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Anno III - n. 4/Aprile 2017 RICERCHE Il canto delle Muse e il canto delle Sirene The song of the Muses and the Sirens’ song di Donato Loscalzo Abstract: Le Muse e le Sirene condividevano alcuni aspetti: una conoscenza superiore a quella dei comuni mortali e una abilità impareggiabile nel canto. Tuttavia, il canto delle Muse era funzionale al mantenimento dell’identità culturale delle città e delle comunità antiche, quello delle Sirene era pericoloso e mortale. Abstract: The Muses and the Sirens had certain aspects in common: knowledge superior to that of ordinary mortals, and incomparable singing ability. However, the song of the Muses played an important role in maintaining the cultural identity of ancient cities and communities, while that of the Sirens was dangerous and deadly. Parole chiave: canto - Muse - poesia - Sirene Key words: Muses - poetry - Sirens - song Nella antica città greca di Coronea, in Beozia, esisteva un santuario di culto della dea Hera. All’interno, una statua antica oggi per noi perduta, opera di Pitodoro, reggeva nelle mani le Sirene. Pausania1, che la descrive, racconta che costoro, figlie del fiume Acheloo, erano state persuase dalla dea a gareggiare con le Muse nel canto. Queste ultime vinsero la gara e, in senso di disprezzo verso le sconfitte, strapparono loro le penne e ne fecero delle corone. La testimonianza di Pausania parla di uno scontro diretto tra Sirene e Muse, una competizione di abilità canora: si tratta di un mito originale, probabilmente un’eziologia della tradizionale immagine delle Muse, rappresentate con il capo piumato a indicare, forse, il carattere alato delle loro parole e del loro canto2. 1 Pausania, Guida della Grecia, IX, 34, 3.Weicker 1902: 76, che considerava le Sirene sia dell’arte sia della letteratura come rappresentazione delle anime dei morti, ritiene che questa tradizione risalga a una più antica saga popolare e ritrova in un sarcofago del terzo quarto del III sec. d.C. in Petersburg la più antica rappresentazione della gara tra Sirene e Muse (p. 206). 2 Meliadò 2010: 397-9. 191 Anche se non direttamente raffigurate in uno scontro aperto, Muse e Sirene erano state variamente confrontate e le loro vicende intrecciate nel mito. Già il poeta Alcmane 3 aveva arditamente chiamato la Musa “melodiosa Sirena”, per evidenziare come la dea possegga il suo medium, il poeta, in una sorta di invasamento e di divina ispirazione, una mania. Inoltre gli antichi colsero profonde analogie tra Muse e Sirene, ritenendo queste figlie di una di quelle: secondo Esiodo e Apollonio Rodio4, per esempio, abitavano in un’isola chiamata Anthemoèssa e sarebbero state figlie del dio fluviale Acheloo e della MusaTerpsicore. Apollodoro le dichiara figlie di Melpomene e Acheloo (1. 3. 4); Servio5 dice che Acheloo le avrebbe avute dalla Musa Melpomene, e riporta anche l’altra versione sostenuta da alcuni che le vorrebbero figlie della Musa Calliope6. In entrambi i casi, comunque, si tratta di esseri soprannaturali in grado sia di incantare con la loro voce gli uditori, sia di divulgare la conoscenza del passato, ma sostanziali sono le differenze. Le Muse sono divinità olimpiche. Nell’Iliade (2. 484-6)sono definite “dee abitanti l’Olimpo, che sono presenti e sanno ogni cosa”, a differenza dei poeti che conoscono “la fama” e non sanno nulla. Il sapere delle Muse deriva dalla loro conoscenza diretta, per aver assistito agli eventi. Si tratta di un sapere autoptico, mentre quello degli uomini è un derivato del sentito dire, prevalentemente orale. Per questa conoscenza diretta dei fatti e dei protagonisti del passato, le dee possono elencare a Omero la lista dei numerosi comandanti greci alla spedizione di Troia. Nel proemio dell’Odissea, inoltre, la Musa deve raccontare le numerose peripezie dell’eroe Odisseo al poeta, in modo che quello diventi poi il cantore di una materia di ispirazione divina. Secondo la Teogonia esiodea (vv. 35-103), sono figlie di Zeus e della dea Mnemosyne, personificazione della Memoria, generate nella Pieria e sono nove di numero perché nove notti il dio si unì in amore con lei. Sono sorelle di uguale animo e uguale mente, abitano poco lontano dalla cima dell’Olimpo. Con il loro canto melodioso che parte dall’Olimpo fanno riecheggiare tutta la terra intorno, svelando le cose presenti, le passate e le future (v. 38), e nello stesso tempo facendo “ridere” le case di Zeus e le stanze degli dei immortali. All’inizio, le dee celebrano la stirpe degli dei generati dalla Terra e dal Cielo, di seguito quelli che furono generati da loro, e poi Zeus padre degli dei e degli uomini e infine la stirpe degli uomini e dei forti Giganti. Le Sirene, invece, sembrano esseri sovrumani legati al mondo dei morti. Al contenuto e alle modalità del loro canto dedica versi molto significativi il poeta dell’Odissea. Circe (11. 39-54), nel consigliare la rotta per il ritorno a casa, mette in guardia Odisseo dalle Sirene “che tutti gli uomini incantano, chiunque giunga da loro”. Circe spiega che colui il quale, ignaro, si accosti a loro e ascolti la voce resta ammaliato dal canto acuto, al punto di non preoccuparsi più di tornare dalla moglie e dai figli. Le Sirene, ricorda Circe, si trovano in un prato e sono circondate da un mucchio di ossa di uomini in putrefazione, con la pelle raggrinzita. Consiglia all’eroe, pertanto, di andare oltre, dopo aver spalmato dolcissima cera sulle orecchie dei compagni, in modo che nessuno di loro le senta. Solo lui potrà ascoltare, volendo, ma ben legato sulla scassa dell’albero della nave. Quando Odisseo riprende il viaggio, si viene a trovare con la nave davanti all’isola delle Sirene (Odissea, 11. 165-200) e sembra arrivarci proprio grazie a un vento che soffia favorevole verso 3 In Arist. Or. 28. 51 ss. = fr. 86 Calame. Alcmane dice che la Musa «emette un grido stridente», come quello, per esempio, dell’aquila (Iliade, 12. 207) oppure quello che emettono i compagni di Odisseo quando stanno per essere divorati da Scilla (Odissea, 12. 256), ma può indicare anche la voce profetizzante (Pindaro fr. 52i (A). 10 SnellMaehler). Con ogni probabilità questo strepitare della Musa indica un suono non umano, acuto e profondo, testimonianza del divino tra gli uomini. 4 Esiodo, fr. 27 Merkelbach-West; Apollodoro, Argonautiche, 4. 891-901. 5 Comm. in Verg. Georg. 1.8, III, p. 132 Thilo. 6 Bettini – Spina 2007: 39-41. 192 quella direzione. Appena giunto, il vento cessa e cala la bonaccia, senza alito di vento, perché un dio ha placato le onde. I compagni piegano le vele e le depositano nella nave. Si dispongono ai remi, remando in modo da imbiancare l’acqua del mare. Intanto l’eroe taglia a pezzetti con la spada un grande disco di cera, che impasta con le mani e con l’aiuto della grande forza del Sole, il signore Iperione. La scioglie e la spalma sulle orecchie dei compagni. Essi poi lo legano per le mani e per i piedi all’albero della nave e ritornano a remare con un certo vigore. Appena sono distanti dall’isola “quanto basta per sentire uno che urla”, le Sirene notano i nuovi passanti e cominciano a cantare (vv. 184-190): «vieni celebre Odisseo, grande gloria degli Achei, e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce. Nessuno mai è passato di qui con la nera nave senza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose. Perché conosciamo le pene che nella Troade vasta soffrirono Argivi e Troiani per volontà degli dei; conosciamo quello che accade sulla terra ferace». (trad. Privitera) Le Sirene cantano questi versi con bella voce e Odisseo, profondamente ammaliato, ordina ai compagni, facendo cenno con gli occhi, di scioglierlo per consentirgli di restare lì a fruire a lungo del canto. Essi, però, continuano a remare, anzi due di loro si alzano e stringono più forte le funi. Quando superano l’isola e non si sente più alcuna voce, subito i compagni tolgono la cera dalle orecchie e lo sciolgono dalla fune. Emerge con tutta evidenza una ripresa dei moduli dell’Iliade nelle parole delle Sirene le quali celebrano Odisseo con epiteti e forme tipiche di questo poema. Anche la chiusa del canto, “sulla terra ferace”, è un sintagma frequente nell’Iliade, ma ciò non significa che le Sirene vogliono indurre Odisseo a rientrare nei moduli dell’altro poema eroico7, quanto che la loro conoscenza è memoria di fatti degni di essere ricordati e cantati. La loro conoscenza, cioè, è pari a quella delle Muse, che secondo Omero sono state presenti ai fatti memorabili. Le Sirene, però, non sembrano avere una conoscenza diretta dei fatti e inoltre la loro melodiosa voce sembra essere perniciosa per i passanti malcapitati. Questo significa che, pur condividendo con le dee il canto e la memoria, le fonti della loro conoscenza e gli effetti sono molto differenti. Inoltre, mentre è in genere il poeta che invoca direttamente le dee chiedendo di attingere alla loro conoscenza, le Sirene cercano di propalare il loro sapere diffondendolo e divulgandolo, anche senza un’esplicita richiesta del pubblico. Cantano perché assolvono una loro funzione, eseguono un compito che è loro connaturato. Non hanno bisogno di un intermediario, qual è il poeta per le Muse, ma entrano direttamente in contatto con i propri uditori. Nell’Odissea, per esempio, il poeta invocando la Musa e chiedendole la conoscenza superiore di cui ella è depositaria, si identifica quasi con il suo status superiore, divino8. Le Muse abitano la Pieria, le Sirene una non precisata isola fiorita; le Muse sono figlie di Zeus, le Sirene, oltre che delle Muse, per altri sarebbero figlie di 7 Pucci 1998: 2-4, conclude che non è casuale la ricchezza di citazioni dell’Iliade, ma «it forces upon the listener the realization that they mean to define Odysseus as the Odysseus of the Iliad». Pucci 2014:82, su questa linea, deduce che il canto delle Sirene «è un’epica in cui Ulisse sarà consegnato definitivamente a una dimensione eroica; ed egli potrà avere il privilegio di ascoltarla ‘in anteprima’». 8 Doherty 1995: 172. 193 Chthon (la Terra) o Forcide (divinità marina)9, quindi sarebbero legate alla terra; le Muse erano antropomorfiche, le Sirene, invece, erano rappresentate come uccelli con teste di donna10. Anche il numero è diverso: le Muse sono nove, le Sirene omeriche sono due, anche se quest’ultimo dato non può essere preso come perentorio: in genere quando i greci parlavano di uccelli, in particolare di cornacchie, usavano dire: “un paio di cornacchie”. La loro natura ibrida (donna/uccello) aveva fornito loro la voce melodiosa e l’attitudine al canto, ma la conoscenza, non diretta, dei fatti da narrare è ascrivibile alla loro essenza demoniaca. Le Sirene furono rappresentate anche in numero di tre (due musiche e una cantante), ma la loro arte si specializzò nel canto, a differenza delle Muse che invece dominarono tutti i campi delle arti. Molti miti legano le Sirene all’oltretomba. Secondo Ovidio 11, furono compagne di Proserpina, ed erano con lei mentre raccoglieva fiori primaverili e fu rapita. Queste dotte Sirene la cercarono disperatamente a lungo. Alla fine chiesero agli dei di dotarle di ali per planare sul mare e sui luoghi impervi in cerca della compagna e quelli le accontentarono, ma rimase loro il volto di donna perché in questo modo avrebbero potuto cantare con maggiore agilità e ammaliare. Secondo Igino, invece, dopo il rapimento di Proserpina andarono errando fino a Cuma, ma lì furono trasformate in uccelli da Cerere perché non erano intervenute in aiuto della figlia quando fu rapita12 . Un saggio di Buschor del 1944, inoltre, evidenziò gli aspetti funerari delle Sirene greche, innanzitutto distinguendole da quelle orientali e poi definendole Himmelssirenen13, cioè esseri eterni che però non vivevano nell’Ade ma dall’altra parte dell’Aldilà. Definito il carattere celeste delle Muse e quello infero delle Sirene, si tratta di comprendere come mai il canto di queste sia pernicioso per gli uomini, a differenza di quello delle Muse. Più che sulla melodia del canto come fattore di malia, è forse utile considerare il contenuto. Le Sirene, infatti, dichiarano immediatamente quale sia la materia del loro canto, nonostante gli antichi, e in particolare l’imperatore Tiberio 14 , si chiedessero con ostinazione che cosa esse cantassero. Nell’Odissea, infatti, dicono di sapere tutto ciò che accade sulla terra e immediatamente riconoscono Odisseo come eroe che ha combattuto a Troia, la pianura dove Greci e Troiani ebbero molto a soffrire. La conoscenza superiore di queste creature deriva dall’essere in stretto contatto con il regno dei morti, da dove Odisseo aveva già attinto informazioni sul suo prossimo ritorno a casa durante la Nekyiua (libro XI dell’Odissea). Secondo Platone15, infatti, Hades è un dio molto sapiente e nessuno vorrebbe tornare indietro da lì, nemmeno le Sirene stesse, perché tutti sono richiamati dai bei discorsi che sa pronunciare, in quanto dio che si configura come perfetto sofista e grande benefattore di coloro che stanno presso di lui. Come comprese Cicerone16 , le Sirene incantavano i passanti non tanto con la dolcezza della voce, la novità o la diversità del modo di cantare, quanto perché professavano di sapere molte cose e perciò gli uomini restavano attaccati agli scogli col desiderio di imparare. Questa loro prerogativa soddisfa due desideri insiti nell’animo umano, soprattutto dei greci antichi: quello della musica e quello della conoscenza. Così l’eroe Odisseo, curioso e decisamente 9 Rispettivamente, secondo Euripide (Elena, 168) e Sofocle (fr. 861 Radt). Pollard 1952: 60. 11 Metamorfosi 5. 551-562. 12 Igino, Genealogie, 25. 13 e 41. 13 Buschor 1944: 47. 14 Svetonio, Vita di Tiberio, 70. 15 Cratilo, 403d-e. 16 De finibus, 5. 18: «neque enim vocum suavitate videntur, aut novitate quadam et varietate cantandi revocare eos solitae, qui praetervehebantur, sed quia multa se scire profitebantur, ut homines ad earum saxa discendi cupiditate adhaerescerent». 10 194 attratto da ogni forma di conoscenza, che aveva visitato molte città e sperimentato l’animo di molti uomini, sarebbe stato facile preda di questi esseri e delle loro promesse17 . Cicerone spiega che questa volontà di apprendere e scoprire è simile a quello di chi si profonde negli studi filosofici e scientifici, arrivando al punto di non badare né alla salute né alle occorrenze domestiche e adattandosi a tutto, rapito esclusivamente dal sapere e dalla scienza in sé. Ancora, secondo Cicerone, Omero non poteva rappresentare Odisseo ammaliato da un canto per quanto soave: eroe bramoso di sapere poteva essere irretito solo dalla premessa di una conoscenza superiore. Contro questa lettura si è espresso di recente Di Benedetto18, il quale ribadisce una vecchia idea secondo cui la malia da loro esercitata sarebbero di natura erotica, alla quale i naviganti non sanno resistere. Le Sirene sarebbero delle ammaliatrici pronte ad adescare i marinai. Non spiega questa interpretazione come mai i malcapitati rimangano lì a sentire il canto fino alla totale consunzione e perché li irretiscano senza ricavarne alcun guadagno se non quello di assistere alla putrefazione dei loro corpi. L’incanto delle Sirene non è nel loro aspetto fisico, inoltre, ma proviene dalla voce e dalla promessa di informare i passanti, rendendoli edotti su molte cose. Non è propriamente questo l’adescamento delle prostitute. In un saggio del 1937, R. Caillois aveva definito le Sirene demoni meridiani, quelli cioè che compaiono a mezzogiorno, quando il sole non proietta le ombre e quindi possono entrare in contatto con gli uomini senza essere scoperti. La sua ipotesi è che la loro natura sia solare e cita il lessico Suda che documenta come Seir fosse l’antico antico nome del Sole19. Certamente l’origine del nome, oltre al loro aspetto e alla loro genealogia, rimane oscuro e di controverse interpretazioni e appare non del tutto greco, pertanto è stato considerato anche di origine semitica20 . Secondo alcuni sarebbe derivato da seirá, voce che indicava la fune, e quindi rappresenterebbe le corde che irretiscono Odisseo, oppure da Seirios, Sirio, la stella più brillante della costellazione del Cane, cioè quella che splende quando il caldo è più intenso, in estate21. Non è casuale che Odisseo passi presso le Sirene verso mezzogiorno e verso il punto massimo della calura, come si deduce dal fatto che la cera si sia prontamente sciola nelle sue mani. Anche la bonaccia e la mancanza di vento sono indice di questa ora del giorno. La calura che divora e corrompe la carne rievoca quei demoni meridiani che trovano nel mezzogiorno più facilmente le loro prede perché questo è il momento in cui la loro azione è più efficace22. Le Sirene hanno conoscenza superiore a quella degli uomini, perché proviene dal mondo infero e per questo demoniaca, pericolosa. I marinai, infatti, imputridiscono ascoltando il piacevole suono e non hanno nostalgia alcuna degli affetti e della casa. Il canto delle Muse, celeste, autoptico, e anche politicamente accettato e vagliato, ha la proprietà di conservare la memoria della comunità, 17 Gresseth 1970: 206, contesta a questa idea della volontà di conoscere e di avere informazioni, il fatto che odisseo si sarebbe rivelato, al contrario, desideroso di rientrare a casa, e conclude che se Odisseo vuole ascoltare la voce delle Sirene è perché si aspetta da loro l’indicazione della via più breve per tornare a casa. La sua conclusione è che le Sirene siano una rappresentazione folklorica, pari alle Sfingi, Arpie, Graie e che «represent primarily Magic Song». 18 Di Benedetto 2010: 50-2. 19 Suda, σ 284 Adler. 20 Bérard 1971: 380-1, pensa alla parola ebraica sir (canto) e il semitico hen (grazia): chant de grâce, da intendersi come “des femmes qui lient par leurs enchantements”, al pari del latino fascinare. Quest’avventura di Odisseo sarebbe, quindi, un incantesimo. 21 Chantraine 1999: 994. 22 Caillois 1999: 27-31. Lo studioso nota che i cadaveri essiccati ricordano la descrizione della canicola esiodea, inoltre la bonaccia improvvisa e la facilità con la quale Odisseo scioglie la cera sarebbero una prova del fatto che l’episodio vada collocato in questa fase del giorno. 195 divenendone fattore identitario e di coesione. La memoria da loro professata è a fondamento del vivere civile e dell’educazione. Le Sirene, invece, che mostrano di avere una conoscenza superiore a quella umana, perché riconoscono il viaggiatore Odisseo, promettono una conoscenza infinita, che soddisfi il bisogno di apprendere e sapere, ma che è pericoloso per l’intera comunità. Nella ricerca solipsistica di questo piacere i marinai rimangono sulla riva a nutrirsi del canto, non avvertendo il desiderio di tornare a casa dalla moglie e dai figli, non sentono più il bisogno di mantenere in piedi la famiglia, nucleo centrale della comunità politica. Le fonti archeologiche, inoltre, hanno evidenziato il legame tra le Sirene e il mondo funerario. Ad Atene nel V sec. a.C. molte immagini di Sirene si trovavano come segno di tombe. Del lamento funebre esse incarnano il goos, cioè il pianto lamentoso non musicato, mentre le Muse, per definizione, allietano i conviti e le feste degli dei23. Le Sirene, a differenza delle Muse, non propagano un canto olimpico e politicamente utile perché vagliato dalla tradizione e dalle logiche dell’umana convivenza. Sono libere di raccontare la verità senza filtri, incatenando con la melodia del canto quanti passano dalla loro isola. Significativo è il fatto che esse dicano proprio di conoscere tutto ciò che accade sulla terra fertile, definendola con il termine chthon che indica la superficie terrestre che tecnicamente divide il regno dei vivi (coltivato) dal regno dei morti. Sotto la terra, infatti, erano sepolti i cadaveri e vi scendevano le anime dei defunti24, mentre sopra la terra si vive e si vede la luce del mondo, oppure ci si nutre di pane25. Le Sirene promettono il piacere e garantiscono che ci si potrà allontanare da loro dopo aver conosciuto più cose. Ma il sapere che promettono, evidentemente, è infinito, continua ricerca, perché dalla loro voce ammaliante nessuno riesce a staccarsi. La loro conoscenza, infera, è onnicomprensiva: a Odisseo promettono di raccontare tutto quanto nella pianura di Troia soffrirono Greci e Troiani, mettendo sullo stesso piano i due schieramenti rivali, che si trovarono a combattere “per volontà” degli dei. Dalla loro prospettiva, cioè, i due eserciti hanno subito di pari grado un sopruso da parte degli dei e di pari grado hanno sofferto. Conoscono anche “tutto ciò che accade sulla terra nutrice di genti”: guardando dal basso, esse hanno la possibilità di sapere con chiarezza tutte le cose e di poterle raccontare in una prospettiva paratattica, in cui tutto è messo sullo stesso piano. Per ritornare alla statua che Pausania vide in Beozia, essa racchiude l’idea che gli esseri mostruosi, a differenza delle dee, propalano una conoscenza non filtrata, assoluta, che non tiene conto dei vincoli morali e politici. Pertanto, essa può costituire una minaccia, un pericolo, per la cultura e per la vita associata, poco interessata com’è dalle regole del vivere sociale. La conoscenza e la memoria non codificate e non contenute in una relazione di controlli rappresentano per le civiltà una minaccia alla quale solo le dee figlie di Zeus, investite di un ruolo celeste, possono rappresentare un argine. Ciò che si sa e che si deve tramandare non può essere, in definitiva, divulgato e conservato scriteriatamente. Va filtrato nell’ottica dell’utile politico di cui le Muse sono le custodi. 23 Mancini 2005: 49-52. Odissea, 11. 52; Iliade, 6. 411. 25 Iliade, 1. 88; Odissea, 8. 222. 24 196 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Bérard, Victor. 19712. Les navigations d’Ulysse. 4. Paris Bettini, Maurizio – Spina, Luigi. 2007. Il mito delle Sirene. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi. Torino Buschor, Ernst. 1944. Die Musendes Jenseits. München Caillois, Roger. 1999 [ed. or. 1936. Paris]. I demoni meridiani. Ossola, Carlo (cur.). Torino Chantraine, Pierre. 19992. Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Paris Di Benedetto, Vincenzo (cur.). 2010. Omero. Odissea. Trad. di Di Benedetto, Vincenzo – Fabbrini, Pierangelo. Milano Doherty, Lillian Eileen. 1995. Sirens Songs: Gender, Audience, and Narrators in the Odyssey. Ann Arbor Gresseth, Gerald K. 1970. The Homeric Sirens. «Transactions and Proceedings of the American Philological Association». 101: 203-218 Mancini, Loredana. 2005. Il rovinoso incanto. 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