L’OPINIONE
GIOVANNA RAZZANO
Il diritto di morire come diritto umano?
Brevi riflessioni sul potere di individuazione del
best interest,
sull’aiuto alla dignità di chi ha deciso di uccidersi
e sulle discriminazioni nell’ottenere la morte1
Lo scritto muove dalla considerazione di alcuni casi – quelli di Alfie Evans, di Charlie Gard, di Isaiah
Haastrup e di Fabiano Antoniani (c.d. DJ Fabo) - tutti concernenti problematiche di fine vita, per riflettere sulle relative decisioni giurisprudenziali alla luce dei principi costituzionali. Viene rimarcata la gravità di decisioni che, nell’estromettere radicalmente i genitori dalle scelte terapeutiche concernenti la vita
dei propri figli e nell’affermare in capo alle strutture sanitarie e ai giudici il potere di individuare il best
interest dei figli, esprimono una sorta di paternalismo giudiziale e una forma di statalismo etico. Si sottolinea poi la pesante contraddittorietà del sistema giuridico europeo imperniato attorno alla CEDU, ove
interpretato in modo da permettere, da un lato, l’interruzione di cure vitali in casi clinici terapeuticamente controversi, persino contro il parere dei genitori, e, dall’altro, in nome dell’autodeterminazione,
un presunto diritto di morire e di fornire una forma di aiuto a tal fine. Quanto a quest’ultimo, si discute
se possa davvero qualificarsi come «un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società», ex art 4 Cost. Un particolare approfondimento viene dedicato al secondo
comma dell’art. 32 Cost., alle relative interpretazioni e alla loro conformità a Costituzione. Infine si
analizza la giurisprudenza della Corte di Strasburgo concernente l’art. 2 CEDU, con particolare riguardo al tema delle presunte discriminazioni nell’ottenere la morte.
The work moves from the consideration of some cases - those of Alfie Evans, Charlie Gard, Isaiah
Haastrup and Fabiano Antoniani (c.d. DJ Fabo) - all concerning end-of-life issues, to reflect on the related case law in the light of constitutional principles. It is stressed the seriousness of decisions that have
radically excluded parents from choices regarding the lives of their children and have affirmed the exclusive power of health structures and judges to identify the best interest of the children, expressing a
kind of judicial paternalism and a form of ethical statalism. It is also critically looked the ECHR legal
system, when interpreted in such a way as to allow, on the one hand, the interruption of vital care in
controversial clinical cases, against the parents' opinion, and on the other, in the name of selfdetermination, as to allow an alleged right to die and to use someone else’s collaboration aimed at the
production of death. As for the latter, a problem is that to qualify this kind of “help” as an activity or a
function that contributes to the material or spiritual progress of society", ex Article 4 Const. Furthermore, the work focuses on the second paragraph of art. 32 of the Constitution and related interpretations. Finally the Author analyzes the case law of the Court of Strasbourg concerning the art. 2 ECHR,
with particular reference to the alleged discrimination in obtaining death.
SOMMARIO: 1. Diritti davvero umani? – 2. L’art. 32, secondo co., Cost. e le norme penali. – 3. Intorno
all’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): l’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa e la Corte di Strasburgo. – 4. Sulle presunte discriminazioni nell’ottenere la morte.
1. Diritti davvero umani?
Il presente contributo ripropone, con lievi modifiche, l’articolo comparso sul numero speciale di ottobre 2018 della rivista L- Jus del Centro Studi Rosario Livatino, che si ringrazia.
1
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
In questi ultimi mesi, di fronte ai casi di Fabiano Antoniani (noto come “DJ
Fabo”) e del piccolo Alfie Evans, come già dinanzi al caso di Charlie Gard e
di Isaiah Haastrup, l’opinione pubblica è apparsa profondamente coinvolta.
Sono infatti venute in rilievo le questioni fondamentali dell’uomo, come la
vita e il suo senso, la malattia, il dolore e la morte, ma anche l’amore e la sua
forza. I giovani genitori dei piccoli, per esempio, hanno coinvolto tutto il
mondo, fino ad ottenere dai grandi della terra un intervento in favore dei figli.
Al contempo è difficile riuscire ad inquadrare sul piano razionale e non solo
emotivo i casi menzionati e soprattutto a farlo in una prospettiva giuridica e
umana allo stesso tempo.
Ma il diritto, rispetto ai fatti ricordati, è davvero umano? Può considerarsi
umano il diritto così come interpretato e applicato dalle Corti britanniche,
laddove, a conti fatti, si è impedito a genitori - cittadini europei, con pieno
godimento dei diritti civili e politici - di ottenere le cure per il proprio figlio,
sebbene, come tanti malati, «senza speranza di miglioramento»2, e di portarlo
altrove?3 Lo è stata la Corte di Strasburgo, che ha rigettato i ricorsi dei genitori
di Alfie, ritenendo che, nella loro vicenda, non vi fosse alcuna violazione di
diritti dell’uomo?4 Lascia riflettere, poi, che proprio perché ritenuta inhumaCfr. Supreme Court of United Kingdom, 20 aprile 2018, § 2: «Alfie cannot breathe, or eat, or drink
without sophisticated medical treatment. It also means that there is no hope of his ever getting better ».
2
Fra gli impressionanti passaggi della sentenza citata, si veda il § 6, dove la Corte sostiene che, a differenza dei tempi passati, in cui il padre aveva il diritto di custodire il proprio figlio, ora, nei tempi moderni, tale diritto è stato ristretto al solo benessere del bambino, perché il best interests non sarebbe più
di competenza genitoriale («…But that right has been circumscribed in modern times in the interests of
the welfare of the child»); cfr. inoltre il § 9, dove la Corte, in adesione al principio espresso dal trial
Judge, ribadisce che i genitori non hanno alcun diritto di individuare i futuri trattamenti medici per
Alfie, per cui non lo possono portare via dall’Alder Hospital per ricoverarlo in altri ospedali, dove non
gli potrebbero fare nulla di buono («The parents have no right to direct Alfie’s future medical treatment
3
(…) they cannot take Alfie away from Alder Hey for the purpose of transporting him at some risk to
other hospitals which can do him no good»). Cfr. anche il § 15, dove si conferma che l’ospedale deve
essere libero di fare quello che è stato ritenuto essere il miglior interesse di Alfie. Questo è il diritto in
questo paese. Nessun ricorso alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo può o deve modificarlo: «The hospital must be free to do what has been determined to be in Alfie’s best interests. That is the
law in this country. No application to the European Court of Human Rights in Strasbourg can or should
change that». Suscita notevole sorpresa, fra l’altro, anche quest’ultima perentoria affermazione, che
indirettamente esprime una certa impermeabilità giuridica rispetto ad eventuali pronunce conseguenti
ad un ricorso a Strasburgo. Una Corte poco dialogante, si direbbe, e per certi versi contraddittoria,
perché altrove afferma che «the best interests of the child are the “gold standard” which is not only
adopted by our law but also reflects the international standard to which this country is committed ».
Perché, allora, in altri ospedali del panorama internazionale, pronti ad accogliere il bambino, non si
sarebbe potuto fare “nulla di buono”?
La Corte europea è intervenuta due volte sul caso Alfie, la prima in marzo, rigettando il primo ricorso
dei genitori basato sull’art. 14 (divieto di discriminazione) e sull’art. 8 (diritto al rispetto per la vita privata e familiare); la seconda in aprile, dichiarando nuovamente inammissibile un ricorso dei genitori fon4
2
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
ne and not in Evans’ best interests, l’Alder Hey Children’s NHS Foundation
Trust abbia deciso, dal canto suo, di sospendere di sospendere la ventilazione
al bambino. E, infine, è davvero più umana delle vigenti previsioni del codice
penale, l’idea di privare di responsabilità penale chi aiuta qualcuno a suicidarsi o «agevola l’esecuzione del suicidio», se «il percorso deliberativo
dell’aspirante suicida» è definito?5
In realtà le fonti normative di più elevato livello, la Costituzione italiana e la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non sono affatto prive di indicazioni e orientamenti per le questioni menzionate6, che attengono al diritto alla
vita, alla salute e alla dignità umana e attengono, quindi, ai diritti inviolabili
dell’uomo, secondo l’art. 2 Cost. e ai diritti umani, secondo una dizione propria del diritto convenzionale europeo. Il problema nasce a motivo delle interpretazioni che oggi vengono ricavate da queste norme fondamentali, anche
a causa delle forti, innegabili pressioni in favore dell’eutanasia7. E dunque la
dato, questa volta, sull’art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), in cui si richiedevano anche interim
measures, anch’esse respinte, nonostante fosse evidente il pericolo per la salute e la vita di Alfie ove il
sostegno respiratorio fosse stato rimosso (sentenza Evans v. the United Kingdom, application no.
18770/18, 28 marzo 2018, depositata il 23 aprile 2018).
Cfr. l’ordinanza della Corte d’Assise di Milano, Sez. I, ordinanza 14 febbraio 2018, n. 1, la quale ha
rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. nei termini che seguono:
a) nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e,
quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio, per ritenuto contrasto con gli articoli 3, 13, 1 comma e 117 della Costituzione, in relazione agli artt.
2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo; b) nella parte in cui prevede che le condotte di
agevolazione dell’esecuzione del suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell’aspirante
suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, senza distinzione rispetto alle
condotte di istigazione. Il 3 aprile 2018 il Governo ha dato mandato all’Avvocatura dello Stato di costituirsi dinanzi alla Corte costituzionale in difesa dell’art. 580 c.p.
6
Non così sembra ritenere la Corte costituzionale, che ha intitolato il comunicato stampa del 24 ottobre
2018 «Caso Cappato, vuoti di tutela costituzionale. Un anno al Parlamento per colmarli» e ha annunciato la prossima pubblicazione di un’ordinanza. Il comunicato ha poi specificato che il processo a quo
resta sospeso e che «l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela
determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti», per cui si invita il Parlamento ad intervenire con una «appropriata disciplina»,
mentre ha comunicato di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019.
Emblematico il finto caso Gross c. Svizzera, giunto alla Corte di Strasburgo senza che ve ne fossero i
presupposti, perché la ricorrente era morta da tempo e il comportamento suo e dei suoi legali è stato
giudicato un abuso di diritto ai sensi degli artt. 35, §§3 (a) e 4, Cedu. La questione si è conclusa il 30
settembre 2014 con una sentenza della Grande Chambre, che ha giudicato in via definitiva il relativo
ricorso come inammissibile e qualificato la richiesta della ricorrente abusiva (her conduct had constitu5
7
ted an abuse of the right of individual application and, by a majority, declared the application inadmissible), dichiarando al contempo priva di effetti giuridici la precedente sentenza del maggio 2013, nota
appunto come “sentenza Gross” (Press Release ECHR 277 (2014): «As a result of today’s judgment,
the findings of the Chamber judgment of 14 May 2013, which had not become final, are no longer le-
3
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
domanda di fondo, più in generale, è la seguente: possono le costituzioni e le
convenzioni essere interpretate in maniera tale da ricomprendere possibilità considerate da taluni diritti - che certamente non risultano dalla lettera delle
carte e che erano anzi considerate contrarie ai diritti proclamati da coloro che
le scrissero? Può considerarsi effettivamente democratica, poi,
un’ermeneutica che si allontana dal testo e dalla sua storia?8 Possono, le medesime carte, subire un processo di reinterpretazione che ne capovolga il senso, rimanendo formalmente immutate, senza una discussione pubblica, di
natura costituente?9
Per altro verso, tornando ai casi menzionati, si fa strada la convinzione di dover rivendicare oggi, proprio in ambito europeo, un nuovo diritto civile, quello concernente la libertà di cura per i propri figli o per i propri cari privi di
coscienza. Ciò a fronte di sistemi sanitari che, come stanno mostrando diverse vicende, all’estero, appaiono non solo incapaci di qualsiasi alleanza terapeutica, ma addirittura luoghi in cui la vita dei disabili gravi è considerata artificiale, in cui si impone la morte e dai quali è persino illegittimo portare via i
pazienti10. Oppure si è davvero convinti, al contrario, che il nuovo diritto civile
gally valid»). Assai significativo è che, nonostante ciò, la sentenza del maggio 2013 continui ad essere
menzionata in dottrina e citata perfino come produttiva di un orientamento giurisprudenziale, ad esempio dagli stessi giudici della I Corte di Assise di Milano che hanno sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 580 c.p., secondo i quali la sentenza Gross esprime il superamento della sentenza Pretty c.
Regno Unito (cfr. p .11 dell’ordinanza del 14 febbraio 2018).
Lascia riflettere, ad esempio, quanto dichiarato da FLICK, Considerazioni sulla dignità, Intervista rilasciata ad A. D’Aloia per conto di Biolaw Journal, 2/2017, 12: «Secondo me, colui che accompagna una
persona a morire non aiuta al suicidio; aiuta la dignità di colui che ha deciso di uccidersi, che è una cosa
ben diversa».
Critico nei confronti di tali derive RUGGERI, Dignità versus vita?, in Rivista AIC, 1, 2011, 5 ss., il quale
ritiene incompatibili con la Costituzione impostazioni soggettivistiche della dignità, considerando altresì
disgregante un’autodeterminazione intesa in modo assoluto e soggettivo (ID., Appunti per una voce di
Enciclopedia sulla dignità dell’uomo, in dirittifondamentali.it). Così anche M. CARTABIA, Alcuni interrogativi su libertà e autodeterminazione nei casi di fine vita, in Il diritto e la vita: un dialogo italospagnolo su aborto ed eutanasia, a cura di A. D’Aloia, Napoli, 2011, 24. Anche per SPADARO, I “due”
volti del costituzionalismo di fronte al principio di auto-determinazione, in Politica del Diritto, 3, 2014,
§ 7, dinanzi all’espansione del principio di auto-determinazione inteso in senso libertario ed individualista, vi è il rischio che si annacqui o che progressivamente si disperda l’anima sociale e solidarista del
costituzionalismo, che invece è «indispensabile al fine di realizzare una maggiore “giustizia sociale”, che
– non va dimenticato – è uno dei contenuti assiologici pregnanti del costituzionalismo». Cfr. inoltre
EUSEBI, Autodeterminazione: profili etici e biogiuridici, in Scritti in onore di Franco Coppi, II, Torino,
2011, 961.
Cfr., oltre ai casi di Charlie e di Alfie, il caso Lambert contro Francia e la sentenza della Corte di Strasburgo,
per
il
quale
si
rinvia
a
RAZZANO,
Accanimento terapeutico o eutanasia per abbandono del paziente? Il caso Lambert e la Corte di Strasburgo, in
Rivista di BioDiritto, 3/2015; e ID., La sentenza CEDU sul caso Lambert: la Corte di Strasburgo merita
ancora il titolo di The Conscience of Europe?, in Forum dei Quaderni costituzionali, 17/7/2015.
8
9
10
4
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
sia quello degli Stati, titolari della competenza ad individuare il best interest of
the child o comunque di chi è privo di capacità? Su di un altro versante è poi
davvero nuovo e civile (in senso etimologico) e soprattutto effettivamente diritto, quello di suicidarsi con il supporto altrui, quando si è autodeterminati in
tal senso? Come è possibile, inoltre, restare sul piano della razionalità e ammettere, sulla base dello stesso diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU), ad esempio, che, da un lato, l’autodeterminazione possa legittimare il
suicidio e forme di solidarietà verso lo stesso e che, dall’altro, contro il parere
dei genitori, gli ospedali trattengano i figli per interrompere loro le cure vitali
in casi clinici terapeuticamente controversi, sulla base di un potere di individuazione del best interest di cui sarebbero titolari giudici e ospedali? Come
non intravedere, in queste allarmanti derive, una nuova forma di paternalismo giudiziale e una riedizione dello statalismo etico?
Sulla base di questi interrogativi, suscitati dai fatti degli ultimi mesi, si proverà
ad indagare e ad offrire alcune riflessioni.
2. L’art. 32, secondo co., Cost. e le norme penali
Un punto di partenza imprescindibile è oggi rappresentato dall’art. 32 Cost.,
che, com’è noto, sancisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività (garantendo cure gratuite agli indigenti) e che, nel
secondo comma, afferma che nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario, se non per disposizione di legge; legge che non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Da parte
di autorevoli studiosi, negli ultimi tempi, questo secondo comma viene interpretato come idoneo a fondare non solo la libertà di curarsi o meno ma anche quella di vivere o morire, fino a giungere a sostenere che su tale disposizione si fonderebbe un presunto diritto di morire11. La morte potrebbe così
scegliersi e ottenersi nell’ambito delle strutture sanitarie, sia attraverso comportamenti omissivi sia, nelle interpretazioni più radicali, attraverso comportamenti commissivi (morte ottenuta per azioni dirette, per somministrazione
di un barbiturico ad azione rapida, come nel caso del DJ Fabo).
Di conseguenza, secondo questa prospettiva, l’impianto normativo che fa capo al codice penale sarebbe arretrato12, coercitivo, illiberale e «impositivo della vita»13, per cui si avanza «l’auspicio di un opportuno adeguamento in questo
Cfr. ad esempio VILLONE, Il diritto di morire, Napoli, 2011.
STAIANO, Legiferare per dilemmi sulla fine della vita: funzione del diritto e moralità del legislatore, in
federalismi.it, n. 9, 2012, § 4.1, che argomenta la necessità di legiferare in materia, essendo il diritto
all’autodeterminazione riconosciuto ma non tutelato.
CASONATO, Il fine-vita nel diritto comparato fra imposizioni, libertà e fuzzy sets, in Il diritto alla fine
11
12
13
5
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
senso del codice penale»14. La legge penale presenterebbe infatti dei «vuoti di
previsione» e la disciplina vigente sarebbe «inadeguata», posto che la portata
generale degli artt. 579 e 580 c.p. (omicidio del consenziente e aiuto al suicidio) «sembra imporre il c.d. accanimento terapeutico, piuttosto che impedirlo»15.
Queste tesi non trovano appiglio nella Costituzione, ove si vogliano continuare ad interpretare le sue disposizioni in maniera sistematica, organica e secondo il canone della totalità16. In primo luogo, occorre considerare attentamente il dato letterale dell’art. 32, secondo co., Cost., per cui la legge non
può in nessun caso violare i limiti imposti dal «rispetto della persona umana».
Il rispetto della persona umana non significa infatti che inviolabile è la volontà
dell’individuo, ma che inviolabile è il rispetto di qualsiasi persona umana, che
in quanto tale possiede una sua dignità intrinseca. Questa dizione, infatti, non
è solo a garanzia del singolo individuo, il quale, ancorché obbligato a un trattamento, non può mai, per effetto dello stesso, subire un pregiudizio, né esservi sottoposto in assenza di consenso informato. Tale interpretazione sarebbe riduttiva e non terrebbe conto della formulazione letterale, che si riferisce precisamente al rispetto «della persona umana», indicata in maniera da
significare generalità e astrattezza. Questa espressione costituzionale, come
anche quelle relative alla «dignità umana», alla «dignità sociale» e ai «diritti
inviolabili dell’uomo», mostra come siano in gioco concetti che prescindono
sia dalla stessa Costituzione (che infatti li «riconosce»), sia dall’interpretazione
e dalla percezione che ne possa avere il singolo soggetto17.
della vita. Principi, decisioni, casi, a cura di A. D’Aloia, Napoli, 2012, 538, si riferisce alla «rigidità delle
disposizioni codicistiche di segno repressivo», che caratterizzerebbe gli ordinamenti dall’autore definiti
«a tendenza impositiva»; una rigidità che, secondo l’autore, il law in action che si occupa del fine vita a
livello comparato, attento alle concrete caratteristiche dei singoli casi, punta a « by-passare» con soluzioni
più rispettose della volontà individuale, in coerenza con la forma di Stato di derivazione liberale.
STORTONI, Riflessioni in tema di eutanasia, in Eutanasia e diritto. Confronto tra discipline, a cura di
Canestrari, Cimbalo, Pappalardo, Torino, 2003, 91. Nello stesso senso SEMINARA, La dimensione del
corpo nel diritto penale, in Il governo del corpo, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, Milano, 2011, 189 ss.
RAMACCI, Premesse alla revisione della legge penale sull’aiuto a morire, in Studi in memoria di P.
Nuvolone, II, Milano, 1991, pp. 218-219.
RUGGERI, Le dichiarazioni di fine vita tra rigore e pietas costituzionale, in forumcostituzionale.it (Relazione all’incontro di studio “G. Mor” su Sanità e salute alla prova del regionalismo, Milano, 3-4 dicembre 2009), 7, osserva: «... è francamente stupefacente, paradossale, che proprio la norma costituzionale sulla salute sia da molti evocata in campo e innaturalmente rovesciata su se stessa, traendone la
giustificazione della “non cura”, persino a pregiudizio della vita». Della stessa opinione MANGIAMELI,
Autodeterminazione: diritto di spessore costituzionale?, in Forum dei Quad. cost., 2009, 18.
Come argomentato più diffusamente in RAZZANO, Principi costituzionali ed ambito di applicazione
del consenso informato, in Trattato di diritto e bioetica, a cura di Cagnazzo, Preite, Napoli 2017, capitolo I.
14
15
16
17
6
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
Significativa quella famosa sentenza con cui è stata considerato inaccettabile
rispetto alla dignità umana, lo spettacolo del lancio dei nani ovvero dell’uso
dei soggetti affetti da handicap fisico come proiettile umano, nonostante vi
fosse il loro consenso, la loro autodeterminazione e la piena capacità, «non
traducendosi l’autodeterminazione in un libero arbitrio che permette la negazione dei suoi stessi presupposti»18. Non mancano peraltro, nell’ordinamento
costituzionale italiano, altri casi in cui alcune libertà e alcuni diritti (ad esempio quello di iniziativa economica) trovano limitazioni in ragione anche della
dignità umana.
In secondo luogo, è possibile e doverosa una lettura costituzionalmente orientata delle stesse norme penali, senza necessariamente leggere, negli articoli
579 e 580 c.p., l’ideologia statalista, anziché quella personalista, per poi finire
con il desumerne la parziale incostituzionalità. La ratio delle norme penali
poste a garanzia e a protezione della vita, alla luce della Costituzione ma anche, come ora si vedrà, di un importante filone giurisprudenziale della Corte
di Strasburgo, non è infatti quella del dovere di tenersi in vita in base ad una
ideologia impositiva, autoritaria e illiberale, quanto, piuttosto, quella del rispetto e della protezione della vita umana in ogni sua fase, a maggior ragione
quando le condizioni personali e sociali (art. 3 Cost.) sono deboli e vulnerabili19.
Al riguardo sembra interessante ricordare il dibattito previo al Report della
House of Lords Select Committee on Medical Ethics20, richiamato anche nelle motivazioni della sentenza Pretty c. Regno Unito, sulla quale ci si soffermerà nel prossimo paragrafo. Di questa Commissione fece parte anche Ronald
Consiglio di Stato francese, 27 ottobre 1995, n. 136727. Sulla questione STEINER, La dignità umana
nella giurisprudenza della Corte costituzionale federale tedesca, in Fondamenti del diritto europeo, a
18
cura di Baccari, Modena, 2008, 129.
A proposito di protezione della vita e di interventi legislativi, è interessante ricordare che la Corte
costituzionale, nella sentenza relativa all’obbligo di indossare il casco per i motocicli (sent. n. 180 del
1994), affermò nel punto 5 del considerato in diritto: «L’assunto, secondo cui l’art. 32 della Costituzione consentirebbe limitazioni al diritto di circolazione solo se venisse in gioco il diritto alla salute di soggetti terzi rispetto a colui cui vengono imposte quelle limitazioni, con la previsione di sanzioni in caso di
inosservanza, non può essere condiviso. Specie quando, come nella materia in esame, si è in presenza
di modalità, peraltro neppure gravose, prescritte per la guida di motoveicoli, appare conforme al dettato
costituzionale, che considera la salute dell'individuo anche interesse della collettività, che il legislatore
nel suo apprezzamento prescriva certi comportamenti e ne sanzioni l'inosservanza allo scopo di ridurre
il più possibile le pregiudizievoli conseguenze, dal punto di vista della mortalità e della morbosità invalidante, degli incidenti stradali. Non può difatti dubitarsi che tali conseguenze si ripercuotono in termini
di costi sociali sull’intera collettività».
(HL Paper 21-I), 31 gennaio 1994. Cfr. in particolare i paragrafi n. 236-239 del Report. La commissione era stata incaricata dal Governo britannico di studiare la possibilità di introdurre forme di eutanasia nell’ordinamento e si pronunciò negativamente.
19
20
7
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
Dworkin, il quale espresse l’opinione secondo cui, soprattutto per coloro che
non hanno un credo religioso, l’individuo è libero di decidere che tipo di
morte è più appropriata alla propria vita21. Ma la relazione finale del Comitato, all’epoca, rifiutò questa impostazione22, riaffermando l’opportunità del
principio della condanna sociale dell’uccisione intenzionale. Tale riprovazione, secondo quanto scrisse la Commissione britannica, è la pietra angolare
del diritto e delle relazioni sociali23, per cui i membri della Commissione raccomandarono di non introdurre cambiamenti nell’ordinamento, permettendo
l’eutanasia24. Infatti, sebbene alcuni casi singoli, per qualcuno, sembrano legittimare l’eutanasia, i singoli casi non possono legittimare una politica che potrebbe avere serie ed estese conseguenze25. Notevole è il passaggio in cui,
sempre nel Report, si afferma che morire non è una faccenda personale o
individuale, perché la morte di una persona si riflette sulle vite degli altri,
spesso in un modo e in una misura che non si possono prevedere26. La questione dell’eutanasia è infatti tale, che l’interesse dell’individuo non può essere separato da quello della società nel suo complesso27. Si tratta, come si vede,
di argomentazioni estremamente attuali28.
Occorrerebbe, infine, riflettere attentamente anche sull’idea che l’aiuto nella
realizzazione dell’altrui proposito suicida, quando la decisione è già stata presa, sia privo di significato giuridico e penale ovvero possa addirittura giungere
a qualificarsi quale azione pregevole, se non come un dovere in correlazione
ad un diritto. Ciò significherebbe infatti riconsiderare29 il suicidio, ove fosse
Cfr. Medical Ethics: Select Committee Report, HL Deb 09 May 1994 vol. 554, cc 1344-412 e, anche,
DWORKIN, Il dominio della vita: aborto, eutanasia, e libertà individuale, Milano, 1994.
Cfr. § 236 e 237 del Report.
21
22
That prohibition is the cornerstone of law and of social relationships.
We therefore recommend that there should be no change in the law to permit euthanasia.
Individual cases cannot reasonably establish the foundation of a policy which would have such serious
and widespread repercussions.
Dying is not only a personal or individual affair. The death of a person affects the lives of others, often
in ways and to an extent which cannot be foreseen.
The issue of euthanasia is one in which the interest of the individual cannot be separated from the
interest of society as a whole.
23
24
25
26
27
Nel 2015 è stato respinto dalla Camera dei Comuni britannica, a larga maggioranza, il progetto di
legge Marris per l'introduzione del suicidio assistito di malati terminali consenzienti con una prognosi
non superiore ai sei mesi di vita. Il disegno di legge era già proposto da Lord Falconer nella legislatura
precedente, senza successo. In ambito giurisprudenziale occorre invece registrare diversi passi verso la
direzione del diritto di morire (cfr. sul punto SCAFFARDI, Decisioni di fine-vita in Inghilterra e Galles.
Le più recenti policies in materia di assistenza al suicidio, in Il diritto alla fine della vita, cit., 689).
La dottrina ha sempre ritenuto che il suicidio non sia né un fatto lecito, né un fatto illecito ma un fatto
giuridicamente tollerato, che costituisce un disvalore giuridico, come risulta da una legislazione che non
solo prevede i reati di aiuto al suicidio e di omicidio del consenziente, ma che vieta anche penalmente
pubblicazioni e teletrasmissioni tali da provocare il diffondersi di suicidi e di pubblicazioni di ritratti di
28
29
8
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
«autodeterminato»30, come bene meritevole di tutela e «di aiuto» e, di conseguenza, da promuovere. Come è stato osservato, tuttavia, «non è la mera riconducibilità all’autodeterminazione di una data scelta che la rende apprezzabile, o se si vuole realizzante, dal punto di vista umano, sia con riguardo alla
sfera individuale, sia con riguardo ai rapporti intersoggettivi: salvo riesumare
certe esaltazioni della volontà di potenza che già hanno prodotto un numero
sufficiente di vittime (…) La vita umana, infatti, si svolge in contesti relazionali,
per cui esiste la reciproca aspettativa a che ciascuno si ponga nei rapporti intersoggettivi come soggetto morale consapevole, il quale cerchi di offrire il suo
contributo migliore (non tanto e non solo in termini materiali, ma soprattutto
attraverso la qualità del suo apporto umano) in un’ottica solidaristica»31.
Pertanto, in una prospettiva costituzionale, la questione sembra inevitabilmente porsi nei seguenti termini: è possibile reinterpretare l’art. 4 Cost., per il
quale «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e
la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società», fino ad includere, fra tali attività e funzioni, anche quelle consistenti nell’agevolazione dell’esecuzione del suicidio di chi ha
deciso di morire?
3. Intorno all’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e la Corte di Strasburgo
Non può tralasciarsi poi, proprio in una visione integrata fra il diritto costituzionale e il diritto convenzionale europeo, che l’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa, piuttosto recentemente, con riguardo all’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (che afferma che «il diritto alla vita di
ogni persona è protetto dalla legge»)32, ha sancito il divieto di eutanasia per gli
suicidi, (cfr. per tutti MANTOVANI, Biodiritto e problematiche di fine vita, in Criminalia, 2006, 71.
RUGGERI, Le dichiarazioni di fine vita, cit., 8). Si ritiene inoltre problematica - e non evoluta in quanto
più autodeterminantesi - qualsiasi comunità umana in cui sia alto il tasso dei suicidi.
Sulla complessità dell’autodeterminazione umana, specie nella condizione di malattia, e sul carattere
irreale dell’immagine di soggetto sicuro di sé e consapevole, capace di decisioni lucide, che ignora che
la malattia, di fatto, produce timore e rende vulnerabili, BATTAGLIA, L’alleanza terapeutica in una bioetica relazionale, in Rinuncia alle cure e testamento, Profili medici, filosofici e giuridici. Atti dei due incontri di studio (Messina, 3 aprile e 15-16 ottobre 2009), a cura di Gensabella Furnari e Ruggeri, Torino, 2010, 67 e RUSSO, La relazione medico–paziente, sintesi di responsabilità e speranza, in Il dolore e
la speranza. Cura della responsabilità, responsabilità della cura, a cura di Alici, Roma, 2011, 123.
EUSEBI, Autodeterminazione: profili etici e biogiuridici, in Scritti in onore di Franco Coppi, II, Torino, 2011, 958.
Cfr. OLIVETTI, Commento all’articolo 2 (diritto alla vita), in L’Europa dei diritti, Commento alla Carta dei diritti dell’Unione europea, a cura di Bifulco, Cartabia, Celotto, Bologna, 2001.
30
31
32
9
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
Stati aderenti e soprattutto ne ha fornito una definizione: «L’eutanasia, nel
senso dell’uccisione intenzionale, per azione o per omissione, di un essere
umano dipendente per suo presunto beneficio, deve sempre essere proibita» .
33
Com’è noto, inoltre, nella famosa sentenza Pretty contro Regno Unito del
2002, i giudici di Strasburgo hanno affermato che il diritto alla vita non comporta simmetricamente il suo aspetto negativo e, a meno di una grave distorsione di linguaggio normativo, non può essere interpretato come configurante
un diritto diametralmente opposto, ossia il diritto a morire, né come autodeterminazione che significhi la scelta fra la vita e la morte34. In ciò la Corte europea afferma di sentirsi sostenuta nel suo parere da un’altra raccomandazione, la n. 1418 del 1999 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio
d’Europa35. Come è dunque possibile, analogamente, ricavare dall’art. 32
Cost. qualcosa di diametralmente opposto al diritto alla salute e al rispetto
della dignità umana, quale il diritto di morire?
In riferimento poi all’art. 8 Cedu, che tutela il diritto alla vita privata e familiare, la Corte di Strasburgo ha ritenuto, ancora nel caso Pretty c. Regno Unito36,
che se è vero che la norma in questione ingloba il rifiuto da parte di un paziente di un trattamento che potrebbe avere l’effetto di prolungargli la vita,
nella specie non vengono in rilievo trattamenti sanitari ma gli effetti devastanti
di una malattia degenerativa. Inoltre, ciò che la parte ricorrente aveva prospettato come un’ingerenza dello Stato britannico (il Suicide Act, la legge che
condanna penalmente colui che aiuta a morire), può invece essere considerata un’ingerenza giustificata, in quanto «necessary in a democratic society», per
la protezione dei diritti altrui37. La Corte nota infatti che la maggior parte delle
Risoluzione n. 1859 del 2012: «Euthanasia, in the sense of the intentional killing by act or omission of
a dependent human being for his or her alleged benefit, must always be prohibited».
«Article 2 cannot, without a distortion of language, be interpreted as conferring the diametrically opposite right, namely a right to die; nor can it create a right to self-determination in the sense of conferring on an individual the entitlement to choose death rather than life».
§ 37-42 della sentenza. In partic. § 39: «The Court is not persuaded that “the right to life” guaranteed
in Article 2 can be interpreted as involving a negative aspect». È interessante anche il confronto che a
33
34
35
questo punto la Corte instaura con la libertà di associazione, tutelata dall’art. 11 CEDU, per mostrare
che il contenuto dell’art. 2 è invece diverso. Mentre la libertà di associazione effettivamente implica sia
il diritto di associarsi che quello di non associarsi, perché «the notion of a freedom implies some measure of choice as to its exercise», l’art. 2 è formulato in termini diversi: « It is unconcerned with issues to
do with the quality of living or what a person chooses to do with his or her life».
§ 61-78.
Cfr. ancora caso Pretty c. Regno Unito, § 78. Per comodità del lettore, riportiamo il secondo comma
dell’art. 8, ai sensi del quale l’ingerenza è possibile se «tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca
una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica
sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati,
36
37
10
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
persone che soffrono di una malattia in fase terminale è fragile, ed è proprio
la vulnerabilità della categoria a cui appartengono che fornisce la ratio legis
della disposizione contestata. La Corte dunque respinge il ricorso anche in
riferimento all’art. 8 sulla c.d. privacy. Anche in seguito, del resto, i giudici
europei non hanno mai ricondotto all’art. 8 un presunto diritto di morire da
pretendere nei confronti dello Stato di appartenenza, secondo quanto richiesto dai ricorrenti. Non hanno poi mai condannato uno Stato per non aver
facilitato il suicidio assistito38. Infine, la Corte ha ribadito anche in seguito che
l’art. 8, sul diritto alla vita privata, deve essere interpretato alla luce dell’art.
239.
Quanto all’impossibilità di procurarsi la morte a motivo della legge dello Stato britannico che vieta l’aiuto al suicidio (nella fattispecie il Suicide Act), la
Corte di Strasburgo, sempre nella sentenza Pretty, ha dichiarato che spetta in
primo luogo agli Stati valutare il rischio di abuso e le probabili conseguenze
degli abusi che un’attenuazione del divieto generale di suicidio assistito o la
creazione di eccezioni al principio implicherebbe40. A questo specifico riguardo occorre distinguere, nel ragionamento dei giudici di Strasburgo, il profilo
del rifiuto delle cure, libertà che rientra nell’art. 8 della Convenzione, dove
acquista peso anche la nozione di qualità della vita e, dall’altro, il profilo relativo al presunto diritto di togliersi la vita con l’aiuto di un terzo soggetto, rispetto al quale è invece giudicata ragionevole la legislazione nazionale che
punisce chi aiuta materialmente altri a suicidarsi, al fine di evitare abusi nei
confronti dei soggetti deboli41.
Perché dunque, nella medesima ottica sociale e responsabile, tanto più nella
cornice costituzionale, non interpretare gli articoli 579 e 580 c.p. nel medesimo senso, ossia come norme che proteggono dagli abusi coloro che sono in
condizioni di fragilità fisica e psichica?
Ancora, con riguardo all’art. 3 della Convenzione, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti, che per la ricorrente signora Pretty sarebbero
stati quelli imposti a lei dallo Stato britannico, che impediva al marito di proper la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».
38
Cfr. anche caso Koch c. Germania, 2012, § 86-95, spec. § 91.
Cfr. caso Haas c. Svizzera, 2011, § 54: «La Cour rappelle également que la Convention doit être lue
39
comme un tout (…). Dès lors, il convient de se référer, dans le cadre de l’examen d’une éventuelle violation de l’article 8, à l’article 2 de la Convention, qui impose aux autorités le devoir de protéger les
personnes vulnérables même contre des agissements par lesquels elles menacent leur propre vie (…).
Pour la Cour, cette dernière disposition oblige les autorités nationales à empêcher un individu de mettre fin à ses jours si sa décision n’a pas été prise librement et en toute connaissance de cause».
40
41
§ 74.
Il punto viene ribadito anche nel successivo caso Haas c. Svizzera, § 57.
11
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
curarle la morte impunemente, la Corte ha escluso che tale norma conferisca
all’individuo un diritto di esigere dallo Stato di procurare la morte. La sofferenza dovuta ad una malattia che sopraggiunge naturalmente, sia essa fisica o
psichica, può rientrare nell’art. 3 solo se viene o rischia di essere aggravata da
un trattamento del quale le autorità pubbliche possono essere ritenute responsabili. Secondo i giudici europei, infatti, l’art. 3 deve essere interpretato
di concerto con l’art. 2, che gli è sempre stato accostato, dal momento che
rispecchia i valori fondamentali osservati dalle società democratiche; l’art. 2
della Convenzione sancisce anzitutto e soprattutto un divieto di ricorso alla
forza o a qualsiasi altro comportamento idoneo a provocare la morte di un
essere umano, e non conferisce all’individuo nessun diritto di richiedere allo
Stato di permettere o facilitare la sua morte42.
Neppure è invocabile, secondo i giudici di Strasburgo, sempre nel caso Pretty, l’art. 14, sul divieto di discriminazione, che sussisterebbe nei riguardi di chi
è talmente menomato da non potersi suicidare senza assistenza, e chi è autonomo in tal senso. La Corte ha chiarito infatti che, ai fini dell’art. 14, una differenza di trattamento tra individui posti in situazioni identiche o analoghe è
discriminatoria se non si fonda su una giustificazione obiettiva e ragionevole,
vale a dire se non persegue uno scopo legittimo o non vi è un ragionevole
rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Tali
valutazioni, in ogni caso, spettano agli Stati contraenti, per il margine di apprezzamento di cui beneficiano43. Esistono invece, nell’ottica dell’art. 14, ragionevoli motivi, afferma la Corte europea, per non distinguere normativamente tra le persone che sono in grado di suicidarsi senza aiuto e quelle che
non ne sono capaci44: nella prospettazione dei giudici di Strasburgo, introdurre nella legge una deroga, al fine di permettere il suicidio assistito alle persone
che non possono togliersi la vita da sole, comprometterebbe seriamente la
protezione della vita che la legge del 1961 (il Suicide Act, nella fattispecie) ha
§ 54: «Article 3 must be construed in harmony with Article 2, which hitherto has been associated with
it as reflecting basic values respected by democratic societies. As found above, Article 2 of the Convention is first and foremost a prohibition on the use of lethal force or other conduct which might lead to
the death of a human being and does not confer any right on an individual to require a State to permit
or facilitate his or her death».
§ 87: «For the purposes of Article 14 a difference in treatment between persons in analogous or relevantly similar positions is discriminatory if it has no objective and reasonable justification, that is if it
does not pursue a legitimate aim or if there is not a reasonable relationship of proportionality between
the means employed and the aim sought to be realised. Moreover, the Contracting States enjoy a margin of appreciation in assessing whether and to what extent differences in otherwise similar situations
justify a different treatment».
§ 88: «objective and reasonable justification for not distinguishing in law between those who are and
those who are not physically capable of committing suicide».
42
43
44
12
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
inteso consacrare e aumenterebbe in maniera significativa il rischio di abusi45.
Rispetto a tali specifiche argomentazioni la Corte di Strasburgo non è mai
tornata sui propri passi.
4. Sulle presunte discriminazioni nell’ottenere la morte
Quest’ultimo passaggio della sentenza considerata merita attenzione, per la
sua speciale attualità. Come già aveva tentato la ricorrente signora Pretty
quindici anni or sono, vi è chi ha riproposto l’idea per cui vi sarebbero discriminazioni fra coloro che, rifiutando le cure, potrebbero ottenere la morte
e coloro che non possono ottenerla attraverso tale via46. Si pone, in altri termini, la questione dell’“uguaglianza nel morire” e, quindi, della presunta “ingiustizia” che si creerebbe fra chi si può suicidare da solo e chi necessita di
aiuto, fra chi può darsi la morte attraverso il rifiuto di trattamenti e chi non
può ricorrere a tale espediente per ottenerla, fra chi può permettersi il viaggio
in Svizzera, per ottenere l’aiuto al suicidio presso le cliniche Exit e Dignitas, e
chi ne è impossibilitato, per ragioni economiche47.
In realtà, come nota la Corte di Strasburgo, non è possibile comparare le situazioni chiamando in causa il principio di uguaglianza, senza una previa valutazione del merito della questione stessa. Il tema dell’uguaglianza rispetto ad
una “nuova” possibilità non può infatti prescindere dalla previa domanda sul
valore e sul senso dell’azione da intraprendere, alla luce dell’intero ordinamento giuridico48. La metodologia che focalizza l’attenzione sull’uguaglianza,
§ 88: «The borderline between the two categories will often be a very fine one and to seek to build
into the law an exemption for those judged to be incapable of committing suicide would seriously undermine the protection of life which the 1961 Act was intended to safeguard and greatly increase the
risk of abuse».
Cfr. già RODOTÀ, Il paradosso dell’uguaglianza davanti alla morte, in Il diritto di morire bene, a cura
di Semplici, Bologna, 2002. Da ultimo FLICK, Considerazioni sulla dignità, cit., 13, pone il problema
45
46
della «diseguaglianza derivante dalla diversità di condizioni fisiche in cui può venire a trovarsi chi decide
di porre termine alla propria vita».
Queste argomentazioni, non nuove, comparivano già nella pagina istituzionale della Commission on
Assisted Dying istituita nel 2010 nel Regno Unito e presieduta da Lord Falconer, al fine di introdurre
una legislazione permissiva dell’eutanasia, che poi il Parlamento ha bocciato. Nel sito istituzionale della
Commission Falconer, comunque, si leggeva: «The Commission for Assisted Dying starts from the
47
premise that, while assisted dying may be illegal in the UK, it remains possible for those with the financial and physical ability to seek assistance to die, for instance by travelling overseas or by engaging nonmedical assistance at home». Parimenti il Final Report della medesima Commission (2012) intitolava un
paragrafo: «Disadvantages of travelling abroad to obtain professional assistance».
Assai significativa, al riguardo, è la storia della stessa giurisprudenza costituzionale sul principio di
uguaglianza, che qui non è certamente possibile ripercorrere. Emblematica, comunque, è la motivazione della sentenza n. 55 del 1974 della Corte costituzionale, in cui il giudice delle leggi, come in tante
altre occasioni precedenti e successive, afferma che «l’art. 3 Cost. non corrisponde ad un criterio di
mera uguaglianza formale e perciò non esclude che il legislatore possa dettare norme diverse per rego-
48
13
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
prima ancora di interrogarsi sulla realtà da comparare e sulla ragione della
disciplina normativa, omette il passaggio più importante, l’interrogativo di
fondo. In altri termini, prima di comparare, è necessario formulare la seguente, elementare, domanda: è meritevole di tutela da parte dell’ordinamento
giuridico costituzionale, nell’ambito dell’ordinamento convenzionale europeo, l’anticipazione significativa della morte di chi è malato o non trova più
senso alla propria esistenza?
Diversamente, ove si soprassedesse sul senso e sul merito delle singole possibilità si arriverebbe all’assurdo di facilitare il turismo sessuale entro i confini
nazionali, per impedire le discriminazioni fra chi può permettersi i viaggi verso i Paesi esotici in cui tale attività è più libera e fiorente e chi non ne ha le
possibilità economiche. O, anche, sempre invocando ragioni di uguaglianza e
non discriminazione, si finirebbe per ammettere anche in Italia la legittimità
della maternità surrogata, perché liberamente praticata al di fuori dei confini
nazionali. Non è fondamentale, piuttosto, dal punto di vista giuridico e costituzionale, domandarsi previamente se sia o meno meritevole di tutela,
nell’ordinamento costituzionale, l’accordo con cui si commissiona ad una
donna una gravidanza, con successivo trasferimento del bambino nato alla
coppia committente?
Occorre quindi riflettere attentamente sulle conseguenze di un’apertura
all’anticipazione della morte di chi soffre molto. Perché mai, infatti, il legislatore, ove si accogliesse tale semplicistica metodologia, non dovrebbe ammettere che ulteriori «condizioni personali e sociali»49, diverse da quelle di salute,
possano legittimare una simile richiesta di anticipare la morte, ove comunque
percepite dal soggetto come indegne? Perché il legislatore, una volta acquisita
l’ottica soggettivistica, dovrebbe fare discriminazioni fra le condizioni che, in
qualsiasi modo, nella percezione di ciascuno, rendono la sua vita “non degna
di essere vissuta” e rendono quindi desiderabile la morte? Chi potrebbe valutare le vite come degne o indegne di essere vissute e legittimare gli aiuti, in
qualunque modo o in qualunque fase prestati, alla realizzazione dei propositi
lare situazioni che egli ritenga diverse, entro un margine di discrezionalità che giustifichi sostanzialmente
il criterio di differenziazione adottato». Nella fattispecie la Corte concluse affermando che le disposizioni impugnate sono «la risultante di scelte operate, nell’ambito della Costituzione, dal legislatore e non
prive di razionalità». Cfr., sul tema, la dottrina risalente ed in particolare ESPOSITO, Eguaglianza e giustizia dell’art. 3 della Costituzione, in La Costituzione italiana, Padova, 1954, 62; MORTATI, In tema di
legge ingiusta, in Giur. cost., 1960, 167; CERRI, Violazione del principio di uguaglianza ed intervento
della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1968, I, 610.
Secondo l’espressione dell’art. 3 Cost.
49
14
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
suicidi?50 Come si vede, a seguire questo orientamento, si intraprende un pericoloso crinale, che altrove mostra già le sue aberrazioni.
In Belgio ad esempio, dove da oltre quindici anni è stata legalizzata
l’eutanasia in presenza di alcune condizioni di sofferenza51 (e dove inoltre, da
qualche anno, tale possibilità è stata estesa ai minori), sono state interpretate
come tali anche le condizioni di vita - vissute appunto come insopportabili dai
diretti interessati - di alcuni condannati all’ergastolo, che hanno chiesto e ottenuto l’eutanasia52. Si è giunti pertanto, avvalendosi dell’interpretazione delle
disposizioni che hanno legalizzato l’eutanasia per una «sofferenza fisica o psichica costante e insopportabile»53, a ritenere meritevole di tutela legale anche
l’interruzione della vita di coloro che, a motivo di condizioni che prescindono
dalla salute, non la ritengono più degna di essere vissuta.
Merita attenzione, altresì, il citato caso Gross c. Svizzera giunto dinanzi alla
Corte di Strasburgo, anche se dichiarato inammissibile54. In quel caso la signora Gross chiedeva di morire al proprio ordinamento giuridico e alla Corte
europea non già perché malata (e dunque per ragioni di salute e quindi di
presunto accanimento terapeutico), ma perché anziana e stanca della vita, basando il suo presunto diritto di morire sul principio di autodeterminazione e
sulla percezione di indegnità della propria vita.
BARBERA, Eutanasia: riflessioni etiche, storiche e comparatistiche, cit., 6 mette in guardia
dall’affermazione per cui la vita non ha un valore in quanto tale ma solo in quanto degna di essere vissuta, ritenendola un’affermazione gravida di conseguenze: «Chi decide se una vita è degna di essere vissuta? Certamente non altri: questa pretesa – lo dico per incidens – era alla base delle forme di eutanasia
eugenetica introdotte dal nazismo nel luglio 1933». Com’è noto, infatti, nel 1922 fu firmato il programma Aktion T4 “La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore. La sua estensione e la sua
forma”, ad opera di Karl Binding e Alfred Hoche. Quest’ultimo, in riferimento al piano di eutanasia
per disabili, malati mentali, affetti da malattie genetiche e inguaribili, scrisse: «Essa sembra manifestare
una grande durezza di cuore, ma in verità è frutto della compassione. Ci sono vite umane che hanno
punto perduto la qualità di bene giuridico che la loro prosecuzione, tanto per il titolare della vita quanto
per la società, ha perduto ogni valore (...) Relativamente all’aspetto economico, questi imbecilli totali,
che rispondono innanzitutto a tutte le condizioni di una morte mentale integrale, sono anche coloro la
cui esistenza pesa maggiormente sulla comunità» (tratto dalla recente traduzione in italiano, a cura di E.
De Cristofaro-C. Saletti, di Precursori dello sterminio. Binding e Hoche all’origine dell’“eutanasia” dei
malati di mente in Germania, Verona, 2012).
Loi relative à l’euthanasie del 28 maggio del 2002.
Secondo quanto dichiarato, senza ulteriori riferimenti per la tutela della privacy, dal medico Francis
Van Mol, direttore generale del servizio sanitario penitenziario durante il programma televisivo Panorama andato in onda il 20 ottobre 2013. È stata inoltre soddisfatta la richiesta di Frank Van Der Bleeken, violentatore seriale e omicida, in carcere da trenta anni e psichicamente disturbato.
Più precisamente è possibile ai medici praticare l’eutanasia quando «le patient se trouve dans une situa50
51
52
53
tion médicale sans issue et fait état d’une souffrance physique ou psychique constante et insupportable
qui ne peut être apaisée et qui résulte d’une affection accidentelle ou pathologique grave et incurable».
Loi relative à l’euthanasie del 28 maggio del 2002.
54
Cfr. supra nota del § 1.
15
ARCHIVIO PENALE 2018, n. 3
Una volta ammesso che, su richiesta, a motivo del vissuto di ogni individuo, si
possa derogare al diritto alla vita e alla sua protezione, lo stesso motivo spinge
ad estendere a tutte le condizioni vita, purché percepite come indegne dai
diretti interessati (o anche dai soli giudici e dalle sole strutture ospedaliere
pubbliche, come si è appunto visto nel caso di Alfie), la deroga in questione.
Se il diritto alla vita è davvero un contenitore vuoto che permette interpretazioni per cui il diritto alla vita include quello di morire55 e se il principio di
uguaglianza si limita ad identificare le mere differenze, non si vede perché
non estendere tale possibilità di morire - tale diritto - a tutte le situazioni in cui
la vita è percepita come difficile e indegna da parte dei diretti interessati.
Si è certi, pertanto, che nell’Europa dei diritti umani sia possibile reinterpretare il principio di dignità fino a contrapporlo alle condizioni di talune vite
umane, per legittimarne l’autoeliminazione o lo scarto?
RUGGERI, La dignità dell’uomo e il diritto di avere diritti (profili problematici e ricostruttivi), in Consultaonline, 2/2018, 3 giugno 2018, 407, afferma che «Discorrere (…) di una “dignità del morire” equi55
vale a mettere assieme termini irriducibili, se si conviene a riguardo del fatto che la dignità presuppone
e qualifica la vita, non la morte: è l’esistenza che la nostra e le altre Carte vogliono che sia “libera e dignitosa”, non la sua soppressione». Cfr. anche, sul punto, EUSEBI, voce Eutanasia, in Enc. bioetica e sc.
giur., V, Napoli, 2012 e ID., Problemi aperti circa le condotte incidenti sulla vita umana, in Riv. it. medic. legale, 3, 2012.
16