Karol Karp
Università “Niccolò Copernico” di Toruń
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio
di Amara Lakhous: un romanzo di consumo?
Introduzione
Nelle discussioni accademiche sulla produzione in lingua italiana di autori migranti appare il problema del valore letterario dei testi in oggetto
(Gnisci 2003). Il presente saggio, dedicato all’analisi dell’appartenenza di
genere dell’opera Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di
Amara Lakhous, uno dei più conosciuti rappresentanti della letteratura
della migrazione, vincitore del prestigioso premio Flaiano, aspira a essere
un contributo a questo dibattito.
È risaputo che il romanzo di consumo viene considerato uno degli
elementi costitutivi della cosiddetta paraletteratura, la quale – come
rileva Carlo Bordoni – indica “qualcosa che sta «accanto» alla letteratura
e le somiglia moltissimo, ma che letteratura non è” (Bordoni 1999, 40).
Lo studioso ne individua i tratti tipici, inerenti a tematica, tipologia dei
protagonisti, costruzione dell’intreccio, che consentono di diferenziarla
dalla letteratura tout court. Tali tratti riguardano l’iterazione, la serialità,
la probabilità (Bordoni 1999, 44).
1. Iterazione
L’opera di Lakhous, ambientata nella Roma del ventunesimo secolo, e più
precisamente in un palazzo di piazza Vittorio in cui vivono numerose
persone di origine straniera, si incentra sull’indagine per la morte di
Lorenzo Manfredini alias Gladiatore, un uomo odiato da più inquilini.
Lo scrittore costruisce personaggi identiicabili con tre ambiti: la commedia all’italiana (Comand 2010), la letteratura della migrazione, la letteratura gialla.
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Quanto alla produzione in italiano dei migrant writers, il testo presenta due tipi di protagonisti che usualmente la popolano: quello di un autoctono e quello di uno straniero. Per tratteggiarne un quadro esemplare
faremo ricorso alle igure di Benedetta Esposito e Parviz Mansoor Samadi, sottolineeremo il carattere delle loro reciproche relazioni e le rispettive
maniere di percepire la realtà circostante. Nel caso della donna abbiamo
a che fare con un riiuto totale dell’alterità incarnata dalle persone di
origine non italiana. Nel suo immaginario la loro presenza nel paese,
soprattutto quella illegale, sovente tipica di individui provenienti da zone
povere e arretrate, non provoca che guai, per cui incolpa gli stranieri della
disoccupazione che tormenta i suoi connazionali, li accusa di vari reati e
li considera una razza peggiore; non nota dunque che gli aspetti negativi
del loro arrivo in Italia. Tale atteggiamento è conforme alla deinizione
di non-persone proposta da Alessandro Dal Lago. Lo studioso sostiene
che “gli stranieri giuridicamente e socialmente illegittimi (migranti
regolari, irregolari o clandestini, nomadi, profughi)” siano “le categorie
più suscettibili di essere trattate come non-persone” (Dal Lago 1999,
213). Divengono cioè persone cui “vengono revocate – di fatto o di
diritto, implicitamente o esplicitamente, nelle transazioni ordinarie o nel
linguaggio pubblico – la qualiica di persona e le relative attribuzioni”
(Dal Lago 1999, 213). Agli occhi di Benedetta Esposito gli immigrati non
sono portatori di valori e sentimenti umani: sono soltanto un’immagine
visiva, un corpo inerme che va respinto; diventano persone oggetto
(Nussbaum 2014) che andrebbero eliminate dalla vita sociale.
Parviz Mansoor Samadi, un profugo iraniano, ha diicoltà nel
ritrovarsi nella società ospitante; si rivela un individuo smarrito che
vive una crisi esistenziale. La soferenza provocata dalla perdita della
famiglia e dalle umiliazioni subite nei rapporti con gli italiani rendono
deplorevole la sua condizione. L’uomo accenna soprattutto ai problemi
di natura socio-economica fronteggiati dagli immigrati ed esprime
il suo disappunto verso l’ingiustizia cui sono sottoposti. Lasciare la terra
natale di frequente è una necessità, l’unica speranza per trovare una vita
migliore. La nuova realtà però, come nel caso di Parviz Mansoor Samadi,
può dimostrarsi problematica, portatrice di una profonda delusione che
suscita la volontà di rientrare nel paese d’origine. In Lakhous, come
giustamente evidenza Nora Moll, sull’approccio verso la migrazione
inluisce la condizione esistenziale di un dato protagonista (Moll 2011,
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous…
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240). Seguendo la tradizione della commedia all’italiana, lo scrittore
costruisce personaggi i quali
risentono di diversi cliché, di stereotipi sociali sugli immigrati e sugli
stessi italiani […]; sono personaggi che nascono e crescono ritagliandosi da soli e per così dire con coscienza la propria identità, esibendo
la propria fattezza spesso stereotipata e talvolta caricaturale attraverso
la propria voce (Moll 2014, 185).
La narrazione autodiegetica fa sì che i protagonisti siano in grado di
svelare audacemente una parte considerevole della loro interiorità, per
presentarsi come individui marginali, perdenti incoscientemente limitati
dalle proprie convinzioni. Nella loro immagine conluiscono il comico
relativo al comportamento, alla maniera di percepire e valutare la realtà,
e il tragico, sinonimo della loro piccolezza, e anzi dell’arretratezza mentale e culturale.
Riferendosi agli elementi del giallo rintracciabili nel testo, i critici
(Fracassa 2012; Comberiati 2010a) rilevano i punti di convergenza con
Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana, romanzo di Carlo Emilio
Gadda originariamente pubblicato nel 1957. Sia in Gadda che in Lakhous
appaiono personaggi tipizzati quali il commissario oppure i testimoni:
un fatto completamente naturale, vista la trama incentrata su un’indagine. La loro presenza costituisce indubbiamente il legame più forte con
la convenzione giallistica; occorre aggiungere però che, generalmente,
il romanzo non conserva che pochi tratti distintivi del giallo.
Da quanto detto risulta evidente che il criterio della ripetitività ha
una struttura tridimensionale. In primo luogo si tratta di personaggi
schematici, ben visibili in altri testi letterari pubblicati dai migrant writers, che presentano due visioni opposte inerenti all’arrivo e al soggiorno
degli immigrati in Italia. In secondo luogo, attraverso il paralellismo
con la tradizione della commedia all’italiana, vediamo igure grottesche
oppure tragiche, immerse in un vuoto esistenziale senza la possibilità
di cambiare la propria sorte. In terzo luogo ci inoltriamo nel mondo
di coloro che sono coinvolti, per obbligo o per scelta, nell’indagine, e
divengono così identiicabili con la poetica del giallo. Le loro testimonianze costituiscono una ricca fonte di informazioni di natura sociale e
proprio ciò, come giustamente osserva Rosanna Morace, fa dell’ambiente
il vero protagonista del romanzo (Morace 2012, 2). Così il lettore vi trova un’immagine veridica e colorata della vita all’italiana in una località
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conlittuale, intrisa di stereotipi, pregiudizi e lamentele. Lo scrittore accenna in modo particolare al carattere multietnico della città di Roma,
risultato di migrazioni di massa che la rendono un crogiolo di culture
(Leek 2012, 75). Sebbene l’autore adotti una prospettiva micro, limitata a
un solo luogo, le sue rilessioni risultano universali, in quanto la presenza
degli immigrati provoca fenomeni simili in tutto l’Occidente. Il testo non
solo parla degli antagonismi tipici delle relazioni tra l’autoctono e l’altro,
ma dà anche la possibilità di percepire i rancori che gli italiani nutrono
nei confronti di se stessi. Benedetta Esposito prova una generale delusione verso il proprio Paese che, a suo avviso, premia gli incompetenti
e disprezza i meritevoli; riferendosi ad alcuni fatti della vita pubblica,
presenta i suoi connazionali in tono ironico come un popolo propenso
a tradire, disgregato, strano, ingiusto1. Sandro Dandini, “il proprietario
del bar Dandini che si afaccia sui giardini di piazza Vittorio” (Lakhous
2014, 91), svela apertamente il suo disamore verso gli italiani del Nord.
Li considera ossessionati dal potere, sempre desiderosi di costringere
gli altri a eseguire i loro ordini. Al contempo egli si rivela invidioso
dello status economico che possiedono, generalmente più alto di quello
degli altri abitanti dell’Italia. Giustiicando la sua teoria, il protagonista
si riferisce alla igura del professore Antonio Marini, un milanese che,
giunto a Roma per insegnare all’università, “tratta gli inquilini del palazzo come i bambini dell’asilo o come appartenessero a una tribù zulù”
(Lakhous 2014, 95)2. L’uomo non nasconde neanche la sua avversione
verso i napoletani:
1
2
La protagonista cita il caso di Giulio Andreotti che, a suo parere, è stato ingiustamente
accusato di aver avuto contatti con la maia. A suo avviso è impensabile che
l’uomo sia stato un maioso, in quanto è una persona retta, una vittima evidente
dell’incompetenza altrui. Benedetta non riesce dunque a capire come si possa
incolpare tale politico. Un’altra cosa assurda le risulta la presenza in Parlamento di
una donna come Cicciolina. “Poi abbiamo visto tutti dentro la televisione Giulio
Andreotti sul banco degli imputati e quella poco di buono di Cicciolina sui banchi
del parlamento. […] Se Andreotti se la faceva con la maia, questo vuole dire che
ho votato per la maia e non me ne sono accorta? Questo vuole dire che la maia
ha governato l’Italia per decenni? […] In che paese siamo? Che ine abbiamo fatto?
Gesù, Giuseppe e Maria! Maronna mia, aiutace tu!” (Lakhous 2014, 39).
Il professore svela alcuni pregiudizi e cliché che considera giusti. Essi concernono
ad esempio gli abitanti di Roma, che chiama in modo peggiorativo una città del
sud; ai suoi occhi i romani sono pigri, arretrati, propensi a lamentarsi. “La portiera
napoletana, Sandro Dandini ed Elisabetta Fabiani sono simboli del sud con la loro
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous…
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Io non sono razzista, però non sopporto i napoletani. Ho sperato dal
profondo del cuore che non avesse niente a che fare con Napoli, perché
non ho ancora dimenticato le botte che ho preso qualche anno fa dai
tifosi del Napoli dopo un nostro pareggio in casa loro. Dico che non
meritavano un giocatore come Maradona. Avete visto come è inita per
il povero Diego? […] Se Maradona avesse giocato con la Roma sarebbe
potuto diventare un uomo venerato come il papa. Io non provo imbarazzo nel dire: “Non mi ido del napoletano, neppure se fosse San Gennaro!”
(Lakhous 2014, 92).
2. Serialità
L’opera è suddivisa in undici capitoli intervallati da brevi note diaristiche intitolate “ululati”3. Sono degli episodi della vita di Ahmed Salmi,
chiamato Amedeo, un immigrato ben immerso nella realtà italiana che
tuttavia, vista la sua scomparsa improvvisa dopo il ritrovamento del
cadavere del Gladiatore, viene sospettato dalla polizia di essere l’autore
dell’omicidio. Ogni parte del libro è dedicata a una visione soggettiva di
quanto avvenuto, delineata dai singoli protagonisti. Come nota Ugo Fracassa, “le voci non dialogano” (Fracassa 2012, 85). Appaiono piuttosto
dei veri e propri monologhi, il cui contenuto è fortemente inluenzato
3
tristezza, le chiacchiere, il sottosviluppo, il pettegolezzo, la credenza, la superstizione.
[…] Posso citare il grande storico napoletano Giustino Fortunato, meridionale doc,
il quale sostiene che il dramma del Mezzogiorno è l’incertezza del domani. Loro
non piantano e non seminano, in poche parole non investono. Chi dorme non
piglia pesci!” (Lakhous 2014, 75).
Il titolo delle note diaristiche si riferisce al suono emesso dai lupi durante le notti di
luna piena. Aferma l’autore: “Ci sono due tipi di ululato: quello del dolore e quello
della felicità. Molti immigrati emarginati che abbracciano le loro bottiglie di vino e
di birra nei giardini di piazza Vittorio non smettono di ululare tristemente, perché
il morso della lupa è doloroso. Ogni tanto l’ululato è come il pianto. Invece io ululo
di gioia, un’immensa gioia. Mi allatto dalla lupa insieme ai due orfanelli Romolo
e Remo. Adoro la lupa, non posso fare a meno del suo latte” (Lakhous 2014, 117).
Lo scrittore applica la tipologia dell’ululato alla propria condizione di straniero
in una città dell’Occidente. A Roma, “allattato dalla lupa”, si è costruito una vita
abbastanza felice, ha sposato un’italiana che l’ama, ha stretto amicizie. Al contempo
si rende conto che la realtà romana costringe molti immigrati a ululare di tristezza.
Gli ululati del protagonista sono dunque portatori anche di signiicati negativi.
Varrà la pena di aggiungere che in essi esprime la soferenza legata ai ricordi del
passato in terra natale, segnati da un forte dolore.
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dalla condizione esistenziale di chi li pronuncia, dal suo modo di vedere e
capire la realtà circostante. Come rileva Morace, ogni personaggio è “emblematicamente portatore di una diversa visione del mondo, dell’identità e dell’appartenenza nazionale, nonché di un suo modo di leggere e
vivere l’Italia multietnica e concepire i rapporti con gli altri” (Morace
2012, 5). Benedetta Esposito non ritiene Amedeo colpevole in quanto,
secondo la donna, l’autore del crimine deve essere uno degli immigrati
e lui indubbiamente è italiano. La protagonista arriva a tale conclusione
valutando soprattutto la sua competenza linguistica.
Se il signor Amedeo è forestiero come dite voi, chi sarebbe l’italiano
vero? Mi viene il dubbio anche di me stessa. Magari viene il giorno in
cui si dirà che Benedetta Esposito è albanese o ilippina o pakistana. Chi
vivrà vedrà! Amedeo parla l’italiano meglio di mio iglio Gennaro. Anzi
meglio del professore all’università di Roma, Antonio Marini, che sta di
casa al quarto piano (Lakhous 2014, 33).
Il pensiero di Benedetta risulta conforme a quello di Sandro Dandini
che, prendendo in considerazione la profonda conoscenza della storia e
della topograia di Roma posseduta da Amedeo, è completamente sicuro
delle sue origini italiane. Invece Mauro Bettarini, in quanto commissario, ne parla in riferimento ai risultati dell’indagine condotta, che in
in dei conti attesta le origini algerine dell’uomo. Secondo il poliziotto
ciò fa sì che la sua colpa sia più probabile. Come aferma Morace, dopo
la scoperta della sua vera nazionalità è praticamente ritenuto colpevole
(Morace 2012, 5).
I tre esempi suddetti – e ciò caratterizza anche le altre testimonianze
presenti nel romanzo – sebbene concernano la stessa storia, ne mettono
in risalto sfumature diverse. Il fatto, come detto, dipende dalla condizione esistenziale dei singoli protagonisti. Benedetta Esposito percepisce
la vicenda attraverso il prisma dei suoi pregiudizi nei confronti degli
immigrati. Sandro Dandini impernia il suo giudizio sulle esperienze
personali legate alla igura di Amedeo. Mauro Bettarini invece è incline
a vederla nell’ottica della professione esercitata.
Da un punto di vista strutturale ogni capitolo può essere considerato un quadro separato, il che consente all’autore di aggiungere nuove
informazioni, arricchendo così il nucleo tematico centrale. Il messaggio
trasmesso provoca pertanto nel lettore la speranza di inoltrarsi in modo
completo nella problematica trattata. Lo vediamo attendere qualcosa di
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous…
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sorprendente, ma al contempo sforzarsi di prevedere lo sviluppo della
vicenda.
Tali considerazioni illustrano perfettamente la concezione della
serialità formulata da Bordoni, secondo cui “la stessa storia può essere
suddivisa in più episodi, pubblicati e trasmessi in successione logica, tali
da suscitare attesa (il classico «suspense») nel lettore o nello spettatore” (Bordoni 1999, 44). Di fatto Lakhous divide davvero la trama del
romanzo in più racconti tematicamente compatti, che si completano
e spingono a rilettere sulla percezione della igura di Amedeo. Sorge
il quesito sul perché gli uni lo considerino italiano, e gli altri straniero.
Il lettore si lascia coinvolgere nella ricerca e nella scoperta della vera
appartenenza identitaria di Amedeo, che in dall’inizio si dimostra
molto ambigua. Lo suggerisce già il doppio nome Amedeo/Ahmed,
attraverso l’uso del quale, come a ragione osserva Daniele Comberiati,
viene marcata la dicotomia “fra passato in Algeria e presente in Italia”
(Comberiati 2010b, 225). Le opinioni dei protagonisti sulla sua identità,
accompagnate da giustiicazioni precise, danno lo spunto per immergersi in rilessioni sulla nozione di italianità e per chiedersi chi sia l’italiano
vero. Lo può essere uno straniero che, come Amedeo, padroneggia perfettamente la lingua e conosce a fondo la realtà italiana? Tenendo conto
di quanto sostenuto dagli stessi italiani, pare giusto dare una risposta
afermativa. Per Benedetta Esposito e Sandro Dandini è impensabile che
Amedeo non sia uno di loro; sono totalmente convinti della sua identità
italiana. La loro opinione è condivisa dal professore Antonio Marini che,
esprimendola, identiica gli immigrati con gli italiani del sud.
Amedeo è un immigrato! Per me non c’è diferenza tra gli immigrati e
la gente del sud. Anche se non capisco il rapporto di Amedeo con il meridione. […] Quando la portiera mi ha detto che Amedeo è del sud non
ci ho creduto, perché il suo modo di parlare, di salutare e di camminare
assomiglia a quello dei lombardi, dei piemontesi. Non gli ho chiesto
la sua origine. Queste cose riguardano la sua vita privata e io non ho
il diritto di interferire. Una sola volta gli ho sentito dire: “Io sono del sud
del sud”. Allora ho dedotto che Roma è del sud, e le città del sud d’Italia
come Napoli, Potenza, Bari e Palermo sono l’estremo del sud! (Lakhous
2014, 75).
Maria Grazia Negro osserva che nella letteratura italiana contemporanea
conluiscono tre modalità di rappresentare lo straniero: “1) lo straniero
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integrato nella società italiana; 2) lo straniero che entra ed esce dal mondo del lavoro ed è in via di integrazione; 3) lo straniero clandestino
(l’irregolare, il delinquente/criminale, la prostituta) e quello soferente
di psicopatologie causate dal processo migratorio”. A suo parere Amedeo si dimostra ben integrato nella società ospitante (Negro 2009, 18)4.
Comunque, dalla sua prospettiva personale, determinare l’appartenenza
identitaria di sicuro risulta problematico. Egli si rende conto dei sintomi
dell’italianità che lo caratterizzano, ma al contempo non riesce a redimersi dai ricordi dolorosi del passato, che lo riportano al Paese d’origine.
Ci troviamo di fronte a un elemento molto frequente nella letteratura
della migrazione: un soggetto migrante immerso in un vuoto identitario,
in quanto sospeso nel proprio mondo interiore tra due realtà, quella
natale e quella italiana. Infatti ancora Negro deinisce doppia l’identità
del protagonista (Negro 2009, 82).
3. Probabilità
Con la costruzione particolare dell’intreccio il lettore rimane sempre più
coinvolto nelle indagini fatte dai protagonisti. Ognuno di loro avanza
varie ipotesi, ma esprime soprattutto il punto di vista personale sull’ipotesi difusa dalla polizia, secondo cui Amedeo è colpevole dell’omicidio.
Abbiamo a che fare con un vero e proprio processo informativo che
avviene nella mente del lettore e che ha un carattere ambiguo. Da un lato
introduce una certa confusione, dall’altro diventa cruciale nella ricerca
della verità che compie. Avendo a disposizione un’enorme quantità di
informazioni, il lettore può selezionarle per valutarne il signiicato.
Ad un certo punto l’innocenza di Amedeo risulta molto evidente:
la attestano le testimonianze convincenti delle persone che lo conoscono. Ne emerge l’immagine di un uomo dal carattere retto che non
sarebbe in grado di uccidere nessuno. Così nel romanzo viene ritrovato
il terzo tratto distintivo della paraletteratura individuato da Bordoni:
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Un altro esempio di straniero ben integrato nella società italiana, riscontrabile nei
testi che appartengono alla letteratura della migrazione, è costituito dalla igura di
Elton, il protagonista del romanzo Va e non torna di Ron Kubati (Kubati 2000). Si
tratta di un giovane albanese che, giunto in Italia in cerca di una vita migliore, si
dedica con impegno allo studio e al lavoro; riesce a stringere rapporti amichevoli
con gli italiani ed a costruirsi uno spazio vitale in cui si sente a suo agio sebbene
rimanga oltre i conini del paese natale (Burns 2002).
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous…
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la probabilità, ossia la possibilità di indovinare facilmente come andrà a
inire la storia (Bordoni 1999, 44). Va detto però che esso viene realizzato
soltanto parzialmente. Sebbene non abbia diicoltà nel decifrare la verità
sul personaggio di Amedeo, cioè sulla sua innocenza, il lettore non è
comunque in grado di identiicare il vero omicida. Il suo volto viene scoperto nell’ultimo capitolo grazie a Bettarini. Il commissario fa capire che
il Gladiatore è stato ucciso da Elisabetta Fabiani, una delle inquiline del
palazzo, divorata dal desiderio di vendicarsi dell’uomo per il rapimento
del suo cagnolino. Tale afermazione di sicuro provoca stupore. Occorre
aggiungere che Bordoni, presentando la nozione di probabilità, evidenzia anche che nella produzione popolare è caratteristica la tendenza a
concludere l’opera in modo sorprendente.
Conclusioni
Nel romanzo conluiscono più tecniche narrative. L’autore non segue
fedelmente un modello ma, facendo ricorso a elementi tipici di diverse
poetiche letterarie e – se addottiamo una prospettiva più ampia – artistiche, si rivela propenso a costruire un testo di natura ibrida. Abbiamo
a che fare con una prosa transgenerica tanto frequente nella letteratura
italiana contemporanea tout court. Dalle analisi condotte risulta chiaro
che anche l’opera di Lakhous, in quanto portatrice di signiicati profondi,
potrebbe essere vista come una sua parte. Vi campeggia un antropologismo particolare che mostra i membri della società italiana nel nuovo
contesto migratorio del ventunesimo secolo. Il suo carattere multietnico
fa sì che davanti al lettore siano tratteggiati due modi di percepire la realtà fra loro non troppo coerenti, quello di un italiano indigeno e quello
di un immigrato, i quali costituiscono una ricca fonte di informazioni
su problemi come l’identità, l’italianità, la migrazione. Prendendolo in
considerazione, il collocarsi dell’opera entro la deinizione bordoniana
di paraletteratura si presenta come un fattore d’importanza secondaria.
Bibliograia
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Napoli: Liguori.
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Karol Karp
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Comberiati, Daniele 2010a: Lo sguardo obliquo. La tematica dell’emigrazione
italiana nelle opere degli scrittori immigrati. Italies, Revue d’Études Italiennes 14.
Comberiati, Daniele 2010b: La verità è nel fondo di un pozzo. La costruzione
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Bruxelles: Peter Lang, 221–232.
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Moll, Nora 2014: La narrativa di Amara Lakhous e i suoi intertesti. La rivista di
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Morace, Rosanna 2012: Scontro di civiltà in “un noir problematico”. Esperienze
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Negro, Maria Grazia 2009: Nuovo Immaginario Italiano. Italiani e stranieri a
confronto nella letteratura italiana contemporanea. Roma: Sinnos.
Nussbaum, Martha C. 2014: Persona oggetto. Trento: Erickson.
Streszczenie
Artykuł jest głosem w dyskusji na temat statusu dzieł włoskiej literatury migracyjnej wobec tak zwanej literatury kanonu i ma na celu uzyskanie odpowiedzi
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous…
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na następujące pytanie: czy powieść Amary Lakhousa należy identyikować
z literaturą popularną? Narzędzie badawcze stanowi teoria Carla Bordoniego,
według której utwór wpisujący się w poetykę literatury masowej, w odróżnieniu od utworu, który przynależy do literatury tout court, posiada trzy cechy
dystynktywne: powtórzenie (rozumiane jako obecność elementów charakterystycznych dla innych poetyk), seryjność (podział na epizody dotyczące głównej historii, a ukazujące różne jej odcienie), prawdopodobieństwo (możliwość
przewidzenia zakończenia historii).