Rivista di Filologia
e Letterature Ispaniche
XII
2009
Estratto
Edizioni ETS
INDICE
ORIOL MIRÓ MARTÍ
Principios del ciceronianismo bembiano a la luz del De imitatione
9
FRANCISCO JAVIER ESCOBAR BORREGO
La obra poética de Juan de la Cueva en el entorno sevillano
(con un excurso sobre sus vínculos con Diego Girón y Fernando de Herrera)
35
NICOLETTA LEPRI
La Clementina di Ramón de la Cruz, Calderón e il tema dell’incesto
71
RAFFAELLA NENCINI
Lo spazio negato.
La huerta in Doña Perfecta e Tristana di B. Pérez Galdós
89
VALERIA TOCCO
Strategie narrative e implicazioni etiche ne A Morte de Jesus
109
ENRICO DI PASTENA
«Mañana no nos vamos».
Tierra roja, una Fuente ovejuna mineraria di Alfonso Sastre
123
ELISABETTA SARMATI
Tessiture intertestuali.
Memorie letterarie in Nubosidad variable di Carmen Martín
Gaite
147
GIUSEPPE DI STEFANO
Diego Catalán y el romancero
177
8
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
UN OMAGGIO A SUSANA BOMBAL
ALESSANDRO MARTINENGO
Presentazione
191
GABRIELE BIZZARRI
Di reliquie e souvenirs: l’epifania discreta delle “cose” in Tres
domingos di Susana Bombal
193
GIULIA POGGI
I riflessi della coscienza
(Borges, Virginia Woolf e Susana Bombal)
201
RECENSIONI
GIUSEPPE DI STEFANO
El canon poético en el siglo XVI. Edición dirigida por Begoña
López Bueno. Sevilla, Grupo PASO - Universidad de Sevilla:
Secretariado de Publicaciones, 2008, pp. 380
211
ENRICO DI PASTENA
Lope de Vega, ¿De cuándo acá nos vino?, ed. Delia Gavela
García, Kassel, Reichenberger (Teatro del Siglo de Oro. Ediciones críticas, 156), 2008, pp. 458
219
ROSA MARÍA GARCÍA JIMÉNEZ
Ariza, Manuel, Insulte usted sabiendo lo que dice y otros estudios sobre el léxico, Madrid, Arco/Libros, 2008, pp. 274
227
LIBRI RICEVUTI
231
TESSITURE INTERTESTUALI.
MEMORIE LETTERARIE IN NUBOSIDAD VARIABLE
DI CARMEN MARTIN GAITE
Se nos pasó la hora de la merienda, sin darnos cuenta, hablando de
Peter Pan, de Sherezade y de muchos otros amigos comunes. Y fue
como si aquel día los narradores de los árboles hubieran madrugado y
se fueran descolgando de las ramas para sentarse a nuestro alrededor
a medida que los íbamos nombrando: Andersen, Lewis Carroll, Stevenson, Collodi, Elena Fortún, Daniel Defoe, Perrault, Julio Verne,
Salgari1.
1. I magazzini della memoria
Se è vero che ogni opera vive all’interno di una catena ininterrotta di
testi, con i quali stabilisce al contempo rapporti di influenza e di imitazione, il gusto per la citazione intertestuale varia, sa va sans dire, di autore in autore e di opera in opera, come variano anche il grado di consapevolezza, esplicitazione e accettazione delle citazioni presenti, che
vede da un lato il compiacimento del pastiche erudito e dall’altro quel
senso pervasivo di «indebitamento con la tradizione» di chi, come scrive Harold Bloom, sopraffatto dalla presenza dei modelli, teme di non
trovare più una lingua propria2.
L’inclinazione ad assimilare nei propri scritti ipotesti di varia natura
si va precisando come una caratteristica saliente della scrittura di Carmen Martín Gaite almeno a partire da Retahílas, che già rivelava, come
opportunamente segnalato3, un considerevole apporto di materiale intertestuale di natura estremamente eterogenea, destinato a diventare
elemento strutturante in quello che a tutt’oggi è considerato il suo capolavoro: El cuarto de atrás4.
1
2
Cfr. C. Martín Gaite, Nubosidad variable, Barcelona, Anagrama, 1996, p. 290.
Cfr. H. Bloom, L’angoscia dell’influenza. Una teoria della poesia, Milano, Feltrinelli,
1983.
3
Cfr. M. Escartín Gual, Noticias de Carmen Martín Gaite y «Retahílas», in C. Martín
Gaite, Retahílas, Barcelona, Crítica, 2003, pp. 169-232, pp. 197-198 e pp. 217-232.
4
Cfr. A. Pineda Cachero, «Comunicación e intertextualidad en El cuarto de atrás, de
Carmen Martín Gaite (1ª parte): literatura versus propaganda» e Id., «Comunicación e intertextualidad en El cuarto de atrás, de Carmen Martín Gaite (2ª parte): de lo (neo)fantástico al Caos», entrambi in Espéculo. Revista de estudios literarios, Universidad Complutense
de Madrid, http://www.ucm.es/OTROS/especulo/ cmgaite/entr_cmg.htm
148
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
Nubosidad variable, il romanzo al quale la scrittrice di Salamanca deve certamente la notorietà fuori del suo paese e in particolare in Italia5,
si presenta come uno scambio epistolare tra due amiche d’infanzia,
Mariana e Sofía che, tornate ad incontrarsi dopo molti anni di lontananza, decidono di ridare vita ad un’antica consuetudine: scrivere di sé
all’altra seguendo un attento rituale.
A pesar de los años que hace que no te escribo una carta, no he olvidado el ritual a que siempre nos ateníamos. Lo primero de todo, ponerse en postura cómoda y elegir un rincón grato, ya sea local cerrado o al aire libre. Luego, dar noticia
un poco detallada de ese lugar, igual que se describe previamente el escenario
donde va a desarrollarse un texto teatral, es de día, en primer término sofá, por el
lateral derecha puerta que da al jardín, lo que sea, para que el destinatario de la
carta se oriente y pueda meterse en situación desde el principio. Son pautas que
sugeriste tú – lo recordarás –, como marcabas, casi sin que se diera uno cuenta, las
reglas de todos los juegos6.
Quest’incipiente comunicazione epistolare si trasforma poi in una
sorta di doppio diario personale. Infatti, a parte la prima lettera di
Sofía (che costituisce il primo capitolo) e la risposta di Mariana (che
occupa il secondo), le due amiche si scambieranno il resto delle epistole-diario solo nelle ultime pagine del libro, esattamente nell’epilogo, ed
è a questo punto che il lettore comprende che sono proprio queste lettere a costituire il romanzo che ha tra le mani:
De una carpeta, mal cerrada, se escapó un folio y salió volando en remolinos.
Paquito, que escoltaba el grupo, dejó en el suelo una bandeja con tazas y vasos
que traía, y salió corriendo por las escaleras que bajaban a la playa en persecución
de aquel papel fugitivo, azotado por la lluvia.
Lo repescó bastante sucio ya y mojadísimo, al borde del último escalón, tras
dos intentos fallidos de ponerle el pie encima.
Estaba recién escrito y la tinta se había desteñido sobre una de las palabras en
letra mayúscula. No eran más que dos. La primera, NUBOSIDAD, casi no se leía
(p. 291).
Il contenuto delle lettere-diario verte sulla quotidianità presente delle due donne e sul loro passato, tanto quello condiviso, che si arricchisce così dei due punti vista, come di quello vissuto in assenza dell’altra.
Nel racconto di una vita, la citazione intertestuale, molto spesso accu5
Cfr. M. Vittoria Calvi, «La recepción italiana de Carmen Martín Gaite», in Espéculo.
Revista de estudios literarios.
6
Cfr. Martín Gaite, Nubosidad variable, p. 20. D’ora in poi si citerà sempre da questa
edizione dell’opera, indicando solo il numero della pagina tra parentesi tonde a fine citazione.
TESSITURE INTERTESTUALI
149
ratamente svelata nell’indicazione esplicita della fonte, è una presenza
insistita con una tipologia di ampio respiro. Riferimenti alla letteratura,
persino abiblia, alla musica, alla pittura, al cinema, accompagnano i ricordi di Sofía e Mariana, entrando a far parte di una memoria recuperata e consegnata all’altra.
L’impossibilità di distinguere l’evocazione delle esperienze di vita
narrate dalle due protagoniste dalle reminiscenze culturali che si intrecciano ad esse viene a costituire lo specifico di uno stile narrativo e
di una poetica gaitiani, in cui la presenza intertestuale come memoria
letteraria, filmica, musicale diventa a tutto diritto dato esperienziale,
elemento costitutivo e formativo della biografia del personaggio. Come
ha scritto Calvino: «Le letture e le esperienze della vita non sono due
universi ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama
certe letture e si fonde con esse»7.
Alcune indicazioni preziose sul modo di intendere il rapporto della
propria scrittura con la citazione intertestuale e dunque con la tradizione letteraria vengono fornite da Carmen Martín Gaite in quella lunga
meditazione intorno a letteratura e oralità che è El cuento de nunca acabar. La riflessione dal significativo titolo El antiplagio prende il via da
un caso particolare che riguarda le affinità profonde che Carmen
Martín Gaite riscontra tra il proprio universo narrativo e quello della
scrittrice italiana Natalia Ginzburg. Ma poi l’osservazione si fa più generale per chiarire la propria idea sulle relazioni che legano un testo a
un altro, prescelto come modello:
Yo no puedo, aunque quiera, copiar a Natalia Ginzburg. Coincidimos a veces,
eso sí; somos amigas, aunque no nos conozcamos, y nuestras manos pueden rozarse, porque escogemos por la misma zona de las muchas donde se cría material de
cuento. Cualquiera de las voces que se te quedaron enredadas en la trastienda de la
memoria irá siempre contigo, resonará dentro de la tuya. Eso no es robar ni copiar, es
tejer lo ajeno con lo tuyo, dar albergue en la propia a la memoria de otro; «haced esto en memoria de mí». Solo se apodera de algo aquel que no lo ama, que se siente
deslumbrado de lejos por un brillo que le parece prestigioso, pero que no se arrima al calor de la hoguera. Sólo copia ese8.
È abbastanza chiaro da queste parole come Carmen Martín Gaite
sia perfettamente consapevole della dinamica intertestuale che governa
i propri scritti e la difenda come scelta personale e creativa di trasfor7
I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Firenze, Editori Riuniti, 1964, p. 66.
Cfr. C. Martín Gaite, El cuento de nunca acabar, Madrid, Trieste, 1983, p. 318. Il corsivo è mio.
8
150
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
mazione e di rielaborazione di un materiale previo in enunciati nuovi,
frutto di un incontro fecondo e innovativo. Sulla necessità o meno di
rendere sempre esplicita la relazione con gli altri testi utilizzati, la scrittrice renderà ancora più chiaro il senso di questa interazione:
¿Esmaltar el propio texto con citas de autores? No hace falta. De sobra sabe
uno lo que le debe a cada cual, y le da las gracias en sus oraciones a estos préstamos que le han fecundado. Pero el guiso es de uno; si viene a cuento, se declaran
los ingredientes, pero no tiene por qué sentirse uno en la obligación de hacerlo9.
«Tessitura» di memorie proprie e altrui, «pietanza» dai molti ingredienti è, perciò, per Carmen Martín Gaite l’opera letteraria, sempre debitrice nei confronti della tradizione, che però modula con voce propria.
La lista che segue, che si riferisce alla sola intertestualità letteraria,
dà ragione dell’ampia configurazione delle citazioni presenti: Carlos
Arniches, James Matthew Barrie, Roland Barthes, Georges Bataille,
Charles Baudelaire, Gustavo Adolfo Bécquer, la Bibbia, Emily Brontë,
Lewis Carroll, Anton Ćechov, Miguel de Cervantes, Agatha Christie,
Carlo Collodi, Rubén Darío, Daniel Defoe, Arthur Conan Doyle, Eça
de Queirós, William Faulkner, Gustave Flaubert, Elena Fortún, Federico García Lorca, Garcilaso de la Vega, Natalia Ginzburg, Luis de
Góngora, Hermann Hesse, Patricia Highsmith, Carmen de Icaza, Enrique Jardiel Poncela, Franz Kafka, Carmen Laforet, Antonio Machado,
Manuel Machado, Jorge Manrique, Katherine Mansfield, Le Mille e
una notte, Ovidio, Charles Perrault, Fernando Pessoa, Francesco Petrarca, Edgar Allan Poe, Poema del mio Cid, Ruth Rendell, Emilio Salgari, Jean Paul Sartre, William Shakespeare, Robert Louis Stevenson,
Rabindranath Tagore, Lev Tolstoj, Ramón María del Valle-Inclán, Jules
Verne, Gil Vicente.
All’interno di questo abbondante materiale intertestuale, alcune voci
ricorrono in modo più costante e più elaborata è la modalità di appropriazione e di manipolazione del testo citato. Esse sono perciò più funzionali ad un’analisi del senso che lega l’opera agli ipotesti sottesi10. In
quest’ambito svolgono certamente un ruolo rilevante i romanzi di
Emily Brontë, Cime tempestose (Wuthering Heights, 1847) e di Natalia
Ginzburg, Lessico famigliare (1963).
9
Ibid. Il corsivo è mio.
Secondo, ovviamente, la terminologia di G. Genette, Palinsesti. La letteratura di secondo grado, Torino, Einaudi, 1997.
10
TESSITURE INTERTESTUALI
151
2. «Cime tempestose»: una cornice testuale
Come Virginia Woolf, Carmen Martín Gaite dedicò un intero saggio
al romanzo di Emily Brontë, Wuthering Heights (Cime tempestose),
saggio pubblicato dapprima come prologo della sua traduzione Cumbres borrascosas11 e poi riedito col titolo La fascinación del mal nella
raccolta di articoli Agua pasada12. E tanto Emily Brontë come Virginia
Woolf, accompagnate da Jane Austen, George Eliot, Carmen Laforet,
Natalia Ginzburg, Katherine Mansfield ecc., entrarono spesso a far
parte delle riflessioni gaitiane intorno alla letteratura femminile e alle
problematiche della scrittura di genere.
Cime tempestose partecipa della materia viva della narrazione sin dalle
prime battute di Nubosidad variable. Con una modalità d’esordio che è
consuetudine nella scrittura di Carmen Martín Gaite, Sofía apre l’opera
raccontando un sogno, nel quale lei e Mariana, sdraiate su un prato,
guardano le nuvole dopo essere forse scampate a un inseguimento:
Me acordé de que había soñado con Mariana León. Estábamos tumbadas en el
campo mirando las nubes; antes habían pasado otras muchas cosas no muy placenteras, creo que me perseguían porque estaba implicada en un atentado, y es
posible que allí encima de las hierbas se lo estuviera contando a Mariana, aunque
no estoy segura, ni tampoco de que ella viniera conmigo cuando lo de la persecución (p. 11)13.
Poche pagine oltre, quel sogno torna a profilarsi in modo più definito nella mente di Sofía, alla quale sembra di riconoscere nel paesaggio
onirico attraversato dalle due protagoniste in fuga le lande sinistre e
desolate delle paludi di Gimmerton, the Moor, vicine alla residenza di
Wuthering Heights, del romanzo della Brontë. Ecco come si inserisce
il riferimento a Cime tempestose all’interno della diegesi narrativa:
[Eduardo] Había acabado de anudarse la corbata, y con la punta de su zapato
empujó la novela que consoló mi insomnio y que se había caído abierta al suelo.
Me dormí cuando la señora Dean empieza a sospechar que Heathcliff ha vuelto a
merodear como una sombra amenazadora por la Granja de los tordos.
11 E. Brontë, Cumbres borrascosas, Barcelona, Brughera, 1984; poi Barcelona, Círculo
de lectores, 1987. Cfr. anche Virginia Woolf, Jane Eyre e Wuthering Heights, in Id., The
Common Reader (1925), New York, Harcourt, 1953, pp. 159-165.
12 C. Martín Gaite, La fascinación del mal, in Id., Agua pasada (artículos, prólogos y discursos), Barcelona, Anagrama, 1993, pp. 113-121.
13 Sul tema del sogno, cfr. anche l’incipit di El cuarto de atrás e la dinamica onirica in El
balneario.
152
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
– ¿No comprendes – dijo Eduardo – que seguir leyendo Cumbres borrascosas
es quedarse enquistada?
Me aburría romper una lanza en favor de Emily Brontë, y me pareció más prudente no decir nada, porque además acababa de tener una fulminante revelación
que casi se convirtió en certeza: el paisaje al que nos habíamos escapado Mariana
y yo era el de los pantanos de Gimmerton (p. 17).
L’allusione a una lettura amata (que consoló mi insominio) si trova a
segnare la modalità di due relazioni: Sofía–Mariana e Sofía–Eduardo,
per sancire da un lato la rinascita di un’amicizia e dall’altro la fine di
un amore. Il libro caduto a terra aperto e nel quale Eduardo inciampa
si colloca dunque al crocevia di tre esistenze: misura l’empatia e la durata di un sodalizio interrotto ma non svanito con l’amica, che torna a
essere solidale compagna seppure per ora solamente di fughe oniriche,
e si fa metafora invece dell’inesorabile distanza intima e sentimentale
di un matrimonio infelice.
«Mi ero addormentata quando la signora Dean comincia a sospettare
che Heathcliff abbia ripreso a vagare come un’ombra minacciosa intorno a Thrushcross Grange», scrive Sofía, rievocando le peregrinazioni
dello sventurato e satanico inquilino di Wuthering Heights intorno alla
signorile magione di Catherine e collegando il potente paesaggio della
brughiera di Gimmerton alle immagini del sogno appena svanito. Sofía
tornerà sul tema e arriverà ad attribuire al sogno un carattere profetico e
a Emily Brontë e Wuthering Heights la funzione di un aiutante magico:
La noche antes de encontrarnos en la exposición de Gregorio habíamos estado
juntas en los pantanos de Gimmerton, o sea que fue Emily Brontë la que nos avisó
de que a las pocas horas íbamos a volver a juntarnos de verdad, aunque tú no le
das siquiera esa interpretación (p. 182).
Il commento infastidito di Eduardo: «¿No comprendes […] que seguir leyendo Cumbres borrascosas es quedarse enquistada?», sancisce
una distanza oramai incolmabile per la coppia, l’uno incarnazione dello yuppismo e del pragmatismo esasperato di tanta borghesia rampante
degli anni Ottanta14, l’altra volta allo scavo introspettivo di ricostruzione di un’identità perduta.
Quella terra aspra e desolata (los pantanos de Gimmerton) è per
Sofía metafora essa stessa del legame che unisce Catherine a Heathcliff,
14 «La verdad es que a Eduardo la fiebre por ganar más dinero a costa de lo que fuera
se le declaró muy pronto y vino a invadir con sospechosa celeridad el terreno de sus ideales
políticos, a un ritmo tal que cuando me quise dar cuenta, ya la nueva obsesión los había desplazado por completo» (p. 201).
TESSITURE INTERTESTUALI
153
il trovatello nero e sporco che Hareton Earnshaw ha raccolto e portato
a casa con sé e che riecheggia nel suo stesso nome (rupe della brughiera) le qualità di una natura rocciosa, insidiosa e selvaggia. Wuthering
Heights è la storia di un paesaggio, quello della tempestosa brughiera
del North Yorkshire inglese e di una passione d’amore che, come quel
paesaggio, si rivela indomita, violenta e ossessiva, e che lega i due protagonisti Catherine e Heathcliff malgrado loro stessi. In La fascinación
del mal, Carmen Martín Gaite scrive a proposito di questa relazione:
El amor infantil entre Catherine y Heathcliff está basado en una complicidad
de sus rebeldías, el deseo compartido de ruptura con las normas de la moral vigente. A través de cuyo ejercicio comprenden la apasionada necesidad que sienten
uno de otro15.
Mariana, nel leggere la lettera di Sofía, coglie subito l’importanza
dell’evocazione di quel paesaggio, presagio di una prossima riconciliazione, e sa che non è solo un richiamo a un mondo condiviso di letture
e di identificazioni, ma anche l’invito a riallacciare il filo interrotto con
quella giovinezza che le ha viste partecipi di progetti e di sogni e che
racchiudeva per ambedue il vero senso di sé. Con il suo ricordo commosso, Mariana sembra accettare l’invito:
Decias tú que cuando fuéramos mayores y ganaríamos algo de dinero teníamos
que hacer un viaje las dos juntas a Yorkshire, en mayo, para visitar la tumba de
Emily Brontë, para reconocer el paisaje de Cumbres borrascosas, y rodar por una
pendiente tapizada de hierba. Veo que sigues leyendo esa novela y me conmueve, te
la debes saber de memoria. A mi también ahora me han entrado ganas de releerla.
Pero no te escribo para hablarte del talento literario de Emily Brontë, sino del tuyo
(p. 28).
La coppia Catherine–Heathcliff diventa metafora di una complicità
perduta e ritrovata, a partire dalla quale è possibile volgere al mondo
uno sguardo leggero e divertito, nonostante la condizione di smarrimento in cui versano le due protagoniste adulte, perché si può di nuovo contare sull’altra:
¡Qué risa si estuvieras aquí! Me dirías: «Anda, no pongas cara de detective, vamos a meternos de puntillas en ese vestíbulo tan lujoso. ¿Te das cuenta de lo bien
que suena la música y de los brillantes que son las baldosas? Y tú como un golfillo,
con el borde de los vaqueros mojado. Vamos a jugar a ser Heathcliff y Katherine
cuando se metieron de noche en el jardin de la Granja de los Tordos y se auparon
15 Martín Gaite, La fascinación del mal, p. 118. Riflessioni sul romanzo della Brontë si trovano anche in C. Martín Gaite, Cuadernos de todo, Barcelona, Debolsillo, 2003, pp. 700-702.
154
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
al alféizar de una ventana para fisgar desde fuera el salón de los Linton (p. 228).
Catherine-Heathcliff stanno a rappresentare quella «simbiosis de
adolescencia» (p. 61), sentimento assoluto di comunanza che è l’amicizia tra due esseri ancora in formazione, al quale Mariana si riferisce
con un ricordo carico di nostalgia. Nella storia delle due donne, infatti,
quando la complicità lascerà posto alla solitudine e alle differenze, perché «crecer es empezar a separarse de los demás, claro, reconocer esta
distancia y aceptarla»16, anche il riferimento ai due amanti cambierà di
segno. Mariana vestirà i panni di Edgar Linton, «el enclenque señorito
que habitaba en la vecina Granja de los Tordos […] que jamás va a hacer olvidar a Catherine a su audaz y rebelde compañero de juegos»17, e
riconoscerà con dolore in Sofía e Guillermo le due nuove reincarnazioni degli amanti della brughiera.
Esta noche os envidio retrospectivamente y pienso que solamente la ceguera y
la soberbia me han podido hacer creer a veces que necesitabais de mi absolución.
¡Qué tontería! Ni Catherine ni Heathcliff necesitaron nunca que los perdonara el
mesurado Linton (p. 109).
L’allusione ai personaggi del romanzo che Carmen Martín Gaite definisce «capolavoro della letteratura romantica universale»18 serve alle
due protagoniste anche per ‘orientare’ chi legge sulle caratteristiche
umane di un incontro, per fornirne un ritratto accessibile. È il caso di
Brigida / Ellen (Nelly) Dean, la governante di Thrushcross Grange,
una delle voci narranti di Wuthering Heights:
Ayer tarde, antes de llamarla por teléfono, estuve hablando con Brígida, que vive en la parte de abajo como una sombra, y a la que yo llamo para mis adentros la
señora Dean. Supongo que con esta referencia a Cumbres borrascosas ya te habrás
orientado. Siempre tiene que volver a salir Emily Brontë. Ya la comparé con la señora Dean hace tres años, cuando me abrió por primera vez la puerta de esta casa,
y me dijo, con lágrimas en los ojos, que ya nadie quería pisar por aquí […] (p. 100).
Come anche di Higinio, che per il suo dediderio di riscatto sociale è
paragonato a una versione di Heathcliff in scala minore:
Ahora, según cuenta Eduardo, tiene más del que ellos tuvieron nunca. Una
version light de Heathcliff, porque no creo que ninguna de las vaporosas sombras
femeninas que acechó desde el jardin llegara a morir de amor por él ni a suspirar
siquiera (p. 279).
16
17
18
Ivi, p. 57.
Martín Gaite, La fascinación del mal, p.118.
Martín Gaite, La fascinación del mal, p. 113.
TESSITURE INTERTESTUALI
155
L’ultimo riferimento al romanzo della Brontë chiude circolarmente
Nubosidad Variable e svela il senso di questa presenza insistita e diffusa
lungo tutto il corso della narrazione. È Mariana nella sua ultima lettera
che costituisce il capitolo XVI, il penultimo del libro, dal titolo Petición de socorro a proporre la stesura di una doppia autobiografia attraverso l’intreccio di memoria vissuta e di memoria intertestuale, perché
l’una riceva luce e significato dall’altra. Il lettore scoprirà poi che questo proposito, in realtà, è un desiderio già realizzato se proprio Nubosidad variable, il libro che ha tra le mani, assume questa configurazione:
Ojalá te llegaran estas palabras locas y afiladas a arañar los cristales de este refugio raro en el que te acurrucas, y reconocieras mis lágrimas en las gotas de lluvia
que azotan las ventanas, porque al menos aquí ha empezado a llover, quién pudiera tener delante y copiarlo para ti aquel pasaje de Cumbres borrascosas que tanto te
gustaba, está casi al principio, cuando el rostro de Catherine niña se asoma en una
noche de tormenta al cuarto abuhardillado que fue suyo y donde se ha quedado a
dormir Lockwood, y a través del cristal subitamente roto él aferra sus dedos fantasmales y comprende aterrado que, aunque tal vez en sueños, ha rozado una historia de la que ya jamás se podrá desprender, la que luego investiga por conducto
de la señora Dean y nos cuenta a nosotros, pero sobre todo a ti. Copiar para ti, Sofía, incorporados al jeroglífico general de nuestras vidas presentes y pasadas, trozos de esta novela que aún alumbra tus sueños, sería otro canal abierto entre tú y
yo, tal como somos hoy, puente aéreo tendido entre nuestros recuerdos, miedos y
decepciones, conjuro para convocar la respuesta que con tanto afán espero: – ¿Me
has llamado, Mariana? ¿Qué querías? (pp. 315-316).
L’episodio di Cime tempestose evocato in questo paragrafo e varie
volte ricordato dalla scrittrice e che, assieme ad altri passaggi dell’opera, contribuisce a conferire al romanzo della Brontë una natura ambigua e misteriosa, stabilisce sin dall’inizio della narrazione una sovrapposizione tra elementi reali ed incidenti sovrannaturali, che risulteranno irrisolti nel corso della storia. In questo caso, Lockwood, uno dei
due narratori dell’opera assieme a Nelly Dean, gentiluomo londinese in
cerca di solitudine e riposo nell’inospitale contrada dello Yorkshire, affitta la casa del Pettirosso, ove avevano dimorato infelicemente Catherine e Edgar Linton, e qui in una notte di tempesta, forse suggestionato
dai racconti di Nelly o forse in sogno, assiste all’immagine spettrale
della piccola Linton:
Questa volta ricordavo di trovarmi nella cabina di quercia, e sentivo distintamente il vento impetuoso, e la neve che turbinava; sentivo anche il ramo d’abete
ripetere il rumore molesto e mi rendevo conto di quale fosse l’effettiva causa: ma
tale era il fastidio che decisi di metterlo a tacere, se era possibile; al che, così ho
creduto, mi sono alzato e ho tentato di aprire la finestra. Il gancio era saldato
156
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
nell’asola, una circostanza di cui mi ero accorto da sveglio, ma dimenticata. – Devo fermarlo comunque!– ho borbottato sfondando il vetro con il pugno e protendendo un braccio per afferrare il ramo importuno: ma le mie dita si sono strette
intorno a una manina gelata! […]
– Chi sei? – ho domandato strattonando per liberarmi.
– Catherine Linton, – ha risposto rabbrividendo. […] Sono tornata a casa, mi
ero persa nella brughiera!19
L’importanza della rievocazione di questo specifico passo nonché il
renderlo particolarmente caro a Sofía, secondo quanto testimonia l’amica Mariana, trascende l’aspetto puramente diegetico di Nubosidad
variable per investire anche problematiche di più ampia portata, che si
configurano come riflessioni metatestuali, in quella peculiare direzione
più volte sperimentata dalla Gaite sin dalle sue primissime esperienze
giovanili e poi emblematicamente sintetizzata in El cuarto de atrás. La
predilezione a coniugare realismo e fantastico si rivela uno specifico
della narratrice spagnola, che pur avendo mosso i suoi primi passi nella
scrittura neorealistica, come gran parte della sua generazione, avverte
sin da subito le strettoie di un’opzione narrativa vincolata alla sola rappresentazione verosimile degli eventi narrati.
Margini di una poetica dell’ambiguità investono, perciò, Nubosidad
variable (seppure in proporzione minore rispetto a El balneario, Retahílas e El cuarto de atrás), proprio a partire dal sogno-presagio de los
pantanos de Gimmerton, lasciando aperti scenari evocativi non del tutto riconducibili in termini di verosimiglianza.
In questo senso se la scelta di Cime tempestose getta luce su problematiche relative agli intrecci narrativi, essa si rivela significativa anche
su questioni più di fondo, inerenti ad esempio la scelta di un genere
narrativo, che pur esorbitando dagli ambiti di un realismo strictu sensu,
non si configura come fantastico, ma del fantastico va saggiando le diverse opzioni. In un certo senso la predilezione della scrittrice per questo classico della letteratura inglese va letta anche come la sintonia di
un’opzione stilistica che Emily Brontë perseguì, forse, inconsapevolmente e che Carmen Martín Gaite, invece, andò progressivamente precisando come ideale di scrittura narrativa.
19 E. Brontë, Cime tempestose, traduzione di Paola Brusasco, Roma, La Repubblica,
2004, p. 32.
TESSITURE INTERTESTUALI
157
3. Lessico famigliare: «il mormorio della quotidianità»
Di segno molto diverso si configura la dinamica intertestuale che lega Nubosidad variable al romanzo di Natalia Ginzburg: Lessico famigliare. L’opera con la quale la scrittrice italiana vinse il premio Strega
nel 1963 compare infatti a tutto titolo solo una volta, a poche pagine
dall’esordio:
Sentí una extraña sacudida y nuestros ojos se encontraron un segundo, como
pájaros asustados. Los suyos, más precavidos, levantaron el vuelo inmediatamente.
Ir de pordiosera es una frase correspondiente a lo que llama Natalia Ginzburg «léxico familiar». Fue acuñada por el mismo Eduardo y en su versión primera, de hace unos treinta años, «ir de pordiosera» equivalía a actitud independiente, no tenía la menor connotación peyorativa, todo lo contrario. A él entonces le gustaba
mi disponibilidad inmediata, mi forma de vestirme, de moverme y de dar una opinión contra corriente […]; una vez me contó que cuando me estaba esperando y
me veía venir a lo lejos, decía para sus adentros: «mi pordio, allí viene mi pordio».
O sea, que «ir de pordiosera» llegó a desembocar en una especie de piropo; yo era
«la pordio», y me encantaba serlo. Ahora la expresión, evidentemente, se había
vaciado de aquella carga semántica (p. 18).
Anche in questo caso alcuni articoli chiariscono il senso di un sodalizio letterario vissuto dalla scrittrice spagnola con trasporto e ammirazione. «Acabo de enterarme de la muerte de Natalia Ginzburg y me
pongo a escribir estas líneas invadida por una emoción híbrida que
participa de la pena ante la pérdida de un ser tan afín y familiar como
ella»20. Ser tan afín y familiar, che Carmen Martín Gaite tentò per ben
tre volte di avvicinare: «Yo he amado muchos años en silencio a Natalia Ginzburg. Tentativas de acercarme a ella he tenido tres. Y las tres
fracasadas»21 e il cui stile viene deliberatamente assimilato al proprio:
Me quedo en una palabra, con la nostalgia de haber sido amiga de Natalia
Ginzburg, o de que ella, al menos, hubiera llegado a saber lo amiga suya que me
sentía yo, la cantidad de veces que he citado en mis conversaciones frases suyas o
de sus personajes. Hasta que punto, en fin, para usar su propia terminología, se había ido incorporando al mío su “léxico familiar”22.
Chi ha letto i romanzi di Natalia Ginzburg non fatica a riconoscere le
molte zone di convergenza tematica e stilistica con la scrittura della più
20 C. Martín Gaite, «Homenaje a Natalia Ginzburg», in ABC, 9 de octubre de 1991, poi
in Id., Agua pasada, pp. 348-354, p. 348.
21 Ibid.
22 Ibid. Il corsivo è mio.
158
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
giovane amica spagnola. Ma ancora una volta è la stessa Carmen Martín
Gaite che, occupandosi di rendere palese lo specifico della scrittura
ginzburgiana, chiarirà il senso di un’appropriazione stilistica consapevolmente perseguita. Già nel 1991, in un articolo pubblicato in «Saber
leer» dal significativo titolo El murmullo de lo cotidiano, la scrittrice salmantina dedicava alla Ginzburg alcune pagine di attenta e partecipata
analisi. Ripercorrendo con la memoria le tappe di un’amicizia vissuta in
absentia e nata sin dalla lettura della raccolta di saggi Le piccole virtù
(1962) nella traduzione spagnola di Alianza Editorial23, Carmen Marín
Gaite enuclea alcuni tratti della poetica dell’autrice di Lessico famigliare
che potrebbero molto bene definire il proprio personale discorso: il taglio autobiografico della scrittura, la centralità dell’istituzione famigliare
unita a una sua connaturata problematicità che la rende «mezcla explosiva de crueldad, ternura e ironía»24, la dimensione temporale svincolata dalla misura cronologica25, e soprattutto l’assunzione poetica di un
lessico che, riscattato alla contingenza del quotidiano, assurga al contempo a identificazione di gruppo e a voce universale26.
Se già in Entre visillos si delineava la propensione gaitiana a caratterizzare i personaggi attraverso un linguaggio ricco di coloriture gergali27, la deliberata rievocazione della memoria attraverso un recupero
lessicale che «se inmortaliza y se mantiene indemne en el recuerdo»28
ed è capace di «reflorecer nuevamente al ser evocado»29 entra a far
parte della materia narrativa in Retahílas, non a caso romanzo dell’oralità, sin dal titolo che, giustificato in epigrafe, veniva chiarito come risorsa dialettale e al contempo personale:
De la voz «retahíla» dice el Diccionario de la Real Academia Española: RETA«Serie de muchas cosas que están, suceden o se mencionan por su orden».
Y el Diccionario crítico-etimológico de J. Corominas: RETAHILA: «Derivado de
hilo; el primer componente es dudoso; quizás se trate de un cultismo sacado del
plural recta fila = hileras rectas».
HILA:
23
Madrid, 1966.
C. Martín Gaite, «El murmullo de lo cotidiano», in Saber leer, junio-julio 1991, poi
in Id., Agua pasada, pp. 205-208, p. 208.
25 Ivi, p. 207.
26 Su Lessico famigliare v. anche la recensione che la stessa Carmen Martín Gaite fece
della traduzione spagnola a cura di Mercedes Corral, Madrid, Trieste, 1989, in Abc
Literario, 10 de junio de 1989, ora in Martín Gaite, Cuadernos de todo, pp. 560-563.
27 Cfr. M. Seco, La lengua coloquial: Entre visillos, de Carmen Martín Gaite, in Aa.Vv.,
El comentario de texto, Madrid, Castalia, 1974, pp. 361-379.
28 Martín Gaite, El murmullo de lo cotidiano, p. 207.
29 Ibid.
24
TESSITURE INTERTESTUALI
159
Yo debo añadir a tan acreditados testimonios el sentido figurado de «perorata», «monserga» o «rollo» – como ahora se suele decir – con que he oído emplear
esta palabra desde niña en Salamanca30.
E sempre in Retahílas la scrittrice aveva ben chiarito il posto occupato
dal linguaggio nel creare un vincolo intimo e irripetibile tra le persone:
… de cualquier amistad o de cualquier amor lo verdaderamente inherente y
particular es el lenguaje que crea según va discurriendo, mejor dicho el lenguaje es
la relación misma porque al inventarse se configura el amor sobre él, igual que no
se puede separar el caudal de un río de su cauce, tú y yo ahora, ¿por qué nos sentimos cerca?, pues porque hablamos de una determinada manera, hemos creado
lenguaje común, ¿sí o no?31
È, però, con Nubosidad variable che la stilizzazione di un linguaggio
quotidiano e famigliare, luogo identitario e deposito di memoria, prende corpo e diventa risorsa diegetica. In un passo memorabile del suo
romanzo, Natalia Ginzburg aveva ben chiarito il senso profondo di
un’operazione molto lontana dalla semplice rievocazione nostalgica e
di maniera. La ricreazione letteraria di un idioletto famigliare, destinato a fissare il vissuto intimo di un piccolo gruppo, riscatta il tempo del
ricordo dal definitivo oblio e rende universale e poetico un linguaggio
nato per pochi e misterioso invece ai più.
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con
l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una
frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della
nostra infanzia. Ci basta dire: «Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna» o
«De cosa spussa l’acido solfidrico», per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a
quelle parole. Una di quelle frasi, o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro,
noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d’un nucleo vitale che ha cessato di
esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo32.
Come scrive Cesare Garboli «Lessico famigliare è un insieme di ricordi promossi dal sopravvivere nella memoria di parole, espressioni,
modi di dire […] ricordi che non sanno morire [e] che generano per
30
31
32
C. Martín Gaite, Retahílas, Barcelona, Destino, 2000, s.n.
Ibid., pp. 186-187.
N. Ginzburg, Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1999, p. 21.
160
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
via di associazioni volontarie una storia»33. Carmen Martín Gaite recepisce la lezione e, seppure con modalità molto più sfumate rispetto alla
Ginzburg che fa del lessico famigliare la struttura portante del suo capolavoro, articola la narrazione intorno ad alcuni stilemi, depositi di
memorie famigliari e amicali condivise: «burro flautista»34; «pared de
mampostería»35; «atra»36; «el refu»37; «el relato a perdigonadas»38; «el
c.d.l.»39, «copiomanuense inferior», «apuntodoctus» e «apuntosaurios»40; «El Escorial»41; «desendemoniarse», «desbrujar»42.
Alcune locuzioni ricorrono nel testo come una sorta di ritornello,
marcando le cadenze di una relazione che ha creato un suo territorio
linguistico, e attraversano trasversalmente la diegesi come un monito
costante, un sottosenso cui fare sempre riferimento. La più importate
33
C. Garboli, Introduzione, in Ginzburg, Lessico famigliare, pp. V-XIX, p. V.
«Cuando Eduardo empezó a ganar más dinero y nos mudamos a esta casa, nuestros
hijos eran pequeños – Encarna nueve años, Lorenzo ocho y Amelia dos, creo – y a los vecinos de séptimo le pusieron de mote “la familia del burro flautista”, porque el chico mayor
se pasaba las horas muertas tocando el clarinete en su cuarto» (p. 12).
35 «Los chicos hablan poco de él cuando voy a verlos, pero le llaman “pared de mampostería”, no sé si por las obras que siempre está inventando, por el pelo tan pegado o porque él mismo se ha convertido en una especie de pared que no deja resquicios para que se
cuele ningún problema de los que no se pueden zanjar a base de dinero» (p. 15).
36 «Dicen “atra” por atravesado, ya lo sé de otras veces» (p. 19).
37 «[…] y además le pago un fijo al mes para que vaya a adecentar un poco el apartamento donde viven Lorenzo y Encarna, que responde en léxico familiar, al mote de “refugio
para tortugas” […]. Me telefoneaba desde el refugio o “refu”, como lo llama ella, que tiende al apócope» (p. 42).
38 «Tiene la costumbre – bastante generalizada, por otra parte – de entrar en materia
sin ponerle a uno en antecedentes, en plan “relato a perdigonadas”, como Mariana y yo
llamábamos en tiempos a este tipo de narraciones donde se ignoran los puntos cardinales
del interlocutor y su falta de información previa sobre el asunto, generalmente conflictivo,
que le disparan sin más preámbulo» (p. 42).
39 «Cuando ella vivía allí sola, después de morir papá y dividir en dos la casa, lo llamábamos el “c.d.l.”, cuarto derecha de Lagasca, creo que el nombre se lo puso Lorenzo» (p. 44).
40 «Durante el bachillerato, Mariana y yo – que siempre estábamos jugando a cosas –
habíamos inventado una era de la cultura rudimentaria que bautizamos con el nombre “copiomanuense inferior”, cuyos individuos vivían obsesionados por la consecución del apunte
ajeno, como fuente primordial de subsistencia. […] Pero el gozo frente a aquella nomenclatura de “apuntodoctus” y “apuntosaurios”, y la risa cuando hacíamos una tira nueva o nos
la mandábamos de pupitre a pupitre, eso no lo puede compartir Encarna, por mucho que
nos queramos, ni nadie en el mundo más que Mariana» (p. 232).
41 «Me arregló un cuarto de baño. Mis hijos lo llaman El Escorial. Al cuarto de baño,
quiero decir» (p. 81).
42 «Y se ríe. Que es lo que yo quería, verla desendemoniarse. “Pero no era ‘desendemoniar’ lo que decía Amelia” – puntualiza –, era ‘desbrujar’, una palabra todavía más rara, y la
sigue usando, me la había dicho al despedirse, que me desbruje» (pp. 161-163).
34
TESSITURE INTERTESTUALI
161
fra queste, perché funge da leitmotiv dell’intera opera e assurge a una
sorta di filosofia di vita (una ‘filosofia de la sorpresa’43), è una frase che
Sofía aveva appuntato in gioventù in uno dei suoi cuadernos de todo:
«La sorpresa es una liebre, y el que sale de caza nunca la verá dormir
en el erial». Questa massima che, come ci avverte la traduttrice italiana
in una nota a piè di pagina, si riferisce al proverbio Donde menos se
piensa salta la liebre44, appare nelle prime pagine di Nubosidad variable
come una sorta di formula di riconoscimento, elemento portante di
quel ‘codice segreto’ che è il linguaggio intimo e allusivo tra due esseri
umani:
Seguían quedando en el cielo unos leves resplandores de luz primaveral. «La
sorpresa es una liebre, y el que sale de caza nunca la verá dormir en el erial». Esto
lo escribí en uno de mis diarios de juventud. Lo que no sabía es que no era yo sola
quien recordaba la frase y que al poco rato alguien me iba a saludar citándola textualmente. Quién podía imaginarse que después de los años mil, en ese lugar rebosante de famosos iba a encontrarme contigo, lo que son las cosas, con Mariana
León en persona (p. 19).
La rinascita di un codice linguistico dimenticato suggella il rinsaldarsi di un vincolo affettivo alla luce del recupero di quanto di identitario e di sovversivo questa frase racchiude: la possibilità che la vita,
contro ogni tentativo di stigmatizzare ruoli e progetti, si presenti imprevedibile e, contro il conformismo borghese di cui risultano vittime
le due protagoniste adulte, riservi possibilità nuove e inattese. A partire
da questa formula rinnovata nel dialogo delle due donne al momento
del loro inatteso ritrovamento, i pensieri di Sofía e Mariana torneranno
sui contenuti di una metafora che si andrà chiarendo per successive approssimazioni, senza mai esaurirne del tutto la dimensione concettuale;
in modo che neanche il linguaggio contraddica il senso dell’analogia
proposta, imbrigliando in concetti definitivi una nuova, improvvisa e
fiduciosa visione del mondo, come ben si deduce da alcune successive
riutilizzazioni del detto popolare: «Estaba viviendo un amor de epifanía, de los que surgen como liebre en el erial, te aportan una esperanza provisional de resurrección y consiguen dar un mentís a los espejos
más despiadados» (p. 92); «La sorpresa es una liebre, desafía la luz de
lo impreciso» (p. 328).
43 I. Torre Fica, Discurso femenino del autodescubrimiento en «Nubosidad variable», in
Espéculo. Revista de estudios literarios.
44 C. Martín Gaite, Nuvolosità variabile, trad. it. a c. di Michela Finassi Parolo, Firenze,
Giunti, 2002, p. 19.
162
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
Ecco allora che di fronte al desiderio di Mariana di un luogo più
adatto all’incontro inatteso e salvifico per entrambe, Sofía circostanzia
meglio il senso di un enunciato carico di apertura, fiducia e ottimismo:
Me da rabia que al cabo de los años nos hubiéramos tenido que volver a encontrar en un sitio tan poco apropiado, y te lo dije. Pero tú no estabas de acuerdo.
Me miraste, con un dedo en alto: «Te pillé Mariana, aténte a lo que me has dicho
antes: La sorpesa es una liebre. Los que salen de caza nunca la verán dormir en el
erial; ¿no has dicho eso? No sería una mera cita culta». Y luego me preguntaste
con tono divertido: «¿O es que tú habías salido de caza?». Me quedé desconcertada, ya tenías tú, como siempre, las riendas del juego en tus manos, las claves del
acertijo. Te miré y estabas sonriendo. ¿Qué querías decir?; no, yo no había salido
de caza […]. «Entonces, si no has salido de caza, no se busca, se encuentra. Y nos
hemos encontrado con este sitio. Se desvanecerá si lo rechazamos. Es el adecuado
porque es éste, Mariana, el sitio donde la liebre duerme en el erial, o sea donde está agazapada, esperándonos, la sorpresa» (p. 31).
Poche pagine oltre l’immagine della lepre bianca ricompare iconograficamente in un collage di Sofía, dal titolo «Gente en un cóctel»:
«Simboliza la sorpresa» spiega Sofía alla figlia Amelia che, fatta irruzione nella stanza appena tornata da un viaggio, trova la madre alle prese
con colori, forbici e colla45. La relazione madre / figlia testimoniata da
un secondo e diverso gergo interpersonale («las cosas se pudren metidas en un cajón, tú lo dices siempre»46) insiste sull’ermeneutica dell’immagine. «Quale sorpresa», domanda Amelia incuriosita». «Non so, il
fatto che tu sia arrivata ora, per esempio», spiega Sofía che poi aggiunge «La sorpresa, in generale». Ma in realtà la somiglianza che Amelia
riscontra tra la liebre e il coniglio bianco di Alice nel Pese delle Meraviglie aggiunge ulteriori informazioni sull’ambito semantico della metafora, almeno per l’allusione a un mondo fantastico debitore di uno
sguardo infantile, fecondo e libero da costrizioni e sovrastrutture ideologiche. Madre e figlia, a questo punto, possono dare il via a un dialogo ludico e leggero:
Pero también puede ser un homenaje a Lewis Carroll. No se me había ocurrido. Si quieres, le ponemos chaleco. Mira, se puede hacer con esta cartulina de rayas verdes y rojas. ¿Qué tal?, ¿se lo ponemos?
Amelia se echó a reír y me abrazó por el cuello (p. 36).
La stessa Mariana aveva fatto riferimento alla necessità di rivivere
una dimensione infantile e immaginaria per accedere ai sensi riposti nel
45
46
Martín Gaite, Nubosidad variable, pp. 35-36.
Il corsivo è mio.
TESSITURE INTERTESTUALI
163
richiamo di Sofía ad attenersi alla lettera del suo motto: «Y ahí es donde ya me di cuenta de que si quería seguir tu arrebato verbal necesitaba recuperar cierta fe infantil que tú no has perdido y yo sí» (p. 31). A
quella dimensione infantile legherà, in una successiva riflessione, la metafora della lepre «me refugiaba en el recuerdo de nuestras primeras
lecturas clandestinas, cuando a todos los jardines de cuento me introducías tú de la mano, y la sorpresa era una liebre blanca» (p. 216).
Il collage verrà a costituire la copertina del quaderno destinato a
Mariana e nel quale Sofía raccoglierà i propri ricordi, in attesa di incontrarla, costituendo così la strada maestra da seguire nella scrittura
verso l’altra, per riannodare i fili interrotti di un legame vivificatore:
[Mi cuaderno] es de argollas, tamaño folio, rayado, con las tapas negras. Bastante caro, tiene muy buen papel. Lo he comprado en Muñagorri antes de venir
aquí […]. En la primera página he pegado el collage de la liebre blanca, aunque
está por rematar (p. 77).
Nubosidad variable, che risulta riprodurre, almeno per la parte che
riguarda Sofía, proprio quel quaderno dalla copertina nera illustrato
con l’immagine della lepre acquattata nel campo e in attesa di saltare
fuori quando meno ce lo si aspetta, viene a costituire la memoria di un
tempo trascorso, ma non ‘perduto’, se sarà possibile per le due protagoniste riscattare la propria infanzia, e quel tanto di capacità ludica e
creativa che essa porta con sé, per salvarsi dalle pastoie di una vita anodina. Anche su questo tema, sarà Mariana a tradurre concettualmente
un pensiero cui Sofía allude invece solo per via metaforica:
A partir de los treinta años, a la gente se le van borrando de la cara los rastros
de la infancia; se produce una especie de anquilosamiento de la espontaneidad
que se refleja en la forma de estar, en los gestos. Sobre ese tema hay muchos estudios y además yo lo compruebo a diario por mi trabajo. Enseguida me doy cuenta
de cuándo se puede rescatar algo de la infancia de una persona y cuándo no hay
manera. Los pacientes del segundo grupo son los más duros de pelar (p. 29).
E se «la liebre en el erial», oltre ad aprire il diario di Sofía, costituisce anche uno dei suoi primi tentativi poetici, come Mariana dirà altrove, si può forse concludere che la possibilità di ricontattare l’infanzia
per riscattarla dall’oblio della maturità abbia come suo veicolo privilegiato l’esercizio della scrittura:
«Acaríciate con el aire, está lleno de ángeles», es una frase tuya Sofía, de la que
tal vez no te acuerdes. Pertenece, como la de la liebre en el erial, a tus primeros intentos de conquistar territorio poético (p. 131).
164
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
Il recupero di un idioletto famigliare e amicale si inserisce dunque
per Carmen Martín Gaite, come per la Ginzburg, nella volontà di dare
spazio letterario a una sostanza linguistica personale e collettiva, salvando così insieme alle «parole per dirlo», le immagini, le persone e la
storia che il «lessico famigliare» porta con sé.
3. Realtà e immaginario narrativo: l’intertestualità abiblia
Se in Nubosidad variable la pratica della scrittura viene a costituire
un elemento integrante della diegesi narrativa nel configurarsi come
una sorta di romanzo epistolare o di diario a due mani, la riflessione
metaletteraria e metanarrativa scandisce assiduamente il discorso delle
due protagoniste, soprattutto relativamente al senso e alla funzione
della scrittura come dimensione esistenziale. Già dall’epigrafe, tratta
dal prologo a La città e la casa di Natalia Ginzburg, la scrittura assurge
a pratica identitaria: strumento di recupero e ricostituzione del sé attraverso la ricomposizione di frammenti dispersi: «Devo dire che, scrivendo romanzi, ho sempre avuto la sensazione d’avere in mano degli
specchi rotti, e tuttavia sempre speravo di poter ricomporre finalmente
uno specchio intiero»; frase riformulata da Carmen Martín Gaite all’interno del romanzo: «No me salen más que cuentos incompletos, y los
voy uniendo como puedo, pero quedan cachitos para dar y tomar» (p.
305). Teresa Iris Giovacchini giunge ad affermare che la stessa struttura del romanzo gaitiano corrisponde a un’operazione di messa a punto
di frammenti, una sorta di collage scritturale derivato dalla giustapposizione delle lettere-diario di Sofía e Mariana47.
Alla scrittura come pratica identitaria, si aggiunge il motivo della scrittura come rifugio e come cura contro la malattia del vivere: «Acepté mi
streap-tease solitario y comprendí que no tengo más refugio que el de la
escritura» (p. 139), afferma Mariana; «…tenía que ponerme a escribir;
ése era el único refugio posible» (p. 161), conclude anche Sofía che poco
oltre aggiungerà: «Yo no puedo dejar de escribir, es lo único que me cura» (p. 301). Si scrive anche per chiarire dei nodi comuni («Los escribo
para ella, por gusto y porque le pueden ayudar a entender cosas que a las
dos nos atañen»), per sopravvivere nell’attesa dell’altro48, per abitare la
47
T.I. Giovacchini, «Espejo e interlocución en Nubosidad variable de Carmen Martín
Gaite», in Letras, 31-32, 1995, pp. 61-77.
48 «Vivir la espera. Era la retórica imperante de nuestra juventud. Poner los cimientos
TESSITURE INTERTESTUALI
165
solitudine cui l’uomo sembra costantemente esposto49.
In questo senso, Nubosidad variable rappresenta certamente un punto di svolta nella poetica dell’autrice. Se Retahílas incarna, a tutti gli effetti, la massima espressione della scelta dell’oralità come principale e
più autentica modalità narrativa, seppure non senza la contraddizione
di affidare tale indicazione proprio alla pagina scritta, in Nubosidad variable la scrittura viene a surclassare prepotentemente il parlato e si impone come viatico elettivo per l’espressione di sé, in un dialogo silenzioso e a distanza con l’altro e non più in una conversazione in presentia50. Mariana definisce bene questa diversa entità comunicativa:
Te decía que mi patria es la escritura. Algún día te invitaré a visitarla. Como
cuando de niñas nos leíamos nuestros respectivos diarios. Pero el gozo de inventarla y las fatigas para cultivarla son míos, sólo míos […]. Nos visitaremos, sí, algún día. Tú vendrás a mi país y yo al tuyo, y cada cual mirará el de la otra con ojos
de extranjero, aunque conciente de que lo que reflejen será recogido ávidamente
por los otros ojos al acecho (pp. 143-144).
Nell’impresa di definire un territorio interiore sempre in fieri, ma
decisivo nel disegnare, seppure provvisoriamente, i confini e le qualità
del soggetto enunciante molte sono le osservazioni sulle qualità di una
scrittura efficace.
Gli assi argomentativi riguardano le modalità della rappresentazione
e il suo statuto di verosimiglianza. Se scrivere viene a coincidere in
de un deseo y alimentarlo para que dure […]. Yo he deseado pocas cosas con la fuerza con
que deseo en este momento volver a ver a Mariana […] y poderle decir: “Mira, te he traído
de regalo este cuaderno”; así que me gozo en irlo llenando despacio, esmerándome en la letra. Eso es como estar ya con ella también ahora según lo escribo, un anticipo de felicidad
que conjura la muerte del tiempo» (p. 76).
49 «Con que al fin y al cabo, Sofía, compañerita que fuiste de mi alma, por más vuelta
que le demos, todo es soledad. Y dejar constancia de ello, quebrar las barreras que me impedían decirlo abiertamente, me permite avanzar con más holgura por un territorio que defino al elegirlo, a medida que lo palpo y lo exploro, lo cual supone explorarme a mí misma,
que buena falta me hace. Porque ese territorio se revela y toma cuerpo en la escritura.
Mejor dicho, es la escritura misma tal como va segregándose y echando corteza, plasmándose con los perfiles que la mirada descubre y trasiega en palabra; con ella engendro mi patria
indiscutible, aunque sujeta a mudanza. Mi patria escabrosa y recóndita, siempre esperando
por mí. Riachuelos por cuya corriente huyen los peces rojos del pretérito imperfecto, montañitas dentadas del gerundio, cuestas arriba flanqueadas por signos de admiración y puntos
suspensivos, angostos desfiladeros donde se hila la oración compuesta, árboles frondosos de
adjetivos o desnudos de ellos, praderas atisbadas en sueños y a las que sólo se llega por el
puente inestable del condicional» (p. 130).
50 Cfr. A.M. García, Silence in the Novels of Carmen Martín Gaite, New York, Peter
Lang, 2000.
166
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
qualche modo con una dimensione più consapevole del vivere, molte
delle sue regole vanno desunte dalla vita stessa:
Me pide perdón por sus continuas interrupciones y yo le digo que todo en esta
vida es interrupción, que no se afane tanto en separar las cosas una de otras, porque todas bullen al mismo tiempo, por mucho empeño que pongamos en evitarlo,
lo banal mezclado con lo grave, lo presente con lo pasado, lo necesario con lo azaroso […]. Por eso es tan difícil escribir una novela (p. 158).
Tuttavia, affinché l’organizzazione del récit non diventi caotica, è
opportuno adottare alcune accortezze. Definire il genere all’interno del
quale strutturare il racconto, ad esempio:
Te aviso, eso sí, que voy a cambiar de estilo, ya que me has dado carta blanca
para que elija libremente. El epistolar lo dejo en reserva, porque nunca se sabe si
hará falta volver a hechar mano de él para algún adorno (p. 150);
stabilire delle circostanze di luogo che accolgano, come una cornice
narrativa, la narrazione proposta: «Si se tambalea la historia es porque
no me pongo a ordenarla dentro del marco de su decoración»; organizzare l’intreccio scegliendo l’ordine e il numero degli eventi che comporranno la diegesi:
Luego te contaré ese cuento del traje rojo si viene al caso, aunque de repente
son tantas las historias que se me agolpan pidiendo turno para salir a flote que no
sé por dónde voy a empezar (p. 148).
Oppure optare per una narrazione ricca di digressioni: «Creo, con
poco margen de duda, que le ha tocado el turno a la historia de Guillermo, aunque salga en revoltijo con todas las que puede llevar adheridas» (p. 150).
La consuetudine ad accompagnare alla narrazione la riflessione sul
suo codice «ostentando la sua condizione di artificio»51 si è andata precisando con gli anni come una caratteristica saliente dell’opera gaitiana, secondo una formula che vede sulla scena testuale un personaggio,
che è al contempo un narratore, alle prese con le problematiche che
presiedono la creazione letteraria52.
51 La citazione è desunta da G. Sobejano, «Novela y metanovela en España», in Ínsula,
512-513, 989, pp. 4-6, p. 4, che nel definire cosa sia la metanarrazione scrive: «Una novela
que refiere a un mundo representado (fingido o imaginario en palabras) es una novela. Una
novela que no refiere sólo a un mundo representado, sino, en gran proporción o principalmente a sí misma, ostentando su condición de artificio, es una metanovela».
52 Sulla dimensione metanarrativa della scrittura gaitiana v. D. Villanueva, «La novela
irónica de Carmen Martín Gaite», in Camp de l’arpa, 23-24, 1975, pp. 35-36; L. Buchanan,
TESSITURE INTERTESTUALI
167
È in questa direzione che la letteratura di Carmen Martín Gaite diventa metaletteratura: attraverso le riflessioni delle voci narranti, l’autrice consegna al lettore, più o meno esplicitamente, la sua personale
teoria del romanzo53. E, se nella letteratura critica un posto di rilevo
viene occupato dall’analisi di El cuarto de atrás, in cui il gioco riflessivo
e allusivo ad altri testi viene a strutturare la medesima realtà
narrativa54, Nubosidad variable, storia di un romanzo a quattro mani, si
colloca certamente nel punto algido della riflessione gaitiana sulla scrittura, anche perché l’intertestualità vi investe un aspetto del tutto peculiare, quello della citazione abiblia. Si è scritto che, mediante l’intertestualità «traspaiono le linee di filiazione culturale al termine delle quali
[…] un testo assume in parte come suo componente la lingua di un al«La novela como vanto a la palabra», in Ínsula, 396-397, 1979, p. 13; K.M. Glenn, «Communication in the works of Carmen Martín Gaite», in Romance Notes, 19, 1979, pp. 277283; B. Matamoro, «Carmen Martín Gaite: el viaje al cuarto de atrás», in Cuadernos Hispanoamericanos, 351, 1979, pp. 581-605; J. Palley, «El interlocutor soñado de El cuarto de
atrás de Carmen Martín Gaite», in Ínsula, 404-405, 1980, p. 22; J. Brown Lipman, «A Fantastic Memoir: Tecnique and History in El cuarto de atrás, in Anales de la literatura española
contemporánea, 6, 981, pp. 13-20; From Fiction to Metaficcion: Essays in Honour of Carmen
Martín Gaite, ed. M. Servodidio e M. Welles, Lincoln, Nebraska Society of Spanish and
Spanish-American Studies, 1983; G. Navaja, «El diálogo y el yo en Retahílas de Carmen
Martín Gaite», in Hispanic Review, 53, 1985, pp. 25-39; J. Brown Lipman, Secrets from the
Back Room: the fiction of Carmen Martín Gaite, Mississipi, University, 1987; M.V. Calvi,
Dialogo e conversazione nella narrativa di Carmen Martín Gaite, Milano, Arcipelago, 1990;
Giovacchini, Espejo e interlocución en «Nubosidad variable» de Carmen Martín Gaite; N.
Cruz-Cámara, «Nubosidad variable: escritura, evasión y ruptura», in Hispanófila, 126, 1999,
pp. 15-24; B. Ciplijauskaité, Carmen Martín Gaite (1925-2000), Madrid, Orto, 2000; García,
Silence in the Novels of Carmen Martín Gaite, cit.; B. Staccioli, I labirinti de «El cuarto de
atrás» di Carmen Martín Gaite, in Raccontare nel Novecento spagnolo, ed. M.A. Roca Mussons, Firenze, Alinea, 2000; L. Rollón-Collazo, Figuraciones. Mujeres en Carmen Martín Gaite, revistas femeninas y ¡Hola!, Madrid, Vervuert/Iberoamericana, 2002. Per uno stato generale della questione v. F. Paolini, Il castello, il labirinto, lo specchio: la riflessione metaletteraria nei romanzi di Carmen Martín Gaite (1963-1992), Tesi di laurea inedita, Facoltà di Scienze Umanistiche, La Sapienza, Università di Roma, Anno Accademico 2004-2005.
53 Nel tentativo di restringere il campo della metafiction, denominazione utilizzata per
la prima volta dalla critica americana degli anni Settanta, e di adattarlo al proprio contesto
narrativo, la critica ispanica ha proposto diverse soluzioni. Sobejano, nel suo Novela y metanovela en España, recepisce i termini di novela «autoconsciente», «autoreflexiva», «autoreferencial», «autogenerativa» e propone anche «autotemática», «escritural», «escriptiva» ed
«ensimismada».
54 Oltre ai titoli già segnalati, vedi nello specifico: R. Spires, «Intertextuality in El cuarto
de atrás», in From Fiction to Metafiction, pp. 139-148; K.M. Glenn, «El cuarto de atrás: Literature as juego and the self-reflexive text», in From Fiction to Metafiction, pp. 149-159; M.
Trambaioli, «Ironia, parodia e pastiche nel Cuarto de atrás di Carmen Martín Gaite», in Rivista di Filologia e letterature ispaniche, II, 1999, pp. 183-206.
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RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
tro testo»55, nel caso dell’intertestualità abiblia, sottocategoria del più
vasto genere degli pseudobiblia o mirabiblia, il funzionamento, l’uso e
le finalità della menzione di un eventuale ipotesto precedente a quello
che lo cita rispondono evidentemente a necessità gnoseologiche diverse e indubbiamente di maggiore complessità ermeneutica.
Quando con pseudobiblia, infatti, si intendano nel loro complesso
quei libri a vario titolo non esistenti e dunque immaginari56, seguendo i
suggerimenti di Domenico Cammarota, al loro interno si possono distinguere sottocategorie specifiche: i libri che sono esistiti ma che a
tutt’oggi risultano smarriti; i libri che non sono mai esistiti, ma che potrebbero esistere (per ricostruzione apocrifa); i libri che esistono, ma
risultano irreperibili; i libri che esisteranno, ma che per ora non esistono compiutamente (lavori in corso o in fase di progettazione) e, infine,
quei libri scritti da personaggi dei romanzi che lo scrittore inglese Max
Beerbohm definisce Biblia Abiblia: «ignored in the catalogue of any library, not one of them lurking in any uttermost cavern under the reading-room of the British Museum, none of them ever printed even for
private circulation»57.
In Nubosidad variable il ricorso agli abiblia fa parte di una pratica diffusa e investe problematiche relative tanto alla poetica della scrittura
quanto allo statuto dei personaggi se, come si è già fatto osservare, non
è dato poco rilevante ai fini di questo discorso che sia Mariana che Sofía
ricorrano alla scrittura come modalità comunicativa e si rivelino nelle
ultime battute del romanzo le coautrici di Nubosidad variable. Nel caso
di Sofía, poi, l’inclinazione alla scrittura letteraria risulta essere non solo
55 C. Segre, Testo letterario, interpretazione, storia, in Letteratura italiana, ed. A. Asor
Rosa, vol. IV, L’interpretazione, Torino, Einaudi, 1985, pp. 21-140, p. 83.
56 La bibliografia relativa agli pseudobiblia e alle «biblioteche immaginarie» è vastissima. Oggi oltre agli studi oramai classici (G. Brunet, Essai sur les bibliothèques imaginaires,
Paris, Imprimerie de Ch. Lahure et Cie., 1851; G. Fumagalli, Delle Biblioteche Immaginarie
e dei libri che non esistono, Milano, Tip. Lombardi, 1892; J. Webster Spargo, Imaginary
books and libraries, an essay in lighter vein, Chicago, Caxton Club, 1952; W. Hart Blumenthal, Imaginary Books and Phantom Libraries, Philadelphia, George S. MacManus Company, 1966), si può contare su due strumenti di indubbia importanza: A. Serrai, Cataloghi
fantastici, in Storia della bibliografia, Roma, Bulzoni, 1993, vol. IV, pp. 272-280 e P. Albani e
P. della Bella, Mirabilia. Catalogo ragionato di libri introvabili, con prefazione di M. Scognamiglio, Bologna, Zanichelli, 2003. Per la presenza degli pseudobiblia nella letteratura spagnola vedi il recente intervento di S. de Merich, «Libri perduti, falsi e inesistenti: gli pseudobiblia da Don Quijote de La Mancha a La Sombra del Viento», in Critica del testo, IX, 1-2,
2006, pp. 429-453, con bibliografia annessa.
57 M. Beerbohm, Books within Books, in Aa.Vv., And Even Now (Essays), London, William Heinemann, 1920, pp. 101-118.
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un dono precoce, ma anche uno strumento di trasfigurazione esperienziale. «Por favor Sofía, sigue por donde sea, porque a todo lo que tocas
le sacas jugo, lo más sórdido y rutinario lo conviertes en literatura» (p.
33), la esorta Mariana, ricordando all’amica i primi grati tentativi «di
conquistare territorio poetico» e una vocazione a lungo sottaciuta. La
riscrittura in chiave narrativa del proprio percorso autobiografico accompagna, almeno nelle intenzioni, il suo racconto a Mariana. Raccontare di sé perseguendo un’intenzione letteraria non disgiunta da riflessioni metanarrative significa, per Sofía, fare ordine e interpretare gli
eventi che hanno segnato la propria vicenda biografica per dotarli di un
senso compiuto. La narrazione viene a configurarsi come uno strumento essenziale per riorganizzare il proprio vissuto seguendo un disegno
coerente, per ricollocare al giusto posto, secondo un’immagine ricorrente nella letteratura gaitiana, le tessere di un collage esistenziale complesso e contraddittorio. Accingersi a trasformare la propria vita in materia narrativa obbliga chi narra a strutturare il personale profilo esistenziale secondo un disegno euristico perché, se non è possibile cancellare le esperienze dolorose, è possibile almeno comprenderle. In questo
fecondo esercizio di riscrittura di sé, si aprono alla mente di chi si dispone a narrare molteplici alternative: sta al narratore scegliere il punto
di vista più propizio e la modalità più adeguata. Il progressivo tentativo
di Sofía di fare luce su un evento chiave della propria adolescenza, un
reciproco e fatale tradimento che sancirà la separazione delle due amiche e con essa il loro definitivo «congedarsi dall’infanzia» (p. 249), rende bene la complessità della riflessione autobiografica:
Tengo que hacer un ejercicio de redacción sobre aquel viaje mío a Brighton, se
podría titular «Reencuentro con Guillermo en la estación Victoria», bueno, ya no
sé la de temas que tengo apuntados para seguir con los deberes, se me salen por
las orejas (p. 74).
La historia de Guillermo no puede quedar reflejada en versión única y de cuerpo entero, como una novela rosa perfectamente intelegible e inocua. Se merece
otro tratamiento que iré inventando, porque más que contarla lo que quiero es investigarla, proyectar la perplejidad que me producen sus fisuras, sus quiebros y
sus trompe l’œil. Usaré la técnica del collage y un cierto vaivén en la cronología
(pp. 152-153).
«Reencuentro con Guillermo en la estación Victoria», la verdad es que ése debía ser el capítulo primero, empezar por ahí la novela. Yo cargada de bultos, preguntando por los horarios de tren para Brighton, y aquel tropezón con un hombre
alto y desconocido, en cuyos brazos casi caí» (p. 173).
Nel tentativo di ricomporre «los cachitos» di una storia molto articolata (p. 380) riflette Sofía più avanti, commentando e avviando, in
170
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
chiusura, all’interpretazione principale dell’intera operazione narrativa
come celebrazione di una diegesi del sé affidata alla scrittura e alle sue
regole, l’unico discrimine insanabile tra narrarsi e vivere, l’unico miracolo che neanche la scrittura può compiere nella trasformazione della
propria biografia in letteratura sta nell’esito finale, nella possibilità di
sostituire il lieto fine alle molteplici soluzioni se non infelici, per lo meno complesse, articolate e sofferte: «El único final un poco feliz de
estos cuentos incompletos será el de podérselos entregar algún día a alguien que sonría entre lágrimas al recibirlos» (p. 305).
All’esercizio di scrittura narrativa si alterna il cenno ad alcune prove
poetiche che Sofía offre, con tanto di titolo, contesto esistenziale e
quella che potrebbe essere definita la sua personale fenomenologia dell’atto creativo:
No daba por cancelada ninguna etapa, pero sí decidí crecer a mi manera. No
fui a ninguna fiesta, quería recibir yo sola el año nuevo. Y aquella noche me senté
a escribir. Era la primera vez que no lo hacía por darle gusto a Mariana o al profesor de Literatura, sino por necesidad imperiosa, porque no tenía otro camino. Seguirlo era cuestión de vida o muerte. Y supe también que era un camino escarpado, pero que me gustaba ser capaz de subirlo, y que lo iba a subir yo sola. […] En
los meses que siguieron, dejé de inventar historias sentimentales de final más o
menos feliz para anotar mis sensaciones de una forma más o menos inmediata y
descarnada. Me salían aforismos y poemas dedicados a mi misma. Con tinta roja
los de la hora de cierta euforia. Con tinta negra aquellos en que gritaba mi impotencia para expresar lo que me oprimía. A los de tinta roja volvía en mis horas bajas y me servían de cierto consuelo. […] Cuando me encerraba con mis libros en
casa o en un rincón de la biblioteca del Ateneo, la necesidad de explorar aquel vacío en que me había sumido la ausencia de Mariana arrasaba mis propósitos de estudio y desembocaba en balbuceos poéticos a través de los cuales me parecía estar
tocando la entraña del mundo. Interrogaciones urgentes lanzadas al vacío, intercaladas como descargas eléctricas en las páginas de todos mis cuadernos de clase,
entre fechas de batallas, de inventos, de revoluciones culturales, de muertes de reyes y nacimientos de santos y poetas, de conmemoraciones, de pestes y naufragios.
A aquel mar revuelto echaba mis poemas, como flores de una ofrenda anacrónica.
Y a veces los fechaba también.
Hay uno del 27 de febrero titulado «Deshielo». Lo escribí por la mañana.
Aquella tarde conocí a Guillermo (pp. 209-210)58.
A volte si trascrive anche qualche verso:
58 Su Deshielo, Sofia torna poco oltre: «Me cundió poco el estudio aquel domingo. Y
tampoco escribí nada de fuste, excepto un poema corto titulado “Deshielo”, que no está
mal. Habla de las ansias con que un alma entumecida otea la llegada de la primavera, como
el avance de un ejercito enarbolando teas ardientes. Me salió de un tirón (p. 239).
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171
También he escrito en ese cuadernito auxiliar un poema, «la casa del mirador»,
inspirado en nuestra interpretación infantil del dibujo cambiante de las nubes. La
casa que Mariana niña veía reflejada en ellas va mudando poco a poco de perfil
dentro del poema hasta convertirse en esta que de adulta me describe, una casa incorporada ya para siempre a la mía, a pesar de no haber entrado en ella, igual que
mi discurso se engarza con el suyo, aunque cada cual lleve su camino, y ni ella ni
yo sepamos siquiera si van a encontrarse, ni cuándo.
«Eran nuestros sueños divergentes / como ahora también nuestras vidas…».
Sigue Sofía, aunque sea en endecasílabos (p. 196).
Sofía non è l’unico personaggio di Nubosidad variable ad essersi avventurato in territorio letterario. Anche la figlia Encarna consegna alla
scrittura le sue personali inquietudini. I Racconti dell’ombra vengono a
costituire il terreno comune dove madre e figlia si riconoscono e si ritrovano, sia sul fronte esistenziale sia su quello creativo:
No encontré las fotos del verano en Suances, como era de esperar, pero en
cambio apareció un cuaderno rayado con tapas de hule que me llamó la atención,
«Cuentos sombríos», leí en la primera página. Tenía escritas muy pocas, del puño
y letra de Encarna; ella siempre empieza los cuadernos y nunca los termina. […]
Cogí, pues, el cuaderno de tapas de hule, apagué la luz del trastero, crucé el pasillo con pasos furtivos y me fui a tumbar vestida encima de la cama turca de Amelia, no sin haber cerrado la puerta cuidadosamente, y dispuesta a devorarme aquel
cuento sombrío. Porque resultó ser sólo uno, Y, aunque no tenía más de quince
páginas, con ser uno sobraba.
No digo por su calidad literaria, realmente asombrosa, sino por el estremecimiento que me produjo comparar mis poemas de esa edad, traspasados por la
añoranza de un amor ideal, con el tono escarnado y siniestro de «Exilio sin retorno», el único cuento sombrío y posiblemente incompleto que aperece escrito en
letra rápida y pocas tachaduras en el cuaderno de tapa de hule.
Del racconto Exilio sin retorno Sofía offre una sinopsi dettagliata.
La storia che vi si narra traspone a livello finzionale il vissuto di una relazione parentale critica. La lettura di Sofía si configura, perciò, come
un’ulteriore presa di coscienza di uno stato di crisi che coinvolge questa volta l’intero nucleo famigliare. L’adolescente Eloy, alterego di Encarna, Icaro dalle ali spezzate, volta le spalle all’ipocrisia:
Eloy, un muchacho de catorce años, viaja con sus padres, a través de un paisaje
yermo y deshabitado, en un coche lujoso que conduce su padre, pero que va adornado con coronas de crisantemos, como si se tratara de una carroza fúnebre. Desde el asiento trasero, donde va tumbado y haciéndose el dormido, el adolescente,
a quien se describe como Ícaro con las alas rotas, imagina un accidente mortal del
cual él saliera ileso. La descripción detallada del ficticio accidente, acompañada
del testimonio que, al levantamiento de los cadáveres, el juez requiere el único superviviente, se alterna con el diálogo real que el padre y la madre mantienen en el
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RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
asiento delantero. A la quinta página, era tal la opresión que sentía en el pecho
que me quité las gafas y tuve que descansar un rato. Al hilo de esa conversación
matrimonial, tan inútil, embotada y cruel como todas la que yo mantengo con
Eduardo, Encarna – desdoblada en Ícaro sin alas – reflexiona sobre las tendencias
antagónicas que se albergan en su cerebro: por una parte el deseo de examinarlo y
entenderlo todo, y por otra la adhesión a creencias caducas cuyo abandono supondría el abandono del paraíso. […] Aun a sabiendas de que liberarse de los lazos famigliares significará emprender un exilio sin retorno, decide renunciar a la
mentira (p. 304).
Se la componente argomentale degli abiblia si configura spesso come un secondo intreccio narrativo che traspone a livello metaforico i
contenuti del romanzo, la discussione emozionata intorno ai principi
del fare letterario costituisce ancora una preziosa fonte di informazioni
sulla concezione poetica di Carmen Martín Gaite all’epoca di Nubosidad variable:
Y de pronto, nos ponemos a hablar de problemas de elaboración literaria, de
coincidencias, metáforas, principios y finales […]. Parece como si no hubiéramos
hablado de otra cosa en la vida. Y aprovechando una pausa de las pocas que surgen se lo comento, y ella salta muy seria que, claro, ¿de qué me extraño?, ¿es que
hemos hablado de otra cosa en la vida?, que me acuerde sin ir más lejos, para no
complicar el argumento con adornos nuevos, del verano en Suances («citado más
arriba», añade, señalando risueña el cuaderno negro), a ver si aquello no eran discusiones rigurosas sobre literatura.
– Yo estoy muy contenta – me dice pronto –, porque me van a publicar un libro de cuentos.
– ¿De verdad? Pero bueno, ¿y cómo no me lo habías dicho antes, por favor?
[…]
– ¡Tendrás cara de exigirme un antes y un después, mamá, con todos estos cachitos por el aire y por el suelo! Retales más bien, ¿no te parece?, hilos, botones,
imperdibles y carretes vacíos, «trampantojos de costura», como diría la yaya, porque todo es coser […].
Después de ese «exilio sin retorno», o que parecía no tenerlo, hemos vuelto a
encontranos aquí mi niña y yo. Seguro que los cuentos de ahora no son tan tristes.
[…] Le pregunto por el título de su libro y me dice que tenía varios […] el que le
ha parecido mejor es Persistencia de la memoria, y que han pensado que podría llevar en la portada una reproducción del cuadro de Dalí (p. 383).
Chi conosce la narrativa e la riflessione saggistica di Carmen Martín
Gaite ritrova in questo passaggio una delle immagini più efficaci e più
amate dalla scrittrice salmantina per riferirsi alla costruzione di un intreccio narrativo legato a una temporalità interiore, piuttosto che a un
ordinamento strettamente cronologico. La metafora del cucito, insieme
a quella del collage e dello specchio, rimanda a un’operazione di rias-
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semblaggio di un insieme eterogeneo di eventi secondo un disegno
soggettivo percepito come più veritiero di quello offerto dal semplice
susseguirsi di un ‘prima’ e un ‘poi’.
La riflessione sulla dispositio ha accompagnato la narrativa di Carmen Martín Gaite sin dalle prime prove. Tralasciando Entre visillos,
romanzo degli esordi e unico contributo della scrittrice alla poetica
neorealista, già in Ritmo lento il problema del come ‘narrarsi’ all’altro
determinava una fitta serie di considerazioni del suo protagonista, David Fuentes. Lo scavo psicologico di questo personaggio procedeva
con salti analettici e prolettici legati al libero flusso dei pensieri, congeniale a un’idea di organizzazione del racconto, ove gli eventi scorressero liberamente, seguendo circostanze emotive piuttosto che esterne:
Y con esto ponemos rumbo hacia el quid de la cuestión, aunque persiguiendo
ese quid perdamos muchas veces el hilo de la historia, que es, en el fondo, lo que
menos interesa.
Ma è con Retahílas che, a partire dallo stesso titolo, il «filo» dei ricordi viene a strutturare il meccanismo che regola l’andamento narrativo. Attraverso un particolare uso dell’anadiplosi i discorsi di Eulalia e
del nipote Germán – ognuno lungo lo spazio di un capitolo – vengono
a costituire un tessuto linguistico comune.
La metafora del filo e dell’intrecciarsi riappare in El cuarto de atrás
come principio ordinatore di un materiale narrativo estremamente vario. La necessità di tenere insieme memorie personali, digressioni storiche e fughe in dimensioni oniriche fa riflettere l’autrice sull’importanza
di mantenere insieme alla varietà dell’azione anche la sua unità, pena la
dispersione argomentativa. Tuttavia, questa volta, «perder el hilo» diventa possibilità non solo temuta ma anche feconda per un romanzo
concepito come coacervo di generi diversi: «Quizá todo consista en
perder el hilo y que reaparezca cuando le dé la gana, yo siempre he tenido demasiado miedo a perder el hilo»59.
In El cuento de nunca acabar l’associazione tra le due attività, narrare
e cucire, viene chiaramente esplicitata: «Ponerse a contar es como ponerse a coser. “Para las labores – decía mi madre – hay que tener paciencia, si te sudan las manos, te las lavas; si se arruga el pañito, lo estiras. Y siempre con paciencia”. Coser es ir una puntada detrás de otra,
sean vainicas o recuerdos»60. È un’indicazione di metodo quella che si
59
60
Martín Gaite, El cuarto de atrás, p. 32.
Martín Gaite, El cuento de nunca acabar, p. 30.
174
RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
intende dare ed è questa che trova eco nelle parole di Sofía in Nubosidad. «Todo consiste en seguir escribiendo despacito, puntada a puntada» (p. 121).
Se è vero che Nubosidad variable è «abilmente intessuto di autobiografismo»61 come molta parte della narrativa gaitiana, emerge chiaramente, da quanto detto, come la scrittrice salmantina presti a Sofía e
Mariana la sua voce e le sue personali preoccupazioni artistiche, in un
disegno testuale ricco di riflessioni sulla narrativa. Già José Teruel nel
prologo di Tirando del hilo, la raccolta di articoli della scrittrice pubblicata postuma nel 2006, faceva notare come Mariana ripeta alla lettera
alcune riflessioni che Carmen Martín Gaite aveva già consegnato alla
letteratura critica:
Pero sobre todo, como dechado de relación anticipadora, quisiera destacar los
coincidentes comentarios de la autora y uno de sus personajes de ficción, Mariana
León, sobre un mismo libro: el Diario de Katherine Mansfield. En el artículo de
Diario 16, fechado el 30 de julio de 1979 y titulado Las coartadas de la inercia, leemos: «Sus palabras nos transmiten, desnudas de retórica, como los quejidos de un
enfermo, la añoranza de lo infinito y el dolor de debatirse en vano contra las ligaduras de un cuerpo que se entiende como cárcel». Y en el capítulo décimo de la
novela publicada en 1992 se vuelven a cruzar casi las mismas palabras: «Las víctimas del bacilo de Koch […] se morían soñando otras laderas y un amor más perenne, debatiéndose en vano contra esa añoranza de infinito y las ligaduras de un
cuerpo entendido como cárcel»62.
A partire dalla constatazione di questa coincidenza tra scrittura narrativa e saggistica, la domanda che, in seconda istanza, si impone all’indagine critica è se anche le citazioni abiblia possano concorrere, fuori
del panaroma finzionale, a completare, almeno in sede progettuale,
una visione a tutto tondo della sua produzione letteraria gaitiana. Costituiscono i Cuentos sombríos e Persistencia de la memoria un progetto
da assegnare alle prime incursioni letterarie della giovane Carmen, recuperate in sede narrativa dalla scrittrice più matura? Sono Deshielo e
La casa del mirador composizioni giovanili salvate dall’oblio grazie all’artifizio diegetico dell’intertestualità abiblia?
In un suo importante articolo del 1969, Carmen Martín Gaite descrive bene i primi tentativi poetici suoi e di un’intera generazione,
61 Cfr. E. Pittarello, «Carmen Martín Gaite, Nubosidad variable e altre incertezze», in
Rassegna Iberistica, 46, 1993, pp. 87-92, p. 92.
62 J. Teruel, Carmen Martín Gaite, articulista, in Martín Gaite, Tirando del hilo, pp. 1936, p. 25.
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quella degli anni Cinquanta: «Todos escribíamos versos entonces: eran
versos de cuchicheo íntimo para ser leídos en casa. Hablaban preferentemente de congojas del ánimo, de preocupaciones metafísicas.
[…]»63. Nel 1976, presso la casa editrice Hiperión, Jesús Munárriz
pubblica la prima raccolta poetica gaitiana dal titolo A rachas, in cui
raccoglie le poesie giovanili della scrittrice, alcune già pubblicate sulle
riviste «Trabajos y días» e «Revista española», altre inedite. Munárriz
spiega bene il difficile compito di mettere insieme un materiale per lo
più disperso:
Carmen Martín Gaite no pensó nunca en publicar sus poemas. Ella escribía, de
vez en cuando, unos versos, motivada generalmente por algo o alguien, y si no
iban a parar directamente al cajón o a la papelera, se los enviaba a sus destinatarios, cuando los había, sin molestarse siquiera en hacer copias.[…] No creía que
llegaran a una docena en total los que podía recolectar hurgando por aquí y por
allá entre sus papeles64.
Dopo A rachas vedranno la luce altre due raccolte poetiche, Después
de todo. Poesía a rachas e Poemas, raccolta postuma ove compaiono testi inediti e corretti65. La pubblicazione dei Cuadernos de todo rivela,
poi, come la scrittura poetica di Carmen Martín Gaite continuò ad accompagnare la scrittrice negli anni, come un’occupazione intima e costante66. Che Carmen Martín Gaite amasse tornare sui suoi scritti in
successive meditazioni ed includerli come argomento di discussione all’interno delle sue opere è testimoniato abbondantemente nel suo romanzo-saggio El cuarto de atrás, ove la memoria storica e personale
dell’autrice si arricchisce di lunghe digressioni critiche sulla propria
produzione letteraria.
Per ora la questione rimane aperta almeno sino a che, dall’archivio
della scrittrice ancora tutto da esplorare, questi tentativi narrativi e poetici affidati da lei ai diari di Mariana e Sofía non rivelino una loro concreta
natura di inediti seppure frammentari. Se questo dovesse
avvenire, si vedrebbe ulteriormente confermata l’idea che l’opera di Car63 C. Martín Gaite, Un aviso: ha muerto Ignacio Aldecoa (1969), in Id., La búsqueda de
interlocutor y otras búsquedas, Barcelona, Destino, 1982, pp. 35-51, p. 37.
64 J. Munárriz, Nota editorial, in C. Martín Gaite, A rachas, Madrid, Hiperión, 1976.
65 C. Martín Gaite, Después de todo, poesía a rachas, Madrid, Hiperión, 1993; C. Martín
Gaite, Poemas, Barcelona, Plaza & Janés. Sulla poesia di Carmen Martín Gaite v. D. Rago,
«A rachas» di Carmen Martín Gaite. Un’analisi testuale, Tesi di laurea triennale, Facoltà di
scienze umanistiche, Anno Accademico, 2004-2005.
66 Le pagine dei suoi diari pubblicate postume nella raccolta Cuadernos de todo, registrano anche alcuni componimenti poetici, cfr. pp. 486, 587, 725, 772.
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RIVISTA DI FILOLOGIA E LETTERATURE ISPANICHE
men Martín Gaite, ben oltre le classificazioni di genere, risulti «un tejido
coherente y progresivo, con piezas magistralmente hiladas y en el que
ningún hilo de la trama puede verse como indiferente o superfluo»67.
Elisabetta Sarmati
La Sapienza, Università di Roma
67
J. Teruel, Carmen Martín Gaite, articulista, in Martín Gaite, Tirando del hilo, p. 21.
Finito di stampare nel mese di febbraio 2010
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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