jakšić, Pascale Chevalier, Ivan Josipović, Miljenko Jurković,…) ABSTRACTS – SAŽETCI - RÉSUMÉS 14 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE Marta Fernández Lahosa Carles Mancho Carles Buenacasa Pérez Universitat de Barcelona UN EJEMPLO DE APROPIACIÓN SEMÁNTICA DE LA ICONOGRÀFICA IMPERIAL EN EL SIGLO VI: EL TEMA DE LA ASCENSIÓN DE CRISTO EN ORIENTE La iconografía de la Ascensión de Cristo, es un tema recurrente en numerosos soportes, monumentales o no, del mundo tardoantiguo. Esta imagen del triunfo del Dios-Hombre sobre la muerte se forja en los siglos IV y V, sin duda, a imitación del concepto paralelo de apoteosis imperial. En el siglo VI, sin embargo apenas está presente ya en las decoraciones occidentales; en Oriente, en cambio, mantiene una gran vigencia siendo en este contexto donde asume las características formales que deinirán el modelo iconográico en los siglos subsiguientes. Curiosamente, y a pesar de su importancia para consolidar la substitución conceptual del Emperador por Cristo, el tema sólo ha sido analizado de forma tangencial por algunos autores, entre los que destaca André Grabar, Gertrude Schiller, Ernes Kitzinger o Yves Christe entre otros. El catálogo de obras orientales del siglo VI es de sobras conocido: la serie de ampullae de origen palestino que se encuentran en las colecciones de los monasterios de Monza y Bobbio; los frescos que decoran las capillas de Bawit (en Egipto); el icono, de procedencia palestina, conservado en el Monasterio de Santa Catalina en el Sinaí; el evangeliario de Rabula, de procedencia siria y conservado en la Biblioteca Laurenziana de Florencia; el conocido como “relicario del sancta sanctorum Lateranensis” de los Museos Vaticanos; o el relieve de la columna de San Marcos en el baldaquino de la catedral de Venecia. El objetivo de esta comunicación no es, pues, sacar a la luz nuevas pieza, sino, por un lado, poner de relieve los precedentes que dan lugar a este tipo iconográico en el siglo VI y justiicar los motivos por los que el tema de la Ascensión llega a su madurez en dicho siglo en Oriente mientras que en Occidente el tema parece decaer. Por el otro, destacar el contexto y las fuentes ideológicas que explican tanto la tardía aparición del tema a inales del siglo IV, cómo su importancia en las luchas para la deinición de una ortodoxia impulsada pero no siempre controlada desde la corte imperial. Alexandra Chavarria Arnau Università degli Studi di Padova ARCHAEOLOGICAL EVIDENCE FOR RELIGIOUS COMPETITION IN SIXTH CENTURY IBERIAN PENINSULA Consistent archaeological evidence for urban and rural churches emerges in the Iberian Peninsula by the middle of the sixth century. During this century ecclesiastical buildings in many cities developed (Barcelona,Valencia or Mertola for example) and a large number of rural churches seem to be endowed with monumental baptismal arrangements. During the last years scholars have centered on the physic characteristics of this buildings and the identiication of Mediterranean inluences which can be seen in the uses of particular constructive techniques and plans. In my paper i want to explore not only some problems related to the technique, forms and functions of the churches in Hispania during the 6th century but also to analyse the data in connection to the visigotic settlement, but in particularly interprete it as an evidence of the tensions and competition, documented by the written sources by the middle of the sixth century between arian and catholic communites, a subject that has been little explored and that deserves further investigation. XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE 15 Marcello Rotili Seconda Università degli Studi di Napoli FORME E FUNZIONI DELLO SPAZIO URBANO IN CAMPANIA NELLA TARDA ANTICHITÀ Le recenti ricerche archeologiche condotte nei centri urbani campani hanno approfondito in modo considerevole il tema delle trasformazioni delle forme e delle funzioni delle città antiche, precisando e talvolta rinnovando profondamente alcuni modelli interpretativi. La crisi dell’impero nel III secolo, la temporanea rinascita costantinina, l’età delle migrazioni, la guerra greco-gotica, inine l’insediamento dei Longobardi furono tra i motivi che in un arco di tempo di poco inferiore a quattro secoli provocarono radicali cambiamenti del paesaggio urbano, che venne nuovamente caratterizzato da strutture di difesa (Benevento, Napoli); si registrarono altresì restringimenti dello spazio antico (Benevento) e l’occupazione di aree diverse rispetto all’habitat antico di età classica (Avellino-Abellinum). Nel profondo rinnovamento del tessuto urbano, un ruolo preponderante fu svolto dalla progressiva articolazione dello spazio cristiano: i nuovi ediici di culto ebbero spesso una nuova funzione aggregante, come nel caso di Capua ove i brandelli dell’insediamento tardoantico ruotarono proprio intorno ai neonati ediici di culto. Le complesse trasformazioni delle città antiche in Campania non sembrano riconducibili ad un unico modello interpretativo, ma dipesero da esigenze e scelte locali. Simona Pastor Université Paris Ouest-Nanterre la Défense LES VOIES DE LA CRÉATION ET DE LA TRANSMISSION DES FORMES DANS LE DÉCOR ARCHITECTURAL DU VIE SIÈCLE: LE TÉMOIGNAGE DE TROPAEUM TRAIANI Un important lot de marbres, en quantité et en qualité, avait été trouvé dans les édiices chrétiens de Tropaeum Traiani à la in du XIXe s., en particulier dans la basilique de marbre/B. Très dispersé et en partie perdu, il n’a pourtant jamais fait l’objet d’une étude approfondie à la mesure de sa valeur documentaire et historique. A la lueur des nouveaux objets sculptés recueillis dans les fouilles récentes et des corpus régionaux, il est possible de reconsidérer cet ensemble. Celui-ci livre, au-delà de son caractère homogène et singulier, un cas d’étude exceptionnel pour aborder les problématiques du colloque. On peut suivre le processus complexe de la circulation des marbres et de la transmission des modèles décoratifs dans ce site sis à l’intérieur des terres, à travers la panoplie des matériaux (divers marbres importés, d’autres remployés et roches locales). On y décèle un répertoire décoratif très intrigant, autant nettement empreint par l’art de Constantinople que particulièrement riche, rare et insolite par ses détails. Il soulève la question des artisans très spécialisés travaillant à demeure des pièces rares pour des chantiers ambitieux. Moins explorée par les historiens, la part de contribution des ateliers d’Asie Mineure pourrait être étudiée. De cette enquête et en confrontation avec la sculpture romaine locale, se dégage une rélexion sur la genèse et la iliation antique d’un schéma décoratif riche difusé par la capitale : la croix dans un calice d’acanthes. 16 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE Richard Schneider University of Toronto AMBIGUOUS TRANSFER OF FORMS AS THE GENERATOR OF MEANING IN THE JUSTINIAN PANEL OF SAN VITALE At the most obvious, literal the idea of transfer of forms has had a long history and a major impact in the study of images, and was a basic tool in the development of iconology as a discipline (for example, in studies of survival of classical forms into their middle ages, and use of these forms to present Christian subject matter, and so on). At a deeper level, however, Byzantine iconography also is constructed with fundamental visual tools which are exactly like a language with an underlying aesthetic grammar, created by stylistic traits; this visual-rhetorical notion of form functions in every art work and forms a basis of expectation which makes a hermeneutic of meaning and message readable. As a small demonstration of this principle this paper suggests a reading of the Justinian panel in San Vitale in Ravenna which provides a very diferent thematic from those which have been proposed in the literature so far, almost all of which has, with one thematic emphasis or another, read the panel as pro-Justinian imperial ideology. At irst glance, the panel of the court of Justinian in San Vitale (Ravenna) does appear to present a clear focus on the emperor as the central object of attention, and this efect is the consequence of design and form: Justinian is positioned exactly in the centre, lanked by two groups, so that he forms the vertical axis of symmetry which establishes the τάζις of the composition and is the only formal hieratic igure in the panel. Since the surrounding groups represent the secular state on one side and the clergy on the other, the result of this design is to suggest a powerful Caesaropapism theme; and this is the common way this panel is presented – as an isolated image in both scientiic studies and many textbooks – as the archetypal igura of Byzantine imperium. Such a notion would jibe closely with the context of current events: reconquest, establishment of Ravenna as a capital, re-organization of the ecclesiastical province of north Italy, and so on. However, a deeper examination of the panel in relationship to the τάζις of the entire iconographic program of the sanctuary reveals the essential ambiguity of the Justinian panel, which can – and should – be read as presenting Archbishop Maximianus, even though he is far to the right and part of a narrative-igure group, as the most meaningful personage. The panel creates ambiguous play by means of interchange of forms – the key bishop as a narrative igura and emperor as hieratic, contrary to recensional expectation – establishing a subtle ecclesial context which its perfectly the complex situation in which Maximianus, the programmer, found himself, as an unpopular Justinianic appointee needing to show his people (and fellow bishops) that “church” came ahead of empire. Sensitive treatment of forms and τάζις achieve his functional goal. This “ecclesial” reading of the Justinian panel is reinforced by placing the panel into the framework of the entire programme of the apse – and it is this programme which creates the underling thematic τάζις, into which the imperial panel its brilliantly –suggests a quite diferent understanding of Maximianus and his motivations from the usual notion that he is in his position to further Justinian’s theologico-political agenda; Maximianus is perceived to be fostering a view of ecclesia much more in sympathy with the positions of his fellow North Italian Metropolitans whose staunch Chalcedonianism resisted the moves by Justinian to lead the church – manifested, for example, in the condemnation of the Three Chapters, the 5th ecumenical council, and the kidnapping of Pope Vigilius – and to bring theology into accommodation with the more extreme Cyrillianism of the Eastern churches. From close analysis of the rhetoric of the Justinian panel, we come at the end to “Maximianus the Archbishop” rather than to the usual picture of the emperor’s lackey. XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE 17 Thomas Schweigert University of Wisconsin THE ICONOGRAPHY OF THE APSE MOSAICS OF SAINT MAURUS CATHEDRAL IN POREČ The mid-sixth century wall mosaics of the Cathedral of St. Maurus (aka Eufrasiana) in Parentium (Parenzo/Poreč) are published in an invaluable two volume study by Terry and Maguire (Dynamic Splendor). They accept that bishop Eufrasius was a “Three Chapters” schismatic and intellectual author of the mosaic program; they identify schismatic elements in the iconography. I contend the church was consecrated before the 559 schism in Venetia et Histria, led by the Metropolitan (styling himself Patriarch) of Aquileia. This was about ecclesial authority and was a break with the bishop of Rome, not opposition to Justinian’s religious policies conirmed in 553 at the Fifth Ecumenical Council—Constantinople II. I see the church as a rare survival, a Justinianic church of the Theotokos, an example of imperial/urban renewal in an Istria deinitively reconquered in the irst months of the Gothic War. Many such were also built in Syria and Palestine, reconquered from the Persians, and in North Africa, reconquered from the Vandals, Saint Catherine’s in Sinai being the sole survivor. I read the central image of the central apse mosaic at St. Maurus, often called Madonna and Child, as a composite statement of three major, inter-related, tenets from Constantinople II: a neo-Chalcedonian, Cyrillian emphasis on the oneness of Christ; the doctrine of Theotokos, Mary as mother of the (unitary) second person of the Trinity, the Word made lesh; and the Theopaschite Formula, “One of the Trinity sufered in the lesh”. The north and south side apses relect, respectively, Justinian’s personal devotion to Saints Cosmas and Damian, and his elevation of the see of Ravenna to arch-episcopal status under his close associate, Maximian. 18 XXVIII e RÉUNION dE L’AssOCIAtION POUR L’ANtIqUItÉ tARdIVE UTORAK, 31. SVIBNJA / TUESDAY, MAY 31 / MARDI, 31 MAI 8.00 – Cjelodnevni terenski obilazak brodom – kasnoantički i ranosrednjovjekovni spomenici (kornati, Biograd) / all day trip by boat with lunch aboard – visit to late antique and early medieval sites (Kornati, Biograd) / journée d’études en bateau avec déjeuner (Kornati, Biograd) – Meri Zornija (Uni. Zadar), Nikola Jakšić (Uni. Zadar) 23. MEÐUNARODNI KOLOKVIJ MIC-A ZA KASNU ANTIKU I SREDNJI VIJEK 23RD I N T E R N A T I O N A L I R C L A M A C O L L O Q U I U M LIvINg ANd dyINg IN ThE CLOISTER Monastic life from the 5th to the 11th c. vIvERE E MORIRE NEL ChIOSTRO Spazi e tempi della vita monastica tra v e XI secolo ŽIvjETI I UMRIjETI U kLAUSTRU Samostanski život od 5. do 11. st. The monastic life investigated through monk’s vision is the perspective of the XXIII International Symposium IRCLAMA: a meeting that, through the study of space and time of the monastic asceticism, intends to penetrate deeply into one of the fundamental structures of development of medieval society between East and West. History, art and architecture are the primary tools by which, through the words spoken and written by the monks, are examined the forms of the monastic complexes, from late antiquity to the great lowering of Cluny, such as archetypes of Christian Europe in the Middle Ages. La vita monastica indagata con gli occhi dei monaci è la prospettiva del XXIII Simposio internazionale IRCLAMA. Un appuntamento che, mediante lo studio degli spazi e dei tempi dell’ascesi claustrale, intende penetrare in profondità una delle strutture fondamentali dello sviluppo, tra oriente e occidente, della società medievale. Storia, arte e architettura sono i principali strumenti con cui, attraverso le parole dette e scritte dai monaci, si esaminano le forme di piccoli e grandi complessi abbaziali, dalla tarda antichità alla grandiosa ioritura cluniacense, quali archetipi dell’Europa medievale. Monaški život iz perspektive monaha tema je 23. međunarodnog kolokvija MIC-a za kasnu antiku i srednji vijek, susreta koji kroz proučavanje vremena i prostora samstanskog asketizma ima za cilj prodrijeti duboko u jednu od temeljnih struktura razvoja srednjovjekovnog društva na razmeđi Istoka i Zapada. Povijest, umjetnost i arhitektura osnovni su alati uz pomoć kojih se, kroz monaške izgovorene i pisane riječi, ispituju oblici samostanskih kompleksa od kasne antike do velikog procvata Clunyja kao arhetipovi kršćanske Europe u srednjem vijeku. Organizacijski i znanstveni odbor | organizing and scientiic committee Gabriele ARCHETTI Xavier BARRAL I ALTET Nikola JAKŠIĆ Ivan JOSIPOVIĆ Miljenko JURKOVIĆ 20 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek SRIJEDA, 1. LIPNJA / WEDNESDAY, JUNE 1 9.00 – Aula 2 (Sveučilište u Zadru, Svečana dvorana / University of Zadar, Great Hall) Opening of the 23rd International IRCLAMA Colloquium / otvorenje 23. simpozija MICa, Miljenko Jurković, University of Zagreb Xavier Barral i Altet (Université Rennes II, Università Ca’ Foscari di Venezia), Introduction to the topic / uvod u temu Gabriele Archetti (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), Vivere e morire nel chiostro, temi e prospettive di ricerca 10.00 – First session / Prva sesija Structures of monastic life and liturgical spaces | Strutture di vita monastica e spazi liturgici / Strukture monaškog života i liturgijski prostori Chair: Roberto Greci Carmelina Urso (Università degli studi di Catania), strutture monastiche e momenti di vita quotidiana nel “Registrum epistularum” di Gregorio Magno Fadia Abou Sekeh (Römisch-Germanisches Zentralmuseum, Mainz), Formen des Mönchtums in den Felsenklöstern in der Phoenice Libanensis syriens 11.00 – 11.15 pauza / cofee break Nikolina Uroda, (Museum of Croatian Archaeological Monuments split), From villa to monastery? Jorge López Quiroga (Universidad Autónoma de Madrid), El “monacato rupestre” hispano tardo-antiguo y altomedieval en el ámbito mediterráneo. Características y contextos materiales de un tipo de edilicia singular Zaroui Pogossian (Universität Bochum), Coenobitic Monasticism and Politics in IX century Armenia - Rasprava / discussion 13.00 – Prezentacija / presentation of / présentation de Dissertationes et monographiae 8 – Alla ricerca di un passato complesso 14.00 – ručak za sudionike simpozija i autore / ofered lunch for all participants / déjeuner ofert aux participants 16.00 – 18.30 First session continuing / nastavak Prve sesije Chair: Gabriele Archetti Stefano Parenti (Pontiicio ateneo sant’anselmo, roma), il ruolo del monachesimo greco nella trasmissione della prassi liturgica Cesare Alzati (Academia Romena, Bucarest), Liturgia della ecclesia e liturgia del monastero nella tradizione ambrosiana 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 21 Paul Tombeur (Université Catholique de Louvain), Prière et chant monastique au XIe siècle. La réalité vécue à l’abbaye bénédictine de saint-trond Laura de Castellet, Jordina Sales-Carbonell, Marta Sancho i Planas (Universitat de Barcelona), “Incensum in monasterium” en la Hispania pre-andalusi (siglos V-VIII) Roberto Cassanelli (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), Il complesso monastico di s. Maria d’Aurona: architettura e liturgia a Milano tra età longobarda e carolingia Francesca Stroppa (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche in santa Giulia di Brescia Massimo De Paoli (Università degli studi di Brescia), strutture architettoniche e restauri in san salvatore di Brescia - Rasprava / discussion ABSTRACTS – SAŽETCI 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 23 Gabriele Archetti Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano VIVERE E MORIRE NEL CHIOSTRO, TEMI E PROSPETTIVE DI RICERCA La vita monastica indagata con gli occhi dei monaci e, per così dire, vista dall’interno è la prospettiva del XXIII Simposio internazionale dell’IRCLAMA. Un appuntamento che, mediante lo studio degli spazi e dei tempi dell’osservanza claustrale, intende penetrare in profondità una delle strutture fondamentali dello sviluppo, tra oriente e occidente, della società medievale. Storia, arte, architettura e archeologia sono i principali strumenti con cui, attraverso le parole dette e scritte dai protagonisti, i luoghi della preghiera, del lavoro e della vita quotidiana, le immagini e le costruzioni (chiostro, capitolo, refettorio, biblioteca, scriptorium, dormitorio, infermeria, orto, foresteria, ecc.), ino all’ultima dimora delle sepolture, comuni o elitarie, si esaminano le forme di piccoli e grandi complessi abbaziali e i loro usi, dalla tarda antichità alla grandiosa ioritura cluniacense, quali archetipi formativi dell’Europa cristiana medievale. Il tempo per Dio e lo spazio della preghiera, corale e personale, si modulano così attraverso il vissuto di eremiti e cenobiti – documentato dalle fonti scritte, dai resti materiali, dalle sopravvivenze edilizie, dalle pareti dipinte o scolpite delle chiese – lungo le stagioni della vita e le sue occupazioni. Ne risulta uno spaccato dai colori intensi che guarda alla realtà di un’esistenza aperta alle necessità interne dei chiostri, ma non indiferente allo scorrere delle vicende esterne, attenta nel gestire gli interessi materiali, orientati da inalità spirituali, di patrimoni sovente assai consistenti. La strada verso la perfezione appare perciò mediata dal confronto fraterno, dal lavoro materiale e intellettuale, dal servizio di generosa accoglienza a poveri e pellegrini, dal nutrimento corporale unito alla ritualità di quello spirituale, dalle vie dell’azione educativa dei piccoli oblati e della carità verso i fratelli più deboli, sino ai gesti di pietà che con la morte spalancano le porte della vita celeste. Naturalmente la scelta dell’ascesi monastica, nelle sue declinazioni anacoretica e comunitaria, apre a mondi reali e a paesaggi dell’anima molto diversi tra loro e non sempre del tutto codiicabili, ofrendo una varietà di esperienze religiose che, da questo punto di vista, non sono riconducibili a modelli necessariamente unitari, né sarebbe giusto farlo. Ciò vale anche per le strutture materiali che, a lungo, hanno risposto più ai bisogni contingenti delle singole comunità che a schemi precostituiti. Certo, alcuni caratteri appaiono comuni – la preghiera, il canto, l’obbedienza, l’umiltà, il silenzio, il lavoro, lo studio, la moderazione, l’astinenza, ecc. – ma si tratta di un percorso molto personale, misterioso e quasi insondabile, come ricorda il Prologo della Regola benedettina: obsculta, o ili, praecepta magistri et inclina aurem cordis tui (Regula Benedicti, Prologus 1). Dimenticarsene non rende un buon servizio alla ricerca storica e impedisce di comprendere l’essenza profonda del monachesimo. Carmelina Urso Università degli Studi di Catania STRUTTURE MONASTICHE E MOMENTI DI VITA QUOTIDIANA NEL REGISTRUM EPISTULARUM DI GREGORIO MAGNO Il pontiicato di Gregorio Magno (590-604) si segnala come un momento di grande potenziamento per il monachesimo nell’intero Occidente. Egli favorì l’impianto di nuovi monasteri, ne seguì la realizzazione e ne stigmatizzò i ritardi; fu pronto a sostenere le necessità, anche di ordine materiale, delle comunità; denunciò e perseguì ogni devianza e ogni comportamento immorale; fu soprattutto pronto a sostituirsi agli ordinari locali, per disposizione canonica preposti al controllo e alla cura degli istituti monastici diocesani, quando costoro dimostravano poca attenzione o poca capacità gestionale. 24 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek I principi cui fu ispirata l’intera sua azione pastorale, nello speciico dell’ambito monastico, pur basati su alcune note disposizioni della regola benedettina, specialmente sulla stabilitas loci e sulla paupertas, non coincidono tout-court con i precetti della stessa Regula. In sintesi, «le comunità non appaiono sottoposte all’imperio della norma scritta, ma piuttosto all’autorità dell’abate, che governa in forza del suo carisma, o, in alcuni casi, del priore». I progetti volti alla costruzione di nuovi monasteri o a dare ospitalità a comunità monastiche in grandi ediici privati opportunamente trasformati si moltiplicarono già dai primissimi tempi del pontiicato di Gregorio. Nuove strutture monastiche, nuovi oratori e nuovi xenodochia furono realizzati a Roma, in Sicilia e nelle altre isole piccole e grandi del Mediterraneo, in Campania, nella Lunigiana, nel ravennate e nel territorio della Pentapoli, e, fuori dal patriarcato romano, in Gallia ecc. La portata delle iniziative è certamente rilevante, ma ciò che più interessa è che esse provenivano anche da ecclesiastici, fra i quali lo stesso ponteice, ma in prevalenza da “privati”, vale a dire da benefattori laici. Nel settore si impegnarono regine e alti dignitari, così come personaggi comuni spinti da motivazioni non sempre chiare e convincenti. I modi dei loro interventi, recuperabili attraverso un attento spoglio delle epistole gregoriane, alimentano, spesso, la convinzione che l’evergetismo aristocratico nel settore, segnali, più che un rinnovamento religioso, «una moda che nella realtà è un disorientamento spirituale», un mezzo per sfuggire ai problemi quotidiani sempre più angosciosi, o, cosa ancora più grave, un vantaggioso progetto imprenditoriale. Gregorio, come cercheremo di documentare, era del tutto consapevole dei rischi connessi a questa nuova dimensione del movimento e intenzionato a controllarlo perché si mantenesse nel solco dettato dalla religio e dalla lex. Da una parte, pertanto, egli lo sostiene e si dimostra pronto ad afrontare per risolverle le questioni che vengono sottoposte al suo giudizio da religiosae feminae e sanctimoniales, da monachi, così come da vescovi, defensores e pubblici uiciali, dall’altra non esita a denunciare ogni atto e ogni comportamento sospetti. Gregorio dovette confrontarsi con problemi che, onde evitare il perpetuarsi di incresciose situazioni, era opportuno esaminare e sbrogliare con autorevolezza, oltre che con gli appropriati strumenti legali. Su tutti spiccava la necessità di controllare l’origine, la titolarità dei progetti e il rispetto degli obblighi di legge: sapeva che molti avevano espresso nei loro testamenti la volontà di costruire monasteri, individuando anche le risorse economiche necessarie, ma era altrettanto consapevole che gli esecutori testamentari, accampando speciose motivazioni, ne procrastinavano talvolta l’attuazione, incuranti delle norme giuridiche che imponevano tempi certi e brevi. La vita nei monasteri del tempo, dunque, scorreva in mezzo a tanti obblighi e a tante diicoltà. I problemi, le necessità si sommavano e pretendevano un impegno individuale costante. La situazione era particolarmente diicile nelle isole e ancora di più in quelle che componevano i piccoli arcipelaghi del Tirreno, se è vero che lo stesso Gregorio, ad esempio, escludeva che dei giovani ante decem et octo annorum tempore potessero essere accettati in Palmaria aliisque insulis. Lì, così come altrove, i monaci dovevano preoccuparsi di riparare, direttamente o per mezzo di maestranze che andavano comunque dirette e sorvegliate, i danni alle strutture; dovevano, così come competeva anche ai chierici e ai laici, efettuare turni di sorveglianza delle mura; dovevano soprattutto gestire i beni fondiari di cui disponevano già all’atto della loro costituzione o che erano successivamente testati da benefattori. E non si trattava di amministrazione inanziaria dei patrimonia, faccenda per la quale, specialmente alle istituzioni femminili, era consigliato che si avvalessero di procuratores, di amministratori di specchiata onestà e auspicabilmente appartenenti all’ordo ecclesiasticus, bensì della loro messa in produzione. L’autonomia economica serviva a preservare «il decoro del culto», ma nel contempo concorreva a dare sicurezza alle comunità monastiche. Proprio a soddisfare le stesse esigenze serviva anche la proprietà o quantomeno la disponibilità di un hortus, un ad condimenta holerum nutrienda locus isdem aptus. Si comprende ora perché tra gli impegni degli abati e delle badesse rientrassero certamente anche la cura del patrimonio dell’istituto che presiedevano e, all’occorrenza, la difesa dello stesso da ogni attacco esterno volto ad usurparne la proprietà. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 25 Ciononostante, il quadro che emerge dall’epistolario è sconfortante: i beni della Chiesa e, in particolare, quelli monastici erano spesso concupiti da uiciali pubblici, da homines ecclesiae nostrae e, in qualche caso, dagli stessi familiari dei religiosi. Gli esiti delle appropriazioni indebite, delle ruberie, sommati agli efetti del diicile contesto politico e militare del tempo, compromettevano in più casi la sopravvivenza stessa delle comunità, travolte alcune dalla miseria. Spesso, proprio per scongiurare questi pericoli e difendere nelle sedi competenti i beni dei loro istituti, abati e badesse erano costretti a impelagarsi in contenziosi che, nonostante di norma fossero assegnati dal ponteice alle deliberazioni di giudici elettivi, risultavano di non semplice soluzione e soprattutto annose. Poteva avvenire che questi impegni li spingessero a trascurare il loro ministero con conseguenze delagranti per il sistema monastico stesso. Nel caso in cui infatti le preoccupazioni mondane fossero prevalse sugli impegni spirituali, la possibilità di cadere nel peccato o di assumere atteggiamenti sempre più irrispettosi dei precetti fondamentali della scelta monacale si faceva sempre più concreta. Lo attestano le cospicue notizie che giungevano a Roma su religiosi e religiose che ritornavano nel secolo, spogliandosi dell’habitus monastico, o che, nel chiostro, commettevano reati di ogni tipo. Da Roma Gregorio seguiva con grande energia, seppure con qualche scoramento, gli accadimenti e suggeriva le soluzioni a sostegno del prestigio dell’intero movimento. Se, infatti, si può certamente concordare con quanti hanno sottolineato la iducia accordata dal ponteice al clero secolare su cui caricò tutto il peso dell’amministrazione della Chiesa e soprattutto del patrimonium Petri, è pur vero che su chi abbracciava l’ideale monastico e ai suoi contenuti improntava il suo comportamento e i suoi pensieri, puntò per attuare alcuni suoi progetti prettamente pastorali. Sono a tutti note l’impresa del monaco Agostino e dei suoi compagni presso gli Angli e le missioni svolte da alcuni monaci presso la corte longobarda. Gregorio, d’altronde, agiva nella convinzione che «nessuno potesse conseguire maggiori successi di tutti i monaci e di tutte le monache che, al chiuso dei loro chiostri, pregavano». Fadia Abou Sekeh Römisch-Germanisches Zentralmuseum FORMEN DES MÖNCHTUMS IN DEN FELSENKLÖSTERN IN DER PHOENICE LIBANENSIS SYRIENS Zum Phänomen der spätantiken Felsenklöster Syriens gehören vier bisher noch unbekannte Klöster, die in der sogenannten Phoenice Libanensis (Phoenice II) lagen: Das Jazal-Kloster in der Region von Palmyra, das Kloster Maġaret el- Ruhban, das Kloster im Wadi El- Ruhban am Hermon-Berg und das Scherubim-Kloster (Deir el- Scherubim) im Qalamoun-Gebirge. In diesen Felsenklöstern zeichnen sich vielfältige Formen des Mönchtums ab. So haben wir sowohl das Beispiel eines Koinobions (Wadi El- Ruhban) als auch das von Koinobien, bei denen auch ein Einsiedler lebte (Jazal-Kloster, Maġaret el- Ruhban) und das einer Laura (also ein lockerer Zusammenschluss von Einsiedlern) (Deir el- Scherubim). Alle diese Formen des Mönchtums waren im 6. und 7. Jh. n. Chr. in Syrien verbreitet, innerhalb von Felsenklöstern stellen sie aber eine bisher wenig erforschte Alternative zu den baulich errichteten Klöstern in Syrien dar. Das Vorhandensein verschiedener monastischer Formen in Felsenklöstern ist tief in der syrischen asketischen Literatur verwurzelt. In meinem Beitrag wird das Verhältnis dieser Felsenklöster zu den anderen syrischen Klöstern und zu den asketischen Traditionen in Syrien thematisiert, wobei vor allem die archäologischen Befunde und die Architektur im Vordergrund stehen werden. Im Fokus der Forschung steht also die Frage, ob und inwieweit diese neu entdeckten Felsenklöster in den Kontext der bisher bekannten syrischen eremitischen Traditionen gestellt werden können. Um auf diese Frage zu antworten, lassen sich archäologische Befunde mit den überlieferten Textquellen in Zusammenhang bringen. 26 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Nikolina Uroda Museum of Croatian Archaeological Monuments Split FROM VILLA TO MONASTERY? Researchers of western monasticism often draw parallels between monasteries and late roman villas in its architectural forms (cloisters or courtyards), and the combination of labor and contemplation. From the sources of the 4th and 5th centuries we can ind out how important role private villas had for the founders of the monastic communities on the west (St. Martin, St. Augustine, St. Benedict of Nursia...). Even in the archaeological practice, early monasteries are in most cases very close to villas or they even grow upon their walls. This lecture aims to ind the correlation between roman villas and the irst monasteries at the territory of Dalmatia. Although we do not have written sources for the speciic locations, We can point out some speciic characteristics of certain sites, which are traditionally held as early monasteries. Sometimes it is diicult to notice without detailed archeological excavation whether those sites have been continuously inhabited or there was a discontinuity between the former and the later occupancy of the site. However, we can try to ind some criterion and apply it to the known sites bearing in mind the diiculties of determining a monastic community in its period of formation. Jorge López Quiroga Universidad Autónoma de Madrid THE LATE ANTIQUE AND EARLY MEDIEVAL HISPANIC RUPESTRIAN MONASTICISM IN ITS MEDITERRANEAN FRAMEWORK. FEATURES AND MATERIAL CONTEXTS OF A SINGULAR ARCHITECTURE The rupestrian architecture as a constructive typology destined to house Christian cult spaces, whose formal record should look at the underground hypogea (also known as catacombs) from the early days of Christianity, as well as spaces for housing, funeral and productive uses, conforms a type of architecture widespread throughout the Mediterranean, which has been widely studied focussing their characteristics and materiality as well as the enhancement and dissemination of a unique heritage. While the origin of the Christian use of this architecture is found in centre (Lazio, Umbria, Abruzzo) and southern Italy (Campania, Basilicata, Calabria, Apulia), its development linked to spaces of monastic communities and hermits are located in the Middle East (Syria, Jordan) and north Africa (Egyptian Tebaida particular), spread throughout the rest of the Mediterranean from, and inluence of, these formal models. This type of construction that take advantage of the rock as a construction material, have traditionally been linked to hermits environments, considering them as isolated parts because of their topographical features and ‘decoupled’ from the rest of the world. The reality, if we look carefully to their places of location in relation to the existing network of settlement, roads and circuits of production and consumption, is somewhat diferent. The bio-anthropological and bio-archaeological studies, accompanied by reliable archaeological record, still undeveloped and scarce in the Iberian Peninsula, made in some of these places show the invalidity of the traditional model of individuals and/or isolated communities. On the contrary, it is found the interrelation and close interweaving of these sets with the late-antique and early medieval system of settlement, its relationship with the road network and the existence of a productive activity chiely intended for domestic consumption, but also oriented to output and input products beyond the strictly local framework and sometimes surpassing the regional level. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 27 The rupestrian architecture linked to monastic communities formed authentic rural settlements, while Christian cult complex, in which a community not exclusively dedicated to religious activities conduct their daily life, because there would not be composed only of monks (as evidenced by burial areas), forming what we might call ‘agricultural monasteries’, which are also, to a certain extent, ‘village communities’ in which the religious element, of monastic type in this case, would be a factor of social cohesion that because their hierarchical and regulatory nature generate at the same time socio-economic inequality. Some years ago we have suggested that the activity of Fructuosus of Braga in the Iberian Peninsula has favoured and stimulate the development of a number of rural communities in spatial areas not traditionally associated with the ‘Roman settlement system’. The religious component, either because they are monastic communities of ‘fructuosian type’ (based on the monastic rule written by him circa 646: the Regula Communis) or by the presence of a Christian cult building initially dug in the rock, it is a unifying element for these rural communities. In the Iberian Peninsula these are generally cult spaces of individual (a simple cave) or collective (complexes formed by several caves) character, with annexes spatial areas equipped with various functionalities (residential, warehouse, production, etc.) and simple in its architecture, although the absence of constructive complexity is not indicative of simplicity or marginality, as has sometimes been defended. Indeed, we must not forget that, regardless of the presence of a Christian cult place, we are talking about settlements of rural communities that are not exclusively composed of monks in the strict sense; we are really in presence of ‘village communities’, as we can seen in the whole Mediterranean area. The topographical location of this sites in Hispania, as in the rest of the Mediterranean, is very characteristic taking advantage of mountainous areas and crags, but his situation is not deined by its ‘isolation’ or ‘the light to the desert’, as it has been wrongly airmed many times in respect to the Hispanic rupestrian monasticism, since these complexes are placed not in solitary spaces, but next to the settlement and communication network system. From a chronological point of view, the preliminary existence of an individual Christian cult place in the 6th or 7th century, derived often in the coniguration of a coenobitic complex of communitarian type in the 9th or 10th centuries in the Iberian Peninsula. EL „MONACATO RUPESTRE“ HISPANO TARDO-ANTIGUO Y ALTOMEDIEVAL EN EL ÁMBITO MEDITERRÁNEO. CARACTERÍSTICAS Y CONTEXTOS MATERIALES DE UN TIPO DE EDILICIA SINGULAR La edilicia rupestre como tipología constructiva destinada a albergar espacios cultuales cristianos, cuyos precedentes formales debemos buscar en los hipogeos subterráneos (también conocidos como catacumbas) de los primeros tiempos del Cristianismo, así como espacios de uso habitacional, funerario y productivo, conforma un tipo de arquitectura muy difundida por todo el mediterráneo que ha sido objeto de profusos estudios que han abordado sus características y realidad material al igual que la puesta en valor patrimonial de un fenómeno singular. Si bien el origen del uso para el culto cristiano de esta arquitectura la encontramos en el centro (Lazio, Umbria, Abruzzo) y sur de Italia (Campania, Basilicata, Calabria, Apulia), su desarrollo vinculado a espacios y ambientes monásticos y eremíticos se localizan en Oriente Medio (Siria, Jordania) y norte de África (la Tebaida egipcia particularmente), extendiéndose por el resto del Mediterráneo a partir de, y por inluencia, de esos modelos formales. Este tipo de construcciones que aprovechan al máximo la roca como material de construcción, se han vinculado tradicionalmente con ambientes anacoréticos y eremíticos, considerándolos como lugares aislados por sus características topográicas y ‘desconectados’ del resto del mundo. La realidad, si analizamos con detenimiento sus lugares de emplazamiento en relación a la red de poblamiento existente, vías de comunicación y circuitos de producción y consumo, es algo diferente. Los estudios bio-antropológicos y bio-arqueológicos, acompañados de registros 28 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek arqueológicos iables, aún incipientes y escasos en la Península Ibérica en lo que a la edilicia religiosa rupestre se reiere, efectuados en algunos de estos lugares evidencian la invalidez del modelo tradicional de individuos y/o comunidades aisladas. Al contrario, se constata la interrelación e imbricación estrecha de estos conjuntos en el sistema de poblamiento tardoantiguo y alto-medieval, su relación con la red viaria y la existencia de una actividad productiva básicamente de consumo interno, pero también orientada a la salida y entrada de productos más allá del marco estrictamente local y superando en ocasiones el ámbito regional. La edilicia rupestre vinculada con ambientes monásticos conforma auténticos asentamientos rurales, al tiempo que complejos cultuales cristianos, en los que desarrolla su actividad cotidiana una comunidad no exclusivamente dedicada a actividades de tipo religioso, pues no estaría únicamente compuesta de ‘monjes’ (como evidencian las áreas funerarias), dando lugar a lo que podríamos denominar como ‘monasterios agrícolas’ que constituyen también, y en cierta medida, ‘comunidades aldeanas’ en las que el elemento religioso, de tipo monástico en este caso, sería un factor de cohesión social que por su carácter jerárquico y normativo generaría a su vez desigualdad socio-económica. Zaroui Pogossian Universität Bochum COENOBITIC MONASTICISM AND POLITICS IN IX C. ARMENIA The ninth century, especially the second half, marks a period of economic and cultural lourishing in various medieval Armenian regions. It is at this time that three new dynasties -- Bagratids, Artsrunis and Syunis -- attempt to acquire ever more autonomy from the Abbasid overlords, culminating in the coronation of A?ot Bagratuni as King A?ot I in 884 and his grandson Gagik Artsruni as King of Vaspurakan in 908. In the same period there is a revival of cenobitic monasticism. New monasteries were founded or older ones re-founded, often under royal or high princely patronage. This paper seeks to explore the relationship between the rising power of new Armenian nobility and the establishment and patronage of monasteries based on some important examples from the IX century. Stefano Parenti Pontiicio ateneo Sant’Anselmo, Roma IL RUOLO DEL MONACHESIMO GRECO NELLA TRASMISIONE DELLA PRASSI LITURGICA “Were the early monks liturgical?” Questa domanda, volutamente provocatoria, lanciata da Eligius Dekkers all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, se la deve porre ancora oggi chiunque voglia afrontare il complesso rapporto tra monachesimo e liturgia. Il dotto abate benedettino interrogava il monachesimo occidentale, ma la domanda ha un senso, anche quando è rivolta al monachesimo greco e, in genere al monachesimo ortodosso ed orientale. Ogni storia della cultura religiosa si deve confrontare con le rivisitazioni ideali del passato, e se l’Occidente ancora oggi deve fare i conti con la deinizione “monachus propter chorum”, creata in pieno romanticismo da Prosper Guéranger (1805-1875), l’ortodossia russa si riconosce nella deinizione di Gogol (1809-1852) “La Russia è un grande monastero”. Le due deinizioni, lontane per geograia e per politica – una nata nella Francia post-rivoluzionaria, l’altra in pieno regime zarista – in realtà si sostengono a vicenda nella visione di un monachesimo eminentemente 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 29 liturgico proiettato all’indietro nella storia per poi essere ripristinato (Guéranger) o per essere presentato come norma di vita e di preghiera a tutta la Chiesa (Gogol). Le fonti storiche del monachesimo e della liturgia presentano un quadro diverso, dove il monaco non svolge un apostolato liturgico ante litteram, non vive a servizio della preghiera liturgica ma plasma e riforma la liturgia nella misura in cui risulta funzionale allo stile di vita che ha scelto. Esiste nel monachesimo antico tutta una corrente a-liturgica in seno alle esperienze eremitiche e lauriotiche che vede nella preghiera oraria non una “liturgia delle ore” ma una risposta personale all’invito del Nuovo Testamento alla preghiera continua, “senza stancarsi” (Lc 18,1). L’adattamento della liturgia all’impostazione della vita comunitaria operata dal monastero di Stoudios a Costantinopoli dopo il secondo Iconoclasmo ha incontrato resistenze perché considerata troppo “secolare” nelle forme e nell’esecuzione, ma proprio questo compromesso le ha consentito una enorme difusione dal Mediterraneo alla Rus’, facendo del rito monastico il culto liturgico dell’intera Ortodossia. A Costantinopoli nell’XI secolo la preghiera liturgica del monaco e del laico praticamente era la stessa. Già nel XII secolo l’astro del monastero di Stoudios con il suo fondamentalismo cenobitico, rilesso nella liturgia, comincia un inesorabile tramonto. L’eremitismo mai del tutto sopito all’interno del monachesimo greco riprende lentamente il sopravvento e trova nell’esicasmo sostegno e motivazioni. Cesare Alzati Accademia Romena, Bucarest LITURGIA DELLA ECCLESIA E LITURGIA DEL MONASTERO NELLA TRADIZIONE AMBROSIANA Le forme rituali della ecclesia e quelle in vigore nei cenobi già per tempo hanno conosciuto in Oriente speciiche modalità di interazione nella prassi cultuale dei monasteri urbani. La centralità del paradigma celebrativo episcopale insita nella conseguente fenomenologia liturgica trova in Milano una sua peculiare declinazione. L’evoluzione determinatasi al riguardo nei cenobi della città di Ambrogio non è peraltro il frutto della semplice intraprendenza redazionale di singoli scriptoria in cui circolavano libri rituali romani, ma rilette l’immissione anche nelle comunità monastiche milanesi della sensibilità ecclesiologica, di cui l’ambiente franco sotto la spinta della dinastia carolingia s’era fatto portatore. Paul Tombeur Université Catholique de Louvain PRIÈRE ET CHANT MONASTIQUE AU XIe SIÈCLE. LA RÉALITÉ VÉCUE À L’ABBAYE DE SAINT-TROND Ce qui caractérise la vie des moines est bien l’oice monastique dans lequel ils se plongent de nuit et de jour. Le cadre retenu est essentiellement celui présenté par la Règle de saint Benoît qui va devenir avec le temps ‘la’ règle observée dans les monastères d’Occident du IXe siècle à nos jours. Comment savoir de quelle manière se présentait concrètement la célébration de l’oice ? C’est notamment toute la question du chant. L’étude des textes laisse bien des incertitudes. Le vocabulaire à interroger laisse bien des ombres. Il n’en reste pas moins que le chant qu’il faut prendre en considération est le chant dit grégorien. 30 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Dans l’évolution de ce chant et dans le développement musical, une région a joué un rôle particulier : en gros l’Austrasie et ce qui correspond à la Belgique actuelle avec l’immédiat de ses frontières. Etudier le développement du chant monastique requiert nécessairement l’examen de l’histoire et du développement de la notation musicale. Là aussi les contrées évoquées ont joué un rôle important, et notamment l’abbaye bénédictine de Saint-Trond, fondée au VIIe siècle. On évoquera ainsi, d’une part, Guy d’Arezzo, et, d’autre part Raoul, abbé de Saint-Trond qui introduit dans son abbaye la notation musicale ‘moderne’. Le but inalement recherché est de faire ‘entendre’ le chant dans les monastères du XIe siècle. Laura de Castellet Jordina Sales-Carbonell Marta Sancho i Planas Universitat de Barcelona ‘INCENSUM IN MONASTERIUM’ EN LA HISPANIA PRE-ANDALUSÍ (SS. V-VIII) En el presente estudio se sistematizan y analizan las referencias literarias y arqueológicas conocidas, tanto directas como indirectas, acerca de la presencia y producción de incienso y sus sucedáneos (resinas aromáticas) en la Hispania tardoantigua. A partir de las fuentes escritas se percibe claramente el origen oriental –tanto geográico como “ideológico”– de este producto en el marco de la liturgia cristiana. Y la procedencia de los incensarios encontrados en diversos yacimientos tardoantiguos de Hispania así lo conirma, pues todos ellos, sin excepción, se clasiican como de origen copto u oriental. Por otro lado, en nuestra investigación constatamos el rechazo frontal que la presencia del incienso generó en la liturgia cristiana de la Hispania visigoda. Una costumbre, la de quemar incienso, instaurada por las oleadas de cristianos de origen oriental (principalmente monjes) que se instalaron en la Península Ibérica durante los siglos VI-VII y que tan profusamente documentados aparecen en la literatura (no así en la arqueología, sobre todo por lo que a asentamientos monacales se reiere). Recientes hallazgos y estudios realizados en un yacimiento arqueológico de los Pre-Pirineos, cercano a la sede episcopal de Ilerda e identiicado como una comunidad monástica de montaña (Els Altimiris, Lleida), aportan por primera vez en Hispania indicios sobre la manufactura de resinas aromáticas. Signiicativamente, este monasterio estaba conectado, mediante una ruta ganadera, con otro probable monasterio ubicado en el llano (El Bovalar, Lleida) y en el cual se encontró un lujoso incensario que, junto con otros elementos, ha permitido proponer un origen oriental para este último. En suma, el análisis de esta actividad en torno al incienso pretende contribuir al debate sobre la identiicación de comunidades monásticas en Hispania –tanto “autóctonas” como de origen oriental–, y por ello el incienso (y por extensión las resinas aromáticas) resultan un indicador de alto valor arqueológico que ha pasado relativamente desapercibido en la historiografía del monacato primitivo en Hispania. Creemos que su estudio puede paliar parcialmente la escasez de información arqueológica sobre monasterios tardoantiguos en la Península Ibérica. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 31 Roberto Cassanelli Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano IL COMPLESSO MONASTICO DI S. MARIA D’AURONA A MILANO: ARCHITETTURA E LITURGIA TRA ETÀ LONGOBARDA E CAROLINGIA Nel corso degli scavi per la costruzione della sede della Cassa di Risparmio, in una vasta area lungo l’attuale via Monte di Pietà a Milano, tra 1868 e 1869 riemerse una vasta congerie di materiali lapidei, di prevalente di funzione architettonica, ascrivibili a un ampio arco cronologico dall’età romana al Rinascimento. Il primo indagatore, l’abate Antonio Ceruti, riferì che nello scavo s’intercettarono anche i resti di una torre e di un muro che si sviluppava per trenta metri, subito riferiti alla cerchia muraria tardoantica detta massimianea. I materiali lapidei vennero invece collegati al monastero di Santa Maria d’Aurona, fondato secondo la tradizione nella prima metà dell’VIII secolo e legato alla memoria di Aurona, sorella di re Liutprando, citata da Paolo Diacono (Hist. Lang., VI 22). Decisiva in tal senso fu la lettura, sull’abaco di un capitello di pilastro (peraltro pertinente alla successiva fase romanica) di un’iscrizione di tenore apparentemente funerario menzionante un vescovo Teodoro «qui iniuste fuit damnatus», identiicato con l’omonimo vescovo citato nel Versus de Mediolano civitate, morto intorno alla metà dell’VIII secolo e sepolto appunto nel monastero. I primi indagatori furono così indotti ad attribuire cumulativamente a quel secolo gran parte dei materiali e a collegarli alla chiesa del monastero. I pezzi furono subito studiati e disegnati da Gaetano Landriani, collaboratore di Fernand de Dartein, che li inserì nel suo Étude sur l’architecture lombarde (1865-82), individuando in S. Maria d’Aurona il precedente del sistema di coperture voltato del S. Ambrogio, anch’esso anticipato al IX secolo. Rafaele Cattaneo afermò invece l’esigenza di una più chiara partizione cronologica in due gruppi principali (VIII-IX e XI-XII sec.). A sciogliere in parte l’enigma della forma dell’ediicio giunse nel 1944 il ritrovamento da parte di Alberto de Capitani d’Arzago di una pianta cinquecentesca. Lo studioso non ebbe diicoltà a proporre una possibile ricostruzione della planimetria originaria di età longobarda e della successiva rielaborazione romanica. Tale restituzione, a tutt’oggi un riferimento imprescindibile, è stata per molti anni accettata, anche se con riserve. Il contributo critico decisivo si ebbe nel 1954, quando Wart Arslan ricondusse il nucleo di sculture riferibili all’VIII secolo alla vasta categoria della “rinascenza liutprandea”, nell’eicace triangolazione con le testimonianze delle sedi regie di Pavia e Brescia. Occorre giungere al 1989 per un nuovo tentativo di riconsiderazione generale dei materiali da parte di Paola Dianzani, non esente da mende, cui ha fatto seguito una più puntuale revisione e catalogazione dei pezzi (F. Ravaglia, R. Cassanelli, M. David 2000; R. Cassanelli 2012; M. Vaccaro 2015). Il monastero benedettino femminile di S. Maria d’Aurona occupava l’isolato tra le vie Andegari, Monte di Pietà e Romagnosi. Le fonti tacciono riguardo la fondazione, presumibilmente avvenuta nei primi decenni dell’VIII secolo. Il terminus ante quem sarebbe issato dalla morte e sepoltura nel monastero del vescovo Teodoro, sulla quale non vi è peraltro piena concordanza. La menzione, nel Versus de Mediolano civitate (739 ca.), di Teodoro come natus de regali germine ha indotto a supporre che fosse iglio di Ansprando e fratello di Liutprando, di cui Paolo Diacono ricorda appunto una sorella di nome Aurona. L’ipotesi è plausibile, ma ostano alcuni elementi. Paolo menziona in efetti una Aurona, iglia di Ansprando, che andò sposa ed ebbe due igli, ma non accenna né alla fondazione del monastero né ad un suo eventuale ruolo di badessa, limitandosi a riferire della mutilazione inlittale da Aripert; ugualmente non ricorda un Teodoro arcivescovo di Milano fratello di Liutprando (legame taciuto anche dalle liste episcopali). Resta il fatto della pertinenza regia del monastero, testimoniata dalla sua prima efettiva menzione nel diploma dell’880 col quale Carlo il Grosso conferma la donazione a Sant’Ambrogio del «monasterium… quod vocatur Aurune» disposta dall’imperatrice Angilperga in memoria del defunto marito Ludovico II, morto nell’875. A causa del grande incendio del 1075 le strutture vennero profondamente rielaborate in forme romaniche. Nel 1472 Sisto IV sop- 32 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek presse l’abbazia, mentre il 7 novembre 1593 vi fecero il loro ingresso le cappuccine di S. Barbara, che vi abitarono sino alle soppressioni giuseppine del 1782, promuovendo il rifacimento della chiesa. E’ in questa occasione che venne demolita la maggior parte del complemento plastico altomedievale e romanico, riutilizzato come riempimento nelle fondazioni del nuovo ediicio. La chiesa di S. Maria d’Aurona costituisce l’unica testimonianza pervenuta di architettura religiosa di età longobarda a Milano. Sulla base delle planimetrie cinquecentesche è possibile ipotizzarnecon suiciente approssimazione l’articolazione planimetrica. La chiesa si appoggiava alle mura del circuito tardoantico, inglobando parzialmente una torre (poi trasformata in campanile e demolita intorno al 1580). Il piano inferiore della torre era in diretta comunicazione con la chiesa e fungeva forse da sagrestia. Si trattava di una struttura ad aula unica (16,80 x 10,20 m ca.), secondo uno schema rettangolare allungato. Era preceduta da un breve atrio e conclusa da una parete rettilinea con tre absidi allineate in spessore di muro. Sul chiostro, grosso modo trapezoidale, insistevano i principali ediici monastici. Lo schema detto dreiapsidensaal è diffuso in ambito alpino, e il confronto più immediato è il S. Benedetto di Malles in Val Venosta; ma si può richiamare anche il caso del monasterium theodotis di Pavia, dove si ripropone il rapporto con una torre delle mura urbiche. Dall’esame delle planimetrie emerge che la ridistribuzione romanica degli spazi non interessò se non marginalmente l’originario assetto, in particolare della parete absidale, mentre per quanto concerne l’arredo liturgico vanno considerate le esigenze di adeguamento funzionale sia del periodo carolingio (IX sec.) sia di quello romanico (ine XI sec.). Sopravvivono ancora tra i materiali pervenuti porzioni signiicative dell’incorniciatura superiore della porta d’ingresso, che recava al centro la «mano di Dio», e degli stipiti. I capitelli-mensola (talvolta impropriamente deiniti “pulvini”), da collegare a pilastri o forse lesene a sezione quadrangolare, potrebbero provenire dalla parete absidale, nella quale la planimetria cinquecentesca segnala un sistema di “colonne esposte”. Dell’arredo liturgico sopravvivono due alti pilastrini, lievemente rastremati, ricomposti per l’intera altezza e decorati sulle quattro facce, oltre a esigui frammenti di quella che potrebbe interpretarsi come una fronte di altare o di pluteo. Non sono emerse testimonianze di stucchi decorativi (a diferenza del S. Salvatore di Brescia), materiale peraltro facilmente deperibile, mentre l’unico lacerto di pittura, molto rovinata, con la igura di un diacono, di incerta datazione (età carolingia?), è andato disperso ed è documentato solo da una fotograia. La qualità di alcuni pezzi, realizzati con tutta probabilità da una bottega locale sulla base di un repertorio di modelli comuni largamente circolante, ne fa uno dei punti di riferimento della c.d. “rinascenza liutprandea”, in diretta relazione con la produzione delle oicine attive per la corte regia a Pavia (in un arco di attività che da Corteolona si spinge sino a Bobbio) e soprattutto a Brescia, nel cantiere “desideriano” del S. Salvatore. Francesca Stroppa Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano IL SENSO DELLA CROCE. FORME LITURGICHE ED ESPRESSIONI ARTISTICHE IN SANTA GIULIA DI BRESCIA L’immagine di Giulia, la martire cartaginese crociissa per non aver abiurato la sua fede, insieme alla grande e notissima croce di Desiderio sono indagate all’interno della prassi liturgica e devozionale del monastero femminile di San Salvatore - Santa Giulia di Brescia. Reliquie preziosissime, conservate nella cripta del monastero fondato dal re longobardo Desiderio e dalla moglie Ansa, le spoglie giuliane diventano prima del Mille l’orizzonte ideologico per l’autorappresentazione delle monache che, intorno alla croce, costruiscono il loro percorso di ascesi claustrale di cui la cosiddetta “croce di Desiderio” diventa il naturale corollario nel collegamento con la passione del Signore in un’originalissima, sapiente e senza precedenti commistione di arte e di fede. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 33 Massimo De Paoli Università degli Studi di Brescia STRUTTURE ARCHITETTONICHE E RESTAURI IN SAN SALVATORE DI BRESCIA Il saggio propone il rilievo, la restituzione graica e l’analisi architettonica degli spazi della preghiera del complesso monastico di San Salvatore - Santa Giulia di Brescia, con particolare riguardo alla basilica desideriana. In particolare, attraverso l’esame dello spazio liturgico e il rilievo mensorio si evidenziano una serie di dettagli architettonici, decorativi e costruttivi di grande interesse per la comprensione delle secolari stratiicazioni edilizie, degli usi e degli interventi di restauro condotti sulla chiesa dalle monache dal Medioevo al Novecento. Ne risulta una sorta di originale intelaiatura di informazioni che rende oggi il cantiere giuliano un palinsesto tra più originali e complessi dell’architettura medievale europea. 34 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek ÈETVRTAK, 2. LIPNJA / THURSDAY, JUNE 2 9.00 Aula 1 (hotel Kolovare) First session continuing / nastavak Prve sesije Chair: Carmelina Urso Carla Bino (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano), dal “vedere” al “sentire”. Le radici monastiche del teatro della misericordia (sec. IX-XI) Fabrizio Bisconti (Università degli studi Roma tre), La rappresentazione di san Benedetto nelle catacombe di s. Ermete a Roma second session / druga sesija Cloistered forms and religious symbols / Forme claustrali e simboli religiosi / Klaustarski oblici i religiozni simboli Roberta Cerone (sapienza Università di Roma), “ Hic studet atque legit monachorum cetus et orat ”. Forma e funzione del chiostro nello spazio del monastero Gerardo Boto Varela (Universitat de Girona), Planning monastic cloisters in the Iberian península (siglos VIII-XI): regular layouts and functional challenges Imma Lorés (Universitat de Lleida), spazi e funzioni nei chiostri monastici dell’anno Mille in Catalogna Marcello Angheben (Université de Poitiers), Les portails des cloîtres et des abbatiales romanes: fonctions et signiications 11.00 – 11.15 pauza / cofee break Maria Cristina Rossi (sapienza Università di Roma), La decorazione scultorea nei chiostri dell’italia meridionale come veicolo di rilessione. i casi di Benevento e di monreale Margherita Tabanelli (sapienza Università di Roma), Il chiostro di san Bartolomeo a Lipari: sperimentazioni progettuali e decorative nella prima comunità benedettina della sicilia normanna Marcello Rotili (seconda Università degli studi di Napoli), spazi monastici a Benevento Xavier Costa Badia (Universidad de Barcelona) Fundadores y abades. La institución de monasterios a través de pactos entre particulares en la Cataluña carolingia (siglos IX y X) - Rasprava / discussion 13.30 – 15.30 pauza za ručak / lunch break 15.30 second session continuing / nastavak druge sesije Chair: Béatrice Caseau Artemio Manuel Martínez Tejera (Universidad Autónoma de Madrid), Los monasterios hispanos en la Alta Edad Media (siglos IX-X) y su organización: los espacios de la ‘aldea espiritual’ Milagros Guardia (Universitat de Barcelona), La vita nella “Valle del silencio” (Il Bierzo): il monastero di Peñalba de santiago (León) nel X secolo Gian Pietro Brogiolo (Università degli studi di Padova), Collegiate e monasteri nel basso adige tra seconda metà X e ine Xi secolo 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 35 Meri Zornija (University of Zadar), From Boka to Bojana: remarks on the pre-romanesque sculpture of the benedictine monasteries of the southern Adriatic Ivan Josipović (University of Zadar), Ivana Tomas (University of Zagreb), the Abbey of st. Chrysogonus in Zadar between Early Christian sculpture and the Romanesque architecture 18.00 – 18.15 pauza / cofee break third session / treća sesija Building and working in the monastic world / Costruire e lavorare nel mondo monastic / Graditeljstvo i rad u monaškom svijetu Pietro Dalena (Università degli studi della Calabria, CosenzaIl lavoro manuale nelle esperienze monastiche del Mezzogiorno rurale (secc. VI-XI) Fabio Redi (Università degli studi dell’Aquila), strutture produttive e di servizio nei monasteri rupestri della Cappadocia. Un’esperienza recente di archeologia “leggera” Paolo de Vingo, Marco Casazza (Università degli studi di torino), time for labour and its economy. Production systems and management of economic activities in the early medieval monasteries of Northern Italy Annika Rulkens (University of Amsterdam), Living and dying on an island. the early building phases of Reichenau - Rasprava / discussion ABSTRACTS – SAŽETCI 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 37 Carla Bino Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano DAL “VEDERE” AL “SENTIRE”. LE RADICI MONASTICHE DEL TEATRO DELLA MISERICORDIA (SEC. IX-XI) La cultura visuale del Medioevo cristiano è uno dei temi di maggior interesse per la storiograia internazionale che, negli ultimi anni, si è occupata soprattutto del problema della rappresentazione in relazione alle immagini igurative e al loro statuto, alle dinamiche della visione e alla dimensione performativa dello sguardo. Sin dagli anni Sessanta del Novecento, anche gli studi teatrologici si sono orientati verso un’analisi fenomenologica di testi e contesti, rileggendo documenti e fonti secondo un metodo interdisciplinare e in relazione ad ambiti diversi. Uno dei risultati più stimolanti che sono emersi è il profondo legame che l’‘azione drammatica’ intrattiene sia con la costruzione delle immagini mentali e artistiche (determinandone forma e funzione), sia con i meccanismi retorici di scrittura e lettura, basati su tecniche della memoria locative e assai usati per la preghiera e la meditazione. Oggi è un dato assodato che la reinvenzione della mnemotecnica in ambito monastico abbia molto a che fare con lo strutturarsi di quel ‘teatro della memoria’ cristiano di cui parla già Agostino e che, nel corso dei secoli, si andrà costituendo in una scena mentale di volta in volta nuova, sino ad ‘incarnarsi’, dal X secolo, in una rappresentazione concretamente agita. Allora gli elementi della retorica memorativa (inventio, dispositio, ductus, imagines agentes, loci) si ritroveranno in questo teatro le cui caratteristiche saranno il movimento, i luoghi e le immagini. Rappresentare sarà un isico agere memoriam, ovvero compiere un percorso, passando di persona da un posto ad un altro, vedendo prima una scena e poi un’altra ‘al vivo’, quasi partecipandone. Quest’incrocio tra retorica e drammatica della memoria è particolarmente evidente nell’episodio culminante di tutto il mistero cristiano, cardine teologico, cristologico ed escatologico: la Passione di Cristo. La Passione è lo snodo drammatico, o meglio è il dramma in sé, poiché quella del Golgota è la scena dove uomo e Dio sono faccia a faccia, dove c’è la resa dei conti tra morte e vita, corpo e spirito, dolore e amore. Perciò, il modo in cui si racconta quella vicenda, quali immagini vengono composte e come si ordinano, come si propone di vederle, in che misura si partecipa di ciò che si vede sono tutti elementi profondamente legati al mutamento della spiritualità cristiana nel corso dei secoli. Ma c’è di più: mettendo al centro del proprio dramma un vero e proprio spettacolo del dolore e della morte, la croceissione, il cristianesimo dice qualcosa di decisivo a proposito dell’idea stessa di spettacolo e lancia una sida al concetto di ‘visibile’. Lì, di fronte a un Uomo condannato, nudo, massacrato, morente, ma allo stesso tempo Dio, re, vivo entrano in crisi e vengono rideinite tanto le dinamiche della visione quanto le caratteristiche dello sguardo e dell’immagine. Lì, emerge in modo inedito l’idea di una responsabilità del vedere, tutta consegnata agli occhi di chi vede. Lì, lo sguardo diviene azione drammatica, profondamente partecipata, vicina, sensibile, emotiva. Per tale ragione il teatro cristiano avrà il suo punto apicale proprio nel teatro della passione, che preferisco deinire ‘teatro della misericordia’, scena del compatire viscerale, dove il vedere da lontano proprio dello spettacolo si annulla per essere sostituito da un sentire da vicino, da una compenetrazione di anima e corpo, da una condivisione piena, quasi che due o più individui fossero uno soltanto. L’obiettivo del presente intervento è mostrare come le premesse per questo cambio di prospettiva che passa dal ‘vedere’ al ‘sentire’ siano poste in ambito monastico tra il IX e l’XI e riguardino il modo con cui nella preghiera e nella meditazione viene visualizzato il corpo di Cristo in croce e, attraverso di esso, l’intera sua Passione. Si tratta di un mutamento radicale dell’impianto retorico memorativo con cui la preghiera è strutturata e che è riassumibile in una variazione del punto di vista e dell’intenzione con cui si guarda. Intendo illustrare questo cambio drammatico enuclenandone tre tappe attraverso altrettanti esempi testuali. In tutti e tre i casi cercherò di mostrare come a mutare sia il dispositivo della visione e come da esso 38 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek dipendano tanto l’impianto scenico quanto l’ordine drammaturgico, quanto, inine, l’esito emotivo sullo spettatore. La prima tappa riguarda un ‘imparare’ a vedere il corpo di Cristo sulla nuda croce, vale a dire ‘come’ vederlo e ‘cosa’ ricordare vedendolo. Gli esempi che porterò saranno alcuni testi meditativi scritti da Rabano Mauro e da Pier Damiani. La seconda tappa è relativa ad un primo cambio di intenzione che porta il meditante verso la condivisione emotiva. Si tratta di un ‘iniziare a compatire’ che determina sia la composizione di una diversa immagine del corpo di Cristo, sia una nuova qualità dello sguardo con cui vedere quel corpo, sia l’evocazione di un diverso tipo di ricordo. L’esempio che porterò è Giovanni da Fècamp. La terza ed ultima tappa è quella segnata dalla cosidetta ‘rivoluzione afettiva’ di XI secolo che non si accontenta più semplicemente di vedere il corpo del Signore piagato e morente sulla croce, ma vuole vederlo stando dentro ad una relazione afettiva, ossai vederelo come se fosse il corpo di un amato, di una madre, di un iglio, di un fratello. Assumendo una punto di vista afettivo, dunque, non solo si vede il corpo, ma lo si sente sofrire, e la Passione diviene una reale esperienza di condivisione del dolore: un isico condolere che implica l’agire. L’esempio che porterò sarà, ovviamente Anselmo di Aosta. Inine, mostrerò come a queste tre tappe corrispondano altrettante modiiche del rito monastico della adoratio crucis la quale, tra IX e XI, va verso un’accentuata dimensione drammatica, segnata da un sempre maggiore ‘realismo’ dei gesti e ‘ripresentatività’ delle azioni: la croce non è più solo adorata come un segno, ma viene trattata come se fosse il corpo di Cristo, prima mostrato sul legno, poi deposto e avvolto in lini e, inine, sepolto. Fabrizio Bisconti Universita degli Studi Roma Tre LA RAPPRESENTAZIONE DI SAN BENEDETTO NELLE CATACOMBE DI S. ERMETE A ROMA Il grande archeologo maltese Antonio Bosio il 7 dicembre del 1608 visitò un ambiente-oratorio scoperto, già nel 1576, durante la costruzione di una casa di campagna per il Collegio Germanico dei Gesuti, che verrà deinita “La Pariola” . La scoperta rappresentava il primo recupero di un ambiente catacombale in piena età controriformista anche se questa non fu percepita come tale, in quanto non si era collegato l’oratorio alla sottostante catacomba di S. Ermete nel complesso di Bassilla sulla via Salaria vecchia. Il monumento si incastonava, infatti, in una grande basilica ipogea e rappresentava il cuore di una catacomba organizzata in tre piani, che accoglieva le spoglie del santo eponimo Ermete insieme ai martiri a Proto e Giacinto. Di quest’ultimo si intercettarono le spoglie alla metà dell’Ottocento e tale scoperta rappresentò un grande avvenimento, poiché dentro al loculo della sepoltura si rinvennero ancora i resti del martire con evidenti tracce di bruciato. Tornando al nostro oratorio, questo fu di nuovo visto da Sandro Carletti negli anni centrali del secolo scorso, tanto da poter riconoscere il programma decorativo dell’abside, restaurata una decina di anni orsono ed ora perfettamente leggibile. Nella calotta superiore si distende il gruppo ternario del Cristo tra due angeli, mentre in basso la Madonna regina assisa con il Bambino sulle ginocchia tra i due arcangeli funge da perno per una teoria rappresentata, a sinistra, da S. Ermete e S. Giovanni e, a destra, da S. Benedetto. Quest’ultima rappresentazione si propone tra le prime immagini del santo monaco, insieme a quelle ritrovate nella basilica inferiore di S. Clemente. Ambedue le manifestazioni pittoriche, infatti, si collocano agevolmente nel secondo quarto dell’XI secolo. L’oratorio di S. Ermete suggerisce, per quel tempo, la presenza di un monastero per custodire il santuario, come accade in altri complessi martiriali del suburbio romano, quali S. Lorenzo fuori le Mura e S. Sebastiano sulla via Appia. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 39 Roberta Cerone Sapienza Università di Roma HIC STUDET ATQUE LEGIT MONACHORUM CETUS ET ORAT. FORMA E FUNZIONE DEL CHIOSTRO NELLO SPAZIO DEL MONASTERO Con il termine chiostro si indica nell’architettura monastica (ma anche in quella canonicale) lo spazio a corte che si trova chiuso tra l’ediicio di culto e l’organismo residenziale, fornito di gallerie aperte a giorno che corrono lungo il perimetro dell’impianto, di norma quadrangolare. La funzione centrale che nel corso nel Medioevo la struttura del claustrum viene ad assumere nello spazio nel monastero è ricordata dall’iscrizione che corre lungo il chiostro del cenobio romano di S. Paolo fuori le mura. Nonostante sia piuttosto tarda in riferimento ai limiti cronologici di questo convegno (prima metà del XIII secolo), riassume pienamente tutte le funzioni simboliche e pratiche del chiostro, con la solenne chiarezza che solo la scriptura esposta di matrice romana riesce a ottenere: “Agmina sacra regit locus hic quem splendor honorat. Hic studet atque legit monachorum cetus et orat. Claustrales claudens claustrum de claudo vocatur. Cum Christo gaudens fratrum pia turma seratur. Hoc opus exterius pre cunctis pollet in Urbe. Hic nitet interius monachalis regula turbe. Claustri per girum decus auro stat decoratum materiam mirum precellit materiatum (…)”. A dispetto della sua centralità nella scansione della vita regolare, la presenza del claustrum all’interno dello spazio dei monasteri medievali è tutt’altro che scontata: la sua difusione è infatti relativamente tarda e, ino al Medioevo centrale, geograicamente limitata all’Europa centrale. Da qui l’ambiguità che riveste la parola claustrum (o claustra) nelle prime regole di vita comune e nelle fonti altomedievali, quando il termine poteva indiferentemente indicare l’intero monastero, l’area di clausura o la corte del cenobio. La sua coincidenza con il chiostro vero e proprio si deinisce solo a partire dal IX secolo quando però, per chiarirne il signiicato, gli scrittori sentono il bisogno di chiarirne il signiicato, come nel caso di Ildemaro di Corbie (“Claustra enim dixit de illa cortina, ubi monachi sunt, i.e. quae est inter porticum et porticum”) cui si deve, peraltro, anche un’approfondita disamina del signiicato del chiostro in rapporto alla Regula Benedicti. All’incertezza lessicale e al suo progressivo chiarimento corrisponde pienamente la graduale introduzione dell’impianto claustrale nel panorama dell’architettura monastica. L’analisi delle testimonianze materiali, infatti, attesta per i primi secoli del Medioevo la prevalenza dell’insediamento/recinto con molteplici oratori sparsi al suo interno (Jouarre, Novalesa), talvolta collegati con gallerie in legno, al ianco della tipologia più “ordinata” di monastero con la chiesa e una o due ali abitative disposte attorno a una cortile (Jarrow). In seguito alla riforma anianea cominciano a comparire i primi chiostri, ma solo in ambito centro-europeo, mentre l’Europa mediterranea tardò ancora di qualche secolo. La difusione dell’impianto claustrale nei monasteri carolingi sembra dunque andare di pari passo con la generale adozione della regola di Benedetto da Norcia; il chiostro, d’altronde, permetteva una più razionale disposizione degli ediici necessari alla vita comune e garantiva il totale isolamento della comunità. L’introduzione del chiostro in epoca carolingia è cristallizzata nella celebre Pianta di San Gallo, ma è provata anche da quanto emerso in seguito alle campagne archeologiche a Lorsch e nella Reichenau-Mittelzell e dalla testimonianza delle fonti che, non senza qualche ambiguità, sembrano attestarlo in altri contesti (Landévennec, Fontenelle e Jumièges…). La successiva importante tappa nello sviluppo dell’architettura claustrale è rappresentata dal cantiere di Cluny che darà il via alla grande stagione del chiostro romanico. Tra XI e XII secolo, infatti, sulla scia della riforma cluniacense, si registra l’adeguamento all’impianto claustrale delle maggiori abbazie e la progressiva identiicazione del chiostro con l’essenza della vita regolare e dunque con il monastero stesso, come evocato in numerosi testi dell’epoca che caricano la corte porticata di forti signiicati simbolici. D’altronde, uno sguardo alle coeve Consuetudines che descrivono le attività e gli usi liturgici delle comunità conferma l’importanza crescente delle gallerie claustrali nel quotidiano 40 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek svolgimento della vita dei monaci e, nel caso di Cluny e di Hirsau, anche nella liturgia. Proprio l’indagine funzionale attraverso la lettura delle fonti monastiche ino al XII secolo, in relazione ai dati monumentali e archeologici, vuole essere lo strumento privilegiato del presente contributo, un approccio inora scarsamente praticato nella comprensione della genesi e dell’evoluzione della parabola claustrale, a fronte della ricca serie di contributi che hanno afrontato questo tema focale attraverso altri criteri d’indagine. Gerardo Boto Varela Universitat de Girona PLANNING MONASTIC CLOISTERS IN THE IBERIAN PENÍNSULA (S. VIII-XI): REGULAR LAYOUTS AND FUNCTIONAL CHALLENGES As it is well known, the spatial coniguration of cloisters of monasteries and cathedrals, designed as quadrilaterals with porches and communitarians rooms arranged on the perimeter, took place since the end of the eighth century. We know their development and consummation from philological (Fontanelle), documental (Sankt Gallen) and archaeological studies (Munstair, Lorsch or Fulda). This formula has used in France along the X and XI centuries, as evidenced by the cloister of Cluny II, what Odilo (994-1049) received up till then executed in wood. We can to demonstrate the construction of wooden cloisters in the eleventh century in Catalonia (Lluça), Castilla (Silos). However, it’s still not well analyzed their relationship with other parts of Europe, as the cloisters promoted Lanfranc at Bec Abbey (vers 1039), the abbot of Petershausen Thierry (1086-1116) in Saint-Pierre d’Andelsbuch or Saint-Pierre of Bregenz, the cloister of Zwiefalten Odolric ordered by Abbot (1095-1109) or the restored Saint-Trond Rodolphe Abbot (1108-1138). Recent indings in the Catalan monastery of Ripoll raise the possibility that before 1000 had cloisters in the south of the Pyrenees. This cloister should be studied in relation to others Catalan enclosures, as Sant Cugat (begin 11th c.) with stone portico from the beginning, or the lower cloister of Rodes. Should be justiied even morphology of these enclosures and contrast with other early examples from Catalonia as Colera, Gorgs or Cornellà de Conlent. But, when did rise the iguration at cloister’s capitals? However, the international literature has not considered the possibility that in the Iberian Peninsula, from the Visigoth period and then, there were regular cloisters. Perhaps the Carolingian proposals were not the only ield of experimentation around quadrangles cloisters, in the High Middle Ages Europe. Immaculada Lorés i Otzet Universitat de Lleida – IRCVM-Universitat de Barcelona SPAZI E FUNZIONI NEI CHIOSTRI MONASTICI DELL’ANNO MILLE IN CATALOGNA Il proposito della presente dissertazione è quello di conoscere gli spazi e le funzioni dei chiostri catalani nei loro momenti iniziali, mantenendo certa prudenza, a partire dalle strutture conservate e dalle fonti documentarie. Come avvenne in altri territori europei, intorno all’anno Mille gran parte dei monasteri delle contee catalane rinnovarono quasi completamente le loro strutture. Nella gran parte dei casi, dal punto di vista della pianiicazione, è possibile evidenziare un’integrazione dell’insieme degli ediici monastici disposti intorno al chiostro come spazio centrale; quest’ultimo diveniva allo stesso tempo colonna vertebrale del complesso architettonico e cardine della vita monastica. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 41 L’organizzazione dei diversi ediici intorno al chiostro, tra cui compariva la chiesa, convertiva il complesso architettonico in un tutt’uno organico in apparenza pianiicato per esserlo. Il chiostro, fulcro dell’ordinamento, risultava essere uno spazio multifunzionale: nesso comunicazionale tra le stanze, luogo di lavoro, di lettura e meditazione, di liturgia, ecc. Si trattava di un’ottimizzazione e di un ordinamento degli spazi così coerente con gli obiettivi funzionali da sembrare d’esser stato pianiicato in ogni singolo caso e realizzato a partire da un progetto architettonico unitario. Nonostante ciò, sull’ipotesi in questione vanno realizzate delle puntualizzazioni. Nei casi in cui ha avuto luogo una raccolta di dati, riguardanti le fasi archeologiche connesse all’erezione dei monasteri, ma anche inerenti agli ediici parzialmente conservati, non si è potuta veriicare l’esistenza di un progetto originario d’ordinamento delle strutture intorno al chiostro. Com’è possibile osservare nei casi di Saint-Michel di Cuxa, di Sant Llorenç prop Bagà e di Sant Pere de Rodes, le fasi anteriori all’anno Mille ci restituiscono un impianto strutturale disgregato, composto dalla chiesa e da uno o due ediici aggiuntivi. Bisogna inoltre precisare che nei casi succitati l’ediicio principale era disposto in posizione perpendicolare rispetto alla chiesa, non formando però con quest’ultima una forma angolare. L’ordinamento delle costruzioni intorno ad un patio centrale divenne una realtà solo a partire dell’anno Mille, momento in cui è possibile situare la pianiicazione di nuovi ediici seguendo questa speciica distribuzione. Va però precisato che non sempre si trattava di un progetto completamente nuovo destinato alla completa rinnovazione degli ediici. I casi già noti permettono la stesura di alcune interessanti linee di lavoro/ricerca: Le strutture preesistenti condizionarono il nuovo progetto, integrandosi in esso e mantenendo la loro ubicazione di origine. Questo aspetto può essere veriicato nella fattispecie della chiesa ma anche di altri ediici monastici. I casi di Cuxa, di Sant Llorenç prop Bagà e di Sant Pere de Rodes ne sono un valido esempio. Le nuove costruzioni del XI secolo tendevano a deinire uno spazio aperto all’interno del monastero che favorisse la comunicazione tra i diversi ediici. Poteva trattarsi di un processo più o meno lungo nel quale s’integravano strutture anteriori e ne venivano progettate di nuove. Nel caso delle gallerie porticate non è possibile afermare che precorressero integralmente tutti i lati di questo spazio giacché si tratta di strutture soggette a modiiche nel corso del tempo. Sant Pere de Rodes è un caso eccezionale giacché le sue gallerie e i rispettivi elementi decorativi sono giunti intatti sino ai nostri giorni. Nella maggior parte dei casi la pianta del XI secolo, la chiesa ed altri spazi monastici sono sopravvissuti nei secoli. Nonostante dal XII secolo in poi prenda il via la ricostruzione di molte delle strutture, intervenendo in particolar modo sulla chiesa e monumentalizzando i porticati del chiostro grazie all’introduzione della decorazione scultorea (colonne e capitelli che fungevano da sostegno per gli archi), l’organizzazione e le dimensioni generali dei monasteri non cambiarono in maniera sostanziale. Nella maggior parte dei casi gli spazi corrispondenti ai chiostri dell’XI secolo, ma anche ad altri ambienti, appaiono intatti malgrado la successiva ediicazione di nuovi porticati. I chiostri di Sant Cugat del Vallès e di Ripoll, perfettamente deiniti già agli inizi del XI secolo, li convertono in validi esempi al rispetto. Marcello Angheben Université de Poitiers LES PORTAILS DES CLOÎTRES ET DES ABBATIALES ROMANES : FONCTIONS ET SIGNIFICATIONS. Depuis le milieu du XIe siècle, le moine franchissant le seuil de son église est progressivement accueilli par les images peintes ou sculptées d’un portail dont la monumentalité n’a cessé de croître. Lorsque cet accès s’ouvrait sur un espace accessible aux idèles, le message iguré pouvait 42 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek s’adresser également à eux, mais dans les rares exemples de portails faisant communiquer le cloître avec l’église, on peut supposer qu’ils concernaient avant tout la communauté monastique. Pour illustrer ces deux types de fonctions, la communication présentera les tout premiers exemples de portails « publics », en commençant par ceux dont le décor est composé de peintures : Sant Pietro de Civate et Saint-Savin-sur-Gartempe. Il sera ensuite question des premiers portails sculptés qui se situent chronologiquement autour de 1100 : Charlieu, Anzy-le-Duc et Nonantola. Pour en comprendre la signiication, il faudra toutefois comparer ces œuvres à celles de la première moitié du XIIe siècle dont le foisonnement iconique permet une meilleure compréhension des intentions des commanditaires : Moissac, Cluny, Vérone, etc. On verra que ces portails annoncent généralement la vision théophanique que le moine comme le idèle sont appelés à contempler à l’intérieur de l’édiice, se référant parfois explicitement à la liturgie eucharistique, tandis que d’autres exaltent le saint patron du monastère ou délivrent un message d’ordre politique. En se fondant sur ces observations, il sera possible de dégager les spéciicités des rares portails donnant accès au cloître. Sera d’abord examinée la Puerta de las Vírgenes du cloître de Silos car c’est le principal exemple que l’on peut situer avant 1100. Il est d’autant plus intéressant qu’il pourrait évoquer la pratique monastique de la pénitence. L’analyse portera ensuite sur le portail du cloître de Tarragone, même s’il est plus tardif, car son programme est d’une richesse sans équivalent dans le monde roman. L’analyse du tympan et des chapiteaux montrera qu’il se réfère probablement à la pratique de l’ensevelissement dans les galeries du cloître. On verra également que la théophanie ne se distingue guère de celles de façades publiques et qu’il importe par conséquent de ne pas établir de séparation rigide entre les deux types de portails. Maria Cristina Rossi Sapienza Università di Roma LA DECORAZIONE SCULTOREA NEI CHIOSTRI DELL’ITALIA MERIDIONALE COME VEICOLO DI RIFLESSIONE. I CASI DI BENEVENTO E DI MONREALE Nella complessa struttura monastica, il chiostro costituiva il luogo deputato alla preghiera e alla meditazione. Per tale motivo, in vista di un convegno di studi dedicato allo “spazio” del chiostro e dunque al contenitore di una funzione spirituale, si rivela interessante analizzare quali fossero i mediatori artistici di quella inalità. Non é un caso, a tal proposito, che proprio quei luoghi isolati e di preghiera, accoglievano una produzione scultorea signiicativamente dedicata alla “resa per immagini” di testi biblici ed evangelici. E non solo. Il più delle volte, la decorazione dei capitelli esponevano veri e propri programmi didascalici, con scene desunte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, dal simbolico linguaggio bestiario, da un repertorio iconograico esaltante la Regola benedettina, insieme con episodi mitologici e profani. Si propone dunque l’analisi dei programmi decorativi dei capitelli dei chiostri della chiesa di Santa Soia a Benevento e del duomo di Monreale, quali esempi signiicativi e rappresentativi nel panorama artistico dell’Italia meridionale. Costruito nel XII secolo nell’abbazia benedettina di Santa Soia, fondata quattro secoli prima dal principe longobardo Arechi II, il chiostro si sviluppa su una pianta quadrata e si costituisce di ampie arcate ricadenti su pilastri. Protagonisti del chiostro sono i pulvini, elementi architettonici strutturali a forma di tronco di piramide rovesciata, posti tra il capitello e l’imposta dell’arco e variamente scolpiti con scene tratte dalle pagine evangeliche e dal mondo animalesco. Accanto a queste, si ritrovano anche brani della storia benedettina, con San Benedetto e l’esposizione della Regola, secondo una composizione tipica del registro narrativo miniato. Ecco che la scultura divenne anche strumento della vita monastica, legata alla celebrazione liturgica, alla 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 43 meditazione e alla comprensione dei testi sacri. Non è un caso che fu proprio Gregorio Magno, il papa che propose di Benedetto una lettura nuova, a teorizzare la funzione didascalica degli ornamenta ecclesiae e della pittura come lectio degli illetterati (Registrum epistolarum, IX, 208). È presente inoltre il gruppo dei Mesi, che pure si ritrova in Sicilia. Il chiostro di Monreale, addossato alla cattedrale normanna del XII sec., è anch’esso a forma quadrata, ediicato al tempo di re Guglielmo e caratterizzato dalla ritmica sequenza di 228 colonnine binate che si raggruppano a quattro negli angoli. I capitelli delle colonnine istoriate sono una mirabile antologia scultorea, frutto del lavoro artistico di diverse maestranze, che gli studiosi hanno assegnato, per le diverse cifre stilistiche, ad artisti campani, provenzali, bizantini e musulmani. I temi proposti nei capitelli sono vari e spaziano da quelli sacri a motivi animaleschi e simbolici. Nei capitelli delle quattro colonnine d’angolo della fontanella posta nell’area sud-occidentale del chiostro, sono compendiati tutti i dodici mesi dell’anno, nella tipica rappresentazione di igure intente in occupazioni agropastorali e connotati da una scritta in latino incisa nella parte superiore della igurazione stessa, riferita al mese rappresentato. La storiograia del XIX secolo considerò i cicli dei Mesi del Medioevo sia come documenti di un rinnovato interesse scientiico nei confronti della natura, sia come ammaestramento morale relativo alla scansione metaforica del tempo della vita del cristiano. La centralità del tema del lavoro nell’iconograia del calendario comportò sin dall’inizio uno stretto legame con il ciclo della Genesi. L’inclusione del ciclo dei Mesi in una serie di programmi iconograici si spiega pertanto con il topos del trascorrere del tempo, quale metafora della vita cristiana: il lavoro dell’anno è consacrato a Dio e il tempo del lavoro umano equivale al tempo di Dio. Insieme al calendario compare di solito un gruppo di episodi ricorrenti, tra i quali emergono la Creazione, la storia di Adamo ed Eva, la Natività, l’Epifania, il Battesimo di Cristo, i vizi e le virtù e temi propri della cultura profana, come racconti cavallereschi e narrazioni storiche. Alcuni cicli, oltre a mettere in relazione i mesi con la nascita di Cristo o con la ine dei tempi, si trasformavano in calendari allegorici dell’era dell’Incarnazione, che rappresentavano il tempo dell’uomo in attesa della seconda venuta di Cristo. In Italia la bottega di Wiligelmo e i suoi seguaci realizzarono, tra il 1115 e il 1130, come decorazione di stipiti, le serie dei Mesi della porta della Pescheria della cattedrale di Modena, così come lo scultore Niccolò sperimentava nel 1138 la formula dei Mesi come decorazione degli architravi laterali del protiro del portale di S. Zeno Maggiore a Verona. Inluenze antelamiche sono presenti anche nelle serie del portale mediano del duomo di Parma, nell’archivolto del 1220 del portale centrale di facciata della pieve di S. Maria ad Arezzo e negli stipiti del portale centrale della facciata della cattedrale di S. Lorenzo a Traù, in Dalmazia, del maestro Radovan. Nel resto della penisola italiana, tuttavia, la frequenza appare meno uniforme, variando dalla marcata impronta emiliano-lombarda dei cicli del chiostro di Santa Soia a Benevento del 11591172 e di quello del duomo di Monreale, del 1172-1189, i casi, appunto, che s’intendono esaminare. Margherita Tabanelli Sapienza Università di Roma IL CHIOSTRO DI S. BARTOLOMEO A LIPARI: SPERIMENTAZIONI PROGETTUALI E DECORATIVE NELLA PRIMA COMUNITÀ BENEDETTINA DELLA SICILIA NORMANNA Il cenobio di S. Bartolomeo sull’acropoli di Lipari, fondato da Ruggero I e Roberto il Guiscardo entro il 1085, rappresenta il primo insediamento monastico latino di età normanna in area siciliana. La comunità, cui fu aidato il compito di regolare il ripopolamento delle isole Eolie e al cui abate fu conferito dal 1131 il titolo vescovile, dovette essere verosimilmente composta anche da religiosi italosettentrionali, come sembrano suggerire i nomi di diversi monaci, tra cui 44 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek il primo abate Ambrogio. L’arcipelago, inoltre, accolse nello stesso periodo gruppi di coloni di lingua latina, forse provenienti dalle terre d’origine della terza moglie di Ruggero, l’aleramica Adelasia del Vasto. Delle strutture medievali sopravvivono oggi parte delle murature perimetrali della chiesa abbaziale e tre bracci del chiostro con i circostanti ambienti monastici. Le relazioni redatte in occasione delle visite ad limina Apostolorum dai presuli eoliani consentono di stabilire che ino al terremoto del 1768 la chiesa presentava una pianta a croce con transetto triabsidato e unica nave alta et oblonga voltata a crociera. Si tratta di un impianto ben noto nel mondo monastico e adottato nel Meridione normanno sia per cenobi greci che dalla nuova Chiesa latina. Solo successivamente furono aggiunte le navatelle, distruggendo il braccio settentrionale del chiostro e le prime campate dei due contigui. Gli ambienti claustrali, d’altra parte, erano in condizioni di semiabbandono da diversi secoli, a causa sia dell’estinzione della comunità monastica nel corso del XIV secolo che dei danni dell’incendio appiccato da Kaireddin Barbarossa al termine dell’assedio di Lipari del 1544. Le strutture del chiostro sono tornate progressivamente alla luce a partire dal 1979, grazie all’impegno dell’archeologo Luigi Bernabò Brea. Gli ambienti monastici circondanti il chiostro appartengono a un cantiere distinto rispetto alla chiesa, ma l’avvenuto distaccamento tra la testata del transetto Sud e la contigua parete della sala capitolare non consente di veriicare quale struttura sia stata eretta precedentemente. Non è da escludere che i lavori siano stati portati avanti in parallelo da diverse squadre, una addetta alla chiesa e l’altra agli spazi residenziali. A un momento successivo risale invece il chiostro, che si appoggia ai perimetrali sia dell’ediicio sacro che degli ambienti monastici. La stessa disposizione dei corpi di fabbrica intorno a un cortile quadrilatero, tuttavia, suggerisce che il chiostro fosse presente dall’origine a livello progettuale. L’ala orientale a due piani afacciata sul mare (verosimilmente comprendente sala capitolare e dormitorio), il corpo scala angolare con duplice arco d’accesso, il vasto ambiente meridionale a due piani con inestre prospettanti al di sopra del chiostro e la serie di vani minori a Ovest delineano un complesso monastico di matura progettazione. La scelta del chiostro a tale altezza cronologica sembra essere un antefatto nel Meridione normanno. I più antichi chiostri noti con certezza nel Mezzogiorno, ad eccezione del singolare caso di Cava dei Tirreni, si collocano dopo la metà del XII secolo, come Cefalù e S. Soia di Benevento. Arduo è individuare la causa dell’impianto di tale moderna soluzione a Lipari. Si potrebbe forse pensare a una scelta dettata dalla provenienza dell’abate e di parte della prima comunità, dato che nel Nord Italia, tendenzialmente più rapido nella recezione delle tendenze architettoniche europee, l’apparizione dei primi chiostri si colloca per lo meno nei primi decenni del secolo. Isolata – e rara anche a livello europeo - è pure l’adozione di una copertura a crociera per le corsie, che può ragionevolmente essere stata dettata dalla scarsità di legname idoneo sull’isola. Le volte esibiscono elementi di relativo arcaismo come le nette nervature, un leggero andamento cupoliforme e una certa irregolarità di imposta, ma non necessitano di archi formeret e trasversali, il che ben si sposa con una datazione ai primi decenni del XII secolo. L’ipotesi di W. Krönig di spostare verso la ine del XII secolo gli ambulacri di Lipari, curiosamente motivata da una presunta “mancanza di presupposti per un’architettura monumentale già nella prima generazione dei conquistatori” che ignora l’impressionante serie di fabbriche avviate tra la ine degli anni Cinquanta e gli anni Novanta dagli Altavilla, non è a mio avviso più sostenibile. Da un lato la confezione complessiva con doppio giro di colonne e volte a crociera non accenna in alcun modo ai supposti prototipi di Cefalù e Monreale, dall’altro la scultura architettonica non sembra suscettibile di una datazione così bassa. E questo non tanto per la scarsa credibilità in termini di mimesis delle igure animali e degli ornati vegetali – perché scalpellini di poca abilità non sono mancati in tutte le epoche – quanto per la composizione del programma decorativo. Mancano infatti totalmente le scene narrative, che soprattutto da metà XII proliferano sui capitelli dei chiostri italiani, e la igurazione si riduce a sagome di animali 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 45 – spesso di ardua identiicazione – disposte isolatamente su ciascuna faccia delle imposte. Lo stesso repertorio geometrico e vegetale sembra appartenere alla tradizione protoromanica di XI secolo: intrecci spigolosi, vortici e penduli elementi vegetali racchiusi da girali. Pur ammettendo un certo attardamento delle maestranze attive a Lipari, se il cantiere fosse stato intrapreso sulla scia delle iniziative reali di Cefalù e Monreale almeno qualche tentativo, seppur naïf, di replicarne le novità dovrebbe palesarsi. La squadra di scalpellini di S. Bartolomeo, composta a quanto pare da uno o due “maestri” di maggiore abilità e da un certo numero di aiuti – forse improvvisati - di una gofaggine tale da ostacolare non solo l’esecuzione di tracciati molto semplici ma anche la stessa corretta squadratura dei blocchi, non esce mai dal seminato del repertorio protoromanico. Credo sia possibile circoscriverne l’attività entro i primi decenni del XII secolo, senza dover forzatamente legare l’avvio del cantiere alla creazione della diocesi nel 1131. Il chiostro di S. Bartolomeo rappresenta uno dei più emblematici episodi della strategia normanna di “latinizzazione” religiosa e culturale del Meridione, che si è espressa con maggiore forza laddove le esigenze politiche lo suggerivano e che ha inito per prevalere nel corso del XII secolo, una volta terminata l’utilità mediatrice nei confronti delle popolazioni autoctone del monachesimo greco. Marcello Rotili Seconda Università degli Studi di Napoli SPAZI MONASTICI A BENEVENTO Nell’alto medioevo il tessuto urbano di Benevento appare caratterizzato da una densa maglia di cenobi, dislocati nei settori nevralgici della città. Dall’esame delle fonti scritte e materiali risulta poco più di una decina di istituzioni monastiche (maschili e femminili), ubicate nel perimetro urbano: dall’area nord-orientale alla Civitas nova, dalla zona vicina all’insula episcopalis a quella prossima all’arco di Traiano (la Port’Aurea delle fonti medievali). Sedi monastiche sono altresì note anche nel comprensorio extra moenia, lungo i principali assi viari, quali le vie Appia e Traiana. Si tratta di fondazioni in gran parte riconducibili alla committenza ducale beneventana che evidentemente gestiva lo spazio urbano anche attraverso questi complessi religiosi provvisti di patrimoni fondiari adeguati al loro sostentamento. Centri illustri di conservazione e di trasmissione culturale e sedi della devozione dell’aristocrazia longobarda, i monasteri riuscirono a giocare in taluni casi, attraverso i propri abati, un signiicativo ruolo nello scenario politico. Xavier Costa Badia Universitat de Barcelona FUNDADORES Y ABADES. LA INSTITUCIÓN DE MONASTERIOS A TRAVÉS DE PACTOS ENTRE PARTICULARES EN LA CATALUÑA CAROLINGIA (SIGLOS IX Y X) En los condados catalanes, después de su incorporación al Imperio Carolingio y de poner in a varias décadas de domino musulmán, se establecieron un importante número de monasterios. Tradicionalmente, se ha considerado que, si bien es cierto que en los condados más occidentales los hispani huidos del mundo islámico pudieron tener cierta relevancia en este lorecimiento monástico, en los sectores más orientales fueron los condes y obispos sus principales instigadores y patrocinadores. 46 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek No hay duda que los condes catalanes fueron grandes mecenas de monasterios, aunque debamos esperar hasta el último cuarto del siglo IX para encontrarnos con las grandes fundaciones condales como Santa Maria de Ripoll. Por lo que a los obispos respecta, tampoco debe dudarse de su papel reorganizador del monacato catalán; sabemos, por ejemplo, que antes del 814 el obispo Posidonio de Urgel recibió un precepto del futuro emperador Luis por el cual se le autorizaba a fundar cenobios en los yermos del isco. Sin embargo, creo que debe cuestionarse la atribución mayoritaria de las fundaciones urgelitanas a la acción episcopal, pues si descartamos las hipótesis sustentadas únicamente sobre la dotalia de la catedral de Urgel, hoy considerada falsa por la inmensa mayoría de los investigadores, sólo se le puede atribuir este origen a uno de los veinte monasterios de esta diócesis documentados antes del siglo X. A la luz de estas novedades, debemos replantearnos cómo se produjo y quién impulsó el renacimiento monástico que siguió a la llegada de los carolingios al noreste peninsular. En este sentido, creo interesante volver la mirada hacia las fundaciones de Sant Vicenç de Gerri y Sant Esteve de Servàs, tradicionalmente marginadas del discurso general por el escaso papel que en ellas jugaron condes y obispos. Estos dos cenobios, ambos ubicados en el condado de Pallars, a escasos kilómetros uno del otro, nacieron del pacto entre un individuo preeminente, que aportaba la fábrica monástica, y el resto de la comunidad, que le recompensaba con su obediencia y reconocimiento; un tipo de fundación que, a pesar de sus muchas particularidades, hunde sus raíces en la tradición pactista del monacato visigodo, como también lo hicieron los numerosos monasterios que bajo este signo surgieron en el noroeste peninsular y zona de Castilla. En el presente trabajo, por lo tanto, he estudiado en profundidad estos pactos, analizando sus características formales, los personajes que en ellos intervinieron y el contexto en que nacieron, ya que es difícil creer que todos los monasterios registrados en los primeros decenios del siglo IX aparecieran de la nada, sin un proceso fundacional o un sustrato anterior que los avalara. Del mismo modo, también he intentado analizar si el modelo fundacional de Gerri y Servàs se podría aplicar a otros de los monasterios del antiguo obispado de Urgel, pues, como he comentado, a día de hoy desconocemos cómo nacieron la mayoría de ellos. En este sentido, he alcanzado algunas conclusiones interesantes que reducen el papel otorgado a los poderes francos, condes y obispos, y ponen el acento en el papel que jugó la población local en todo este proceso. Artemio M. Martínez Tejera Universidad Autónoma de Madrid LOS MONASTERIOS HISPANOS EN LA ALTA EDAD MEDIA (SIGLOS IX-X) Y SU ORGANIZACIÓN: LOS ESPACIOS DE LA ‘ALDEA ESPIRITUAL’ THE ORGANIZATION OF HISPANIC MONASTERIES IN THE HIGH MIDDLE AGES (IX-X CENTURIES): THE SPACES OF THE ‘SPIRITUAL VILLAGE’ Aunque pueda parecer paradójico, nuestros conocimientos sobre el fenómeno monástico hispano en la Antigüedad Tardía (ss. IV-VII) superan a los que poseemos para la Alta Edad Media (ss. VIII-X). En el caso de las fuentes escritas, la superioridad es incuestionable, pues para los siglos altomedievales carecemos de testimonios escritos como los ofrecidos por San Fructuoso o San Isidoro en el siglo VII y en sus respectivas reglas, autores con dos visiones muy distintas de la vida monástica que quedaron relejadas en dos regulae monásticas, en dos reglas para monjes. O lo que es lo mismo, dos maneras de entender el espacio para la vida cenobítica: una, la fructuosiana, de un cariz netamente oriental, y la otra, la isidoriana, más occidentalizada, dependiente de la regula sancti Benedicti. Lo que si nos encontramos en la Alta Edad Media hispana es una cristiandad dividida a partir del s. VIII y una iglesia bicéfala con dos sedes episcopales y metropolitanas que pugnan por el liderato cristiano en Hispania: Oviedo y Toledo. Por un lado se encuentran los cristia- 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 47 nos libres que residen en los reinos cristianos del norte de la Península Ibérica y, por otro, los cristianos que vivieron en los territorios dominados por el islam. Entre estos últimos, entre los cristianos que vivieron en territorio sometidos, los hubo que irmaron un pacto de convivencia (especialmente las comunidades ligadas a centros urbanos) y otros que se resistieron al nuevo dominador. Los primeros son los cristianos dhimmíes o ‘cristianos del pacto’, aquellos que decidieron pagar impuestos para conservar su religión y sus tradiciones; cristianos a los que la historiografía tradicional denominó ‘mozárabes’ y a los que consideró ‘cristianos arabizados’, los autores de los ediicios altomedievales monásticos que salpicaron el paisaje del reino del León durante los siglos IX-X. Unos cristianos de al-Andalus que vieron muy mermadas sus posibilidades de fundar monasterios, y no solo por la legislación islámica al respecto (más permisiva en unos momentos que en otros), también por las autoridades cristianas. Solo los nobles fundaron monasterios en al-Andalus, al menos eso es lo que dicen las fuentes. Una situación muy distinta a la vivida en los reinos cristianos del norte, donde reyes, nobles y obispos fueron los grandes impulsores del monacato. Sin embargo, diversos estudios apuntan, desde principios del s. XXI, a que los verdaderos ‘cristianos arabizados’ de la Hispania altomedieval no fueron los dhimmíes, sino los ex-muladíes (cristianos convertidos al Islam que retornan a la fe cristiana) o bien los ‘nuevos cristianos’ de la Alta Edad Media hispana, los musulmanes convertidos al Cristianismo. Estos ‘cristianos nuevos’ fueron quienes patrocinaron, entre los años 899-904, las “bellas y cuidadas” iglesias de Bobastro (Ardales, Málaga). Menos noticias tenemos de los ‘cristianos rebeldes’, aquellos que se resistieron a irmar pactos con el nuevo poder dominante y que se refugiaron en las montañas cordobesas, granadinas o malagueñas. ¿Cómo inluyó esta compleja realidad histórica en la evolución del espacio cenobítico altomedieval hispano? Esta es la cuestión que venimos a analizar aquí por vez primera, pues nunca antes se había realizado un análisis comparativo del espacio monástico entre ambos ámbitos: el cristiano del norte y el cristiano al-Andalus. Respecto al espacio en el que el monje hispano desarrolló su vida espiritual, la Historia del Arte ha ofrecido reconstrucciones idealistas poco ajustadas a la realidad, mientras que la Arqueología ha aportado muy poco a lo ya conocido por las fuentes escritas, hasta el momento nuestra mayor y más creíble fuente de información; y estos, los textos y documentos, lo que parecen indicar es que durante los siglos IX-X el espacio monástico hispano todavía resultaba personalista, difícil de encorsetar en tipologías, tal y como sucedía en la Antigüedad Tardía. A falta de textos monásticos (reglas) será la actividad fundacional desplegada por personajes como San Genadio de Astorga o San Rosendo de Dumio, dos abades-obispos, la que ahora nos informe de las pautas de habitabilidad establecidas (infraestructura y organización) para las ‘aldeas espirituales’ altomedievales, al menos en lo que importa a los reinos cristianos del norte de Hispania, especialmente en los territorios de la antigua Gallaecia, ahora, en la alta Edad Media, reino de León, pues el fenómeno monástico altomedieval en al-Andalus y en territorios sometidos todavía está por estudiar (como también lo está el papel desempeñado por los exmuladíes y los ‘nuevos cristianos’). Milagros Guardia Universitat de Barcelona LA VITA NEL «VALLE DEL SILENCIO»: IL MONASTERO DI PEÑALBA DE SANTIAGO (LEÓN) NEL X˚ SECOLO All’inizio del X secolo, per iniziativa di Alfonso III, monarca di León, e del monaco-vescovo Genadio, venne fondato un monastero dedicato a san Jacopo nei monti del Bierzo. L’intensiicarsi di fondazioni cenobitiche in questi paraggi era volto a mantenere, o recuperare, il prestigio che la regione aveva avuto in epoca visigota per l’azione dei santi Fruttuoso e Valerio. 48 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Accanto alla pietra alba (Peñalba) si conserva tuttoggi la chiesa dedicata a san Jacopo nella cui abside occidentale, luogo di sepoltura privilegiata, era venerato il corpo del santo fondatore. Questa chiesa è fra le architetture più rilevanti del X secolo ispanico. Nonostante ciò, la data precisa di essa è ancora oggetto di dibattito. Un documento del 937 ci tramanda la decisione, presa su iniziativa del vescovo di Astorga, Salomone, di trasferire in un luogo più adeguato il monastero di S. Jacopo nel quale doveva essere accolto il sepolcro del suo predecesore, Genadio. D’altro canto, nella navata della chiesa si conservava, sempre a vista, un’iscrizione che indicava l’anno della consacrazione, nel 1105, data che non può, però, che corrispondere a una nuova consacrazione della chiesa dovuta all’introduzione della nuova liturgia franco-romana che sostituiva il rito ispanico. Recentemente è venuta alla luce, dopo il restauro, una straordinaria decorazione pittorica; l’afresco copre per intero i muri dell’ediicio e non c’è dubbio che siamo di fronte alla prima decorazione pittorica della chiesa. In studi precedenti credo di aver dimostrato, a partire dall’analisi comparativa e contestualizzata dei temi e delle composizioni di questa decorazione, che essa non può essere anteriore alla metà del X secolo. Gli spettacolari debiti provenienti dall’arte califale di Cordova non consentono altra cronologia. L’iscrizione dipinta nella modanatura da cui parte la volta dell’abside, il cui contenuto è il soggetto del mio intervento, condivide con quella decorazione tecnica e momento di escuzione. Nonostante la diicile restituzione del testo integrale, la lettura che propongo ci consente di aprire nuovi interrogativi sulla cronologia dell’ediicio. Infatti, oltre al riferimento alle reliquie di diversi santi, l’iscrizione conclude con una esplicita menzione a Salomone, vescovo di Astorga, e a una data, l’anno 937. In seguito all’analisi comparativa del contenuto a partire da altre iscrizioni della regione, ma consideando anche le rare iscrizioni dipinte conservate, alcune più tarde, giungiamo alla conclusione che essa fu concepita per commemorare pubblicamente la volontà di Salomone di construire la chiesa. Mancano purtroppo alcuni elementi essenziali delle iscrizioni di consacrazione –come il giorno preciso– e si è perso il verbo che potrebbe fare chiarezza sul fatto. Trattandosi di un’iscrizione dipinta non c’è dubbio che fu eseguita nello stesso momento in cui la chiesa fu decorata, ciononostante, la data a cui fa riferimento non è necessariamente né quella della decorazione né della consacrazione dell’ediicio. Non c’è dubbio che esso fu cominciato nel 937 ma altri documenti conservati suggeriscono che ci furono donazioni nel X secolo, durante tutto il processo di costruzione. Quindi, la conclusione dei lavori, e con essi degli afreschi, la cui analisi in relazione alla recezione dei modelli califali mostra gli stretti contatti fra il regno di León e il Califato di Cordova, non poté essere anteriore alla metà del X secolo. Durante tutto il periodo di attività del cenobio, che non andò oltre la ine del XII secolo, lo spazio del coro dei monaci, quello a più alta frequentazione dell’intera chiesa, fu “animato” da numerosi graiti incisi ad opera, indubiamente, dei monaci. Graiti nei quali, e al di là dei luoghi comuni su questo tipo di intervento, in modo insistente viene fuori il nome di Genadio, e di altri abati che sotto la sua protezione furono sepolti nello spazio funerario creatosi intorno alla sua tomba e che inglobò l’intero settore nord e l’abside occidentale dove gli si rendeva onore. Gian Pietro Brogiolo Università degli Studi di Padova COLLEGIATE E MONASTERI NEL BASSO ADIGE TRA SECONDA METÀ X E FINE XI SECOLO Il territorio del basso Adige, già dipendente dalla città di Este e in età carolingia comitato di Monselice, tra il 952 (istituzione della Marca di Verona da parte di Ottone I) e la ine dell’XI secolo (nell’età di Matilde) assume un ruolo chiave, economico e politico, nei rapporti tra 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 49 l’impero e l’emergente Venezia. In questo periodo vi dominano personaggi di grande rilievo che si muovono al vertice dell’impero: da Ugo il grande di Tuscia ad Alberto Azzo II (996-1097), fondatore della casa estense, padre del duca di Baviera Guelfo IV ed uno dei protagonisti della lotta per le investiture al ianco di Matilde di Canossa che, a 43 anni, ne sposerà il sedicenne nipote. Accanto a questi si muovono i vescovi di Padova, pur essi protagonisti delle vicende politiche del tempo: da Gauslino (964-1010) a Olderico (964-980) e Sinibaldo (1112-1123). Un rilesso della centralità del basso Adige si coglie nell’alto livello architettonico delle fondazioni religiose, delle quali, grazie a recenti ricerche multidisciplinari, è ora possibile proporre piante, sequenze e cronologie. Nel convegno, limitatamente alle collegiate che evolvono in monasteri, verranno discussi l’articolazione planimetrica, le diferenti funzionalità degli spazi destinati alla residenza, all’accoglienza, alla liturgia comunitaria, al culto delle sante reliquie e alle sepolture dei conversi e degli aristocratici fondatori. Meri Zornija University of Zadar FROM BOKA TO BOJANA: REMARKS ON THE PRE-ROMANESQUE SCULPTURE OF THE BENEDICTINE MONASTERIES OF THE SOUTHERN ADRIATIC The presentation will discuss the pre-Romanesque reliefs from the sites on which, according to written sources and archaeological conirmations, benedictine monasteries were located. Analysis of its stylistic features enables its more precise dating, based on which a wider picture of arrival and development of the Benedictine Order in this area will be provided. The questions of the direction of their arrival, routes of expansion as well as cultural ties with neighboring areas will also be considered. The oldest monasteries in this part of the eastern Adriatic coast were founded in the Bay of Kotor in the early 9th century at the latest. However, special lourishing of the Order followed in the irst half of the century, when the newly established monasteries are distributed on four important strategic points in the bay, no doubt with the aim to Christianize the newly arrived Slavic population. In all of these locations fragments of stone liturgical equipment of their churches can be attributed to the production of the Kotor Stonecarver’s Workshop, which allows their precise dating. At the end of the 9th or during the 10th century the female branch of the Order has arrived in Kotor, and the evidence of their presence is recognized in the fragments of reliefs found in today’s Franciscan monastery. This was a period when the further spread of the order to the south is taking place, which is best illustrated by the few fragments from the site of Ratac north of Bar. As for the inal phase of pre-Romanesque period, we are able to recognize at least the echoes of the 11th century reform of the Benedictine Order, as testiied by the inscription of the master Regolus in the church in Bogdašići, with the inluences of the beneventan script. In the area of sclavinia Duklja, as it was two centuries ago with neighboring Croats, also comes to the interaction between the Benedictines and the political elite – the ruling dynasty of Vojislavljevići founded the monastery of St. Sergius and Bacchus on the river Bojana, establishing here their family mausoleum. Recent archaeological excavations give indications of the presence of the Benedictines at some other sites in the Duklja’s hinterland, about which the future research will certainly provide answers. 50 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Ivan Josipović University of Zadar Ivana Tomas University of Zagreb THE ABBEY OF ST. CHRYSOGONUS IN ZADAR - BETWEEN EARLY CHRISTIAN SCULPTURE AND THE ROMANESQUE ARCHITECTURE The monastery of St. Chrysogonus in Zadar was one of the most notable Benedictine abbeys on the eastern Adriatic coast. The monastery was irst mentioned in the irst half of the tenth century, but we have very little knowledge about the earliest (Benedictine) building. The present-day church of St. Chrysogonus, consecrated in the year of 1175, is a monumental three-nave basilica and one of the most signiicant Romanesque religious monument in the east Adriatic region. Monastery was repealed by the French administration in 1806 and after that used for various functions. Conservation and restoration work headed by Ćiril Metod Iveković (1911-1914) which was carried out on the church led to the discovery of Romanesque parts of the church and former monastery. Besides that, several interesting fragments of Early Medieval sculpture were found. During the Second World War the ex-monastery complex was completely destroyed, but fortunately there was no major structural damage to the church building. One of the aims of the paper is to discuss the problem of the irst church and monastery of St. Chrysogonus - therefore special attention will be given to the interpretation of Early Medieval and Early Christian fragments of liturgical furnishings and architectural decoration found in the well-preserved Romanesque monument. Attention will also be focused on the Romanesque church, especially on the interpretation of its architecture and surviving remains of architectural sculpture, and architectural inluences that has always been in the center of scientiic interest. The purpose of this paper is to improve the past knowledge of the Benedictine monastery in Zadar, which will contribute to a better understanding of Benedictine (medieval) monuments of the eastern Adriatic coast and the adjacent area. Pietro Dalena Università degli Studi della Calabria, Cosenza IL LAVORO MANUALE NELLE ESPERIENZE EREMITICHE E CENOBITICHE DEL MEZZOGIORNO RURALE (SECC. VI-XI) Il monachesimo tardoantico del Mezzogiorno d’Italia è scandito da poche esperienze per lo più concentrate in aree urbane o preurbane che esauriscono la loro vitalità già agli inizi del VII secolo. La difusione più omogenea la si riscontra a partire dal IX-X secolo, con forme di aggregazione e di spiritualità del tutto nuove rispetto al monachesimo tardo antico. Un decisivo impulso alla monacazione (sperimentata nelle tre forme ricordate nella scala Paradisii di Giovanni Climaco) si ha in alcune regioni, in particolare quella calabro-lucana, dove monaci di provenienza sicula e d’ispirazione orientale praticando l’anacoresi anche in forme cenobitiche col lavoro manuale fondano monasteri, curano l’accoglienza e l’attività scrittoria, urbanizzano il paesaggio e vi sviluppano una fertile economia agro-pastorale. Il monaco e il monastero diventano referenti religiosi ed economici dei villaggi (anche rupestri) e delle aggregazioni demiche che si formano attorno. E il lavoro manuale (la cui importanza è richiamata tanto nella Regola di Benedetto, quanto nelle diataxeis di Basilio Magno e nei typikà dei monasteri italo-greci) è inalizzato al bene comune del monastero nella sua duplicità di funzione economica e di esercizio spirituale espresso nella pittura. Diverso l’atteggiamento del monachesimo latino che, dalla metà dell’XI secolo e con l’auspicio normanno, si espande in modo pressoché omogeneo nel Mezzogiorno: si organizza 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 51 in forme generalmente cenobitiche e avvia una radicale trasformazione del paesaggio agrario attraverso i villani ascrittizi. Forme di vita cenobitica ed eremitica dei monachesimi coesistono in alcune regioni (come Calabria e Lucania) le cui peculiarità morfologiche e la pregnanza dell’esperienza monastica italo-greca si prestavano a soddisfare larvate pratiche eremitiche. Ne è riprova la lettera di Bruno di Colonia a Raoul il Verde, invitato a raggiungerlo in Calabria, nella zona delle Serre, per condividere nella preghiera l’amenità dei luoghi solitari. L’anacoreta e l’eremita realizzano l’ascesi attraverso la vita solitaria e la contemplazione (eremia ed esukia); e il lavoro manuale risulta pressoché assente o limitato alla realizzazione di qualche icona rupestre. Il lavoro manuale, invece, considerato pratica ediicante per il cenobita, incarna pienamente lo spirito della tradizione benedettina sintetizzato nell’Ora et Labora. Ma se si eccettuano le esperienze eremitiche di Guglielmo da Vercelli e di Giovanni Scalcione da Matera che maturano (ine XI - prima metà del XII secolo) anche in contesti rupestri grecizzati della Puglia (ma fondano la Congregazione Benedettina di Montevergine e la Congregazione degli Eremiti Pulsanesi con caratteristiche cenobitiche), il Mezzogiorno verso la ine dell’XI secolo si va latinizzando in aggregazioni di tipo cenobitico, variabili da luogo a luogo, su impulso delle potenti abbazie di Montecassino e Cava dei Tirreni. E se Montecassino punta perspicuamente sul monopolio delle attività assistenziali, Cava, invece, apprezza maggiormente le attività manuali (dalle attività agropastorali alla cura dei codici) che consentono un deciso ampliamento della giurisdizione e un cospicuo sviluppo economico. Fabio Redi Università degli Studi dell’Aquila STRUTTURE PRODUTTIVE E DI SERVIZIO NEI MONASTERI RUPESTRI DELLA CAPPADOCIA. UN’ESPERIENZA RECENTE DI ARCHEOLOGIA “LEGGERA” Una ricerca di archeologia “leggera” condotta nel biennio 2002-2003 nel distretto di Ürgüp in Cappadocia ha fornito alcuni dati signiicativi nell’organizzazione interna e del territorio dei numerosi insediamenti monastici rupestri ancora largamente presenti. Secondo le raccomandazioni che Girolamo invia al monaco Rustico di Tolosa nel 411, l’attività agricola e l’indispensabile canalizzazione delle acque per l’irrigazione ha lasciato segni evidenti riconducibili alla presenza monastica di VI-VII secolo, ma anche altre attività a essa connesse, come l’allevamento di colombi e di api e la coltivazione della vite, hanno lasciato tracce cospicue negli insediamenti rupestri del territorio. La relazione al Convegno IRCLAMA 23 che presentiamo tocca sinteticamente i seguenti argomenti: Organizzazione dei terreni agricoli e irrigazione; Allevamento dei colombi e produzione di concime; Allevamento delle api e produzione di miele; Viticoltura e produzione di vino; I cereali e la farina: granai e molini; analizzando e interpretando le strutture materiali superstiti e considerando il loro signiicato all’interno della vita monastica e l’impatto ambientale nella gestione del territorio da parte dei monaci. Un ultimo capitolo riguarda i luoghi dell’elaborazione e del consumo comunitario dei cibi, cioè: Cucine e refettori: forni, fornelli, acquai, dispense. Il problema principale, derivante dalla natura stessa degli ambienti e delle strutture analizzati, cioè dalla loro qualità di manufatti in negativo, realizzati tagliando anziché aggiungendo 52 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek materia, e dalla diacronia desumibile in molti casi dalle interferenze stratigraiche fra diversi interventi, appunto la cronologia degli stessi e l’esatta attribuzione a forme associative laiche o monastiche, troglodite, preromane o romane, bizantine o islamiche, frequentemente può essere superato da un’attenta indagine stratigraica e dall’evidenza di alcuni indicatori cronologici. Ne risulta un quadro accettabile di vita monastica dedita al lavoro manuale e alla contemplazione. Paolo de Vingo Università degli Studi di Torino Marco Casazza Università degli Studi di Napoli “Parthenope” TIME FOR LABOUR AND ITS ECONOMY. PRODUCTION SYSTEMS AND MANAGEMENT OF ECONOMIC ACTIVITIES IN THE EARLY MEDIEVAL MONASTERIES OF NORTHERN ITALY The working time management in the monastic world evolved, starting from the agriculture, which was fundamental for the survival of each community. Its evolution was related to the conspicuous number of land donations to the monasteries. The organization of productivity in a larger number of properties greatly inluenced in the formation of post-Roman European civilization, as diferent case studies can demonstrate. In particular, the agricultural performance was gradually shared and leaved to the lay brothers, who transformed the landscapes both around and far from the monasteries. Grain growth, viticulture, forestry, farming and their associated technologies were newly developed. The balanced and sustainable integration between resources and production capacity, based also on the key role played by the value of stabilitas, provided the conditions for developing a main component of early-medieval economy in Europe. Monks were in charge of the management of such a system, where the generated surplus – considering also the handcraft products – was either donated to the poor or commercialized. Diferent economic circuits were triggered, supporting the growth of trade and commerce (e.g.: the organization or participation to diferent fair and markets). This, in turn, supported the enlargement of import-export business, whose proits were used both to buy locally unavailable commodities (e.g.: olive oil) and precious objects to adorn the monasteries. Annika Rulkens University of Amsterdam LIVING AND DYING ON AN ISLAND. THE EARLY BUILDING PHASES OF REICHENAU. During the irst two centuries of its existence, the monastery on the island of Reichenau (founded in 724) witnessed a number of building phases. In this paper, I will argue that the development of the monastic architecture went hand in hand with and is illustrative of the maturation of the community in other respects. The evidence from Reichenau shows clearly how an early medieval monastic community sought to adapt its living environment to a vibrant and constantly changing religious, economic and political situation, and how it managed to do so without disrupting monastic life. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 53 The early ninth-century abbey church of Reichenau can be seen as something of a hybrid, combining elements from various (local) building traditions with ideas and relics from much further aield. Due to the monks’ appropriation of these elements and their adaptation to the local situation, they can be shown to have merged seamlessly. The case of Reichenau is exemplary for Carolingian monastic architecture, not because it showcases a standard design, but because it illustrates how each community shaped and continued to re-shape its own living environment. 54 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek PETAK, 3. LIPNJA / FRIDAY, JUNE 3 9.00 Aula 2 (sveučilište u zadru, svečana dvorana / university of zadar, Great Hall) third session continuing / nastavak treće sesije Chair: Pietro Dalena Alessandro Di Muro (Università degli studi della Calabria, Cosenza), Vivere e morire in un centro di pellegrinaggio: san Michele di Olevano sul tusciano (secc. VIII-IX) Antonio Macchione (università degli studi della Basilicata, Potenza), da san nilo all’afermazione del monachesimo latino in Calabria Nicolas Reveyron (Université Lumière-Lyon 2), Vivre et mourir au cloître. Les interférences du chantier de reconstruction dans l’organisation de la vie monastique Paola Galetti (Università degli studi di Bologna), Civiltà del legno: il monastero 11.00 – 11.15 pauza / cofee break Vasco La Salvia (Università degli studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara) I possedimenti monastici in aree minerarie nell’Italia alto medievale: strutture economiche e del potere Simona Gavinelli (Università Cattolica del sacro Cuore, Milano) Leggere e scrivere nel chiostro Flavia De Rubeis (Università Ca’ Foscari, Venezia), Lo “scriptorium” di san Vincenzo al Volturno in Italia meridionale: mito o realtà? - Rasprava / discussion 13.00 – Prezentacija 22. broja HORTUS ARTIUM MEDIEVALIUM-a / Presentation of the 22nd issue of HORTUS ARTIUM MEDIEVALIUM 13.45 – 16.00 pauza za ručak / lunch break 16.00 third session continuing / nastavak treće sesije Chair: Imma Lorés Mattia Cosimo Chiriatti (Universitat de Barcelona), Lo “scriptorium” del monastero di san Nicola di Casole (Otranto, Lecce) secondo la testimonianza del “typikon” (Codex taurinensis Gr. C III 17): un’analisi storico-letteraria Lucinia Speciale (Università degli studi del salento, Lecce), L’“École bénedictine” tra mito storiograico e realtà. montecassino, san vincenzo al volturno e le origini della pittura benedettina Fourth session / Četvrta sesija Asceticism of the food, attendance and charity / Ascesi del cibo, assistenza e carità / Asketizam s hranom, asistencije i dobročinstvo Giulia Oroino (Università degli studi di Cassino), Mangiare la parola: il refettorio come luogo di nutrimento spirituale Béatrice Caseau (Université Paris-sorbonne), La table monastique à Byzance : la question de l’égalité ou de l’inégalité (4e siècle-14e siècle) Antoni Riera i Melis (Universidad de Barcelona), Alimentación y ascetismo en los monasterios de la Hispania visigoda (siglos VI-VII) 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 55 18.00 – 18.15 pauza / cofee break Federico Marazzi (Università suor Orsona Benincasa, Napoli), Un’ascesi incompleta? Cibo e cucina a san Vincenzo al Volturno nel IX secolo Maria Soler Sala (Universidad de Barcelona), Patrimonio monástico y sustento alimentario. La gestión de los espacios productivos del monasterio de sant Cugat del Vallès entre los siglos X y XI Mia Rizner (Ministarstvo kulture Republike Hrvatske, Konzervatorski odjel Rijeka), diet reconstruction of monks of st. Peter monastery in Osor: the role of molluscs in the following the rule of st. Benedict Jadranka Neralić (Hrvatski institut za povijest, Zagreb), Aspects of daily life in dalmatian monastic houses: hospitality and the care for the sick - Rasprava / discussion ABSTRACTS – SAŽETCI 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 57 Alesandro Di Muro Università degli Studi della Calabria, Cosenza VIVERE E MORIRE IN UN CENTRO DI PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE NEL MEZZOGIORNO LONGOBARDO: SAN MICHELE DI OLEVANO SUL TUSCIANO (SECC. VIII-IX) I grandi santuari altomedievali, luoghi di enunciazioni ideologiche e di devozione, possono essere annoverati tra i siti potenzialmente più ricchi di informazioni sulla società di quei secoli. È ben noto come i santuari mete di pellegrinaggi a distanza, posti lungo importanti arterie viarie, fossero punti d’incontro tra uomini di diverse culture e appartenenze, tra i più frequentati nell’alto Medioevo. Su di essi si concentrò spesso l’attenzione delle élites aristocratiche e dei sovrani, che intervennero in maniera particolarmente eicace per la loro promozione, facendone talora strumento della propria legittimazione e momento aggregativo potente della società che governavano. La natura di centri focali, per tanti aspetti, della società altomedievale ne fece, oltre che luoghi di spiritualità e punti di dichiarazioni ideologiche, centri di accumulazione e consumo particolarmente prosperi. Problematiche storiograiche complesse, dunque, convergono e si intrecciano nelle vicende dei grandi santuari altomedievali: si va dalle forme di manifestazione del potere ai rapporti città-territorio, dal livello tecnologico alla cultura artistica, dall’organizzazione delle comunità monastiche alla liturgia, dalle modalità del pellegrinaggio alla circolazione ceramica e così via: mentalità, istituzioni, economia, cultura esistenziale e cultura materiale si annodano e si fondono nel crogiuolo dei santuari internazionali altomedievali. Il santuario di San Michele ad Olevano sul Tusciano, nel cuore del Mezzogiorno longobardo, costituisce un luogo privilegiato dove poter indagare le numerose problematiche legate ad un centro di pellegrinaggio internazionale dell’alto medioevo. La malagevole accessibilità del sito e il declino della fortuna del santuario olevanese a partire dal XIII secolo, consentono ancora oggi di osservare quasi integro il luogo descritto dal monaco pellegrino Bernardo che, di ritorno dalla Terra santa, lo visitò nell’870. L’eccezionale stato di conservazione del complesso olevanese ne fa uno dei siti più interessanti per la comprensione della cultura e della società dell’altomedioevo longobardo meridionale. L’inusuale convergente abbondanza di fonti scritte e storico-artistiche, intrecciate all’enorme mole di dati provenienti dalle numerose campagne di scavo dal 2003 ad oggi (oltre 80000 reperti inora catalogati) consente di tracciare un bilancio complessivo e indicare nuove vie da percorrere per la comprensione del signiicato e per le ipotesi sulle origini di uno dei siti più straordinari dell’alto Medioevo europeo. Antonio Macchione Università degli Studi della Basilicata, Potenza DA SAN NILO ALL’AFFERMAZIONE DEL MONACHESIMO LATINO IN CALABRIA. A partire dal IX secolo sono ben documentati i rapporti tra l’abbazia di Montecassino e il monastero di Santa Maria di Cosenza dotato di numerosi beni immobiliari, così come dal secolo successivo si seguono con buona continuità le relazioni tra la Badia di Cava e i monasteri italo-greci della Calabria settentrionale. In questo orizzonte caratterizzato dalla convivenza, e dall’incontro, di esperienze latine e italo-greche si innestò, nell’XI secolo, l’espansione monastica benedettina. Infatti dopo il concilio di Meli (1059), i Normanni promossero (tra il 1062 e il 1091) la fondazione di importanti istituzioni monastiche latine per favorire il recupero dell’ordito ecclesiastico regionale 58 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek all’obbedienza romana. Esse, tuttavia, si rivelarono eicace strumento per il raforzamento dei poteri ducali di controllo del territorio e dei più importanti snodi viari calabresi. E, per meglio assolvere a questo compito, tali fondazioni furono dotate di cospicui patrimoni fondiari la cui gestione, insieme a quella dei lasciti e delle donazioni ricevute, li trasformò in fondamentali cellule dell’economia agraria della regione. Nicolas Reveyron Université Lumière-Lyon 2 VIVRE ET MOURIR AU CLOÎTRE. LES INTERFÉRENCES DU CHANTIER DE RECONSTRUCTION DANS L’ORGANISATION DE LA VIE MONASTIQUE En 1964, Anselme Dimier publiait chez Fayard une belle synthèse sur la vie monastique au Moyen Age, ayant pour titre : Les moines bâtisseurs, et sous-titre : Architecture et vie monastique. Le projet était ainsi clairement déini : étudier les rapports entre les formes architecturales et les formes de vie cénobitique ou semi-érémitique. Les progrès accomplis aujourd’hui par l’archéologie, et singulièrement par l’archéologie du bâti, permettent de considérer le même sujet, mais dans une visée dynamique : quelles ont été au Moyen Age les incidences d’un chantier de construction au sein d’un monastère, dans une situation qui mêlait donc l’ancien et le nouveau ? Dans le monde monastique, la reconstruction des édiices formant le carré du cloître, et tout particulièrement celle de l’église, occasionne des perturbations lourdes de la vie commune. D’une part, en efet, l’opération se déroule au cœur du monastère et sur l’emplacement de l’église (chantier homotopique), c’est-à-dire dans les lieux directement dévolus à l’exercice de la vie spirituelle. D’autre part, l’ampleur des édiices en cours de reconstruction, projetés plus grands que ceux qu’ils remplacent, pose le problème du débordement des travaux sur des lieux stratégiques comme la galerie nord (ou sud) du cloître, l’accès au dortoir, la salle capitulaire, l’espace réservé au lavement des pieds … A ces diicultés peut s’ajouter celle du inancement. Au Monastier-sur-Gazeille, par exemple, la reconstruction de l’abbatiale de Saint-Chafre, commencée sous l’abbatiat de Guillaume III (1074-1086) et poursuivi sous celui de Guillaume IV (1086-1136), a été arrêtée bien avant l’achèvement de l’édiice, pour permettre de consacrer une part substantielle du budget à la reconstruction des bâtiments monastiques, en mauvais état. Les aléas du chantier ont laissé des traces visibles dans l’église actuelle. Pour limiter ces problèmes d’empiètement des travaux sur les lieux habités, l’abbé Didier du Mont Cassin (1058-1087) a eu l’idée de faire tourner les pôles du chantier, installant les moines dans la seconde église de l’abbaye, fraîchement achevée, avant de réédiier rapidement l’abbatiale sur le même emplacement que la précédente. A Cluny, Hugues de Semur a contourné le problème, en optant pour la formule du chantier hétérotopique : la grande abbatiale a été érigées à côté du vieux cloître tardo-carolingien. Mais la question d’une organisation eicace des travaux s’était posée auparavant pour l’église mariale. Lieux majeur de l’intimité monastique, l’église mariale est aussi le véritable pivot de l’espace et de la vie monastique, la pérennité de son emplacement étant commandée par l’antiquité de son origine qui est l’église de la villa carolingienne. Mais ici encore, le chantier a concerné le fait de mourir au cloître, puisque l’église mariale est directement associée à l’accompagnement des mourants. Vivre et mourir au cloître : le chantier est aussi un danger et l’on voit à Paray-le-Monial, par exemple, un jeune moine blessé à mort par la chute d’une poutre lors de travaux de construction (sans doute l’avant-nef) et guéri in extremis par Hugues de Semur. L’analyse morpho-spatiale permet aujourd’hui de mieux comprendre quels impératifs de la vie commune – et de la mort des moines aussi – ont induit l’élaboration de telle ou telle solution dans l’organisation des travaux et la conception architecturale de l’église majeure, comme on a pu le constater au Monastier-sur-Gazeille, à Cluny, à Marcigny, à Paray-le-Monial ... 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 59 Paola Galetti Università degli Studi di Bologna CIVILTÀ DEL LEGNO: IL MONASTERO Il contributo, attraverso la considerazione di fonti scritte (di diverse tipologie) e di fonti materiali, vuole ofrire una serie di rilessioni sulle strutture edilizie monastiche, con particolare riguardo per materiali costruttivi ( il legno in particolar modo) e loro messa in opera. Perciò, inevitabilmente, l’attenzione sarà rivolta anche all’attività lavorativa prevista e necessaria per ediicazione e riattamento delle strutture, al personale impiegato e al reperimento di risorse e materia prima. Il panorama italiano, per i secoli considerati, può ofrire utili testimonianze. Ma, visto che il focus è in primo luogo sul legno, qualche considerazione sarà fatta anche sulla cultura materiale documentata da fonti di diverso genere. Vasco La Salvia Università degli Studi “G. D’Annunzio”, Chieti-Pescara I POSSEDIMENTI MONASTICI IN AREE MINERARIE NELL’ITALIA ALTO MEDIEVALE: STRUTTURE ECONOMICHE E DEL POTERE. ------- Simona Gavinelli Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano LEGGERE E SCRIVERE NEL CHIOSTRO La rappresentazione dello scriba proposta dalla Bibbia Amiatina (inizi del secolo VIII), ripresa da modelli tardo-antichi cassiodoriani, o da alcuni evangeliari altomedievali, sottolinea l’importanza rivestita dal copista-miniatore nella cultura monastica in vista della trasmissione dei libri liturgici e di studio che, quotidianamente, cadenzavano i ritmi di preghiera e di lavoro previsti dalla Regola di s. Benedetto. Attraverso alcuni esempi, selezionati soprattutto tra le sopravvivenze librarie dell’Italia settentrionale, si intende dunque documentare come le comunità monastiche cercassero di riservare all’interno dei propri chiostri spazi adeguati per la riproduzione, la consultazione e la conservazione dei manoscritti. Flavia De Rubeis Università Ca’ Foscari, Venezia LO SCRIPTORIUM DI SAN VINCENZO AL VOLTURNO IN ITALIA MERIDIONALE: MITO O REALTÀ? Lo scavo del monastero di S. Vincenzo al Volturno (IS) ha riportato alla luce un vasto numero di epigrai (ca. 1400), databili tra VIII e IX secolo, realizzate su basi lapidee, afreschi, graite. Tale produzione potrebbe indicare l’esistenza di una scrittura mirata alla sola realizzazione delle epigrai. Tuttavia, ad una più attenta valutazione della morfologia di alcune lettere, è possibile osservare la presenza di elementi che indicano con precisione prestiti dalle scritture librarie. 60 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Proprio partendo da questi elementi librari in seno alle scritture epigraiche, si intende riaprire la questione circa l’esistenza o meno di uno scriptorium presso il monastero vulturnense, alla luce di recenti discussioni che ne hanno messo in dubbio l’esistenza. Si tratta in particolare di manoscritti databili tra la seconda metà del secolo VIII e il secolo XI-XII, di recente sottratti allo scriptorium e che in questa sede si propone di rivendicare al monastero sia su base paleograica, sia alla luce dei rinvenimenti di manufatti metallici che indicano univocamente l’esistenza dello scriptorium stesso, nonché la proposta di individuazione di un ambiente da identiicarsi con il probabile scriptorium, anche alla luce della pianta cd. di S. Gallo. Mattia C. Chiriatti Universitat de Barcelona LO SCRIPTORIUM DEL MONASTERO DI SAN NICOLA DI CASOLE (OTRANTO, LECCE) SECONDO LA TESTIMONIANZA DEL TYPIKON (CODEX TAURINENSIS GR. C III 17): UN’ANALISI STORICO-LETTERARIA “Dopo di esso ecco il cenobio dedicato a San Nicola, un miglio e mezzo lontano da Otranto. Qui viveva una numerosa comunità di monaci basiliani […] istruiti tutti nella conoscenza delle lettere greche e moltissimi in quella delle lettere latine […]. A quanti volessero apprendere le lettere greche, essi assicuravano la maggior parte del vitto, un insegnante e ospitalità senza richiedere alcun compenso. In tal modo si sosteneva lo studio del greco e si alimentava la comprensione della cultura greca […] vi fu un ilosofo, Nicola d’Otranto, di cui, prima della venuta dei turchi, si conservavano in questo monastero molte opere di logica e di ilosoia […] costui, senza badare a spese, costituì in questo cenobio una biblioteca che raccoglieva ogni genere di libri, quanti ne poté rintracciare per tutta la Grecia” (de situ Japigiae, 8, 7-9, pp. 34-35). Il medico e umanista pugliese Antonio de Ferrariis ritrae, in questa breve descrizione, la fervente attività culturale dell’abbazia idruntina. In base alla testimonianza di un manoscritto inedito, conservato nella biblioteca dell’università di Torino sotto la segnatura CCXVII. b. III. 27, del quale la maggior parte è costituita da un typikon -una dettagliata descrizione della vita quotidiana del cenobio- è possibile delineare a grandi linee la funzione dello scriptorium basiliano come centro nevralgico di cultura e difusione del sapere, il quale, mediante la copiatura dei manoscritti, permise una rilevante circolazione libraia tra l’ambiente sacro e quello secolare. Lucinia Speciale Università degli Studi del Salento L’ÉCOLE BÉNEDICTINE TRA MITO STORIOGRAFICO E REALTÀ. MONTECASSINO, S. VINCENZO AL VOLTURNO E LE ORIGINI DELLA PITTURA BENEDETTINA. La straordinaria fortuna critica della sintesi L’art dans l’Italie méridionale di Émile Bertaux ha alimentato, tra la ine dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo, il mito di una tradizione storico-formale legata alla produzione artistica dei monasteri benedettini. Centri d’irradiazione di questa corrente artistica erano, a giudizio di Bertaux, le due grandi fondazioni monastiche dell’alto medioevo italomeridionale, l’abbazia di Montecassino e quella di S. Vincenzo al Volturno. A questi due insediamenti dovevano riferirsi le principali testimonianze della ‘scuola’: le pitture della cripta dell’abate Epifanio, riscoperta nei primi decenni dell’Ottocento in prossimità delle sorgenti del Volturno, e soprattutto, il programma decorativo della priorale benedettina di Sant’Angelo in Formis. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 61 Il complesso pittorico della piccola dipendenza cassinese, interamente liberato dallo scialbo che lo ricopriva solo negli anni Ottanta del XIX secolo, è da sempre considerato una germinazione del grande cantiere artistico che l’abate Desiderio impiantò a Montecassino nel terzo quarto dell’XI secolo, radunando artisti provenienti da diverse aree culturali, Costantinopoli, Roma, la costiera amalitana. A questo importante episodio rimonta la profonda trasformazione del linguaggio che segna il XII secolo centromeridionale. Meno facili da deinire restano il patrimonio di forme e temi iconograici che caratterizzavano la produzione pittorica predesideriana. Le molte scoperte che hanno caratterizzato il sito di S. Vincenzo a partire dall’ultimo ventennio del Novecento, e i molti studi su singoli monumenti collocati nel raggio d’inluenza di Montecassino e della stessa S. Vincenzo, hanno modiicato le nostre conoscenze sulla cultura pittorica nell’alto medioevo meridionale tra IX e XI secolo. Di questa lunga parabola di ritrovamenti, lo studio vorrebbe ofrire un primo bilancio, provando a mettere a fuoco il vero raggio d’inluenza della cultura artistica maturata all’interno delle due abbazie. Giulia Oroino Università degli Studi di Cassino MANGIARE LA PAROLA: IL REFETTORIO COME LUOGO DI NUTRIMENTO SPIRITUALE NEL MONASTERO MEDIEVALE Tutte le regole monastiche (orientali e occidentali) considerano il refettorio come luogo di nutrimento spirituale oltre che isico, sulla base del precetto evangelico “Non in pane solo vivit homo, sed in omni verbo dei” (Lc 4, 4). La ‘controparte’ al cibo (e alle sue tentazioni) è garantita da una parte dalle letture sacre, recitate dal pulpito, dall’altra dalle immagini raigurate sulle pareti del refettorio e dai riti che accompagnano il pasto dei monaci. Il contributo analizza, attraverso alcuni casi esemplari come Cluny e Montecassino, i modi in cui si stabilisce il rapporto tra ruminatio carnale e spirituale (un rapporto che le stesse fonti scritturali, da Ezechiele all’Apocalisse, trasformano da metaforico a reale, creando la potente immagine del libro mangiato): quali manoscritti sono presenti nel refettorio e quali tracce ha lasciato su di essi questa presenza; come la pittura monumentale favorisce la meditazione e nello stesso tempo articola gli spazi, deinendo i loca rituali all’interno del refettorio; quale ruolo hanno il cibo e la sua consumazione nell’iconograia monastica. Béatrice Caseau Université Paris-Sorbonne LA TABLE MONASTIQUE À BYZANCE : LA QUESTION DE L’ÉGALITÉ OU DE L’INÉGALITÉ (4 e SIÈCLE-14 e SIÈCLE) Cette communication porte sur la question de l’égalité ou de l’inégalité à table dans les sources monastiques de l’antiquité tardive et de la période byzantine. Deux attitudes existent dans les milieux cénobitliques: une stricte égalité des portions qui sont servies à la table commune ou bien au contraire, une inégalité des portions servies aux moines et moniales qui tienne compte du statut dans le monastère (oicier monastique versus simple moine), du rang social tenu dans la société avant l’entrée au monastère, du travail à accomplir, de l’âge ou des besoins personnels. Pour faire un état de la situation on se penchera sur les règles monastiques et les typika byzantins et sur la littérature de conseils spirituels ou pratiques écrite par des moines. 62 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Antoni Riera i Melis Universidad de Barcelona ALIMENTACIÓN Y ASCETISMO EN LOS MONASTERIOS DE LA HISPANIA VISIGODA (SIGLOS VI-VII) Mi contribución al coloquio consistirá en un análisis del sistema alimentario de los monasterios masculinos y femeninos de la Hispania visigoda, a partir de las reglas de Leandro de Sevilla (femenina), Isidoro de Sevilla, Fructuoso de Braga y la “Regla Común” (masculinas) Se analizarán la procedencia de los alimentos, la preparación de los platos, la composición de la dietas ordinarias, penitenciales y festivas, y los horarios y ritos del refectorio. También se estudiarán las sanciones alimentarias, la utilización del ayuno como instrumento de corrección moral; se averiguará la relación existente en cada una de las normativas entre la gravedad de los pecados y faltas y la intensidad y duración de las restricciones alimentarias correspondientes La información aportada por la reglas ibéricas será conparada con la aportada por las dos normas monáticas de mayor difusión geográica en aquella época, la Regla del Maestro y la Regla de Benito de Nursia. Federico Marazzi Università Suor Orsona Benincasa, Napoli “UN’ASCESI INCOMPLETA? CIBO E CUCINA A SAN VINCENZO AL VOLTURNO NEL IX SECOLO” “Gli scavi condotti presso il monastero di San Vincenzo al Volturno hanno oferto sin dai loro esordi indicazioni di grande interesse rispetto al consumo di cibo all’interno del monastero. Ma è stato grazie alla scoperta delle cucine monastiche e alle indagini condotte nel tratto dell’alveo del iume Vol,turno antistante queste ultime e il refettorio, avvenute fra 2002 e 2007 e recentemente pubblicate, che si è potuto ottenere un quadro di incredibile precisione, per il IX secolo, rispetto alla dieta seguita dalla comunità e all’organizzazione relativa alla preparazione dei pasti e all’approvvigionamento alimentare in genere. L’intervento che qui si presenta vuole ofrire, per la prima volta, un quadro dettagliato e d’insieme relativo ai dati emersi dagli scavi, esaminato in un’ottica di confronto con altri analoghi ritrovamenti e con gli orientamenti maturati in età carolingia rispetto alle pratiche alimentari di ambito monastico”. Maria Soler Sala Universidad de Barcelona PATRIMONIO MONÁSTICO Y SUSTENTO ALIMENTARIO. LA GESTIÓN DE LOS ESPACIOS PRODUCTIVOS DEL MONASTERIO DE SANT CUGAT DEL VALLÈS ENTRE LOS SIGLOS X Y XI. El territorio constituye una magníica manera de acercarnos al estudio del monacato medieval. Desde el momento en que un cenobio se implanta en un determinado lugar y amplía o disminuye su patrimonio deja testigo de su actividad sobre el territorio. Es lo que hemos deinido como paisaje monástico: una manera de acercarnos a las comunidades de monjes medievales desde una perspectiva territorial1. Para ello, hemos creído necesario utilizar los sistemas de información Este trabajo se enmarca en el proyecto “Paisajes espirituales. Una aproximación espacial a las transformaciones de la religiosidad femenina medieval en los Reinos Peninsulares en la Edad Media” (HAR2014 52198-P). 1 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 63 geográica (GIS) y adoptar una perspectiva de análisis interdisciplinar, que tenga en cuenta todo tipo de fuentes a nuestro alcance: documentales, arqueológicas y territoriales. La aplicación de esta metodología nos ha permitido analizar la formación y desarrollo patrimonial de algunos monasterios altomedievales catalanes. En esta ocasión, centraremos nuestra atención en el cenobio benedictino de Sant Cugat del Vallès (Barcelona, Spain) entre los siglos X y XI. A partir del análisis y representación cartográica de la información contenida en su rico Cartulario, analizaremos el origen y progresiva expansión del patrimonio santcugatense en tierras del condado de Barcelona. Para la cronología estudiada, el monasterio disponía de abundantes propiedades en el territorio del Vallès, la cuenca del Llobregat y las fértiles llanuras barcelonesas, a las que añadió numerosos espacios de concentración agrícola en el Penedès. Estos últimos jugaron un papel fundamental en la consolidación del dominio condal sobre los territorios recién incorporados a expensas de Al-Andalus. Entre los siglos X y Xl el monasterio de Sant Cugat acumuló una gran cantidad de tierras de cultivo, capaces de garantizar el sustento económico y alimentario de la comunidad. Entre los predios identiicados destacan los campos de cereal (trigo, cebada, mijo, escanda), seguidos por las viñas, los árboles frutales y los huertos. Dentro de las propiedades del cenobio se describe la existencia de ganado estabulado –bueyes y vacas–, algunos rebaños –ovejas y cabras– así como aves de corral y cerdos. La carne de estos últimos (bacconem, perna de porcu) aparece entre los censos percibidos por el monasterio, a pesar de las restricciones establecidas por la regla benedictina en relación al consumo de carne. Las fuentes aportan también información sobre el instrumental utilizado en el procesado del cereal y la uva: los molinos y los hornos para la confección de pan; y la infraestructura necesaria para la elaboración de vino. Todo ello permitía disponer de los productos alimentarios necesarios para las colaciones monásticas. En primer lugar, el cereal, con el que se confeccionaba el pan (fogacias), pero también las gachas (pulmentum). En segundo lugar, el vino, que aluía al monasterio a través de censos y legados testamentarios. El monasterio tenía a su disposición todo tipo de productos frescos (verduras, hortalizas, legumbres) recolectados en los huertos de ubicación más cercana, así como frutas carnosas y secas (pomiferos, impomiferos) procedentes de la práctica arborícola. Son pocas, sin embargo, las referencias a olivos, destinados a la producción del aceite, utilizado tanto para la iluminación como para la cocción y aliño de las menestras y ensaladas cotidianas. También con aceite se cocía el pescado, un producto sobre el que el monasterio ejerció un estricto control para garantizar su abastecimiento. La expansión territorial y el volumen de las rentas del cenobio a lo largo del siglo XI es tan elevado que sus productos no debieron ser utilizados solamente para la alimentación de la comunidad, sino que una parte importante de los excedentes debió ser comercializado en el mercado. El Cartulario de Sant Cugat del Vallès se reiere al mercado como un espacio cercano. En él aparecen mencionados –a menudo a través de sus pesos y medidas particulares– los mercados más antiguos del condado de Barcelona: Martorell, Caldes de Montbui, la Granada, Sabadell. Y a través de sus páginas conocemos también la existencia de un mercado en los alrededores del monasterio. Durante el siglo XII a dicho mercado se le añadió una feria, la cual fue víctima de las ambiciones de Guillem de Montcada, quién el día de la onomástica del patrón de 1165 ocupó la plaza y consiguió trasladar la celebración de la feria a otro lugar bajo su entera jurisdicción. Tal y como se ha dicho, el monasterio disponía de una gran cantidad de molinos, distribuidos entre los múltiples cursos hidráulicos del condado de Barcelona. Uno de ellos era el denominado Molí dels Monjos –hoy conocido como Molí del Foix (Santa Margarida i els Monjos, Barcelona, Spain)–, localizado a través de un triple análisis documental, territorial y arqueológico. La realización de una intensa campaña arqueológica y el uso de los GIS en el estudio de sus fases constructivas nos ha permitido conocer con detalle las características de este espacio productivo de posesión monástica. Primero, en manos del cenobio de Sant Cugat del Vallès, y más adelante, propiedad del monasterio cisterciense de Santes Creus. Fue entonces, ya en pleno siglo XIII, cuando se transformó en un molino de grandes dimensiones, dotado de tres pares de muelas cobijadas por una magníica bóveda gótica. Dicho molino, hoy musealizado, 64 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek constituye un magníico ejemplo sobre la utilización de fuentes de origen diverso en el estudio del patrimonio monástico medieval. Así pues, nuestra contribución pretende relacionar el proceso de expansión patrimonial del cenobio benedictino de Sant Cugat del Vallès con las estrategias de gestión destinadas a garantizar el sustento alimentario y el desarrollo económico de la comunidad. Todo ello, desde una perspectiva territorial e interdisciplinar. Mia Rizner Konzervatorski odjel u Rijeci DIET RECONSTRUCTION OF MONKS OF ST. PETER MONASTERY IN OSOR: THE ROLE OF MOLLUSCS IN FOLLOWING THE RULE OF ST. BENEDICT A signiicant amount of land and marine malacofauna remains have been uncovered during the perennial excavations of St. Peter’s monastery in Osor. This paper examines the dietary signiicance of edible land snail and marine shell based on extensive taphonomical analyses. In the theoretical part of the paper the interpretation of dietary restrictions in regard to the Rule of St. Benedict and speciically its interpretation by the monks of St. Peter’s monastery is given. Filtering the results of taphonomical analyses of this indirect evidence for subsistence through theoretical frameworks socially mediated food acquisition and consumption choices of Benedictine monks at St. Peter’s monastery are explored. Jadranka Neralić Hrvatski institut za povijest ASPECTS OF DAILY LIFE IN DALMATIAN MONASTIC HOUSES: HOSPITALITY AND THE CARE FOR THE SICK By drawing attention to a range of documentary (papal and provincial dispensations, authorisations, absolutions, indulgencies) and narrative sources (hagiographies, chronicles, monastic regulations) I propose to examine questions like: did Dalmatian medieval Benedictine monks and nuns dispense hospitality to travellers and guests (independently of their profession or social status, with the spaces involved like guest houses to lodge powerful and rich travellers, other abbots and monks, intellectuals); display concern for the poor and hungy (spaces involved like kitchen, refectories, halls, shelters of any kind), care for the sick, inirm and elderly (inirmaries and inirmary cloisters for their own sick inmates as well as their guests, i.e. inpatient and outpatient health care; medical personnel involved in caring for the sick, level of care available, types of diagnostic and therapeutic treatments) and to explore the ways in which health care was an integral component of daily monastic life (work, worship and monks’ devotion to the display and veneration of relics, garden and gardening, water and food supplies, clothing, lodging furnishing, death and commemoration, ...). The answer to these questions will lead us to conclude that the monastic milieu, which functioned as a «surrogate family» to the individuals who renounced to their traditional social and familial bonds, commodities and services like clothing, shelter, food, emotional support and health care, provided for these needs and invented a wide scale of new ways of social interaction between sick and healthy. The monastic inirmaries duplicated the care that the more fortunate individuals would have received at home, whereas those without family received far more than it would have been available through patronage, philantropy or ecclesiastical charities. The sick as well as elderly, disabled and inirm were able to dwell within the monastery as a special class aforded diferent beneits and subject to diferent obligations. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 65 SUBOTA, 4. LIPNJA / SATURDAY, JUNE 4 9.00 Aula 1 (hotel Kolovare) Fourth session continuing / nastavak Četvrte sesije Chair: Jorge López Quiroga Roberto Greci (università degli studi di Parma), la malattia isica e spirituale: infermeria e farmacia Ioannis Grossmann (universität Wien), the inirmary of the Pachomian monasteries. origin, structure and organisation Giuliana Albini (Università degli studi di Milano), La rete di assistenza monastica tra accoglienza interna e strutture esterne Alessia Frisetti (Università degli studi suor Orsola Benincasa, Napoli), Costruire e vivere nei monasteri. Materiali e tecniche edilizie nei monasteri altomedioevali: Campania e Molise fra IX e XI secolo 11.00 – 11.15 pauza / cofee break Nicola Busino (seconda Università degli studi di Napoli), Nuovi dati su un monastero nel territorio di Capua Pasquale Corsi (Università degli studi di Bari), Monaci italo greci in pellegrinaggio Fifth session / Peta sesija With the glance beyond time | Con lo sguardo oltre il tempo / Pogled kroz vrijeme Daniel Lemeni (West university of timişoara), the untimely tomb: the Practice of death in the “Apophtegmata Patrum” Giuseppe Motta (Università Cattolica del sacro Cuore, Brescia), Lo sguardo oltre il tempo: la morte e il cimitero Simona Moretti (Libera Università di Lingue Comunicazione, Milano), La morte del monaco: le fonti igurative bizantine (secc. v-Xi) - Rasprava / discussion 13.00 – 15.00 pauza za ručak / lunch break 15.00 Fifth session continuing / nastavak Pete sesije Chair: Miljenko Jurković Jorge Rodrigues (Universidade Nova de Lisboa), death and memory at the monastery: privileged burials and their patrons in the newly founded kingdom of Portugal Rutger Kramer, Veronika Wieser (Institute for Medieval studies, Austrian Academy of sciences – vienna), You only die twice. the death of abbots and the Consolidation of Communities - the Cases of Martin of tours and Benedict of Aniane Daniele Ferraiuolo (Università degli studi suor Orsola Benincasa, Napoli), I luoghi della memoria funeraria: rilessioni su forme e contesti delle epigrai sepolcrali di ambito monastico nei secoli VIII-X 66 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Meta Niederkorn-Bruck (Universität Wien), Cura mortuorum – Cura pro institutione. Memoria, die Gemeinschaft stiftet, als Basis für die Historiographie Paola Novara (soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Ravenna), sepolture privilegiate nei monasteri altomedievali ravennati Debora Ferreri (Università degli studi di Bologna), seppellire un vescovo, seppellire un monaco. La gestione della morte all’interno del complesso di san severo (Classe-Ravenna) Gisela Ripoll, Francesc Tuset, Eduardo Carrero, Daniel Rico, Ángela González (Universitat de Barcelona, Universitat Autònoma de Barcelona) y Laboratorio de Fotogrametría Arquitectónica de la Universidad de Valladolid, Sancti Cirici de Colera / sant quirze de Colera (Parc Natural de l’Albera, Alt Empordà, Girona). Estudio del conjunto monástico, siglos VIII al XV - Rasprava / discussion zaključci / conclusioni Gabriele Archetti, Miljenko Jurković ABSTRACTS – SAŽETCI 68 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Roberto Greci Università degli Studi di Parma LA MALATTIA FISICA E SPIRITUALE: INFERMERIA E FARMACIA Il contributo, che si colloca entro la sezione riservata alla malattia isica e spirituale in ambiente monastico, intende privilegiare l’aspetto della malattia isica e gli spazi che, all’interno del monastero, erano riservati alla sua cura. Ciò comporta necessariamente due piani di osservazione. Da un lato si impone una rilessione sulla percezione della malattia e della guarigione per cogliere il signiicato ad esse attribuito entro la complessa dimensione spirituale della vita monastica; per questo risulta necessaria un’analisi delle regole e una lettura delle fonti agiograiche. Dall’altro lato è necessario concentrarsi sugli spazi materiali riservati alla malattia e alla cura, ovvero sui locali dell’infermeria. Di tale ambiente si intende descrivere l’organizzazione interna sofermandosi sulle funzioni dei monaci dedicati a questo particolare servizio e sulle conoscenze mediche e farmaceutiche di cui la tradizione monastica fu depositaria. Inine si valuterà il rapporto tra lo spazio riservato all’infermeria e la comunità cenobitica a partire dalla sua collocazione entro l’insieme del complesso monastico. Da tale rapporto è possibile cogliere gli aspetti funzionali e i signiicati simbolici e spirituali sottesi ai progetti e alle concrete realizzazioni note. In questo caso risulta necessario rifarsi agli spunti oferti dagli studi degli storici dell’architettura e degli archeologi per connetterli alle trasformazioni intervenute nella vita monastica dell’XI secolo. Ioannis Grossmann Universität Wien THE INFIRMARY OF THE PACHOMIAN MONASTERIES. ORIGIN, STUCTURE AND ORGANISATION Saint Pachomios, the 4th century Egyptian monk and abbot of several monasteries, who successfully organised and spread the coenobitical way of ascetical life, built his irst monastery at Tabennese where at some time he installed an inirmary, which as it seems was the irst monastery inirmary in the history of Christian asceticism. Therefore Pachomios seems to have invented the monastery inirmary. The basic idea of this inirmary is well grounded in the tradition of the anchorites, which Pachomios experienced when he lived for several years together with Palamon and his small community. The coenobitical rules Pachomios provided for his monks, which are extant partly in Sahidic Coptic and fully in the latin translation by Hieronymus, and the life of Pachomios, which is extant in several Sahidic Coptic fragments (S1-20), a late Bohairic Coptic version (Bo), an early Greek abridged version (G1) and two main Arabic versions (Ag, Av), both unpublished, deliver useful insights concerning the structure and the organisation of the inirmary. These results are to be compared with the other few extant examples of monastery inirmaries, primarily from the texts of the famous 5th century abbot Shenute. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 69 Giuliana Albini Università degli Studi di Milano LA RETE DI ASSISTENZA MONASTICA TRA ACCOGLIENZA INTERNA E STRUTTURE ESTERNE. Nella tradizione altomedievale presso le porte dei monasteri e delle grandi abbazie si trovavano gruppi di poveri che attendevano aiuto: razioni di cibo venivano distribuite in occasioni particolari, soprattutto nel caso di feste (domenica, feste liturgiche). Si trattava di elargizioni fortemente connotate da valori simbolici: il numero dei poveri, la quantità e la qualità di pane (o di altri alimenti), il giorno prescelto, tutto riconduce più ad una prassi in larga misura motivata da una necessità spirituale di chi donava che dalle reali esigenze dei poveri. L’aiuto elargito dai monaci, infatti, avveniva solo dopo che il portenarius aveva valutato i requisiti per poter godere dell’accoglienza e dell’ospitalità (con la nota distinzione tra hospitale pauperum e hospitale divitum). La porta era dunque il luogo dove la comunità monastica incontrava il mondo esterno, ma anche il luogo che ne segnava i limiti e il distacco, che garantiva l’impenetrabilità della comunità monastica a coloro che non dovevano farvi parte. Come detto, all’accoglienza all’interno del monastero si aggiungeva la distribuzione di cibo alla porta del monastero. La prassi condivisa è quella di attendere il povero nel monastero, il povero che bussa e chiede elemosina o accoglienza: il monaco non cerca chi sofre, ma attende, espletando poi, in modo selettivo, funzioni di accoglienza e aiuto, nelle prospettiva della vita di perfezione alla quale si è votato. Già nell’alto medioevo, però, le funzioni di accoglienza e di aiuto ai poveri (in particolare legate alla pratica del pellegrinaggio) erano condivise con quelle strutture (xenodochia e hospitalia) che si erano sviluppate sia all’interno degli spazi urbani, sia lungo le direttrici viarie. Sebbene poco approfondito, il tema del rapporto tra monasteri e strutture di assistenza esterne pone interessanti quesiti sia dal punto di vista dell’erogazione dell’assistenza sia dal punto di vista dell’evoluzione delle strutture monastiche e della loro capacità di confronto e di rapporti con il mondo esterno. Alessia Frisetti Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli COSTRUIRE E VIVERE NEI MONASTERI. MATERIALI E TECNICHE EDILIZIE NEI CANTIERI MONASTICI ALTOMEDIOEVALI FRA CAMPANIA E MOLISE (SECC. IX-XI) L’analisi delle realtà insediative altomedioevali, condotta in questi ultimi anni dal Laboratorio di Archeologia Tardoantica e Medioevale (LATEM) dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha consentito di arricchire il quadro delle conoscenze anche su numerosi insediamenti monastici a cavallo di VIII/IX e XI secolo. A tal proposito le recenti indagini archeologiche efettuate presso il sito di San Vincenzo al Volturno (Aprile 2016) hanno portato alla luce un interessante contesto relativo ad un’area produttiva attiva nel corso dell’altomedioevo, che aggiunge nuove informazioni sull’organizzazione del cantiere monastico. L’insedimento di San Vincenzo si pone quindi, ancora una volta, come punto di partenza per una discussione più approfondita che può essere facilmente collegata ai dati provenienti dal censimento su vasta scala dei siti monastici benedettini, con particolare attenzione all’area molisana. Questi dati infatti, consentono di operare una sintesi ragionata delle conoscenze tecniche approntate nei secoli post antichi. Pertanto in questa sede, si propone un excursus sulle attività produttive nel campo dell’edilizia aidata ad architetti e maestranze specializzate ma dirette e gestite dalle comunità monas- 70 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek tiche. In particolare si afronterà l’analisi delle tecniche murarie riscontrate e documentate in un’area geograica che comprende la Campania settentrionale ed il Molise. Questo quadro sarà completato da un accenno sui materiali litici impiegati e sulla produzione delle malte, per le quali si sta approntando una campagna di analisi qualitative e quantitative dei componenti chimici. Il censimento su vasta scala dei siti monastici, da cui sono stati estrapolati alcuni casi oggetto di approfondimento, consente di afermare con maggiore certezza rispetto al passato, l’idea che le grandi comunità benedettine di San Vincenzo e Montecassino - avendo goduto di uno status politico privilegiato sin dalla loro genesi - abbiano sperimentato tecniche, soluzioni cantieristiche e modelli architettonici poi difusi in un ampio territorio. Tali sperimentazioni hanno interessato insediamenti monastici “minori” dipendenti dalle due grandi abbazie, ma anche ediici religiosi non monastici quali cattedrali e chiese rurali nel corso di due principali fasi storiche. La prima fase è inquadrabile a cavallo di ine VIII e IX /prima metà X sec., in un contesto culturale piuttosto vivace che caratterizza la Langobardia Minor; la seconda invece, interessa l’XI-XII secolo, quando questa zona del mezzogiorno vede ormai il radicamento della cultura normanna, portatrice essa stessa di nuove conoscenze in campo architettonico. Nicola Busino Seconda Università degli Studi di Napoli NUOVI DATI SU UN MONASTERO NEL TERRITORIO DI CAPUA (CAMPANIA, ITALIA) New archaeological researches have been leading since 2013 at Monte Santa Croce (north Campania), a small settlement which is close to the present town of Capua. The small built up area rose on the southern border of the Trebulani mountains which dominate the valley of the river Volturnum. Excavations have documented a small Benedictine monastery, built by the initiative of Lombard comes of Caiazzo (ancient Caiatia), Landulfus IV, at the end of the Xth century AD. By the closing of the following century, the complex was included into the properties of Saint Lawrence ad septimum in Aversa (Caserta, Italy), a big Benedictine convent which had been extending its importance thanks to the Norman princes as they set themselves in the North of the Campania. The hilltop was in reality irst occupied by a Hellenistic community, whose traces are represented by a double circuit of surrounding walls, in opus poligonalis: a recent examination has focused on chronological aspects of that phases (fortresses erected in the second half of IVth century BC) linked to the peopling dynamics of the neighboring landscape in pre-Roman Age. The monastery church is the main structure of the Medieval settlement, placed on the southern part of the top of the hill. It is a place of worship with a single nave, a transept with three inal apses (a central bigger one and two smaller at both sides) and a three crypt rooms in low level of the presbytery: archaeological explorations have testiied that the transept-church substituted a precedent building of which it have been discovered traces of the main apse. The more ancient structure, which is completely diferent by the wall’s techniques, has been clearly dismantled for erecting the newest one, whose size is more monumental and majestic. Keeping together written sources and archaeological remains, it seems clear that the irst building is attributable to the Early Middle Age or, in other words, to the will of the Lombard comes, Landolfus IV, who decided to build up a monastery at the end of the Xth century with the purpose to control the western part of his county. The second church should be the consequence of the progressive Norman political difusion to the North, with a transmission of architectonical knowledge that may have inluenced the new foundation at Monte Santa Croce. At the north of the church, it has been discovered a little necropolis which was probably used by the local community during the Medieval phase. It have been discovered three rectangular 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 71 tombs, in two cases not very much disturbed and covered by a four tuf blocks; inside, explorations have showed multi-bodies burials with a main ones together with some reductions. The graves were without any goods. According to the written sources, we do not have data about the Late Medieval phases of the convent: it really disappears from every kind of black and white documentation, but we have archaeological data concerning good quantities of objects (ceramics, coins, metals, glasses) that certify the occupation of the area in Late Middle Age. The preliminary analyses clarify the closeness of the convent to the local network of pottery consumption: as matter of fact, some table ceramics, i.e. cups, bowls, etc. (both glazed and enameled), are quite similar to some others in the surroundings sites. According to the ceramics records, the abandon of the Medieval settlement should have happened at the beginning of the Modern Age: it was a progressive phenomenon which can be considered close by the half of XVIth century. According to the written sources the only information about the monastery, after the Medieval phase, is a little hint in a 1561 inventory: it communicates a beneicium sanctae Crucis, placed at Caiacza, which is also too weak for hypothesizing the occupancy of the place at the half of XVIth century. New interesting perspectives are ofered by the irst explorations of the contiguous rooms on the southern border of the Medieval church. We have a big, rectangular chamber (refectory?), opened to the external and also linked to the southern branch of the church’s transept. Excavations have revealed two other more little spaces, probably used for food preserves according to the emerged pottery typologies (amphoras, big containers, etc.). Pasquale Corsi Università degli Studi di Bari MONACI ITALO GRECI IN PELLEGRINAGGIO Nelle Vite dei santi monaci italo greci risultano frequenti le notizie circa la pratica del pellegrinaggio, secondo motivazioni che si richiamano di consueto all’esercizio delle pratiche ascetiche, all’inizio o nel corso di un itinerario spirituale, nel segno della rinuncia al mondo e della penitenza. La storia del pellegrinaggio viene così a conigurarsi come un elemento costitutivo della storia della santità. La ricerca che è stata realizzata per il prossimo Convegno sulle strutture monastiche intende quindi ofrire un contributo all’analisi di questo aspetto, nei limiti delle fonti considerate e dell’ambito territoriale di alcune regioni dell’Italia meridionale, in particolare della Calabria, Basilicata e Puglia. A titolo di esempio, nella Vita dei SS. Saba e Macario, scritta da Oreste, patriarca di Gerusalemme, testimone oculare degli avvenimenti, si racconta che tra il 991 ed il 1006 san Saba, siciliano di cultura bizantina, insieme al fratello Macario raggiunge la zona del Mercurion, tra Basilicata e Calabria, dove insieme costruiscono una chiesa in onore dell’arcangelo Michele, il cui santuario è una delle mete più frequentate da questi monaci, che di solito al loro ritorno dedicano all’Arcangelo un tempio o un oratorio. Successivamente Saba si reca in pellegrinaggio a Roma. Il tema del pellegrinaggio ad limina apostolorum si trova anche nelle Vite di sant’Elia lo Speleota (scritta nella seconda metà del secolo X), di san Leoluca (scritta probabilmente verso il 915 e pervenuta solo nella sua traduzione latina), di san Luca di Demenna o di Armento (anch’essa pervenuta in una traduzione latina). Un particolare rilievo è ovviamente da riservare alle testimonianze trasmesse dalla Vita di san Nilo da Rossano, cui si aggiungono quelle rintracciabili nelle Vite di san Nicodemo di Kellarana e di san Fantino il Giovane. Tutti questi elementi ed altri ulteriormente rintracciabili nelle fonti coeve confermano l’importanza del pellegrinaggio nel contesto della spiritualità della vita monastica italo greca, in rapporto ovviamente al quadro generale del monachesimo di matrice orientale. 72 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Daniel Lemeni West University of Timişoara (Romania) THE UNTIMELY TOMB: THE PRACTICE OF DEATH IN THE APOPHTEGMATA PATRUM Introduction In this paper we shall explore the „practice of death” in the early monastic tradition. The focus of our attention will be on the sayings of the desert Fathers (Apophtegmata Patrum). The withdrawal from the world is the most powerfull metaphor to describe the mortiication in the spirituality of the desert. More than that the monk is a metaphor of „death”, because for ascetics the desert was the place of burial. The ascetics strove to „die to themselves” and „to the world”, so that the Desert Fathers characterize their life as a kind of „death”, because they live as though dying each day. This kind of „death” („daily dying”) contains the seeds of later ascetic emphasis on a „practice of death”: the monk, though not actually dead, efectively dies each day. The paper is divided into two sections. Section 1 draws on elements from the desert as place of the death. Ascetics symbolized this death by locating their existence in the desert. In Section 2, we turn to the Desert Fathers, whose apophtegms are elaborated with increasingly consistent reference to death. The Way of the Desert: Withdrawal as Death Special emphasis is placed on the importance of the desert—a symbol of total withdrawal and rejection of the world—as a training ground for those who aspire to spiritual progress. The insistence on the physical desert setting as most beneicial for ascetic life, was augmented by the notion that the soul could achieve complete inner detachment regardless of its surroundings. That is to say, the word ‚desert’ refers not only to a physical place, but, in the words of Tim Vivian, „takes on two additional levels of meaning: the spiritual and the mystical. Not only was the desert a religious place, it signiied a spiritual way of being.”1 From this perspective, the wisdom of the desert emphasized remembrance of death. And indeed, the Desert Fathers embraced their mortality; they were comfortable with death. As John Chryssavgis has remarked „they recognized death as another form of community, as another profound way of connection to themselves, to their neighbor and to God as the Lord of life and death.”2 For example, Saint Antony lived always with his own death in sight. In other words, Antony preached a kind of daily „dying” to his disciples. The dying Antony commanded his disciples to „live as though dying each day.”3 This kind of instruction became extremely popular in Egypt from the late third century. The Desert Fathers attracted to Egypt individuals from all over the Roman Empire who came to emulate their lifestyle and receive instruction from them. Therefore, the desert – as locus of intense spiritual experience – is of crucial importance to the development of the ascetic experience. The Untimely Tomb: Living in Death In this section we will trace various „practices of death” as they emerge in Desert literature. Beginning with general metaphorical depictions of monks as dead or entombed, I will then describe ways in which ascetics strove to „die to themselves” and „to the world”. I will draw particular attention to practices that are clearly important to the Desert Fathers, but which, in this literature, are only sometimes connected with death. Nevertheless, Desert literature develops enormous conceptual material for practices and virtues of cutting of the will, non-judgment, apatheia, and obedience, all of which will be understood in terms of death. Paphnutius, Histories of the Monks of Upper Egypt, Introduction by Tim Vivian, p. 23. John Chryssavgis, In the Heart of the desert. the spirituality of the desert Fathers and Mothers, Foreword by Metropolitan Kallistos Ware, World Wisdom, 2008, p. 47. 3 Life of Antony 91.3. 1 2 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 73 Let us begin with one famous genre of apophtegms: those that portray a young monk coming to an elder to ask for „a word of salvation.” These stories open with a standard formula: „Abba, give me a word.” For example: One day a brother came to Abba Macarius the Egyptian with the classic request, ‚Abba, give me a word that I might be saved.’ Macarius demanded action: „Go to the cemetery and abuse the dead.” And so the monk went to the cemetery and hurled insults at those buried there. The apophtegm gives no hint of what the monk felt during this odd display of wrath. Nor is there any hint what colorful insults he used. Only that he „threw rocks.” The monk then returned to Macarius, who questioned him: „Didn’t they say anything to you?” „No,” the monk replied. Macarius then told him to go back the next day, and this time he was to praise the dead. The monk did as he was told. He poured out compliments: „Apostles, saints, rightnouse ones.” Again the monk returned to Macarius, who again asked him: „Did they answer you back?” „No,” the monk again replied. Macarius then gave him a word: „You know how you insulted them and they did not reply, and how you praised them and they did not speak; so you too, if you wish to be saved, must do the same and become a dead man. Like the dead, take no account of either the scorn of men or their praises, and you van be saved.”4 Therefore, a monk have to die before his death. In other words, the awarness of his coming death, combined with renunciation of secular life, led the monk to regard himself as dead. Also, several sayings of Abba Poemen illustrate the interior meaning of this „death”: Once Abba Anoub came to ask if Poemen would like to invite some priests over. Poemen kept silent and inally Anoub left saddened. When asked the reason for his behavior, Poemen responded, „I have nothing to do here. For I died and a dead man does not speak.”5 Abba Poemen was annoyed with his brother Paesius whose conversations were not to Poemen’s liking. Poemen led then to Abba Ammonas and told him the situation. Ammonas responded thus: „Poemen, are you still alive? Go, sit in your cell and set it in your heart that you have already been in the grave a year.”6 On the other hand, Moses the Robber, one of the more colorful igures in the sayings of the desert Fathers, points to the exterior meaning of ascetic „death”. He says: „A person ought to mortify himslef from every wicked act before he departs the body that he may do ill to no one.”7 The „dead” monk both cultivates an interior tranquility that isolates him from distractions and temptations, and he takes care how he relates to others. We must explore both of these two facets of ascetic „death”: death to oneself and death to one’s neighbor. The memory and practice of death emerge in Apophtegmata Patrum as important but contested means of cultivating and communicating the whole ascetic life. Giuseppe Motta Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia MORIRE IN MONASTERO Il tema della ine della vita e del trapasso all’interno delle mura claustrali viene indagato sulla base delle fonti letterario-agiograiche e liturgiche; ne emerge il clima spirituale di serena mestizia che si percepisce nel monastero quando un monaco è prossimo alla ine della sua esistenza. Il momento viene vissuto dall’intera comunità che accompagna con preghiere e rituali, che afondano le loro radici nelle primitive esperienze eremitiche, quel momento cruciale e supremo. Vengono quindi descritti i vari riti funebri, le modalità e i diversi luoghi di sepoltura. Apophtegmata Patrum Macarius 23 (trans. Benedicta Ward, CS 59:134). AP Poemen 3; see also Moses the Ethiopian 11-12. 6 AP Poemen 2. 7 Moses the Ethiopian 15. 4 5 74 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Simona Moretti Libera Università di Lingue Comunicazione, Milano LA MORTE DEL MONACO: LE FONTI FIGURATIVE BIZANTINE (V-XI SECOLO) La cappella funeraria della Lavra che il cappadoce Saba (439-532) aveva fondato a sud di Gerusalemme conservava – secondo la testimonianza dell’archimandrita Gretenio, pellegrino russo del XV secolo – l’eigie su tela del santo fondatore, Saba appunto, adagiato nel feretro. È stato sottolineato come questa immagine ricordi i ritratti funebri egiziani dipinti sulle mummie o quelli del Fayyum e anticipi, se dobbiamo dar fede alla sua antichità, di diversi secoli le igure di giacenti in Occidente. Questo contributo è dedicato proprio alla rappresentazione del monaco morto, giacente, nelle fonti igurative più antiche dell’Oriente greco ino all’XI secolo. Alla Dormizione dell’eremita ha destinato di recente un contributo Manuela De Giorgi, prendendo in considerazione esempi bizantini e post-bizantini che vanno dal XIII al XVIII secolo e limitando l’analisi alla produzione pittorica murale o su tavola. In questa sede presteremo invece attenzione alle testimonianze visive più antiche e alla igura del monaco bizantino nella duplice ‘versione’, l’eremita e il cenobita, con uno sguardo privilegiato alla produzione miniata. L’analisi mostrerà alcune caratteristiche ricorrenti come, ad esempio, la sobrietà della composizione, l’immancabile abbigliamento monastico, la valorizzazione dell’ascesi. Mentre nella lettura delle fonti si troverà la spiegazione di dettagli iconograici e la conferma di usanze liturgiche. La critica ha sottolineato, nella genesi iconograica del tema, la dipendenza – o piuttosto la derivazione – da modelli di dormizioni ben più consuete, in primis quella della Vergine, iconograia nata in età preiconoclasta ma difusasi solo a partire dal X-XI secolo, e a seguire le koimeseis di santi, per lo più vescovi. Le immagini qui prese in considerazione, che vedono coinvolto l’umile monaco, presentano però alcune diferenze rispetto ai modelli per così dire ‘aulici’ ora menzionati, diferenze che non è opportuno trascurare, naturalmente dando conto anche delle ainità. Nell’epoca tardo bizantina la morte dei monaci diventerà oggetto di un ciclo composto da diversi episodi: si tratta dell’illustrazione del canto liturgico attribuito ad Andrea da Creta (600 circa-740), il Canone degli agonizzanti. Ma questa è un’altra storia che non racconteremo qui. Benché più sobrie e limitate alla scena della morte, le immagini del periodo preso in esame ofrono comunque interessanti spunti di rilessione e provano, ancora una volta, la stretta connessione tra storia e arte. Jorge Rodrigues IHA and DHA of the FCSH/Universidade NOVA de Lisboa Calouste Gulbenkian Museum DEATH AND MEMORY AT THE MONASTERY: PRIVILEGED BURIALS AND THEIR PATRONS IN THE NEWLY FOUNDED KINGDOM OF PORTUGAL From the time a irst time a place of memory was built preceding the monastic church of Cluny II, for the privileged burial of the ducal family of Burgundy, to the widespread adoption of this solution throughout Christendom, the use of galilees worked as a response to the interdiction of burials inside the temples decided by the Council of Braga in 561, reminiscent of the separation of the ‘cities’ of the living and that of the dead in the Ancient world. Used solely by those that could be considered as founders of the temples and monasteries, this 11th century model of privileged burial would travel through Spain to reach the rising kingdom of Portugal shortly after, concentrating initially on the irst royal pantheons, those of the Holy 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 75 Cross in Coimbra and, later, Saint Mary of Alcobaça, and subsequently spreading throughout the territory, following the expansion of the kingdom, used in a vast group of burial spaces sponsored by the noble landlords. Amongst the many galillees built in the kingdom, mainly in the 12th century, some of them are still standing and their relationship to the founders can still be traced through documental or epigraphic testimonies. Such are the cases of the galillees of Santa Cristina [Saint Christina] of Serzedelo, São Miguel [Saint Michael] of Vilarinho or São Martinho [Saint Martin] of Mancelos. Others were not so fortunate and were destroyed, either by misjudgements on the part of the restorers or by lack of function, and consequent abandon of the ensembles, on the course of the years but mainly on the 20th century. Such was the case of the greatest of them all, the galilee of the monastic church of Pombeiro of Ribavizela, a symbol for the power of one of the main supporters of the cause of our irst king Afonso Henriques: the Sousa family. At a smaller scale churches like Sanins of Friestas, São Pedro [Saint Peter] of Ferreira or Salvador [Saviour] of Freixo de Baixo also presented these places of memory preceding the western façade that were destroyed, misinterpreted or poorly restored. A second type of pantheons - justiied by the economic and political relevance of its patrons that could not, however, be considered as founders - was also associated to the monastic temples but placed laterally, addorsed, normally to the north side of the church for symbolic and functional reasons, and with an inner connection. Amongst them we must point out the irst Portuguese pantheon that we were able to identify, the corporal chapel of Egas Moniz, the template for many others to follow, with one of the sole underground burial crypts identiied in the Portuguese Romanesque. Amongst our chosen examples the one of Salvador of Souto is one of the most curious because, although destroyed, it is very well documented by an 18th century researcher that still saw in 1726 not one but two burial structures, with apparently diferent symbolic and hierarchic functions. Other addorsed pantheons worth mention, built in the 12th century but often kept in continued use by the same family, or reused by others, are the ones of Santa Maria of Cárquere, São Pedro of Cete or the more intriguing cases of São Vincente [Saint Vincent] of Sousa or the Saviour of Ansiães: the irst one integrating a burial structure dated 1162 on the ground level of the transformed (but still very present) bell tower; the second one adjusted in an awkward and inexplicable way to the church’s forecourt. Rutger Kramer Veronika Wieser Institute for Medieval Studies, Austrian Academy of Sciences – Vienna YOU ONLY DIE TWICE. THE DEATH OF ABBOTS AND THE CONSOLIDATION OF COMMUNITIES – THE CASES OF MARTIN OF TOURS AND BENEDICT OF ANIANE Whenever the founding abbot of a monastic community died, his followers were faced with the irst profound challenge of their existence. In the wake of the demise of their charismatic father igure, they now had to ind a way to continue both his spiritual legacy and the material well-being of their monastery. In this paper, the researchers will compare two case studies from Gaul, in which diferent communities each dealt with this challenge in their own way. The irst revolves around the late-fourth century bishop and monk Martin of Tours, one of the founding fathers of Western Monasticism, and the various descriptions of his death from the letters of Sulpicius. The second case is centred on the depictions of the death of Benedict of Aniane in 821, a close advisor to Louis the Pious and one of the architects of the monastic reforms undertaken in the Carolingian Empire. In both cases, the ensuing existential crisis caused those with a vested interest to re-assess their place vis à vis the monastery and its erstwhile leader. 76 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Comparing diferent versions from each time period will highlight the preoccupations of the authors, and show their idiosyncratic view of the place of monasteries in the world. Taking a diachronic perspective will allow us to look at the changing relation between cloister and court, allowing us to extrapolate larger developments taking place in the monastic world in the early medieval West. Contrasting these cases, one from when monasticism still represented a radical counter-movement, and one from when it was irmly embedded in the empire, will not only further an analysis of the way monks coped with the death of their abbot. It will also shed light on how the tension between the developing Church and the lingering Roman Empire shaped political, religious and social thinking as Late Antiquity gave way to the early Middle Ages – when monasteries represented forces of stability, but were just as often seen as harbingers of change. Daniele Ferraiuolo Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli I LUOGHI DELLA MEMORIA FUNERARIA: RIFLESSIONI SU FORME E CONTESTI DELLE EPIGRAFI SEPOLCRALI DI AMBITO MONASTICO NEI SECOLI VIII-X Chi intende afrontare l’aspetto riguardante il contesto d’origine delle epigrai sepolcrali di età altomedievale, deve necessariamente misurarsi con l’estrema rarità di manufatti superstiti conservati ancora in situ. La quasi totalità dei prodotti sottoposti ad analisi nel presente contributo è, infatti, fuori contesto, ragion per cui si è ritenuto indispensabile intraprendere la ricerca partendo da una rapida distinzione tipologica dei manufatti documentabili in campo monastico, tenendo conto della sola produzione di ambito funerario. Scegliendo l’insieme delle componenti isiche come punto di partenza, l’incrocio con i formulari e con le principali fonti cronachistiche a disposizione ha permesso di avanzare alcune ipotesi sulla contestualizzazione topograica originaria dei manufatti epigraici, rendendo possibile, in alcuni casi, l’identiicazione delle pratiche di segnalazione delle sepolture di monaci ed abati all’interno degli spazi claustrali. Se per l’Italia settentrionale – rappresentata da alcuni casi signiicativi, quali il San Salvatore di Brescia, il monastero femminile di Sant’Agata al Monte di Pavia e quello di Bobbio – iscrizioni di grandi dimensioni e dal contenuto aulico costituiscono lo specchio di un fenomeno di “monumentalizzazione” delle pratiche funerarie destinate alle élites, diverso è il caso dei monasteri italo-meridionali, per cui l’approccio al medium epigraico anche da parte delle categorie meno in vista della gerarchia monastica presuppone, a quanto pare, lo sviluppo di una prassi improntata sull’uso difuso di iscrizioni di medie e piccole dimensioni poste in origine, con ogni probabilità, all’interno di ambienti distinti a destinazione funeraria. Nel novero delle realtà cenobitiche della Langobardia Minor, il caso di San Vincenzo al Volturno costituisce quello forse maggiormente rappresentativo, data la consistenza del campione epigraico e la sua speciicità. Meta Niederkorn-Bruck Universität Wien CURA MORTUORUM – CURA PRO INSTITUTIONE MEMORIA, DIE GEMEINSCHAFT STIFTET, ALS BASIS FÜR DIE HISTORIOGRAPHIE Totengedächtnis und Memorialquellen und Memorialquellen spiegeln immer ein speziisches Interesse, die Identität einer sozialen Gruppe – einer Institution. Dies gilt für geistliche wie für weltliche Institutionen: Memoria stiftet Gemeinschaft. Das Salzburger Verbrüderungs- 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 77 buch (8. Jhdt.) belegt dies ebenso, wie das Kalendar/Nekrolog aus dem Kloster Melk aus dem 12. Jahrhundert. Beide Quellen zeigen in ihrer Anlage und jeweils vor allem durch Nachträges ihre Bedeutung sowohl in der liturgischen Memoria als auch im Hinblick auf die Geschichte der Institution. Der Salzburger „Liber Vitae“ Der Jesuit Marcus Hansiz1 hat sich bereits im beginnenden 18. Jahrhundert intensiv mit dem Liber vitae beschäftigt und durch Ergänzungen nicht nur manche Zuschreibungen – etwa der Widmungsverse an Alcuin – vorgenommen, sondern auch zu einzelnen Bischöfen und Erzbischöfen Annotationen gesetzt. Der Liber vitae diente ihm als Quelle im Rahmen seiner Studien zur Chronologie der Erzbischöfe von Salzburg. Der „Liber Vitae“ markiert durch seinen Inhalt verschiedene Einluss/Interessenssphären: die Gemeinschaft der Lebenden und der toten, die sich durch ihre Bitte um das Gebet in die Gemeinschaft eingliederten; die Erweiterung dieser Gemeinschaft durch „Stiftungen“ / Wohltaten leistende Personen („Famulorum famularumque tuarum (sic!: tuarum)2, Kirchenpolitische Interessen Salzburgs a) –> Gebetsverbrüderung, b) -> monastische Reformverbände c) -> über die Kirchenprovinz hinaus Der Liber Vitae stellt sich durch das „Diptychon“, in dem der Ordo Patriarcharum seu Prophetarum testamenti Veteris einerseits, der Ordo Apostolorum, sanctorum Martyrum et Confessorum andererseits verzeichnet sind3, auch als Brücke zwischen dem Alten und dem Neuen Testament dar. Der Liber Vitae belegt durch die Verzeichnung griechischer Namen (in griechischen Buchstaben!) deutlich die Spannweite der Interessen; sei es, dass Salzburger Mönche / Kanoniker diese Informationen nach Salzburg brachten, sei es, dass diese Informationen durch Mönche aus dem byzantinischen Osten in den lateinischen Westen transferiert wurden. Jedenfalls hat man diese Notizen wenige Jahre nach 1054 (Schisma) eingetragen4. Kalendar/Nekrolog, Melk, 1123 Das Kalendar/Nekrolog aus dem Kloster Melk, das in seinem Grundstock im Jahr 1123 geschrieben wurde, bestätigt im Kalender wie auch in dem parallel dazu angelegten Nekrolog den Entwicklungsprozess in der Herausbildung und Absicherung der Identität des Klosters und der mit diesem verlochtenen verschiedenen sozialen Gruppen. Die Festzone des Kalenders weist naturgemäß Nachträge auf; z.B: Nikolaus, Thomas von Canterbury, Antonius von Padua, Franciscus, Elisabeth. Die Verzeichnung der Memoria beati Gothalmi (VII kal. Augusti) bestätigt die Initiative des Hauses, den hl. Koloman, der hier seit 1015 begraben liegt, durch einen „Assistenzheiligen“ in seiner Identität abzusichern. Im parallel dazu angelegten Nekrolog verzeichnet man von 1123 bis ins beginnende 16. Jahrhundert immer wieder Namen von Mitgliedern des Konventes – vor allem von Äbten - und vereinzelt von Personen, die im Verwandtschaftsverhältnis zu Konventualen stehen („tuota laica obiit: mater Erchinfridis abbatis. mater Erchinfridis abbatis“5). Die hier verankerte Memoria spiegelt allerdings weniger die Memoria der Konventualen, sondern ganz besonders deutlich die enge Verknüpfung von Memoria und Geschichte: Bei der Verzeichnung einzelner Babenberger wurde im 14. Jahrhundert ergänzt, welche „Bedeutung“ ihnen jeweils im Hinblick auf Bestand und Besitz (Reliquien und Grundbesitz!) des Klosters zukommt. Marcus Hansiz, SJ, Archiepiscopatus Salisburgensis chronologice propositus ( Augsburg 1729) Salzburg, St. Peter, Liber Vitae, Pag. 5 3 Salzburg, St. Peter, Liber Vitae, Pag. 5 4 Salzburg, St. Peter, Liber Vitae, Pag.31 5 Melk, Stiftsbibliothek, Cod. Mell. 391 pag. 13 1 2 78 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek Beide Texte, das Verbrüderungsbuch, das in den 80er Jahren des 8. Jahrhunderts entstand, wie da Kalendar/Nekrolog aus dem 12. Jahrhundert, bestätigen durch Bearbeitungsspuren bereits für das 15. Jahrhundert eine Beschäftigung aus historischem Interesse; Memoria stiftet hier nicht nur Gemeinschaft sondern bietet Grundlagen für die Geschichte der Institution und deren Netzwerke im Regionalen wie im Überregionalen. Paola Novara Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Ravenna SEPOLTURE PRIVILEGIATE NEI MONASTERI ALTOMEDIAEVALI RAVENNATI A Ravenna il fenomeno monastico è attestato precocemente. Accanto alle indicazioni riguardanti alcuni gruppi legati a Gregorio Magno, a partire dall’VIII secolo le testimonianze della fondazione e della presenza di monasteri a Ravenna e nei quartieri extraurbani, sono ininterrotte ino alle soppressioni settecentesche. Indagini svolte durante il XIX e il XX secolo e alcuni materiali conservati presso i locali musei ci permettono di sintetizzare alcune importanti considerazioni riguardo le sepolture privilegiate nei monasteri alto medievali. Particolare attenzione sarà prestata al monastero urbano di S. Vitale e a quello extraurbano di S. Maria della Rotonda. Il primo aveva come chiesa madre l’antica basilica di S Vitale, il secondo l’antica tomba del sovrano goto Teodorico, trasformato nella chiesa di S. Maria al Faro o della Rotonda. In San Vitale indagini svolte a varie riprese nella prima metà del XX secolo hanno permesso di individuare le tracce di due contesti sepolcrali, da cui provengono importanti attestazioni epigraiche. Lo stesso accade per S. Maria della Rotonda. Debora Ferreri Università degli Studi di Bologna SEPPELLIRE UN VESCOVO, SEPPELLIRE UN MONACO. LA GESTIONE DELLA MORTE ALL’INTERNO DEL COMPLESSO DI SAN SEVERO (CLASSE-RAVENNA). Il complesso di San Severo a Classe, poco a sud di Ravenna, è un luogo della memoria emblematico per comprendere la pratica funeraria in questo territorio. Il monastero è stato costruito alla ine del IX secolo a ridosso della basilica dedicata a uno dei più importanti vescovi ravennati, vissuto nel IV secolo. L’importanza politica e religiosa del centro monastico è attestata sia dalle fonti scritte a partire dal X secolo sia dalle indagini archeologiche che hanno consentito di datare la sua fondazione alla metà del secolo precedente. Da alcuni anni l’Università di Bologna sta indagando in maniera estensiva l’intero complesso, portando alla luce i diferenti ambienti del monastero intorno all’ampio chiostro rettangolare e numerose sepolture, distribuite in modo organico intorno a tutta l’area della basilica e al sacello in cui fu sepolto il Vescovo. Le aree funerarie sono associate sia agli ambienti della basilica e in seguito a quelli del monastero, come il chiostro, il portico o la sala capitolare, destinata soprattutto alle sepolture privilegiate. In questo contributo verranno presentati i risultati delle ricerche condotte intorno all’organizzazione cimiteriale del complesso monastico che indica spazi destinati ai membri della comunità monastica e del clero, separati da quelli dei laici. Verrà inoltre presentata l’analisi antropologica efettuata sui resti scheletrici che ha fornito nuovi dati sulla comunità legata al complesso e al territorio di Classe e di Ravenna. 23rd INtERNAtIONAL IRCLAMA COLLOqUIUM 79 Gisela Ripoll Francesc Tuset Eduardo Carrero Daniel Rico Ángela González Universitat de Barcelona Universitat Autònoma de Barcelona Laboratorio de Fotogrametría Arquitectónica de la Universidad de Valladolid SANCTI CIRICI DE COLERA / SANT QUIRZE DE COLERA (PARC NATURAL DE L’ALBERA, ALT EMPORDÀ, GIRONA). ESTUDIO DEL CONJUNTO MONÁSTICO, SIGLOS VIII AL XV sancti Cirici de Colera / Sant Quirze de Colera es un conjunto monástico en la cara sur de los Pirineos Orientales. Las diferentes estructuras conservadas junto con las fuentes textuales tienen una dilatada cronología entre el siglo VIII y el siglo XV, momento en que la comunidad monástica se traslada y pasa a manos particulares hasta los años 1990 en que se empiezan las primeras consolidaciones, restauraciones e intervenciones arqueológicas. El estudio sobre Sant Quirze de Colera se realiza dentro del proyecto ECLOC – Ecclesiæ, cœmeteria et loci (sæc. VIII-XI). sancti Cirici de Colera, sidilianum, Olerdola y es parte de los trabajos de investigación del ERAAUB (Equip de Recerca Arqueològica i Arqueométrica de la Universitat de Barcelona) y del CARE – Hispania. Nuestro principal objetivo es llevar a cabo un estudio integral. Es decir el análisis de las fuentes y de las estructuras conservadas para comprender las fases y transformaciones tanto constructivas como funcionales y litúrgicas. Para la correcta ejecución de este análisis estamos trabajando en diferentes líneas. Por un lado es primordial disponer de una topografía, una fotogrametría, una planimetría y una lectura de paramentos. Los primeros resultados que presentamos en este coloquio son provisionales y atañen al sector sur de la cabecera y el transepto, tanto interior como exterior, debido a la alta densidad de superposición de estructuras en este zona. El trabajo emprendido ya sugiere reinterpretaciones funcionales y litúrgicas de la iglesia abacial. El proyecto ECLOC se beneicia del soporte de la Generalitat de Catalunya (Projectes quadriennals de recerca en matèria d’arqueologia i paleontologia per el període 2014-2017) y en él colaboran Núria Molist, Jelena Behaim, Joan Tuset y Josep Benseny. 80 23. međunarodni kolokvij miC-a za kasnu antiku i srednji vijek © 2016