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CIVICA BIBLIOTECA GUARNERIANA 13 Quaderno NUOVA SERIE SALVE SANCTA PARENS I manoscritti con contenuto musicale della Civica Biblioteca Guarneriana a cura di eLiSa nervi Civica Biblioteca Guarneriana San Daniele del Friuli 2020 CIVICA BIBLIOTECA GUARNERIANA San Daniele del Friuli Quaderni Guarneriani CIVICA BIBLIOTECA GUARNERIANA 13 Quaderno N U OVA S E R I E SALVE SANCTA PARENS I manoscritti con contenuto musicale della Civica Biblioteca Guarneriana a cura di eLiSa nervi Civica Biblioteca Guarneriana San Daniele del Friuli 2020 2020 / Quaderno Guarneriano n.13 nuova serie © 2020 Civica Biblioteca Guarneriana Città di San Daniele del Friuli (UD) www.guarneriana.it ISBN: 978-88-941695-6-0 QUADERNI GUARNERIANI Collana diretta da Elisa Nervi Dopo un lungo e doloroso periodo di pandemia, peraltro non ancora concluso, che ha messo in ginocchio, senza esclusione, tutte le attività umane, comprese quelle intellettuali e di ricerca, viene ora dato alle stampe il Quaderno Guarneriano n° 13 della nuova serie, redatto a cura della nostra collaboratrice Elisa Nervi. È il frutto del Convegno: «Salve Sancta parens. I manoscritti con contenuto musicale della Guarneriana», tenuto il 18 maggio 2019, a San Daniele del Friuli, tra la Civica Biblioteca e la Chiesa di Sant’Antonio Abate, dove si è svolto il concerto finale della Schola aquileiensis, con canti alla Vergine tratti dal manoscritto 188 della collezione Fontanini, un messale del rito aquileiese del secolo Quindicesimo. La serie dei Quaderni si arricchisce, dunque, di un nuovo argomento di studio: la storia della musica, che si collega inevitabilmente con quella della lingua e della liturgia sacra, nella nostra regione assolutamente particolari. Infatti, la manifestazione, coordinata dal prof. Giacomo Baroffio, ha avuto il sostegno della Società Filologica Friulana nella persona del direttore prof. Federico Vicario ed è stata inserita nelle manifestazioni previste per la “Settimana della cultura friulana”. Nel sottolineare come la Guarneriana si riveli sempre più una fonte cui attingere nuove testimonianze del passato degne di essere studiate e divulgate, per una migliore conoscenza delle nostre radici lontane, salutiamo con soddisfazione la pubblicazione di questo quaderno, testimone di un’attività mai interrotta in questi mesi difficili; sia auspicio di una prossima fine del male e di una ripesa di tutte le attività culturali tradizionalmente ospitate nella nostra antica e meravigliosa Biblioteca. Adriano Trus Assessore alla Cultura di San Daniele del Friuli Di straordinario rilievo è il patrimonio di storia, di tradizioni e di cultura del nostro Friuli. Ne ha continue conferme chi si occupa dello studio, della promozione e della valorizzazione di questo patrimonio, naturalmente, ma molto forte è tale coscienza anche nella stessa popolazione, nell’orgoglio che le comunità dimostrano per le loro radici e per i tesori che custodiscono e offrono, in varie forme, a quanti li apprezzano. Questa coscienza e questo orgoglio animano da sempre l’attività della Società Filologica Friulana, istituzione che quotidianamente si impegna, da più di cento anni, con il sostegno di migliaia di soci in Friuli e fuori dal Friuli, per consolidare e trasmettere i valori dell’identità friulana nei suoi molteplici aspetti. Ed è stata davvero una felice intuizione quella che ha permesso, alcuni anni fa, l’avvio della rassegna della Setemane de culture furlane / Settimana della cultura friulana, che raccoglie un crescente consenso tra le associazioni, i comuni, gli istituti culturali e gli appassionati studiosi di cose friulane, una rassegna che vede la costante e qualificata partecipazione anche della comunità di San Daniele. Proprio all’interno di questa rassegna, nel maggio del 2019, abbiamo potuto apprezzare l’interessante convegno dedicato alla presentazione dei manoscritti guarneriani di contenuto musicale, un argomento che si presta senz’altro – e bene fanno gli autori dei contributi a rilevarlo nei loro scritti – ad ulteriori e interessanti percorsi di ricerca. Con la gratitudine al Comune di San Daniele, che ha ospitato l’incontro, e a quanti vi hanno partecipato, tra i quali gli amici cantori della Schola aquileiensis, un ringraziamento si deve, in particolare, a Elisa Nervi, che si è occupata della raccolta e della pubblicazione degli Atti del convegno. Consolidare l’esperienza, curare la conservazione, trasmettere la conoscenza, stimolare l’approfondimento dei temi che valorizzano il nostro essere friulani è preciso compito delle istituzioni culturali. Compito di tutti noi, d’altra parte, è conoscere e apprezzare l’eredità che ci affidano la Storia e quanti ci ha preceduto. Federico Vicario Presidente della Società Filologica Friulana 11 PREFAZIONE Una istituzione bibliotecaria nata nel 1466, qual è la Civica Biblioteca Guarneriana, ovvero nata in epoca umanistica per esplicito volere del suo fondatore Guarnerio d’Artegna, a buon titolo considerato come il più importante umanista friulano, non può non avere sempre presente nel proprio agire, quegli stessi principi che l’Umanesimo ha introiettato nel nostro essere ed il tempo ci ha insegnato a nutrire. Se è vero che la nuova sensibilità e la nuova civiltà rinascimentale emersero quando l’uomo venne elevato ad autore della propria storia e punto di riferimento centrale della riflessione filosofica, è altresì vero che ciò avvenne come naturale evoluzione di quel periodo immediatamente precedente, l’Umanesimo, caratterizzato da un ricco e consapevole fiorire di studi sulle lingue e le letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo. Sicuramente giocò un ruolo essenziale nell’evoluzione culturale di quei secoli, il fatto che gli umanisti eleggessero la ricerca ed il dialogo relazionale quali elementi fondanti del loro modo di operare, determinando un intenso scambio di conoscenze, che non aveva avuto pari nei tempi precedenti. Ricerca e dialogo relazionale continuano ad essere i punti essenziali di ciò che può chiamarsi sapere e cultura: la ricerca deve essere paziente, minuziosa ed accurata, e non può prescindere dal dialogo, perché ciò che la ricerca consegna ad uno studioso, non è che un frammento – pur preziosissimo – di un quadro ben più ampio, che a più mani si compone. Con questo intento e questo spirito, il 18 maggio 2019, la Civica Biblioteca Guarneriana – per volere della sottoscritta, che all’epoca ne era Direttrice – ha ospitato nelle proprie sale, un’importante giornata di studi dal titolo “Salve Sancta parens. I manoscritti con contenuto musicale della Guarneriana”, dedicata, appunto, ai manoscritti liturgici arricchiti da contenuti musicali presenti nella propria collezione. Il progetto nasceva da uno spunto offerto dalla Schola aquileiensis, che da Biblioteca Guarneriana, ms.269, c. 108 recto 12 tempo aveva posto la propria attenzione sul manoscritto 1881 ed in particolare sui canti della liturgia dedicata alla Vergine in esso contenuti, e che aveva proposto alla Guarneriana una collaborazione per realizzare, in occasione della Settimana della Cultura Friulana, promossa anche per il 2019 dalla Società Filologica Friulana, un concerto pubblico con la loro esecuzione. L’occasione era troppo preziosa per non raccoglierla con entusiasmo e costruire, intorno a questo primo nucleo, un progetto di più ampio respiro, con l’ambizione di dare maggiore visibilità ad un ambito di studi non così frequentato, e di porre ancora una volta la Biblioteca sandanielese al centro di un dialogo relazionale che restituisse nuovi tasselli di sapere. Nacque così l’idea di realizzare un convegno che si focalizzasse sui manoscritti liturgici con contenuto musicale presenti nella collezione della Guarneriana, a cui si decise di affiancare un inquadramento sulla vita cristiana aquileiese, dalla spiritualità tanto fervida e matura da concretizzarsi in una esperienza lunga e profondamente radicata. Il canto cristiano delle origini subì l’influsso del canto giudaico praticato nelle sinagoghe, che prevedeva la centralità della parola nel rito. Tale centralità era presente anche nella liturgia musicale cristiana. La cantillazione, cioè la lettura intonata di testi sacri, la salmodia, cioè il canto declamato dei salmi della Bibbia, o il giocoso vocalizzo dello jubilus sono tutte forme di intonazione della parola provenienti dal rito della sinagoga. Con la promulgazione dell’editto di Milano nel 313 d.C., l’imperatore Costantino concesse ai cristiani la libertà di culto, contribuendo alla definizione della liturgia cristiana e delle forme musicali ad essa connesse. È in questo stesso secolo che, grazie all’impulso di sant’Ambrogio, vescovo di Milano, iniziarono a diffondersi gli Inni, canti in lode di Dio, il cui testo poetico non è tratto dalla Bibbia, com’è invece per i Salmi, ma è di libera invenzione. Il repertorio liturgico e musicale si va, a partire dal V secolo, via via diversificando nei testi e nel modo di cantare, nelle varie aree geografiche dell’immenso mondo cristiano: modi e repertori diversi a Roma e nelle altre 1 Il manoscritto n. 188 della Guarneriana - codice membranaceo appartenuto alla Collezione di mons. Giusto Fontanini - è un Messale datato alla metà del XV secolo, che si compone di: Kalendarium (ff. 1r-6v); Missae gregorianae per le varie festività dell’anno liturgico (ff. 7r-65v); Proprium et commune sanctorum, cum missis votivis (ff. 66r-188v). I dati del Calendario sembrano suggerire un’origine umbra: sono numerosi infatti i riferimenti a santi e vescovi d’ambito perugino e spoletino (cfr. Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini: introduzione storica e catalogo, tesi di laurea magistrale, Udine, Università degli Studi di Udine, 2017). 13 Chiese italiche, così come nella Gallia, o nella Spagna Visigota. Questa varietà liturgico-musicale trova una prima battuta d’arresto con la politica di romanizzazione delle liturgie occidentali, promossa soprattutto da Carlo Magno nel suo vasto impero e ribadita nel periodo di riforma della Chiesa nel secolo XI. In questo periodo scompaiono molte delle antiche liturgie, inclusa quella aquileiese, e i relativi repertori musicali sono sostituiti da quello che chiamiamo canto gregoriano, che sarà comunque condizionato nelle sfumature, in ciascuna area geografica, dalla temperie locale e dalle varie influenze allogene. Come ha ben spiegato Sergio Tavano2 «oggi non esistono dubbi sull’omogeneità culturale e liturgica delle chiese poste tra il Rodano e l’alto e medio Danubio. Tale omogeneità, ma si potrebbe parlare anche d’unità, si consolidò tra il terzo e il quarto secolo e forse si prolungò anche nell’alto medio evo per certi aspetti non fondamentali. In quest’area dalmato-padanorenana esercitavano il loro ascendente in modi diversi e con varie incidenze Salona, Aquileia, Milano e Treviri. L’importanza di Treviri e di Milano è dovuta principalmente all’impulso esercitato dalla presenza della corte imperiale; l’ascendente di Salona e di Aquileia è affidato essenzialmente alla posizione geografica delle due città e alla vitalità dei loro commerci, e cioè alla loro apertura, alla loro capacità di assorbire e di usare apporti diversi, giunti da ogni terra dell’impero. Volendo poi precisare ulteriormente la situazione [...] Aquileia [...] accoglieva uomini e idee da tutte le terre bagnate dal Mediterraneo e in particolare dall’Africa. Era Aquileia il vero polmone che respirava aria orientale – microasiatica, siriaca, palestinese, alessandrina, greco-egea – e africana per tutta l’area padana e quindi in parte anche per quella renana». Certo è che i celebranti, i monaci, i cantori imparano tutto a memoria e la trasmissione del canto avviene esclusivamente per via orale, negli insegnamenti da maestro a discepolo. A partire dal IX secolo, l’utilizzo dei neumi, cioè di piccoli segni vergati al di sopra del testo liturgico, permette di annotare le sfumature ritmiche ed espressive del canto, l’andamento ascendente o discendente della voce, fornendo un aiuto concreto nella memorizzazione delle melodie, ma senza dare ancora l’intervallo tra le note. Sarà il monaco Guido d’Arezzo nell’XI secolo a elaborare un sistema utile 2 Sergio Tavano, Aquileia cristiana e patriarcale, in “Antichità Altoadriatiche I (1972). Aquileia e Grado”, EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 1972, pp. 103-139 14 a scrivere in modo esatto l’altezza dei suoni inventando il rigo musicale e proponendo un metodo che permetteva la lettura delle melodie direttamente dal libro senza preventivamente conoscerle a memoria. Guido chiamò i suoni con le sillabe ut, re, mi, fa, sol, la, derivanti dalla prima strofa dell’inno liturgico Ut queant laxis, il cui testo fu attribuito in passato al cividalese Paolo Diacono e cantato ai vespri del 24 giugno per la solennità di san Giovanni Battista, ponendo le basi del sistema teorico della solmisazione. Gli studiosi che hanno partecipato ai lavori di quella giornata guarneriana – sicuramente tra i più autorevoli in ambito nazionale, e non solo – hanno restituito chiaramente il senso di incertezza nelle ricostruzioni di quello che chiamiamo canto gregoriano, ma hanno soprattutto comunicato la potente complessità di ciò che il canto e la musica liturgici erano in quei secoli ormai lontani. Il tavolo è stato egregiamente presieduto e coordinato dal prof. Giacomo Baroffio, che ha introdotto i lavori con una relazione in grado di ampliare lo sguardo alle relazioni tra liturgia aquileiese, rito romano, usi locali e l’ampia area del Mediterraneo, oltre a porre in evidenza gli estesi spazi scoperti in questo campo di ricerca. A seguire, il prof. Alessio Peršič ha contribuito ad inquadrare più puntualmente la spiritualità cristiana aquileiese, riuscendo a fornire alcuni degli strumenti essenziali per comprendere le peculiarità della sua liturgia. L’intervento del prof. Angelo Rusconi, con specifiche riflessioni sui repertori del Nord Italia, senza trascurare gli elementi di oralità, ha ricordato a tutti noi quanto vasta fosse la provincia patriarcale e per quali strade, nei secoli, briciole degli antichi riti e canti possano essersi conservati. Le ultime due relazioni hanno indirizzato l’attenzione più puntualmente sul patrimonio della Guarneriana. La dott.ssa Milli Fullin ha illustrato la propria ricerca sul manoscritto Guarneriano 4, breviario di rito aquileiese; mentre il dott. Giacomo Pirani ha presentato una accurata ricognizione sui tutti i codici liturgici musicali conservati nella Biblioteca sandanielese, indipendentemente che siano da riferire al rito aquileiese o a quello romano. La giornata si è conclusa, infine, con l’esibizione, nella splendida e suggestiva cornice della Chiesa di Sant’Antonio abate, da parte della Schola aquileiensis, dei canti della liturgia dedicata alla Vergine contenuti nel già citato manoscritto 188. L’evento è stato di tale impatto emotivo e un così felice coronamento ai lavori di studio della giornata, che è parso indispensabile immaginare di inserirne la registrazione audio a corredo di questo Quaderno. La positiva riuscita del convegno si deve innanzi tutto ai relatori che mi sento di ringraziare calorosamente per la disponibilità e magnanimità nel condividere il loro sapere, ed ai cantori della Schola aquileiensis per l’immensa 15 suggestione e bellezza di cui ci hanno fatto dono con la loro esecuzione magistrale. Il mio grazie va senz’altro, poi, anche allo staff della Guarneriana che ha messo a disposizione la propria dedizione e professionalità per la realizzazione dell’iniziativa. Da ultimo, infine, il mio ringraziamento va alla Società Filologica Friulana che ha accolto con entusiasmo la proposta di collaborare al concretizzarsi di questo importante progetto, che ha permesso alla Guarneriana di aggiungere un nuovo rilevante tassello per la conoscenza del proprio patrimonio e la comprensione del suo valore culturale. Concludo questo mio intervento ricordando che la scienza biblioteconomica in questo ultimo decennio3, prendendo atto di come ci troviamo immersi in un contesto informativo sempre più frammentato e sempre più digitale, legge il ruolo dell’istituzione bibliotecaria alla luce del principio che la conoscenza viene creata attraverso la conversazione, lo scambio, l’interazione e il dialogo relazionale. Osservate le biblioteche da questo punto di vista, si vedrà chiaramente come i bibliotecari assumono il ruolo di facilitatori e mediatori delle conversazioni dei membri delle comunità di riferimento, comunicazioni che devono cercare di arricchire, acquisire, memorizzare e diffondere fra comunità diverse ma potenzialmente affini, contribuendo così allo sviluppo sociale e culturale della collettività. Se aggiungiamo, infine, che la parola cultura deriva dal latino cŏlĕre, non possiamo non evidenziare come il riferimento immediato sia all’arte del coltivare, che in senso lato è qui riferito alla cura che l’uomo e la comunità mettono nel coltivare sé stessi ed i propri talenti. Date queste premesse e ricordato lo spirito umanistico del fondatore, credo fortemente che, con la realizzazione di questo progetto, la Guarneriana ed i suoi bibliotecari abbiano felicemente e con successo lavorato in questa direzione: le relazioni presentate in quella giornata di studi, e che questo Quaderno Guarneriano pubblica in Atti, oltre che specifici tasselli di conoscenza, sono state e saranno spunto per comprendere strategie, strumenti e metodologie di ricerca, in quel reciproco e costante dialogo relazionale che sapere e cultura richiedono a viva voce. Elisa Nervi già Direttrice della Civica Biblioteca Guarneriana 3 DaviD r. LankeS, L’atlante della biblioteconomia moderna, Milano, Editrice Bibliografica, 2014 16 17 giacoMo Baroffio LITURGIA E CANTO AD AQUILEIA: VERSO UNA RINNOVATA PROSPETTIVA DI STUDIO Nell’aprire l’odierna giornata di studio penso sia opportuno in primo luogo chiarire alcuni luoghi comuni e delineare con qualche schizzo un cammino per la ricerca che interessa principalmente i due seguenti temi: Aquileia e la sua liturgia, San Daniele e il patrimonio librario liturgico. Intorno a questi due poli – Aquileia e San Daniele – nel tempo sono emersi altri scenari che hanno privilegiato alcuni temi nel mettere in evidenza luci e ombre di una storia bimillenaria, una storia in luoghi e tempi che noi siamo chiamati oggi a rivisitare in una triplice prospettiva: 1] dare spazio e ragione alla realtà del passato, cercando di conoscerla quale essa è stata nel suo concreto vissuto quotidiano; 2] accogliere l’eredità di Aquileia e di San Daniele, lasciando germogliare e fruttificare i fermenti vivi che rinascono periodicamente, quindi anche oggi, nel segno della dinamica di un conservare intelligente e di un inscindibile promovēre tanto umile quanto audace; 3] cercare di ricomporre l’unità della tradizione, consapevoli che il patrimonio liturgico-musicale è trasmesso dalle fonti scritte, ma si ricupera unicamente in base all’ascolto di una o più tradizioni orali, eredi legittime del passato quanto i codici. Conoscere e valorizzare Aquileia Nel secolo scorso ci sono stati alcuni momenti particolari che hanno ridestato l’interesse generale nei confronti della sede episcopale di Aquileia. Premetto che la metropoli adriatica è stata il centro di riflessione sul mistero dell’esistenza cristiana e punto di partenza d’irradiazione della fede vissuta secondo le dinamiche di un’evangelizzazione vissuta a 360° gradi. Basta osservare l’ampia mappa dei territori che nel corso dei secoli hanno espresso la propria cultura ecclesiastica e sociale sviluppando quei semi Biblioteca Guarneriana, ms. 4, c. 131 verso 18 sparsi con generosità da Oriente a Occidente, dall’area magiara1 sino alle Prealpi occidentali (territorio lariano e del Cusio) dove qua e là affiorano testimonianze patriarcali o patriarchine.2 Dopo alcune interessanti avvisaglie isolate,3 è stato notevole l’impegno di don Giuseppe Vale (1877-1950) a riscoprire e rendere noti vari fatti. Le ricerche di Vale s’inseriscono in un risveglio culturale liturgico che costituisce una primavera dello spirito ecclesiale nella duplice valenza di effetto e causa. Effetto del rinnovamento delle istituzioni a partire dalle nuove famiglie monastiche intorno a centri quali Beuron, Maredsous, Montecassino, Solesmes; causa altresì di un impegno sfociato spontaneamente nel movimento liturgico e in alcuni aspetti positivi, estremamente importanti della successiva riforma conciliare. L’ampiezza dell’orizzonte è stato scrutato e perlustrato con appassionata competenza anche in Italia da un paio di generazioni di studiosi dal calibro di Guerrino Ambrogio Amelli O.S.B (1848-1933) e Ildefonso A. Schuster O.S.B. (1880-1950). Non c’è pertanto da meravigliarsi nel recuperare oggi alcuni saggi di Vale, il cui oggetto di fede e liturgia vissuta è stato trascurato per secoli e dimenticato ben presto dopo la loro pubblicazione.4 Presto si è diffusa un 1 In questa prospettiva è comprensibile l’interesse suscitato da Aquileia negli studi musicologici promossi in Ungheria. Cfr. LaSzLo DoBSzay, Aquileia between Central Europe and Italy: the ‘Officia Divina’, “Musica e Storia” 11/3, 2003, 401-426; gaBrieLLa giLányi - anDrea kovácS, adiuvante LaDiSLao DoBSzay, Corpus Antiphonalium Officii - Ecclesiarum Centralis Europae. IV/A: Aquileia (Temporale), Budapest, MTA Zenetudományi Intézet - Institute for Musicology of the Hungarian Academy of Sciences 2003; Lucio criSTanTe (ed.), Antiqva Habita Consvetudine. Contributi per una storia della musica liturgica del Patriarcato di Aquileia, Atti del colloquio internazionale (Portogruaro 20 ottobre 2001), Trieste, Edizioni Università di Trieste 2004; gaBrieLLa giLányi, Lamentabatur Jacob, Occurrerunt Maria et Martha. Unique Responsories in the Lenten Office of Medieval Aquileia, in Dobszay (ed.), Cantus planus. Papers read at the 12th meeting, 583-. 2 Cfr. AngeLo ruSconi, Il rito e il canto patriarchino nelle aree periferiche: fonti e bibliografia, ‘status quaestionis’, prospettive di ricerca, in Aquileia e il suo patriarcato. Atti del Convegno Internazionale di Studio (Udine 21-23 ottobre 1999), Udine, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia - Deputazione di storia patria per il Friuli 2000, 165-205; aLBa ScoTTi, Transalpine Hintergründe der liturgischen Musikpraxis im mittelalterlichen Patriarchat Aquileia: Untersuchungen zu den Responsoriumstropen, Hildesheim, Olms 2006 (Studien und Materialien zur Muwsikwissenschft 41); aLBa ScoTTi, Una nuova tendenza compositiva nel repertorio dei tropi dei responsori nel patriarcato di Aquileia, “Musica e Storia” 14, 2006 (2008), 221-244. 3 Ricordo, ad esempio, il contributo di WiLLiaM Henry JaMeS WeaLe, Analecta Liturgica, Insulis et Brugis, Desclée, De Brouwer et Soc. 1889. A pp. 205-210 è pubblicato il calendario di Aquileia edito nel 1481. 4 Da più di 50 anni ho chiesto a vari editori e liturgisti di raccogliere in un volume i saggi di don giuSepope vaLe sull’universo liturgico aquileiese. Cfr. Il ‘Kyrie de Novo Sacerdote’ in un Codice Aquileiese del secolo XIV, “Rassegna Gregoriana” 2, 1903, 297-300; I tropi del ciclo natalizio ad Aquileia, “RaGr” 5, 1906, 535-540; Gli antichi usi liturgici nella Chiesa di Aquileia dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua, Padova, Tip. del Seminario 1907; La cerimonia della spada ad Aquileia e a Cividale, “RaGr” 7, 1908, 27-48; Il suono delle campane nel triduo sacro, “RaGr” 8, 1909, 433-434; Le lamentazioni di Geremia ad Aquileia, “RaGr” 8, 1909, 105-116; 19 concezione fuorviante della liturgia aquileiese, concezione che si è sparsa anche grazie a manipolazioni scorrette dei dati storici. A parte le suggestive quanto infondate fantasie di Pellegrino Ernetti O.S.B. (1925-1994), con estrema leggerezza si è equivocato sul termine ‘rito’, un parola ‘magica’ che ha collocato idealmente Aquileia sullo stesso piano liturgico istituzionale di Roma e di Milano. Nessuno nega la straordinaria presenza di Aquileia nella vita della Chiesa latina nell’età d’oro omiletica e teologica del vescovo san Cromazio († 407/8). La sua opera letteraria – recuperata con entusiasmo dopo alcune perplessità iniziali – testimonia un apice del pensiero teologico al tramonto della cultura classica latina.5 C’è tutta una problematica di ordine rituale che attende ancora di essere valorizzata in modo adeguato e in tutti i particolari, facendo luce anche sulle relazioni tra la sede episcopale italica e il mondo medio- Un’epistola farcita per la festa della Dedicazione della Chiesa, “RaGr” 8, 1909, 401-406; Usi aquileiesi e cividalesi nella festa della Purificazione di M. V., “RaGr” 8, 1909, 17-24; I SS. Ermagora e Fortunato nella Liturgia di Aquileia e di Udine, Udine, Tip. del ‘Crociato’ 1910; La proclamatio paschatis in Epiphania e la sua antica formola aquileiese, “RaGr” 4, 1905, 317-322; Il Rituale Pancera secondo il rito di Aquileia, Udine, Tip. G. Percoto, s.d. (1931). 5 Cfr. rayMonD ÉTaix, ‘Tractatus in Matheum’ partiellement inédits, pouvant être attribués à Chromace d’Aquilée, “RB” 70/3-4, 1960, 469-503; JoSepH LeMariÉ, Homélies inédites de saint Chromace d’Aquilée, “RB” 72/3-4, 201-277 [mss di Ripoll…]; JoSepH LeMariÉ, Une des sources de l’homiliaire de Mondsee: un corpus d’homélires attribuables à saint Chromace d’Aquilée, “RB” 72/1-2, 1962, 132-134 - cfr. B. voLLMann, Anmerkungen zu den neuaufgefundenen Chromatius-Homelien, “RB” 73/1-2, 1963,101-108; JoSepH LeMariÉ, Homélies inédites de saint Chromace d’Aquilée. Deuxième série, “RB” 73/3-4, 1963, 181-243; JoSepH LeMariÉ, Trois nouveaux témoins de l’homélie VIII et une homélie de Noël de saint Chromace d’Aquilée, “RB” 74/1-2, 1964, 147-174; JoSepH LeMariÉ, Deux sermons de saint Chromace d’Aquilée sur les Actes des Apôtres, “RB” 75/1-2, 1965, 136-142; rayMonD ÉTaix - JoSepH LeMariÉ, La tradition manuscrite des Tractatus in Matheum de saint Chromace d’Aquilée, “SE” 17/2, 1966,302-354; JoSepH LeMariÉ, Nouveaux manuscrits de Catalogne, témoins des sermons de saint Chromace d’Aquilée, “RB” 76/3-4, 1966, 314-321; JoSepH LeMariÉ, Un nouveau sermon de saint Chromace d’Aquilée et fragments provenant d’homiliaires bavarois, “RB” 76/1-2, 1966, 7-40; gregorio penco, Cromazio d’Aquileia e la ‘Regula Magistri’, “RB” 81/3-4, 1971, 308-310 [RegMag 10, 8-9]; JoSepH LeMariÉ, Un fragment de sermon sur la passion de saint Pierre peut-être attribuable à Chromace d’Aquilée, “RB” 82/1-2, 1972, 105-109; JoSepH LeMariÉ, À propos des sermons XVIII et XXXIII de Chromace d’Aquilée, “SE” 21, 1972/73, 35-42; JoSepH LeMariÉ, Un nouveau témoin important des Tractatus in Matthaeum de Chromace d’Aquilée: L’homéliaire de San Silvestro de Fabriano, “Revue des Études Augustiniennes” 23, 1977, 124-154; rayMonD ÉTaix, Un ‘‘Tractatus in Matheum’ inédit de saint Chromace d’Aquilée, “RB” 91/3-4, 1981, 225-230; giovanni giacoMo pani, Ecclesia Mater: Fonti epigrafiche romane e fonti patristiche aquileiesi, in KAquileia 1986, 275-287; JoSepH LeMariÉ, ‘Chromatiana’. Apport de nouveaux témoins manuscits, “RB” 98/3-4, 1988, 258-271; LeTizia pani erMini, Il ricordo di s. Cromazio in Sardegna, in KChromatius 1988, 219-231; JoSepH LeMariÉ, Le sermon 34 de Chromace d’Aquilée pour l’Épiphanie. Nouvelle attestation dans l’homiliaire carolingien du Pseudo-Bède, “SE” 33, 1992/93, 121-124; yveS-Marie DuvaL, Jonas à Aquilée: de la mosaïque de la Theodoroiana Sud aux textes de Jerôme, Rufin et Chromace?, in KAquileia 1999, 273-296; RoBerT goDDing, Cromazio, Aquileia e il Martirologio Geronimiano, in KChromatius 2008, 505-516; pier franco BeaTrice - aLeSSio Peršič (edd.), Chromatius of Aquileia and his Age. Proceedings of the International Conference held in Aquileia, 22-24 May 2008, Turnhout, Brepols 2011 (Intrvmenta Patristica et Mediaevalia 57); giuLio TreTTeL, San Cromazio e la liturgia di Aquileia. Presentazione di ManLio SoDi, Postfazione di giuSeppe cuSciTo, Roma, If Press 2019 (Sapientia Ineffabilis 21). 20 21 orientale intorno ad Antiochia-Gerusalemme-Alessandria d’Egitto.6 Ciò che è stato definitivamente chiarito e ribadito con competenza e autorevolezza da Michel Huglo,7 è che nel caso di Aquileia tutte le fonti superstiti oggi conosciute sono post-carolinge e seguono tutte il rito romano. Sarebbe quindi ora di esprimersi in termini appropriati. Nel caso di Aquileia possiamo quindi parlare di usi locali come allora pullulavano in tutto l’Occidente con convergenze e/o divergenze di tutti i calibri. Anzi, basta scorrere le fonti più antiche e venerande del territorio patriarcale friulano e sloveno8 per rendersi conto che le fonti manoscritte evidenziano una fortissima incidenza della cultura germanica.9 Di tale mondo transalpino sono testimonianze esplicite fattori con un forte peso culturale e cultuale, come la morfologia notazionale dei segni musicali e l’incidenza del dialetto musicale ‘germanico’.10 Notevole è la presenza di santi, sempre di ambiente germanico, comunque non italici.11 Senza parlare di altre infiltrazioni – certamente devastanti che hanno emarginato e forse cancellato parte della tradizione locale – nelle pieghe delle riforme ecclesiastico-monastiche come quella benedettina di Hirsau. Questa ha impresso la propria fisionomia liturgica e sociale a comunità come quelle di San Gallo di Moggio e di Rosazzo.12 Quindi, per sintetizzare il panorama: occorre distinguere bene quanto le fonti delle varie epoche rivelano sulla vita liturgica in ambito aquileiese. Attribuiamo ad Aquileia quanto è proprio e specifico del patriarcato. Su un punto è bene essere chiari: la ricerca rispetti le regole del gioco, a partire dalla serietà nelle investigazioni delle fonti e nella loro lettura ‘spregiudicata’, senza cioè manomettere e alterare i dati. La ricerca si fa con la ragione e anche con l’intuizione e la fantasia, senza tuttavia confondere i piani. Capisco l’entusiasmo nello scoprire testi e melodie antiche, ma non si possono contrabbandare i propri sogni come se esprimessero nei dettagli la realtà, spesso assai restìa a rivelarsi. Esempio concreto di questa situazione confusionaria – che ha numerosi paralleli in altri settori della produzione poetico-musicale tardo-antica e medievale – è il corpus delle melodie edite di Paolino II († 802): patriarca, santo, poeta, musico.13 A partire dal XIX secolo più di un ricercatore ha pensato 6 Sulle ipotesi formulate da giLBerTo preSSacco (1945-1997) cfr. raffaeLLa paLuzzano - giLBerTo preSSacco, Viaggio nella notte della Chiesa Aquileiese. L’evangelizzazione di San Marco in Adriatico e nell’Italia settentrionale [Viaggio (…). Qumrân-Alessandria- Aquileia, 1998], Udine, Gaspari 2002 (I gelsi 7). 12 ceSare ScaLon, La Biblioteca Arcivescovile di Udine, Padova, Antenore 1979 (Medioevo e Umanesimo 37); ceSare ScaLon, Libri scuole e cultura nel Friuli medioevale. ‘Membra disiecta’ dell’Archivio di Stato di Udine, Padova, Antenore 1987 (Medioevo e Umanesimo 65); ruDoLf fLoTzinger, Choralhandschriften österreichischer Provenienz in der Bodleian Library/Oxford, Wien, Verlag der österreichischen Akademie der Wissenschaften 1991 (Veröffentlichungen der Kommission für Muisikforschung 26); feLix Heinzer, Der Hirsauer Liber ‘Ordinarius’, “Revue Bénédictine” 102/3-4, 1992, 309-347 [318-334: Der ‘Ordo secundum Hirsiacenses’ aus Moggio (Friaul); 325-328: litania dei santi; 332: serie Alleluia dopo Pentecoste ]; feLix Heinzer, Der Hirsauer ‘Liber Ordinarius’, “Revue Bénédictine” 102,1992, 309-347; Le origini dell’Abbazia di Moggio e i suoi rapporti con l’Abbazia svizzera di San Gallo. Atti del convegno internazionale Moggio 5 dicembre 1992, Udine, Deputazione di storia patria per il Friuli 1994, (Pubblicazioni della DSPF 21) [85-103: giuSeppe BergaMini, Codici miniati dell’Abbazia di Moggio; 105-120: ceSare ScaLon, Moggio nella circolazione libraria del Friuli patriarcale]. Recente è l’edizione del calendario-obituario dell’abbazia di Rosazzo: Urkunden und Memorialquellen zur älteren Geschicte des Klosters Rosazzo. Urkunden, urkundenähnliche und erzählende Quellen bearbeitet von reinHarD HärTeL, Necrologium und Kalendar bearbeitet von Cesare Scalon, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften 2017 (Publikationen des Historischen Instituts beim österreichischen Kulturforum in Rom II/6.3). 7 MicHeL HugLo, Liturgia e musica sacra aquileiese, in gianfranco foLena (ed.), Storia della cultura veneta dalle origini al Trecento, Vicenza, Neri Pozza 1976, 312-325 (Storia della cultura veneta 1); MicHeL HugLo, Les manuscrits notés du Diocèse d’Aquilée, “Scriptorium” 38, 1984, 313-317. 8 Cfr. JuriJ SnoJ - gaBrieLLa giLányi (edd.), Antiphonarium Ecclesiae Parochialis Urbis Kranj, 2 voll. Budapest, Magyar Tudományos Akadémia Zenet Tudományi Intézet 2007 (Musicalia danubiana 23): è il principale testimone del santi Canziani. 9 Cfr. raffaeLLa caMiLoT-oSWaLD, Die liturgischen Musikhandschriften aus dem mittelalterlichen Patriarchat Aquileia. I: Einleitung, Handschriftenbeschreibung, Kassel, Bärenreiter 1997 (Monumenta Monodica Medii AeviSubsidia 2). Indispensabile per ogni approccio al liturgia e al canto testimomniato dalle fonti scritte di area friulana è raffaeLLa caMiLoT-oSWaLD, Chants of Aquileia. Banca dati rielaborata da roBerT kLugSeDer. Nel repertorio Sono inventariati tutti i canti presenti nei codici segnalati nella pubblicazione del 1997 appena segnalata. 10 anna aSSunTa MaSo, Il manoscritto Rossi 231 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Ricognizione liturgica e musicale, Padova, Università degli studi 1990-1991 (tesi, rel. G. Cattin); aLeJanDro enrique pLancHarT, Notes on the Tropes in Manuscripts of the Rite of Aquileia, in graeMe M. Boone (ed.), Essays on Medieval Music in Honor of David G. Hughes, Cambridge Mass., Harvard University Department of Music 1995, 333369 (Isham Library Papers 4); giLBerTo preSSacco, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis Liturgica. Tropi, prosule e sequenze del messale aquileiese. Un primo censimento, Udine, Deputazione di storia patria del Friuli s. d. [1995] (Pubblicazioni della Deputazione 23). 11 Cfr. paoLo cHieSa, Note sui passionari di Aquileia, “Hagiographica” 4, 1997, 301-321; giuSeppe pereSSoTTi, Il messale aquileiese secondo alcuni codici del medioevo, “Ephemerides Liturgicae” 111, 1997, 448475; giuSeppe pereSSoTTi, Sequenze e letture evangeliche nel messale aquileiese, “Ephemerides Liturgicae” 112, 1998, 127-148. 13 anDrÉ WiLMarT, L’hymne de Paulin sur Lazare dans un manuscrit d’Autun, “Revue Bénédictine” 34, 1922, 27-45 [37-45 ed. del versus ‘Fuit Domini dilectus’; ms Autun, Bibl. Mun., 29]; Dag norBerg, L’oeuvre poétique de Paulin d’Aquilée. Édition critique avec introduction et commentarire, Stockholm Almqvist & Wiksell 1979 (Filologisk - filosofiska serien 18); Aquileia e le Venezie nell’Alto Medioevo, Udine, Arti Grafiche Friulane 1988 (Antichità Altoadriatiche 32) [149-172: giuSeppe cuSciTo, Il patriarca Paolino e la liturgia di Aquileia, con appendice di B. Spolverato su l’Evangeliario di Grado; 235-254: giLBerTo preSSacco, Paolino d’Aquileia musicus connivens]; Marco gozzi, Le composizioni musicali su testo di Paolino d’Aquileia: problemi e proposte editoriali, in Paolo Chiesa (ed.), Paolino d’Aquileia e il contributo italiano all’Europa carolingia. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Cividale del Friuli - Premarico, 10-13 ottobre 2002, Udine, Forum 2003, 197-243; aLeSSio perši č SanDro piuSSi (edd.), Paulini patriarchae Aquileiensis Opera. II: Rhythmi et carmina quae supersunt, Roma - Gorizia, Città Nuova - Società per la conservazione della basilica di Aquileia 2007 (Corpus scriptorum ecclesiae 22 di rivivere l’esperienza poetico-musicale di alcune eminente personalità e di anonimi autori del passato, proponendo le melodie mute da secoli. In questa prospettiva si è pensato di valorizzare anche Paolino. Si è quindi proposta un’edizione non solo del testo letterario, leggibile, ma anche della melodia tramandata talora con ‘neumi adiastematici in campo aperto’, pertanto illeggibile. I piccoli segni della notazione musicale permettono tutt’al più di seguire il movimento ascendente/discendente del canto, senza però indicare l’altezza precisa della nota iniziale e di quelle successive. Eppure, personalità del mondo storiografico e musicologico si sono cimentate in un’impresa impossibile, convinte di aver scoperto le autentiche melodie originali. Così ha fatto Edmond de Coussemaker († 1876) e così si è continuato sino ad oggi, penso in particolare a Gilberto Pressacco († 1997). Il mondo medievale si presta ad ambiguità del genere che riscuotono un certo successo entusiastico; ma finiscono per danneggiare la causa per la quale si vuole contribuire in modo positivo.14 Ai ricercatori si richiede la virtù della pazienza vigilante per evitare una frequente tentazione: precipitare lavori ‘di sintesi’, mentre occorre intraprendere ricerche sistematiche, adeguate all’oggetto dello studio ed esaurienti. Conoscere e valorizzare San Daniele Il problema nodale di tutta la questione è condizionato dalle testimonianze in base alle quali possiamo delineare una ricostruzione, al limite frammentaria, della realtà. Come per tanti altri centri culturali, anche nel caso di Aquileia siamo di fronte a un fenomeno carsico in cui si alternano flussi alla luce del sole e ampie sezioni sotterranee, cioè nascoste e oggi difficilmente individuabili. Ho ricordato poco fa (nota 10) il lavoro di Raffaella Camilot-Oswald del 1997. Nel sua pubblicazione pioneristica sulle fonti di area aquileiese, sono segnalate importanti sezioni della vita liturgica che da allora sono state del Aquileiensis 10/ 2). 14 Sul recupero delle melodie medievali cfr. eDoarDo D’angeLo - franceSco STeLLa (edd.), Poetry oft he Early Medieval Europe: Manuscripts, Language and Music of the Rhythmical Latin Texts. III Euroconference for the Digital Edition of the Corpus of Latin Rhythmical Texts 4th-9th Century, Tavernuzze FI, SISMEL - Ed. Del Galluzzo 2003 (Millennio Medievale 39 = Atti di Convegni 12 = Corpus dei ritmi latini [secoli IV-IX] 2); franceSco STeLLa & aL. (edd.), Songs in non liturgical sources. I: Lyrics with CD-ROM, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo 2007 (Corpus Rhythmorum Musicum saec. IV-IX 1 = Millennio Medievale 72 = Testi 18) [edizione e apparati di 29 ritmi]. 23 tutto trascurate. Anche in questo ambito si segue la corrente principale, spesso non importante quanto i rivoli apparentemente secondari. Penso all’attenzione prestata allo studio di particolari sezioni, mentre si trascurano completamente altre (con tutte le eccezioni che solo in parte segnalo nelle note 1 e 2). Spesso la celebrazione eucaristica esaurisce le ricerche, come se non esistessero le Ore e tante altre azioni liturgiche. Non si ha sempre coscienza dei danni che certe scelte di fondo comportano nella formazione di un futuro studioso e/o musicista.15 Un’importante notizia comunicata da Raffaella riguarda la presenza di ufficiature ancora inedite, tramandate da fonti di area friulana sotto la sede aquileiese. In vista di poter affrontare lo studio e la pubblicazione di un nutrito corpus di historiæ liturgiche, ho aderito volentieri all’iniziativa promossa da Lucio Cristante a Portogruaro. Per alcuni anni – fino quando l’iniziativa è stata troncata in modo vergognoso – abbiamo cercato di formare un gruppo di promettenti ricercatori con la finalità di affrontare in modo sistematico il repertorio aquileiese. Come ho appena detto, il progetto è stato boicottato e si è dissolto. Ciò che rimane è la preziosa riproduzione digitale di una trentina di manoscritti ‘aquileiesi’ che dopo anni d’esilio solo da poco ha ritrovato una sede decorosa e operativa proprio qui presso la Biblioteca Guarneriana. Un passo importante nell’interesse dello studio sarebbe quello di completare l’opera di digitalizzazione di tutte le fonti della liturgia aquileiese o delle più importanti sedi del patriarcato.16 Ci sono altre priorità da osservare? Penso di sì, ad esempio, 1] sensibilizzare l’ambiente giovanile; 2] formare persone in grado di affrontare i differenti aspetti di una realtà complessa qual è la liturgia della sede patriarcale di Aquileia; 3] individuare e studiare le fonti sia scritte sia orali.17 15 Per evitare di acuire certe tensioni, ricordo un fatto di estrema gravità, successo lontano, che ha condizionato in modo negativo la ricerca e la pratica del canto gregoriano in Italia. Per anni e anni al Concorso internazionale di cori ad Arezzo, tutti i partecipanti potevano eseguire soltanto brani tratti dal Graduale Triplex e forniti di notazione neumatica (Laon e Sank Gallen). Questa decisione è stata sostenuta in modo viscerale senza argomentazioni solide e alla fine ha causato l’abbandono della giuria di parte di alcuni membri, tra cui Giulio Cattin e il sottoscritto. Entrambi chiedevamo che il Concorso fosse un’occasione per conoscere il canto gregoriano nella sua multiforme ricchezza, senza escludere i canti dell’Ordinarium Missæ, tropi e sequenze e, cosa assai grave, tutti i canti delle Ore, in particolare responsori, antifone, inni. 16 Testimoni manoscritti d’interesse liturgico aquileiese si trovano a Berkeley, Bologna, Bressanone, Cividale, Gemona, Gorizia, Grado, Graz, Krakow, Ljubljiana, Milano, Modena, Oxford, Paris, Sankt Gallen, Toronto (già), Udine, Ushae, Vaticano, Venezia, Wien, Wroklaw… 17 Purtroppo manca oggi un coinvolgimento alla ‘Adriano Olivetti’. Penso all’assenza delle forze politiche ed economiche perché temi come quelli che trattiamo in fin dei conti non portano voti e non 24 25 Tenendo presente quanto finora esposto, San Daniele sembra essere un luogo ideale per coagulare intorno a sé le persone interessate a conoscere e ad approfondire la realtà liturgica di Aquileia e della regione. Una conoscenza che non si può esaurire in un’occhiata superficiale al materiale qui accessibile, le fotografie ricordate e il patrimonio librario della Biblioteca stessa. Per noi ‘anziani’ conoscere significa dialogare, nel caso specifico cantare le melodie dei codici antichi affinché essi stessi, a loro volta, cantino le meraviglie che hanno trasmesso, senza vergognarsi se alcune composizioni non sono eccelse, se qualche brano è acefalo o mutilo. Quei testi e quelle musiche del passato possono perdere la patina o la muffa del tempo, ma grazie al canto di oggi divengono vivi e nostri contemporanei. Nel solco di questa prospettiva è necessario mettersi al lavoro: prepararsi, osservare il terreno, disboscare, arare, seminare, raccogliere. 1] Prepararsi. Significa concretamente mettere un abito da lavoro. Non è una tuta fornita di una tasca per metterci una lente d’ingrandimento. L’abito è un habitus mentale, un misto di formazione professionale, talento, sensibilità e quanto altro. In particolare è la resistenza, fisica certo, ma soprattutto morale. Nell’affrontare le difficoltà apparentemente irrisolvibili, sopportando l’angoscia delle delusioni dovute a tante cause (trovarci di fronte a un numero irrisorio e per di più discordante di fonti manoscritte e orali, non sapere come andare avanti, non trovare quello che eravamo sicuri di incontrare, accorgerci di esserci persi in un labirinto senza uscita…). Oltre che a individuare le pecche dei manoscritti e dei cantori, e scoprire i loro tesori, il loro studio ci porta a conoscere meglio noi stessi. 2] Osservare il terreno: il primo passo da compiere è una perlustrazione accurata dei fondi librari e dei cantori tradizionali della zona per avere un quadro esauriente della situazione presente. Occorre sapere che cosa c’è realmente senza farsi sviare dalle prime impressioni. Sono da registrare con cura tutti i ‘pezzi’ in qualsiasi stato di conservazione si trovino, libri integri e frammenti, splendenti nelle miniature e corrosi dalle muffe e dalla sporcizia, canti affascinanti e quelli che provocano tristezze. Attenzione a non farsi ingannare dalle apparenze. Libri con ricche miniature e ornamentazioni non trasmettono sempre testi letterari e musicali particolarmente curati. Cantori con voci squillanti non sempre sono fedeli al patrimonio, ma se ne servono per esibirsi come prime donne. 3] Disboscare vuol dire spianare il terreno e togliere i ceppi e il fogliame inutile. Fare una cernita tra il materiale librario da studiare e quello da conservare per eventuali interventi successivi, fare una cernita tra i canti ascoltati dal vivo. Occorre mettere ordine anche sotto la pressione del tempo avaro che esige calma, ma non tollera perdite inutili di ore e di mesi (se non anni!). Pertanto dopo avere visto tutto e ascoltato tutti [2], bisogna saper scegliere [3]. 4] Ora viene il bello, arare. Penetrare nell’interno di un codice o nel cuore di una persona vuol dire anzitutto avere la forza di sfondare il guscio in cui facilmente ci rinchiudiamo con le nostre prevenzioni e i nostri capricci. Saremmo forse più cauti se fossimo convinti di una cosa: la modalità d’approccio ai testimoni librari e ai cantori riflette in primo luogo non la nostra cultura (il nostro sapere, fare, avere), bensì il nostro essere. 5] Dopo avere dissodato il terreno, si semina. Talora senza molta fatica. Succede che il terreno stesso attraverso le consunte pergamene lasci cadere nella nostra intelligenza e nel nostro cuore i semi che faranno germogliare una nuova vita. Anche in un orto a volte è sufficiente lasciare alcune pianticelle avvizzite per vedere rispuntare dopo pochi mesi nuovi virgulti pieni di vita. È tutta una co-operazione che si risolve in un sereno e anche gioioso dialogo, dialogo più pressante se avviene tra persone, noi e i cantori. Quando scopriamo qualche cosa in un manoscritto o in un cantore, è il codice stesso e il ‘menestrello del principe Gesù’ che ci dona una parte di sé stesso affinché fruttifichi nella nostra esistenza. 6] Siamo al momento della raccolta. Come avveniva un tempo sulle aie rurali, il raccolto soddisfa veramente nella misura in cui è condiviso. Ed è quello che dovremmo vivere anche noi, soprattutto a livello musicale. Non siamo chiamati a pubblicare scartoffie che suscitano meno interesse dei codici che si ricopiano, meno interesse delle voci stanche e roche degli anziani. La vocazione dello studioso è di fare partecipare gli altri nel condividere con loro le sue emozioni e le sue convinzioni. Un pezzo di musica non è fatto principalmente per essere stampato e riposto in uno scaffale-obitorio, tanto meno per essere imprigionato in un DVD. La musica è canto che freme, è la voce del cuore che nella liturgia diviene orante. Riuscendo a scavalcare secoli e montagne e mari con una partecipazione appassionata e sempre giovanile, capace di reggere nel tempo.18 innalzano barriere fumogene. D’altra parte sono anche quelle le forze da coinvolgere, le istituzioni pubbliche e i privati in grado di garantire una piattaforma culturale ed economica solida e duratura. 18 Si tratta qui di coinvolgere i ricercatori di domani, giovani d’età e non già vecchi nello spirito. Questi giovani sono chiamati a specializzarsi in varie discipline, ciascuno nella propria, per essere in 26 Rinnovare gli studi sulle fonti liturgiche aquileiesi è un impegno che tocca tutti noi, nessuno escluso. Senza pregiudizi, curiosi di conoscere la realtà, cercandola con umile pazienza. Non è facile. Anche in questo ambito vale il detto “la messe è molta, gli operai sono pochi”. grado di gestire un programma impegnativo che spazia dallo studio dei testimoni alla pubblicazione dei testi letterari e all’esecuzione-edizione sonora dei canti. Quali discipline sono da approfondire? Eccone alcune: Bibbia: introduzione; bibliologia liturgica; canto liturgico (pratica cantoriale, estetica e storia, vergleichende Choralwissenschaft); codicologia; latino classica e medievale; istituzioni civili; istituzioni ecclesiastiche; liturgia; paleografia musicale; paleografia testuale; miniatura; programmi informatici specifici. Non possono mancare le esercitazioni musicali (canto a prima vista, dettato, trascrizione di registrazioni a una e più voci…). 27 28 29 Alessio Peršič LA LITURGIA E LA SPIRITUALITÀ DI AQUILEIA CRISTIANA DA FORTUNAZIANO A PAOLINO II «Grazia dello Spirito che vola verso la Chiesa»: Aquileia erede della tradizione di Ireneo di Lione Appena dal 2017 possiamo studiare in forma integrale il riscoperto Commento ai Vangeli1 di Fortunaziano di Aquileia (vescovo fra il 342 e il 369); così ora anche sappiamo come egli avesse dispiegato il simbolismo pneumatologico dell’aquila in tutta la gamma documentabile prima e dopo di lui in area aquileiese: la ribadisce come figura dello Spirito di Dio («“la traccia dell’aquila” [cfr. Prv 30,18-19] mostra la figura dello Spirito Santo, ed è “in volo” perché l’aquila detiene il principato su tutti gli uccelli»)2; quindi vi riconosce i Santi nella profezia evangelica della loro ascesa escatologica incontro al Signore per partecipare alla sua gloria, in stretta dipendenza dall’esegesi di Ireneo di Lione († 202 ca.) («il Signore stesso promette nel suo Vangelo che i Santi ascenderanno in volo al cielo come aquile, col dire: “dovunque ci sarà il corpo, là si raduneranno le aquile”» [Mt. 24,28])3; o anche «la Chiesa che verrà, cioè tutti i Santi», poiché «la Chiesa è il corpo del Cristo»4. 1 Vedi aLeSSio peršič, Fortunaziano: organico testimone della tradizione ‘aquileiese’?, in «Fortunatianus redivivus»: Bischof Fortunatian von Aquileia und sein Evangelienkommentar, a cura di LukaS J. DorfBauer e vicToria ziMMerL-panagL («Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum», extra seriem), Berlin - Boston 2017, 359 pp.: 307-324; iDeM, Fortunaziano, esegeta missionario in piena controversia ariana: il più antico e sospetto dei Padri aquileiesi e l’ultimo riscoperto e riabilitato (in pubblicazione negli Atti della XLIX Settimana di Studi Aquileiesi [2018: Aquileia: una fortuna lunga più di 2000 anni]). 2 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia (a cura di LukaS J. DorfBauer) M. XV 916-918: «viam aquilae» ostendit figuram Spiritus Sancti, «volantis» autem ideo, quia aquila principatum habet in omnibus avibus. 3 Ivi M LXX 1607-8: ipse Dominus volaturos sanctos ad caelum velut aquilas in evangelio repromittit dicendo: «ubicumquae fuerit corpus, illuc congregabuntur aquilae»; cfr. iren. LugD. Adv. haer. 4,14,1: ubicumque est cadauer, illuc congregabuntur et aquilae, participantes gloriae Domini: qui et formavit et ad hoc praeparavit nos, ut dum sumus cum eo participemus gloriae eius. < Biblioteca Guarneriana, ms. 4, c. 131 verso 4 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia M. CVIIII 2395-2400: Corpus dicitur ecclesia, quae est corpus 30 31 Si tratta di una simbolica tipicamente vitale ad Aquileia, dimostrata pure da fonti agiografiche come la Passione di S. Floriano, vescovo-martire di Lauriacum (Lorch), nel Norico5: racconto che dipende da fonti storicamente affidabili, in cui il simbolo dell’aquila assume un fondamentale ruolo ermeneutico – in assoluta coerenza con i significati attribuitigli prima da Vittorino, vescovo della pannonica Poetovio († 283/4 o 304)6, poi da Cromazio († 407 o post 415)7 – specialmente quando narra che, precipitando il martire dal ponte, proprio «la grazia dello Spirito» di Cristo, mentre «raggiunge in volo la Chiesa» (Spiritus in Ecclesiam aduolantis gratiam manifestans)9. il fiume […], ricevendo il martire di Cristo, si spaventò e, sollevate le sue onde, ne depose il corpo su una roccia, in una posizione alquanto elevata. Allora, al cenno di Dio, un’aquila discese e si pose a proteggerlo con le ali aperte in forma di croce8. È questo dell’aquila solo un esempio di come la contiguità di molti luoghi della letteratura patristica aquileiese con gli scritti e la tradizione kerygmatica ireneani si collochi fra i tratti distintivi di una identità di cultura ecclesiale tenacemente condivisa. Ma tali frequenti e comuni presupposti ireneani devono essere interpretati anche in relazione all’evidenza di sopravvivenze teologiche e liturgiche pasquali di origine – come S. Ireneo stesso – asianequartodecimane: da essi Aquileia protocristiana eredita lineamenti di ulteriore caratterizzazione, che, come la separano dalla tradizione romana, così in parte la accomunano a quelle milanese e gallica. Oggi risulta infatti chiarito come la teologia pasquale che informa la predicazione di Cromazio sia compresa nel binomio quartodecimano ‘Pasqua-Passione’10: «il Signore nella sua Passione ha portato a compimento È chiaro – e va ribadito – come anche alla Passio S. Floriani la viva vena simbologica dell’aquila sia discesa attraverso la tradizione aquileiese fluente attraverso Vittorino, Fortunaziano e Cromazio dalla fonte – asiana, quindi giovannea – di Ireneo, vescovo in Gallia dal 177: discepolo di Policarpo di Smirne († 156), il vescovo di Lione, incrociando Ez 1,6,10 e Apoc 4,7, aveva colto nel quarto Cherubino, «simile ad aquila in volo» (simile aquilae volanti), Christi. Aquila homines sanctos demonstrat, ut ait apostolus: «Obviam Christo euntes in nubibus» (1 Ts 4,17), cum rapti ab angelis fuerint in modum aquilarum volantes a quattuor cardinibus mundi. Corpus ergo ecclesiam ostendit, cum venerit caput corporis Christus ad iudicandum venturam ecclesiam, id est omnes sanctos. 5 In «Monumenta Germaniae Historica», Scriptorum rerum Merovingicarum, III, a cura di Bruno kruScH, Hannoverae 1896, pp. 68-71; vedi raJko BrAtož, Storicità di San Floriano: la tradizione agiografica e le circostanze del suo martirio, in San Floriano di Lorch. Atti del Convegno internazionale di studio (Tolmezzo, 5 ottobre e 6 dicembre 2003), a cura di giuSeppe BergaMini e aLeSSio gereTTi, Milano 2004, pp. 21-35. 6 Vedi vicT. poeTov. In Apocalypsim 8,3: «“Aquila che vola in mezzo al cielo” (Ap 8,13): è significato lo Spirito Santo, che nei due profeti [Elia e Geremia] testimonia l’incombere della grande ira dei flagelli, nel caso che in qualche modo qualcuno possa ancora essere salvato, nonostante sia la fine dei tempi» («Aquila volans medio caelo»: Spiritus Sanctus significatur in duobus prophetis contestans magnam plagarum iram imminere, si quo modo, quamvis sit novissimus tempus, aliquis adhuc salvus esse possit. 7 Vedi cHroM. aquiL. Tract. In Math., prol.: «spesso l’aquila è mostrata in figura dello Spirito Santo, che ha parlato per mezzo dei profeti»… (aquila frequenter in figura Spiritus Sancti ostenditur, qui in prophetis locutus est). Una analisi più dettagliata delle implicazioni simbologiche della Passio S. Floriani rimontanti attraverso gli autori aquileiesi fino a Ireneo potrà leggersi prossimamente in un mio contributo sull’apporto di Ireneo alla letteratura aquileiese negli Atti dei Convegni promossi da Agnès BastitKalinowska a Lione («Irénée entre Bible et hellénisme», 29 juin - 2 juillet 2014) e, con Rémi Gounelle, a Strasburgo («Irénée après Irénée: traces d’un auteur grec perdu», 11-13 juin 2015). Riguardo poi alla sopravvivenza di Cromazio almeno fino al 415 vedi pier franco BeaTrice, Chromatius and Jovinus at the Synod of Diospolis: A Prosopographical Inquiry, «Journal of Early Christian Studies», XXII, 3, 2014, pp. 437-464. 8 Acta S. Floriani 5: fluvius [...] suscipiens martyrem Christi expavit et elevatis undis suis in quodam eminentiori loco in saxo corpus eius deposuit. Tunc, annuente favore divino, adveniens aquila, expansis alis suis in modum crucis, eum protegebat. «La Pasqua è la Passione di Cristo»: le radici giovannee-asiane della Pasqua aquileiese 9 iren. LugD. Adv. haer. 3,11,8. Peraltro il kérygma ireneano della corrispondenza dei quadriformia […] animalia con il quadriforme Euangelium (l.c.) è scrupolosamente applicato nella Passione di S. Floriano anche in rapporto alla conseguente quadriformis dispositio Domini, che culmina nella rinnovazione finale dell’uomo ad opera del Cristo (quod renouat hominem et recapitulat in se omnia), il quale lo innalza al Regno dei Cieli recandolo sulle ali del suo Spirito (eleuans et pennigerans homines in caeleste regnum, l.c.): il qui implicito riferimento di Ireneo a Is 40,31 sarà poi applicato esplicitamente anche da Ilario di Poitiers alla condizione dei salvati: «“prenderanno ali come aquile”: sono cioè destinati ad assumere, nel cambiamento della resurrezione, la naturale capacità di volare al cielo» (HiLar. picT. Tractatus super psalmos, ps. 13 8,24: «pinnigerabunt tamquam aquilae», naturam euolandi in caelum in resurrectionis demutatione sumpturi). 10 È stato sovente sottolineato – specialmente da pier franco BeaTrice (fondamentali, fra gli altri suoi studi, si ricordino: Tradux peccati. Alle fonti della dottrina agostiniana del peccato originale [«Studia Patristica Mediolanensia», 8], Milano 1978, nonché La lavanda dei piedi. Contributo alla storia delle antiche liturgie cristiane [«Ephemerides Liturgicae», «Subsidia», 28], Roma 1983) – che le solenni catechesi per la magna nox pasquale pronunciate da Cromazio (ma anche da Zenone di Verona e Gaudenzio di Brescia, così come, un secolo dopo in Gallia, da Cesario di Arles) prolungavano nobilmente – se non la cronologia (era ormai una pasqua domenicale) – certamente la teologia d’impronta giovannea legata alla celebrazione della Pasqua di Cristo nella data fissa del 14 Nisan («il primo mese dell’anno», Es 12,1), divulgata in primis dagli omileti quartodecimani d’Asia, come Melitone di Sardi e lo Pseudo-Ippolito; la espansiva onda missionaria cristiana dall’Asia Minore, presumibilmente fra II e III secolo, aveva lasciato indelebili segni anche nelle regioni adriatiche, verosimilmente pervenendovi soprattutto attraverso la direttrice illirica; la sopraggiunta lezione di Ireneo dalla Gallia ne aveva consolidato il quadro. Sulla vitalità della teologia pasquale d’ispirazione asiana fra Aquileia e la Gallia nei secoli IV-VI vedi aLeSSio Peršič, Venanzio Fortunato «presbyter Italicus». Lettura dell’«Expositio symbuli» e dell’«Expositio orationis dominicae» alla luce della tradizione di fede della Chiesa di Aquileia, con un poscritto sull’«Expositio fidei catholicae Fortunati», in Venanzio Fortunato e il suo 32 33 la Pasqua», aveva annunciato Ireneo11, attenendosi alla coincidenza della Crocifissione con l’inizio della Pasqua ebraica il 14 Nisan, così come segnalata dal IV Vangelo; «la Pasqua è la Passione di Cristo, tanto che la Pasqua appunto ne ha preso nome»12, continua la catechesi cromaziana, benché certo non ignara della corretta etimologia dall’ebraico che Gerolamo aveva ripresa da Origene («è evidente che ‘pasqua’, cioè il phase del Signore, non significa ‘passione’, ma ‘passaggio’)13. A loro volta i Commenti fortunazianei, anche se omettono proprio le pericopi della Passione, lasciano tuttavia intravedere la medesima prospettiva: L’indomani Giovanni vide Gesù venire a lui e dice: «Ecco l’Agnello di Dio» ecc. (Gv 1,29). «Agnello» per l’innocenza, o perché nel mistero della Pasqua l’agnello era figura della Passione del Cristo14. Qui spunta la tradizionale paretimologia quartodecimana πάσχα < πάσχειν [páskha < páskhein], che permette con certezza di apparentare la dottrina pasquale di Fortunaziano a quella perpetuata da Cromazio. «Una astersione di peccati»: il sacramento battesimale della lavatio pedum Battesimo, giacché Pietro – ricordava Cromazio – «imparò che nella lavanda dei piedi (cf. Gv 13,4-5) c’è un grande mistero», ovvero ‘sacramento’15: infatti, «la lavanda dei piedi compiuta da nostro Signore è una astersione di peccati»16. La catechesi cromaziana (similmente alla ambrosiana) infatti spiegava: [Pietro] gli porse i piedi, affinché i passi della vita, che erano stati sporcati nell’impurità del peccato di Adamo, fossero lavati col battesimo. […] Dunque il Signore lavò i piedi dei suoi discepoli, affinché dalle impurità di Adamo non permanesse in noi alcuna traccia di peccato17. Al manifestarsi di obiezioni di altre Chiese a questa forte interpretazione battesimale della Lavanda dei Piedi, era già stato però Gerolamo – come poi a Milano Ambrogio stesso18 – ad assumerne dall’Oriente le difese proprio nel cimento più acerbo della sua arte esegetica, risalente al 380/1; egli pure ammette, secondo l’interpretazione più diffusa: «sia pure che [così il Signore] insegni l’umiltà, affinché ci mettiamo a servizio l’uno dell’altro: non dico di no, non lo escludo»19; ribadisce che tuttavia il Signore, prima di ascendere al Cielo, poiché gli apostoli avevano ancora – in quanto uomini che stavano sulla terra – i piedi insozzati dalla lordura dei peccati, Secondo la medesima tradizione giovannea-asiana, anche ad Aquileia, come a Milano, la Lavanda dei Piedi era parte costitutiva del sacramento del 15 cHroM aquiL. Serm. 15: cognouit in lauatione pedum magnum esse mysterium. 16 L.c.: lauatio pedum Domini nostri ablutio peccatorum est. tempo. Convegno internazionale di studio (Valdobbiadene, 29 nov. - Treviso, 30 nov. -1 dic. 2001), Treviso 2003, pp. 403-463: 411-420 in particolare. Dopo la riscoperta materiale (nel 1926, Charles Martin) e critica (1967, Raniero Cantalamessa) dell’omelia In sanctum Pascha dello Pseudo-Ippolito e la scoperta – materiale e critica (1940, Campbell Bonner) – del Perì Páscha di Melitone di Sardi, è positivo che gli storici della liturgia cristiana stiano ammettendo la teologia quartodecimana come caratterizzante denominatore comune delle liturgie latine non-romane fra Gallia cisalpina e transalpina. 11 iren. LugD. Adv. haer. 4,10,1: passus est Dominus adimplens Pascha. 12 cHroM. aquiL. Serm. 17 bis: pascha passio Christi est, unde et pascha nomen accepit. Un profilo complessivo della liturgia documentata da Cromazio è tentato da giuLio TreTTeL, San Cromazio e la liturgia di Aquileia (Sapientia ineffabilis 21), Roma 20192 [2017], 204 pp. 13 Hier. Commentarii in Isaiam 10,31,4+: manifestum est, pascha, hoc est phase Domini, non passionem significare, sed transitum. 14 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia J. XIIII 3128-3130: “Postera autem die vidit Iohannis Iesum venientem ad se et ait: Ecce agnus Dei” et cetera. “Agnus” propter innocentiam, vel quia in sacramento paschae agnus Christi figurabat passionem. 17 cHroM. aquiL. Serm. 15,5-6: Pedes [Petrus] obtulit, ut gressus vitae, qui polluti fuerant in Adam sorde peccati, baptismo lavarentur. […] Lavit ergo Dominus pedes discipulorum suorum, ne in nobis aliqua peccati vestigia de Adae sordibus remanerent: cioè, la Lavanda dei Piedi monda il peccato ereditario, mentre l’immersione battesimale i peccati personali. Vedi aLeSSio perSic, Il ‘peccato originale’ nella teologia della Chiesa antica prima della controversia pelagiana. Schede di fonti e letteratura critica, in Il Peccato Originale. Riflessione interdisciplinare su una verità problematica per l’uomo d’oggi («Quaderni di Teologia», [2]), a cura di Marino quaLizza e S. roManeLLo, Udine 2004, pp. 27-125: 97-99; cfr. aLeSSio Peršič, Da Vittorino di Poetovio a Cromazio e al Libellus fidei del 418: predisposizione ‘semipelagiana’ dell’antropologia e della soteriologia nella tradizione cristiana aquileiese?, in Chromatius of Aquileia and his Age. Proceedings of the International Conference held in Aquileia, 22-24 May 2008 («Instrumenta Patristica et Mediaevalia», 57), a cura di pier franco BeaTrice e Alessio Peršič, Turnhout 2011, pp. 515-643: 638-643. 18 Vedi aMBr. MeD. De mysteriis (forse del 387), 6,32 ed Expl. psal. XII, psal. 48, 8,1-2. 19 Cfr. cHroM. aquiL. Serm. 15,1: «mostra infatti un esempio di umiltà, che dobbiamo seguire e imitare, ma in tale gesto è racchiuso un grande sacramento della nostra salvezza» (exemplum enim humilitatis ostendit, quod sequi vel imitari debeamus. In quo tamen facto magnum salutis nostrae mysterium continetur). 34 35 vuole liberarli del tutto dalle colpe, affinché possa loro competere la parola del Profeta: «come sono belli i piedi di coloro che portano il buon annuncio della pace!» (cfr. Is 52,7). E ad imitarli valgano le parole della Chiesa, che dice: «Mi sono lavata i piedi. Come ancora li sporcherò?» (Ct 5,3)20. È importante notare come anche dall’esegesi di Fortunaziano filtri il sottinteso di un concetto sacramentale della Lavatio pedum del tutto analogo a quello continuato da Cromazio e difeso da Gerolamo: «e così ha lavato anche i piedi degli apostoli ed infine ha patito, per salvare tutti con la sua passione», annota Fortunaziano, stabilendo una equazione salvifica-sacramentale fra la Lavanda battesimale dei Piedi dei discepoli e la Passione del Signore21. L’associazione della Lavanda dei Piedi al Battesimo è peraltro implicata nell’esegesi di Fortunaziano della pericope di Betania (cfr. Lc. 7,38|10,39 + Gv. 12,3), la quale instaura una analogia contrappositiva fra «Giovanni […] che mondava il popolo con un battesimo di penitenza» e Maria che «con le sue lacrime lavava i piedi di Gesù»22: valenza battesimale che ancora alla fine del sec. VIII Paolino d’Aquileia, nella patetica parafrasi in versi della medesima pericope lucana(/giovannea), avrebbe riconosciuta nella lavanda dei piedi del Cristo da parte di Maria di Betania/Magdala: «battezzata fu Maria in tale fonte [cioè il fiotto di sangue e acqua del costato di Gesù, di cui “mistico segno è l’infranto alabastro”23] e, per la fede, | pure Marta»24. «Vincitore e trionfatore sul diavolo»: la Discesa di Cristo nelle regioni infernali. Ma in Fortunaziano neppure manca l’accenno al descensus in inferna del Messia crocefisso, articolo di fede sporadico in Occidente25, tuttavia con esplicita fermezza proclamato sia dal kérygma pasquale quartodecimano (così come ben presto fra le cristianità di Siria26 e d’Egitto27) sia dal Symbolum fidei aquileiese, commentato – e difeso! – da Rufino28, quindi da Venanzio Fortunato nelle rispettive Expositiones29. I Commenti di Fortunaziano costituiscono adesso documento che la Discesa agli Inferi (εἰς τὰ καταχθόνια κατάβασις) professata dal IV Simbolo di Sirmium (a. 359), cioè nell’Illiria prossima a Aquileia30, comparisse con ogni probabilità nel Credo di questa Chiesa già allorché ne fu vescovo Fortunaziano. Emoziona ascoltarne la ridestata voce di autentico catecheta aquileiese, mentre con icastica sintesi e - evidentemente - secondo la genuina tradizione locale celebra l’unico mistero di catabasi agli inferi, resurrezione e anabasi al Cielo nella propria carne, assunta da Maria: «carne virginale incorrotta, che il Signore, resuscitandola da sotto terra, portò con sé al cielo»31; professione di fede nell’esatto solco tracciato da Vittorino: «vinta la morte e debellato l’inferno, il terzo giorno per primo resuscitò dai morti, ascese con il corpo ai cieli, accolto dal Padre»32. Il Descensus è quindi rievocato da Fortunaziano al 25 Vedi Henri quiLLeT, art. Descente de Jésus aux enfers, in Dictionnaire de Théologie Catholique, IV, Paris 1924, coll. 569-570. 26 Cfr. rÉMi gouneLLe, La descente du Christ aux enfers: institutionnalisation d’une croyance («Coll. des Études augustiniennes. Sér. ‘Antiquité’», 62), Paris 2000, p. 270. 20 Hieron. Epist. 18A,12: esto, doceat humilitatem, ut nobis inuicem ministremus: non abnuo, non recuso. […] Ascensurus Dominus ad caelum, quia apostoli, ut homines terrae insistentes, adhuc habebant peccatorum sordibus pollutos pedes, uult eos a delictis penitus liberare, ut eis possit prophetalis sermo congruere: «quam speciosi pedes euangelizantium pacem!». Et imitari ualeant ecclesiae uerba dicentis: «laui pedes meos, quomodo inquinabo illos?» (secondo l’interpretazione ecclesiologica del Cantico dei Cantici). Cfr. aMBr. MeDioL. De uirginitate 10,57: «Ma ciò riguarda l’umiltà. Per quanto invece riguarda il sacramento, deve lavare i suoi piedi chi vuole aver parte con Cristo: “Se infatti non ti avrò lavato i piedi, non avrai parte con me” (Gv 13,8b)» (Sed hoc ad humilitatem pertinet. Quantum uero ad mysterium, pedes debet lauare suos qui uult partem habere cum Christo: «Si enim non lauero, inquit, tibi pedes, non habebis mecum partem»). 21 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia M. LXLV 2173-4: Denique et pedes apostolorum lavit et passus <est> postremo, ut omnes sua passione salvaret. 22 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia J. XIII 3124-5 e 3123: Iohannis […] populum baptismo paenitentiae purgans…; lacrimis pedes Iesu lauabat… 23 pauL. aquiL. carmen IV (a cura di Dag norBerg) 4,1: Fractum signat alabastrum Iesu corpus mystice. 24 Ivi 7,1-2: Est Maria baptizata hoc in fonte, credula / est et Martha… 27 Cfr. la Professio fidei postbattesimale secondo le recensioni sia copta sia etiopica: «è risorto il terzo giorno, ha liberato gli incatenati, è asceso nei cieli»… (in HeinricH Denzinger, aDoLpH ScHöMeTzer, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Freiburg im Br. 197336, p. 38, nn. 62-63). 28 In proposito vedi aLeSSio Peršič, Aquileia e Ambrogio dopo Ambrogio. La difesa rufiniana delle «adiecta» locali al Simbolo contraddette da Ambrogio e la relazione critica-imitativa dell’inno «In sanctorum Petri et Pauli» del patriarca poeta Paolino II con il rispettivo modello ambrosiano, in La mémoire d’Ambroise de Milan. Usages politiques et sociaux d’une autorité patristique en Italie (Ve-XVIIIe siècle) («Histoire ancienne et médiévale»), a cura di paTrick BoucHeron e STÉpHane gioanni, Rome - Paris 2015, pp. 261-297: 267-278. 29 Sulla tematica del Descensus in ambo gli autori vedi Peršič, Venanzio Fortunato «presbyter Italicus»…, cit., passim. 30 ...καὶ εἰς τὰ καταχθόνια κατελθόντα, καὶ τὰ ἐκεῖσε οἰκονομήσαντα, ὃν πυλωροὶ ᾇδου ἰδόντες ἔφριξαν, καὶ ἀναστάντα ἐκ νεκρῶν… («e che è sceso nelle regioni sotterranee e di esse ha amministrato la salvezza – visto il quale i guardaporta dell’Ade fremettero di paura – e che è risorto dai morti»...). 31 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia M. long. I 245-6: caro virginalis incorrupta, quam Dominus ab inferis suscitans secum ad caelos pertulit. 32 …morte devicta et debellato inferno tertia die primus resurrexit a mortuis, / in caelis cum corpore a Patre receptus 36 37 culmine di uno sviluppo tipologico che ormai possiamo costatare ripreso poi da Cromazio33: subito percorrendo le regioni infernali tutte con l’integra potenza della sua divinità vien chiamato Re di gloria (statim inferna lustrans cum tota virtute deitatis rex gloriae appellatur)34. Questa epica, ritmica proposizione formulare di arcaico sapore tutto ‘aquileiese’ è espressione pura della teologia giovannea della Croce, che informava la Pasqua quartodecimana: Passione come trionfo, Croce come trofeo e trono di regalità universale35. Fortunaziano aderisce / ascendit... Ricavo tale Credo da espressioni formulari sparse nel commento vittoriniano sull’Apocalisse, ricomponendole in opportuna sequenza: vicT. poeT. In Apocalypsim 1,1 + 11,1 + 4,1. 33 Cfr. cHroM. aquiL. Tract. in Matth. 7. inequivocabilmente a questa prospettiva: «il Figlio di Dio […] con la sua Passione ha trionfato»36; «il Cristo, detto leone per la sua potenza, è infine vincitore e trionfatore sul diavolo e sulla propria stessa morte»37; ovvero, «la Passione, con cui ha vinto il diavolo per mezzo della Croce»38. Anche Cromazio avrebbe sviluppato ampiamente il concetto della croce come trofeo («nella Croce di Cristo è il trionfo della sua potenza e il trofeo della sua vittoria […] Per mezzo della Croce il Cristo sale come su un carro trionfale»)39; e Gerolamo altrettanto – pur sempre fedele alle radici aquileiesi della sua spiritualità cristiana – proclama che «in rapporto all’economia e al mistero dell’incarnazione e alla vittoria della Croce, Cristo ritorna in Cielo più grande di quanto era venuto in terra»40. Similmente ancora, è Venanzio Fortunato poeta – voce di Aquileia nella Gallia merovingica – a ribadire in senso giovanneo la fisionomia della propria teologia pasquale nell’inno Pange lingua gloriosi proelium certaminis41, dove soprattutto impressiona l’originalità del rapporto addirittura omofonico fra la stringente interpretazione del significato cristiano della ‘croce’ di Rufino catecheta (crux ista triumphus erat: triumphi enim insigne est tropaeum; tropaeum autem 34 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia M. VIII 817-8. 35 Nella citata proposizione di Fortunaziano, in particolare, è l’apice del klimax a impressionare: rex gloriae appellatur. Inevitabile pensare al canticum triumphale ‘Cum rex gloriae’ – superbo nella versione del musicista rinascimentale sloveno Jakob Petelin / Iacobus Gallus Carniolus, 1550-1591) – il cui arcaico testo è uno scampolo delle liturgie latine pre-carolinge vigenti nel vasto ambito denominato vuoi gallicano vuoi ambrosiano e aquileiese: Cum rex glorie Christus infernum debellaturus intraret [cfr. Vict. Poetov. In Apocalypsim 1,1] et chorus angelicus ante faciem eius portas principum tolli praeciperet, sanctorum populus qui tenebatur in morte captivus voce lachrimabili clamaverat: «Advenisti desiderabilis, quem expectabamus in tenebris, ut educeres hac nocte vinculatos de claustris. Te nostra vocabant suspiria, te larga requirebant lamenta: tu factus es spes desperatis, magna consolatio in tormentis». Alleluya («Quando Cristo, il re della gloria, entrò nell’inferno per debellarlo e il coro degli angeli comandò che fossero sollevate al suo cospetto le porte dei principi, il popolo dei santi, che era tenuto prigioniero nella morte, con voce di lacrime già aveva alzato il grido: “Sei venuto agognato, o tu, che aspettavamo nelle tenebre, affinché in questa notte noi incatenati traessi fuori dalle carceri. Te per nome chiamavano i nostri sospiri, te ricercavano i traboccanti gemiti: ora sei davvero tu la speranza dei disperati, la grande consolazione nei tormenti”. Alleluia». Questa immaginosa drammatizzazione del Sal 106 (Vulgata, vvedi10 e 23-30 in particolare, applicabili a Giona...), impreziosita da una concordanza pressoché testuale con il Credo di Vittorino di Poetovio, famosa tanto in Aquitania quanto in molte Chiese di Germania (vedi eMiL LengeLing, Unbekannte oder Seltene Ostergesänge aus Handschriften des Bistums Münster, in «Paschatis Sollemnia». Studien zu Osterfeier und Osterfrömmigkeit [Festschrift J. A. Jungmann], a cura di BaLTHaSar fiScHer, JoHanneS Wagner, Basel 1959, pp. 213-226), costituì ad Aquileia l’apogeo dello ierodramma della Depositio Crucis, seguita dalla Elevatio Crucis, durante la nox magna pasquale. In tale contesto il Cum rex gloriae doveva produrre gli effetti del più commovente patetismo (vedi giLBerTo preSSacco, Musical Traces of Markan Tradition in the Mediterranean Area, in «Orbis musicae», IX, a cura di DoDik HaLperin, Tel Aviv 1993/1994, p. 39; giacoMo Baroffio, eun Ju kiM, Proposte liturgico-musicali occidentali di testi patristici latini e greci, in Leggere i Padri tra passato e presente. Atti del Convegno internazionale di studi (Cremona, 21-22 novembre 2008), a cura di Mariarosa Cortesi, Firenze 2010, pp. 70-72; ma vedi pure la pagina web all’indirizzo http://www. librideipatriarchi.it/lantifona-cum-rex-gloriae-christus/ [12.2.2020]). Tale canticum risuona fino a oggi in ballate popolari delle Alpi friulane, come quella intitolata La passion dal nùestri bon Signòr, raccolta da piero Menegon nel paese friulano di Tramonti/Tramonts sulle Prealpi Carniche e pubblicata dalla Società Filologica Friulana (Cantilene tramontine, «Ce fastu», XIX [1943], nr. 3, pp. 20-22: 21), dove Gesù risorto afferma: «Jo ven da la batáglia / dutt insanganât / e dut inspironât. / E duta la int dal mont podarà crêdi / foor chi San Tomàs» («vengo dalla battaglia, / tutto insanguinato, / tutto sforacchiato. / E tutta la gente del mondo creder lo potrà / fuorché San Tommaso»). Il Cum rex gloriae tradisce peraltro la medesima ambientazione geronimiana dell’omelia pasquale (Hier. Tractatuum in psalmos series altera, ps. 93B (CC SL, 78, a cura di gerMain Morin, Turnhout 1958), corrispondente allo pseudoagostiniano sermo CLX, de Pascha II, PL 39, 2059-2061, scritto verso l’anno 400 e ripreso da euS. gaLLic. Ser. extrav. 8, ll. 98-116 specialmente (CC SL 101B, a cura di François Glorie, Turnhout 1971: vedi DoLoreS oziMic, Der Pseudo-augustinische Sermo CLX. Hieronymus als sein vermutlicher Verfasser, seine dogmengeschichtliche Einordnung und seine Bedeutung für das österliche Canticum triumphale “Cum rex gloriae”, Graz 1979 (Diss. d. Univ. Graz, 47), pp. 19-36 e 103-106; cfr. Peršič, Venanzio Fortunato «presbyter Italicus»..., cit., pp. 413-414 e 450-451) – forse un adattamento da Origene (vedi viTTorio peri, Omelie origeniane sui salmi. Contributo all’identificazione del testo latino, Città del Vaticano 1980, [«Studi e Testi», 289], p. 41 s. in particolare). Tuttavia sia l’antifona, sia il sermone geronimiano, pur non escludendo assonanze con testi liturgici già in uso a Aquileia alla fine del sec. IV, devono per altro supporre materiali comuni (e, in parte, forse anche più antichi) con la narrazione di Evangelium Nicodemi 6-8 (rec. Lat. A, a cura di conSTanTin TiScHenDorf, Lipsiae 1853, 378-383); in generale vedi aLeSSio Peršič, Il «descensus in inferna» e l’«Introduzione» di Antonio Orbe, «Gregorianum», XCIV, 2, 2013, pp. 321-345. 36 Ivi M. XLVIIII 1328-1330: Filius Dei […] sua passione triumphavit. 37 Ivi M. long. I 175-6: Christus, ob potentiam leo dictus, victor et triumphator zabuli, etiam ipsius mortis, invenitur. 38 Ivi M. long. I 258-9: …passionem, id est virtutem, qua zabulum devicit per crucem. 39 cHroM. aquiL. Serm. 19: in cruce Christi triumphus virtutis est et tropaeum uictoriae […]. Per crucem Christus velut currum triumphalem ascendit. Ne consegue che «perciò scelse i quattro evangelisti; davvero come una quadriga celeste, scelta per annunciare a tutto il mondo il trionfatore di così grande vittoria! (et ideo quatuor evangelistas elegit, quasi quadriga caelestis electa, ut triumphatorem tantae uictoriae omni mundo nuntiaret). 40 Hieron. Hom. in die dominica Paschae, II (CC SL, 78, p. 548): iuxta dispensationem carnisque mysterium et uictoriam crucis, maior regreditur ad caelos, quam ad terras uenerat. 41 ven. forT. Carm. II 2. 38 39 devicti hostis indicium est)42 e l’intonazione sublime su cui Fortunato ne accorda la lode: «sul trofeo della Croce canta il trionfo nobile»43. all’annuncio degli apostoli hanno dimostrato quindi di saperlo e di crederlo45. «Preso dal gran pesce dopo tre giorni è vomitato sulla spiaggia»: il signum Ionae Quando poi l’antico catecheta aquileiese passa ad evocare le felici disavventure di Giona, sono appunto le sequenze musive nell’aula teodoriana a rianimarsi dell’autentica vita che solo il commento autoptico di chi realmente avesse condiviso la cultura dei loro committenti avrebbe potuto suscitare: Infine, la dottrina fortunazianea del Descensus manifesta in tutta evidenza anche quella verità del kérygma che Aquileia, prima ancora di prendere la parola nel consesso patristico, aveva innanzitutto raffigurata in mosaico sul pavimento dell’aula catecumenale della cattedrale concepita ed eretta dal vescovo Teodoro verso il 316: l’universalità della salvezza procurata dal Cristo risorto come agli Ebrei così ai pagani, rappresentati – nel mare in cui Giona è inabissato – dai pesci sia puri sia impuri catturati con le reti dagli angeli, nella festa di una pesca salvifica del genere già evocato in Egitto da Clemente Alessandrino (ca. 150-215) nell’inno finale del suo Pedagogo44. Fino al giorno d’oggi tra i Giudei resta incredibile che il Figlio di Dio sia risorto dalle regioni infernali, – constata Fortunaziano – mentre invece tutte le altre nazioni 42 ruf. aquiL. Exp. symb. 12: «Celebra, o lingua, il combattimento della sfida gloriosa». 43 ven. forT. Carm. II 2, vedi 2: super crucis tropaeo dic triumphum nobilem; vedi Peršič, Venanzio Fortunato «presbyter Italicus»..., cit., pp. 417-420 in special modo. Occorre però rimarcare come ancora si indugi nel riconoscimento – doveroso e metodologicamente necessario – dell’influenza esercitata in tale dominio dal cristianesimo aquileiese, che dei tratti fondamentali della teologia pasquale quartodecimana era un fedele custode, soprattutto capace, fino almeno alla seconda metà del secolo VI, grazie all’autorità o al genio di autori come Cromazio, Rufino, Gerolamo o Venanzio Fortunato, di perpetuarne a grande raggio il fermento. Sarà forse che gli studi aquileiesi si svolgano un po’ appartati e che la loro eco risuoni flebile nel consesso internazionale degli storici, se ancora da esperti degni di tutta stima, a proposito dell’ispirazione teologica del Pange lingua gloriosi praelium certaminis, è detto che «può essere che Venanzio Fortunato, per comporre il suo inno, abbia attinto alla concezione della Passione propria della liturgia visigotica [Spagna, Gallia meridionale], derivata dalla pasqua asiana del secondo secolo» (enrico Mazza, Il culto della croce nella liturgia del venerdì santo nell’altomedioevo, «Didaskalia», XXXVI, 2006, pp. 19-45: 43): ma così si continua a dimenticare che il poeta di Duplavis, devoto a uno dei martiri aquileiesi più rappresentativi (Fortunato), stretto da reverente amicizia con il patriarca d’Aquileia Paolino I e filotricapitolino egli stesso, dimostra non solo nel Pange lingua, ma in innumerevoli luoghi della propria opera letteraria, il debito inequivocabile verso la formazione catechetica indelebilmente impartitagli in seno alla Metropoli d’origine. 44 Ossia l’Inno di Cristo Salvatore (Hymnus Christi servatoris), vv. 23-28, in cLeM. aLex. Paedagogus III 12 (GCS 12bis, 1, a cura di oTTo STäHLin e urSuLa Treu, BerLin 19723 [1909]), 291-292): ἁλιεῦ μερόπων / τῶν σῳζομένων / πελάγους κακίας, / ἰχθῦς ἁγνοὺς / κύματος ἐχθροῦ / γλυκερῇ ζωῇ δελεάζων («Pescatore degli uomini / in salvo portati / da perfidia del mare, / pesci puri Tu adeschi / fuori da onda nemica / con dolcezza di vita»). Che incredulità e cecità, benché vedessero che segni così grandi e meravigliosi erano compiuti (Mt. 12,4041)! Mostra però che quanto successe in Giona fu segno della verità che sarebbe stata: buttato in mare patisce la tempesta, preso dal gran pesce dopo tre giorni è vomitato sulla spiaggia, indicando che il Figlio di Dio sarebbe venuto nella carne, avrebbe patito la tempesta di questo mondo e tentazioni dal popolo stesso, come onde del mare, ed avrebbe percorso le regioni infernali e nel terzo giorno, ripreso il corpo che era stato deposto nella tomba, sarebbe risorto. Dunque questo segno diceva che proprio ciò sarebbe avvenuto, perché, come si rileva che Giona non predicò ai Niniviti se non dopo che fu liberato dal profondo del mare e così salvò il popolo condotto a pentimento, così pure mostrava che Egli stesso, dopo che, schiacciata la morte, fosse risorto dagli inferi, avrebbe predicato dovunque per mezzo dei suoi apostoli e convertito molti alla salvezza, tanto del popolo stesso quanto di tutte le nazioni…46. Rielaborazioni esegetiche echeggiate e continuate dal magistero – altrettanto ‘autoptico’ – di Cromazio, secondo cui il Signore «dopo tre giorni 45 forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia M. <LVI> 1461-3.: Usque in hodiernum apud Iudaeos Filium Dei ab inferis resurrexisse incredibile est, et ab universis nationibus scire et credere nuntiantibus apostolis manifestatum est. 46 forTun. aquiL. Regula evangeliorum quattuor, M. LXVII 1519-1529: O incredulitas et caecitas! Cum tanta signa et mirabilia fieri viderent! Ostendit tamen, quae in Iona gesta sunt, signum fuisse futurae veritatis, ut tempestatem pateretur missus in mari, ut susceptus a ceto post triduum ad litus evomeretur, demonstrans Filium Dei in carne venturum, tempestatem saeculi et temptationes a populo ipso velut quosdam fluctus passurum et inferna lustraturum et in die tertio recepto corpore, quod in monumento depositum fuerat, resurrecturum. Hoc ergo signum dicebat futurum, quia, sicut Ionas non nisi postquam de profundo maris liberatus est, praedicasse Ninivitis et sic populum ad paenitentiam redactum salvasse invenitur, sic quoque ostendebat se ipsum, postquam conculcata morte ab inferis resurrexisset, per apostolos suos ubique predicaturum multosque tam ex ipso populo quam ex universis nationibus ad salutem conversurum... 40 41 richiamò Giona incolume non solo dai flutti, ma anche dal fondo del mare e dal ventre della balena», giacché quegli «fu da Dio esaudito perché non con la voce, ma con la fede lo chiamava»47; dunque il signum Ionae, come già richiamato e decifrato da Fortunaziano48, continua secondo Cromazio a rivelare che, come «Giona dentro quel pericolo dormiva e russava sicuro nel sonno», così Gesù alla ricomposizione dello ‘scisma’ intorno all’anno 700 è possibile sia stata fatta qualche concessione, come la rinuncia alla Lavanda dei Piedi di valore battesimale54. Quel silenzio fu però magnificamente interrotto dal canto del patriarca Paolino II († 802). Negli anni 820-830 Valafrido Strabone – artista e massimo poeta egli stesso (ca. 808-849)55 – se ne dimostrava ancora impressionato: dormì secondo la carne nel sonno della sua Passione, ma la sua divinità perlustrava le regioni infernali, per rapire con sé l’umanità che nell’inferno era detenuta. Ha voluto infatti il Signore e Salvatore nostro perlustrare ogni luogo, per avere di tutti compassione49. negli offici ambrosiani56 – scriveva – si recitano inni metrici e ritmici, che alcuni talora sogliono aggiungere nelle messe solenni affinché la grazia della compunzione sia resa più sensibile per effetto della dolcezza delle armonie; si racconta che per questo il patriarca del Friuli Paolino ricorresse più volte – e soprattutto nelle messe private, al momento della frazione del pane – a inni composti sia da altri sia da lui stesso. Personalmente riterrei sicuro che un uomo di tale prestigio e tanta scienza così abbia fatto né senza il fondamento di un modello autorevole (nec sine auctoritate), né senza ponderata ragione57. Gerolamo, d’altronde, dedicò proprio al «venerabile papa Cromazio»50 (quindi in nesso immediato con Aquileia) l’opera esegetica giudicata fra le sue la più originale e riuscita: appunto il Commento a Giona, il profeta «rinchiuso dentro la pancia della balena nelle profondità d’alto mare»51, figura di Gesù « inabissato nell’inferno fra la tempesta dei gorghi, cioè la sua Passione e l’improperio della croce»52, eppure, «nell’inferno, vivo e, fra i morti, libero»53. «Negli offici ambrosiani si recitano inni metrici e ritmici»: la permanenza di Aquileia nel contesto liturgico non-romano fra età tardoantica e medioevo Un grande silenzio delle fonti liturgiche adombra Aquileia fra la metà del V secolo e l’epoca carolingia: ma è ragionevole supporre che l’arroccamento tradizionalista provocato dal suo permanere nella difesa a oltranza dei Tre Capitoli l’abbia preservata da significative innovazioni. Solo 47 cHroM. aquiL. Tract. in Matthaeum 52: Ionam non solum de fluctibus, sed de profundo maris ac de uentre coeti post triduum incolumen reuocauit; ibidem 27: exauditus autem a Deo est, non quia uoce, sed quia fide clamabat. 48 Vedi forTun. aquiL. Commentarii in Evangelia M. <LXVI> 1518: signum quaerebant. 49 cHroM. aquiL. Tract. in Mathaeum 54: Ionas in illo periculo securus et dormiebat et stertebat in somno […] in passionis suae somno carne dormiuit, sed diuinitas inferna lustrabat, ut hominem qui in inferno tenebatur eriperet. Voluit enim Dominus et Saluator noster omnia loca lustrare, ut omnium misereretur… 50 Hieron. In Ionam, prol. 51 Ivi 2: ceti clausus aluo in profundissimo et in medio maris. 52 Ivi 1: inter turbines ac tempestates, id est passionem suam crucisque conuicia submersus in inferno. 53 Ivi 2: in inferno uiuens, inter mortuos liber. Risulta così appurato che la tradizione liturgica in cui e per cui principalmente fiorì l’innografia di Paolino – ecclesiastico formatosi tra il Friuli longobardo e la Corte della Gallia franca durante il terzo quarto del secolo VIII – era ancora in sostanza quella ‘ambrosiana’, così detta per antonomasia e sineddoche: cioè la liturgia che almeno dalla fine del sec. II, con notevoli influssi provenienti dal cristianesimo d’Asia Minore, era andata sino ai principi del sec. V originalmente configurandosi e variamente declinandosi nelle Chiese dell’Italia settentrionale, di cui Aquileia e Milano erano le metropoli; ma anche, in senso lato, la liturgia che – parallelamente, seppure con più lentezza e non senza taluni diretti condizionamenti norditalici, aquileiesi 54 Vedi Alessio Peršič, Il minimo dei Tre Capitoli: dai sospetti di S. Proclo agli insulti di Mastro Stefano, Iba di Edessa e la sua lettera ‘A Mari il Persiano’ (tradotta in italiano dalla versione greca e brevemente commentata), in Il Peccato Originale. Riflessione interdisciplinare…, cit., pp. 203-225: 223-5. 55 Cfr. carLo grünanger, La letteratura tedesca medievale, Firenze - Milano 19672, 36. 56 Officium, che può semplicemente significare ‘rito’, qui ricorre nel senso specifico di ‘preghiera delle ore canoniche’. 57 vaLafr. STraB. De ecclesiasticarum rerum exordiis et incrementis, 35: Porro hymni metrici ac rithmici in ambrosianis officiis dicuntur, quos etiam aliqui in missarum solemnis propter compunctionis gratiam, quae ex dulcedine concinna augetur, interdum assumere consueverunt. Traditur siquidem Paulinum Forojuliensem patriarcham saepius et maxime in privatis missios circa immolationem sacramentorum hymnos vel ab aliis vel a se compositos celebrasse. Ego vero crediderim tantum tantaeque scientiae virum hoc nec sine auctoritate nec sine rationis ponderatione fecisse. 42 in particolare58 – si era infine affermata in Gallia59. Appunto le sussistenti, ingenti reliquie della liturgia oggi detta ‘gallicana’, risalenti ai secoli fine VIVIII, manifestano in piena luce quella fisionomia ben distinta dalla romana che doveva in modo non affatto dissimile contrassegnare – se si considerano i fitti indizi di natura teologica e letteraria che trapelano dall’innografia paoliniana – anche la contemporanea liturgia aquileiese, purtroppo non illustrata direttamente da altrettali monumenti manoscritti60. 58 Nel corso del IV secolo «all’inizio è il nord della penisola italiana, del resto unita da numerosi e solidi legami alla Gallia, a detenere ormai la fiaccola della cultura cristiana latina. Questo periodo durerà fino alla guerra fra Ostrogoti e Bizantini durante il VI secolo, quindi fino alle invasioni longobarde che seguirono di lì a poco, instaurando un regime ostile per più di cent’anni alle organizzazioni ecclesiastiche. Prima di questa crisi, la cultura cristiana del nord della penisola (e delle province danubiane) godette di una facoltà d’irradiamento considerevole, grazie a predicatori come Zenone di Verona († 371), Ambrogio di Milano († 397), Cromazio di Aquileia († 407 [?]), Gaudenzio di Brescia († 410 ca.), Massimo di Torino († 470 ca., [di origine aquileiese?]), Niceta di Remesiana († 415 ca.) [...]. In certa misura, i documenti liturgici franchi testimoniano il prestigio dell’Italia del Nord. Basta rammentare l’accoglienza calorosa che la Gallia riservò all’innografia ambrosiana, così come all’emulazione che quella suscitò» (MaTTHieu SMyTH, La liturgie oubliée. La prière eucharistique en Gaule antique et dans l’Occident non romain, Paris 2003, pp. 233-234). 59 Scriveva il canonico ÉLie griffe, Aux origines de la liturgie gallicane, «Bulletin de littérature ecclésiastique», LII, 1951, pp. 17-43: 21: «Al di là di tutte le diversità locali, provinciali o regionali, ci sono, in Occidente, due tipi liturgici particolari: il tipo romano e il tipo che potremmo chiamare gallicano»; commenta mons. enrico Mazza: «Si deve convenire con queste parole di Griffe» ... (Che cos’è l’anafora eucaristica?, «Divinitas» N.S., XLVII, 2004, pp. 37-56: 48 nota 33). E precisa MaTTHieu SMyTH: «Le origini e la natura del rito di Milano e delle altre città dell’Italia del Nord precarolingia sono a prima vista difficili da individuare [...]. Tuttavia un certo numero di fatti – la Lavanda dei Piedi battesimale menzionata da Ambrogio [così come da Cromazio!], [...] ecc. – permettono di identificare la struttura originale della liturgia milanese, anteriormente alle ibridazioni ulteriori, come appartenente al tipo gallicano»: perciò, «in presenza d’una tale convergenza di fatti, senza neppur fare intervenire la ‘Legge di Baumstark’ [“le condizioni antiche si mantengono con più tenacia nei tempi più sacri dell’anno liturgico” (anTon BauMSTark, Liturgie comparée. Principes et méthodes pour l’étude historique des liturgies chrétiennes, Chevetogne 19533, p. 29)], è curioso che taluni possano ancora negare l’identità fondamentale delle liturgie gallicane e norditaliane. [...] Alla radice, liturgia gallicana e milanese [‘ambrosiana’!] sono una sola e medesima consuetudo, in seno alla quale non si discerne alcuna vera priorità cronologica» (La liturgie oubliée..., cit., pp. 98-103 passim). Quindi il medesimo autore aggiunge: «L’Italia del Nord – che in origine altro non è che la Gallia cisalpina – conosceva la medesima liturgia della Gallia transalpina [...]. Spetta a chi dubita di questa unicità addurre la prova contraria: perché l’Italia del Nord avrebbe conosciuto una liturgia essenzialmente diversa da quella della Gallia, benché si tratti d’una sola medesima area geografica e tutto mostri l’unità profonda degli strati milanesi antichi e della liturgia occidentale non-romana? Il rito del pedi lavum, così singolare eppure comune alla Gallia e all’Italia del Nord, è un indizio che non inganna» (ivi, p. 235)... 60 L’antico significato generico di ‘ambrosiano’ (cioè ‘simile’, o ‘analogo all’ambrosiano’) è invece oggi assunto, nella letteratura scientifica, da ‘gallicano’, come è chiaramente spiegato da MaTTHieu SMyTH, ‘Le sacrifice institué par le Christ’ d’après les prières eucharistiques des sacramentaires de l’ancienne Gaule, «Annali di Scienze Religiose», VII, 2002, p. 40: «L’idea di una liturgia gallicana è un concetto che, nel rispondere innegabilmente a un bisogno, ingloba una realtà dai contorni sfumati [floue]. [...] I costumi della Gallia precarolingia sono meglio documentati per il Regnum Francorum, fatto che ne giustifica la designazione corrente, ma il ‘tipo gallicano’ si ritrova in un’area comprendente l’Irlanda, la Gran Bretagna, la Gallia, la Spagna, l’Italia del Nord, le regioni danubiane latine [...]. La liturgia detta ‘gallicana’ [...] non è altro che 43 Non sarà infatti casuale che proprio la possibilità – fino a tempi recentissimi mai intenzionalmente supposta e sistematicamente esperita – di non sporadici raffronti con la liturgia gallicana, quale restò in pieno vigore fino al terzo quarto del sec. VIII, concorra a puntualmente valutare il contesto comparato immediato di un immaginario verbale come quello paoliniano, saturo di reminiscenze letterarie classiche e, insieme, dell’omiletica e della poesia protocristiane, convertite infine all’affabulazione innodica altomedievale. Di converso, è evidente come Paolino possa a sua volta fornire documento – indiretto o meno – della liturgia aquileiese precarolina: infatti nei suoi ritmi si rilevano occorrenze tali da fare intuire come egli direttamente interloquisse con il patrimonio liturgico ereditario, ricco degli apporti della fiorente omiletica latina norditalica, che nei secoli IV-VI faceva ancora «integralmente parte della celebrazione eucaristica»61. Dev’essere quindi senz’altro accolta la testimonianza di Strabone che Paolino, con sicuro istinto pastorale, aveva contribuito in maniera forte (ed emulabile) ad estendere la pratica dell’innografia al rinnovamento della stessa liturgia eucaristica, partecipata non solo dai monaci, ma necessariamente da tutto il popolo cristiano. «Si diletta di inni e cantici spirituali»: Paolino II melode fra riforma e conservazione A spiegare sia la fine considerazione dimostrata da Paolino verso l’arte poetico-musicale (al pari del compatriota Paolo Diacono)62, sia l’eccellenza degli effettivi risultati, sembra sufficiente – anche senza ricorrere alla suggestione di apporti bizantini – lo stesso contesto remoto della cultura aquileiese fiorita la liturgia occidentale non-romana». 61 SMyTH, La liturgie oubliée..., cit., pp. 235-236. Per disamine anche puntuali a tale proposito si rimanda a Alessio Peršič, SanDro piuSSi, Paolino patriarca di Aquileia, Opere, 2. Ritmi e carmi («Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis», X, 2), Roma - Aquileia 2007, 688 pp. 62 Cfr. il canone VI del Concilio di Cividale (796), redatto da Paolino stesso: il chierico, «se si dilettasse di inni e di cantici spirituali, si serva in modo degno e conveniente di quelli che sono stati composti sulla base delle Sacre Scritture. Da questi non solo non comandiamo di astenersi, bensì, essendone noi stessi partecipi, ne concediamo volentieri l’uso» (si in hymnis et spiritualibus canticis delectatur, se sacris videlicet scripturarum voluminibus digne honesteque compositis utatur. Ab his igitur non solum non inhibemus abstinere, verum etiam connivens licentiae concedimus votum). Vedi gli Acta del Concilium Foroiuliense ripubblicati e tradotti dal curatore SanDro piuSSi in XII centenario del concilio di Cividale (796-1996). Convegno storico-teologico. Atti, Udine 1998, VI, pp. 60-61. 44 fra i secoli IV e VI63, integrato nella cultura cividalese d’epoca longobarda, dove Paolino ricevette la prima educazione. L’uso d’introdurre nuove innodie nella Messa fu perciò da Paolino intelligentemente «sviluppato e interpretato in modo consono alla forma tradizionale dell’innografia occidentale e del rituale latino», norditalico e gallico in particolare64. Paolino, giunto nel 776 in Francia dalla lontana provincia aquileiese, in cui sino a quell’anno erano fioriti – ancora sostanzialmente indisturbati sotto il regime longobardo – una liturgia ed un canto ecclesiastico di immemorabile tradizione non-romana, aveva là avuto modo di apprezzare anche il nuovo canto ‘gregoriano’, verosimilmente frequentando l’ambiente musicale di Metz65. Ma tale riforma liturgica, quando nel 787 Paolino ritornò in patria 63 Si ricordi anche che Ambrogio, fra i pionieri dell’innografia latina, aveva risieduto più volte ad Aquileia, intrattenendo amichevoli rapporti con i suoi presuli; nella Metropoli, d’altronde, Cromazio stesso lasciava intuire un’affermata pratica liturgica del canto a struttura responsoriale, mentre molteplici indizi di varia fonte lasciano agevolmente intuire il progressivo fiorire fino in epoca longobarda di una autonoma tradizione liturgico-musicale, ‘aquileiese’ propriamente detta (cfr. giLBerTo preSSacco, La musica nel Friuli storico, in Enciclopedia monografica del Friuli-Venezia Giulia, III,4, Udine 1981, p. 1952). Significato strepitoso– sia ribadito – detiene in tal senso l’innografia liturgica di Venanzio Fortunato, il cui immaginario teologico-simbolico non si dimostra mai immemore – negli inni alla Croce specialmente – della patria eredità aquileiese. 64 Marco gozzi, Le composizioni musicali su testo di Paolino d’Aquileia: problemi e proposte editoriali, in Paolino d’Aquileia e il contributo italiano, a cura di paoLo cHieSa, p. 207; in base alla testimonianza di un ms. di San Gallo (Stiftsbibliothek, 381), del X secolo, forse ancora con funzione di processionale, Gozzi avanza l’ipotesi che gli inni di Paolino fossero concepiti non per sostituire i canti del Proprio o dell’Ordinario della Messa, ma per essere eseguiti, ad esempio, prima della lettura del Vangelo. Per i controversi giudizi sull’azione riformatrice di Paolino II in campo liturgico si veda anche, per un confronto: giuSeppe cuSciTo, L’antica liturgia di Aquileia, in «Anno Domini 1208»: ottocento anni della parrocchia di Cortina d'Ampezzo [Atti del Convegno di Cortina d’Ampezzo, 12 aprile 2008], a cura di giorgio feDaLTo, Trieste 2009, pp. 49-86; iDeM, La liturgia aquileiese e la riforma del patriarca Paolino, in «Antiqua habita consuetudine». Contributi per una storia della musica liturgica del Patriarcato di Aquileia. Atti del colloquio internazionale (Portogruaro 20 ottobre 2001), a cura di Lucio criSTanTe, Trieste 2004, pp. 9-20; iDeM, Il patriarca Paolino e la liturgia di Aquileia, in Aquileia e le Venezie nell’Alto Medioevo. XVIII Settimana di Studi Aquileiesi («Antichità Altoadriatiche», XXXII), Trieste 1988, pp. 149-167. 65 Va ricordato che la questione della sopravvivenza del canto liturgico non-romano era stata innescata già nel 754 dal re franco Pipino, quando, vista e ascoltata la messa cantata dalla Schola che aveva accompagnato papa Stefano II da Roma a Saint-Denys, aveva deciso di adottare per il suo regno la liturgia romana (vedi Jean cLaire, Un exemple d’inculturation au IXe siècle: le chant romano-franc, dit grégorien, in Liturgie et cultures. Conférences Saint-Serge: XLIIIe semaine d’études liturgiques. Paris, 25-28 juin 1996, a cura di acHiLLe M. Triacca e aLeSSanDro piSToia, Roma 1997, pp. 28-9): s’era perciò avviato fin da allora – forse a cominciare da Metz, centro liturgico e musicale celebre – un assiduo travaglio, non di mera sostituzione, bensì di vario adattamento e conciliazione ad opera dei cantori gallicani del patrimonio musicale locale ai nuovi testi: dall’analisi musicologica oggi più accreditata risulta ad esempio che i testi comuni alle due liturgie (Gloria, Credo, Sanctus, Pater, Te Deum) mantennero le melodie gallicane tradizionali; quanto ai testi cantillati, furono adottate le letture romane, ma conservati i toni tradizionali di cantillazione sulla corda di re; per i testi cantati, infine, fu adottata la struttura modale e lo stile (sillabico o melismatico) annotati all’ascolto del canto romano, ma conservata tutta l’ornamentazione gallicana, preferita a quella romana, più ripetitiva (cfr. ivi, p. 30). Oggi quindi il giudizio storico che ammette in tale transizione non un processo 45 con la nomina a patriarca, non poteva che esservi ai primi esordi: infatti l’Admonitio generalis, che ufficialmente la promosse, risale appena al 789; da questa pura cronologia si può allora inferire che Paolino non fu un esecutore, bensì un creativo precorritore di riforme liturgiche che solo dopo la sua morte iniziarono a conoscere generale applicazione. Il compito che Paolino dovette prefiggersi quale nuovo presule-liturgo fu perciò senz’altro d’inculturare il nuovo canto ‘gregoriano’ e i testi della liturgia romana (per i quali esso era stato elaborato in Francia) nella tradizione musicale e liturgica aquileiese, che permaneva sostanzialmente non-romana, ovvero ‘ambrosiana’, al pari della gallicana; tuttavia, simile a quello conosciuto a Metz dovette essere anche il metodo da lui prudentemente seguito in patria per avviare la transizione, così che riforme ed innovazioni non poterono in alcun modo comportare l’abbandono di prassi immemorabili a vantaggio di usi sconosciuti, né tanto meno la ricostruzione di un repertorio musicale a trasmissione orale del tutto nuovo sopra le macerie dell’antica tradizione di canto, espressione genuina dell’estetica musicale della locale cultura ecclesiastica. Probabilmente per questo, alcuni decenni dopo la morte di Paolino, gli inni ritmici da lui composti o adottati, anche se in perfetta armonia con il programma carolingio di una diffusa catechesi al popolo più semplice per distoglierlo da pratiche pagane, potevano apparire allo storico della liturgia Valafrido Strabone ancora inni propri degli «offici ‘ambrosiani’». Che la liturgia aquileiese precarolina permanesse in relazione di notevole contiguità per forma e contenuti con quelle di Milano e delle Gallie e mostrasse quindi carattere ancora autonomo e nettamente distinto dalla liturgia romana è confermato se non altro da un frammento liturgico del secolo VII-VIII, il Capitulare evangeliorum del codex Rehdigeranus66: esso, infatti, ancora in età longobarda perpetuava in misura considerevole il ciclo medesimo delle pericopi evangeliche di uso paleocristiano, quale attestato di ‘colonizzazione’ romana o di autodeprivazione, bensì di meditata «inculturazione del canto romano in ambiente gallicano», risulta ormai il più accreditato dall’analisi musicologica; ecco allora che il canto così rielaborato dai musici gallicani – «di natura meticciata, combinato di affinità e di differenze» – assume «infine un nuovo nome: non è più gallicano, né, tanto più, romano, bensì romano-franco, chiamato ‘gregoriano’, qual che sia la congruità di questo nome» (ibidem). 66 Vedi LouiS DucHeSne, Origines du culte chrètien, Paris 1902, p. 88, n.1, nonché il fondamentale saggio da lui considerato decisivo: gerMain Morin, L’année liturgique à Aquilée anterieurement à l’époque carlingienne d’après le ‘Codex evangeliorum Rehdigeranus’, «Revue Bénédictine», XIX, 1902, 1-12; cfr. Diego cauSero, L’ordinamento delle letture evangeliche nelle Chiese non ambrosiane d’Italia settentrionale (Thesis ad lauream in s. theologia cum special. in S. Liturgia, Pontificium Athenaeum Anselmianum. Institutum Liturgicum, 1972-3), Roma 1977 (p. m.), pp. 4-20. 46 dall’opera omiletica ed esegetica del vescovo di Aquileia S. Cromazio tra la fine del IV secolo e gli inizi del V67. Per quanto concerne la specificità della liturgia aquileiese, mons. Giuseppe Vale – quando ancora il ciclo di omelie cromaziane non era conosciuto – legittimava la tesi di dom Germain Morin (1902)68, che nel Capitulare Evangeliorum del codice Rehdigeranus aveva individuato ragionevolmente un documento dell’anno liturgico osservato in Aquileia ancora nei secoli VII-VIII, annotandone la prescrizione delle pericopi evangeliche dalla prima domenica d’Avvento fino al mese di giugno; di conseguenza a mons. Giuseppe Vale premeva di mettere in rilievo i punti di contatto molteplici di questo Capitulare aquileiese con gli usi di Milano, ma anche di Gallia e perfino di Spagna. «A piedi scalzi fra i coturni gallicani»: continuità diacronica e diatopica delle liturgie ‘ambrosiane’ La novità dei ritmi di Paolino – appurata la loro meditata destinazione liturgica – ritrova perciò un orizzonte vitale non nel confronto con i documenti della liturgia romana, bensì con i documenti delle pregresse tradizioni eucologiche del Norditalia e della Gallia (‘ambrosiane’...), attestati nella forma più evoluta dai messali gallicani in particolare. Con questi, infatti, già solo ad un primo livello comparativo, limitato ai contenuti kerygmatici prediletti da Paolino, è possibile infatti riconoscere una impressionante continuità topica: così il ricorso all’arcaica dottrina (giudeocristiana) delle ‘due vie’69, la conservatrice 47 persistenza di un vocabolario chiliastico70 e la proposta – o l’enfasi – di specifici temi cristologici-soteriologici. Ecco allora ripetuto, nell’inno De resurrectione domini (XII Norberg), il protocristiano kérygma aquileiese di una ‘discesa agli inferi’ coincidente con il definitivo sacrificio della morte di Cristo71, Agnello di redenzione immolato «la sera» (vespere)72 dell’ultima Pasqua antica, dal cui fianco squarciato fluiscono i sacramenti della rigenerazione nello Spirito73; appartiene invece al talento di Paolino – in una narratio che mantiene nell’originaria unità complessa il mistero di Morte-Descensus in inferna-Resurrezione-Ascensione con quello dell’Incarnazione74 – l’esprimere elementi teologici così arcaici in tratti stilistici tuttavia precorritori, come quando poi, sul filo teso della parafrasi evangelica, è sviluppata in forma dialogica la ‘rappresentazione’ del dramma della Resurrezione75: anticipo della medievale visitatio sepulcri del SMyTH, La liturgie oubliée..., cit., 483-486. 70 Soprattutto nella Regula fidei, vv. 54-79; ad es. i vv. 56-62: Agniculos albo teneros cum vellere natos | lactea per centum suspensos ubera matrum | ad campos, Iordane, tuos […] | lilia mixta rosis, florentia pascua Petrus | carpere mille movit («delicati agnellini di candido vello ora nati, | appesi alle cento di lor madri lattee poppe, | ai tuoi campi, o Giordano, […] | sospinge Pietro a mille, […] | a pascersi di gigli misti a rose e pascoli in fiore»). 71 pauL. aquiL., c. XII (a cura di Dag norBerg),3: Surrexit, ecce, Dominus ab inferis, | devicta morte cum tryumpho rediit, | victor iniquum spoliavit tartarum, | claustra geenne fregit et cyrografum | mortis cruore diluit rosifluo («Ecco dagli inferi | il Signore è risorto: || sconfitta la morte, | tornò con trionfo, || il tartaro iniquo | spogliò vincitore, || infranse di Geenna | la chiusa, il chirografo || di morte estinse | col fiotto rosato del sangue»). 72 Precisazione temporale tipica dei Padri quartodecimani d’Asia (sec. II), coerente con la cronologia e la teologia giovannea della Passione (Gesù muore in croce mentre sono immolati gli agnelli per la cena della imminente notte pasquale giudaica) e contrassegno tanto inequivocabile quanto sorprendente di un taglio ancora quartodecimano del kérygma predicato da Paolino. 73 Ivi, 6,1-3: vidit anguis immolatum vespere | corporis almi sanctum sacrificium, | quod mane celum replevit odoribus («immolato a sera | vide il serpente || divin sacrificio | del corpo di vita, || che empì di profumi | al mattino il cielo»). 67 Vedi Chromatii Aquileiensis Opera, edita nel Corpus Christianorum, Series lat. IX A, da JoSepH LeMariÉ (Turnholti 1974). Vedi in particolare JoSepH LeMariÉ, La liturgie d’Aquilée au temps de Chromace, in Chromace d’Aquilée, Sermones, 1 (SCh 154), Paris 1969, 82-108; iDeM, La liturgie d’Aquilée et de Milan au temps de Chromace et d’Ambroise, in Aquileia e Milano («Antichità Altoadriatiche», 4), Udine 1973, 249-270; iDeM, La liturgie de Ravenne au temps de Pierre Chrysologue et l’ancienne liturgie d’Aquilée, in Aquileia e Ravenna («Antichità Altoadriatiche», 13), Udine 1978, pp. 355-373; giuSeppe cuSciTo, Prospettive ecclesiologiche nella riforma liturgica di Paolino d’Aquileia (787-802), in Culto cristiano e politica imperiale carolingia. Atti del XVIII Convegno di studi. Centro di studi sulla spiritualità (9-12 ottobre 1977), Todi 1979, pp. 223-263; iDeM, Il patriarca Paolino e la liturgia di Aquileia…, cit., pp. 149-167. 68 Vedi gerMain Morin, L’année liturgique à Aquilée ..., cit., 9-12 in part.; iDeM, Une nouvelle théorie sur le origines du Canon de la messe romaine, «Revue Bénédictine» 21 (1904) 379; vedi giuSeppe vaLe, La liturgia nella chiesa patriarcale di Aquileia, in La Basilica di Aquileia, Bologna 1933, pp. 367-381. 69 Così, ad esempio, nel ritmo X De caritate, 10,1-2: Ardua et arta via ducit sursum, | ampla est adque devexa que deorsum («erta e stretta una via porta in su, | larga, in discesa , un’altra reca in giù»). Consistenti tracce di linguaggio millenarista, di remota provenienza asiana, sono segnalate anche nell’eucologia gallicana da 74 Infatti il ritmo XII evoca in esordio una scena notturna inondata di luce identica a quella immaginata per la Natività (cfr. pauL. aquiL. c. VII,3.). Questo fattore è posto in giusta evidenza, per quanto concerne la messa gallicana, da SMyTH, La liturgie oubliée..., cit., 382-400 e 479-481, e, per l’inno Pange lingua gloriosi praelium certaminis dell’aquileiese Venanzio Fortunato, in uso nella liturgia vetus hispanica (o mozarabica), da Mazza, Il culto della croce..., cit., pp. 30 e 42-43 specialmente. 75 Eccone uno scampolo in mia traduzione italiana: «All’alba del sabato | vennero insieme || Maria Maddalena | con l’altra Maria || al suo sepolcro, | aromi seco portando, || per unger di Cristo | il santissimo corpo || con crisma odoroso | già presto al mattino. ||| La terra si scuote, | sussulta dal fondo, || sospinti da orrore | si agghiacciano i marmi: || le timide donne | pervase il terrore; || intanto la pietra | di bocca al sepolcro || l’angelo santo | in esultanza ribalta. ||| Però, in pianto, quelle | a vicenda dicevano: || “Chi dall’ingresso | chiuso a noi del sepolcro || sì gran pietra smuover | potrà, perché il corpo || cosparso sia d’olio | di Smirne e, spalmato || di gocce preziose, | ne spiri il profumo?”. ||| Ecco, abbagliante, | l’angelo del Signore || in bianca veste | siede sopra la pietra || già smossa e con tali | accenti le conforta: || “O donne, perché | con i morti il vivente || cercate? È risorto. | Così come disse. ||| Guardate: ecco il luogo | nel quale il Signore || fu posto. Su, andate, | ai discepoli dite: || Adesso è risorto! | Risale in Galilea! ||| Distrusse colui | che il dominio di morte || innanzi teneva, | 48 49 Sabato Santo nella cattedrale di Aquileia, essa dimostra come il poeta cogliesse tempestivamente anche il crescente bisogno ‘popolare’ di affabulazione, ai limiti del suggerimento visivo76. Ma a ciò pure si aggiungano una prevalente concezione del battesimo come ‘illuminazione’, secondo la tipologia del battesimo di Gesù nel Giordano77, o – quale tendenza evolutiva recenziore – una assecondata deriva cristocentrica dell’eucologia78. Affondano tuttavia in una lingua liturgica evoluta secondo gusto retorico e antiche tracce teologiche comuni fra Norditalia e Gallia anche le espressività suggestive ed intense della narrazione della strage degli Infanti, o la sensibilità cromatica infusa nelle allegorie naturalistiche, la risonanza di immagini quale il Cristo Buon Pastore, o l’insistente evocazione teatrale della vittoriosa discesa agli inferi, della dissobbedienza ‘mortifera’ dei primi plasmati, dell’albero paradisiaco, del velenoso serpente, della prigione infernale, o, infine, il richiamo incisivo all’ascesi del digiuno; la qualità del lessico ora ricercato ora corrente, la ricchezza delle sfumature di colore e delle veemenze drammatiche, le citazioni o l’afflusso intertestuale della poesia cristiana e tardoantica in genere, tutto sembra mirato – pur fra talune innovazioni – a compiacere un pubblico educato al linguaggio delle liturgie precaroline non-romane79. Infatti è evidente, al risuonare dei formulari liturgici gallicani, quanto ancora sia in essi percepibile l’energia della retorica gallicano coturno fluens già segnalata da Gerolamo come propria e tipica delle scuole di eloquenza galliche80; poi adottata da Venanzio Fortunato a complemento della avita Itala Patavinitas (ossia lo stile oratorio della Venetia, almeno in origine più sobrio)81, la retorica di tale intonazione aveva infine prevalso nell’espressione della spiritualità liturgica di VI-VIII secolo fra Gallia e Italia settentrionale. In altre parole, il gusto letterario palesato dagli inni paoliniani e le loro tematiche preferite sembrano insomma manifestare affinità che ancora lo sollecitano verso modelli simili o identici a quelli esibiti dalla tradizione gallicana, di segno opposto alla romana quanto a natura espressiva e peculiarità catechetico-eucologiche. È peraltro ormai assodato quanto alto risulti il grado di consonanza della ben documentata tradizione liturgica gallicana con la siriaco-(bizantina), specialmente in relazione al modo di proporre e celebrare il mistero della Incarnazione e della Passione-Morte-Resurrezione del Cristo; ed è proprio sulla medesima traccia che appare spesso inserirsi convenientemente anche l’innografia di Paolino. Le connessioni, poi, che gli Inni paoliniani rivelano con i testi eucologici gallicani – segnatamente quelli delle Mone-Messen (ca. 630-640)82, del Missale Gothicogallicanum (post 678) del Missale Gallicanum Vetus (prima metà sec. VIII)83, del Missale Francorum (fine sec. VII – inizi VIII)84 – dovrebbero invitare i liturgisti, qualora persuasi che tali testi abbiano funto da catalizzatore del lessico e delle immagini tematiche espresse da Paolino, a perlustrare quale relazione mai intercorresse ancora fra la locale liturgia aquileiese e la franco-gallicana, per tentare di riconoscere e porre in evidenza siccome predisse”» (pauL. aquiL. c. XII Norb., 9-13). fiori di Grecia, talora si complica in lunghi periodi: resta perciò lontano da una lettura accessibile ai fratelli più semplici» (sanctus Hilarius Gallicano coturno adtollitur et, cum Graeciae floribus adornetur, longis interdum periodis involvitur et a lectione simpliciorum fratrum procul est:). Ma è quel che si può dire di molte eucologie gallicane, così come di tanti versi e prose di Paolino... 76 Cfr. Alessio Peršič, San Paolino d’Aquileia: al mistero attraverso la poesia, «L’Offerta Musicale. Storia, arte e cultura della musica vocale» I, 3, 2006, pp. 30-44. 77 Sintomatica, in tal senso, la str. 28 del ritmo XII: «Nunc ite, cunctas per mundum celeriter | gentes docete, Iordanis sub gurgite | in Patris adque Filii et Spiritus | Sancti lavate nomine, praecipite | mundo servare lavacri misterium» («“Andate ora in fretta | per il mondo, insegnate || a tutte le genti, | di Giordano nell’onda || in nome del Padre, | e del Figlio lavatele || e dello Spirito Santo, | e comandate al mondo || che serbi il mistero | di questo lavacro”»). Altrettanto, «il battesimo è percepito nei sacramentari gallicani [...] alla stessa maniera che in Siria prima del IV secolo, cioè secondo la tipologia del battesimo del Signore nel Giordano», in cui sovrasta la prospettiva di «una illuminazione teofanica dotata di una forte dimensione pneumatica nella linea di Gv 3,5» (SMyTH, La liturgie oubliée..., cit., p. 467). 78 Assai percepibile, ad esempio, nel ritmo XVI. Altrettanto si rimarca in svariate formule di preghiera gallicane, quando si rivolgono direttamente al Figlio e non, invece, per mezzo di Lui al Padre: più che preservare un’antica tradizione ‘giovannea’, si pensa che tali testi «innovino [...] a favore di un affievolimento della tradizione della laus Deo» (SMyTH, La liturgie oubliée..., cit., p. 382). 79 Condivide questa medesima prospettiva – che ritiene possa da alcuni esser giudicata «audace» – SMyTH, ivi, pp. 314-318 in particolare. 80 Hier. Ep., 37,3: «Stile agghindato e scorrevole al ritmo del coturno gallico» (sermo quidem conpositus et Gallicano coturno fluens), detto però come critica negativa nei confronti di Reticio di Autun; cfr. eiuSDeM Ep., 58,10, ma con maggiore benevolenza: «il santo Ilario si eleva con gallico coturno e, adornandosi dei 81 Cfr. ven. forT. Vita Marcelli episcopi Parisiensis, 2,7, dove con falsa modestia di letterato il poeta aquileiese suggeriva un accostamento della propria arte a quella di Tito Livio: «Perché allora – come fu detto – l’italica patavinità dovrebbe presumere di poter camminare a piedi scalzi fra i coturni gallicani, al cui paragone l’umile valerianella della mia lingua esala come fra rose e gigli?» (Cur itaque ut dictum est inter Gallicanos cothurnos Itala Patavinitas plano pede ire praesumat, ad quorum conparationem velut inter rosas et lilia nostrae linguae vilis saliunca respirat?; cfr. quinTiL. Inst. orat., 8,1,3: «Asinio Pollione giudica che in Tito Livio, scrittore di straordinaria eloquenza, permanesse una certa inflessione patavina» [in Tito Livio, mirae facundiae viro, putat inesse Pollio Asinius quandam Patavinitatem]; vedi pure quinTiL. Inst. orat., 1,5,56). Ma così Fortunato rimarcava di fatto – d’accordo con la tradizionale rusticitas espressiva aquileiese, dopo tutto preferita da Gerolamo stesso – anche il proprio sforzo di adattamento al nuovo gusto retorico che – a quanto pare – andava diffondendosi dalla Gallia: «una magniloquenza propria dei Galli-Romani?», domandava JacqueS fonTaine (La letteratura latina cristiana [«Saggi», 127], Bologna 1973 [Paris 1970], p. 71; cfr. perSic, Venanzio Fortunato ‘presbyter Italicus’..., cit., p. 404). 82 Vedi ora SMyTH, La liturgie oubliée…, cit., pp. 61-66. 83 Vedi ivi, pp. 71-85. 84 Vedi ivi, pp. 104-107. 50 51 – soprattutto a beneficio di quella aquileiese, deprivata per lo più di fonti dirette – alcuni possibili nuclei comuni tra le due famiglie. Ma, per dimostrare come fra la liturgia gallicana e le fonti patristiche aquileiesi sia agevole instaurare pertinenti e istruttivi confronti, ecco qualche esempio. Il Missale Gallicanum Vetus interpretava l’immagine fatta balenare da Is 63,1285 come profezia del mistero pasquale dell’Ascensione al cielo del Figlio di Dio con il proprio corpo glorificato nella crocifissione; ma ciò al pari di Cromazio (e Rufino) e con il medesimo corredo di fonti bibliche in traduzione vetus86: Missale Gallicanum Vetus 2287: cHroM. aquiL. Serm., 8: [Iesu,] qui hac hora rubeus (cfr. Ct 5,10)88 de Edom, de cruce, tinctis vestibus de Bosra, solus quasi calcator magni illius torcularis ad caelos ascendisti: cui occurrunt angeli [...] dicentes: «Quis est iste, qui ascendit tinctis vestibus de Bosra?». Quibus te interrogantibus: Quare ergo rubrum est vestimentum tuum?, respondisti: Torcolar calcavi [...] (cfr. Is 63,1-3). Vere [...] rubrum est tuum propter nos corpus, rubrum est sanguine uvae: lavasti enim in vino stolam tuam et pallium tuum in Nunc [… Filius Dei] cum corpore ad caelum ascendit [...]. Hoc enim Esaias manifestat, cum ita ex persona civium caelestium loquitur dicens: «Quis est hic, qui venit ex Edom? Rubor vestimentorum eius ex Bosor […]». Passione enim crucis Christus uelut torcularis ligno compressus est, ut sacrum pro nobis sanguinem funderet. Inde est quod rubor vestimentorum eius ex Bosor dicitur [...] (cfr. Is 63,1-3). Rubor vestimentorum eius ad fusionem sanguinis eius pertinet; species vero stolae ad gloriam resurrectionis (cf. pure Gn 49,11b89), quia in ea carne gloriosus a morte surrexit, in qua pro nobis gloriosum sanguinem fudit. Hoc est quod et ab ecclesia dicitur de 85 Quis est iste qui venit de Edom tinctis vestibus, de Bosra iste formonsus in stola sua, gradiens in multitudine fortitudinis suae? «Ego qui loquor iustitiam et propugnator sum ad salvandum». | Quare ergo rubrum est indumentum tuum et vestimenta tua sicut calcantium in torculari? («Chi è costui che viene da Edom con le vesti tinte di rosso, da Bozra, splendido nel suo manto, | avanzando nella pienezza della sua forza? “Io, che parlo con giustizia e difendo per dare salvezza”. | Perché allora è rossa la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino?»). 86 L’immagine balenata in Is 63,1-2 è da Cromazio spiegata misticamente come profezia del mistero pasquale dell’Ascensione al cielo del Figlio di Dio ‘con il proprio corpo’, ovvero con la medesima carne ricevuta nascendo da Maria, come gli Aquileiesi non mancavano di ribadire, per la speciale fede – professata dal Credo locale – che anche ciascun fedele risorgerà nella ‘propria’ carne (credo [...] huius carnis resurrectionem). 87 Item orationis in biduana, 118 (Oratio ad nona<m>). 88 Dilectus meus candidus et rubicundus (Vulgata). 89 Lavabit vino stolam suam et sanguine uvae pallium suum (Vulgata); cfr. ruf. aquiL. De ben. patr., I 9: Nam stola Christi quae lauatur in uino merito eius intellegitur ecclesia, quam ipse sibi mundauit sanguine suo […]. In huius ergo sanguinis uino, id est, lauacro regenerationis, a Christo lauatur ecclesia («Infatti il manto di Cristo che vien lavato nel vino è giustamente interpretato come la sua Chiesa, che egli stesso ha per sé mondata […]. Dunque nel vino di questo sangue, cioè nel bagno di rigenerazione, da Cristo la Chiesa è lavata»). sanguine uvae (cf. Gn 49,11b), qui es Deus solus, crucifixus pro nobis90... Christo in Canticis Canticorum: «frater meus [...] rubeus» (cfr. Ct 5,10). Rubeus dicitur propter carnis passionem91... Possono inoltre essere richiamate le notevoli concordanze riscontrabili fra i Credo di origine aquileiese92 e i Credo gallicani, come quello testimoniato dall’Expositio vel tradicio symboli del Missale Gallicanum Vetus, 14,63, prossimo ormai alla forma recepta del Symbolum apostolorum: cioè, la dizione credo in Deo (relitto di una reggenza credo in + ablativo, tipica del Credo di Rufino e come nel ‘credo dipinto’ di Verona), discendit ad/in inferna (con un ridondante surrexit a mortuis), l’identica formula inde venturus iudicare vivos et mortuos, il ripetuto impiego di ‘credo in’ anche per la professione di fede nello Spirito Santo ecc. D’altronde, il rito gallicano stesso della traditio e successiva expositio symboli (il Simbolo degli Apostoli, e non il Nicenocostantinopolitano, come per lo più invece nel rito romano...) appare in tutto simile a quello aquileiese antico, quale sufficientemente preservato entro l’ordo scrutinii catechumenorum edito da fra’ Bernardo M. De Rubeis93 e risalente alla metà del secolo IX (patriarca Lupo I) o X (Lupo II)94. Si può poi dimostrare con tutta facilità, tramite continue concordanze testuali, che l’expositio symboli del su citato Gallicanum 90 «O Gesù, che in quest’ora, vermiglio da Edom, dalla Croce, con vesti tinte di rosso da Bostra, sei tu solo, come pigiatore di quel grande torchio, asceso al Cielo: ti corrono incontro gli angeli, dicendo: “Chi è questi, che ascende con vesti tinte di rosso da Bostra?”. E a loro che t’interrogano: “Perché mai è rosso il vestimento tuo?”, Tu hai risposto: “Ho calcato il torchio”. Veramente [...] è rosso per noi il tuo corpo, è rosso del sangue dell’uva: hai infatti lavato nel vino il tuo manto e la tua sopravveste nel sangue dell’uva, Tu, che sei il solo Dio, crocefissoper noi». 91 «Ora [… il Figlio di Dio] con il suo corpo è asceso al Cielo […]. Ciò infatti Isaia rivela, quando così parla impersonando i cittadini celesti, dicendo: “Chi è questi, che viene da Edom? Il rosso dei suoi vestimenti da Bostra […]”. Infatti nella Passione della Croce il Cristo è stato pressato come dal legno d’un torchio, perché effondesse per noi il sacro suo sangue. Da qui ciò ch’è detto il rosso dei suoi vestimenti da Bostra […]. Il rosso dei suoi vestimenti attiene all’effusione del suo sangue; la bellezza del suo manto alla gloria della sua Resurrezione, perché è risorto dalla morte glorioso in quella carne in cui per noi ha effuso il suo sangue glorioso. È ciò che dalla Chiesa è detto del Cristo nel Cantico dei Cantici: “Il mio fratello […] è vermiglio”. È detto “vermiglio” a causa della Passione della sua carne». Cfr. aLeSSio Peršič, Un itinerario eucaristico da Cromazio d’Aquileia a Nicola Cabasilas, in Mangiare la bellezza. Teologia e saperi a confronto («Teologia e saperi», 1), a cura di STefano Biancu, Assisi 2006, pp. 111-151: 127-133. 92 Vedi Peršič, Venanzio Fortunato ‘presbyter Italicus’..., cit., pp. 406-407. 93 F. B. M. De ruBeiS, Dissertationes duae: Prima de Turannio, seu Tyrannio Rufino Monacho, et Presbytero: Altera de vetustis Liturgicis aliisque sacris Ritibus, qui vigebant olim in aliquibus Forojuliensis Provinciae Ecclesiis, Venetiis 1754, pp. 238 ss. 94 Vedi Peršič, Venanzio Fortunato ‘presbyter Italicus’..., cit., pp. 404-405; cfr. Harry Boone porTer, Maxentius of Aquileia and the North Italian Baptismal Rites, «Ephemerides Liturgicae», LXIX, 1955, p. 3. 52 53 Vetus dipende strettamente dall’Expositio Symbuli di Venanzio Fortunato, epitome – a propria volta – della Expositio Symboli di rufino applicata a un credo di natura (e probabile origine) aquileiese95. Dimostrare invece come la poetica di Paolino consuoni in tale concento liturgico e se ne nutra come d’un plasma in cui respira, partecipandone la ricchezza immaginifica e l’esuberanza eucologica, è stato l’obiettivo sperabilmente colto dai commenti ai ritmi paoliniani editi nel volume ad essi dedicato nel «Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis»96 dalla Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia. 95 Cfr. Peršič, Venanzio Fortunato ‘presbyter Italicus’..., cit., pp. 409 ss. 96 Peršič, piuSSi, Paolino patriarca di Aquileia, Opere, 2. Ritmi e carmi…, cit. 54 55 angeLo ruSconi ALLA RICERCA DEL CANTO PERDUTO. RIFLESSIONI SUI REPERTORI LITURGICO-MUSICALI ARCAICI DEL NORD ITALIA I libri ordinari delle cattedrali medievali descrivono le consuetudini liturgiche locali con puntuali riferimenti ai canti, agli esecutori e alla loro collocazione nello spazio religioso. Oggi questi spazi sono spesso profondamente trasformati o addirittura non esistono più: un caso eclatante è quello di Milano, dove l’ordo scritto dall’ostiario Beroldo verso la fine del sec. XII si riferisce all’area sacra episcopale quasi interamente scomparsa con la costruzione del Duomo: la liturgia e il canto milanese come si trovano nei più antichi libri liturgico-musicali milanesi sono stati concepiti per uno spazio scomparso. Che cosa ci resta? I libri, gli scavi archeologici, mappe e disegni che suggeriscono un’idea più o meno chiara della situazione fisica degli edifici nel passato e di come dentro di essi e intorno a essi si svolgessero i riti. Nel caso di Aquileia, la situazione è ancora più complessa perché non abbiamo il canto. Gli specialisti ce lo hanno spiegato chiaramente: il repertorio liturgico-musicale della Chiesa di Aquileia – se è esistito come tale – deve considerarsi perduto; e non possiamo credere che sopravviva nei canti di tradizione orale detti “patriarchini”, salvo eccezioni sempre possibili, ma necessarie di rigorosa dimostrazione e non di semplici illazioni.1 Che fare? Una sola pista sembra percorribile, quella che parte da altri repertori musicali italici giunti invece per scritto fino a noi. All’interno di stratificazioni accumulatesi nel corso dei secoli, essi tramandano elementi di notevole arcaicità dai quali promana l’eco di un mondo sonoro, di un’inclinazione stilistica, di un linguaggio musicale ben distinto dal gregoriano. Nel IX secolo, Valafrido Strabone presenta sant’Ambrogio come autore/ < Biblioteca Guarneriana, ms. 188, c. 23 recto 1 MicHeL HugLo, Liturgia e musica sacra aquileiese, in Storia della cultura veneta, I: Dalle origini al Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 312-325; giuLio caTTin, La tradizione liturgica aquileiese e le polifonie primitive di Cividale, in Le polifonie primitive in Friuli e in Europa. Atti del Congresso internazionale, Cividale del Friuli, 22-24 agosto 1980, a cura di Cesare Corsi e Pierluigi Petrobelli, Roma, Torre d’Orfeo, 1989, pp. 117-130. 56 57 sistematore di un ordo liturgico che si è conservato nella diocesi di Milano, ma che in precedenza si estendeva all’intera provincia ecclesiastica milanese:2 Multi itaque apud Grecos et Latinos missae ordinem, ubi sibi visum est, statuerunt. […] Ambrosius quoque mediolanensis episcopus, tam Missae quam ceterorum dispositionem officiorum suae ecclesiae et aliis Liguribus ordinavit et usque hodie in Mediolanensi tenetur ecclesia. Fra i Greci e i Latini, molti definirono a modo loro un ordine della messa. Anche Ambrogio, vescovo di Milano, stabilì un ordinamento sia della messa sia di tutti gli altri uffici per la sua Chiesa e per le altre [Chiese] della Liguria che tuttora si conserva nella Chiesa di Milano. Nei noti versi copiati nella seconda metà del sec. XI in un codice di Montecassino con la rubrica Versi [!] Gregorii, Ambrosii, Karoli, Paulini de cantu romano vel ambrosiano si legge:3 Ligurie presul sanctus Ambrosius urbis Carmina composuit ecce canore pio, Nectare seu tanto potuisset ut effera corda Mulcere legis dogma docendo sacre. […] Insignis Karolus romanum pangere carmen Omnibus ecclesiis iussit ubique sacris. Unde per Italiam crevit contemptio multa Et status ecclesie luxit ubique sacre. Il santo vescovo della metropoli della Liguria, Ambrogio, ecco compose canti con pia melodia così che con così dolce nettare potesse cuori selvaggi addolcire mentre insegnava i dogmi della legge sacra. […] Carlo Magno comandò a tutte le sante chiese di cantare dovunque il canto romano. Onde per l’Italia sorse una grande indignazione e pianse per ogni dove le condizioni della santa Chiesa. La storia è questa: Carlo Magno ha ordinato che ogni chiesa adotti il “canto romano”; l’Italia fa resistenza ad abbandonare il proprio canto, che identifica nel nome di Ambrogio Liguriae praesul. Il vescovo Paolino suggerisce di organizzare un giudizio di Dio nella forma giuridica dell’ordalia della croce; il verdetto risulta favorevole al canto romano e all’Italia viene ordinato di adottarlo. Il poemetto potrebbe alludere al canto beneventano e alla sua sostituzione con il romano/gregoriano; o forse il testo è stato copiato nel codice cassinese perché ricordava una situazione analoga accaduta in loco, quando papa Stefano IX aveva soppresso nell’abbazia l’antico canto regionale detto cantus ambrosianus. Che cosa significa Liguria? Non era solo la Chiesa genovese, che pure fino al 1133, anno di promozione a sede metropolitana, fu suffraganea di Milano (il cui clero maggiore si era ritirato proprio a Genova anni all’arrivo dei Longobardi). La metropoli lombarda al tempo di Ambrogio era a capo della regione XI e presiedeva all’intera diocesi italiciana annonaria, che raggiungeva la Valle d’Aosta, mentre a est e a nord comprendeva la VeneziaIstria e la Rezia (dal V secolo divisa in Retia Prima con capitale Coira e Retia Secunda). È nel corso del IV secolo che la sede episcopale di Aquileia venne eretta a metropoli ecclesiastica della regione X Venetia-Histria. Senza seguire nel dettaglio le complesse vicende che per varie ragioni, nel corso dei secoli, aggregano e disaggregano questa o quella entità metropolitica, ricordiamo soltanto che, quando la diocesi di Como si stacca da Milano in anni compresi tra il 599 e il 606 a causa della controversia tricapitolina, il metropolita scismatico di Aquileia, ordinando il vescovo Agrippino, l’assume fra le sue suffraganee, e tale essa rimarrà per oltre mille anni.4 Oltre ad articolate relazioni “in orizzontale”, il territorio in senso lato padano ha relazioni particolari anche “in verticale”: il caso più noto è quello dei Longobardi del Ducato di Benevento, i quali chiamano ‘ambrosiano’ il proprio rito e il proprio canto, effettivamente ricchi di connessioni ‒ e perfino di identità ‒ con la tradizione liturgico-musicale milanese.5 2 vaLafriDuS STraBo, Libellus de exordiis et incrementis quarundam in observationibus ecclesiasticis rerum, edidit Victor Krause, in Monumenta Germaniae Historica, Capitularia, II, Hannoverae, Hahn, 1897, pp. 473-516: 506. 3 Montecassino, Biblioteca della Badia, 318, pp. 244-245. Nuova edizione del testo e approfondimento in angeLo ruSconi, L’Ordalia della croce per il primato del Cantus romanus sull’Ambrosianus nel Cod. 318 di Montecassino, in «Musica e storia», XIV/1, 2005, pp. 1-21, al quale si rimanda per la bibliografia. La traduzione deriva da aMBrogio M. aMeLLi, Paolo Diacono, Carlo Magno e Paolino d’Aquileia in un epigramma inedito intorno al Canto Gregoriano e Ambrosiano estratto da un codice di Montecassino, Montecassino Tipografia di Montecassino, 1899; iD., L’epigramma di Paolo Diacono intorno al Canto Gregoriano e Ambrosiano, in «Memorie storiche forogiuliesi», IX, 1913, pp. 153-175. Sul codice 318 si veda ora: Montecassino, Archivio dell’Abbazia, Cod. 318. Facsimile e commentari, a cura di Mariano Dell’Omo e Nicola Tangari, 2 voll., Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2018 (Bibliotheca Mediaevalis, IV – Archivio Storico di Montecassino, Facsimili e commentari). 4 Sulle relazioni fra Como e Aquileia si vedano gli studi raccolti in Atti del Convegno Como e Aquileia: per una storia della società comasca, 612-1751, Como, 15-17 ottobre 1987, Como, Società storica comense, 1991. 5 Sulle relazioni musicali fra Milano e Benevento si veda almeno THoMaS forreST keLLy, Il canto beneventano. Edizione aggiornata, Versione italiana e revisione a cura di Alessandro De Lillo, s.l. Vox Antiqua, 2017 (Monographiae, 2), pp. 265-298, al quale si rimanda per ulteriore bibliografia. Si veda inoltre Angelo Rusconi, Fra Milano e Benevento: note sulla connessione dei repertori liturgico-musicali, in Laus musicae. Arte, scienza e prassi del canto liturgico e devozionale medievale. Atti del convegno internazionale di studi, Benevento, 23-24-25 maggio 2019, Lugano, Vix Antiqua, in corso di stampa. 58 59 Tornando al poemetto, se prima ci siamo soffermati su Liguria, ora dobbiamo chiederci che cosa significa Italia. In epoca carolingia con questo termine si designava il Regnum Italiae, ossia l’Italia del Nord, mantenendo una denominazione secolare in vigore fin dal tempo di Diocleziano; anche se i Longobardi chiamarono talora Ducatum Italiae il Ducato di Benevento. Al Nord Italia e al mondo carolingio rimanda altresì la menzione del presule Paolino, se in lui si deve identificare Paolino II patriarca di Aquileia († 802), già grammatico alla Schola Palatina, consigliere di Carlo, stretto amico e collaboratore di Alcuino (e non sembra esserci valida alternativa a questa identificazione). Per queste e altre ragioni, l’origine del poema potrebbe forse essere collocata in area settentrionale, ipotizzando una successiva ricezione nell’Italia meridionale dove quell’antico contrasto tra il canto romano e l’ambrosiano poteva essere facilmente letto in termini locali nel secolo XI, allorché, come si è detto, papa Stefano IX, in visita a Montecassino, ne bandì il cantus ambrosianus.6 Qualunque sia l’origine del testo, interessa rilevare che l’anonimo autore presenta Ambrogio come la figura-simbolo che le Chiese italiche oppongono a Carlo Magno (e a san Gregorio Magno, patrono del cantus romanus) al fine di salvare la propria tradizione canora. Ambrogio è il paladino del repertorio dell’Italia e del suo stile musicale, contrapposto al cantus romanus gregoriano che è percepito come diverso e imposto dall’esterno. La differenza stilistica ed estetica tra i due repertori è sottolineata da una glossa (in prosa) al poema: [...] non est intendendum, ut cantus ambrosianus abominandus sit, sed annuente Deo Romanus cantus est preferendus pro brevitate et fastidio plebis.7 Non si deve intendere che il canto ambrosiano sia da disprezzare, ma, secondo il volere divino, il canto romano è da preferirsi per la brevità e il [minor] tedio che arreca al popolo. 7 L’osservazione dello sconosciuto glossatore, che oppone la brevitas romana alla ‘prolissità’ musicale ambrosiana, potrebbe essere applicata a tutti i repertori arcaici italiani superstiti: presentano frequentemente estese fioriture caratterizzate da movimenti ripetitivi, tendono a reiterare le medesime formule, amano procedere per intervalli congiunti anziché per salti, così che le melodie suonano più contratte e uniformi. È arbitrario immaginare che ad Aquileia fosse in voga uno stile simile? Gli studi del padre Lemarié sugli usi liturgici antichi di Aquileia e di Ravenna hanno dimostrato che con l’ordo liturgico milanese presentano punti di contatto, non identità. Il caso della musica è simile, specialmente se non parliamo di repertori in senso stretto, bensì di linguaggio musicale e di layout stilistico. Lo si constata ancor oggi nella tradizione orale: lungo tutto l’arco alpino si canta allo stesso modo e, anche se i brani possono essere differenti, non cambiano lo stile, il modo di cantare, l’organizzazione polivocale. Entrando nei dettagli, è utile ricordare un fenomeno osservato da Michel Huglo in alcuni antifonari gregoriani provenienti dalla regione di Aquileia e dall’Austria, nei quali le normali cadenze gregoriane ‒ ad esempio SoL-LaSoL SoL ‒ sono sistematicamente sostituite con la tipica cadenza milanese SoL-La-Si-SoL SoL (o re-Mi-fa-re re).8 Il dato merita di essere approfondito in quanto le cadenze sono un elemento fortemente caratterizzante: qual è suo il significato? Per rispondere conviene affacciarsi sul territorio circostante e cercare di scovare fra le pieghe dei testimoni manoscritti e a stampa le tracce di canti non gregoriani creati o ricreati nel territorio nord-italiano. A volte possono essere brani in comune con l’ambrosiano; altre volte può trattarsi di pezzi isolati, frammenti di iceberg ormai sbriciolati che sopravvivono vagando nell’oceano del nuovo canto. Consideriamo alcuni esempi, partendo dall’antifona Pax in caelo nella versione milanese e in quella copiata in un processionale del secolo XIV proveniente da Novara;9 anche a Milano si tratta di un canto processionale, avendo funzione di psallenda nella parte stazionale dei vespri.10 La melodia è la stessa. La differenza principale è che Novara sviluppa un melisma sulla terza ripetizione di pax. Ma il fenomeno più interessante avviene alla fine, dove Novara usa la tipica cadenza milanese SoL-La-Si-SoL SoL, mentre Milano no: si tratta di un uso indipendente di questa cadenza tipica. 8 MicHeL HugLo – Luigi auguSToni – eugène carDine – erneSTo MoneTa cagLio, Fonti e paleografia del canto ambrosiano, Ambrosius, Milano, 1956, p. 84. 9 Novara, Archivio Storico Diocesano – Biblioteca Capitolare di Santa Maria, CXV, f. 27v. Il codice è edito da Bonifacio giacoMo Baroffio, I canti processionali della Chiesa novarese, Roma, Pontificio Istituto di Musica Sacra, 1990 (Munuscula preprint Liturgica,1). 6 Si veda ruSconi, L’Ordalia della croce cit. in nota 3. 7 Ivi, pp. 8-9. 10 Per la melodia milanese si utilizza qui Liber Vesperalis juxta ritum Sanctae Ecclesiae Mediolanensis, Romae, Typis Soc. S. Joannis Evangelistae – Desclée et Socii, 1939, p. 174. 60 61 Una comunanza stilistica che va oltre i confini delle chiese di rito milanese si riscontra nell’antifona Corpus Christi accepimus come era cantata a Vercelli.12 Sulle parole accepimus e potati si notano le tipiche progressioni ‘milanesi’, non presenti nella redazione ambrosiana. TavoLa 1. L’antifona Pax in caelo a Milano e a Novara Il responsorio Vadis propitiator è ben noto agli studiosi per la molteplicità delle sue redazioni musicali e testuali. Sulla parola propitiator, soltanto Milano ha la cadenza ‘milanese’; in compenso, sull’espressione in omnibus tale cadenza è utilizzata nelle versioni di Como, Vercelli e Cividale del Friuli, benché si basino sulla redazione “gregoriana” del brano; altrove, Milano la condivide con alcuni luoghi e non con altri.11 Se ne deduce di nuovo che la cadenza ‘milanese’ fosse usata in tutta l’area padana indipendentemente da Milano: doveva essere parte del linguaggio musicale dell’Italia settentrionale intera, non solo delle aree di rito e canto ambrosiano. Se ciò è vero, si spiega il fenomeno segnalato da Huglo: la sostituzione delle cadenze gregoriane con la cadenza ‘ambrosiana’ sarebbe un fenomeno di inculturazione, l’adattamento all’idioma locale di un repertorio estraneo. 11 Trascrizione delle melodie di Ivrea e di Vercelli in angeLo ruSconi, Il repertorio liturgico-musicale di Ivrea e le tradizioni nord-italiane, in Il codice I.IV.115 della Biblioteca Capitolare di Ivrea. Atti del convegno internazionale di studi, Ivrea, Seminario Vescovile, 15-16 settembre 2000, a cura di Stefano Baldi, Torino, Regione Piemonte – Istituto per i beni musicali in Piemonte, 2003 (Biblioteca dell’Istituto per i beni musicali in Piemonte, 6), pp. 63-84, trascrizione 3. TavoLa 2. L’antifona Corpus Christi accepimus a Vercelli e a Milano - MED Vimercate, Archivio di S. Stefano, Antifonario ambrosiano, sec. XIII, f. 196v - VRC Vercelli, Biblioteca Capitolare, CLXII, Graduale-Antifonario-Sequenziario-Kyriale, sec. XII, f. 13v 12 Vercelli, Biblioteca Capitolare, CLXII, Graduale-Antifonario-Sequenziario-Kyriale, sec. XII, f. 13v. L’antifona fa parte del gruppo dei canti in fractione che si trovano in vari manoscritti dell’Alta Italia: cfr. MicHeL HugLo, Antifone antiche per la «fractio panis», in «Ambrosius», XXXI, 1955, pp. 85-95. 62 63 Attestata in tutta l’area nord-italiana, ma anche presso gli ‘ambrosiani’ del Sud, è la magnifica antifona Sicut fulgur, che si presenta qui in tre delle tante redazioni padane. TavoLa 3. L’antifona Sicut fulgur a Milano, Piacenza, Venezia - MED London, British Library, Add. MS 34209, Antifonario ambrosiano del sec. XII - PCZ Piacenza, Biblioteca Capitolare, 65, Liber magistri, sec. XIII - VEN Venezia, Archivio di Stato, Procuratia de Supra, Reg. 114, Antifonario della Basilica di San Marco, sec. XIV, f.11r L’antifonario milanese usa segmenti di linea verdi a indicare il Si BeMoLLe; anche all’inizio, sulla parola Sicut, sembra di intravvedere deboli tracce del colore, probabilmente svanito. Gli altri codici confermano il bemolle; ma il testimone milanese, più antico, propone una sapida alternanza fra sezioni con bemolle e senza bemolle, in modo coerente (infatti le due frasi in cui il bemolle non è segnato sono simili).13 Si scorgono tratti tipici del linguaggio musicale arcaico: inclassificabile nel sistema degli otto modi, la melodia si snoda nel pentacordo fa-Do con un’occasionale salita al re nella seconda parte dell’antifona; è costruita sul principio della variazione di struttura o maqam, caratterizzato dalle stesse note-base, dal ritorno, uguale o variato, delle stesse formule e dei medesimi andamenti melodici. Brani come Sicut fulgur, testimoniati così capillarmente lungo tutta la valle 13 Sulle indicazioni di bemolle nei più antichi antifonari ambrosiani si veda anna zayaruznaya, In Defense of Green Lines, or The Notation of B-flat in Early Ambrosian Antiphoners, in Ambrosiana at Harvard. New Sources of Milanese Chant, edited by Thomas Forrest Kelly and Matthew Mugmon, Houghton Library of the Harvard College Library, Cambridge, Mass., 2010, pp. 33-56. Le indicazioni del codice di Londra sono ignorate nell’edizione ufficiale milanese: Liber Vesperalis cit., p. 55. 64 padana dalle fonti superstiti note, suscitano interrogativi su scenari più ampi, ma anche più sfuggenti, come il rapporto fra gli usi liturgici nord-italiani (e la loro musica) con la Gallia. Le fonti italiche potrebbero conservare canti che avevano a che fare con il repertorio transalpino non più attestati nel territorio di origine. Alcuni possono essere arrivati a Milano attraverso altre Chiese del Nord Italia; per altri, Milano sarà stato il tramite della diffusione nord-italiana; in altri casi ancora, la ricezione può essere avvenuta indipendentemente. Un probabile esempio di canto passato dalla Gallia al Nord Italia (e, forse indipendentemente, al mondo beneventano) è l’antifona Convertimini omnes, testimoniata in due manoscritti aquitani, che si ritrova usata a Milano come transitorio della domenica di Settuagesima e nel resto del Settentrione come canto processionale quaresimale (i processionali sono notoriamente ‘libriricettacolo’ di materiali speciali rispetto al repertorio gregoriano standard); il transitorio stesso, come dice il nome, è un canto che accompagna un movimento rituale.14 Convertimini omnes era cantato anche a Ravenna e questo ci avvicina all’area padana orientale che qui più c’interessa. Un altro esempio di diffusione dalla Gallia a Ravenna, Milano e vari altri centri del Nord Italia (e nel Ducato di Benevento) è l’antifona Venite populi, che fa parte di quel blocco di canti in fractione che costituiscono una preziosa eredità del canto gallicano.15 La stretta prossimità della linea melodica ravennate con quella dei manoscritti aquitani fa pensare a un’acquisizione non mediata dalla metropoli ambrosiana. 14 angeLo ruSconi, Convertimini omnes: itinerari di un arcaico canto quaresimale, «Musica e storia», VII/1, 1999, pp. 5-30; Si veda anche ID., Fra Milano e Benevento cit. ritengo assai probabile che testo e melodia siano stati ricevuti dalla Gallia ; la melodia, come d’uso, è stata poi rielaborata secondo lo stile locale nel Nord Italia e a Milano. 15 HugLo, Antifone antiche cit., pp. 90-91. Il brano fu edito in Variae Preces, Solesmes, Imprimerie Saint-Pierre, 19015, p. 14. Si veda anche ruSconi, Il repertorio liturgico-musicale di Ivrea cit., pp. 70-71. 65 66 67 TavoLa 4. L’antifona Venite populi in Aquitania, a Milano e a Ravenna - AQT Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 776, Graduale di Gaillac, sec. XI, f. 72r - RAV Padova, Biblioteca Capitolare, A 47, Graduale-Tropario-Sequenziario-Kyriale di Ravenna, sec. XI/XII, f. 135v - MED Vimercate, Archivio di S. Stefano, C, Antifonario ambrosiano, sec. XIII, f. 7rv Un fatto abbastanza singolare è quello del responsorio Tenebrae factae sunt, che nel rito ambrosiano si canta durante il rito dell’Adorazione della croce il Venerdì santo. Nel medesimo contesto liturgico e nella speciale versione testuale e musicale milanese, è stato adottato da varie Chiese del Nord Italia, fra cui Como e Ravenna. Nel noto graduale di Bologna (Roma, Biblioteca Angelica, 123, f. 101r), invece, il testo non coincide interamente né con la redazione “gregoriana” né con quella milanese e anche la musica appare profondamente diversa da entrambe. Sembra difficile negare gli elementi che si avvicinano all’uso ambrosiano, prima di tutto l’espressione super universam terram che si trova soltanto nei codici milanesi (e beneventani).16 Al tempo stesso, indubbia è l’autonomia della veste musicale, per quanto si può giudicare dai neumi in campo aperto. Riguardo alla musica, monsignor Borella aveva ipotizzato che si trattasse di una melodia appartenente ai repertori antichi dell’Alta Italia17. Oltre a pezzi comuni con Milano, i testimoni tramandano talora brani unici o noti da pochissimi codici, in ogni caso estranei ai grandi repertori conosciuti. Un esempio si trova nel Sacramentarium patriarcale dato alle stampe nel 1557 da don Lorenzo Maggi, arciprete di Riva San Vitale nella diocesi 16 Non sembra approdare a una posizione definita DanieLe SaBaino, Reminiscenze “ambrosiane” nella creatività liturgica del codice Angelica 123? Elementi e ipotesi di rilettura, in Codex Angelicus 123. Studi sul gradualetropario bolognese del secolo XI e sui manoscritti collegati, a cura di Maria Teresa Rosa Barezzani e Giampaolo Ropa, Cremona, Una Cosa Rara, 1996 (Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna, Saggi e Ricerche, 7), pp. 67-116, al quale si rimanda per la bibliografia. 17 pieTro BoreLLa, Il responsorio “Tenebrae” nel codice 123 dell’Angelica e nella tradizione ambrosiana, in Miscellanea liturgica in onore di Sua Eminenza il Cardinale Giacomo Lercaro [...], 2 voll., Roma, Desclée, 1966, I, pp. 597-607. 68 69 di Como, all’epoca patriarcale in quanto ancora suffraganea di Aquileia: è l’antifona Animas precamur, fornita come “doppione” dell’antifona al Magnificat Omne quod dat dell’ufficio dei defunti.18 Com’è noto, quando nei libri liturgici si trovano due brani dove ne basterebbe uno, il secondo è solitamente il più antico, soppiantato da quello nuovo, ma comunque ancora ricordato e tramandato. Ad oggi, conosciamo Animas precamur da due sole altre fonti: il codice 65 della Biblioteca Capitolare di Piacenza (inizio sec. XIII), con incipit testuale Animam precamur e la stessa musica con alcune varianti; e, limitatamente al testo, il rituale conservato alla Biblioteca Ambrosiana (T 27 sup.), scritto nel sec. XI per una chiesa non identificata (dom Morin lo attribuiva a Grado, Huglo a una chiesa lombarda). In quest’ultimo codice, su altri pezzi sono tracciati neumi in campo aperto che delineano melodie non appartenenti ad alcuno dei repertori conosciuti.19 Sembra più che ragionevole, pertanto, sospettare che Animas precamur sia un avanzo dei repertori arcaici dell’Alta Italia. Anche questa melodia è costruita mediante la ripetizione variata del medesimo materiale musicale; nella trascrizione, Piacenza 65, originariamente scritto un tono sopra, è stata abbassata per favorire la comparazione. TavoLa 5. L’antifona Animam/animas precamur dei vespri dei defunti in Piacenza 65, f. 433v, e nel Sacramentarium patriarchale di Como, c. 34v 18 Sacramentarium patriarchale secundum morem sanctae Comensis Ecclesiae, a cura di Angelo Rusconi, 2 voll., Como-Aquileia, Editrice Nani - Gruppo Archeologico Aquileiese, 1998 (Monumenta Ecclesiae Comensis Liturgica, I), c. 34v. 19 Riferimenti e bibliografia in angeLo RuSconi, Il canto del rito «patriarchino» nell’antica diocesi di Como: ricerche preliminari sulla tradizione scritta, in Il canto patriarchino di tradizione orale in area veneto-friulana e istriana. Atti del seminario di studio, Venezia, Fondazione Ugo e Olga Levi, 8-10 maggio 1997, a cura di Paola Barzan e Anna Vildera, Vicenza, Neri Pozza, 2000 (Cultura popolare veneta, nuova serie, 4), pp. 249-288: 258-259. La nuova antifona Omne quod dat ha incipit identico all’antifona gregoriana, ma la melodia procede in modo molto diverso e si conclude, ancora una volta, con la cadenza milanese, ancorché non abbia paralleli in ambito ambrosiano, dove l’antifona ad Magnificat dei vespri da morto è Audivi vocem. 70 TavoLa 6. L’antifona Omne quod dat dei vespri dei defunti nel Sacramentarium patriarchale di Como, c. 34r. Le antifone dei salmi sono rivestite di melodie nelle quali si vede solo molto parzialmente la parentela con le corrispondenti nel gregoriano e nell’ambrosiano; in particolare Si iniquitates è affine nell’incipit all’antifona ambrosiana, ma le differenze fra le redazioni milanesi e gregoriane sono evidenti. 71 del codice 318 di Montecassino, cantus ambrosianus è una qualifica applicata ai repertori ‘italiani’ e Ambrogio è il paladino dello stile ‘italiano’ contrapposto al gregoriano. L’analisi diww pezzi rari presumibilmente appartenenti a tradizioni musicali arcaiche italiane rivela, in effetti, caratteristiche comuni e affinità stilistiche tra loro e con Milano. L’espressione cantus ambrosianus, usata in contesto non milanese, ha l’aria di riflettere una realtà sonora, un’estetica compositiva e uno stile musicale condiviso nella penisola italica o almeno nel comparto nord-italiano e longobardo. Ambrosiano non è semplicemente sinonimo di “non romano”: significa italiano/italico. Lungi dall’essere semplicemente un’etichetta o un simbolo utilizzato strumentalmente per difendere la propria identità/autonomia minacciata, questa denominazione sembra voler identificare il sound italiano della musica liturgica. Fra i brani speciali trovati nei manoscritti, è stato possibile avanzare esplicitamente l’ipotesi di un’origine nell’Italia nord-orientale per due canti dei neofiti copiati in due graduali di Ravenna.20 La complessa rete di relazioni che li lega ad altre aree della Penisola e forse all’Oriente bizantino è stata descritta da Kenneth Levy.21 Qualunque sia la loro origine remota, il dialetto musicale con cui appaiono nei codici ravennati risulta peculiare: potrebbe riflettere lo stile proprio di un’area che va da Ravenna a Grado e ad Aquileia. Si distingue dagli altri linguaggi italiani noti, al tempo stesso condividendone tratti come la costruzione a variazione di struttura e il tipo di ornamentazione.22 TavoLa 7. Le antifone dei salmi dei vespri dei defunti nel Sacramentarium patriarchale di Como, p. 33v-34r Dopo aver esaminato questi esempi, possiamo elaborare una chiave di lettura dei testi citati all’inizio. Alcuni autori medievali parlano di un canto “ambrosiano”, tipico dell’Italia, in seguito limitato a Milano; nel poemetto 20 Modena, Bibliotca Estense e Universitaria, O.I.7, f. 101rv; Padova, Biblioteca Capitolare, A 47, f. 128v. 21 kenneTH Levy, The Italian Neophytes Chants, «Journal of the American Musicological Society», 23, 1970, pp. 181-227. 22 L’esempio è ripreso da Levy, The Italian cit., p. 188. 72 TavoLa 8. Alleluia Confitemini – Qui in Christo (trascrizione di Kenneth Levy) Conclusioni Questo rapido excursus permette di individuare quattro situazioni rituali privilegiate in cui è più facile rintracciare sopravvivenze di pezzi estranei al repertorio internazionale: la Settimana santa, i riti dei defunti, gli uffici di santi locali, i canti processionali. Il campo di ricerca che si apre è molto vasto e, per l’area d’interesse, implica lo studio sistematico dei manoscritti provenienti dall’Alta Italia, che dovrebbero essere pazientemente indicizzati ed esaminati nel loro contenuto testuale e musicale per pervenire all’individuazione di un corpus di canti ragionevolmente appartenenti ai repertori locali più antichi. L’analisi stilistica e formale di questi pezzi non potrebbe restituire il repertorio antico di Aquileia, ma quantomeno aprire uno spiraglio sul mondo sonoro pre-gregoriano del comparto geografico di cui essa faceva parte e del quale può essere stata musicalmente partecipe. 73 74 75 MiLLi fuLLin IL MANOSCRITTO GUARNERIANO 4, BREVIARIO DI RITO AQUILEIESE: UNA INDAGINE ANCORA APERTA La ricerca Il presente lavoro è frutto di un intenso periodo di studio e di ricerca svolto prevalentemente in Friuli e precisamente nella Biblioteca Guarneriana di San Daniele, dove ho trovato linfa vitale per approfondire le mie ricerche sul manoscritto DN 4 o Dan 4 (4 I 91) segnatura internazionale del RISM: I-SDF 04, ancora in parte inesplorato; infatti, dopo aver letto l’articolo di Giacomo Baroffio1 mi sono ben presto resa conto che non c’erano molte informazioni tecniche relative al codice. Questo mi ha incoraggiato a proseguire anche se, nel frattempo, l’equipe ungherese guidata da László Dobszay aveva inserito il codice tra quelli da censire ma, probabilmente a causa della prematura dipartita dello studioso, il codice è rimasto fuori dallo studio2. Focalizzo alcuni punti: 1 - uso del breviario; 2 - alcune osservazioni sulla liturgia del manoscritto; 3 - particolarità della scrittura neumatica adiastematica e morfologia (mai trattata fino ad ora); 1 Giacomo Baroffio, Un importante libro liturgico: il breviario di San Daniele, Atti del Convegno internazionale, Portogruaro 20 ottobre 2001, Antiqua habita consuetudine, a cura di Lucio Cristante, Università di Trieste, 2004, p. 43. < Biblioteca Guarneriana, ms. 4, c. 16 recto 2 Cfr. giLanyi - kovacS, adiuvante Dobszay, Corpus Antiphonalium Officii - Ecclesiarum Centralis Europae. IV /A: Aquileia (Temporale), Budapest, MTA Zenetudomanyi Intézet - Institute for Musicology of the Hungarian Academy of Sciences 2003 pp. 320. Sono segnalati tutti i brani di canto secondo lo schema proprio del CAO-ECE. La tradizione aquileiese è presentata nei suoi tre rami principali individuati a Budapest: l) “Aquileia” (Gorizia, Bibl. Seminario, A; B; D; Ljubljana, Nadskofijski archi v, Ms 17; Ms l8; breviario aquileiese stampato a Venezia nel 1496); 2) “Cividale I” (San Daniele d. Friuli, Bibl. Guarneriana, 4; Cividale, Museo Arch. Naz., XCI; XCIII: tutti e tre del sec. XII); 3) “Cividale II” (Cividale, Mus. Arch. Naz., XXX; XXXIV; XLI; XLIV; XLVII; XLVIII, XLIX; LVII: tutti compresi tra la fine del sec. XIV e il sec. XV). 76 77 4 - excursus storico con indagine sulle origini del manoscritto; 5 - tavole dei neumi presenti nel manoscritto I-SDF 04 e comparazioni con altri manoscritti; 6 - conclusioni. Lo scopo del lavoro è una prima conoscenza multiforme di un manoscritto importante della Regione Friuli. Molti dettagli caratterizzanti si trovano nella prima parte dell’anno liturgico. Ho ritenuto sufficiente per un primo studio esplorativo limitare la descrizione del contenuto con la metà dell’anno liturgico anche a causa dell’ampiezza della relazione da c1 ra a c105 va. Uso del breviario Nella scheda descrittiva di Cesare Scalon3 il manoscritto I-SDF 04 classificato come mattutinale, può aver fatto pensare ad un libro liturgico usato esclusivamente per l’officiatura notturna, in realtà, la presenza di canti, letture, rubriche, orazioni di tutte le Ore diurne e notturne indica chiaramente che è un breviario, confermato anche da Giacomo Baroffio negli atti di Portogruaro. Il manoscritto è un manufatto di pregio ben conservato, preso in esame e approfondito da alcuni ricercatori, dal punto di vista del contenuto liturgicoletterario più che dal punto di vista paleografico- musicale. Un ricercatore appassionato e studioso del manoscritto, è senz’altro Giuseppe Peressotti il quale fa una analisi accurata dei brani patristici dell’Ufficio divino, confrontandoli con alcuni manoscritti di tradizione aquileiese e romana solo accennato nel presente lavoro a cui però rimanderei la lettura approfondita nei libri del Peressotti stesso. L’uso del Breviario, resta ancora a livello teorico mancando chiare indicazioni a riguardo. La datazione e la localizzazione dei testimoni rimane un compito fondamentale dello studioso proverò ad indagare tra i vari scritti pervenutici formulando delle ipotesi. Giuseppe Peressotti in una pubblicazione del 1990, Lettura dei Padri della Chiesa nei breviari del medioevo, fa una analisi e una comparazione tra alcuni manoscritti di tradizione aquileiese (Dn 4, Civ 91, Ud 5), e romana (Td 170, Vl 92, Vt 137), con la consulenza del prof. Cesare Scalon (per la paleografia latina) e il prof. Gilberto Pressacco (per la paleografia musicale essenziale).4 Scrive il Peressotti: «i codici Dn 4 e Civ 91 hanno in comune n.204 brani patristici. Dn 4 vi aggiunge di proprio altri 11 brani (totale 215)» e ancora: «mettendo insieme le letture patristiche dei manoscritti dai quali abbiamo desunto 244 schede, possiamo dire di conoscere ora l’omeliario-sermonario proprio di Aquileia per il secolo del quale ci stiamo interessando. Essendo poi il Breviario il libro liturgico contenente i testi per la preghiera oraria quotidiana della Chiesa, si può ben dire che, proprio attingendo da quelle letture, la comunità cristiana locale ha desunto motivi di lode all’altissimo Iddio e impulso per la sequela di Cristo Signore».5 Lo stesso Peressotti citando nuovamente il breviario 04 in un articolo pubblicato su Rivista Liturgica6 oltre a riportare alcune notizie di carattere codicologico, menzionando la precedente signatura del manoscritto: 4 I 91, suppone una genesi del ms. variabile dalla fine del XII sec., all’inizio del XIII (tesi attendibile anche confrontandomi con Giulia Gabrielli) e avanza una prima ipotesi: «compare la notazione musicale, che è rivelatrice della destinazione del libro medesimo. Rivela che il volume era predisposto per la recita corale, ossia per essere usato da una comunità che alternava il canto con la recita. Quando il breviario verrà predisposto per la recita individuale, le melodie spariranno»7; e ancora: «la prassi liturgica in quel tempo tende all’individualismo: le accresciute possibilità economiche di alcune classi sociali, specie mercanti e artigiani, permettono la costruzione di piccole chiese e cappelle private, in cui si coltivano le devozioni verso vari Santi; tutto ciò comporta il rischio di allontanare i fedeli dalla genuina pietà liturgica, che si incentra attorno al Mistero pasquale di Cristo. […] La predicazione liturgica viene riservata ai vescovi, i preti se non proprio esclusi da tale ministero, sono solo secundi predicatores». Franz Karl Prassl durante un colloquio, ipotizza una seconda possibilità 4 Giuseppe Peressotti, Lettura dei Padri della Chiesa nei breviari del Medioevo. Analisi e confronto tra alcuni manoscritti di tradizione aquileiese e di quella romana, Udine, Scuola Cattolica di cultura, 1990, p. 17. 5 Giuseppe Peressotti, La liturgia ad Aquileia nel XII secolo, Trieste, Parnaso, 2005 («Centro studi storico-religiosi Friuli-Venezia Giulia», 38), pp. 89, 131, 132. 3 ceSare ScaLon, Scheda descrittiva, in: Laura caSarSa et al. (edd.), La Guarneriana. l tesori di un’antica biblioteca, S. Daniele del Friuli, Comune I 988, 9 I -92 con riproduzione a colori [cc. 71v (parziale) e 104v] e bibliografia. Il codice è datato sec. XIIex 6 Materiale attinto da un precedente lavoro: Giuseppe Peressotti, Il Breviarium aquileiense nei manoscritti medievali, in «Memorie Storiche Forogiuliesi», LXXI, 1991, pp.125-144. 7 Giuseppe Peressotti, Un Breviarium aquileiese-triestino, in «Rivista liturgica», XCIX, 2012, pp. 569-576. 78 79 cioè che il breviario fosse destinato ad una piccola comunità dove non esisteva una schola e il sacerdote obbligatoriamente doveva fare tutto da sé (nel caso del messale questo risulta chiaro). Ribadisce il Peressotti: «nei sec. XII e XIII si concluse la fusione dei vari volumi contenenti i diversi elementi dell’ufficio e si giunse a formare il Breviario vero e proprio con l’eliminare le parti spurie e l’accorciare i testi delle letture. La fusione di tutti gli elementi in un unico volume, fu accelerata con il passaggio dalla recita in coro alla recita privata. Il volume si rimpicciolì per poter essere facilmente portato in viaggio, le letture furono accorciate e la notazione musicale sparì»8. Nella nuova edizione del libro dei Patriarchi, Cesare Scalon conferma questa tesi dice infatti: «i libri liturgici nascono con una funzione ministeriale. Il che significa che nell’alto Medioevo c’era un libro peculiare ed esclusivo per ogni persona o gruppo che nella celebrazione svolgeva una sua specifica funzione, un servizio liturgico […]. Solo dopo l’anno 1100 attraverso una lenta sperimentazione di varie tradizioni redazionali, prevalse la diffusione in un unico libro omnicomprensivo che raccoglieva tutti gli elementi precedentemente distribuiti in diversi codici. A parte la praticità della soluzione finale, questa evoluzione libraria contribuì in modo decisivo la modifica in atto nella celebrazione. Con il passare del tempo, l’officiante divenne l’unica persona “attiva”. Oltre a leggere i testi delle orazioni, egli proclamava le letture e leggeva i testi dei canti».9 La terza ipotesi quindi, potrebbe essere che nella liturgia celebrata quasi privatim il breviario di San Daniele si trovasse storicamente nel passaggio tra la liturgia cantata e quella parlata. La conferma di tutto ciò potrebbe venire anche dalle dimensioni dei breviari presi in esami dal Peressotti di cui riportiamo una tabella: Come si può notare, le dimensioni dei volumi della recita della liturgia delle ore si riducono notevolmente con l’andare del tempo, il breviario 04 è l’unico ad essere più sottile. In ogni caso questo non era un libro per la celebrazione monastica e canonicale, senza dimenticare il fatto che alcuni libri erano a disposizione come repertori da cui attingere il materiale per altri libri, per l’uso concreto e i bisogni di una persona o di una comunità. Particolarità della scrittura neumatica adiastematica e morfologia dei neumi in I-SDF 04 Entrando nel dettaglio del contenuto paleografico- semiologico del breviario, il manoscritto ha un totale di 247 carte, i neumi sono di tipo tedesco con iniziali miniate decorate con motivi zoomorfi e vegetali e piccole iniziali decorate in verde, rosso e turchino. Dal punto di vista metodologico lo studio attualmente completato va dalla prima domenica di Avvento alla Domenica di Pasqua, per un totale di 105 carte. Sono state indicizzate tutte le parti musicali comprese le repetende confrontandole con Kranj: - una tabella riguarda ciò che è rimasto fuori dall’indice di Kranj; - un indice comprende ciò che non risulta in Cantus database; - sono state raccolte tutte le antifone commemoratio da cui sono state estrapolate e riunite in un indice solo il formulario Nat. Innocentium confrontando le loro posizioni all’interno della liturgia nei codici Aq, Civ I, Civ II, Salzburg tratto dal CAO-ECE10; - un indice comprende i canti che non sono presenti né in Kranj né in Cantus database. - un indice riguarda la comparazione tra I-SDF 04 e Civ 91 di un periodo liturgico e precisamente l’Avvento. Inoltre è stato fatto uno studio morfologico dei neumi, confrontando I-SDF 04 con Civ 91, Moggio, Salzburg LO e uno studio di alcuni frammenti comparati con CH-SGs 388, 390, CH-E 611 A-Kn 1010 e Hartker. Indici e tabelle costituiranno la base per successivi studi approfonditi, non affrontati in questo lavoro per ragioni come già detto di eccessiva ampiezza. 8 giuSeppe pereSSoTTi, Il Breviarium aquileiense, cit., p. 127, 136. 9 ceSare ScaLon, I libri dei Patriarchi. Un percorso nella cultura scritta del Friuli medievale, Udine, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli, riedizione ampliata 2018, sez. VII p.159. 10 LáSzLò DoBSzay, CAO – ECE I / A Salzburg (Temporale), Budapest, Zenetudomànyi Intézet Institute for Musicolgy, 1990. 80 Morfologia Tavola 111 contiene una descrizione dei neumi del manoscritto I-SDF 04 dal punto di vista paleografico del segno e l’inserimento di quest’ultimo all’interno delle parole esaminate. Il tractulus è un trattino orizzontale quasi sempre dello stesso formato. La virga è un segno obliquo di circa 45 gradi, sempre alla fine superiore presenta un trattino orizzontale quasi come un uncino ma non è un episema, è solo un modo di scrivere. La clivis è l’unione di due trattini uno più lungo e uno più corto, i due trattini normalmente non sono paralleli formano un angolo acuto. La clivis liquescente possiede la forma della vecchia virga strata termina con un semicerchio, da notare che la virga segue un trattino orizzontale e non subito il cerchio della liquescenza. Il pes, è una forma tardiva e la connessione semicerchio alla base più virga può presentarsi in forma ovale allungata. Il cephalicus è una virga con semicerchio un po’ allungato aggiunto nella parte superiore la virga è un poco curvata verso destra con la stessa inclinazione del pes. La differenza cephalicus e virga liquescente sta nel numero dei suoni. Il porrectus è la combinazione clivis + virga il primo elemento è un po’ più lungo, la connessione seconda e terza nota è acuta, alla fine si trova uno piccolo ispessimento come un punto dell’inchiostro quando la mano lascia la carta. Il torculus si presenta come pes + clivis e la connessione del secondo e del terzo elemento forma un angolo acuto alla fine del quale si trova un trattino sottile orizzontale. Il climacus è una virga con due tractuli i quali sono poco inclinati. Lo scandicus è formato da una virga e due tractuli come il climacus ma alla fine dei tractuli si aggiunge una virga con una inclinazione obliqua di 45 gradi. Lo scandicus flexus e il pes subbipunctis sono combinazioni della scrittura abituale. Il torculus resupinus, non segue la base standard del neuma torculus. Ma abbiamo una forma propria: un trattino orizzontale seguito da un semicerchio quasi rotondo e una virga aggiunta con un angolo acuto. Distropha e tristrhopa seguono l’ortografia tradizionale. 81 Il trigon somiglia quasi a tre piccoli tractuli. Il pressus presenta tre puntini allungati in forma di triangolo scaleno ma il primo puntino possiede anche un piccolo trattino prima. L’oriscus è scritto secondo la forma tradizionale. Il quilisma è composto da tre semicerchi orizzontali, la forma del neuma normalmente è incomparabile con i neumi tedeschi adiastematici in Austria.12 Tabella 1 Neumi presenti I-SDF 04 Neumi Corsivi Modifica Carta Riga Brano del segno Formulario Punctum 5va 12 Invitatorio Rex noster Dom.3 Adventus Tractulus 51va 27 Resp. Ego dixi Domine Vers. Domine ne in ira tua Feria 3 per annum Sillaba/parola Rex In furore Virga 10va 11ra 13 05 Resp. Bethleem civitas Resp. Prope est Dom.3 Adventus Clivis 11ra 11ra 05 06 Resp. Prope est Dom.3 Adventus Exiet Veniat Veniat Dominus Clivis liq. 11rb 30 Resp. Docebit nos Dom.3 Adventus Pes 10va 14 Resp. Bethleem civitas Dom.3 Adventus Cephalicus 11ra 08 Resp. Prope est Dom.3 Adventus Porrectus 51va 21 Resp. Statuit Dominus Feria 3 per annum Torculus 10va 15 Resp. Bethleem civitas Dom.3 Adventus Verbum Egressus Tam Meos Medio 11 franz karL praSSL, Beobachtungen zur adiastematischen Notation in Missalehandschriften des 12. Jahrhunderts aus dem Augustiner-Chorherrenstift Seckau, a cura di Dobszay László, Cantus Planus Papers Read at the Fourth Meeting Pécs, Hungary 3-8 September 1990, Budapest, Akademie der Wissenschaften 1992, pp. 31-54. 12 franz karL praSSL, Choralhandschriften österreichischer Augustinerchorherren im 12. Jahrhundert, Musicologica Austriaca 14/15, 1996, pp. 9-31. 82 83 Climacus 51va 18 Resp. Auribus percipe Feria 3 per annum Climacus resupinus 10va 14 Resp. Bethleem civitas Dom.3 Adventus 10va 13 Resp. Bethleem civitas Dom.3 Adventus Cola Tavola 2 contiene una descrizione dei neumi del manoscritto I-SDF 04 sempre dal punto di vista morfologico, in relazione ad alcuni manoscritti dell’area transalpina, per coglierne le affinità o le differenze, l’interpretazione dei segni invece è compito della semiologia, argomento che non viene trattato Tabella 2 Morfologia: neumi presenti in I-SDF 04 e in altri codici in questo elaborato. Eternitatis Scandicus I-SDF 04 Varianti CIV 91 MOGGIO 75 Salzburg LO13 Punctum Bethleem Scandicus flexus 52ra 33 Resp. Repleatur os Feria 5 per annum Pes subbipunctis 70vb 22 Resp. Quomodo fiet Annuntiatio Mariae Tractulus Tibi Virga Clivis Opera Torculus resupinus 11ra 06 Resp. Prope est Dom.3 Adventus Clivis liq. Miserebitur Distropha 10va 15 Resp. Bethleem civitas Dom.3 Adventus Pes Magnificabitur Tristropha 11ra 06 Resp. Prope est Dom.3 Adventus Cephalicus Elongabuntur Trigon 11rb 30 Resp. Docebit nos Dom.3 Adventus Pressus 50ra 22 Resp. Afflicti pro peccatis Dom.per annum Porrectus De Torculus Domine Oriscus 49vb Quilisma scandicus flexus (resupinus ) 11ra Resp. Dom.per Vivit Dominus annum Climacus Et 07 Resp. Prope est Vers. Qui venturus est Dom.3 Adventus 1 Climacus resupino 3 Venturus TavoLa 1. Neumi presenti in I-SDF 04 Scandicus 13 FRANZ KARL PRASSL, Notation in einem Liber Ordinarius – Ein Beispiel von Salzburg, in: Markus Uhl, Christoph Weyer (Hg.), Erklingendes Wort. Festschrift für Stefan Klöckner zum 60. Geburtstag. Münsterschwarzach 2018, pp. 155-163. Torculus Climacus 84 85 Tabella 3 Comparazioni neumatiche in dettaglio Climacus resupino 76 14 a I-SDF 04 XII sec Incipit Quilisma scandicus flexus (resupinus in I-SDF 04) Resp. Prope est Vers. Qui venturus est Scandicus ���������� ������� Scandicus con b raggruppamento o stacco iniziale ��� ����������� c �� ����� ������� d ���� ���� e CH-E 611 XIV sec. A-KN 1010 Restituzione Sillaba/ parola Klosterneuburg melodica Hartker c. 36 c. 28 c. 8r c.14v H28 Resp. Descendit de celis Introivit c. 52 c. 45 c. 18r c. 53 c. 45 c. 18r c. 28 c. 8r c. 28 c. 7 c. 17v H45 Resp. Descendit de celis Portam c. 23 H45 Scandicus Resp. subbipunctis resupinus Prope est Salvabitur c. 11ra Quilisma scandicus con oriscus Scandicus con f raggruppamento Porrectus flexus con g riduzione melodica c. 36 c. 14v H28 c. 14v H28 Resp. Prope est Prope c. 11ra c. 36 c. 11rb c. 37 c. 29 c. 11rb c. 37 c. 29 Non leggibile Resp. Docebit iniziale (come descendit) � ���� CH-SGs 388 CH-SGs XII sec 390 Venturus c. 11ra c. 23 Scandicus con variante melodica � ��� ���� I-SDF 04 XII sec Docebit c. 8v H29 Resp. Docebit (manca quilisma) Iherusalem c. 8v c.10r H29 c. 54r H86 c. 54r H86 Clivis + pressus minor Resp. al posto della doppia Auribus � ����� h clivis di SG.390 è una ����� Quilisma scandicus flexus resupinus TavoLa 2. Morfologia: neumi presenti in I-SDF 04 e in altri codici Lacrimas indicazione melodica, cioè la seconda e terza nota sono all’unisono vedi Hartker Al posto del pes del c. 51va c. 90 c. 86 c. 43v c. 90 c. 86 c. 43v Resp. i semitono è scritta una Auribus distropha Me c. 51va Resp. Scandicus flexus resupinus al posto del Auribus l scandicus. Flexus Remitte 14 Tavola 3 (a pagina seguente) contiene la descrizione in dettaglio di neumi complessi del manoscritto I-SDF 04 comparati con SGs. 388 e 390, E 611, A-K1010, e la restituzione melodica di Hartker. c. 51va m Scandicus con articolazione finale complessa Clivis + oriscus in apposizione n 14 Secondo il prof. Baroffio questo neuma è un salicus, il prof. Prassl invece afferma che sia difficile stabilire con esattezza in questo manoscritto il salicus pertanto conferma lo scandicus. c. 90 c. 86 c. 43v c. 54r H86 Resp. Statuit Statuit c. 51va c. 90 c. 23 c. 52 Resp. Descendit de celis TavoLa 3. Comparazioni 3.4 - Tabella 3 descrizione c. 86 c. 44r c. 54r c. 18r c. 17v H86 Arce c. 45 H45 neumatiche in dettaglio. Cfr. descrizione a pagina seguente. a Quilisma scandicus flexus resupinus in I-SDF 04, le altre grafie presentano tutte il quilisma scandicus flexus b Scandicus con raggruppamento o stacco iniziale confermato in tutte le grafie c Scandicus con variante melodica in I-SDF 04, le altre grafie presentano un pes liquescente d Scandicus subbipunctis resupinus confermato in tutte le grafie e Quilisma scandicus con oriscus in I-SDF 04, SGs 390, salicus in SGs.388, scandicus di tre suoni in CH-611, di quattro suoni con oriscus in H 28, pes in A-KN 1010 Clivis + oriscus in apposizione n Resp. Descendit de celis c. 23 c. 52 Arce c. 45 c 18r c. 17v H45 86 St. Gallen, Stiftsbibliothek, C 390 c. 71 87 3.4 - Tabella 3 descrizione a Quilisma scandicus flexus resupinus in I-SDF 04, le altre grafie presentano tutte il quilisma scandicus flexus b Scandicus con raggruppamento o stacco iniziale confermato in tutte le grafie c Scandicus con variante melodica in I-SDF 04, le altre grafie presentano un pes liquescente d Scandicus subbipunctis resupinus confermato in tutte le grafie e Quilisma scandicus con oriscus in I-SDF 04, SGs 390, salicus in SGs.388, scandicus di tre suoni in CH-611, di quattro suoni con oriscus in H 28, pes in A-KN 1010 f Scandicus con raggruppamento iniziale (come descendit), confermato in tutte le grafie, non leggibile in A-KN 1010 g Porrectus flexus con riduzione melodica (manca quilisma), 4 suoni in I-SDF 04, Porrectus flexus quilismatic, 5 suoni in tutte le altre grafie h Clivis + pressus minor in I-SDF 04, A-KN 1010 e H86 è una indicazione melodica, cioè la seconda e terza nota sono all’unisono, SG.390 presenta una doppia clivis, SGs 390 doppia clivis con secondo suono ripercosso e episema sulla seconda clivis, in CH- 611 porrectus flexus i In I-SDF 04 al posto del pes del semitono è scritta una distropha, il pes invece si trova in in SGs.388, SGs 390, manca una nota in CH-611 e H86 l Scandicus flexus resupinus in I-SDF 04 al posto del scandicus. Flexus presente in tutte le altre grafie, in SGs 390 anche con episema sul terzo suono m Scandicus con articolazione finale complessa in I-SDF 04, confermato in tutte le grafie n Clivis + oriscus in apposizione in I-SDF 04, SGs.388, SGs 390, CH-611, presentano delle note diverse A-KN 1010 e H45 TavoLa 3a. Descrizione di TavoLa 3 Tavola 4 descrive una particolarità evidenziata in I-SDF 04 non presente in Kranj e in Cantus database. Confrontando gli stessi manoscritti citati nella precedente tavola 3, si è giunti alla conclusione che l’incipit dell’antifona Completu(m) est rilevato in I-SDF 04 sia frutto di una variante locale o di un errore dello scriba, in quanto la comparazione tra i codici, converge per tutti sull’incipit dell’antifona nella forma Completi sunt. Biblioteca Guarneriana San Daniele, cod. I-SDF 04 XII sec. c. 25vb Biblioteca Guarneriana San Daniele, cod. I-SDF 04 XII sec. c. 26 ra St. Gallen, Stiftsbibliothek, CH SGs 388, c. 77 St. Gallen, Stiftsbibliothek, CH SGs 390 c. 71 Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 611 (CH-E 611) fg. 17 r TavoLa 4. Antifona Completu(m) est o Completi sunt TAV : descrive una particolarità evidenziata in I-SDF 04 non presente in Kranj e in Confrontando gli stessi manoscritti citati nel precedente punto 3.3, si è giunti alla conclusione che Aspetti storici l’incipit dell’antifona Completu m est rilevato in I-SDF 04 sia frutto di una variante locale o di un errore dello scriba, in quanto la comparazione tra i codici, convergono tutti con l’incipit dell’antifona Il percorso storico che segue, seppure in modo sintetico, offre maggiore Completi sunt. comprensione verso la situazione geografica-sociale-politica che ha visto il fiorire di numerosi manoscritti di carattere religioso ad uso delle varie comunità che via via si insediavano nel territorio. Il Friuli, crocevia di popoli e lingue che coabitano pacificamente da diversi secoli, è stato terra di conquista di potenze straniere; la storia friulana affonda le sue radici in avvenimenti complessi e variegati. Facendo una sintesi dell’etimologia del nome Friuli attraverso una breve panoramica storica lo possiamo collocare intorno a due secoli prima di Cristo, quando il territorio era noto ai romani con il nome di Carnorum Regio, ovvero regione dei Carni, popolo di lingua e cultura celtica penetrato nel 400 a.C. valicando le Alpi stabilendosi tra la montagna e la pianura. A questo punto potremmo considerare i Carni i primi friulani del territorio escludendo i paleoveneti; grazie al ritrovamento di numerose monete celtiche è stato possibile farsi un’idea abbastanza realistica seppur ipotetica dei confini dei Carni. A partire dal 181 a.C., durante l’espansione romana, acquisì importanza la costruzione di Aquileia, quarta città d’Italia per numero di abitanti (circa 15.000), per importanza strategica e commerciale divenendo una sorta di “seconda Roma” tant’è che nel 7 d.C. l’Imperatore Augusto scelse Aquileia come capitale della Regio X italica Venetia et Histria; il territorio, coperta da foreste e paludi, assume quindi il nome storico di Forum Julii. Il sistema amministrativo romano, conglobando le genti locali, favorisce un notevole sviluppo del territorio con la creazione del porto di Grado con scalo ad Aquileia potenziando le vie di comunicazione tra il centro Italia e la stessa Aquileia e da qui al Norico, Carniola e oltre. In questo periodo si consolida la cultura e la civiltà latina protraendosi per circa sei secoli fino alla decadenza del dominio romano a causate dalle lotte interne per la suddivisione dell’Impero: occidentale con capitale Roma e orientale con capitale Bisanzio (Costantinopoli). I disordini derivanti dalla frammentazione politica dell’Impero, 88 favoriranno la penetrazione di popolazioni barbariche (Visigoti, Ostrogoti, Unni) che, attraversando i confini, saccheggeranno e devasteranno la regione, determinando la fine dell’Impero romano d’occidente. La storia del Friuli, di conseguenza, si mescola con quella del Ducato longobardo e la loro invasione capeggiata dal re Alboino nel 568 d.C. I primi territori conquistati furono il Friuli, dichiarato Ducato con sede a Cividale mentre Pavia fu la loro capitale. Il Ducato fu affidato a Gisulfo, nipote di Alboino che governò tutti i territori tra i fiumi Livenza e Timavo,15 istituendo quattro “municipi”: Forum Julii (Cividale), Aquileia, Julium Carnicum (Zuglio) e Concordia. Nell’organizzazione del Ducato si incontrano i castrum, roccaforti che gravitavano intorno ai centri fortificati maggiori, (citati anche da Paolo Diacono nell’Historia longobardorum), tra questi: Cormons, Nimis, Artegna, Osoppo, Ragogna, Gemona, Invillino; tra gli insediamenti minori vi sono: Attimis, Tarcento, Montenars e San Daniele. A causa dell’invasione longobarda, Paolino I Vescovo di Aquileia, trovò rifugiò a Grado rimanendovi fino alla morte; suoi successori degni di nota furono Elia (571) e Severo (586), condotto a forza a Ravenna, e costretto a sottomettersi all’autorità del Papa. Rientrato a Grado trovò una tale ostilità che lo costrinse a confermare la separazione da Roma (590). Nel 606 alla sua morte, il Patriarcato di Aquileia venne diviso in due sedi, decretando uno scisma detto tricapitolino: Aquileia con il ritorno di un Vescovo sostenuto dai Longobardi e Grado sotto l’influenza di Costantinopoli con un altro Vescovo. I nuovi confini del Ducato divennero quindi: a Nord col Norico, ad Ovest col Ducato di Ceneda ed il fiume Livenza, a est con il territorio occupato dagli Avari e dagli Slavi, a sud prossimo al litorale adriatico, presidiato dai Bizantini, specie le isole della laguna; quest’ultimo, più che un confine militare, era un confine teologico dettato dalla fedeltà della chiesa aquileiese al Concilio di Calcedonia in contrapposizione all’esarcato bizantino. Escludendo il periodo difficile a seguito delle frequenti incursioni degli Slavi e degli Avari che misero a dura prova la resistenza dei Longobardi, lo scisma tricapitolino divenne un “affare politico” che si risolse nel 689 con la battaglia di Coronate (oggi Cornate d’Adda) e la sconfitta del duca di Alachis (ariano), da parte del re longobardo Cuniperto (cattolico); nel 698 lo stesso 15 La Livenza nasce ai piedi delle montagne del gruppo Cansiglio-Cavallo e sfocia nel mar Adriatico presso Caorle (VE); il Timavo nasce dal Monte Nevoso e sfocia nel mar Adriatico presso San Giovanni di Duino (TS). 89 Cuniperto convocò un sinodo a Pavia in cui i vescovi cattolici e tricapitolini ricomposero lo scisma nello spirito di Calcedonia. Fece seguito un periodo di importante sviluppo culturale ed economico dove si alternarono uomini valorosi al potere, l’ultimo e sfortunato dei quali fu Desiderio, re dei Longobardi che, osteggiato dal Papato, sarà sconfitto dai Franchi nel 774, di conseguenza la fine del potere longobardo sarà decretata nel 776 a Maserada sul Piave, con la discesa di Carlo Magno che, dopo la sconfitta del duca Rotgaudo, si spinse fino a Cividale, organizzando una durissima repressione ed autoproclamandosi Gratia Dei Rex Francorum et Langobardorum. Carlo Magno, riorganizzò il regno sul modello franco, i duchi vennero sostituiti da conti e, introdotto il principio feudale, segnerà la storia del Friuli per i secoli successivi. In questo contesto, il Patriarca Paolino II vede accrescere il potere patriarcale con il riconoscimento dei possedimenti aquileiesi e di nuove donazioni fino a diventare Missus dominicus per il regno italico, ponendosi sopra lo stesso Conte del Friuli. Inoltre il Patriarca curava ecclesiasticamente, una delle più grandi diocesi e metropolie europea, un territorio vasto più di tre volte l’odierno Friuli. A seguito del periodo buio occorso per la morte di Carlo Magno, segnato da grandi instabilità e dalle scorribande degli Ungari, il patriarcato di Aquileia intraprende una importante opera di ricostruzione e di rilancio delle attività produttive e si consoliderà ulteriormente nel 1019 con la nomina a Patriarca di Volfango detto Poppo o Poppone, il quale restituirà all’antico splendore Aquileia e la sua basilica durante i suoi 23 anni di governo. Avvicinandoci a grandi passi al periodo in cui, presumibilmente, ha visto la luce il codice 04 di San Daniele, una data fondamentale che vale la pena di ricordare è il 3 aprile 1077. In quel giorno l’imperatore Enrico IV concesse al patriarca Sigeardo l’investitura feudale con prerogative ducali, su tutto il territorio friulano16, alla quale vennero aggiunte la marca di Carniola e la Contea d’Istria. Si tratta della nascita della Patria del Friuli: potere religioso e temporale sono riuniti in una sola persona, il Patriarca. Si riporta di seguito la bolla imperiale di Enrico IV: Nel nome della Santa e Indivisibile Trinità. Noi Enrico, per divina clemenza re, seguendo l’esempio dei nostri padri dall’integerrima fede, che costruirono con i loro beni 16 giancarLo MeniS, Lo Stato patriarcale friulano, Friûl, Societât Filologjche Furlane, Udine, Arti Grafiche Friulane, 2003, p. 66. 90 91 chiese a Dio, e una volta edificate le arricchirono sia con quello che possedevano di proprio che con ciò che era loro pervenuto a mezzo delle entrate regali, avendo noi trascorso i giorni della gioventù in salute e onestà e affinché la nostra vita possa godere anche nella maturità di tempi ancor più gioiosi e pacifici, desideriamo continuare con zelo simili iniziative. Per questo vogliamo sia noto a tutti i sudditi di Cristo e nostri, sia quelli che tali sono oggi che quelli che lo saranno nel futuro, che per la salvezza della nostra anima e per intervento della nostra eccellentissima madre e imperatrice Agnese, della nostra sposa e regina Berta e di altri nostri fedeli sudditi, ossia l’arcivescovo di Milano Teodaldo, di Ravenna Viperto, e anche su richiesta del nostro carissimo cancelliere Gregorio, vescovo di Vercelli, di Bucardo vescovo di Losanna, di Eppone vescovo di Cizaniense, di Bennone vescovo Osnaburgense, del duca Luitoldo e dei marchesi Guglielmo, Azzone e Adalberto, e per il fedele servigio del patriarca Sigeardo, doniamo e trasferiamo al detto patriarca Sigeardo, ai suoi successori e alla chiesa aquileiese, la contea del Friuli e il villaggio chiamato Lucinico, con ogni diritto e beneficio che aveva il conte Ludovico nella contea medesima, e con tutti le prerogative e i privilegi già di pertinenza reale e ducale, ossia le convocazioni dei placiti, il diritto di fodro e ognuno e tutti i redditi a ciò legati o che potranno provenire nel futuro per qualsivoglia causa e motivo. Ordiniamo che nessun marchese, conte, visconte o altra persona con qualsivoglia carica nel nostro regno ardisca privare, molestare, insidiare la predetta chiesa o il nostro predetto fedele suddito patriarca Sigeardo e i suoi successori nelle cose qui donate e trasferite. Se ciò accadrà, il colpevole sia punito con una multa di cento libbre d’oro, metà da versare alla nostra camera fiscale e metà alla chiesa aquileiese. E affinchè questa nostra regale donazione possa rimanere inalterata e indiscussa, ordiniamo che la si scriva in questa carta e che vi venga impresso e posto il nostro sigillo.17 La nascita della Patria del Friuli determinò un’unità etnico culturale che ormai poteva essere definita “friulana”; dopo l’autonomia di 350 anni con il Ducato longobardo, il Friuli si ritrova ancora una volta “indipendente”. Intorno all’XI sec. I confini del Patriarcato subiscono diverse definizioni; emblematico il caso dell’Istria, costantemente contesa da Venezia. Vi erano inoltre zone che godevano di ampia autonomia tanto da sottrarsi a controllo del Patriarcato: la Contea di Gorizia, la città di Pordenone (dal 1277 controllata dagli Asburgo), la città di Trieste che dal 1382 farà atto di dedizione alla casa d’Austria. Il trasferimento delle competenze e dei poteri concessi dai Patriarchi dalla sede di governo centrale alle sedi locali o periferiche, decreta il declino della “Patria”; tenendo ben presente che la carica del Patriarca non era ereditaria, non andava a vantaggio dello “Stato” nel suo insieme ma favoriva le singole comunità o i singoli feudi. Conseguenza di questo, sono la perdita della coesione tra i comuni friulani e frequenti lotte e congiure tra vassalli che portò alla conquista veneziana del Friuli nel 1420, con il successivo sviluppo della Serenissima Repubblica.18 In questo panorama storico, è doveroso, a questo punto, avanzare alcune ipotesi sulla genesi del manoscritto I-SDF 04 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli e di come sia pervenuto nella biblioteca stessa. A tal proposito l’attuale direttrice della biblioteca suggerisce:19 È plausibile ricondurlo allo scriptorium di un monastero benedettino dall’Austria meridionale, facente capo alla congregazione dei monasteri riformati di Hirsau, dal quale sarebbe giunto a Moggio, portato per gli usi liturgici dei suoi monaci20. Una vicenda simile a quella del cosiddetto “Graduale di Moggio” (oggi conservato alla Bodleian Library di Oxford, Canon. Liturg. 340), esemplato nel 1216 nell’abbazia benedettina di Admont in Austria e presto in uso con altri libri liturgici presso l’abbazia di Moggio Udinese. In Guarneriana, potrebbe poi essere arrivato come suggerisce Mario D’Angelo, insieme ad altri libri molto 18 http://www.friulani.net/files/appunti-di-storia-friulana/ ultima consultazione in data 07/08/2019. 19 eLiSa nervi, Direttrice della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli (UD). 17 http://www.friulani.net/files/confini-del-friuli/ ultima consultazione in data 24/12/2019. 20 Baroffio e Prassl assicurano che il Breviario è un manoscritto secolare e non monastico. 92 93 pregiati (come le grandi Bibbie) perché acquistati dalla Chiesa di San Michele, presso gli eredi del cardinal Panciera, molto probabilmente con l’intermediazione dello stesso Guarnerio. Le grandi bibbie, per esempio, possono abbastanza facilmente essere identificate a partire dall’inventario della Chiesa di San Michele datato 1462, e il nostro Guarneriano 4, potrebbe coincidere ed essere riconosciuto nell’omeliarium seu matutinarium incluso per la prima volta nell’inventario della Chiesa datato 1453 e poi sempre presente negli inventari successivi. Nel tempo, poi, i libri della Chiesa e la collezione personale di Guarnerio, dopo la sua morte, vennero riuniti e divennero di fatto una unica collezione in Guarneriana. Di come da Moggio sia giunto nella collezione del Panciera, non si ha naturalmente notizia, ma va detto che Antonio Panciera nel 1401 aveva avuto, da papa Bonifacio IX, la commenda dell’abbazia di San Gallo di Moggio ed ancor più che alla fine di febbraio 1402 viene nominato Patriarca di Aquileia, carica che mantiene fino al 1411 quando verrà eletto cardinale. Conclusioni Il campo d’indagine rimane ancora aperto e concordo in questo con il prof. Baroffio21 confermando l’identità patriarcale del manoscritto, ponendo degli interrogativi su quale sia la precisa posizione all’interno del territorio aquileiese-veneto-friulano e il suo carattere rappresentativo delle liturgie di Aquileia pre e post caroline e a quelle posteriori al XII sec. questioni ancora da sviscerare con un lavoro investigativo minuzioso. Le pochissime fonti rimaste, vanno scandagliate dettagliatamente per non rischiare di trarre delle conclusioni errate sull’origine reale dei manoscritti lasciando 21 giacoMo Baroffio, Un importante libro liturgico, in Atti del colloquio internazionale, Antiqua habita consuetudine Portogruaro 20 ottobre 2001 a cura di Lucio Cristante, ed. Università di Trieste, 2004, pp.45-46. ai posteri delle interpretazioni scorrette, pertanto prima di formulare delle opinioni definitive, sarebbe bene lasciare sempre un margine di dubbio, laddove non vi siano certezze assolute e documentate. Abbiamo una importante conclusione tuttavia per quanto riguarda la notazione neumatica, i fogli osservati ci forniscono alcune informazioni rilevanti: la varietà ritmica è persa con alcune eccezioni, rimangono solamente segni di base, non esistono differenze per esempio pes, clivis, torculus corsivo o non corsivo o parzialmente corsivo. Cosa rimane dunque? Le liquescenze, tutti gli stacchi forti, i raggruppamenti iniziali e rimane lo scandicus con articolazione finale complessa come intonazione del I modo. L’oriscus isolato o nella posizione finale è presente, ma neumi con oriscus come virga strata, pes quassus sono persi. Il manoscritto mostra anche una grande variabilità melodica (abbiamo visto gli esempi dei responsori), la mancanza dell’epiphonus è notevole mentre il cephalicus è molto usato forse al posto dell’ephiponus. Alcuni neumi sono intercambiabili, per esempio al posto della clivis può esserci un pressus minor al posto della bivirga spesso troviamo la distropha. La virga che si presenta con una specie di episema non ha significato ritmico. 94 BIBLIOGRAFIA Baroffio giacoMo, Un importante libro liturgico: il breviario di San Daniele, Antiqua habita consuetudine, in Atti del Convegno internazionale, Portogruaro, 20 ott. 2001, a cura di Lucio Cristante, Università di Trieste, 2004 pp. 45-46. cappeLLi aDriano, Dizionario di abbreviature latine e italiane, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 2016. 95 Stefan Klöckner zum 60. Geburtstag. Münsterschwarzach 2018, 155-163. praSSL franz karL, Der Salzburger Liber Ordinarius (1198) als Musikhistorische Quelle, in: Musik im Zusammenhang Festscrift Peter Revers zum 65 Geburstag, Hollitzer Verlag, Wien, 2019. ScaLon ceSare, Scheda descrittiva, in: Laura Casarsa et al. (edd.), La Guarneriana. l tesori di un ‘antica biblioteca, S. Daniele del Friuli, Comune 1988, pp. 91-92 con riproduzione a colori [cc. 71v (parziale) e 104 v] e bibliografia. 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Non si tratta, invece, il Guarneriano 4, oggetto dello studio di Milli Fullin (pp. 73-93). *** Rimasto a lungo ai margini della preziosa biblioteca di Guarnerio di Artegna, inosservato a causa del deterioramento materiale occorso nei secoli e dell’assenza apparente di notevoli qualità dal punto di vista liturgico, musicale o paleografico, un codice passò al tramonto del XIX sec. tra le mani di Giuseppe Mazzatinti, che lo descrisse sinteticamente così: «48. Kalendarium. Psalmi, I-CL. Symbolus s. Atanasii. Officium defunctorum. Hymni. (Membr.; in folio; sec. XIII-XIV)»1. L’attuale Guarneriano 48 non presenta però, né in apertura né in alcun altro punto, un Calendario2. Per supplire all’assenza di informazioni 1 La mia riconoscenza va alla Direttrice della Biblioteca Guarneriana, dott.ssa Elisa Nervi, e ai proff. Angelo Floramo, Giacomo Bonifacio Baroffio e Matteo Venier per aver sostenuto le mie ricerche sandanielesi con azioni e consigli. Ringrazio inoltre direzione e personale della Biblioteca Arcivescovile di Udine e della Biblioteca del Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli, che hanno permesso il diretto confronto con i manoscritti liturgici friulani. 1 giuSeppe MazzaTinTi, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, Forlì, Bordandini, 1893, p. 116. Biblioteca Guarneriana, ms. 269, c. 134 recto 2 XIV sec.; membr.; fortemente danneggiati i ff. 57-66, caduti ff. tra i ff. 3 e 4; molti ff. sono restaurati con l’aggiunta di talloni; ff. I, 105, I; dimensioni (f. I) 250 x 185 = 30[220] x [105]15[65], (ff. 1-75v) 260 x 185 = 20[190]50 x 20[130]35; foliazione moderna a lapis; 114, 2-58, 610, 7-128; inizio fascicolo lato pelo; (f. I) 28 linee di scrittura su due colonne, rigatura a secco, (ff. 1-75v) 26 linee di scrittura su un’unica colonna, rigatura a colore. (f. I) Minuscola di transizione tedesca a ovali inclinati, (ff. 1-75v) Littera textualis. Litterae notabiliores in inchiostro rosso e bruno; rubricato. Legatura settecentesca in cartone, dorso rinforzato in pelle, sul piatto anteriore in inchiostro bruno scuro «CLVI», sul dorso etichetta moderna della Biblioteca Guarneriana e segnatura «48», etichetta meno recente della medesima Biblioteca «147 | C 48», etichetta della medesima Biblioteca illeggibile, tassello settecentesco con indicazione della segnatura antica in inchiostro bruno scuro «CLVI», al di sotto, sul medesimo tassello, scritta ottocentesca o novecentesca a lapis «Psalter. Hymni», nel contropiatto anteriore etichetta della Biblioteca «147», tra il 98 99 ricavabili da un’analisi autoptica su dieci codici sandanielesi requisiti nel 1796 da Gaspare Monge, allora e a tutt’oggi conservati alla Bibliothèque Nationale de France, il Mazzatinti riportava nel suo catalogo le corrispondenti schede dell’inventario settecentesco di Gian Leonardo Vidiman; curiosamente, una di queste sembra assai meglio adattarsi all’attuale Guarneriano 48 rispetto alla descrizione catalografica precedentemente trascritta: num. clvi). Psalterium, in quo CL psalmi, cantica evangelica, Te Deum laudamus, Quicumque vult salvus esse, Officium defunctorum, Hymni, in quorum finem extat initium tantum cuiusdam hymni in festo ss. Hermagorae et Fortunati, sic; Eterne Deus solio | Coelorum sedens rutilo | Nunc Hermacorae precibus | Absolve nos sceleribus | Fortunate... |. Caetera desunt quia pagina sequens divulsa fuit. (Cod. membr. in folio parvo, pervetustus).3 La segnatura CLVI è quella data dal bibliotecario Gian Girolamo Coluta per l’inventario steso nel 1766, e incorporato l’anno seguente in quello del Vidiman, e ancora si legge nel margine superiore della carta di guardia anteriore del Guarneriano 484. Ne consegue che il Mazzatinti, avendo sott’occhio l’inventario Coluta-Vidiman, confuse due Salteri-Innari, uno dotato e l’altro no di Calendario, uno requisito dai francesi e l’altro rimasto a San Daniele5. Bisogna confessare, a parziale giustificazione, che i due manoscritti contropiatto e il primo f. di guardia biglietto sciolto con annotazione manoscritta a penna biro (sec. XX): «PSALTERIUM (in latino) Guarn. s.n.», segue la descrizione codicologica e un’osservazione sul cattivo stato di conservazione. * Testi. (f. Iab) Formulari della Feria V post Cineres (parzialmente conservato, f. Ia), della Feria VI post Cineres (integro, f. Iab) e del Sabbato post Cineres (parzialmente conservato, f. Ib). (inc.) //intres sub tectum meum. (expl.) Cum effunderis esurienti animam tuam et animam aff// (ff. 1r-75v) Salterio. (ff. 75v-83r) Cantica Veteris et Novi Testamenti, Te Deum, Symbolum Sancti Athanasii, Pater Noster, Credo in Deum. (ff. 83r-87r) Ufficio dei defunti. (ff. 87v-105v) Innario. si assomigliano molto: entrambi recano oltre ai salmi e agli inni, i cantici testamentari, il Quicumque vult atanasiano e l’Ufficio dei defunti. D’altro canto, si deve dire che la voce del Vidiman era sotto alcuni aspetti assai specifica, poiché del ms. CLVI precisava, oltre alle dimensioni («in folio parvo») e all’antichità («pervetustus»), la presenza dei versi per la celebrazione della memoria dei ss. Ermacora e Fortunato («hymni in festo ss. Hermagorae et Fortunati, sic; Eterne Deus solio…») con i quali termina bruscamente la sezione dell’Innario sandanielese, che rimane, dunque, incompleto. Il codice che prese la via di Parigi fu, invece, il ms. Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 10488, che non tramanda l’inno per i ss. aquileiesi e la cui origine trevigiana è stata più volte indicata e confermata6. La presenza di due Salteri nel fondo guarneriano era stata d’altronde testimoniata da Gian Giuseppe Liruti, che al n. 387 del suo Index organizzato per autori (ante 1749), registra: «Psalmi et hymni. Cod. n. 46. | Cod. n. 55, mancus»7. La Casarsa ha identificato il primo come il ms. Parigino, il secondo come il Guarneriano, «mancus» perché si interrompe, appunto, con l’inno dei ss. Ermacora e Fortunato. Per quanto riguarda gli inventari precedenti, di XV e XVI sec., ci si cala in una più densa oscurità delle fonti e la ricostruzione storica si fa insicura e ipotetica. Nell’elenco del 1461 che Guarnerio stesso fece redigere al notaio Niccolò Pittiani e che accompagnava il testamento con il quale l’umanista friulano donava la propria biblioteca alla Comunità sandanielese, è ricordato al n. 49 un «Psalmista in pergamenis»8. Identificato dalla Casarsa col ms. Parigino, la voce non pare a chi scrive sufficientemente dettagliata da poterle riferire con certezza uno dei due Salteri-Innari, sempre che non si tratti di un terzo Salterio, poi smarrito. Preso atto di quanto si può conoscere della storia recente dei due libri e dell’errore del Mazzatinti, il Salterio-Innario della Biblioteca Guarneriana sarà d’ora innanzi nominato secondo la corretta modalità stabilita dalla Casarsa, ovvero come ms. Guarneriano Col. CLVI. 3 giuSeppe MazzaTinTi, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, cit., p. 107. 4 L’inventario del Coluta si conserva, autografo, nei ff. 1-68, 108-167v del ms. non numerato della Biblioteca Guarneriana sotto il titolo di I. H. coLuTae Catalogus mss. codicum Guarnerianae Bibliothecae Communitatis Terrae Sancti Danielis, mentre la revisione del Vidiman si legge nella copia effettuata da Vincenzo Joppi nel ms. Biblioteca comunale di Udine, Fondo Joppi, 416, oppure, in originale, presso la biblioteca privata della famiglia Concina. Sugli inventari del Coluta e del Vidiman cfr. Laura caSarSa, Gli inventari antichi della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli, San Daniele del Friuli, Comune di San Daniele del Friuli, 1986 («Quaderni guarneriani», 9), pp. 9-10. 5 L’errore del Mazzatinti era già noto a Laura caSarSa, Gli inventari antichi, cit., p. 3, nota 3. 6 LeopoLD DeLiSLe, Inventaire des manuscrits latins conservés à la Bibliothèque Nationale sous les numéros 8823 – 18643, Paris, A. Durand et Pedone-Lauriel, 1863, p. 79; iDeM, Le cabinet des manuscrits de la Bibliothèque imperiale, II, Paris, Imprimerie Nationale, 1874, p. 414; vicTor LeroquaiS, Les Psautiers manuscrits latins des bibliothèques publiques de France, I, Macon, Protat Frères, 1940-1941, pp. LXXIX, 2, 99-100; Laura caSarSa, Mario D’angeLo, ceSare ScaLon, La libreria di Guarnerio d’Artegna, Udine, Casamassima, 1991, pp. 478-481. 7 Laura caSarSa, Gli inventari antichi, cit., p. 58. Sull’inventario del Liruti vedi Laura caSarSa, Gli inventari antichi, cit., pp. 7-9. 8 Laura caSarSa, Mario D’angeLo, ceSare ScaLon, La libreria di Guarnerio d’Artegna, cit., p. 488. 100 Le prime testimonianze documentarie di Salteri-Innari in Friuli dopo quello del marchese Everardo, vergato in Francia settentrionale nella seconda metà dell’VIII sec.9, sono assai tardive: nell’inventario dei libri delle sacrestie della basilica di Aquileia, datato 1358-1378, sono registrati agli item 33-36 quattro «psalteria […] cum ymnis», due «magna» e due «parva»10; mentre nella chiesa di S. Maria del Monte a Castelmonte nel 1368 era conservato «unum psalterium cum ymnis completum copertum corio albo» (item 10)11. È però ragionevole pensare che negli inventari friulani molti Salteri-Innari si nascondano sussunti nella più generica categoria dei Salteri: è il caso, ad esempio, degli item 29-34 dell’elenco dei codici della collegiata cividalese di S. Maria (1433), che descrivono sei libri liturgici, definiti Salteri, che corrispondono in realtà ad alcuni Salteri-Innari tutt’oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli12. I Salteri-Innari Cividalesi, che nella medesima città furono anche confezionati, hanno le segnature LXIX (XIV sec.), LXXI (XIII-XIV sec.), LXXII (XIII-XIV sec.), LXXIII (XIVXV sec.)13. A questi si aggiungono i Salteri-Innari, generalmente più antichi, che provengono dalle abbazie friulane, San Gallo di Moggio e Rosazzo, oggi conservati presso la Biblioteca Arcivescovile di Udine. 9 Sul Salterio-Innario di Everardo vedi anDreaS WiLMarT, Codices Reginenses Latini, Città del Vaticano, 1937, pp. 27-28; vicTor LeroquaiS, Les Psautiers manuscrits latins, cit., pp. LVII-LVIII; Laura pani, III.5 Psalterium duplum, in ceSare ScaLon, I libri dei patriarchi: un percorso nella cultura scritta del Friuli medievale, Udine, Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, 2014, pp. 51-53. Sulla tipologia libraria del Salterio-Innario vedi vicTor LeroquaiS, Les Psautiers manuscrits latins, cit., pp. VIII-IX; MicHeL HugLo, Les livres de chant liturgiques, Turnhout, Brepols, 1988, p. 116; giaMpaoLo MeLe, Psalterium-hymnarium Arborense. Il manoscritto P. XIII della cattedrale di Oristano (secolo XIV-XV). Studio codicologico, paleografico, testuale, storico, liturgico, gregoriano, trascrizioni, Roma, Torre d’Orfeo, 1994. 10 ceSare ScaLon, Produzione e fruizione del libro nel Basso Medioevo: il caso Friuli, Padova, Antenore, 1995, p. 191. 11 Ivi, p. 206. 12 Ivi, pp. 355-356; ceSare ScaLon, Laura pani, I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 1998, pp. 45-46. A mo’ d’esempio si consideri l’item 30, «Unum psalterium antiqum chopertum de rubeo quod incipit “Pietate sperantes mereamur” et successive “Beatus vir”, in fine vero ultime carte “vero nascentis ei da”», identificato da Scalon come il Salterio-Innario cividalese LXXI e descritto in ceSare ScaLon, Laura pani, I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, cit., pp. 251-252. Anche i manoscritti perduti o non rintracciati di questo gruppo di “Salteri” possono essere ricondotti con certezza alla tipologia del Salterio-Innario sulla base dell’explicit riportato nelle voci dell’inventario, come nel caso dell’item 32, uno «psalterium» che termina con le parole «Inclito Paraclito, cui laus et potestas per eterna secula, amen», l’ultimo verso dell’inno Caelestis urbs Jerusalem: cfr. Cantus Index. Catalogue of Chant Texts and Melodies (d’ora innanzi CI), ID a01590, versione on-line consultata il 10/10/19 all’indirizzo http://cantusindex.org/search?t=&cid=a01590&genre=All&ghisp=All. 13 Descritti in ceSare ScaLon, Laura pani, I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, cit., pp. 245-255. 101 Nell’elenco dei codici mosacensi del 1776 redatto da Giuseppe Bini figurano, oltre a un Innario (n. 17 = Udinese 80), tre Salteri-Innari (nn. 7, 8 e 14), identificati negli attuali Udinesi 33 (XIII sec.), 44 (XII sec.) e 45 (XIIIXIV sec.)14. Sono Salteri-Innari anche lo «Psalterium» (n. 11) e lo «Psalterium et breviarium» (n. 13), che Scalon individua negli Udinesi 72 (1268) e 77 (XIII sec.). Come è ben noto, la provenienza mosacense non implica una fattura mosacense: è probabile che i manoscritti liturgici del cenobio del Canal del Ferro siano stati confezionati nei monasteri dell’Austria e della Germania meridionale afferenti alla riforma di Hirsau (S. Emmeramo di Ratisbona, S. Paolo in Lavanttal, S. Biagio di Admont, Millstatt) e nella diocesi di Salisburgo, anch’essa sensibile al rinnovamento spirituale dell’XI sec.15 Per quanto riguarda la loro fattura, i Salteri-Innari Udinesi 72 e 77, ai quali può essere associato, per l’aspetto e i contenuti simili, l’Udinese 73 proveniente da Rosazzo, sono stati inizialmente collocati, sulla scorta della lista dei responsori per l’Ufficio dei defunti, a S. Emmeramo di Ratisbona16. I Notturni del Mattutino di questo Ufficio, distinti in due serie, una ‘maggiore’ e una ‘minore’, ciascuna comprendente nove letture e nove responsori, variano, infatti, a seconda della tradizione liturgica alla quale il manoscritto afferisce. Pertanto, l’identificazione delle serie dei responsori permette di stabilire parentele fra i codici in termini di vicinanza temporale, geografica o di affinità storica17. È emerso che le serie mosacensi coincidono con quelle di manoscritti 14 Vedi ceSare ScaLon, La Biblioteca arcivescovile di Udine, Padova, Antenore, 1979, pp. 12-33. Vedi in particolare le identificazioni proposte alle pp. 21-22. 15 Il legame col monachesimo riformato hirsaucense delle comunità friulane è provato sia dai Memoriali, dai Calendari e dagli Obituari di molti libri liturgici, che ricordano santi, monaci, fondazioni e avvenimenti relativi all’ambito della riforma (vedi ceSare ScaLon, La Biblioteca arcivescovile di Udine, cit., pp. 26-29; iDeM, Fonti e ricerche per la storia del monastero benedettino di S. Maria di Aquileia, Udine, 1984), sia, in modo ancora più evidente, dal ms. Oxford, Bodleian Library, Canoniciano lit. 325, conservato a Moggio fino al XVIII sec., che trasmette l’Ordo per circulum anni secundum Hirsiacenses, ovvero una copia del Liber ordinarius di Hirsau (in proposito: feLix Heinzer, Der Hirsauer “Liber Ordinarius”, in iDeM, Klosterreform und mittelalterliche Buchkultur im deutschen Südwesten, Leiden-Boston, Brill, 2008, p. 196). Sull’influenza – anche musicale – hirsaucense in Friuli rimando a ruDoLpH fLoTzinger, Choralhandschriften österreichischer Provenienz in der Bodleian Library/Oxford, Wien, Verlag der österreichischen Akademie der Wissenschaften, 1991; iDeM, Il monachesimo benedettino in Friuli in età patriarcale, a cura di Cesare Scalon, Udine, Forum, 2002; Hanna züHLke, Hirsau in Norditalien: Zur liturgischen Musikpraxis des Benediktinerklosters Moggio im zwölften und dreizehnten Jahrhundert, in International Musicological Society Study Group Cantus Planus, papers read at the 17th meeting, ed. by James Borders, Venezia, 2014 (in corso di pubblicazione). 16 Cfr. ceSare ScaLon, La Biblioteca arcivescovile di Udine, cit., pp. 28-30. Lo studio di riferimento sull’Ufficio dei morti è kunD oTToSen, The responsories and versicles of the Latin Office of the dead, Norderstedt, Books on Demand, 2007; vedi in particolare p. 129. 17 Grazie all’intuizione del Beyssac: cfr. kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., pp. 3-7. 102 provenienti da tutta l’area del monachesimo riformato hirsaucense e non denotano una località in particolare: oltre a S. Emmeramo, il gruppo comprende i centri di Weingarten, Zwiefalten, Mondsee ed Ettenheimmünster18. Caduta l’ipotesi di Ratisbona, Felix Heinzer ha sostenuto, sulla base del Calendario e delle note storiche, che gli Udinesi 72 e 77 furono preparati per San Gallo di Moggio o, addirittura, lì scritti, poiché il cenobio, benché sprovvisto di un edificio dedicato alla funzione di scriptorium, era probabilmente in grado di produrre in modo autonomo e con un minimo di organizzazione almeno una parte dei libri d’uso, e che l’Udinese 73 fu vergato, invece, a S. Paul in Lavanttal, prima di giungere a Rosazzo19. Per quanto riguarda l’Innario di Moggio, inteso non materialmente, ma quale scelta di inni da impiegare nella liturgia, esso rispecchia, secondo le ricerche di Heinzer, la struttura e le particolarità di quello hirsaucense. Spie di quella tradizione negli Innari del cenobio del Canal del Ferro sono le composizioni Hic est verus christicola, Christe fili Jesu e Alma lux siderum20. I Salteri-Innari cividalesi, generalmente più recenti, furono invece vergati, nella stessa città di Cividale, come si può evincere dai loro Calendari, che riportano regolarmente la data di dedicazione del duomo di S. Maria Assunta e le memorie dei personaggi notabili del patriarcato aquileiese del XIV sec. Due di questi, i mss. LXXI e LXXIII, rispettivamente datati da Laura Pani ai secoli XIII-XIV e XIV-XV, presentano l’Ufficio dei defunti21. Tale Ufficio, differente dal mosacense, corrisponde a quello di un altro codice cividalese, il Breviario oggi conservato alla Biblioteca arcivescovile di Udine con segnatura 1022. L’innologia cividalese è fortemente segnata in senso localistico. Nel Santorale si trova, accanto agli inni dei santi il cui culto è comune all’intero Patriarcato, come s. Elisabetta d’Ungheria (Novum sidus emicuit) e s. Eufemia (Paterni splendor luminis), il canto per s. Donato, patrono di Cividale, (Laetare felix civitas). Il terzo centro religioso da considerare è Aquileia. Dal suo Capitolo giunsero a Gorizia, al momento della frammentazione del patriarcato aquileiese in due arcidiocesi (1751), ventuno codici, oggi conservati presso la Biblioteca Pubblica del Seminario Teologico Centrale di Gorizia e qui 18 Vedi feLix Heinzer, Der Hirsauer “Liber Ordinarius”, cit., pp. 198-200; kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., p. 129. 19 feLix Heinzer, Der Hirsauer “Liber Ordinarius”, cit., p. 200. 20 feLix Heinzer, Liturgischer Hymnus und Monastische Reform – Zur Rekonstruktion Des Hirsauer Hymnars, in iDeM, Klosterreform und mittelalterliche Buchkultur, cit., pp. 239-242. 21 ceSare ScaLon, Laura pani, I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, cit., pp. 250-255. 22 Vedi ceSare ScaLon, La Biblioteca arcivescovile di Udine, cit., pp. 82-83. 103 impiegati a fini di confronto come esemplari della tradizione aquileiese stricto sensu. Gli Antifonari goriziani A (XIII sec.), B (XIII-XIV sec.), C (XIV sec.) e K (XIV sec.) recano un medesimo Ufficio dei morti, che è solo leggermente differente rispetto a quello cividalese23. La ricostruzione completa dell’Innario aquileiese è, invece, ancora di là da venire. Il versante aquileiese del progetto Corpus Antiphonalium Officii Ecclesiarum Centralis Europae ad oggi offre una completa disamina del solo Temporale24, mentre gli inni del Santorale richiedono ancora di essere individuati per mezzo di uno spoglio mirato negli Antifonari goriziani. Ad ogni modo, si possono fare alcune osservazioni. Innanzitutto, si nota l’assenza dell’inno per la domenica di settuagesima Cantemus cuncti25, mentre sono segnati due componimenti, Ibant magi (Epifania) e Accende lumen sensibus (Pentecoste), che sono rispettivamente estrapolati da A solis ortus cardine e Veni creator spiritus secondo la prassi della divisio26. Infine, è trascritto il componimento Aures ad nostras (prima domenica di Quaresima), sempre assente nei Mosacensi e nei Cividalesi. A prescindere dal non trascurabile deficit di informazioni sull’Innario aquileiese, il rapido sguardo sull’Officium defunctorum e sulla sezione innologica dei manoscritti mosacensi, cividalesi e aquileiesi rivela che essi formano tre famiglie omogenee, anche se fra loro chiaramente distinte. È pertanto ammissibile condurre una serie di confronti con l’Ufficio e l’Innario del Guarneriano Col. CLVI al fine di dare a quest’ultimo una collocazione storica e geografica. Più in dettaglio, per fornire un’ipotesi criticamente fondata circa l’origine del Guarneriano, restano da valutare: A) gli aspetti paleografici e il contenuto del foglio di guardia anteriore, che è un frammento di un Breviario più antico; B) gli aspetti paleografici del Salterio-Innario; C) le serie delle letture e dei responsori dei Notturni dell’Ufficio dei defunti; D) la composizione dell’Innario. A) Il foglio di guardia del ms. Col. CLVI è un frammento pergamenaceo, fortemente rifilato e rilegato nel codice ruotato di 180°. Il verso del foglio è 23 Descritti in raffaeLLa caMiLoT-oSWaLD, Die liturgischen Musikhandschriften aus dem mittelalterlichen Patriarchat Aquileia, Kassel, Barenreiter, 1997 («Monumenta monodica Medii Aevi», Subsidia 2), pp. 64-75, 89-92. 24 http://earlymusic.zti.hu/cao-ece/cao_titlepage.htm (consultato il 10/10/2019). 25 Dato, invece, nei Cividalesi e nei Mosacensi. Vedi in proposito giacoMo Bonifacio Baroffio, VII.10 Innario di Moggio, in I libri dei patriarchi, cit., pp. 186-187. 26 Entrambi si trovano, oltre che nei Goriziani A e B, nel Cividalese XLVII (XV sec.), nell’Antifonario di Lubiana (1491, Ljubljana, Nadškofijski archiv, Ms. 17, 18) e nel Breviario aquileiese a stampa del 1496 (ISTC n. ib01146550). Sono assenti, invece, nei Mosacensi e nei Cividalesi più antichi. 104 del tutto illeggibile perché l’inchiostro è svanito. L’impaginazione è su due colonne. La scrittura è una minuscola di transizione tedesca nella variante a ovali inclinati, databile alla fine del XII o all’inizio del XIII sec.27 I testi verbali delle parti musicali sono di modulo più piccolo e in scrittura minuscola carolina. Le litterae notabiliores e le indicazioni liturgiche sono rubricate in inchiostro rosso. I neumi musicali adiastematici sono chiaramente tedeschi (Tav. 1)28; si nota in particolare che 1. la virga è sempre eseguita in un unico tratto e presenta solo un accenno di grazia a sinistra (quid facia<t>)29; 2. il punctum è in forma di puntino e non di tratto; 3. il pes, in un solo tratto, forma un occhiello nella parte inferiore e ha scarso sviluppo verticale; 4. la clivis è eseguita in uno o due tratti (dextera, r. 3); 5. il cephalicus ha l’occhiello a destra (Tu autem, patrem). 105 nelle biblioteche friulane, come il Cividalese XCI e il Guarneriano 431. Per quanto concerne il contenuto, la guardia riporta i formulari della V e della VI Feria e del Sabbato post Cineres. L’orazione della VI Feria è una sezione del Tractatus in Matthaeum di s. Cromazio di Aquileia (26, 10-20)32. Differisce dal Guarneriano 4 e dal Cividalese XCI la posizione dell’antifona «In evangelio» Tu autem cum oraveris (CAO 5193), assegnata alla liturgia del venerdì e non del sabato33. B) Il Salterio-Innario è un codice di medie dimensioni, membranaceo e lievemente rifilato. La scrittura è una littera textualis molto incerta: lo scrivente impiega le lettere dell’alfabeto gotico senza tuttavia rispettarne le leggi grafiche (uso della s maiuscola in mezzo alla parola, mancata osservanza delle regole del Meyer, etc.). Il libro è databile al XIV sec. e può essere confrontato con alcuni esempi cividalesi, come i mss. 19, 81 e 96 del Museo Archeologico Nazionale34. È importante notare la suddivisione del lungo Ps. 118 Beati immaculati (ff. 60-65v) in gruppi di sedici versi, come richiesto a Terza, Sesta e Nona dal cursus secolare. Ciò implicitamente esclude una provenienza monastica del manoscritto, che, nel caso fosse stato approntato in o per uno dei cenobi friulani, avrebbe dovuto presentare al Ps. 118 sezioni di otto versi35. La parte musicalmente notata del Salterio del Col. CLVI è limitata ai ff. 57- TavoLa 1: Guarneriano Col. CLVI, f. I Sebbene sotto l’aspetto paleografico-musicale vi siano lievi ma innegabili differenze, gli aspetti macroscopici, come l’impaginazione su due colonne, la tipizzazione a ovali inclinati (Schrägoval) della scrittura latina e il tratteggio rivelatore di alcuni elementi della notazione musicale (si pensi al pes a goccia30), dimostrano la parentela tra il frammento e alcuni manoscritti coevi conservati 27 Ringrazio la professoressa Laura Pani dell’Università degli Studi di Udine per il suo competente giudizio circa la scrittura e la datazione sia della guardia sia del corpo del ms. Guarneriano Col. CLVI. 28 Cfr. Paléographie musicale. 3: Le réponse-graduel Justus ut palma reproduit en fac-similé d’après plus de deux cents antiphonaires manuscrits d’origines diverses du 9. au 17. siècle. 2., Berne, H. Lang et C.ie, 1974, pp. 1-21 (d’ora innanzi PM). 29 Difficile stabilire se la virga di dextera (r. 2) sia episemata o il trattino superiore sia un semplice grafismo. Se si osserva il Graduale di Moggio (Oxford, Bodleian Library, Canon. lit. 340; riproduzione del f. 9 in giacoMo Bonifacio Baroffio, VII.2 Breviario di Cividale, in I libri dei patriarchi, cit., p. 170), ad esempio, ci si accorgerà che tali aggiunte, presenti su tutte le virgae, non hanno valenza semiografica. 30 Cfr. kaSSiuS HaLLinger, Die Provenienz der Consuetudo Sigiberti. Ein Beitrag zur Osterfeierforschung, in Mediaevalia litteraria. Festschrift für Helmut de Boor zum 80. Geburtstag, hrsg. von Ursula Hennig, Herbert Kolb, München, C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1971, pp. 155-176. 31 Quanto alle differenze, si nota che il Guarneriano 4 e il Cividalese XCI presentano una più marcata differenza tra tratti pieni e filetti, trattini orizzontali nei punti di attacco e stacco, rispettivamente per le virgae e le clives, aste più lunghe e sinuose e occhielli più stretti per i pedes: si tratta di un’evidente tipizzazione che non riguarda solo i due manoscritti testé citati, ma anche altri codici provenienti dal Friuli e dall’area tedesca meridionale, come i Bodleiani Canon. lit. 297, 325 e 340 o il frammento di Graz (Universitätsbibliothek 1417). Per il Cividalese XCI vedi raffaeLLa caMiLoT-oSWaLD, Die liturgischen Musikhandschriften, cit., pp. 43-49; ceSare ScaLon, Laura pani, I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, cit., pp. 298-301, soprattutto la tavola 127; giacoMo Bonifacio Baroffio, VII.2 Breviario di Cividale, cit., pp. 170-171. Per il Guarneriano 4 vedi giacoMo Bonifacio Baroffio, Un importante libro liturgico: il breviario di San Daniele, in Antiqua habita consuetudine. Contributi per una storia della musica liturgica del Patriarcato di Aquileia. Atti del colloquio internazionale, Portogruaro 20 ottobre 2001, Trieste, Edizioni dell’Università di Trieste, 2004, pp. 43-74. Un esempio della scrittura musicale del ms. 4 in iDeM, I libri liturgici musicali, in I libri dei patriarchi, cit., p. 165. 32 Sulle letture nei Breviari friulani vedi giuSeppe pereSSoTTi, Lettura dei Padri della Chiesa nei breviari del medioevo. Analisi e confronto tra alcuni manoscritti di tradizione aquileiese e di quella romana, Udine, Scuola cattolica di cultura, 1990. 33 Un confronto con Cantus Index rivela che le fonti si dividono equamente: http://cantusindex. org/id/005193 (consultato il 10/10/2019). 34 Cfr. ceSare ScaLon, Laura pani, I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, cit., pp. 131-133, 273-276, 311-314. 35 Così come avviene, ad esempio, nell’Udinese 77 da Moggio (78-83v). 106 72v, ovvero dal Ps. 109 Dixit dominus al Ps. 143 Benedictus dominus. L’autonomia di questa sezione, che contiene i salmi dei Vespri domenicali e feriali e delle Ore minori, è resa evidente non soltanto dalla notazione musicale, ma anche dall’enfasi decorativa profusa nella prima littera notabilior del Ps. 109 (Dixit dominus). Oltre ai neumi delle antifone dei salmi, si intuiscono estese aggiunte musicali nei margini laterali, ormai, però, del tutto inintelligibili anche con l’ausilio della lampada di Wood. Si osserva che i testi verbali delle antifone sono soltanto di rado scritti dal copista principale, mentre spesso sono vergati da una seconda mano, che impiega un inchiostro più chiaro, lo stesso di una delle scritture neumatiche (la prima delle tre che presento di seguito). La varietà di mani induce a pensare che dietro al manoscritto non vi sia un progetto unitario, ma che esso sia piuttosto il risultato di una serie di interventi non coordinati fra loro. La prima mano musicale (Tavv. 2-3), la più frequente, tratteggia rapidamente i neumi nello spazio interstiziale tra il testo verbale dell’antifona e l’ultima riga del salmo precedente. Si nota che 1. la virga è eseguita in un tratto e forma un arco; 2. il pes è eseguito in due tratti: il primo disegna l’occhiello, il secondo un’asta tangente all’occhiello e inarcata a destra come la virga (exaudi); 3. il cephalicus è delineato in due tratti e ha la pancia a destra (clamavi); 4. il quilisma è formato da tre-quattro tratti ricurvi, i primi due brevi, il terzo più allungato (ymnum, de canticis). TavoLa 2: Guarneriano Col. CLVI, f. 72 TavoLa 3: Guarneriano Col. CLVI, f. 70 Una seconda scrittura (Tav. 4) è più vicina agli esempi del Guarneriano 4 e del Cividalese XCI: 1. la virga ha brevi tratti sporgenti nei punti di attacco e di stacco; 2. il pes è molto allungato in verticale e l’asta è sinuosa (domine); 3. la clivis è in due tratti, il secondo verticale, e può formare un occhiello nella parte inferiore (Adesto deus). La terza (Tav. 5) riguarda, infine, soltanto l’Incipit dell’Ufficio dei defunti. Si tratta di una scrittura eseguita con uno strumento dalla punta mozza; il taglio più largo rispetto ai precedenti determina un incremento del chiaroscuro e una maggiore rigidità del segno. Come si intuisce dalla somiglianza tra la 107 scrittura musicale e quella verbale nell’ultimo esempio, si può ipotizzare – almeno per questa parte del manoscritto – l’identità tra il notatore e il copista. TavoLa 4: Guarneriano Col. CLVI, f. 61 TavoLa 5: Guarneriano Col. CLVI, f. 83 Le particolarità che distinguono le singole scritture non minano un’interpretazione globale dei neumi del Guarneriano quali esempi della tipologia tedesca (come dimostra chiaramente la forma condivisa del pes occhiellato), analoga alla notazione adiastematica degli altri esemplari friulani. C) L’Ufficio dei defunti del Guarneriano Col. CLVI è fra i pochi completi conservati nelle biblioteche friulane e presenta due serie di letture per il Mattutino. La prima, che identifica l’Ufficio cosiddetto ‘minore’, è classificata da Knud Ottosen nel ‘gruppo 9’, al quale appartengono anche gli Udinesi 72 e 77 da Moggio e i Cividalesi LXXI e LXXIII36. La seconda serie, quella dell’Ufficio maggiore, è invece corrispondente al gruppo 1f, che reca in ultima posizione un passo del Secondo Libro dei Maccabei (12, 42b-46, Vir fortissimus Iudas) ed è testimoniata a Milano, Metz, Langres e negli Uffici cluniacensi37. Per quanto concerne le serie responsoriali, Ottosen, avendo esaminato un vastissimo corpus di manoscritti liturgici, ha abbinato ciascun canto a un numero identificativo, rendendo così possibile un rapido confronto tra le serie del Guarneriano (ignoto al musicologo danese) e quelle degli altri principali centri friulani38: 36 kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., pp. 85-87. La serie è: Ne des alienis, Melius est nomen, Memento creatoris tui, Vivent mortui in domine, Haec dicit dominus, Multi de his qui dormunt, Sicut in Adam omnes, Ecce misterium vobis, Ipsi enim fratres. 37 Ivi, pp. 63-64. La serie è: Parce mihi domine, Taedet animam meam, Manus tuae domine fecerunt, Responde mihi quantas, Homo natus de muliere, Quis mihi hoc tribuat, Spiritus meus attenuabitur, Pelli meae consumptis, Vir fortissimus Iudas. Ricordo, inoltre, che l’Ufficio romano afferisce al gruppo 1d: Ivi, p. 9. 38 Nelle tabelle il segno – indica identità rispetto al Guarneriano. Riporto qui, ma soltanto per 108 109 Ufficio minore Guarn. CLVI Udinese 232 Moggio Cividale Aquileia 14 - - - - 72 - - - - 24 - - - 83 32 - - 46 - 68 57 57 32 57 57 68 68 138 138 40 28 82 68 68 28 40 83 - - 38 - - - - Ufficio maggiore Guarn. CLVI Udinese 232 Moggio Cividale Aquileia 70 - 79 85 85 44 - 27 79 79 47 83 76 76 76 79 76 44 83 83 83 79 47 4 4 76 1 58 58 1 58 18 138 47 47 27 47 18 - - 18 38 38 38 38 quest’ultimo, anche le serie complete dei versetti (tra parentesi) in vista di futuri ulteriori confronti: minore 14(177), 72 (188), 24 (34), 32 (12), 68 (53), 57 (59), 40 (31), 28 (8), 38 (55); maggiore 70 (…), 44 (…), 47 (242), 79 (125), 83 (147/149), 76 (222), 58 (138), 27 (72), 18 (184). Per “Moggio” intendo gli Udinesi 72 (ff. 198v-209) e 77 (ff. 139-141v), per “Cividale” i Cividalesi LXXI (ff. 109r-113r) e LXXIII (ff. 112r-113v) e per “Aquileia” il Breviario a stampa del 1481 (ISTC n. ib01146500) per la serie minore e i Goriziani A (ff. 288v-292v), B (ff. 241-244), C (ff. 104-124) e K (ff. 159v-168v) per quella maggiore. A scanso di equivoci, rammento che la serie dell’Ufficio romano è 14, 72, 24, 46, 32, 57, 68, 28, 38: kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., pp. 7-10. Nessuna delle due serie del Guarneriano trova perfetta corrispondenza negli elenchi di Ottosen. L’insieme degli Uffici minori che esordiscono con la terna 14, 72, 24, per di più, è vastissimo. Il campo si restringe significativamente, però, considerando la seconda terna, 32, 68, 57, che si trova nel cosiddetto Pontificale romano-germanico, una compilazione dell’Ordo antiquus romanus (Ordo L) localizzata inizialmente a Magonza nel X sec. e poi diffusasi in varie zone dell’Europa centrale e meridionale39. Non c’è identità, tuttavia, con le letture del Pontificale, che afferiscono al gruppo 640. Ha un identico ordine delle letture, invece, il gruppo di testimoni che alla terna di responsori 14, 72, 24 fa seguire quella 32, 57, 6841: l’inversione del quinto e del sesto responsorio rispetto alla serie del Pontificale connota una serie, la ‘minore di Bamberg’, che si diffuse nell’arco alpino orientale e in area tedesca, e alla quale appartengono i mss. Udinesi 72, 73 e 232. L’ultima terna dell’Udinese 232 (28, 40, 38), a differenza dei mss. 72 e 73, presenta gli stessi responsori, sebbene in ordine diverso, dell’ultima terna nel Guarneriano (40, 28, 38). Nonostante le due inversioni, rispettivamente tra il quinto e il sesto, e il settimo e l’ottavo responsorio, è dunque l’Udinese 232 il testimone con l’Ufficio più simile a quello del Guarneriano. La classe di appartenenza dell’Udinese, un Libro d’Ore in latino del tardo XV sec., di piccole dimensioni, scritto in semicancelleresca tedesca, posseduto da un non meglio determinato «Erhard» e con estese annotazioni in tedesco, comprende codici liturgici provenienti da centri importanti ma molto distanti fra di loro: da S. Emmeramo e Kremsmünster in Baviera e Alta Austria, a Linköping in Svezia, a Bressanone in Südtirol42. La serie dei responsori dell’Ufficio maggiore conduce ancora una volta in direzione della Bassa Germania. La serie che il musicologo sussume sotto il titolo di ‘Type 70’, sulla base del solo responsorio iniziale, è diffusa su tutto l’arco alpino orientale e nel relativo entroterra di cultura e lingua tedesca, dalla Reichenau a Zagabria, da Praga a Bressanone. A questa famiglia afferiscono anche l’Udinese 232 e un gruppo di codici in lingua tedesca 39 Ivi, pp. 130-133, 253-263. Sulla composizione del Pontificale romano-germanico, il prof. Baroffio, che ringrazio, mi segnala due recenti studi: Henry parkeS, The making of liturgy in the Ottonian church: books, music and ritual in Mainz, 950 - 1050, Cambridge, Cambridge University Press, 2015; iDeM, Henry II, liturgical patronage and the birth of the ‘Romano-German Pontifical’, in «Early Medieval Europe», 28, 1, 2020, pp. 104-141. 40 kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., pp. 81-82. 41 Ivi, pp. 123-129, 263-269. 42 Descritto in ceSare ScaLon, La Biblioteca arcivescovile di Udine, cit., pp. 228. Vedi anche kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., pp. 264, n. 179. Sulla tipologia del Libro d’Ore rimando a giacoMo Bonifacio Baroffio, Testo e musica nei libri d’Ore, in «Rivista Italiana di Musicologia», 46, 2011, pp. 18-77. 110 del tardo XV sec. e del XVI sec.43 Uno di questi, il Ross. 102, è un Libro d’Ore di piccole dimensioni, miniato e vergato in semicancelleresca, del tutto comparabile, quindi, per struttura e aspetto all’Udinese 23244. Non è chiaro, tuttavia, se l’apparente parentela del Guarneriano con i codicetti germanici sia da intendere come un fenomeno di riemersione carsica di un medesimo, specifico e ben strutturato Ufficio, oppure come una somiglianza accidentale all’interno di una vasta famiglia che condivide a grandi linee tradizioni ed usi liturgici e devozionali simili. D) L’Innario del Col. CLVI è mutilo45, poiché si interrompe all’inizio della seconda strofa dell’inno ai ss. Ermacora e Fortunato Aeterne deus solio: «Eterne deus solio | celorum sedens rutilo | nunc Hermacore precibus | absolve nos sceleribus. | Fortunatum//». Una mano seriore, di XVII sec., riscrisse la prima strofa e l’incipit della seconda («Fortunatum») nel margine inferiore della pagina, probabilmente per salvare la memoria dell’inno dal degrado materiale della pagina. L’intervento rivela che già allora s’erano perdute le successive strofe del componimento. Ad ogni modo, la presenza dell’inno, vergato dalla mano del copista principale in perfetta continuità col testo che precede, corrobora l’ipotesi circa la provenienza del codice dai territori sottoposti all’influenza patriarcale. Purtroppo, l’Innario manca di gran parte del Santorale, la sezione di norma più utile per cercare le tracce dei culti locali. A differenza della tradizione mosacense46, il Guarneriano reca gli inni: (33) Agnoscat omne saeculum47, (38) Christe sanctorum decus48, (40) Sollemnis dies advenit49, 111 (41) De patre verbum50, (42) Salvete flores martyrum51, (45) A patre unigenitus52, (50) Martyris ecce dies53. A questi si aggiungono gli inni per la terza domenica di Quaresima: (60) Aures ad nostras54, (61) Summi largitor premii55, (62) Iam Christe sol56, (63) Jesus salvator57. Richiamo, inoltre, alcuni altri inni assenti nei Mosacensi e caratterizzati da una più vasta diffusione, come l’ambrosiano (46) Deus creator omnium, (47) Doctor egregie Paule e (55) Iam bone pastor. Non vi sono dunque molti punti di contatto tra i mss. mosacensi più antichi, gli Udinesi 72 e 77, e il Guarneriano: i primi, oltre a recare nel Santorale gli inni di derivazione hirsaucense Hic est verus christicola, Christe fili Jesu e Alma lux siderum, assenti nel secondo, non trasmettono l’inno ai martiri aquileiesi58. Per quanto riguarda gli Innari cividalesi LXXI e LXXIII, notiamo notevoli discrepanze con il Guarneriano. Salta agli occhi l’assenza nei Cividalesi degli inni domenicali (1) Primo dierum omnium, (2) Aeterne rerum conditor, (3) Nolite surgens vigilemus, (4) Ecce iam noctis, di tutti gli inni dei giorni feriali e di molti altri inni del Temporale, che nel Cividalese LXXIII, il più completo, consta di 25 testi, contro l’ottantina del Guarneriano. Diverse, dunque, paiono le scelte alla base delle due raccolte innografiche. Inoltre, l’inno Christe sanctorum decus è assegnato, nei Cividalesi, alla festa di s. Michele, nel Guarneriano, invece, caso unico a me noto, a quella di s. Stefano59. Nel Temporale cividalese compaiono, infine, canti non riportati nel Guarneriano, come Laetabundus exsultet fidelis, In pace in idipsum e Ad preces nostras. Il confronto con l’Innario aquileiese, come avvertito in precedenza, è limitato al Temporale. L’unico tratto significativo emerso al momento dall’accostamento tra il Guarneriano e i Goriziani è la presenza in entrambi dell’inno Aures ad nostras per la terza domenica di Quaresima. Per il resto, 43 Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Ross. 102, Paris, Bibliothèque nationale de France, rés. B. 24135, Bruxelles, Bibliothèque royale, II 3835. La datazione esclude un rapporto diretto col Guarneriano. Vedi anche kunD oTToSen, The responsories and versicles, cit., pp. 180-181. 50 Cfr. AH LI 161; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., pp. 734-735 44 Non è stato possibile trovare sino ad ora più precise informazioni paleografiche e codicologiche circa gli altri manoscritti della famiglia. 52 Cfr. LH, p. 43; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 729. 45 L’Innario è trascritto in Appendice. 46 Rappresentata dagli Udinesi 72, 77 e 80. 47 Cfr. Antiphonale romanum. 2: Liber hymnarius cum invitatoriis & aliquibus responsoriis, Solesmis, Abbaye Saint-Pierre, 1983, p. 360 (d’ora innanzi LH); Analecta hymnica Medii Aevi, Leipzig, Fuess Verlag (R. Reisland), 1886-1915, p. 71 (d’ora innanzi AH); Bruno STäBLein, Hymnen, 1.: die mittelalterlichen Hymnenmelodien des Abendlandes, kaSSeL-BaSeL, BärenreiTer, 1956 («Monumenta monodica Medii Aevi», 1), rist. kaSSeL, BärenreiTer, 1995, p. 730; CI 8257. 48 Cfr. AH L 146; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., pp. 733-734; giaMpaoLo MeLe, Psalteriumhymnarium Arborense, cit., p. 222. 49 Cfr. AH LI 160; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 750; CI 8392. 51 Cfr. AH L 28; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 749; CI 8389. 53 Cfr. AH LI 134; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 743. 54 Cfr. AH LI 61; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 731; CI 8269. 55 Cfr. AH LI 60; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 751. 56 Cfr. AH LI 59; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 738; CI 8398.1. 57 Cfr. AH LI 45; Bruno STäBLein, Hymnen, cit., p. 740; CI 830179. 58 Ad eccezione dell’Innario palinsesto di Moggio, ovvero Udine, Biblioteca arcivescovile, 80, f. 52r. Vedi ceSare ScaLon, La Biblioteca arcivescovile di Udine, cit., p. 151. 59 Rimando in proposito ai risultati forniti dalla ricerca nei principali repertori on-line: http:// cantusindex.org/search?t=christe+sanctorum+decus&cid=&genre=All&ghisp=All;http://earlymusic. zti.hu/cao-ece/Search.asp (consultati il 10/10/2019). 112 113 mancano nel Guarneriano – come nei Cividalesi e nei Mosacensi – gli hymni divisi degli Innari aquileiesi Ibant magi e Accende lumen sensibus, mentre è riportato Cantemus cuncti melodum, un componimento sempre escluso dalle raccolte aquileiesi. I confronti fin qui svolti hanno provato l’appartenenza del Guarneriano al generale ambito liturgico e culturale che legava l’arco alpino orientale in età medievale60 e la completa estraneità all’ambito monastico61, ma anche la distinzione rispetto alle contemporanee tradizioni secolari cividalese e aquileiese62. Possiamo però ragionevolmente affermare che il Guarneriano Col. CLVI è stato confezionato nel XIV sec. dopo lo smembramento di un Breviario autoctono più antico e divenuto inservibile perché danneggiato o obsoleto63. Quanto alla provenienza, si può altresì avanzare l’ipotesi che il Salterio-Innario sia stato vergato in un centro minore o periferico del Patriarcato, i cui usi sono oggi meno noti o furono allora scarsamente formalizzati. Pare comunque inutile, anzi controproducente, al momento sbilanciarsi e indicare una specifica località in assenza di elementi concreti e probanti. Nuovi confronti e più raffinate analisi illumineranno meglio in futuro la vicenda di questo codice misconosciuto, oppure lo relegheranno nuovamente alla penombra di una produzione libraria minore e anonima. *** Nella figura di Giusto Fontanini è ancora difficile distinguere quanto attinge dalla conoscenza universalis del Seicento – comprensiva di tutti i caratteri stereotipi che la storia della cultura le attribuisce impiegando molte e notissime formule linguistiche, concetti e oggetti desunti dalla letteratura e dalla storia dell’arte (meraviglia, curiosità, svogliatura, Wunderkammer, etc.) – e quanto viene, invece, dal nuovo corso dell’erudizione primo settecentesca, che se non è ancora entrata spiritualmente in una disposizione enciclopedica, laica e illuministica, muove però i propri passi con l’ausilio di una raffinata critica storica64. Spero mi sia perdonato, allora, avvicinare al ritratto di Fontanini il profilo offertoci da un giovane Ludovico Antonio Muratori, acerrimo avversario del friulano, degli uomini del suo ambiente: apud nos in eruditorum ordinem praecipue coniiciuntur quicumque in antiquitate perscrutanda versantur eamque in reliquarum scientiarum ornamentum traducunt.65 Muratori sottolinea la necessità di un dialogo tra l’erudizione e le altre discipline, non soltanto quelle afferenti alle humanae litterae, ma anche quelle scientifiche e giuridiche, ovvero il bisogno di riversare – o come scrive Muratori «tradurre» – forme e contenuti della disciplina antiquaria, che ha un respiro ampio, un abbraccio inclusivo, una profonda dimensione storica, nelle questioni particolari delle scienze attuali. È evidente che tanto Muratori quanto Fontanini, anche se diedero prova di seguire metodologie diversamente rigorose e ottennero risultati di differente caratura, perseguirono i loro studi non soltanto per pura curiosità intellettuale, ma anche spinti dagli accidenti della storia e dalle necessità che erano loro imposte dal ruolo sociale e dalle scelte politiche. La querelle tra Muratori e Fontanini sulla legittimità del possesso da parte della Santa Sede dei territori di Comacchio, poi vinta dalla diplomazia pontificia, è l’esempio di come l’erudizione dei due fosse vòlta a una polemica informata, che affondava le radici nell’interpretazione e nel giudizio sulle fonti storiche del diritto antico e medievale. Opportuno, allora, da parte della storiografia contemporanea rivedere le testimonianze di questi uomini alla luce delle loro azioni e delle 60 Sulla limitatezza di tale categoria vedi giacoMo Bonifacio Baroffio, Un importante libro liturgico, cit., p. 44. 61 Si evince dalla suddivisione interna al Ps. 118; l’Ufficio dei defunti e l’Innario confermano, in aggiunta, l’assenza di rilevanti influenze della liturgia e della cultura monastica friulana. 62 Sulle differenze tra i cursus secolari di Aquileia e Cividale vedi raffaeLLa caMiLoT-oSWaLD, Die liturgischen Musikhandschriften, cit., pp. XXXII-LV. 63 Viene alla mente un momento preciso della storia friulana, quando alla metà del XIV sec. – ovvero al tempo della copiatura del Guarneriano – la chiesa udinese guidata dal patriarca Bertrando di Saint-Geniès si uniformò al rito romano. Allora, come dimostrano alcuni documenti pubblicati da ceSare ScaLon, Produzione e fruizione, cit., pp. 176-180, ci fu una corsa alla sostituzione dei vecchi libri liturgici patriarchini con nuovi codici di rito romano. È possibile che in quel frangente molti esemplari antichi – forse anche il Breviario dal quale proviene il frammento guarneriano – siano stati smembrati e i loro fogli di buona pergamena reimpiegati. 64 Sulla vita e l’opera del Fontanini vedi Dario BuSoLini, Fontanini, Giusto, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana-Treccani, 1997; ugo rozzo, Giusto Fontanini tra Roma e il Friuli, in Studi in memoria di Giovanni Maria Del Basso, a cura di Roberto Navarrini, Udine, Forum, 2000, pp. 227-243; Lorenzo Di LenarDo, Fontanini, Giusto, in Dizionario biografico dei friulani, versione on-line consultata il 10/10/2019 all’indirizzo http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/ fontanini-giusto/; Mons. Giusto Fontanini (S. Daniele 1666 - Roma 1736), atti della giornata di studi, San Daniele del Friuli 14 ottobre 2017, a cura di Elisa Nervi, San Daniele del Friuli, Il Comune, 2019. 65 anTonio LuDovico MuraTori, Opere, XII, Arezzo, per Michele Bellotti, 1771, p. 13. Vedi anche ezio raiMonDi, I sentieri del lettore. 2: Dal Seicento all’Ottocento, a cura di Andrea Battistini, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 133-150. 114 loro concrete aspirazioni, e tentare di ricondurre anche le preferenze del loro gusto estetico e delle loro ricerche culturali a un principio di realtà66. Ciò detto, sembra però assai questionabile la solidità degli studi liturgico-musicali del Fontanini. Presto avvertita l’eterogeneità del fondo liturgico della biblioteca dell’arcivescovo, è parso necessario, prima di affrontare la raccolta libraria, rivolgere uno sguardo alla bibliografia dell’erudito, in cerca di opere che rivelassero una curiosità per il tema musicale oppure una riflessione sollecitata dal ruolo di alto prelato. In quest’ultimo senso sembrava indicativa una diffusa notizia circa un progetto di riforma del Breviario67, scaturita probabilmente da due titoli della produzione fontaniniana, che si sono in seguito rivelati assolutamente non significativi. La Difesa de’ libri liturgici della Chiesa romana, attribuitagli da Molaro e da Marcon68, un’apologia appassionata del lavoro del cardinale Giuseppe Maria Tomasi, autore, lui sì, di proposte di revisione del Messale e di altri libri liturgici, è da assegnarsi in realtà a Giuseppe Maria del Pezzo, teatino napoletano. Benché, infatti, la prima edizione della Difesa sia adespota69, il libello è stato pubblicato anche negli Opera omnia del Tomasi sotto il nome del vero autore70. Altrettanto deludente lo spoglio delle Memorie curate dal nipote Domenico: le Osservazioni fatte da Monsignor Fontanini intorno a questa ristampa, ovvero alla ristampa del Breviario, non sono altro che l’asciutto parere di un amministratore ad un consesso di pari circa il vantaggio economico di un’intrapresa commerciale71. 115 Può meravigliare, ma dell’inclinazione fontaniniana per la musica la testimonianza bibliografica più concreta non riguarda il canto liturgico bensì quello operistico. Fu Apostolo Zeno a curare l’edizione del massimo lavoro dell’arcivescovo, la Biblioteca dell’eloquenza italiana, apponendo fitte note e commenti, solo in parte lusinghieri, fors’anche approfittando della licenza concessagli dalla sopraggiunta morte dell’autore nel 173672. Particolarmente aspre risultano le postille dello Zeno alle cc. 488-490, dove commenta il seguente passo del Fontanini: […] e non potrebbe disdire che se ne rinnovassero le Rappresentazioni [degli oratori e del teatro religioso], massimamente fra le comunanze innocenti e religiose, invece di quelle delle opere, o Drami in musica, ricolmi per lo più di pernicioso costume e di mal esempio, nonché di altri spropositi.73 La replica dello Zeno è dapprima una difesa: Io poi qui non intendo di entrare, comecché in tal causa potessi esser mosso da qualche privato interesse nella difesa dei Drammi musicali, tanto condannati da Monsignore, il quale son certo che, dopo la sua andata a Roma immerso tutto e occupato in que’ gravi studi che tanto nome gli han dato, non avrà degnati pur di un’occhiata i Drammi di questi ultimi anni, ove il pernicioso costume e il mal esempio 66 Preziosa in questo senso appare l’introduzione di Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini: introduzione storica e catalogo, tesi di laurea magistrale, Udine, Università degli Studi di Udine, 2017. 67 Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini, cit., pp. 26, 39-40, 60. 68 Maria TereSa MoLaro, Giusto Fontanini e la sua biblioteca. Opere e scritti di Giusto Fontanini, in La biblioteca di Giusto Fontanini, San Daniele del Friuli, Comune di San Daniele del Friuli, 1993 («Quaderni guarneriani», 13), p. 68; Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini, cit., pp. 39-40. 69 La difesa de’ libri liturgici della Chiesa romana, in Palermo, appresso gli eredi di Girolamo Rosello, 1723. 70 JoSepHi Mariae ToMaSii Opera omnia, VII, Romæ, ex typographia Palladis, excudebant Nicolaus et Marcus Palearini, 1754, cc. 387-485. Vedi anche gaeTano MeLzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, I, Milano, Luigi di Giacomo Pirola, 1848, p. 298. 71 Memorie della vita di Monsignor Giusto Fontanini… scritte dall’abate Domenico Fontanini, in Venezia, appresso Pietro Valvasense, 1755, cc. 71-72: «Primo se debba. Secondo in qual forma, suppongo, se in quarto o in ottavo. Non ho veduti Breviari stampati in Roma se non quello del Cardinal Quignonio. Paolo Manuzio fu chiamato da Venezia a Roma da Paolo IV per istampare il Concilio di Trento e il Catechismo in foglio, in quarto e in ottavo. Sisto V stabilì una Accademia Vaticana per le stampe ed è descritta da Pietro Morino, che fu uno di essa. In principio del Pontificato passato si trattò questa materia e il Cardinal Noris fu contrario, perché vi volea di fondo almeno centomilla scudi. Il Messale di Propaganda si vende sei Scudi e da Venezia si ha per due. Così de’ Breviari. Ci vuole uno e più sopraintendenti capaci e periti dell’ arte, e non ci sono. Per ciò si ricorse al Plantino d’Anversa e al Bleau, la cui Stamperia arse nel 1680, il quale metteva fuori i fogli dopo corretti, pagando chi vi trovava errori. Ci vuole correttori peritissimi per gli accenti, punti, ecc. […] I caratteri di Roma sono di madri vecchie e che hanno del Gotico nel tempo presente. […] Ci vogliono più sorte di caratteri e non una o due, come si lusinga qualcheduno e bisogna pensare a rinovargli dopo adoperati due o tre volte. Circa poi la forma, si dovrebbe stampare in foglio, in quarto e in ottavo. Bisognerebbe che fosse un Breviario a uso di tutto il Mondo. Ciò non riuscirà, perché di fuori si avrà per meno, dove i lavori costano poco…». 72 Sull’intervento dello Zeno vedi SiMone voLpaTo, Fili rotti, tracce scomparse. La Biblioteca dell’eloquenza italiana di Giusto Fontanini, in Mons. Giusto Fontanini, cit., pp. 69-102, specialmente pp. 88-99. 73 giuSTo fonTanini, Biblioteca dell’eloquenza italiana… con le annotazioni del Signor Apostolo Zeno, II, Venezia, presso Giambatista Pasquali, 1753, cc. 488-489. 116 117 non sarebbe stato a lui facile di ravvisare […].74 Il veneziano cita, poi, qualche stralcio sconnesso di un «Dramma per musica, scritto tutto di mano sua [del Fontanini], intitolato, il Bellerofonte»75 del quale si dice in possesso, ma che oggi è perduto. Dagli excerpta del dramma emergono le caratteristiche del teatro per musica dell’epoca, codificato rigidamente in quartine liriche destinate alle arie con da capo e in versi liberi dialogici o riflessivi per i recitativi. Lo stile segue gli stereotipi del genere, come, ad esempio, l’accorgimento dell’ultimo verso tronco, che permette al compositore una comoda cadenza maschile: Spuntò l’Alba in Oriente, | Ma non vidi il mio bel Sol. | è la Terra, e ’l Ciel ridente, | Ed io provo affanno, e duol.76 In riferimento ai versi del Fontanini, Zeno implacabilmente commenta e deride: E pur questi è ’l giudice inappellabile che siede a scranna e come pro tribunali per decidere da dittatore sul merito di tutti i maestri della Poetica e di tutti i Poemi e di tutti i Poeti, riformando a suo talento il Parnaso e cacciandone senza distinzione e riserva tutti i moderni.77 La censura è nettissima, ma troppo facile: il Bellerofonte era sicuramente un divertissement privato, che non recava in sé alcuna pretesa artistica. Inoltre, la contraddizione con le affermazioni senili del Fontanini circa la volgarità del teatro d’opera non paiono così eclatanti, perché evidentemente di maniera, nonché in linea con il ruolo sociale e morale dell’arcivescovo all’apice della sua carriera ecclesiastica78. È dunque opportuno, adesso, volgersi alla ricognizione della biblioteca del Fontanini, che giunse a San Daniele nel 1737 in lascito testamentario e che è ancora oggi con ogni cura conservata presso la Biblioteca Guarneriana79. Lì, forse, si troveranno tracce più importanti e consistenti delle curiosità musicali del prelato friulano. Salta per primo agli occhi un esemplare prezioso dei De praestantia musicae veteris libri tres di Giovanni Battista Doni (1594-1647)80. L’eccezionalità del libro si svela dalle note autografe che lo accompagnano. Nella carta di guardia anteriore, infatti, la mano dello stesso Doni scrive «Al Sig. Pietro della Valle | L’Autore», mentre nel frontespizio una mano secentesca, forse quella del musicologo, etnografo e viaggiatore Pietro della Valle (1586-1652), annota: «Donum Auctoris postremum paulo ante sui obitum»81. La relazione di amicizia e collaborazione tra il Doni e il Della Valle è stata affrontata dalla musicologia più e meno recente82, ma qui non ha pertinenza alcuna dato lo scopo di delineare la musicalità del Fontanini, il quale nell’esemplare del De praestantia non lascia una sola annotazione. Ciò che attirò l’arcivescovo non furono, infatti, i contenuti del testo del Doni, bensì la rarità dell’esemplare autografato. Restano da considerare i codici liturgici musicali. In questa sede non ci si soffermerà sui Messali (mss. 269, 270, 271) che pure, come di norma, presentano alcune intonazioni musicali (Praefationes, Passio, Exsultet, Pater noster, etc.). Tra i Breviari (mss. 185, 186, 187, 191, 192, 202) la maggior parte non è notata e verrà, pertanto, esclusa. Dalla selezione dei Messali, dei Breviari e delle altre tipologie librarie saranno qui presentati soltanto i Guarneriani 188 (Kyriale-Messale, XV sec.), 195 (Processionale, XV sec.), 202 (Breviario, XV sec.). Il ms. 188 è un Messale con Calendario (ff. 1-6v) e Kyriale (ff. 7–76v) di XV sec., di piccole dimensioni, membranaceo, completo83. Il Calendario 79 Sulla vicenda, per niente lineare e semplice, della donazione fontaniniana rimando alla sintesi di ELISA NERVI, Monsignor Giusto Fontanini e la “Pubblica Libreria”, in Mons. Giusto Fontanini cit., pp. 11-39. 80 ioHanniS BapTiSTae Doni De praestantia musicae veteris libri tres, Florentiae, typis Amatoris Massae Foroliviensis, 1647. L’esemplare sandanielese ha la collocazione II.D.40. Sul Doni vedi cLauDe v. paLiSca, paTrizio BarBieri, Doni, Giovanni Battista, in The new Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. by Stanley Sadie, VII, London, Macmillan, 2001, pp. 468-471. 74 Ivi, c. 489. 75 Ivi, c. 490. 76 Ibidem. 77 Ibidem. 78 All’argomento accennano Lorenzo Bianconi, THoMaS WaLker, Production, Consumption and Political Function of Seventeenth-Century Opera, in «Early Music History», 4, 1984, p. 246, nota 98. 81 Per il Della Valle vedi cLauDia Micocci, Della Valle, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., XXXVII, 1989; roBerT r. HoLzer, Della Valle, Pietro, in The new Grove Dictionary, cit., VII, pp. 174-176. 82 angeLo SoLerTi, Lettere inedite sulla musica di Pietro della Valle a G.B. Doni ed una Veglia drammaticamusicale del medesimo, in «Rivista musicale italiana», XII, 2, 1905, pp. 271-338; agoSTino ziino, Pietro Della Valle e la “musica erudita”: nuovi documenti, Koln, Bohlau, 1967. 83 XV sec.; membr.; completo (forse precedentemente rilegato insieme al registro dei battesimi, poiché nel marg. inf. di f. 188 una mano di XV sec. annota «Incipit liber baptissimi ad honorem beate 118 denota una provenienza umbra, come dimostrano nel Calendario le memorie di s. Costanzo vescovo e martire (f. 1, 29 gennaio) e della traslazione di s. Ercolano (f. 2, 3 marzo), patroni di Perugia, e l’aggiunta seriore della festa di s. Crispolto (f. 3, 13 maggio), patrono di Bettona (Perugia). Il Calendario, tuttavia, occupa un fascicolo indipendente di sei fogli ed è vergato da una mano differente da quella del Kyriale e da quella del Messale: è possibile, dunque, che sia stato aggiunto in un secondo momento e che la sua origine geografica non collimi con quella del resto del codice. Il Kyriale, che manca delle antifone introduttive Asperges me e Vidi aquam, è organizzato in feste maggiori e minori, doppie e semidoppie, giorni feriali e messe votive84. Dal confronto con la ricostruzione del Kyriale ‘italiano’ di XIV-XVI sec. proposta da Marco Gozzi85, si possono facilmente ricondurre i canti dell’Ordinario del ms. 188 a quella medesima forma standard, senza virginis mariae a.b.»), rifilato in corrispondenza dei tagli di testa, davanti e di piede, caduto un f. tra ff. 103 e 104; ff. IV, 188, IV; dimensioni 180 x 130 = (ff. 1-65v) 20[110]50 x 10[85]35, (ff. 66-188) 15[130]35 x 20[85]25; foliazione moderna a lapis; 16, 211, 3-612, 7-88, 9-1712; richiami orizzontali in ima pagina, in inchiostro bruno o rosso, nell’interno o nel centro di pagina (ff. 17, 29, 41, 53, 65, 73, 81, 93, 104, 116, 128, 140, 152, 164, 176); rispetto della regola di Gregory, inizio fascicolo lato pelo; ff. 1-6v specchio di pagina al vivo, ff. 7-65v, 150v-160v, 181v-188 cinque tetragrammi per pagina, raramente sei, in inchiostro rosso, notazione quadrata e testo sottoscritto, ff. 66-150, 160v-181v righe di scrittura in numero variabile, tra 18 e 24, rigatura a colore. Littera textualis di mani diverse: A) ff. 1-6v, B) ff. 7-65v, C) ff. 66-188. Disegni in inchiostro nero di cappelli di moda maschile (XVI- XVII sec., ff. 7, 29, 30, 42). Litterae notabiliores in inchiostro rosso ornate a penna con motivi fitomorfi e sporadiche testine femminili. Legatura settecentesca in pelle con impressioni dorate, sul dorso si legge «MISSALE | M. S.», al di sotto tassello con la segnatura attuale «188», contropiatto anteriore etichetta della B. G. con l’attuale segnatura, f. I nota di possesso di Giusto Fontanini, datata 1730 e precedenti segnature: 1. «CXCVIII» (inchiostro bruno chiaro, XVIII sec.), 2. «68» (inchiostro bruno chiaro, XVIII sec.), 3. «Col. VII» (lapis, XX sec.), 4. «A» (inchiostro bruno chiaro, XVIII sec.), 5. attuale segnatura (lapis, XX sec.). Vedi anche Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini, cit., pp. 106-107. 84 Feste maggiori doppie: (ff. 7-11) Kyrie II Fons bonitatis (Graduale novum, Regensburg, ConBrio Verlagsgesellschaft - Libreria Editrice Vaticana, 2011, p. 428; d’ora innanzi GN), Gloria, Sanctus II (GN pp. 429-430), Agnus IX (GN p. 451), Ite missa est; feste minori doppie: (ff. 11-15) K Cunctipotens Genitor Deus, G, S, A IV (GN pp. 434-436), IME; feste maggiori semidoppie: (ff. 15- 18v) K VI Rex Genitor (GN p. 440), G II (GN p. 428), S, A XVII (GN pp. 471-472), IME; feste minori semidoppie: (ff. 18v-23) K XIV Jesu Redemptor (GN p. 463), G XI (GN pp. 455-456), S VIII (GN p. 447), A XII (GN p. 560), IME; domeniche: (ff. 23-25v) K A Orbis factor, G XI (GN pp. 455-456), G XIV, S, A, IME XI (GN pp. 457-458), Benedicamus Domino; feste semplici solenni: (ff. 25v-29) K XII Pater cuncta (GN p. 458), G XIV (GN p. 463), S XII (GN p. 460), A XIV (GN pp. 465-466), IME; feste semplici: (ff. 29v-33) K XV (GN pp. 466, 469), G, S, A, IME XV (GN pp. 466-468); giorni feriali: (ff. 33-34v) K A (GN p. 473), S, A XVIII (GN pp. 473474), IME, BD; messe per i defunti: (ff. 34v-35v) K B Ad missam pro defunctis, S, A XVIII, Requiescant in pace; feste mariane: (ff. 35v-39v) K, G, S IX (GN pp. 448-451), A XVII, IME. 85 Marco gozzi, Due codici francescani del tardo Quattrocento in Biblioteca Quiriniana, in Musica e liturgie nel medioevo bresciano (secoli XI-XV), Atti dell’incontro nazionale di studio (Brescia, 3-4 aprile 2008), a cura di Maria Teresa Rosa Barezzani, Rodobaldo Tibaldi, Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 2009, pp. 541-567; vedi specialmente la tabella di pp. 558-559. 119 ravvisare alcuna singolare deviazione. Seguono il Kyriale la Messa della Beata Vergine Maria (ff. 39–43), alcune sequenze (ff. 43-56v)86, le quattro antifone mariane (ff. 57-61), le melodie per il Benedicamus domino (ff. 61–63) e i toni per il Gloria patri (ff. 63-65v). La prima parte è dunque molto eterogenea, perché attinge da un Graduale (Kyriale e sequenze) e da un Antifonario (antifone mariane e altre melodie), senza manifestare un orientamento preciso in senso liturgico o devozionale. La fascicolazione costringe inoltre ad escludere che le due parti – quella tratta dal Graduale e quella dall’Antifonario – siano state giustapposte posteriormente allo smembramento o alla mancata rilegatura di due distinti codici vergati da uno stesso copista, poiché la prima delle antifone (f. 50) non cade in corrispondenza di un nuovo fascicolo87. Un breve excursus merita la Messa votiva della Beata Vergine Maria, che può essere impiegata quale termine di confronto tra diverse tradizioni liturgiche. Tanto la struttura in sé, quanto il dettaglio del versetto dell’Introito sono, infatti, geograficamente e culturalmente connotati: come ha felicemente intuito Rodobaldo Tibaldi, il versetto Virgo dei genitrix è comune all’area d’influenza romana fino al Concilio di Trento, mentre Sentiant omnes afferisce alla tradizione germanica e, conseguentemente, aquileiese88. Nel ms. 188 troviamo: Int. Salve sancta parens ℣ Virgo dei genitrix, ℣ Gloria patri, Gr. Benedicta et venerabilis ℣ Virgo dei genitrix, All. ℣ Post partum virgo, All. ℣ Virga Jesse floruit, Off. Ave Maria gratia plena, Comm. Beata viscera Mariae. Si osserva, innanzitutto, che non soltanto il versetto dell’Introito non corrisponde a quello aquileiese, ma che non c’è neppure identità di struttura con una delle tre Messe de Beata Virgine del Messale aquileiese a stampa del 151789. Se, invece, ci si rivolge alla tradizione romana e francescana, già chiamata in causa dal versetto Virgo dei genitrix, si riscontra una evidente coincidenza con i formulari della messa mariana celebrata tra Pentecoste ed Avvento così come stampata da Ulrich Han in quel Messale del 1476 che si può immaginare sia circa coevo del 86 (ff. 43-45) Victime pascalis [sic!] laudes (GN pp. 167-168), (ff. 45-50) Surgit Christe cum tropheo (AH LIV, pp. 230, 364-365), (ff. 50-53v) Sancti spiritus adsit nobis (CI n. ah53070, AH LIII, pp. 70, 119-122), (ff. 54-56v) Jesse virgam humidavit (CI n. ah54220, AH LIV, pp. 220, 349-350). 87 Le interruzioni della fascicolazione e i relativi richiami prossimi al f. 50 cadono infatti ai ff. 41 e 53. 88 Ringrazio il prof. Tibaldi dell’Università degli studi di Pavia per aver condiviso con me le sue ricerche. 89 Missale Aquileyensis Ecclesie (1517), edizione anastatica, introduzione e appendice a cura di Giuseppe Peressotti, presentazione di Manlio Sodi, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticanaUdine, Istituto Pio Paschini, 2007 («Monumenta, studia, instrumenta liturgica», 48), pp. 385-387. 120 Guarneriano90. Il Messale del ms. 188 con ogni probabilità ha avuto una genesi distinta da quella della prima parte, come si può dedurre da una pluralità di elementi91. In primis le mani che sottoscrivono i testi verbali e musicali del Messale non coincidono con quelle comparse in precedenza; inoltre, tra le due sezioni cambia l’impostazione della pagina, la rigatura e il sistema dei richiami (in inchiostro bruno nel margine inferiore destro per il Kyriale, in inchiostro rosso o bruno al centro del margine inferiore per il Messale). Conciosiacosachè, la combinazione delle due parti fu operata anticamente: lo dimostra la presenza del richiamo già nel nuovo stile, in inchiostro rosso e al centro della pagina, sull’ultimo foglio della prima sezione (f. 65v), che lega, coerentemente, col Messale. Il Guarneriano 195 è un codice composito formato da tre distinte unità librarie, l’ultima delle quali è un Processionale di XV sec., con antifone, versetti e responsori accompagnati da notazione quadrata su tetragramma92. La 90 Missale romanum, Romae, Udalricus Gallus alias Han, 1476 (ISTC n. im00689000), cc. 264vb265a. Tale formulario si conserva inalterato nel tridentino Missale romanum, Romae, apud haer. Bartolomeo Faletti & Giovanni Varisco, 1570 (USTC n. 819996), cc. 623b-624a. 91 (ff. 66–87) Canone della Messa; (ff. 76v–77v) Missa in honore Sanctae Trinitatis; (ff. 77v–78v) Missa de Sancto Spiritu; (ff. 78v–79v) Missa in honore Sanctae Crucis; (ff. 79v–81r) In commemoratione Beatae Mariae Virginis in adventum usque ad nativitatem domini; (ff. 81r–82r) a nativitate domini usque ad purificationem; (ff. 82– 83v) a purificatione usque ad pascam; (ff. 83v–84) a pasca usque ad pentecosten; (f. 84) pentecoste usque ad adventum; (ff. 84v-87) In agenda mortuorum; (f. 87) Missa in die III, VII vel XXX depositionis defuncti. 92 XV sec.; membr.; composito: (ff. 1-84v) SepTiMi fLorenTiS TerTuLLiani Apologeticus. Adversus gentes = Ip(arte); (ff. 85-176v) gregorii papae Libri dialogorum = IIp; (ff. 177-216v) Processionale = IIIp; rifilato, dorso danneggiato; ff. III, 216, III; dimensioni 152 x 115 = (ff. 1-84v) 25[95]32 x 20[65]30, (ff.85-176v) 20[100]32 x 15[75]25, (ff. 177-216v) 15[105]32 x 20[75]20; foliazione antica in inchiostro in due serie (ff. 1-84v + 85-176v); foliazione moderna a lapis occasionale nei ff. 1-176v, regolare nei ff. 177-216v (= 1-40v); fascicoli Ip: 1-810, 94, IIp: 114, 2-612, 710, 88, IIIp: 1-312, 44; Ip: richiami verticali ai ff. 10, 20, 30, 40, 50, 60, 70, 80, IIp: richiami orizzontali ai ff. 15,19, 39, 50, 62, 73, 88, IIIp: assenti; I, II, IIIpp: inizio lato carne, regola di Gregory rispettata; Ip: 17 righe di scrittura tracciate a colore con pettine, IIp: 30 rr. a mina di piombo con forellini guida, IIIp: 17rr. o 5 tetragrammi tracciati in inchiostro rosso. Le tre mani visibili corrispondono alle singole unità codicologiche: Ip A) corsiva umanistica di XV sec., IIp B) semigotica di XIV-XV sec., IIIp C) littera textualis di XV sec. Quanto alla sola IIIp: litterae notabiliores filigranate in inchiostro rosso e blu; rubricato. Legatura settecentesca, piatti in cartone ricoperti di pelle, impressioni in oro su piatti e dorso, quest’ultimo reca la scritta dorata: «TerTvLLiani | apvLvg eT aLia | MS.», al di sotto etichetta con l’attuale segnatura della Biblioteca Civica Guarneriana, contropiatto anteriore con le precedenti segnature: 1. «ccv» (inchiostro bruno, XVIII sec.), 2. «Col. VII» (lapis, XX sec.), 3. etichetta con la segnatura attuale; il f. di guardia anteriore reca la nota di possesso di G. Fontanini datata 1730 e l’indice dei contenuti: «1. Tertulliani Apologeticus (sic!) | 2. Sancti Gregorii Magni Libri | Dialogorum | 3. Processionale»; al f. 176 nota di possesso che recita: «Recepi hunc librum in pignum per VI denarii a domino Iacobo Pallota archipresbitero di Foca, Troianensis diocesis» (Marcon identifica il presbitero nominato con Iacobo de Lombardis, arciprete della diocesi di Troia eletto nel 1438: Jacopo Marcon, I codici medievali 121 rilegatura settecentesca in cartone ricoperto di pelle è coeva alla costituzione del composito, forse da attribuirsi allo stesso Fontanini93. Il progetto che sottendeva l’unione dei tre libri non pare orientato tanto dal loro contenuto (benché le prime due opere, l’Apologeticum di Tertulliano e i Dialogi di Gregorio Magno possano essere sussunte in un comprensivo concetto di letteratura patristica), quanto piuttosto dal comune formato, che permetteva, per mezzo di una contenuta rifilatura, di ottenere un risultato esteticamente omogeneo. Nel Processionale troviamo i riti della festa della Purificazione della Beata Vergine Maria (Candelora, 2 febbraio, ff. 1-6v), della Domenica delle Palme (ff. 6v-14v) e delle esequie funebri (ff. 14v-40v)94. Data la formazione spontanea e locale di libri liturgici di piccole dimensioni che contenevano orazioni e canti per le processioni, ma considerata soprattutto la necessità di stabilire una corrispondenza univoca fra rito e geografia urbana o rurale95, i Processionali spesso riportano indicazione delle chiese della località per la quale sono stati confezionati96. Purtroppo, non è il caso del ms. 195, di Giusto Fontanini, cit., p. 119. È ovvio che la nota si riferisce soltanto alla seconda unità codicologica, i Dialogi gregoriani). 93 Le singole unità sono citate separatamente nell’inventario autografo conservato nei ff. 162173v di Udine, Archivio Capitolare, Fondo Fontanini, Varia mss, tomo VIII (cfr. ceSare ScaLon, Tra Roma, Venezia e il Friuli. I codici di Giusto Fontanini in un inventario autografo dell’arcivescovo di Ancira, in Mons. Giusto Fontanini, cit., p. 152). È utile qui ricordare anche il seguente passo del testamento fontaniniano: «Avendo io raddunato nel mio soggiorno in Roma qualche numero di libri rari, e scelti per mio uso e fatti rilegare decentemente per maggiore conservazione, con farne ancora talvolta unire più d’uno di poca mole, facendovi poi in principio di ciascun Tomo il Catalogo di quanti vi stanno uniti insieme, e in pochi di essi similmente il mio Nome che dovrà scriversi in principio degli altri, dove non fosse posto, avendovi io stesso pure scritte Note in fine di molti, con farvi mettere a tal fine Carta bianca, e molti di questi libri io ebbi in dono da Amici, e dagl’Autori stessi di varie parti» (leggo da Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini, cit., p. 53). 94 Candelora: Ant. Ave gratia plena, Adorna thalamum tuum, Responsum accepit Simeon, Obtulerunt pro eo ℣ Postquam autem impleti; Domenica delle Palme (egrediantur in mediate ecclesiam): Ant. Cum appropinquaret dominum, Cum audisset populus, Ante sex dies, Occurrunt turbae, Cum angelis et pueris, Turba multa, (in reversione processionis ad ecclesiam) Hy. Gloria, laus et honor, (intrat processio ecclesiam) Resp. Ingrediente domino ℣ Cumque audissent; Esequie: (fratribus stantibus ad modum rotae in finis, sacerdos … a capite feretri) Resp. Subvenite sancti dei ℣ Suscipiat te Christus ℣ Requiem aeternam, Resp. Ne recorderis ℣ Dirige domine ℣ Requiem aeternam, Resp. Libera me domine de morte ℣ Tremens factus ℣ Dies illa dies irae ℣ Requiem aeternam, Ant. In paradisum deducant, Chorus angelorum, (Cum autem perveniunt ad tumulum) Ant. Aperite mihi portas, (In persona eius) Ant. Ingrediar in locum, Haec requies mea, De terra formasti, Non intres in iudicium, Omnis spiritus laudet dominum, Ego sum resurrectio, (postquam sepultus fuit) Resp. Memento mei deus ℣ De profundis clamavi ℣ Requiem aeternam. 95 È evidente, infatti, che la Processione è un’azione rituale calata in uno specifico contesto urbano o rurale (quale passaggio da una chiesa a un’altra o ritorno alla medesima, attraverso determinati luoghi, etc.), e che pertanto non può essere rigidamente e verticisticamente trasposta da una località all’altra. 96 Si consideri il seguente caso novarese tratto da giacoMo Bonifacio Baroffio, Canti processionali della Chiesa novarese, Roma, PIMS, 1990 («Munuscula liturgica» 1), p. 11: «(c. 1r) In nomine domini. 122 dove le rubriche sono generiche, benché individuino lo spazio claustrale di un monastero, di un convento o di una collegiata («… candelis benedictis distributis tam clericis quam laycis qui sunt in ecclesia…», «exeant de ecclesia bini et bini…», «Egressis autem omnibus fratribus ecclesiam figant se statim omnes in claustro cantando…», «moveant se sicut prius illi qui precedunt usque ad aliud angulum cantando tertium responsum…»). Quanto alla provenienza del codice, se si considera la serie delle antifone per Candelora (Ave gratia plena, Adorna thalamum tuum, Responsum accepit Simeon, Obtulerunt pro eo ℣ Postquam autem impleti), ci si accorgerà facilmente che non collima con altra tradizione97 se non con quella romana e francescana confluita nel Processionale edito a stampa da Giunta nel 1513 e, poi, nel Rituale del 161698. Il Breviario Guarneriano 202 è un codice di XV sec., di medie dimensioni, membranaceo e completo99. La sua origine va probabilmente collocata nella sede papale: il Calendario riporta le memorie di martiri, santi, papi e dedicazioni di chiese di Roma come quella di «Johannis evangelistae ante portam latinam» (6 maggio, f. 3) e San Pietro in Vincoli (1 agosto, f. 4v). Denota l’ambito romano anche la memoria «Piginenii presbiteri et martyris» 123 (18 febbraio, f. 1v): secondo l’erudito secentesco Pietro Martire Felini, il corpo del prete Piginenius sarebbe stato a lungo conservato presso la chiesa romana di S. Salvatore della Corte, l’attuale S. Maria della Luce100. Il Breviario presenta, dopo il Calendario, l’Ufficio del Corpus Domini e alcune orazioni per i giorni feriali (ff. 7-10), il Salterio (ff. 11-103v), i cantici (ff. 103v113), le litanie (ff. 113-111), il Capitolario (ff. 118-169v) e un vasto Innario (ff. 170-205v)101. Quest’ultimo riporta regolarmente le melodie associate ai componimenti poetici in notazione quadrata nera102. Dato lo scarso sviluppo del Santorale, l’Innario non presenta un’evidente connotazione geografica; spigolando, si segnalano, tuttavia, alcuni inni, individuabili nelle edizioni moderne dell’Innario umbro-romano (olim Severiniano), che hanno avuto diffusione soltanto o soprattutto in Italia centrale e centro-meridionale103. Il ms. 202 conserva numerosi ed interessanti segni di lettura, chiose interlineari e marginalia di mani diverse (XV-XVI sec. ineunte), che denotano l’impiego del codice per l’istruzione linguistica elementare, ma anche una basilare attività emendativa del testo. Tra le chiose italiane si veda quella a «pigritantes», dove una mano di XV sec. annota «pieni di pigritia» (f. 168)104. Esemplari gli interventi emendativi sull’ultima strofa dell’inno Telluris ingens conditor: «Iussis tuis obtemperet [s.l. obediat] nullis [add. s.l. p.c. et] approximet bonis repleri gaudeat et mortis [add. s.l. actum] nesciat» (f. 168v)105. Compare, infine, anche un’indicazione metrica, «Versus spondaicus» (f. 190v), in riferimento alla strofa Accende lumen sensibus. Amen. Incipit cantus letaniarum et processionum tocius anni. In pasca eundo ad sanctum Iohannem. <hymnus> Salve festa dies. (c. 3r) Feria secunda eundo ad sanctum Gaudentium ant. Ego sum alpha. (c. 4v) extra portam civitatis. Feria .iii. eundo ad sanctum Laurentium…». 97 Si vedano le serie di antifone riportate in eMiDio papinuTTi, Il processionale di Cividale, s. l., Edizioni di “Int Furlane”, 1972, p. 142; giacoMo Bonifacio Baroffio, Un inedito processionale polironiano: Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana, 270, in Lingua mea calamus scribae. Mélanges offerts à Madame Marie-Noël Colette, ed. Daniel Saulnier, Katarina Livljanic, Christelle Cazaux-Kowalski, Solesmes, Abbaye SaintPierre, 2009 («Etudes Grégoriennes», 36), p. 37; iDeM, canti processionali della Chiesa novarese, cit., p. 9; aMeLia De SaLvaTore, Canti processionali monastici a Parma, Roma, PIMS, 1994 («Munuscula liturgica», 3), p. 13. 98 Processionale Romanum cum officio mortuorum et missa pro defunctis in cantu, Venetiis, per Luc. Antonium de Giunta, 1513 (Edit16 CNCE 11927), cc. 5v-8; Rituale Romanum. - Editio princeps (1614), edizione anastatica, introduzione e appendice a cura di Manlio Sodi, Juan Javier Flores Arcas, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2004, («Monumenta liturgica Concilii tridentini», 5), pp. 179-180. 99 XV sec.; membr.; completo; ff. III, 209, II; dimensioni 285 x 200 = 15[200]70 x 35[65(10)65]25 (ff. 1-10); 285 x 200 = 15[195]75 x 20[145]35 (ff. 11-212); foliazione antica al centro del margine superiore di difficile lettura e talvolta imprecisa; fascicoli 1-910 10111110, 125, 13-2010, 2114; richiami ai ff. 20v, 30v, 50v, 60v, 70v, 80v, 90v, 101v, 111v, 177v, 197v, 207v; inizio fascicolo lato carne; rigatura a colore, righe di scrittura variabili da 33 (ff. 7-10v), a 22 (ff. 11-212v). Littera textualis. Iniziale grande decorata in inchiostro rosso e azzurro (f. 11), litterae notabiliores filigranate e decorate in rosso e azzurro, rubricato. Legatura di sec. XVIII con piatti di cartone ricoperti in cuoio; sul dorso impressione dorata «BREVIARIUM | M.S.», nella parte inferiore del dorso tre tasselli con le precedenti e la attuale segnatura: 1. «… LV<II>; 2. «202»; 3. «I… D… 5». Vedi anche Jacopo Marcon, I codici medievali di Giusto Fontanini, cit., pp. 133-134. 100 pieTro MarTire feLini, Trattato nuovo delle cose maravigliose dell’alma città di Roma, Roma, Bartolomeo Zannetti, ad instanza di Giovanni Antonio Franzini ed eredi di Girolamo Franzini, 1610, c. 51. 101 Descritto in Appendice. In calce all’Innario sono aggiunti ulteriori capitoli (ff. 205v-206v). 102 Da un punto di vista semiografico, la notazione del ms. 202 è piuttosto elementare: predomina la virga sul punctum, si evita la ligatura obliqua e le liquescenze sono ovunque soppresse. 103 AH XIVa; uLySSe cHevaLier, Poésie liturgique du Moyen Age. Rythme et histoire. Hymnaires italiens, Paris, Picard, 1893 («Bibliothèque liturgique», 1). Sull’Innario umbro-romano rimando alla sintesi di cLauDio LeonarDi, Poesia e agiografia. L’innario umbro-romano, in Poesía Latina Medieval (siglos V-XV), Actas del IV congreso del “Internationales Mittellateinerkomitee”, Santiago de Compostela, 12-15 de Septiembre de 2002, a cura di Manuel Cecilio Díaz Díaz, José Manuel Díaz de Bustamante, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2005 («Millennio medievale», 55), pp. 1135-1195. Tra gli inni centroitaliani Christus est vita (in s. Stephani), Devota mente socii (in s. Laurentii), Jesu salvator saeculi (in dedicatione s. Salvatoris), Martyr dei egregie intende (in s. Sebastiani), Nunc tibi virgo (nativitas Mariae), Quis possit amplo famine e Ad laudem sanctae Mariae (in s. Mariae Virginis). 104 Mancano tra le chiose volgari che sono riuscito a decifrare marcatori linguistici che rivelino la provenienza geografica del postillatore. 105 Dove add. = addidit, s.l. = super lineam, p.c. = post correctionem. Vedi anche le emendazioni di f. 180. 124 La descrizione dei tre codici – provenienti dall’area centro-italiana, relativamente recenti, in buone condizioni materiali – è sufficiente a rendere chiaro quale sia l’elemento unificatore della raccolta fontaniniana, ovvero l’interesse e il gusto per il libro antico, decorato e ben conservato106. Se allargassimo lo sguardo ai libri liturgici non qui descritti, come, ad esempio, lo splendido Messale parmense Guarneriano 269, miniato e figurato riccamente, troveremmo ulteriore conferma del forte orientamento estetico che ha guidato il collezionismo fontaniniano. Tutto ciò per niente a detrimento della figura dell’arcivescovo sandanielese. Dobbiamo, anzi, ricordare in ultima battuta come nella prima metà del Settecento i tempi non fossero ancora maturi (e non lo sarebbero stati fino alla rinascita solesmense) per il fiorire di un interesse scientifico nei confronti del canto gregoriano e della sua trasmissione manoscritta, motivo per cui addebitare, anche implicitamente, al Fontanini una mancanza di sensibilità per il dato musicale intrinseco ai suoi codici sarebbe un palese anacronismo. 106 Non si vuol dire che non possano annidarsi tra le pieghe di questa raccolta formatasi per onnivora curiosità e passione antiquaria preziosità del contenuto liturgico-musicale che sono passate sin qui inosservate, ma che un occhio più attento potrà rilevare e sapientemente discutere. 125 Appendice107 Innario del Guarneriano Col. CLVI (ff. 87v-104v) 87v Primo dierum omnium D, ab octava epyphanie usque ad quadragesimam et ab octubris usque ad adventum, N 87v Eterne rerum conditor III 88r Nolite surgens vigilemus N 88r Ecce iam noctis L 88r Iam lucis orto I 88v Nunc sancte nobis III 88v Rector potens tenax VI 88v Rerum deus tenax IX 88v Lucis creator optime V 88v Te lucis ante C 89r Somno refectis artibus F2, N 89r Splendor paterne glorie L 89r Immense celi conditor V 89v Consors paterni luminis F3, N 89v Ales diei nuncius L 89v Telluris ingens conditor V 89v Rerum creator optime F4, N 107 Legenda: D = Domenica; F = Feria; N = Notturno; L = Lodi; I = Prima; III = Terza; VI = Sesta; IX = Nona; V = Vespri; C = Compieta. Le indicazioni estese ricalcano fedelmente quanto riportato nei manoscritti. Si segnala inoltre che sono state rispettate le peculiarità ortografiche dei copisti. 126 127 90r Nox et tenebre L 94r Sollempnis dies advenit De s. Iohanne 90r Celi deo sanctissime V 94v De patre verbum L 90r Nox at[t]ra rerum F5, N 94v Salvete flores martyrum In natale innocentum 90v Lux ecce surgit L 95r Hostis Herodes impie In epyphania Domini 90v Magne deus potentie V 95r Iesus refulsit omnium N 90v Tu trinitatis unitas F6, N 95v A patre unigenitus L 91r Eterna celi gloria L 95v Deus creator omnium Ymnus iste dividitur a octava epyphanie usque ad quadragesimam 91r Plasmator hominis deus V 96r Doctor egregie Paule In conversione s. Pauli 91r Summe deus clementie S, N 96r Quod chorus vatum In purificatione s. Marie 91v Aurora iam sparsit L 96r Fit porta Christi L 91v O lux beata trinitas S, V 96v Martyris ecce dies Agathe In natale s. Agathe 91v Veni redemptor gentium 96v Cantemus cuncti melodum 92r Conditor alme syderum C In septuagesima in vesperis sabbato cum alleluia concluditur 97r Dies absoluti pretereunt 92r Verbum supernum prodiens N Iste ymnus dicitur a septuagesima usque ad quadragesimam 97r Iam bone pastor In cathedra s. Petri 92r Vox clara ecce L 97v Ave maris stella In nativitate s. Marie 92v Agnoscat omne seculum In natale domini, N 97v Ex more docti D, in quadragesima 92v Christe redemptor omnium L 98r Christe qui lux C 93r A solis ortus V 98r Audi benigne conditor V [?] 93r Corde natus ex parentis C 98r Clarum decus ieiunii L 93v Agnoscat. V. Presepe In privatis diebus dividitur iste hymnus, N 98v Sic ter quaternis D2 in quadragesima, V 93v Christe redemptor. V. Tu lumen. V. Memento L 98v Aures ad nostras D3 in quadragesima 93v Stephano primo martiri Nativitas s. Stephani, N 99r Summi largitor premii N 93v Christe sanctorum decus angelorum L 99r Iam Christe sol L 94r Sancte dei preciose V 99r Iesus salvator seculi C 128 129 Innario del Guarneriano 202 (ff. 167-206v) 99v Iesus quadragenarie dicator D4 in quadragesima 99v Vexilla regis prodeunt D de passione Domini 100r Amore sensus erige C 167r Primo dierum omnium D, N 100r Pange lingua gloriosi N 167v Rerum deus tenax IX 100v Lustris sex qui L 167v Immense celi conditor V 100v Auctor salutis unicus D in passione, N 167v Consors paterni luminis F3 100v Rex Christe factor L 168r Ales diei nunctius L 101r Vita sanctorum deus angelorum D in albis 168r Telluris ingens conditor V 168v Rerum creator optime F4, N 101r Ad cenam agni providi C 169r Nox et tenebre L 101v Rex sempiterne domine N 169r Celi deus sanctissime V 101v Aurora lucis rutilat L 169v Nox atra rerum F5, N 102r Salve crux sancta In inventione s. crucis. Cum divisione 169v Lux ecce surgit L 170r Magne deus potentie V 170r Tu trinitatis unitas F6, N 170v Eterna celi gloria L 170v Plasmator hominis deus V 102v Festum nunc celebre In ascensione Domini, V. Cum divisione 102v Iesus nostra redemptio C 103r Eterne rex altissime N 103r Veni creator spiritus In Pentecosten, V 103r Iam Christe astra N 171r Summe deus clementie F7, N 103v Beata nobis gaudia L 171r Aurora iam spargit L 104r O lux beata trinitas De trinitate, V 171v O lux beata V 104r Tu trinitatis unitas N 171v Veni redemptor gentium In natale Domini, V 104r Laus trinitati resonet L 172r Christe redemptor omnium N 104r Ut queant laxis De s. Iohanne 172v A solis ortu 104v Aurea luce et decore In natale apostolorum Petri et Pauli 173r Christus est vita In s. Stephani 104v Eterne deus solio In s. Hermacore et Fortunato 173v Imbuit primus homines Hymnus divisus 130 131 174r Stephano primo martyri In s. Stephano, V 185r Vexilla regis prodeunt V 174v Iste est electus In s. Johannis evangeliste 185v Magno salutis gaudio D, in psalmis 175r Te rogamus te precamur 186r Ramos virentes sumpserat Dividatur 175r Sollempnis dies advenit V 185v Rex sempiterne domine D, in Pascha, V 175v Salvete flores martyrum Innocentorum 186v Ad cenam agni 176r Jesus refulsit omnium In epiphania, V 186v Hic est dies verus N 176v Illuminans altissimus 187r Aurora lucis rutilat L 177r Martyr dei egregie intende S. Sebastiani 188r Tibi Christe splendor In s. Angeli 177v Agnetis festum martyris In s. Agnes virginis 188r N 178r Quod chorus vatum In purificatione s. Marie Christe sanctorum decus angelorum 188v Illuminavit hunc diem L 178v Quem terra pontus L 189r Festum nunc celebre In ascentione [sic!] Domini, V 179r Martiris ecce dies In s. Agate virginis 189v Optatus votis omnium N 179v Iam lucis splendor In quadragesima, L 190r Eterne rex altissime [rasura] 179v Aures ad nostras V 190v Veni creator spiritus In pentecoste, V 180r Ex more docti N 191r Beata nobis gaudia L 180v Iam Christe sol iustitie L 191r Iam Christe astra N [mano recente] 181r Audi benigne conditor V 191v Ut queant lapsis [sic!] In s. Johannis Baptisti, V 181r Dei fide qua vivimus III 192r Non fuit vastis Divisus 181v Qua Christus hora VI 192v Almi prophete proienies V 181v Christe sanctorum decus atque In s. Benedicti 193r Aurea luce et decore In apostolorum Petri 183r Deus qui mundum In annuntiatione s. Marie 193v Felix per omnes festum In s. Petri 183v Inquiens virgo nuntium Hymnus divisus 194v Devota mente socii In s. Laurenti 183v Ave maris stella 195r Martyris Christi canimus L 184r Pange lingua gloriosi D, de passione 195v Quis possit amplo In s. Marie virginis 184v Crux fidelis Divisus 196v Ad laudem sancte Marie L 132 133 196v Assertor equi non ope Decollatio s. Johannis Baptistae 197r Nunc tibi virgo Nativitas s. Mariae 197v Gaude visceribus mater 198r Christe redemptor omnium In omnium sanctorum 198v Jesu salvator saeculi Festo Salvatoris, L 198v Jesu nostra redemptio In festo Salvatoris 199r Martine confessor dei In s. Martini, V 199v Post Petrum primum In s. Andree 200r Decus sacrati nominis 200r Exultet celum laudibus In natale apostolorum, V 200v Eterna Christi munera apostolorum N 201r Sanctorum meritis inclita In natale martyrum, V 201v Eterna Christi munera et martyrum N 201v Rex gloriose martyrum L 202r Deus tuorum militum In natale unius martyris, V 202r Martyr dei qui unicum 202v Iste confessor deum Confessorum 203r Jesu redemptor omnium In confessores 203r Jesu corona celsior In unius confessoris 203v Jesu corona virginum In nativitate virginum 204r Virginis proles opifex 204r Urbs beata Ierusalem 204v Angularis fundamentum lapis 205r Christe qui lux In dedicatione ecclesie C 134 < Biblioteca Guarneriana, ms. 4, c. 70 recto 135 La Schola aquileiensis nasce nel 1985 su sollecitazione dell’illustre gregorianista Giacomo Baroffio sotto la direzione del musicologo e teologo friulano M.o Gilberto Pressacco, specializzandosi nella proposta filologica e nella diffusione dei brani liturgici della tradizione aquileiese. A fianco delle innumerevoli lezioni-concerto tenute in prestigiose sedi nazionali e internazionali, la Schola aquileiensis si è contraddistinta nel tempo per lo sviluppo di importanti progetti culturali. Del 1995 è lo spettacolo itinerante Choreis e marculis su testi di Gilberto Pressacco con la regia di Claudio Mezzelani e con le voci – tra le altre – di Massimo Somaglino e Giorgio Monte, che ha visto oltre venti repliche con uno straordinario successo di pubblico, seguito da L’arc di san Marc: mistero contadino, per la regia di Claudio De Maglio, presentato in esclusiva a Mittelfest 1996. Nel 2000 la prima mondiale moderna assoluta del Vespro delle Cinque Laudate di Francesco Cavalli a cura di Luigi Collarile con la sezione musicale della 136 Hochschule für Alte Musik di Basilea, sotto l’insegna del Progetto Maqôr. Nello stesso cartellone propone una accurata realizzazione filologica e liturgica dei Primi Vespri per i patroni Ermacora e Fortunato, celebrati nella Chiesa dei Santi Canziani a San Canzian d’Isonzo dal Vescovo di Gorizia mons. Antonio Vitale Bommarco, ripresi poi nel 2003 nella Cattedrale di Udine con l’Arcivescovo mons. Pietro Brollo e successivamente nel Duomo di Gemona del Friuli. Nel 2001 collabora nuovamente con Luigi Collarile per il ciclo dei Fiori Musicali di Girolamo Frescobaldi, portandone le esecuzioni in alcune tra le più affascinanti sedi della regione. Nel 2002 partecipa alla realizzazione dello spettacolo Borboròs: ...e discese agli inferi incentrato sulle più importanti e distintive tematiche della teologia aquileiese (apocatàstasi), per la regia di Loriano della Rocca con Gilberto Colla e Francesca Ballico, replicato ininterrottamente fino al 2008. Del 2005 è l’importante impegno per l’esecuzione in prima assoluta dell’opera Amen / Man hu? di Claudio Ronco, per due violoncelli solisti e schola, realizzata con un “tutto esaurito” nella splendida cornice del Duomo di Venzone. Dal 2006 inizia una proficua collaborazione con il gruppo In unum ensemble di Vittorio Veneto, ampliando così il proprio repertorio verso la musica sacra e profana quattro-cinquecentesca. Lo studio continuo e le esperienze conseguite in oltre trenta anni di attività hanno permesso di sviluppare la capacità di presentare e rendere comprensibile un ampio repertorio sui primi secoli della musica sacra. Grande successo ha ottenuto Il cammino: canti processionali, di pellegrinaggio, di crociata presentato nell’ambito de Il cammino (2007-2008) di GrazieCultura a Udine, poi riproposto nel Duomo di Venzone (2013) e al Santuario dei Santi Vittore e Corona ad Anzù di Feltre (2014). Nel 2010 ha collaborato all’innovativo progetto di arte sacra Arteinchiostro: Calendario dell’Avvento a Udine, incidendo il cd antologico di brani gregoriani e della tradizione antica per l’Avvento e il Natale incluso nel catalogo della mostra. Dal 2016 partecipa alla Setemane de culture furlane ideata dalla Società Filologica Friulana, iniziando con un evento dedicato all’ara di Ratchis conservata nel Museo Archeologico di Cividale del Friuli; nel 2017 ha presentato un repertorio appositamente realizzato sulle figure dei martiri nella liturgia aquileiese, poi replicato sotto le insegne dell’Istituto Pio Paschini nella Chiesa di Santa Maria di Castello di Udine con la straordinaria partecipazione della professoressa Emanuela Colombi dell’Università di Udine, curatrice e autrice della più approfondita opera sulle Passiones aquileiesi e istriane; nel 137 2018 ha eseguito, nella ricostruzione filologica della Österreichische Akademie der Wissenschaft, l’Ufficio di san Gottardo presso l’omonima Chiesa a Mariano del Friuli. Nel 2017 ha collaborato alle Perle d’Inverno dell’Associazione Antiqua in un confronto tra i canti natalizi della tradizione scritta aquileiese e quelli di tradizione orale copto-ortodossa, assieme ai Cantori della Chiesa Copta Ortodossa di Venezia. Nel 2018 ha partecipato al festival Musica cortese organizzato da Dramsam con due differenti proposte: un percorso liturgico e agiografico tratto dai codici di Cividale del Friuli e un confronto fra tradizione scritta e orale del canto patriarchino assieme ai Cantôrs di Plêf di Gorto. Il 2019 ha visto concludersi un accurato lavoro di trascrizione del ms. Guarneriano 188, grazie al quale è stata ricostruita una Liturgia alla Beata Vergine, la cui esecuzione musicale è stata proposta in forma di concerto in prima assoluta nella chiesa di San Antonio Abate (San Daniele del Friuli) al termine della Giornata nazionale di Studi Salve sancta parens organizzata in collaborazione con la Civica Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli e con la Società Filologica Friulana. L’incisione verrà allegata agli atti, pubblicati nei Quaderni Guarneriani. Oltre alla creazione e alla proposta di programmi culturali e all’animazione di liturgie in rito antico, il gruppo è attualmente impegnato in un programma di amplissimo respiro sulle polifonie primitive di Cividale del Friuli. Dal 1997, anno della scomparsa del fondatore M.o don Gilberto Pressacco, il gruppo vocale è diretto dal M.o Claudio Zinutti. SALVE SANCTA PARENS La registrazione musicale Il Quaderno Guarneriano si completa con il CD musicale che propone l’esecuzione da parte della Schola aquileiensis della Liturgia dedicata alla Beata Vergine, trascritta dal manoscritto 188 della Civica Biblioteca Guarneriana., fatta eccezione per Victime paschali laudes cum Surgit Christe, trascritto dal manoscritto 79 del Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli. 1) Salve sancta parens (officium missae BMV: introitus) [CZ], Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 39r-v 2’36 2) Kyrie eleison [LD], Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 35v-36r 2’12 138 139 3) Gloria, Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 36v-39r 3’54 4) Benedicta et venerabilis (officium missae BMV: gradualis) [LD], Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 40r-41r 3’46 5) Alleluja: post partum virgo (officium missae BMV: alleluia) [LD], Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 41r-v 1’38 6) Alleluia: virga Yesse floruit (officium missae BMV: alleluia) [CZ], Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 41v-42r 2’20 7) Yesse virgam humidavit (sequentia beatae Mariae), Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 54r-56v 4’57 8) Ave Maria (officium missae BMV: offertorium), Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 42r-43r 1’52 9) Sanctus, Benedictus, Biblioteca Guarneriana, ms. 188, cc. 17v-18r 1’29 10) Agnus Dei, Biblioteca Guarneriana,ms. 188, cc. 18r-v 1’30 11) Beata viscera (officium missae BMV: antiphona ad communionem), Biblioteca Guarneriana, ms. 188, c. 43r 0’46 12) Victime paschali laudes cum Surgit Christe (sequentia ad resurrectionem Domini) [LD], MAN Cividale del Friuli ms. 79, cc. 201v-202v 7’08 Esecuzione della Schola aquileiensis: Lelio Donà (solista), Roberto Frisano, Luca Laureati, Andrea Passerelli, Nicola Patat, Pio Pradolin, Stefano Stefanutti, Claudio Zinutti (solista e direttore). Registrazione effettuata il 30 giugno 2019 presso VITA srl di Moruzzo (UD). Registrazione e direzione artistica: dott. Gianpaolo Fagotto per Antiqua Montaggio: HvF Duplicazione: Duplison 140 141 SOMMARIO Prefazione di eLiSa nervi ...................................................................................................... pag. 9 giacoMo Baroffio Liturgia e canto ad Aquileia: verso una rinnovata prospettiva di studio ............... pag. 15 Alessio Peršič La liturgia e la spiritualità di Aquileia cristiana da Fortunaziano a Paolino II .... pag. 27 angeLo ruSconi Alla ricerca del canto perduto. Riflessioni sui repertori liturgico-musicali arcaici del Nord Italia ......................... pag. 53 MiLLi fuLLin Il manoscritto Guarneriano 4, breviario di rito aquileiese: una indagine ancora aperta .......................................... pag. 73 giacoMo pirani I manoscritti liturgici musicali della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli ............................................................................................. pag. 95 ScHoLa aquiLeienSiS Salve Sancta parens. La registrazione musicale ........................................................ pag. 133 < Biblioteca Guarneriana, ms. 4, c. 22 verso 142 143 144 ISBN 978-88-941695-6-0 ISBN 978-88-941695-6-0 9 788894 169560