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"La rappresentazione del lettore nelle illustrazioni xilografiche di alcune edizioni a stampa del XV secolo: iniziali figurate con lettori in uso nell'officina veneziana dei fratelli Giovanni e Gregorio de Gregori. Lo scopo del contributo è di introdurre al tema della raffigurazione del lettore nelle illustrazioni xilografiche presenti nei primi libri a stampa, attraverso una ricognizione della presenza di alcune specifiche xilografie, adattate a rappresentare anonimi lettori (o lettori identificati con nome e cognome) e il loro spazio di lettura.
Verlag des Römisch-Germanischen Zentralmuseums - Mainz
Raimon Graells i Fabregat, Fausto Longo (a cura di), ARMI VOTIVE IN MAGNA GRECIA Atti del Convegno Internazionale di Studi. Salerno-Paestum 23-25 novembre 2017, Mainz 2018La ricca documentazione archeologica della Magna Grecia e dell’Italia anellenica proveniente da scavi recenti e passati consente di studiare presenza e signifi cato delle armi difensive e offensive (reali o simboliche) in contesti votivi. Confrontare il dossier di dati delle città greche con quello del mondo indigeno non solo mostra la complessità e la diversità del fenomeno, ma consente di riaprire la discussione sul rapporto tra guerra e culto nel mondo antico e, più specifi catamente, sulla modalità e sulle pratiche rituali riferibili al mondo delle armi e alla rappresentazione della guerra tra il periodo arcaico e la romanizzazione. In passato l’argomento è stato studiato poco, quasi mai nel mondo italico e magnogreco dal momento che nella letteratura archeologica sono stati presi in considerazione quasi sempre solo gli oggetti più signifi cativi o meglio conservati mentre gran parte dei materiali sono ancora nei depositi in attesa di essere editati; spesso nelle pubblicazioni mancano i riferimenti ai contesti, ai dati quantitativi o ai dettagli utili per comprendere la manipolazione subita prima e dopo la deposizione. I rinvenimenti effettuati negli ultimi anni in alcuni santuari della Magna Grecia (ad es. Caulonia), le »scoperte« nei depositi di alcuni musei (ad es. Paestum) e gli studi monografi ci su casi particolari (ad es. le corazze), consentono oggi di avviare uno studio sistematico delle armi in contesto votivo, di indagare le modalità e le caratteristiche della loro deposizione e di restituire le vicende storiche riferibili ad esse. L’incontro di studio »Armi votive in Magna Grecia«, tenutosi tra Salerno e Paestum tra il 23 e il 25 novembre del 2017 e pubblicato ad un anno di distanza, fa il punto su questo specifi co tema di ricerca, senza tralasciare il contesto generale – storico e topografi co – in cui il fenomeno si inquadra.
[1] Poco tempo fa stavo tornando a casa dopo aver tenuto per voi il mio discorso, quando mi si fece incontro un folto gruppo di ascoltatori-niente mi impedisce, credo, di raccontarvi questo particolare, dal momento che siete degli amici. Queste persone dunque, mi vennero incontro, mi salutarono e si mostrarono pieni di ammirazione per me. Seguendomi per un lungo tratto di strada, levavano a gran voce le mie lodi, in gara l'uno con l'altro, fino a farmi arrossire, nel timore di non esser affatto degno dei loro elogi. Il punto centrale delle loro affermazioni, allo stesso modo ribadito da tutti, era l'originalità di contenuto dei miei scritti e la novità che essi mostravano. Ma sarebbe meglio citare letteralmente le espressioni usate da loro: «Che novità!» «Per Eracle, che straordinari soggetti!». «Che pozzo di idee!» «Che fresca inventiva introvabile altrove!» Essi facevano molte affermazioni di questo tipo, senza dubbio colpiti da ciò che avevano ascoltato. Che motivo avevano di mentire e di adulare in quel modo uno straniero che, per il resto, non aveva altre ragioni per richiamare la loro attenzione? [2] Devo ammettere, tuttavia, che le loro lodi mi infastidivano non poco, e dopo che finalmente se ne furono andati e restai da solo, feci queste riflessioni: «Dunque la solaattrattiva dei miei discorsi consiste nel fatto che non sono convenzionali e che percorrono un sentiero non battuto da altri; mentre qualità come l'armoniosità dei vocaboli, il rispetto delle norme antiche, l'acutezza di pensiero, una punta di scaltrezza, la grazia attica o l'elegante composizione, una profonda conoscenza delle regole del mestiere in tutti i suoi aspetti, non sono presenti nei miei scritti. Altrimenti non avrebbero ignorato queste qualità per lodare soltanto la novità e la stranezza del soggetto. Ed io, quando gli spettatori si alzavano in piedi a elogiare il mio discorso, ero un pazzo a pensare che forse costituisse una qualche attrattiva per loro anche questa particolare caratteristica del mio eloquio (è infatti vero il detto di Omero che i versi nuovi sono graditi a chi ascolta); ma non pensavo che attribuissero una tale importanza, se non addirittura tutta la loro ammirazione, alla novità del discorso; credevo invece che questa qualità costituisse una sorta di ornamento ulteriore, contribuendo anch'essa alle mie lodi, mentre in realtà il vero oggetto di ammirazione ed esaltazione fossero quelle altre caratteristiche del mio stile. Il risultato fu che mi esaltai oltre misura e quando mi dicevano che ero l'unico e non avevo uguali tra i Greci, e affermazioni del genere, rischiavo di crederci. Ma, come dice il proverbio, il mio tesoro era carbone, e le loro lodi non erano molto diverse da quelle che si fanno a un saltimbanco».
Questo articolo pretende avvicinarsi allo studio di una lettera di Max Aub a Carlos Barral, nella quale lo scrittore esiliato commenta la collezione Metropolitano, che il poeta barcellonese gli aveva, con una missiva precedente, inviato in Messico. L’articolo ha l’obiettivo di mettere in risalto come la forma epistolare venga utilizzata in questo frangente con intenti critici precisi.
2020 •
1 Risposte dott. Scotti 1) Prof.ssa Francesca Scotti, Lei è autrice del libro "Lana, linum, purpura, versicoloria. I legati «tessili» fra diritto romano e archeologia" edito da Jovene: quale importanza avevano, nel mondo romano, le attività di filatura e tessitura? Nel mondo romano la filatura e la tessitura ebbero sempre un grande valore sia simbolico, sia socio-economico. Sotto il primo aspetto, bisogna osservare che il lavoro tradizionale tessile svolto dalle matrone e avente per oggetto la lana fu concepito in tutta l'antichità romana come emblema delle virtù femminili, le quali si possono enucleare in una serie di aggettivi ricorrenti sia nelle opere letterarie, sia nelle epigrafi funerarie: "casta", "pudica", "pia", "frugi", "domiseda" e "lanifica". In particolare l'attributo "lanifica" dalle origini fino a tutto il IV sec. a.C. dovette alludere sia alla filatura, sia alla tessitura (svolte normalmente entro le mura domestiche), a partire dal III sec. a.C. alla sola filatura. Da un punto di vista storico, economico e sociale, fra l'età monarchica e la prima metà del III sec. d.C., la filatura e la tessitura della lana vennero via via assumendo "volti" diversi, come confermano tra l'altro una serie di passi del Digesto di Giustiniano. Nel primo periodo, cioè fra la monarchia e gli inizi della repubblica, ciascun nucleo familiare usava produrre autonomamente gran parte dei tessuti da impiegare per la realizzazione di vestiti, il che significa che era indispensabile filare e tenere un telaio in casa. Già dalla seconda metà del III sec. a.C., tuttavia, si assiste a un progressivo cambiamento nei metodi della produzione tessile, consistente nel passaggio da una manifattura domestica su piccola scala a una su base più ampia, addirittura al di fuori del contesto familiare, organizzata in vere e proprie officinae di tessitura, le c.d. "textrinae" o "textrina", ove era impiegato personale specializzato, per lo più femminile, di condizione servile oppure libera e retribuita: lanificae, lanipendae o lanipendiae (pesatrici della lana), quasillariae (filatrici), textrices o stamnariae (tessitrici), sarcinatrices e vestificae (sarte). In queste textrinae, del resto, vi erano, oltre a lanipendae, anche lanipendi ed entrambe le categorie avevano il compito di attribuire una certa quantità di lana da filare, il c.d. "pensum", alle quasillariae di cui controllavano l'operato. Mentre, tuttavia, alla tessitura potevano essere addetti anche gli uomini, la filatura era competenza esclusiva delle donne. Alcune di queste textrinae erano autonomamente gestite da liberte, talvolta insieme ai mariti, pure liberti. Comunque è probabile che esistessero altresì spazi destinati al solo svolgimento della filatura, detti "lanifici", in cui le quasillariae filavano ognuna il rispettivo pensum di lana quotidiano, loro consegnato previa pesatura dei bioccoli di lana.
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