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DIRITTO AMMINISTRATIVO ISSNN1720-4526 AnnoNXXVNFasc.N1N-N2017 FrancescoNDeNLeonardis ECONOMIA CIRCOLARE: SAGGIO SUI SUOI TRE DIVERSI ASPETTI GIURIDICI. VERSO UNO STATO CIRCOLARE? Estratto MilanoN•NGiuffrèNEditore FRANCESCO DE LEONARDIS ECONOMIA CIRCOLARE: SAGGIO SUI SUOI TRE DIVERSI ASPETTI GIURIDICI. VERSO UNO STATO CIRCOLARE? SOMMARIO: 1. Il cd. “secondo pacchetto sull economia circolare”. — 2. La definizione dell economia circolare: la scomposizione nelle “tre prospettive”. — 3. ll primo significato: l economia circolare e i rifiuti. — 4. Il secondo significato: l economia circolare e le materie prime. — 5. Il terzo significato: l economia circolare e la bioeconomia. — 6. L economia circolare tra sistema, prospettiva olistica e integrazione. — 7. I nuovi compiti del legislatore in relazione ai prodotti circolari. — 8. L amministrazione nell economia circolare: principio di integrazione e “appalti verdi”. — 9. Il decalogo dell economia circolare: verso uno Stato “circolare”? 1. Il cd. “secondo pacchetto sull’economia circolare”. Nonostante il concetto di economia circolare (1) sia uno di (1) Il concetto di economia circolare ha iniziato ad essere diffuso nel 1970 da ambientalisti quali John T. Lyle, architetto paesaggista americano che ha aperto la strada alla “progettazione rigenerativa” focalizzata sull uso delle risorse locali rinnovabili, e Walter Stahel, architetto svizzero, che ha avuto l intuizione che il modello di produzione economica lineare (prendi, produci, usa e getta) non fosse sostenibile, a causa dell aumento della domanda di materie prime e di accumulo dei rifiuti, come anche evidenziato dal rapporto “Limiti allo sviluppo” del 1972 dell associazione Club di Roma (cfr. D. MEADOWS e altri, I limiti dello sviluppo, EST Mondadori, 1972; ID., I limiti dello sviluppo. Verso un equilibrio globale, EST Mondadori, 1973; ID., I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, 2006), in cui si tentava di prevedere le conseguenze della continua crescita della popolazione sull ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. Più di recente, il chimico tedesco Michael Braungart e l architetto americano William McDonough (che aveva collaborato con Lyle) hanno istituito il Cradle to Cradle (dalla culla alla culla) (la prima edizione del volume in lingua inglese è del 2002), un sistema per la certificazione del prodotto che tratta i flussi industriali come metabolici ed i rifiuti come sostanze nutritive. Alla promozione degli studi sull economia circolare si dedica la Ellen Mac Arthur Foundation che ha promosso vari Dir. Amm. - 1/2017 164 FRANCESCO DE LEONARDIS quelli più citati in questi ultimi tempi sia dai mass media che nel dibattito politico non si può non rilevare che i contributi di taglio giuridico sul tema siano pressoché assenti (2). Le domande a cui un analisi giuridica di tale concetto deve dare risposta sono molteplici (in che modo l economia circolare è rilevante per il diritto; quali relazioni essa ha con l amministrazione pubblica e le altre espressioni del pubblico potere) ma la fondamentale, quella che può considerarsi come la prima domanda, è come si possa definire il concetto di economia circolare (3). Per poter dare una risposta a tale interrogativo non si può non partire dall approvazione da parte dell Adunanza plenaria del Parlamento europeo (4) della proposta del cd. “secondo pacchetto sull economia circolare”. Sebbene non si tratti ancora di un atto normativo entrato in vigore, il rapido cronoprogramma che ha seguito, con una prima fase di consultazione pubblica (5), la presentazione della proposta studi e pubblicazioni sul tema (nel gennaio 2012, è stato pubblicato un rapporto dal titolo Verso l’economia circolare: motivazioni economiche e di business per una transizione accelerata che è stato il primo del suo genere a considerare le opportunità economiche e di business per la transizione verso un modello circolare. Tra gli studi e pubblicazioni promosse dalla fondazione cfr. anche K. WEBSTER, The Circular Economy: A Wealth of Flows, 2nd Edition, 2017. (2) Fanno eccezione M. MELI, Oltre il principio chi inquina paga: verso un’economia circolare, in Riv. critica dir. privato, 2017, 63 ss.; F. PORCELLANA, La virtuosità dell’economia circolare: economia a zero rifiuti, in Aperta Contrada, 2016; M. T. STILE, Da economia lineare ad economia circolare: un percorso in salita, in Dir. com. scambi int., 2015, 263; V. CAVANNA, Economia verde, efficienza delle risorse ed economia circolare: il rapporto Signals 2014 dell’Agenzia europea dell’Ambiente, in Riv. giur. amb., 2014, 821 ss.; C. BOVINO, Verso un’economia circolare: la revisione delle direttive sui rifiuti, in Ambiente, 2014, 682. Cfr. anche T. FEDERICO, I fondamenti dell’economia circolare, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, 2015. (3) Anche perché il concetto di economia circolare viene utilizzato sempre più spesso anche nel diritto positivo: cfr. ad es. legge Regione Emilia Romagna, n. 16 del 5 ottobre 2015 recante disposizioni a sostegno dell economia circolare, della riduzione dei rifiuti urbani, del riuso dei beni e fine vita. (4) L approvazione è avvenuta il 1 marzo 2017 a grande maggioranza (582 voti a favore, 88 contrari e 28 astenuti). (5) La consultazione pubblica sul tema è stata avviata il 28 maggio 2015 e si è conclusa il 20 agosto 2015. Sono pervenuti più di 1200 contributi che rispecchiano le opinioni dei principali gruppi di parti interessate (il 45% venivano dal settore privato, il 25% da singoli cittadini, il 10% da organizzazioni della società civile e il 6% da autorità pubbliche). In occasione di tale consultazione la tredicesima Com- ECONOMIA CIRCOLARE 165 da parte della Commissione (6) con l allegata comunicazione Closing the loop: an EU action plan for the circular economy (7), le approvazioni a grande maggioranza della Commissione Ambiente del Parlamento (8) e della Plenaria del Parlamento europeo e, soprattutto, le basi culturali su cui essa si fonda (9), fanno pensare che, presto o tardi, nonostante le inevitabili criticità, tale pacchetto diventerà diritto positivo. Il valore sistematico di tale proposta si evidenzia già nell elemento formale dell inquadramento come “pacchetto” (10): ossia come un intervento normativo, adottato dalla Commissione nell ambito della procedura legislativa ordinaria, che riguarda non un unica direttiva, ma un insieme di direttive (11). Il fatto che le direttive di cui si propone la modifica siano tutte misione permanente del Senato (Ambiente) ha inviato alla Commissione la Risoluzione Doc. XXIV n. 51 approvata il 30 luglio 2015 a conclusione dell esame assegnato in materia di rifiuti (atto n. 580). (6) La proposta è stata presentata il 2 dicembre 2015 in una seduta plenaria del Parlamento europeo. (7) Già in quella occasione da una parte era stata criticata la diminuzione di alcuni obiettivi rispetto alla proposta del 2014 e il fatto che il pacchetto non fosse abbastanza ambizioso (come si vedrà il Parlamento ha poi “ripristinato” nel 2017 gli ambiziosi obiettivi del 2014). (8) L approvazione da parte della Commissione ambiente del Parlamento (con 59 voti a favore, 7 contrari e 1 astenuto) è avvenuta il 24 gennaio 2017. (9) Innumerevoli sono i contributi che mettono in evidenza la vera e propria ubris dell uomo nei confronti dell ambiente che ci circonda: cfr. G. RUFFOLO, Il capitalismo ha i giorni contati, Einaudi, 2008; ID., La qualità sociale. Le vie dello sviluppo, Laterza, 1985; P. BEVILACQUA, La terra è finita. Breve storia dell’ambiente, Laterza, 2011; ID., Nuovi saperi per una società sostenibile, 2012; E. MORIN, L’anno I dell’era ecologica, Armando Editore, 2007; U. MATTEI-L. NADER, Il saccheggio, Milano, 2010; F. CAPRA-U. MATTEI, The Ecology of Law, BK, 2015. (10) Un altro pacchetto di grande rilievo in materia ambientale è il Pacchetto 20-20-20 approvato il 6 aprile 2009 dal Consiglio europeo con cui si è previsto il raggiungimento entro il 2020 di una riduzione del 20% delle emissioni di CO2, un aumento del 20% della quota di energia prodotta dalle fonti rinnovabili e un miglioramento del 20% dell efficienza energetica (la tecnica della legislazione per pacchetti è stata seguita di recente in settori in cui si erano resi necessari interventi sistematici si pensi ad es. al pacchetto sulla tutela dei dati personali, al quarto pacchetto ferroviario, al pacchetto antiterrorismo, al pacchetto lavoro etc.). (11) Si tratta della modifica di sei direttive tutte in materia di rifiuti: la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE; la direttiva sugli imballaggi 94/62/CE; la direttiva sulle discariche 31/1999/CE; la direttiva sui RAEE 2012/19/UE; la direttiva sui veicoli a fine vita 2000/53/CE e la direttiva sulle pile e accumulatori 2006/66/CE. 166 FRANCESCO DE LEONARDIS in materia di rifiuti favorisce l equivoco di pensare che si tratti di una riforma che riguarda un ambito specifico, quello del diritto dell ambiente (12), e al suo interno, di un settore ancora più specifico, quello dei rifiuti (13) e che, dunque, in sintesi l economia circolare “sia un qualcosa di collegato con i rifiuti”. Ma si anticipa fin d ora di non poter condividere una tale lettura: l economia circolare, come si vedrà, va ben oltre e non si esaurisce nella tematica dei rifiuti e della loro corretta gestione ma addirittura impone una riflessione sul modello di sviluppo che l Europa si sta proponendo (14) con una necessaria e conseguente ridefinizione dei ruoli oltre che della società civile (cittadini, consumatori e imprese) anche, e soprattutto, dei tradizionali poteri dello Stato, a partire dal potere legislativo (europeo, nazionale e regionale), dell amministrazione, nei suoi vari livelli e dei giudici ordinari (civile e penale) e amministrati. Si dimostrerà ancora una volta che il diritto ambientale costituisce, come più volte è stato messo in evidenza, una punta avanzata dell ordinamento, un laboratorio in cui si verificano in anticipo eventi che poi riguardano l intero ordinamento (15). (12) Sul punto vedi innanzittutto i due trattati fondamentali in materia: R. FERRARA-M.A. SANDULLI, Trattato di diritto dell’ambiente, Giuffrè, 2014 e E. PICOZZA P. DELL ANNO, Trattato di diritto dell’ambiente, Cedam, 2012. Tra i manuali più diffusi: G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, 3 ed., Giappichelli, 2015; P. DELL ANNO, Manuale di diritto ambientale, 4 ed., Cedam, 2003; B. CARAVITA DI TORITTO (a cura di), Diritto dell’ambiente, Il Mulino, 2016. Tra i manuali stranieri cfr. ad es. J. HOLDER-M. LEE, Environmental Protection, Law and Policy, 2 ed., Cambridge University Press, 2007; S. BELL-D. MCGILLIVRAY, Environmental Law, 7 ed., Oxford University Press, 2008. (13) Per un primo inquadramento della materia dei rifiuti, cfr. P. DELL ANNO, Manuale di diritto ambientale, IV ed., Cedam, 2003; si consenta poi di rinviare a F. DE LEONARDIS, Rifiuti, in G. ROSSI, a cura di, Diritto dell’ambiente, Torino, 2015, 308 ss.. Vedi anche: R. FERRARA, M.A. SANDULLI, diretto da, Trattato di diritto dell’ambiente, Milano, 2014, passim; E. PICOZZA-P. DELL ANNO, Trattato di diritto dell’ambiente, Padova, 2014, passim; F. PERES, Rifiuti, in A.L. DE CESARIS, S. NESPOR, Codice dell’ambiente, Milano, 2011, 165 ss.; N. LUGARESI, S. BERTAZZO, a cura di, Nuovo codice dell’ambiente, Rimini, 2009; A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, Roma-Bari, 2008. (14) In questo senso anche il bel contributo di M. MELI, Oltre il principio chi inquina paga: verso un’economia circolare, cit., 64. Sulle modifiche in senso sociale e ambientale del sistema europeo si rinvia alla nota 85. (15) In tal senso P. DELL ANNO, Ambiente (diritto amministrativo), in Trattato di diritto dell’ambiente (a cura di E. Picozza-P. Dell’Anno), Cedam, 2012, 285. ECONOMIA CIRCOLARE 167 Ed è proprio la ridefinizione dei ruoli dei poteri pubblici che l economia circolare impone, che potrebbe portare alla creazione di un vero e proprio nuovo modello di Stato “circolare”, che andrebbe ad affiancarsi alle tradizionali nozioni di Stato liberale, di Stato di polizia o di Stato del benessere (16). Ad esso si potrà, però, pervenire solo dopo aver definito e scomposto il concetto di economia circolare che ne costituisce la base ed evidenziato gli interessi fondamentali che in tale modello trovano tutela. 2. La definizione dell’economia circolare: la scomposizione nelle “tre prospettive”. La definizione di economia circolare non è semplice non solo perché essa costituisce il coagulo di interessi diversi e perché i suoi singoli tratti evidenziano aspetti differenti, ma, soprattutto, perché presuppone mutamenti di paradigma e di metodo rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati. Lo stesso principio dello sviluppo sostenibile (17), che potrebbe fondare il paradigma di Stato “sostenibile”, appare, a ben vedere, meno preciso di quello di circolarità perché mentre il primo non contiene espressamente il concetto di “limite”, il secondo, invece, su di esso è strutturalmente fondato (18). Come in molti altri ambiti anche l economia circolare trova il (16) Sulle varie modellizzazioni dello Stato-istituzione cfr. T. MARTINES, Diritto costituzionale, IV ed., 1986, 151 ss. (17) Si tratta dello sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri (vedi Rapporto Bruntland, Our common future). Sul principio dello sviluppo sostenibile v. F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile: la voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Ed. Scientifica, 2010; ID., Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in RQDA, 2010; M. MONTINI, Profili di diritto internazionale, in Trattato di diritto dell’ambiente, (a cura di) E. Picozza-P. Dell Anno, Cedam, 2012, 37; P. SANDS, Principles of International Environmental Law, II ed., Cambridge, Cambridge University Press, 2003, 252; M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, Giappichelli, 2007, 44. (18) Sul concetto di limite molto importanti sono le riflessioni contenute nell enciclica Laudato sii di Papa Francesco. 168 FRANCESCO DE LEONARDIS suo fondamento nei diritti nazionali (19) e poi, grazie all incoraggiamento del diritto internazionale (20), viene compiutamente riconosciuta e favorita dal diritto europeo (21). Il concetto cui essa si ispira è quello per cui i modelli economici (e, come vedremo, anche quelli istituzionali) devono seguire i suggerimenti che provengono dagli ecosistemi naturali in cui tutto si riutilizza e nulla si perde: l economia dovrebbe mimare e imitare la natura (biomimesi) e, come questa, riconoscere l esistenza di limiti invalicabili che impongono il continuo riutilizzo dei beni (22). Si può dire che mentre l economia lineare è basata su un modello che prevede la produzione di un bene, il suo utilizzo e alla fine l abbandono, e quindi comporta un elevato spreco di risorse con un forte impatto ambientale negativo, nell economia circolare i materiali e l energia utilizzati per fabbricare i prodotti mantengono il loro valore il più a lungo possibile, i rifiuti sono ridotti al minimo e si utilizzano quante meno risorse possibili (23). Una volta accantonata definitivamente la red economy (l economia tradizionale che prende a prestito dalla natura, dall umanità e dai beni comuni senza preoccuparsi di come ripagare il debito se non consegnandolo al futuro e in cui i rifiuti sono (19) Sull esperienza dei consorzi obbligatori si veda di recente C. BARDINI ed altri, Il governo delle gestione delle plastiche nei rifiuti, Cacucci, Bari, 2014. (20) Si pensi all Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e all Alleanza del G7 per l efficienza delle risorse. (21) Nella Strategia europea 2020 che è stata lanciata nel 2010 e che ci dice, in sostanza, verso dove l Europa vuole incamminarsi nel decennio dal 2010 al 2020 (e che segue la Strategia di Lisbona lanciata del 2000, rinnovata nel 2005 e che è rimasta valida sino al 2010) singolarmente non si parla ancora testualmente di economia circolare. (22) Il concetto di “limite” è fondamentale per comprendere la filosofia dell economia circolare: il punto di partenza è che la terra è un sistema finito (con dei limiti fisici) e non infinito, ciò costituisce un dato di fatto e per questo l economia deve essere circolare (con la consapevolezza e il rispetto dei limiti) e non lineare (che non si pone il problema dei limiti fisici del pianeta). Non a caso il settimo programma di azione ambientale della Ue che è stato adottato nel 2013 e che è in vigore sino al 2020 s intitola Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta. (23) Dossier del Senato e della Camera, XVII legislatura, Le proposte sull’economia circolare, Edizione aggiornata, 19 gennaio 2016. Cfr. anche documento Verso un modello d’economia circolare reso disponibile dal Ministro dell Ambiente il 7 dicembre 2017. ECONOMIA CIRCOLARE 169 considerati delle res derelictae), si è passati dalla green economy che è quella che richiede alle imprese di investire di più e ai consumatori di spendere di più per preservare anche l ambiente (ma che vede l ambiente come un “costo”, certamente nobile, ma pur sempre costo per le imprese e, quindi, un aggravio e un peso per l economia) alla blue economy che è, appunto, quella dell economia circolare, che “affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione e il cui scopo non è semplicemente quello di investire di più nella tutela dell ambiente ma invece quello di spingersi verso la rigenerazione” (24) e per la quale l ambiente è un vero e proprio driver dello sviluppo economico e istituzionale (in questo caso l ambiente non viene considerato un costo ma un opportunità ed è ciò che consente alle imprese di fare profitto). Il riferimento alla rigenerazione evidenzia ciò che si è già anticipato ossia che la blue economy, o l economia circolare che dir si voglia, non si esaurisce nella gestione dei rifiuti (anche se, come vedremo, questi ultimi rappresentano una parte imprescindibile di essa) ma si estende ad ambiti assai più ampi. I rifiuti sono, appunto, una parte del “circolo” o del circuito economico ma non il tutto: ciò che rileva veramente è il circolo stesso che è dal punto di vista geometrico, allo stesso tempo, una figura finita (ed ecco il limite) e infinita (perché un punto può percorrere il cerchio all infinito come fa appunto la natura con i propri processi che tendenzialmente sempre si ripetono). Quando, dunque, si sintetizza l economia circolare, come spesso si fa, nel sistema che ha posto stringenti obiettivi di riciclaggio previsti per i prossimi anni (le norme dispongono l obbligo del riciclo del 70% dei rifiuti urbani e dell 80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030), nel divieto di conferimento di discarica dei rifiuti riciclabili (a partire del 2025) e nel decommissioning degli impianti di incenerimento a partire dal 2030 (25) e quando si afferma che l economia circolare consiste nella riduzio(24) G. PAULI, Blue economy 2.0, Ed. Ambiente, 2015, 30. (25) Come nota giustamente M. MELI (Oltre il principio chi inquina paga, cit., 77) tale de-commissioning è stato previsto “non, si badi, per questioni ambientali, ma perché tali impianti sono fisiologicamente destinati a sottrarre materiale utile”. 170 FRANCESCO DE LEONARDIS ne degli scarti alimentari (26) ci si riferisce a “parte del tutto” ma non al “tutto” (27). Orbene, ben sapendo che nella figura geometrica del cerchio per definizione non c è un inizio e una fine, si ritiene che per comprendere il concetto di economia circolare lo si debba necessariamente scomporre in tre prospettive: la prima è quella che la mette in relazione con l ordine di priorità con il quale devono essere gestiti i rifiuti (economia circolare come sovrapposizione alla cd. gerarchia dei rifiuti); la seconda è la prospettiva che parte dalla fine, dal fine vita del prodotto, dalla sua tomba e che guarda alle materie prime di risulta (economia circolare come nuovo modo di approvvigionamento di materie prime); la terza è quella che parte dall inizio della vita dei prodotti, dalla loro origine che è quella, forse più innovativa e meno conosciuta, della bioeconomia (economia circolare come progettazione ecocompatibile e biobased di prodotti compostabili (28)). Non vi è ovviamente ordine di priorità tra le tre prospettive perché, in un approccio circolare, si può partire indifferentemente (26) In questo senso l art. 4 bis della proposta di direttiva rifiuti stabilisce la gerarchia dei rifiuti alimentari che si applica in ordine di priorità nella normativa e nella politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti e che così si articola: “a) prevenzione alla fonte; b) recupero degli alimenti commestibili, dando priorità all uso umano rispetto agli alimenti animali e al ritrattamento per ottenere prodotti non alimentari; c) riciclaggio organico; d) recupero di energia; e) smaltimento. 2. Gli Stati membri forniscono incentivi per prevenire i rifiuti alimentari, ad esempio mettendo a punto accordi volontari, agevolando la donazione di prodotti alimentari o, se del caso, adottando misure finanziarie o fiscali”. (27) Alla definizione di tali percentuali si è pervenuti a seguito di un percorso assai accidentato: nel primo pacchetto si prevedeva che si dovesse riciclare il 70% dei rifiuti urbani e l 80% degli imballaggi nonché il divieto totale di conferimento in discarica entro il 2030; nella seconda proposta della Commissione tali percentuali erano state abbassate al 65% e al 75% con una percentuale massima di smaltimento in discarica del 10%; tali percentuali erano state approvate dalla Commissione Ambiente del Parlamento europeo il 24 gennaio 2017 e sono state nuovamente riportate al 70% e 80% nel testo approvato dal Parlamento il 14 marzo 2017. (28) Fin d ora è importante precisare che dal punto di vista giuridico il concetto di biodegradabilità è un concetto inutile in quanto non fa riferimento al tempo. Tutto è biodegradabile in milioni di anni. Quando nel concetto di biodegradabilità si inserisce la componente tempo si ottiene il concetto di “compostabilità” che fa riferimento al dissolvimento di un materiale per il 90% della sua massa in 180 giorni (secondo lo standard internazionale EN 13432 del 2002). ECONOMIA CIRCOLARE 171 dall una o dall altra e tutte sono ugualmente necessarie in un ottica di totale interconnessione e integrazione. 3. ll primo significato: l’economia circolare e i rifiuti. La prima prospettiva è quella da cui è partito il processo di formazione del diritto europeo (e la stessa opinione pubblica) e tende ad identificare l economia circolare con il sistema della gerarchia dei rifiuti (29). Si è già detto che si tratta di una prospettiva che, isolatamente considerata, perviene ad un risultato se non inesatto, quanto meno parziale. Quando si parla comunemente di economia circolare, infatti, normalmente si tende a considerare un singolo prodotto nel momento del suo fine vita e, conseguentemente, si identifica l economia circolare come la piena e definitiva consapevolezza che l ultimo stadio della gerarchia dei rifiuti non può e non deve essere lo smaltimento ossia la dispersione dei rifiuti nell ambiente (pur trattandosi dell ambiente controllato costituito dalle discariche) ma il loro riciclaggio o recupero. Ecco dunque i contenuti che si sono innanzi citati: gli obiettivi di riciclo dei rifiuti urbani e degli imballaggi (il 70% dei rifiuti urbani e l 80% degli imballaggi dovranno essere riciclati entro il 2030); il divieto di conferimento in discarica (entro il 2030 non potrà essere conferito in discarica più del 5% dei rifiuti); l obbligo della raccolta differenziata dell organico (30); la diminuzione dei (29) Sul punto P. DELL ANNO, Disciplina della gestione dei rifiuti, in Trattato di diritto dell’ambiente (a cura di) E. Picozza-P. Dell Anno, cit., 201; F. DE LEONARDIS, Principio di prevenzione e novità normative in materia di rifiuti, in Studi in onore di A. Romano, vol. III, Ed. Scientifica, 2011. (30) In questo senso cfr. considerando 20 della proposta di direttiva rifiuti 98/2008 per cui “affinché negli Stati membri aumentino le percentuali di rifiuti urbani preparati per il riutilizzo e riciclati, è di fondamentale importanza che sia rispettato l obbligo di istituire sistemi di raccolta differenziata per carta, metalli, plastica, vetro, tessili e rifiuti organici (n.d.r. in corsivo l aggiunta rispetto al testo attualmente vigente)” e nello stesso senso il considerando 20 ter (“(...) gli Stati membri dovrebbero garantire che i rifiuti organici siano raccolti separatamente e sottoposti a riciclaggio organico in modo da assicurare un livello elevato di protezione ambientale nonché rifiuti in uscita che soddisfano pertinenti standard di qualità”). 172 FRANCESCO DE LEONARDIS rifiuti alimentari (questi dovranno essere diminuiti al 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030). Questo primo significato di economia circolare si può, quindi, sintetizzare nell equazione per la quale l economia circolare non è altro che un modo più raffinato di affermare il divieto di smaltimento in discarica (ma a tali conclusioni perveniva già la prima direttiva rifiuti addirittura nel 1975...) (31). In quest ottica l interesse cui è finalizzata l economia circolare è soltanto quello della tutela dell ambiente: lo sforzo del legislatore degli ultimi anni (il primo pacchetto è solo di tre anni fa), quello di creare un sistema nel quale lo smaltimento in discarica sia il più basso possibile, risponde esclusivamente ad un esigenza ambientale. In questo senso si pronunciava, ad esempio, la “Tabella di marcia verso un Europa efficiente” del 2011 in cui i riferimenti espliciti all economia circolare sono due: il primo è in materia di riutilizzazione di metalli (32) e il secondo che si esprime nella locuzione “ridurre, riusare, riciclare, sostituire, salvaguardare, valorizzare”. In entrambi i punti il concetto di economia circolare potrebbe essere riferito al vecchio lemma per cui “riciclare è meglio che smaltire”. È il Programma di azione ambientale del 2013 (settimo programma di azione ambientale) che, invece, pur mantenendosi ancora fondamentalmente aderente con la sovrapposizione del concetto di economia circolare con quello di gerarchia dei rifiuti, inizia ad ampliare la portata del concetto di economia circolare. Nel settimo programma di azione ambientale (33) si legge che l economia circolare è collegata fondamentalmente con l assenza (31) Significativa è la pronuncia della Corte dei Conti, sez. Liguria, 27 maggio 2013, n. 83 che ha condannato per danno erariale amministratori e responsabili del servizio di raccolta di alcuni Comuni causato dal maggior costo sostenuto dal Comune per il conferimento in discarica. (32) “Nella transizione verso una gestione sostenibile dei materiali, effettivamente basata sul consumo, o verso un “economia circolare” in cui i rifiuti diventano una risorsa, si giungerà ad un uso più efficiente dei minerali e dei metalli; punto 4.3” (33) Tale programma che prende in considerazione il periodo 2013-2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell Unione europea il 28 dicembre 2013 (decisione n. 1386/2013/UE) sulla base dell espressa previsione dell art. 193, par. 3 TFUE (e quindi con valore pienamente legislativo) ed è entrato in vigore il 17 gennaio 2014. ECONOMIA CIRCOLARE 173 degli sprechi (34) e con l attuazione della gerarchia dei rifiuti (35) ma si inizia ad accennare a nuove politiche in materia di produzione e di consumo (36), con l analisi del ciclo di vita dei prodotti (37), con politiche equilibrate di incentivi economici, fiscalità (34) “Nel 2050 vivremo bene nel rispetto dei limiti ecologici del nostro pianeta. Prosperità e ambiente sano saranno basati su un economia circolare senza sprechi, in cui le risorse naturali sono gestite in modo sostenibile e la biodiversità è protetta, valorizzata e ripristinata in modo tale da rafforzare la resilienza della nostra società. La nostra crescita sarà caratterizzata da emissioni ridotte di carbonio e sarà da tempo sganciata dall uso delle risorse, scandendo così il ritmo di una società globale sicura e sostenibile” (punto 1). (35) Al punto 40 si legge che “trasformare i rifiuti in una risorsa, come invocato nel quadro della tabella di marcia verso un Europa efficiente nell impiego delle risorse, richiede una piena applicazione della legislazione unionale sui rifiuti in tutta l Unione, basata su un applicazione rigorosa della gerarchia dei rifiuti e che disciplini i diversi tipi di rifiuti. Sono pertanto necessari ulteriori sforzi per ridurre la produzione di rifiuti pro capite e la produzione di rifiuti in termini assoluti. Per raggiungere gli obiettivi di efficienza nell uso delle risorse, è altresì necessario limitare il recupero energetico di materiali non riciclabili, dismettere le discariche di rifiuti riciclabili o recuperabili, garantire un riciclaggio di elevata qualità laddove l uso del materiale riciclato non ha complessivamente impatti negativi sull ambiente e la salute umana, e sviluppare dei mercati per materie prime secondarie. I rifiuti pericolosi dovranno essere gestiti in modo tale da minimizzare gli effetti dannosi per la salute umana e l ambiente, così come concordato in occasione di Rio + 20. Per raggiungere tale proposito è auspicabile che in tutta l Unione si ricorra in maniera più sistematica a strumenti di mercato e ad altre misure che favoriscano la prevenzione, il riciclaggio e il riutilizzo, compresa la responsabilità ampliata del produttore, mentre andrebbe sostenuto lo sviluppo di cicli di materiali non tossici. È opportuno rimuovere gli ostacoli alle attività di riciclaggio nel mercato interno dell Unione e riesaminare gli obiettivi esistenti in materia di prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero e di alternative alla discarica per progredire verso un economia « circolare » basata sul ciclo di vita, con un uso senza soluzione di continuità delle risorse e rifiuti residui che sia quasi inesistente”. (36) Nell ambito dell obiettivo prioritario 2 (che è quello di “trasformare l Unione in un economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell impiego delle risorse, verde e competitiva”) al punto 35 dell ultimo programma di azione ambientale si legge che “alcuni strumenti di politica esistenti in materia di produzione e di consumo sono di portata limitata. Vi è la necessità di un quadro che fornisca segnali adeguati ai produttori e ai consumatori per promuovere l efficienza nell uso delle risorse e l economia circolare. (37) “Saranno adottate misure volte a migliorare ulteriormente la prestazione ambientale di beni e servizi sul mercato dell Unione nel corso del loro intero ciclo di vita, comprese iniziative che mirano ad aumentare l offerta di prodotti sostenibili per l ambiente e a stimolare una transizione significativa nella domanda di tali prodotti da parte dei consumatori”. 174 FRANCESCO DE LEONARDIS ambientale e divieti di commercializzazione (38) e con politiche di informazione per i consumatori (39). Tutto ruota però ancora fondamentalmente intorno alla disciplina dei rifiuti e in particolare alla gerarchia dei rifiuti stessi (40): ancora una volta l economia circolare viene considerata in fondo come un affermazione nuova (più di moda se si vuole) del divieto di smaltimento in discarica e per tale motivo si legge, sempre nel settimo programma quadro, “si sta procedendo a un riesame della legislazione in vigore sui prodotti e i rifiuti, compreso un riesame dei principali obiettivi delle principali direttive sui rifiuti, basandosi sulla tabella di marcia verso un Europa efficiente nell impiego delle risorse, così da orientarsi verso (38) “Ciò sarà raggiunto grazie ad una combinazione equilibrata di incentivi per i consumatori e per gli operatori economici (comprese le PMI), nonché di strumenti di mercato e norme finalizzati alla riduzione degli impatti ambientali delle proprie operazioni e dei propri prodotti”. (39) “I consumatori dovrebbero ricevere informazioni precise, facilmente comprensibili e affidabili sui prodotti che acquistano, attraverso un etichettatura chiara e coerente, anche in relazione alle asserzioni ambientali. È opportuno ottimizzare gli imballaggi per ridurre al minimo gli impatti ambientali nonché sostenere modelli commerciali efficienti nell uso delle risorse come i sistemi di prodotto-servizio, compreso il leasing di prodotti. La legislazione sui prodotti in vigore, tra cui figurano le direttive sulla progettazione ecocompatibile e sull etichettatura energetica nonché il regolamento sull Ecolabel saranno riviste con l obiettivo di migliorare la performance ambientale e l efficienza nell impiego delle risorse dei prodotti nel corso del loro intero ciclo di vita e di affrontare le disposizioni in vigore attraverso un quadro politico e legislativo più coerente per la produzione e il consumo sostenibili nell Unione. Questo quadro supportato da indicatori del ciclo di vita dovrebbe affrontare la frammentazione e i limiti della portata dell attuale acquis in materia di consumo e produzione sostenibili (CPS), e identificare e, se necessario, colmare le lacune in termini di politica, incentivi e legislazione per garantire che siano fissati requisiti minimi relativi alla performance ambientale dei prodotti e dei servizi”. (40) Nel settimo programma si legge che l attuazione della legislazione dell Unione in materia di rifiuti “richiederà anche l applicazione della gerarchia dei rifiuti in conformità della direttiva quadro sui rifiuti e un uso efficace degli strumenti e di altre misure di mercato per garantire che: le discariche siano limitate ai rifiuti residui (vale a dire non riciclabili e non recuperabili) (...); il recupero energetico sia limitato ai materiali non riciclabili (...); i rifiuti riciclati siano usati come fonte principale e affidabile di materie prime per l Unione, attraverso lo sviluppo di cicli di materiali non tossici; i rifiuti pericolosi siano gestiti responsabilmente e che ne sia limitata la produzione; i trasporti di rifiuti illegali siano sradicati, con il supporto di un monitoraggio rigoroso e i rifiuti alimentari siano ridotti”. ECONOMIA CIRCOLARE 175 un economia circolare e far sì che gli ostacoli presenti sul mercato interno alle attività di riciclaggio ecocompatibili siano rimossi” (41). Se l economia circolare si limitasse a questo, come si è visto, essa non costituirebbe altro che un doppione del principio della gerarchia dei rifiuti che da tempo si trova affermato (da ultimo anche nell art. 4 della direttiva 2008/98 e nell art. 179 d.lgs. n. 152/2006): dato che i rifiuti sono uno dei fattori di pressione dell ambiente più elevati, ridurre lo smaltimento significa ipso facto tutelare l ambiente. Non a caso nella comunicazione della Commissione del 2014 si legge che “alcune politiche e alcuni strumenti dell UE offrono già mezzi e incentivi in linea con il modello di economia circolare. La gerarchia dei rifiuti, su cui è impostata la legislazione unionale sui rifiuti, sta gradualmente portando all adozione delle soluzioni preferite, ossia la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, e scoraggia il collocamento in discarica”. Se è vero che guardando al fine vita del prodotto, il sistema dell economia circolare è collegato direttamente con quello della gestione dei rifiuti e, in particolare, con la piena attuazione della cd. gerarchia per la quale lo smaltimento è l ultima ratio, l ultima delle soluzioni possibili, è anche vero che se si riducesse a questo l economia circolare essa non ci direbbe nulla di nuovo dal momento che, come si è ricordato, già nella prima direttiva rifiuti, la direttiva 442/75/CEE, si prevedeva che lo smaltimento fosse solo l ultima soluzione possibile e che in questa direzione si sono mosse tutte le direttive successive in materia di rifiuti (particolarmente la direttiva 98/2008/CE). Ma la cd. gerarchia dei rifiuti non è l unico punto di intersezione e/o sovrapposizione tra l economia circolare e i rifiuti: dato che in un ottica di economia circolare inevitabilmente si tende al riutilizzo al fine di dimunuire i rifiuti anche le nozioni di sottoprodotti (42) e di cessazione della qualifica di rifiuto o “End of (41) Punto 43 (VIII) che si conclude con l affermazione per cui “è necessario che si organizzino campagne pubbliche di informazione in vista di una maggiore consapevolezza e comprensione della politica in materia di rifiuti nonché per stimolare un cambiamento di comportamento”. (42) Su tale nozione si veda l art. 184 bis d.lgs. n. 152/2006 e, di recente, il D.M. MATTM 13 ottobre 2016, n. 264 (« Regolamento recante criteri indicativi per 176 FRANCESCO DE LEONARDIS waste” e della responsabilità del produttore verranno ad essere inevitabilmente considerate in un ottica nuova. Mentre in passato, al fine di tutelare l ambiente, la tendenza era quella di ampliare il più possibile la nozione di rifiuto (si può dire che prevalesse il partito del cd. tutto rifiuto) ricomprendendo in essa praticamente ogni tipo di fattispecie, progressivamente si è fatta strada la tendenza opposta che ha portato, da una parte, ad escludere dal novero dei rifiuti, a particolari condizioni, varie sostanze ed oggetti aventi valore economico e direttamente riutilizzabili (i cd. sottoprodotti) e, dall altra, a far uscire dal novero dei rifiuti sostanze che in precedenza erano state qualificate come tali (cd. cessazione della qualifica del rifiuto o end of waste o materie prime secondarie). Per quel che riguarda i sottoprodotti (altrimenti definiti come prodotti connessi, intermedi, secondari o derivati) che sono i prodotti non direttamente ricercati nel processo di produzione (i residui di produzione non voluti) è nota l evoluzione della giurisprudenza comunitaria che è passata da posizioni di assoluta chiusura (43) (per le quali la nozione di rifiuto non esclude le agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti ») e la nota del 30 maggio 2017 con la quale è stata trasmessa la Circolare ministeriale di chiarimento sull applicazione del predetto decreto ministeriale. In dottrina cfr. E. POMINI, Il punto sui “sottoprodotti”: la certezza del riutilizzo, in Riv. giur. amb., 2012, 6, 753 ss.; F. VANETTI, Terre e rocce da scavo e altri materiali: rifiuti o sottoprodotti?, in Riv. giur. amb., 2011, 6, 803 ss.; D. FRANZIN, La Corte Costituzionale e la definizione di rifiuto: nuovo capitolo di una complessa vicenda di illegittimità comunitaria, in Cass. pen., 2011, 1, 117 ss.; L. PRATI, La nuova definizione di sottoprodotto ed in trattamento secondo la “normale pratica industriale”, in www.ambientediritto.it.; ID., I sottoprodotti dopo il recepimento della direttiva 2008/ 98/CE, in Riv. giur. amb., 2011, 549; G. LAGEARD, M. GEBBIA, Soluzione “sottoprodotto”: scelta a rischio contestazione per il produttore del residuo, in Ambiente e sviluppo, 2011; S. ANILE, Rifiuti, sottoprodotti e Mps: commento ai nuovi articoli 184 bis e 185 ter, in Rifiuti, 2011, 38; L. RANACCI, I sottoprodotti all’esame della Corte Costituzionale, in Giur. merito, 2007, 1088; N. DE SADELEER, Rifiuti, prodotti e sottoprodotti: la Corte di Giustizia delle Comunità europee e le decisioni dei giudici nazionali in Gran Bretagna, Francia e Belgio, in Quaderni giuridici della Rivista giuridica dell’ambiente, Giuffrè, 2006. (43) Corte Giust., 28 marzo 1990, C-359/88 Vessoso e Zanetti; Corte Giust., 10 maggio 1995, C-442/92, Commissione/Germania; Corte Giust., 25 giugno 1997, C-304/95 Tombesi; Corte Giust., 18 dicembre 1997, Inter Environment Wallonie; Corte Giust., 15 giugno 2000, C-418/97 Arco. ECONOMIA CIRCOLARE 177 sostanze e gli oggetti suscettibili di utilizzazione economica) al vero e proprio riconoscimento della nozione di sottoprodotti (44). Si potrebbe dire che se il residuo di una produzione (o di consumo) ha un valore economico e può essere riutilizzato senza trattamenti, esso “debba” essere considerato come un normale prodotto e non come un rifiuto dal momento che qualificarlo come rifiuto potrebbe rendere più difficile il suo “reinserimento” nel ciclo produttivo. La nozione di sottoprodotto che, com è noto, è stata riconosciuta, dopo la citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, da una comunicazione del 21 febbraio 2007, dal legislatore europeo nella direttiva 98/2008 (45), dal legislatore nazionale con l art. 12 d.lgs. 205/2010 che ha introdotto nel d.lgs. n. 152/2006 l art. 184 bis (46) e che viene ampiamente applicata dalla giurisprudenza (47), in realtà, non è altro che un istituto di economia circolare ante litteram. Essa, però, nonostante il suo positivo avanzamento, resta tuttora riferita ai residui di produzione mentre in una completa ottica di economia circolare potrebbe e dovrebbe essere estesa anche a quelli di consumo: così, ad esempio, una bottiglietta in Pet, la classica bottiglietta dell acqua minerale ma non solo, nonostante il suo valore economico tende ad essere considerata ancora un rifiuto anche nelle ipotesi in cui sia valorizzata (48). (44) Corte Giust., 18 aprile 2002, C-9/00 Palin Granit; Corte Giust, 11 settembre 2003, C-114/01, Avesta Polarit Chrome; Corte Giust., 11 novembre 2004, C-457/02, Niselli; Corte Giust., 15 gennaio 2004, C-235/02, Saetti e Frediani. (45) Considerando 22 e 47 e art. 5. (46) Per il quale i requisiti del sottoprodotto sono: origine da un processo di produzione (residuo di produzione); certezza dell utilizzo da parte del produttore o di terzi; assenza di trattamenti diversi dalla normale pratica industriale; conformità alla legge dell ulteriore utilizzo. (47) Cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 8 aprile 2015, n. 498; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 7 gennaio 2015, n. 22; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 16 dicembre 2013, n. 1115; TAR Trentino Alto Adige, Sez. I, 4 dicembre 2013, n. 392; Cass. Pen., Sez. III, 23 ottobre 2013 n. 46243, in Dir. e giur. agr., 2014, 1-2, 179; Cass. pen., Sez. III, 5 febbraio 2013 n. 28764, in Foro it., 2014, 7-8, 426; TAR Trentino Alto-Adige, Trento, Sez. I, 2 novembre 2011 n. 275; Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 2011 n. 4633. (48) In questo senso si può richiamare la pronuncia del Tribunale di S. Maria Capua Vetere 7 gennaio 2009, n. 1343 nella quale si è sostenuto che la nozione di rifiuto è improntata al criterio oggettivo della « destinazione naturale all’abbando- 178 FRANCESCO DE LEONARDIS Ma anche l ipotesi di rifiuto che viene riciclato e torna ad essere materia prima (l End of waste o la materia prima seconda di cui all art. 184 ter d.lgs. n. 152/2006), come si vedrà, nel paragrafo successivo, viene ad essere particolarmente valorizzata e potenziata in un ottica di economia circolare. In conclusione la prospettiva di sostanziale assimilazione tra economia circolare e rifiuti mette in evidenza il fondamentale e necessario collegamento tra economia circolare e rifiuti, ma non esaurisce la portata e i contenuti del concetto di economia circolare: la stessa proposta di direttiva rifiuti 98/2008 di recente approvata afferma testualmente che le misure adottate nell ambito dell economia circolare “presentano tutte azioni che vanno oltre i rifiuti, coprendo l intero ciclo, e dovrebbero non solo guidare il livello di ambizione della legislazione dell Unione in materia di rifiuti, ma anche garantire che siano intraprese azioni ambiziose per chiudere e completare il cerchio” (49). 4. Il secondo significato: l’economia circolare e le materie prime. La seconda prospettiva di lettura dell economia circolare sposta il focus, come anticipato, dal rifiuto in quanto tale alla produzione (e utilizzo) di nuove materie prime mettendo in evidenza che la diminuzione dello smaltimento non è solo finano », condizione questa da intendersi non nel senso civilistico della res nullius o derelicta, cioè disponibile all apprensione di chiunque, bensì di oggetto e di sostanza ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso o destinato a essere dismesso da colui che lo detiene. Così, esulano dall ambito dei rifiuti i beni, le sostanze o i materiali residuali di produzione o di consumo quando gli stessi possano essere e siano effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in un diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento, ovvero subendone uno di lieve entità, e senza recare pregiudizio per l ambiente, ovvero anche quando abbiano subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero (si pensi ad un operazione di mera compattazione di bottigliette in PET utilizzate per l acqua minerale o per altre bevande o, comunque, ai contenitori per liquidi in PET sempre più utilizzati per il latte, l olio, l aceto etc. che potrebbero essere facilmente recuperati da apposite macchine ecocompattatrici che realizzando una raccolta selettiva consentirebbe il riciclaggio bottle to bottle). (49) Considerando 28 quater direttiva rifiuti 98/2008. ECONOMIA CIRCOLARE 179 lizzata ad eliminare rifiuti per l ambiente ma anche (e soprattutto) alla produzione di materie prime di seconda generazione (definite con espressione, brutta ma efficace, “materie prime seconde” (50)). Nei primi considerando della proposta di modifica della direttiva rifiuti di recente approvata si legge “in considerazione della dipendenza dell Unione dalle importazioni di materie prime e del rapido esaurimento di una parte significativa delle risorse naturali nel breve termine, una sfida essenziale consiste nel recuperare quante più risorse possibile all interno dell Unione e nel rafforzare la transizione verso un economia circolare”. Dal punto di vista sistematico nella definizione di economia circolare compare un ulteriore interesse, questa volta di natura diversa da quello ambientale, quello della disponibilità di nuove materie prime (soprattutto in un contesto come quello europeo in cui le materie prime sono scarse). In questo caso si guarda al fine vita del prodotto non tanto sotto il profilo ambientale quanto piuttosto sotto il profilo economico: il riciclo viene visto non tanto come il modo in cui si producono meno rifiuti quanto piuttosto come la modalità per la quale il prodotto torna ad essere alla fine una vera e propria materia prima di risulta. In questa seconda prospettiva l interesse all utilizzo dei rifiuti come materie prime discende dall esigenza di miglior approvvigionamento di queste ultime: mentre nell economia di tipo lineare il consumo di un prodotto genera rapidamente ed esclusivamente un rifiuto secondo lo schema “prendi, produci, usa e getta”, in quella di tipo circolare il prodotto che costituisce il rifiuto di qualcuno si rigenera diventando risorsa per qualcun altro. Ecco dunque il passaggio dei rifiuti da esternalità negative, da (50) Attualmente l art. 184 ter d.lgs. n. 152/2006 si riferisce alle materie prime seconde con l espressione cessazione della qualifica di rifiuto o end of waste (“un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l utilizzo della sostanza o dell oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull ambiente o sulla salute umana”). 180 FRANCESCO DE LEONARDIS costi, da oneri per il sistema a vere e proprie risorse, beni, ricchezze del sistema con tutte le conseguenze, giuridiche ed economiche, che ciò comporta. L attenzione verso l approvvigionamento di materie prime era molto evidente già nella proposta di direttiva della Commissione 2014 (COM) 397 contenente il cd. primo pacchetto di direttive sull economia circolare (che venne negoziata dall allora Commissario UE all Ambiente J. Potocnik nel luglio 2014) che era accompagnata dalla comunicazione “verso un economia circolare: programma per un Europa a zero rifiuti” (Towards a circular economy: a zero waste programme for Europe) e che venne ritirata dalla Commissione il 25 febbraio 2015 in quanto non sufficientemente in linea con gli obiettivi di crescita e occupazione fissati dall agenda Juncker (51). L incipit della comunicazione che accompagna il primo pacchetto sull economia circolare è chiarissimo nel senso che l obiettivo fondamentale è quello dell approvvigionamento di materie prime: “la perdita di materiali preziosi è una costante delle nostre economie. In un mondo in cui la domanda di risorse finite e talvolta scarse non cessa di aumentare, la concorrenza si acuisce e la pressione su queste risorse degrada e indebolisce sempre più l ambiente, l Europa può trarre benefici economici e ambientali dall uso più adeguato di queste risorse (...)”. L obiettivo a cui tende il legislatore europeo non è tanto quello di tutelare l ambiente quanto piuttosto quello di dotarsi di materie prime: “si stima che un uso più efficiente delle risorse lungo l intera catena di valore potrebbe ridurre il fabbisogno di fattori produttivi materiali del 17%-24% entro il 2030, con risparmi per l industria europea dell ordine di 630 miliardi di euro l anno. Secondo studi commissionati da imprese e basati sulla modellizzazione a livello di prodotti, adottando approcci fondati sull economia circolare l industria europea potrebbe realizzare notevoli risparmi sul costo delle materie e innalzare potenzialmente il PIL dell UE fino al 3,9%, attraverso la creazione di nuovi mercati e nuovi prodotti e grazie al relativo valore per le aziende”. (51) Su di essa sono intervenute due risoluzioni del Senato italiano, quella del 7 ottobre 2014 n. 74 e quella del 19 novembre 2014 n. 80 e con essa venivano posti obiettivi molto ambiziosi dal punto di vista ambientale. ECONOMIA CIRCOLARE 181 Del resto dato che le risorse, in particolare le materie prime essenziali, sono per lo più concentrate al di fuori dell Unione europea l industria e la società europea dipendono dalle importazioni e sono sempre più vulnerabili all aumento dei prezzi, alla volatilità dei mercati e alla situazione politica dei paesi fornitori, l utilizzo di materie prime seconde significa indipendenza dai paesi terzi e maggiore autonomia dell economia europea. I dati che corredano il secondo pacchetto di economia circolare sono impressionanti: l UE importa sei volte tanto materiali di quanti riesce ad esportarne (il 50% di più degli USA) e in particolare importa il 60% dei combustibili fossili e dei metalli. E, si noti, tali materiali importati hanno registrato una variazione di prezzo del 300% nel periodo tra il 1998 e il 2011. Non a caso si è detto che l economia europea costituisce un “sorprendente” modello di spreco di valore con il suo sistema di produzione e smaltimento: l Europa perde circa il 95% del materiale e del valore energetico e recupera solo il 5% degli originali valori delle materie prime. In sostanza l Europa utilizza materiali una volta sola. L equazione in questa seconda prospettiva di scomposizione del concetto di economia circolare non è più soltanto ambientale ma può essere riassunta nella formula: economia circolare=disponibilità di materie prime alternative. Gli stessi dossier del Senato e della Camera affermano testualmente “la transizione verso un economia circolare risponde dunque ad una logica tanto ambientale quanto economica” (52). Non si tratta solo di allentare le pressioni sull ambiente con ricadute positive sugli ecosistemi, la biodiversità e la salute umana (si pensi che, come recita uno dei primi considerando, “un maggiore impegno per la transizione verso un economia circolare potrebbe determinare una riduzione delle emissioni di gas serra del 2-4% l anno), ma per le imprese di realizzare risparmi sulle spese per i materiali (fino al 25%); di aumentare l occupazione e il lavoro (si è calcolato un potenziale di 3 milioni di posti di lavoro in più) e di ridurre conseguentemente la disoccupazione”. Il collegamento tra economia circolare e rifiuti è, comunque, ancora forte: quando un prodotto raggiunge la fine del suo ciclo di (52) Dossier, 2016, cit., 14. 182 FRANCESCO DE LEONARDIS vita, le relative risorse, grazie ad un riutilizzo e/o ad un riciclo sempre più spinto, restano all interno del sistema economico, in modo da poter essere riutilizzate più volte a fini produttivi e creare nuovo valore (c.d. utilizzo a cascata delle risorse): è questo il concetto di materia prima seconda o di end of waste in precedenza tratteggiato. Per poter realizzare il passaggio ad un economia circolare occorre, quindi, intervenire in tutte le fasi della catena del valore: dall estrazione delle materie prime alla progettazione dei materiali, dalla produzione alla distribuzione e al consumo dei beni, dai regimi di riparazione, rifabbricazione e riutilizzo alla gestione e al riciclaggio dei rifiuti (prodotti progettati ab initio partendo da materiali post consumo riciclati come, ad esempio, al processo di riciclo a ciclo chiuso bottle to bottle). Gli interessi tutelati sono, in questa prospettiva, chiaramente due: quello ambientale (attuando il modello i rifiuti tendono a diminuire o addirittura a scomparire) e quello economico (attuando il modello si recuperano materie prime che in Europa tradizionalmente scarseggiano). 5. Il terzo significato: l’economia circolare e la bioeconomia. La terza prospettiva è quella più innovativa (e forse la più importante) ed è quella che mette in evidenza che il tema dell economia circolare riguarda non solo la fine vita dei prodotti ma anche il loro “inizio vita”, la loro origine e, da questo punto di vista, come vedremo, essa fa proprio il diverso e innovativo modello di sviluppo economico le cui basi si trovano nella scuola di pensiero nota come Ecological Economics (53). Non si tratta, in questo caso, quindi, di utilizzare meglio quello che si è già usato (il riciclaggio della seconda prospettiva) ma, (53) N. GEORGESCU-ROEGEN, Energia e miti economici, Torino, Bollati Boringhieri, 1998; ID., Bioeconomia. Verso un’altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; K. BOULDING, Evolutionary Economics, Beverly Hills, 1981; P. DASGUPTA, Povertà, ambiente e società: il ruolo del capitale naturale e del capitale sociale nello sviluppo economico, Il Mulino, 2007; R. COSTANZA (a cura di), Ecological Economics, Columbia University Press, 1991; E. TIEZZI, Che cos’è lo sviluppo sostenibile. La basi scientifiche della sostenibilità e i guasti del pensiero unico, Donzelli, 1999; H. DALY, Lo stato stazionario, Sansoni, Firenze, 1981. ECONOMIA CIRCOLARE 183 soprattutto, di rendersi conto di quello che la natura offre e che (forse) non sappiamo di avere, di usarlo e di farlo “ritornare” alla natura. La vera novità è proprio costituita dalla “riscoperta” di quelle materie prime che abbiamo e non sappiamo di avere: si tratta della cd. bioeconomia con la quale si apre un vero e proprio nuovo mondo che porta l economia circolare molto lontano dal tema dei rifiuti (lo tocca solo sul versante del rifiuto organico) e, invece, la avvicina a un modello assai diverso di sviluppo economico e, conseguentemente, di Stato. Mentre i passaggi essenziali che si sono delineati sinora sono costituiti dalla disciplina dei rifiuti, dalla disponibilità di materie prime seconde e dai nuovi prodotti realizzati con queste ultime, sul versante della bioeconomia siamo di fronte ad uno scenario completamente diverso: si parte dall agricoltura, dalla disponibilità di materie prime in loco e si arriva ai rifiuti (solo tangenzialmente si potrebbe dire), per poi tornare di nuovo all agricoltura. Si tratta della cd. bioeconomia (54) a cui si riferisce il considerando 4 septies della proposta di nuova direttiva rifiuti (“la promozione di una bioeconomia sostenibile può contribuire a ridurre la dipendenza dell Europa dalle importazioni di materie (54) Per una bibliografia essenziale sulla bieconomia cfr. Clever Consult Bvba, The Knowledge Based Bioeconomy (Kbbe) in Europe: Achievements and Challenges, Brussels, 2010; R. ESPOSTI, Knowledge, Technology and Innovations for a Bio-based Economy: Lessons from the Past, Challenges for the Future. Bio-based and Applied Economics, 2012, 231-264; ID., Conoscenza, tecnologia e innovazione per un’agricoltura sostenibile: lezioni dal passato, paradossi del presente e sfide per il futuro, in Agriregionieuropa, 2013, n. 32; EuropaBio, Building a Bio-based Economy for Europe in 2020, EuropaBio Policy Guide, Brussels, 2011; European Commission, Communication from the Commission Europe 2020 A Strategy For Smart, Sustainable And Inclusive Growth, Com(2010) 2020 final, Brussels, 2010; European Commission, Proposal for a Council Decision establishing the Specific Programme Implementing Horizon 2020 - The Framework Programme for Research and Innovation (2014-2020), Com(2011) 811 final, Brussels, 2011; European Commission, Innovating for Sustainable Growth: a Bioeconomy for Europe, Brussels, 2012; European Commission, Commission staff working document accompanying the document “Communication on Innovating for Sustainable Growth: a Bioeconomy for Europe”, Brussels, 2012; Oecd, The Bioeconomy to 2030: Designing a Policy Agenda, Paris, 2009; M. SCHMID, S. PADEL, L.LEVIDOW, The Bio-Economy Concept and Knowledge Base in a Public Goods and Farmer Perspective. Bio-based and Applied Economics, 2012, 47-63. 184 FRANCESCO DE LEONARDIS prime”) e la Strategia italiana sulla bioeconomia di recente approvata (55). L idea di fondo del legislatore europeo (che per ora riferisce il modello agli imballaggi ma che potrebbe essere ampliata a molti altri materiali) è quella di “sostituire le materie prime ottenute utilizzando combustibili fossili con fonti rinnovabili per la produzione di imballaggi, ove vantaggioso in una prospettiva basata sul ciclo di vita, e di sostenere maggiormente il riciclaggio organico”. Per capire la bioeconomia occorre partire dal fatto che attualmente per produrre cibo o materiali in genere (si pensi alla plastica tradizionale che deriva in gran parte dal petrolio) ed energia si parte fondamentalmente da fonti fossili: nel momento in cui tali beni venissero prodotti da fonti rinnovabili (ad es. da colture agricole, foreste, animali e micro-organismi terrestri e marini) si otterrebbero notevoli vantaggi non solo dal punto di vista ambientale ma anche di indipendenza energetica con conseguenti vantaggi per lo sviluppo economico. Per questo attualmente, più di quaranta nazioni in tutto il mondo propongono azioni e strategie per rafforzare le loro bioeconomie e la dimensione di tali strategie è in forte ascesa (56) anche dal punto di vista economico (57): si pensi che è stato stimato che circa il 40% dei prodotti chimici potrebbe teorica- (55) La Strategia italiana sulla bioeconomia è stata promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è stata presentata a Roma il 20 aprile 2017. (56) Nel 2014 le esportazioni mondiali nel settore della produzione agricola e delle foreste, nel settore alimentare, della bioenergia, della biotecnologia e della chimica verde ammontavano a circa 2.000 miliardi di dollari USA, ovvero il 13% del valore del commercio mondiale, con un incremento del 3% rispetto al 2007 [Communiqué of the Global Bioeconomy Summit. Making Bioeconomy Work for Sustainable Development (2015); Beate El-Chichakli et al., 2016, Nature]. (57) In Europa, la bioeconomia ha già raggiunto un valore di 2.000 miliardi di euro di fatturato annuo con più di 20 milioni di posti di lavoro (Strategy for “Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe”, EC, 2012) e si prevede una crescita, in termini di valore di mercato, di ulteriori 40 miliardi di euro e 90.000 nuovi posti di lavoro nel 2020 (“Growing the European Bioeconomy” Third Bioeconomy Stakeholders’ Conference, Torino, EC, 2014). Inoltre, l industria alimentare è la prima per dimensione all interno dell UE ed è ancora potenzialmente in espansione, con nuovi mercati ed industrie che stanno emergendo nei settori alimentare e non-alimentare, sia nuovi che tradizionali. ECONOMIA CIRCOLARE 185 mente essere prodotto mediante il ricorso a fattori rinnovabili (58). Ecco che per bioeconomia si intende quell insieme di attività economiche connesse all invenzione, sviluppo, produzione e uso di prodotti e processi a base biologica all interno di alcuni macrosettori: quello agroalimentare, le foreste, la bioindustria e la bioeconomia marina. Questi settori presentano due caratteristiche distinte ma complementari: la prima è relativa alla produzione basata su materie prime rinnovabili, la seconda al riuso e riciclo di rifiuti biologici. Non a caso il secondo pacchetto sull economia circolare ha identificato tra le aree prioritarie, la plastica, i rifiuti alimentari, la biomassa e i prodotti biobased. Per capire cosa significa biobased si può partire dal dato di fatto che ci sono quattro tipologie di prodotti: quelli che in origine derivano da fonti fossili e che al momento del loro fine vita restano fossili (si pensi alla plastica tradizionale); quelli che in origine derivano da fonti rinnovabili (biobased) ma il cui fine vita è quello dei prodotti fossili (si pensi all etanolo); quelli che in origine derivano da fonti fossili ma diventano alla fine rinnovabili o compostabili e, infine, quelli che in origine derivano da fonti rinnovabili (biobased) e che nel loro fine vita sono compostabili. In sintesi un prodotto può essere rinnovabile esclusivamente nella sua origine (perché viene realizzato ad esempio a partire da una pianta), solo nel suo fine vita (perché al momento del suo fine vita si comporta come si comporterebbe un rifiuto organico) o in entrambi ossia rinnovabile sia perché “costruito” a partire da materie prime rinnovabili (per questo il prodotto si definisce biobased) sia perché nel suo fine vita si comporta come un residuo organico (per questo il prodotto si definisce compostabile). Quest ultima tipologia di prodotti (biobased e compostabili), che sono i veri prodotti “circolari”, costituisce l obiettivo principale a cui la bioeconomia punta: una rinnovabilità che si colloca sia all origine che alla fine del prodotto. Quando si riescono a produrre composti chimici, materiali e plastiche (appunto bioplastiche biobased), biocombustibili/bioenergia (biometano), biolubrificanti, mangimi e fertilizzanti, co(58) Intesa Sanpaolo-Assobiotec “Report on Bioeconomy in Europe”, December 2015. 186 FRANCESCO DE LEONARDIS smetici e prodotti farmaceutici a partire da risorse biologiche a base di lignocellulosa, amido, proteine e grassi che nel loro fine vita si comportano come un residuo organico i vantaggi della bioeconomia si realizzano in pieno. Innanzitutto il graduale passaggio, nell ambito dei processi produttivi, dall utilizzo di risorse non rinnovabili a quelle rinnovabili è tale da limitare la pressione ambientale sugli ecosistemi e potenziarne il valore ai fini della loro conservazione, non solo per il loro valore intrinseco o quello collegato ai servizi ecosistemici, che sono soluzioni “naturali” per contrastare i cambiamenti climatici e il rischio idrogeologico, ma in quanto fonte di servizi rilevanti anche per l economia. In secondo luogo la possibilità di utilizzare i residui di tali prodotti in modo tale da reimmetterli nel circuito produttivo come compost o nella produzione di energia. In altre parole il potenziamento delle attività produttive derivanti da fonti rinnovabili può facilitare la gestione dei rifiuti, in quanto tali fonti sono maggiormente riassimilabili. Ovviamente la bioeconomia implica la possibilità di ridurre la dipendenza da risorse scarsamente disponibili. Per realizzare un “sistema” di bioeconomia sono necessari parecchi tasselli: è necessario un sistema industriale (59) che offra gli input e le conoscenze necessarie per la produzione dei materiali e che realizzi gli impianti in cui si producano i materiali di base (le cd. bioraffinerie); un sistema agricolo che offra le materie prime al sistema industriale a prezzi competitivi (60); un sistema di trattamento dei rifiuti organici attraverso processi di digestione anaerobica o compostaggio e il trattamento delle acque reflue urbane, agricole e bio-industriali che consenta di restituire alla (59) La chimica basata su risorse biologiche è uno dei settori in cui il nostro Paese è leader in un contesto altamente tecnologico con grossi investimenti privati, rilevanti progetti di riconversione di siti industriali colpiti dalla crisi in bioraffinerie per la produzione di prodotti biodegradabili e da fonte rinnovabile. (60) In tale quadro la disponibilità di materiale prime biologiche a prezzi competitivi a livello locale è un requisito fondamentale per una bioeconomia fiorente. Ciascuna regione italiana si caratterizza per una propria specificità nel paesaggio agricolo e naturale, nella biodiversità delle piante coltivate, della fauna e dei servizi ecosistemici, e per una diversa tradizione culturale; le regioni italiane sono particolarmente motivate a mantenere vitali le economie rurali e a conservarne la loro specificità. ECONOMIA CIRCOLARE 187 natura ciò che da essa proviene (61); un sistema di pubblici poteri che consenta, favorisca, imponga tutto questo e lo faccia in tempi compatibili con le necessità industriali ed agricole. Simul stabunt simul cadent, si potrebbe dire: se manca uno solo dei tasselli, tutto il sistema viene meno. Quindi mentre nel modello tradizionale di sviluppo si produce, si immettono al consumo beni e servizi e si cerca poi di attenuare il più possibile l impatto negativo dei residui di tali beni e servizi sull ambiente; il modello dell economia circolare, in questa terza prospettiva, è radicalmente diverso perché il legislatore impone di progettare dall inizio beni e servizi pensando alla materia prima con cui sono prodotti, al modo con cui sono prodotti e al loro fine vita. Come si legge nella comunicazione della Commissione del 2014 “in una logica di economia circolare, i prodotti sono progettati in modo da prevederne fin dall inizio la destinazione una volta che diventano rifiuti e l innovazione è al centro di tutta la catena di valore, invece di cercare le soluzioni praticabili alla fine del ciclo di vita”. In questa prospettiva l approccio è chiaramente “integrato” dal momento che l interesse alla tutela dell ambiente e lo sviluppo vanno di pari passo e gli step da seguire sono i seguenti (in primis sul versante dell agricoltura e dell industria): individuazione delle specie (identificazione di colture autoctone, piante, alghe) e delle biomasse più adatte a livello locale (coltivazioni dedicate a basso impatto o aree marine non fragili) ad essere utilizzate nei processi di bioraffineria, limitando le emissioni di gas climalteranti associati all uso del suolo; condivisione dei benefici derivanti dall utilizzo di risorse genetiche locali; identificazione ed uso di terreni economicamente marginali e/o contaminati, prevenendo l uso eccessivo del suolo e dei paesaggi naturali, in linea con le politiche internazionali in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, per non distrarre il capitale naturale dalla fornitura (61) In questo senso il considerando 20 bis della proposta di direttiva rifiuti 98/2008 per il quale “un uso più efficiente dei rifiuti urbani potrebbe costituire un incentivo importante alla catena di approvvigionamento della bioeconomia. In particolare, una gestione sostenibile dei rifiuti organici offre la possibilità di sostituire le materie prime ottenute utilizzando combustibili fossili con fonti rinnovabili per la produzione di materiali e prodotti primari”. 188 FRANCESCO DE LEONARDIS di altri servizi ecosistemici preziosi e sinergici con le politiche regionali e locali; promozione dell uso efficiente delle biomasse (attingendo ogni valore possibile da fonti rinnovabili a partire dai componenti di alimenti e mangimi, attraverso la produzione di materiali ed il recupero del contenuto energetico dei prodotti al termine del ciclo di vita); costruzione di nuove filiere produttive con il mondo agricolo e forestale, assicurando condizioni competitive nei processi di produzione di biomasse per tutti i partecipanti alla filiera; focus sui prodotti di origine forestale con ecoetichettature certificate, preferibilmente da filiere locali. Dall agricoltura e dall industria si arriva, quindi, necessariamente ai rifiuti e in particolare al “rifiuto organico” che non a caso costituisce uno dei perni del secondo pacchetto di economia circolare (di cui per la prima volta si usa l aggettivazione “compostabile” (62)) e alla nozione di riciclaggio organico (63). Il rifiuto organico rileva non solo per le sue dimensioni quantitative (64) ma soprattutto per il fatto che attualmente tali flussi di rifiuti sono solo parzialmente valorizzati e per lo più eliminati nelle discariche, con ingenti costi esterni ed impatti ambientali negativi e che invece potrebbero essere la “conseguenza” di prodotti di tipo circolare. (62) Articolo 3, punto 4 della proposta di direttiva 2008/98/CE. (63) Articolo 3, punto 17 della proposta di direttiva 2008/98/CE che lo richiama e che successivamente lo si definisce come “riciclaggio sotto forma di trattamento aerobico o anaerobico o di un altro trattamento delle parti biodegradabili dei rifiuti, con produzione di prodotti, materiali o sostanze; il trattamento meccanico-biologico e l interramento in discarica non sono considerati una forma di riciclaggio organico”. (64) Si consideri che tra i rifiuti organici prodotti in Italia si annoverano quelli derivanti da produzioni primarie di origine vegetale (cosiddette “di campo”, quali paglia da cereali, cime e foglie di canna da zucchero, circa 10 milioni di tonnellate/ anno) ed animale (circa 130 milioni di tonnellate/anno), unitamente ai sottoprodotti ed ai rifiuti derivanti dalla trasformazione primaria di biomasse di origine alimentare e dai processi alimentari, quali ad esempio bucce, gusci, ecc. (circa 15 milioni di tonnellate/anno). Esistono, inoltre, residui di prodotti di origine forestale “di campo” (ad esempio: cime e rami — fino al 40% delle biomasse di origine forestale fuori terra) e residui di lavorazioni primarie derivanti da segherie o cartiere (ad esempio segatura, trucioli, liscivio/liquor nero — circa 11,5 milioni di tonnellate/anno). Infine, last but non least la frazione organica dei rifiuti urbani raccolti nel Paese è superiore ai 5,7 milioni di tonnellate annue, pertanto pari a circa il 43% del volume complessivo di rifiuti organici urbani prodotti dopo il 2014. ECONOMIA CIRCOLARE 189 Sono proprio tali rifiuti, generati dai prodotti biobased (o che potrebbero essere i sottoprodotti o gli effluenti dell industria agro-alimentare), che potrebbero costituire una fonte consistente e a buon mercato di sostanze chimiche e materiali a base biologica, insieme a substrati per produzioni biotecnologiche “tagliate su misura” che, a loro volta, possono fornire prodotti di valore aggiunto: chimica fine, materiali e combustibili a base biologica. Come si vede mentre altre politiche di sviluppo possono essere realizzate “per segmenti” la bioeconomia esige, si potrebbe dire strutturalmente, un approccio sistemico: non avrebbe senso un agricoltura dedicata se non vi fossero bioraffinerie; non avrebbero senso le bioraffinerie se non vi fosse a monte un agricoltura che fornisse le materie prime; non avrebbe senso un sistema del genere se non vi fosse un sistema di raccolta del rifiuto organico e di suo riutilizzo mediante compostaggio. La realizzazione di un sistema di questo tipo esige un coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali, della società civile e, in primis, dei consumatori che devono essere messi in grado di riconoscere i prodotti circolari, di poterli preferire ai prodotti più costosi dal punto di vista LCA. Il legislatore ha chiarito che perché si vinca la sfida di “reintegrare economia, società e ambiente”, non sarà sufficiente impiegare semplicemente le biomasse per applicazioni industriali o utilizzare materie prime rinnovabili al posto di quelle fossili. Non si tratta soltanto di integrare le conoscenze biologiche nella tecnologia esistente: per vincere la sfida, occorre che la transizione avvenga anche ad un livello sociale, stimolando consapevolezza e dialogo, nonché sostenendo maggiormente l innovazione nelle strutture sociali al fine di promuovere condotte più consapevoli. Una maggiore conoscenza di ciò che si consuma (in particolare dei prodotti alimentari e dei relativi processi) favorirebbe il miglioramento delle condizioni di salute e dello stile di vita delle persone, stimolando una domanda che spinga all innovazione sostenibile da parte delle imprese. Questo processo di transizione nell economia e nella società, perché se ne possa veramente beneficiare, richiede un approccio olistico, e che i cittadini, le imprese e i pubblici poteri diventino i 190 FRANCESCO DE LEONARDIS veri protagonisti della trasformazione sociale che l economia circolare può produrre (65). 6. L’economia circolare tra sistema, prospettiva olistica e integrazione. Si tratta, ed è questa la novità, fondamentalmente di incoraggiare lo sviluppo del sistema economico in una direzione “sostenibile” con un conseguente nuovo ruolo e intervento dei pubblici poteri (proprio come anni orsono la creazione del mercato unico europeo, e prima ancora dei mercati nazionali, ha richiesto un significativo intervento delle istituzioni pubbliche). Questo approccio è chiarissimo nella proposta di ultimo pacchetto di economia circolare, che, dunque, ormai è chiaro, solo ad uno sguardo disattento potrebbe essere considerato come un nuovo insieme di regole sui rifiuti. C è molto di più: c è l aspirazione ad un modello economico diverso; all indipendenza energetica di un continente; al rispetto dei limiti del pianeta e ciò non può non chiamare in causa necessariamente una ridefinizione dei ruoli dei poteri dello Stato. C è una pluralità di interessi in gioco: uno dei considerando della proposta di direttiva rifiuti recita significativamente “il passaggio a un economia circolare presenta numerosi aspetti positivi, di carattere sia economico (ad esempio l ottimizzazione dell uso delle risorse di materie prime), che ambientale (ad esempio la tutela dell ambiente e la riduzione dell inquinamento da rifiuti) e sociale (ad esempio il potenziale occupazionale socialmente inclusivo e lo sviluppo di legami sociali). L economia circolare è in linea con la filosofia dell economia sociale e solidale e l attuazione dell economia circolare dovrebbe in primo luogo consentire di ottenere benefici ambientali e sociali” (66). (65) Un ruolo molto importante potrebbe essere svolto dai Cluster tecnologici nazionali come definiti dal Ministero dell Istruzione, dell Università e della Ricerca nel Piano Nazionale della Ricerca 2015-2020. I Cluster sono stati istituiti per creare piattaforme di dialogo permanente tra la rete della ricerca pubblica e le imprese. I Cluster direttamente collegati alla Bioeconomia (Agrifood, Chimica Verde, Fabbrica intelligente, Crescita Blu ed Energia) costituiscono aree prioritarie di intervento nel quadro del Piano Nazionale della Ricerca. (66) Considerando 14 quinquies proposta direttiva rifiuti 98/2008. ECONOMIA CIRCOLARE 191 Il cambiamento imposto dal concetto di economia circolare, in questo senso, è radicale: siamo abituati a produrre beni e servizi e solo dopo a pensare a cosa fare di ciò che residua da essi mentre dobbiamo progettare i beni e servizi già pensando a che fine faranno, al loro fine vita e dobbiamo pensare a disegnare tali prodotti sulla base delle risorse localmente disponibili (la progettazione ecocompatibile); siamo abituati a ragionare in termini di prezzo mentre dobbiamo ragionare in termini di CO2 (in questa linea vanno il definitivo inserimento delle considerazioni ambientali tra i criteri di aggiudicazione dell appalto di cui all art. 95 d.lgs. n. 50/2016); siamo abituati a ragionare in termini di prodotto mentre dobbiamo ragionare in termini di filiere (in questa linea va la considerazione dei costi di fine vita di cui all art. 96 d.lgs. n. 50/2016); siamo abituati a pensare nel breve periodo mentre dobbiamo pensare nel lungo; in definitiva siamo abituati a ragionare per segmenti mentre l economia circolare è, per definizione, interconnessione. E dunque parlare di economia circolare non è soltanto descrivere l evoluzione della legislazione europea sul punto (67) (i documenti preparatori prima e i due pacchetti sull economia circolare poi) (68), quanto piuttosto valutare il contributo che i poteri tradizionali, legislativo, esecutivo e giurisdizionale, possono dare a questo tema e se tali concetti consentano di definire addirittura un nuovo modello di Stato. 7. I nuovi compiti del legislatore in relazione ai prodotti circolari. Nella prospettiva dell economia circolare sono chiamati in causa praticamente tutti i legislatori dei vari livelli ordinamentali (67) Cfr. ad es. F. PORCELLANA, La virtuosità dell’economia circolare: economia a zero rifiuti, in Aperta Contrada, 2016; M. T. STILE, Da economia lineare ad economia circolare: un percorso in salita, in Dir. com. scambi int., 2015, 263. (68) Tra di essi si vedano ad es. la “Piattaforma europea sull’efficienza nell’impiego delle risorse (EREP) per un’Europa più efficiente nell’impiego delle risorse”, pubblicata il 17 dicembre 2012, e successive raccomandazioni strategiche; la “Relazione d’iniziativa del Parlamento europeo sull’efficienza delle risorse: transizione verso un’economia circolare”, del 25 giugno 2015 e, infine, il “Piano d’azione della Commissione per l’economia circolare” pubblicato il 2 dicembre 2016. 192 FRANCESCO DE LEONARDIS da quello nazionale, a quello europeo ma anche a quello regionale e, ovviamente, a quello globale (69). Se è vero che il primo step è costituito dalla ricerca sia privata che pubblica e che l individuazione di un nuovo prodotto “circolare” parte generalmente dalle imprese (si pensi ad es. ad un polimero degradabile), il primo compito del legislatore è quello di favorire tale percorso di ricerca con un quadro di regole chiare (70) e stabili nel tempo in modo da consentire i necessari investimenti in impianti produttivi (stabilità delle regole). Un secondo compito è quello di definire in modo sicuro e certo il prodotto “circolare” per poterlo identificare: dato che ciò comporta l elaborazione di requisiti tecnici spesso assai complessi, ciò implica che tale attività deve essere svolta inevitabilmente da organismi tecnici di comprovata eccellenza ed indipendenza e i cui risultati devono essere richiamati dal legislatore (71) (richiamo di standards tecnici). Una volta identificato il prodotto scatta la fase legislativa più complessa: dato che spesso tale prodotto “costa” di più dei suoi succedanei — ma solo ad una limitata considerazione dei costi: il discorso infatti cambia se si tiene conto non solo dei costi di acquisto ma di tutti i costi, compresi quelli di gestione e manutenzione, e delle esternalità anche ambientali — occorre “favori(69) A livello globale si consideri che la gran parte dei diciassette Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) perseguiti dall Agenda delle Nazioni Unite è strettamente connessa con l economia circolare: così l obiettivo 2 (porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un agricoltura sostenibile); l obiettivo 7 (assicurare a tutti l accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni); l obiettivo 8 (incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti); l obiettivo 9 (costruire un infrastruttura resiliente e promuovere l innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile); l obiettivo 12 (garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo); l obiettivo 14 (conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile); l obiettivo 15 (proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del suolo e arrestare la perdita di diversità biologica). (70) Cfr. considerando 8 della proposta di modifica della direttiva rifiuti. (71) Un esempio è costituito dallo standard UNI EN 13432 che definisce le condizioni di compostabilità dei sacchetti della spesa e che è richiamato sia dall art. 182 ter del d.lgs. n. 152/2006 che dal d.l. n. 2/2012. ECONOMIA CIRCOLARE 193 re” la sua diffusione sul mercato. Ciò può avvenire con norme che si situano all incrocio tra tutela dell ambiente, tutela del mercato e della concorrenza e che possono prevedere divieti di commercializzazione o di misure economiche (es. tassazione) (72) di prodotti che verdi non siano al fine appunto di “incoraggiare il mercato” nella direzione del prodotto verde (tassazione o divieti dei prodotti non circolari). Si tratta di un applicazione del principio della responsabilità estesa del produttore con la quale s intende “l obbligo individuale imposto al produttore di essere responsabile della gestione del fine vita dei prodotti che immette sul mercato” (73). La logica è quella per la quale se immetto al consumo un prodotto circolare (che produce meno CO2, che si trasforma in compost, che può essere riciclato) dovrei essere favorito dal sistema normativo. È molto interessante il passaggio dall ottica del potere a quella del dovere al riguardo: mentre nel testo della direttiva attualmente vigente, a proposito della EPR si afferma che “gli Stati membri possono (n.d.r. corsivo) adottare misure appropriate per incoraggiare una progettazione dei prodotti volta a ridurre i loro impatti ambientali (...)”, nella nuova direttiva si dice “gli Stati membri adottano (n.d.r. corsivo) misure appropriate che incoraggino i produttori a migliorare la progettazione dei prodotti e dei relativi componenti al fine di accrescere l efficienza delle risorse, ridurre i loro impatti ambientali (...)”. Peraltro, sempre a proposito dell EPR, si prevede che “gli Stati membri designano o istituiscono un autorità indipendente incaricata di sorvegliare l attuazione degli obblighi in materia di responsabilità estesa del produttore e, nello specifico, di verificare l osservanza, da parte delle organizzazioni competenti in materia di responsabilità del produttore, degli obblighi di cui alla presente direttiva” (previsione di sistemi di EPR). (72) In questa linea si muove il considerando 7 della proposta di direttiva rifiuti 98/2008. (73) Cfr. considerando 8 sexies proposta direttiva rifiuti (“i produttori dovrebbero tuttavia potersi assumere la loro responsabilità a titolo individuale o collettivo. Gli Stati membri dovrebbero garantire l istituzione di regimi di responsabilità estesa del produttore almeno per gli imballaggi, le apparecchiature elettriche ed elettroniche, le batterie e gli accumulatori nonché i veicoli fuori uso”). Si veda anche l Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015. 194 FRANCESCO DE LEONARDIS L esperienza dimostra, poi, che la previsione di una norma di divieto o di tassazione senza la previsione di sanzioni per chi tali divieti violi o tali tassazioni non rispetti rischia di essere totalmente inefficace (sanzioni). Il sistema con il quale sono congegnate tali sanzioni deve essere tale da incoraggiare gli operatori di polizia ad operare i controlli perché magari una parte dei proventi ad essi vengono indirizzati (distribuzione dei proventi delle sanzioni). Quindi: un legislatore che favorisce la ricerca, riconosce lo standard, prevede un divieto, individua delle sanzioni. Il tutto in tempi che devono essere compatibili con lo sviluppo tecnologico e, dunque, con una legislazione veloce, rapida ed immediata. Una normazione corretta ma lenta appare del tutto incompatibile con lo sviluppo dell economia circolare e degli investimenti che essa comporta. Non solo: la normazione deve essere ovviamente pensata in modo che non violi le norme sulla concorrenza o di tutela del mercato con il rispetto di tutte le norme a tutela di tali interessi previste (favor per la concorrenza). Il legislatore deve poi “costringere” le amministrazioni a dare l esempio, come fa il nuovo codice degli appalti pubblici, ossia ad acquistare prodotti circolari anche se anche in questo caso prevedere che le amministrazioni debbano acquistare verde ma non prevedere quali siano le sanzioni per acquisti posti in essere in violazione della normativa sugli appalti verdi appare un errore grave (favor per i prodotti circolari attraverso appalti verdi). Il legislatore deve necessariamente occuparsi poi di tutto quello che è a monte (agricoltura), e su questo il ruolo del legislatore regionale appare fondamentale (74), e di ciò che, invece, si pone a valle dei prodotti circolari (definizione di rifiuto organico, sua raccolta, sua gestione negli impianti di compostaggio). Si tratta di quella necessaria e indispensabile attività di coordinamento tra i vari livelli legislativi e della creazione di tavoli tecnici in materia che dovrebbe evitare (o quantomeno limitare) (74) Così ad esempio una volta accertato che una determinata coltura agricola costituisce la base per ottenere una molecola chimica utilizzabile per prodotti circolari si dovrebbero intervenire per favorire la diffusione di quella molecola con agevolazioni di vario tipo. ECONOMIA CIRCOLARE 195 il rischio di interventi non coordinati: non avrebbe senso imporre un divieto di commercializzazione di prodotti non circolari e non intervenire sul settore agricolo per ottenere le materie prime dei prodotti circolari o favorire un prodotto circolare se la legislazione in materia di agricoltura non consente di produrre i componenti di quel determinato prodotto. La legislazione in materia di agricoltura dovrebbe mettere le basi per prodotti “a chilometri zero”, poi dovrebbe intervenire la legislazione di “facilitazione” del prodotto finale. Ma anche la legislazione in materia di rifiuti ha un importanza fondamentale. Non avrebbe senso progettare una legislazione agricola da cui si possano trarre i componenti di prodotti circolari; una legislazione di favor per i prodotti circolari e poi non avere un adeguato sistema di raccolta e recupero del rifiuto organico. Quindi legislazione regionale sull agricoltura; legislazione nazionale o regionale in materia di rifiuti; legislazione sulla concorrenza in sinergia le une con le altre e con quella europea e internazionale. Non avrebbe senso, poi, porre obiettivi di riciclaggio spinti se il Paese non fosse dotato delle necessarie infrastrutture o degli impianti di riciclaggio (75) o parlare di riciclaggio se non viene ampliata la nozione di sottoprodotto (che viene sinora predicata solo per i residui di lavorazioni industriali e non per quelli da consumo pur costituendo i rifiuti che derivano dal consumo quantità molto elevate che potrebbero essere riutilizzate come materie prime seconde). 8. L’amministrazione nell’economia circolare: principio di integrazione e “appalti verdi”. Nel quadro dell economia circolare il principio dell azione amministrativa che viene in gioco in modo prioritario, quello che (75) Non a caso nel considerando 3 della proposta di direttiva rifiuti 98/2008 si legge che “molti Stati membri devono ancora dotarsi delle necessarie infrastrutture di gestione dei rifiuti. Per guidare la definizione di misure e le decisioni di investimento è pertanto essenziale stabilire obiettivi strategici di lungo termine e accordare sostegno finanziario e politico che impediscano in particolare di creare un eccesso strutturale delle capacità di trattamento dei rifiuti residui e di relegare materiali riciclabili ai livelli inferiori della gerarchia dei rifiuti”. 196 FRANCESCO DE LEONARDIS potrebbe essere definito come l architrave dell intero edificio dei principi, è il principio di integrazione (76). Si tratta del principio sancito dall art. 11 TFUE (ex articolo 6 del TCE (77)) e dall art. 37 Carta di Nizza per il quale “le esigenze connesse con la tutela dell ambiente devono essere integrate nella definizione e nell attuazione delle politiche e delle azioni dell Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile” e che viene richiamato costantentemente nei vari programmi di azione ambientale europea (78). È il principio che si oppone, quasi strutturalmente, a quello di competenza per il quale, almeno come tradizionalmente inteso, si attribuisce una rigida determinazione degli spazi di azione dei soggetti pubblici e, all interno di ciascuno, dei propri organi (79): mentre il principio di competenza legittima, per così dire, una visione per segmenti, quello di integrazione esige il continuo riferimento al quadro d insieme. (76) Il principio di integrazione è citato nel principio 4 della Dichiarazione di Rio per il quale “al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo”. Su di esso v. L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, cit., 91; M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, cit., 219; P. DELL ANNO, Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, cit., 2004, 75-79 e M. WASMEIER, The integration of environmental protection as a general rule for interpreting community law, in Common Market Law Review, 2001, 159 ss. (77) La norma era stata introdotta nel 1986 dall Atto Unico europeo ed era stata collocata nella parte speciale relativa all ambiente. Era poi stata collocata come art. 6 TCE nel 1997 con l entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (sul punto v. G. CAIA, La gestione dell’ambiente: principi di semplificazione e di coordinamento, 1999, cit., 239). Sull origine dell art. 130 R e le sue varie versioni v. L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, cit., 2002, 89; G. CATALDI, voce Ambiente (tutela dell’), cit., 1. (78) Il principio d integrazione costituiva il cardine intorno al quale girava il quinto programma di azione ambientale (1992-1999) che s intitolava “Per uno sviluppo durevole e sostenibile”; anche il sesto programma fa proprio l obiettivo dell integrazione: “l integrazione delle considerazioni ambientali nelle politiche economiche e sociali è fondamentale” (considerando 9). (79) Vengono alla luce quegli “spostamenti di competenze, di potestà, di diritti e di doveri, all infuori del cerchio rigidamente concluso del legislatore [che] sono all ordine del giorno, e solo per quell abito formalistico così diffuso nella scienza passano generalmente inavvertiti” (G. MIELE, Le situazioni di necessità dello Stato, 1936, cit., 203). ECONOMIA CIRCOLARE 197 Ed è proprio questo che esige il sistema dell economia circolare che si è descritto: il coordinamento e raccordo continuo di una pluralità di amministrazioni (il Ministero dell Agricoltura e le Regioni per quel che riguarda le colture da cui si traggono i componenti dei prodotti circolari; il Ministero dello Sviluppo economico per gli aspetti relativi allo sviluppo dell industria; i Ministeri che si occupano dei rapporti con l Unione Europea; le amministrazioni locali per quel che riguarda il green public procurement o la raccolta differenziata dei rifiuti etc. (80)). Nell ottica dell economia circolare occorre, dunque, completamente rileggere l istituto della competenza alla luce del principio di integrazione e superare l approccio tradizionale per il quale ogni amministrazione persegue il suo interesse specifico a favore di un approccio sistemico che esige la realizzazione, ad esempio, di tavoli e raccordi continui delle amministrazioni che altrimenti rischierebbero di paralizzare il sistema con interventi parziali e disconnessi. L interconnessione dovrebbe realizzarsi anche tra funzioni amministrative attive, consultive e di controllo: come si è detto nessuna norma di favore per i prodotti circolari potrebbe funzionare se non fosse previsto un robusto apparato di organismi di controllo per la repressione dell illegalità (81) e, dunque, non avrebbe senso un sistema che non investa in modo bilanciato anche sul funzionamento delle amministrazioni di controllo. L economia circolare è, dunque, interconnessione, integrazione e interdisciplinarietà dal momento che in essa vengono a (80) Non a caso il considerando 13 ter della proposta di direttiva rifiuti 98/2008 recita “il passaggio a un economia circolare deve essere finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva previsti dalla strategia Europa 2020, con particolare riferimento agli obiettivi legati alla protezione dell ambiente, al passaggio a fonti di energia pulite, allo sviluppo locale sostenibile e all incremento dell occupazione negli Stati membri. Lo sviluppo di un economia circolare dovrebbe di conseguenza promuovere anche il coinvolgimento di soggetti come le piccole e medie imprese, le imprese dell economia sociale, gli enti senza scopo di lucro e le realtà attive a livello regionale e locale nella gestione dei rifiuti, al fine di migliorarne la gestione globale, favorire l innovazione di processo e di prodotto e sviluppare l occupazione nei territori interessati”. (81) Si pensi ad esempio al ruolo del nucleo di tutela mercati della Guardia di Finanza per gli aspetti della contraffazione o al Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri. Allo stesso modo giocano un ruolo importante le ARPA e l ISPRA. 198 FRANCESCO DE LEONARDIS confluire discipline diverse: l etica (con i doveri nei confronti del pianeta e delle generazioni future); la filosofia della scienza (con il cambio dei paradigmi); l economia (con i suoi modelli di sviluppo); le scienze cd. dure (e tra di esse la biologia, l agraria, l ingegneria), il diritto (con le sue regole). Ma uno dei temi di maggiore importanza dal punto di vista dell interconnessione è senz altro quello degli appalti verdi (82): (82) Sul tema la letteratura è ormai veramente vasta. Cfr. AA.VV., Appalti verdi, in Dir. e pratica amm.va speciale, 2013; E. BELLOMO, Il green public procurement nell’ambito della green economy, in Dir. e proc. amm., 2013, 163 ss.; S. BIANCAREDDUG. SERRA, Gli appalti verdi: la soddisfazione di interessi ambientali attraverso le procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, in Giurisdiz. amm.va, 2014, 7/8, 269 ss.; M. BROCCA, Criteri ecologici nell’aggiudicazione degli appalti, in Urbanistica e Appalti, 2003, 2, 168 ss.; T. CELLURA, L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici, Maggioli, Rimini, 2016; M.P. CHITI, I principi, in M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS, R. GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Giuffrè, Milano, 2008, vol. I, 164; M. CLARICH, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Dir. Pubbl., 2007, n. 1, Il Mulino, Bologna, 2007, 219 e ss.; F. DE LEONARDIS, Green Public Procurement: From Recommendation to Obligation, in International Journal of Public Administration, 2011, 34; C. DE ROSE, Gli appalti « verdi » nel diritto dell’Unione Europea: regole preesistenti e regole recentissime, in Il Consiglio di Stato, 2004, 9, 2, 1825; F. DELFINO, Norme di gestione ambientale, commento all art. 44, in R. GAROFOLI, G. FERRARI, Il nuovo Codice degli appalti Pubblici, Hoepli, Milano, 2008, 386; V. FALCO, L’utilizzo di fonti di energia rinnovabili come criterio di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa: la legge austriaca a confronto con l’ordinamento comunitario, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comparato, 2004, 2, 889 ss.; G. FIDONE, Gli appalti verdi all’alba delle nuove direttivi: verso modelli più flessibili orientati a scelte eco-efficienti, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc. 5, 2012, 819; ID., Il codice dei contratti pubblici, in M. CLARICH (a cura di) Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, Giappichelli, Torino, 2010; G. GARZIA, Bandi di gara per appalti pubblici e ammissibilità delle clausole c.d. « ecologiche », in Foro amm. CDS, 2003, 12, 3515; A. GRATANI, La tutela dell’ambiente nel diritto comunitario degli appalti pubblici, in Riv. giur. amb., 2003, 857; C. GUCCIONE - L. PALATUCCI, Profili ambientali nelle procedure ad evidenza pubblica, in P. DELL ANNO - E. PICOZZA (a cura di), Trattato di Diritto dell’ambiente, vol. II, Cedam, Padova, 2013, 727; R.E. IANIGRO, Commento all’art. 2, in R. GAROFOLI, G. DE LISE, Codice degli appalti pubblici e nuova direttiva ricorsi. Tomo I, Nel diritto Editore, Roma, 2009; M. LANCERI, Il green public procurement diventa legge: la legge regionale Puglia 1 agosto 2006, n. 23 e la legge finanziaria per il 2007, in Riv. giur. amb., 2008, 485; M. LOTTINI, Appalti comunitari: sull’ammissibilità di criteri di aggiudicazione non prettamente economici, in Foro amm. - CDS, 2002, 9, 1950; L. MASI, Appalti pubblici e risparmio energetico: un esempio di appalto verde, in Urb. app., 2007, 479; F. SCHIZZEROTTO, I principali provvedimenti europei ed italiani in materia di Green Public Procurement, in Riv. giur.amb., 2004, 6, 96; F. SPAGNUOLO, Il green public procurement e la minimizzazione ECONOMIA CIRCOLARE 199 se si obbligheranno le amministrazioni ad acquistare in modo verde (o, a questo punto, potremmo dire in modo “circolare”) i risultati in termini di tutela dell ambiente saranno immediati. Posto che la p.a. acquista beni e servizi, lo ha sempre fatto e sempre lo farà, e dato che essa rappresenta il “più imponente” cliente del mercato (acquista circa il 20% del totale in Europa), obbligandola ad acquistare solo prodotti o servizi “verdi”/“cicolari” (o da soggetti “verdi”), ciò comporterà che i fornitori si orienteranno a fornire prodotti o servizi rispettosi della tutela dell ambiente non tanto e non solo per motivi ideali (che pure possono esserci e assai spesso effettivamente ci sono) quanto piuttosto per raggiungere i propri obiettivi economici. Quello che si è definito come l “uso strategico” della contrattazione pubblica è tale per cui perseguendo il proprio profitto le imprese lavorano automaticamente (senza volerlo, si potrebbe dire) anche per tutelare l ambiente (o altri interessi come quelli sociali o di innovazione). Ovviamente un tale “uso strategico” dei contratti pubblici va necessariamente accompagnato all ordinario set di misure (anche repressivie e sanzionatorie) per la tutela dell ambiente e, ovviamente, all imprescindibile l opera di educazione ambientale che deve essere svolta a tutti i livelli sulla base dei doveri di solidarietà. Lo sforzo compiuto dal legislatore negli ultimi anni è stato proprio quello di “orientare” l amministrazione a identificare l offerta più vantaggiosa non solo dal punto di vista economico ma anche da quello della considerazione di interessi diversi in primis ecologici in modo tale da indurre il mercato, ispirato da logiche di profitto, a “lavorare” anche per la tutela di interessi diversi. Il legislatore europeo si occupa di appalti verdi nelle direttive attualmente vigenti in materia di appalti pubblici (83): in varie dell’impatto ambientale nelle politiche di acquisto della pubblica amministrazione, in Riv. it. dir. pubb. com., 2006, 397; C. VIVANI, Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement, in Urb. e app., 2016, 8-9, 993; S. VILLAMENA, Appalti pubblici e clausole ecologiche. Nuove conquiste per la « competitività non di prezzo » anche alla luce della recente disciplina europea, in Dir. econ., 2015, 2, 355. (83) La 2014/23/UE sull aggiudicazione dei contratti di concessione; la 2014/ 24/UE sugli appalti pubblici che abroga la 2004/18 e la 2014/25/UE sulle procedure 200 FRANCESCO DE LEONARDIS norme si afferma che gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale per la crescita sostenibile dell Europa (84) in ossequio al principio di integrazione della tutela ambientale in ogni tipo di attività (85). In numerose disposizioni si afferma poi il principio per il quale gli Stati membri possono imporre e applicare misure necessarie alla tutela della salute, della vita umana e animale o alla preservazione dei vegetali e altre misure ambientali nell ottica dello sviluppo sostenibile a condizione che dette misure siano conformi al diritto UE (86). La novità principale delle nuove direttive (poi trasfusa nel nuovo codice dei contratti pubblici entrato in vigore nel 2016 e sottoposto a revisione nel 2017) riguarda la sostituzione del criterio di aggiudicazione al “prezzo più basso” con quello del “costo più basso” che offre la possibilità di valutare le offerte considerando, insieme al prezzo di acquisto, i costi, anche relativi alle esternalità ambientali, connessi al ciclo di vita dell oggetto dell appalto (“Life Cycle Costing” o LCA). Proprio tale riferimento all intero ciclo di vita del prodotto costituisce una diretta conseguenza del sistema dell economia circolare. Anche uno dei primi considerando della proposta di direttiva rifiuti evidenzia il concetto del ciclo di vita affermando che “tuttavia, un adeguata gestione dei rifiuti urbani da sola non basta a stimolare la transizione verso un economia circolare in cui i rifiuti sono considerati una risorsa; per far scattare tale transizione è necessario adottare un approccio ai prodotti e ai rifiuti basato sul ciclo di vita”. Si noti che il legislatore nazionale nel codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) riferisce al tema degli appalti verdi ben d appalto degli enti erogatori nei settori dell acqua, dell energia, dei trasporti e dei servizi postali che abroga la direttiva 2004/17/CE. (84) Così nei considerando 2, 47 e 123 della direttiva appalti 2014/24; nel considerando 4 della direttiva settori speciali 2014/25; nel considerando 3 della direttiva concesssioni 2014/23. (85) Considerando 91 della direttiva appalti 2014/24. (86) Così nel considerando 41 della direttiva appalti 2014/24; nel considerando 59 della direttiva concessioni 2014/23; nel considerando 56 della direttiva settori speciali 2014/25/UE. ECONOMIA CIRCOLARE 201 dieci norme (87) e tra di esse particolarmente importante appare l art. 34, di recente modificato, per il quale mentre prima l acquisto di prodotti circolari era una mera facoltà per le amministrazioni, oggi si configura come un vero e proprio obbligo. Nell ipotesi in cui un amministrazione violi le norme sui cd. criteri ambientali minimi il contratto da essa concluso dovrà essere considerato invalido e su di esso potrà intervenire anche l ANAC con i propri poteri di cd. autotutela doverosa (88). 9. Il decalogo dell’economia circolare: verso uno Stato “circolare”? Un primo punto di approdo è che il tema dell economia circolare sembra dare nuova linfa alla concezione di chi da tempo ha auspicato il passaggio dell Unione Europea da una dimensione mercantile ad un altra più ampia di carattere politico-sociale ma, appunto, non solo (89). (87) Le norme sugli appalti verdi sono in particolare: gli artt. 4 (“l affidamento dei contratti pubblici nei settori esclusi... avviene nel rispetto dei principi di.... tutela dell ambiente”) e 30 (“il principio di economicità può essere subordinato...alla tutela dell ambiente”); l art. 34 (“criteri ambientali minimi”); l art. 38 (“applicazione di criteri di sostenibilità ambientale” come requisiti premianti ai fini dell inserimento nel sistema di qualificazione istituito presso l ANAC); l art. 68 (“specifiche tecniche”); l art. 69 (“etichettatura”); l art. 87 (“certificazione delle qualità”); l art. 93 (“garanzie per la partecipazione alla procedura”); l art. 95 (“criteri di aggiudicazione dell appalto”) e l art. 96 (“costi del ciclo di vita”). (88) Ci si riferisce all art. 211, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 che è stato abrogato dal correttivo del 2017 ma, a quanto risulta, sta per essere reinserito. La norma dispone: “qualora l ANAC, nell esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all articolo 36 del presente decreto. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell articolo 120 del codice del processo amministrativo”. (89) Cfr. ad esempio A. LUCARELLI, Scritti di diritto pubblico dell’economia, Ed.Scientifiche, 2016; ID., Crisi della democrazia e funzione sociale dei beni pubblici 202 FRANCESCO DE LEONARDIS Si tratta di prendere consapevolezza che il sistema europeo sta lentamente ma progressivamente virando da un diritto costruito esclusivamente a tutela dei mercati e della concorrenza ad un diritto che si occupa anche di diritti fondamentali, di correzione delle disuguaglianze (si pensi al principio di coesione politico territoriale di cui all art. 36 Carta dei diritti fondamentali e nell art. 14 TFUE) e, appunto, di tutela dell ambiente. Un tale viraggio emerge in modo evidente nell azione politica sia del Parlamento europeo che interviene sempre di più (e sempre più spesso) per rendere più “verdi” normative che contribuiscono anche allo sviluppo economico del continente sia della Corte di Giustizia all azione della quale, come si è ricordato, si deve lo sviluppo del diritto ambientale europeo; è forse meno presente nella Commissione che spesso continua a sposare logiche più tradizionali (come dimostra la vicenda dell evoluzione del pacchetto sull economia circolare in cui gli obiettivi da essa proposti sono stati poi corretti in senso più verde dal Parlamento). Una seconda conclusione su cui l economia circolare ci porta a riflettere è che occorre passare “dai settori ai sistemi” non solo dal punto di vista economico ma anche da quello istituzionale: se nella trama del tessuto economico, e ancor prima sul piano della natura, la parola d ordine è interconnessione (90) creando catene del valore più lunghe, sostenibili e integrate sui territori ciò non può non avvenire sul versante istituzionale, dove le azioni dei diversi attori pubblici e privati devono essere integrate e si devono evitare nel modo più assoluto gli interventi segmentati. Se è vero che l istituzione segue la società, allora ad una società interconnella prospettiva costituzionale, in Diritto e società, 2016, 483; ID., Per un diritto pubblico europeo dell’economia: fondamenti giuridici, in Rass. Diri. pubbl. eur., 2016, 5; T. PROSSER, The limits of competion law: markets and public services, Oxford studies in european law, 2005; J. DREXL, Competition Law as a Part of the European Constitution, in A. VON BOGDANDY, J. BAST (a cura di), Principles of European Constitutional Law, 2006, 660; R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di), L’Europa dei diritti, Bologna, 2001. (90) Il collegamento e interconnessione si dovrebbe riscontrare tra i principali settori della bioeconomia, dalla produzione di risorse biologiche (ad esempio agricoltura, allevamento, acquacoltura, selvicoltura, risorse marine), alla loro trasformazione e produzione di beni finali (ad esempio industria alimentare e bevande, del legno e della carta, cuoio e tessile, chimica, farmaceutica e dell energia). ECONOMIA CIRCOLARE 203 nessa non può che corrispondere un sistema istituzionale di tipo integrato, condiviso e interdisciplinare. Dato che l intera catena del valore è importante (produzione della materia prima, raffinazione, applicazione del prodotto e suo consumo) e dato che i settori si influenzano a vicenda, vi è una crescente necessità di una gestione integrale della catena del valore e di un approccio olistico di sistema: di ciò non può non tener conto il piano giuridico-istituzionale. Anche sul versante delle interazioni tra i tre poteri e all interno di ognuno di essi si devono esplorare modelli organizzativi diversi che consentano di superare le prospettive settoriali. Un terzo punto di arrivo è che la legislazione sull economia circolare evidenzia che occorre creare “valore dalla biodiversità locale e dalla circolarità”: partire da ciò che si ha, valorizzarlo (rifiuti biologici, terreni agricoli, aree industriali abbandonate) invece di cercare ciò che non si ha o che non c è. Occorre passare ad un economia sostenibile “a chilometri zero” e ciò si ottiene spostandosi dall utilizzo delle risorse non-rinnovabili a quelle rinnovabili in loco e evitando il sovrasfruttamento delle risorse rinnovabili (tassi di raccolta non superiori ai tassi di rigenerazione naturale). Il quarto insegnamento è che occorre passare dal concetto di rifiuto come un onere, ad una prospettiva per la quale i rifiuti sono una ricchezza, una miniera di materiali preziosi che sarebbe sciocco disperdere. E visto che ormai il quadro non è più quello per il quale i rifiuti sono un problema da risolvere ma una risorsa da sfruttare, è presumibile pensare che nei prossimi anni, data l apertura di nuovi mercati, vi sarà un deciso avanzamento di ruolo dell Autorità garante della Concorrenza e del Mercato. E tale intervento dell Autorità dovrà essere sempre più penetrante e stringente dal momento che le logiche di partenza sono ancora, purtroppo, quelle monopolistiche. Il quinto insegnamento è quello del tempo: la prospettiva dell economia circolare esige, da una parte, il superamento degli orizzonti di breve termine in favore di quelli di lungo termine superando il cd. short terminism e, dall altra, un sistema istituzionale che sappia dare risposte in tempi rapidi compatibili con gli investimenti e gli orizzonti industriali. Dal punto di vista legislativo, ad esempio, non appare tolle- 204 FRANCESCO DE LEONARDIS rabile che una disciplina su prodotti circolari (le buste per la spesa che devono essere nel nostro paese obbligatoriamente riutilizzabili o compostabili) impieghi più di un decennio per essere effettivamente operativa (91). A livello amministrativo tanto per fare un esempio, non ha molto senso implementare una raccolta differenziata se poi non c è un sistema di impianti in grado di gestire ciò che viene raccolto in modo differenziato. Dunque, ancor prima di sviluppare una raccolta differenziata occorre pensare agli impianti che dovranno trattarla e, se non sono sufficienti, occorre favorirne la realizzazione anche mediante una conclusione rapida dei procedimenti autorizzatori. Il rispetto dei termini di conclusione del procedimento diventa tanto più importante quanto più si prende consapevolezza che il singolo impianto fa parte di un sistema (92). Il sesto insegnamento è che per ottenere tutto ciò occorre passare attraverso un impegno politico più ampio e coerente, investimenti in ricerca e innovazione, istruzione, formazione e comunicazione, un migliore coordinamento tra gli stakeholder e le politiche comunitarie, nazionali e regionali, un maggior impegno nel dialogo tra società civile, impresa e potere pubblico e azioni su misura per lo sviluppo del mercato. Il settimo insegnamento è quello relativo agli istituti: non ci si può nascondere che il passaggio all economia circolare non può che incidere fortemente su istituti tradizionali come quello della competenza, sul principio di circolazione delle merci (93), sulla (91) La prima legge sulle buste della spesa è la finanziaria del 2006, ad essa sono seguiti poi gli interventi del 2012 (in cui si chiarivano i requisiti tecnici dei prodotti circolari), quello del 2014 (che ha imposto sanzioni per chi non rispetta la disciplina), del 2015 a livello europeo (la direttiva 72/2015) e del 2017 sul recepimento della direttiva art. 9 bis d.l. n. 91/2017 convertito dalla legge 3 agosto 2017, n. 123. (92) In questa linea in termini di fornitura di fonti energetiche pulite e di garanzia di conservazione a lungo termine delle risorse naturali e dei sistemi ecologici si muove il Decreto Ministeriale 9 ottobre 2013, n. 139 che semplifica le procedure autorizzative e le relative caratteristiche delle bioraffinerie di seconda e terza generazione. (93) Sui rapporti tra libera circolazione delle merci e tutela dell ambiente cfr. ad es. D. CASALINI, Il sindacato di proporzionalità sulle deroghe nazionali alla libera circolazione delle merci disposte per ragioni di tutela ambientale, in Foro amm.-CDS, 2006, 25; A. GRATANI, Il fondamento giuridico degli atti comunitari in materia ambientale. La priorità della tutela dell’ambiente rispetto alla libera circolazione delle ECONOMIA CIRCOLARE 205 nozione di rifiuto, sulla tutela della concorrenza, sugli acquisti verdi (94), sulle energie rinnovabili, sul rapporto con il territorio, sullo stesso concetto di proprietà del rifiuto. Si tratta di riconfigurare il principio della libera circolazione delle merci prevedendo che possono liberamente circolare, si perdoni il gioco di parole, solo le “merci circolari”; si tratta di prevedere sistemi di divieti e di tassazione; si tratta di rivedere la nozione di rifiuto ampliando quella di sottoprodotto (che deve derivare dai beni di consumo e non solo dai residui industriali); si tratta di consentire prodotti che usino solo risorse locali e scoraggiare quelli che usano risorse che arrivano da lontano sapendo che ciò potrebbe essere tacciato di protezionismo; si tratta di prendere atto che si è aperto un mercato di nuovi beni e che occorre superare i concetti di monopolio, riserve, privativa, etc....queste sono alcune delle conseguenze (giuridiche) dell economia circolare! L ottavo insegnamento è quello che attiene all aspetto sociale: l economia circolare mostra i limiti di un economia globalizzata e solo finanziaria animata solo dal profitto e che ha perso di vista la qualità della vita della maggioranza delle persone e del capitale naturale (95). Gli effetti del modello economico dominante dalla fine del ventesimo secolo e la prima decade del ventunesimo sono evidenti: ricchezza immensa per pochi e povertà assoluta per la gran parte delle persone con le conseguenze di violenza, abusi, manmerci, in Riv. giur. amb., 1995, 284; R. RINALDI, Libera circolazione delle merci e protezione ambientale nell’Unione europea, in Dir. comm. int., 1996, 565; M. MONTINI, Commercio e ambiente: bilanciamento tra tutela ambientale e libera circolazione delle merci nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Dir. com. scambi int., 2002, 429. (94) La subordinazione del principio di economicità alla tutela ambientale di cui all art. 2 d.lgs. n. 50/2016; l obbligo di inserire clausole ecologiche tra le specifiche tecniche per alcune tipologie di materiali di cui all art. 34 d.lgs. n. 50/2016. (95) In questo senso molto importanti sono i contributi di P. MADDALENA, Gli inganni della finanza: come svelarli, come difendersene, Donzelli, 2016 e ID., Il territorio bene comune degli italiani: proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Donzelli, 2014 e la stessa enciclica Laudato sii di Papa Francesco su cui M. BERTOLISSI, La Laudato si come fatto normativo, in Riforme: opinioni a confronto. Giornata di studi in ricordo di L. Paladin, 2015, 49 ss.; R. MOLESTI, L’enciclica Laudato si e il pensiero economico ambientale contemporaneo, in Nuova economia e storia, 2015, 7 e M. SERIO, Laudato si: l’Enciclica della crisi per un diverso modello della crescita, in Nuova economia e storia, 2015, 99. 206 FRANCESCO DE LEONARDIS canze di rispetto anche per l eredità naturale che abbiamo ricevuto. Il nono insegnamento è quello della necessità di standard: le caratteristiche tecniche dei prodotti circolari devono essere definite in modo chiaro, da istituti autonomi, indipendenti ed affidabili; tali standard devono essere fatti propri dal legislatore e, soprattutto, se ne deve esigere il rispetto attraverso un attenta politica di controlli ambientali. Il decimo insegnamento è quello che occorre imitare la natura che si adatta e cambia gradualmente, che non è rigida, che sa adattarsi. Se è vero che tali indicazioni, spunti e riflessioni portano alla creazione di un vero e proprio modello di Stato che dopo lo Stato liberale e quello sociale, potrebbe essere definito come lo “Stato circolare”; le considerazioni svolte portano, tuttavia, a ritenere che la strada da percorrere è ancora lunga: la mentalità e i gli abiti culturali dominanti sono i grandi veri ostacoli nel processo di ridisegno dei modelli di produzione e di consumo e del quadro istituzionale secondo quanto l economia circolare richiede. Forse non si è ancora pronti a vincere le resistenze che il sistema inevitabilmente oppone e, per questo, si è ancora molto lontani da una vera attuazione di quanto l economia circolare comporta e quindi anche dalla ridefinizione e attuazione dello Stato in senso circolare. Non è un caso che la Commissione europea in uno dei documenti fondamentali sul tema abbia scritto: “perché l economia circolare divenga realtà occorre un impegno a lungo temine a tutti i livelli - Stati membri, regioni, città, imprese e cittadini” (96). Ma, per concludere in modo positivo, non si può non augurarsi che una più profonda presa di consapevolezza del concetto di economia circolare a tutti i livelli, e in primis a quello giuridico, possa favorire un tale (difficile) processo di cambiamento. ABSTRACT: L articolo parte dalla considerazione della quasi totale assenza di contributi giuridici sul tema dell economia circolare e propone una definizione di tale concetto. L economia circolare costituisce un modello di sviluppo economico che ha tre differenti significati: il primo, più immediato e attinente alla tutela ambientale, che concerne la gestione dei rifiuti; il secondo che attiene (96) Comunicazione Closing the loop, cit. ECONOMIA CIRCOLARE 207 ad aspetti economici, riguarda il risparmio delle materie prime; il terzo, il più innovativo, che attiene alla bioeconomia. Con quest ultima s intende un vero e proprio modello di sviluppo economico che parte dall agricoltura e passando attraverso l industria e i rifiuti all agricoltura ritorna. L A. si sofferma sulle conseguenze che un tale modello di sviluppo economico comporta sui compiti del potere legislativo e dell amministrazione. Perviene alla conclusione per la quale si può oggi parlare di un nuovo modello di Stato che è appunto quello circolare. ABSTRACT: This article starts from the premise of the almost complete lack of legal contributions on the topic of Circular Economy and offers a definition of this concept. The Circular Economy represents a model of economic development involving three different meanings: the first is more immediate and it is linked to the protection of the environment, especially to waste management; the second is referred to economic aspects and concerns a more efficient use of raw materials; the third is the most innovative and it is related to Bioeconomy. The word “Bioeconomy” stands for a model of economic development which starts from agriculture, goes through industry and waste and returns to agriculture. The Author analyzes the consequences that such a model of economic development entails on the tasks of legislative power and of Public Administration, coming to the conclusion that nowadays a new State model is drafted which is precisely the Circular State.