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2021
KINDLE DIRECT PUBLISHING
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Aldo C. Marturano
DAL MEDIOEVO RUSSO
CON TANTO AMORE
IX-XIV sec. d.C.
edizione riveduta, corretta e ampliata di
Donne, uomini e altri sessi
nel
Medioevo Russo
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Aldo C. Marturano
DAL
MEDIOEVO RUSSO
CON TANTO AMORE
IX-XIV sec. d.C.
edizione riveduta, corretta e ampliata di
Donne, uomini e altri sessi
nel
Medioevo Russo
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PREFAZIONE
Quando pubblicai il mio primo saggio sull'approccio sessuale nel
Medioevo Russo, la bibliografia a disposizione era ridottissima,
specie in lingua italiana. Allora, 2010, le mie illazioni furono molto
ingenue e tutte da richiedere una ricerca successiva più seria e più
ampia. Così fra i miei viaggi in giro per il mondo imparavo e scoprivo
che la sessualità è la nota più importante nella musica della vita.
Ho dovuto concedere che le espressioni di questo groviglio di
sensazioni e di attività fisiche e religiose che chiamiamo amore, sesso
e simili è certamente diverso da popolo a popolo. Alla fine però dà un
senso al tempo che scorre nel nostro corpo poiché esorta, spinge e
costringe a confrontarsi con gli altri abitanti del pianeta che ci
appaiono essere molto simili a noi e a migliorare la conoscenza e
l'uso delle comuni, ma diverse per geografia, potenzialità.
A questo punto, visto che mi reputo specializzato nella storia del
Medioevo Russo e che possiedo un accesso linguistico abbastanza
vasto da poter studiare gli scritti di specialisti di diverse nazionalità a
proposito di sessualità e storia medievale senza aspettare traduzioni,
ho raccolto letteralmente saggi su saggi e li ho divorati.
Oggi – 2021 – il tempo che la pandemia del COVID-19 mi ha
offerto l'ho sfruttato giusto per mettere a fuoco alcuni aspetti della
sessualità umana e a vedere meglio il ruolo che essa ha avuto nel
passato nell'ambito della mia competenza. Di qui un ennesimo saggio
sull'amore e sull'innamoramento dei nostri antenati di Nordest. Non
sarà certo l'ultimo dei miei sull'argomento, ma penso che il materiale
da me finora raccolto vada messo a disposizione al più presto,
sempre in tono divulgativo, dei curiosi perché mi pare che ci sono
molti dei miei concittadini interessati a capir meglio e più a fondo chi
vive al di là delle Alpi e nel Grande Nord, patria di molti europei un
tantino differenti da noi mediterranei, specie nel rapporto sessuale.
Il mio punto di vista sul Medioevo Russo e le vicende che lo
toccano è dunque in gran parte nelle pagine seguenti e spesso ho
inserito stralci dagli autori che prediligo affinché non si pensi che io
sia solo una vox clamans in deserto....
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A scopo di riferimento ho pure inserito qui sotto la cartina da me
elaborata indicativa dei ceppi etnici dell'Europa continentale
riconoscibili nelle loro sedi medievali dove in violetto ci sono i
turcofoni e in giallo i magiari o altre genti non indoeuropee.
Mancano i baschi e qualche altra minoranza alloglotta europea che
hanno avuto poco a che fare col Medioevo Russo.
Una prima nota faccio qui nell'edizione ampliata e corretta e cioè
che la mitologia balto-slavo-russa si fonda proprio sulla lotta
primordiale dei due sessi istituzionali validi ancora oggi in un
ecosistema dell'emisfero nordico diversissimo dal nostro e che mi
sono ingegnato a richiamare e a descrivere qui e là, benché sappia
quanto sia mutato in questi secoli. La seconda nota è avvertire che i
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termini pagano/a e contadino/a nel testo sono equipollenti e
spessissimo da me interscambiati. E l'ultima nota è che nel testo
compare abbondante materiale folcloristico che, se attentamente
letto, offre tantissimi spiragli sui costumi del passato nella Pianura
Russa. Le traduzioni e il riadattamento sono miei, naturalmente.
Ho incontrato dei grossi problemi invece nella trascrizione di
nomi, toponimi, idronimi e etnonimi giacché per molti di questi non
esistono trascrizioni italiane di uso comune e son dovuto passare
attraverso suoni e scritture diverse. Ho fatto delle scelte ed ecco qui
di seguito come ho risolto globalmente la questione e chiedo perdono
al lettore, se è un tantino complicata.
1. I termini in russo sono fra parentesi e adattati nella
trascrizione alle raccomandazioni della Soc. Ling. Internaz.
Fuori parentesi invece è la riduzione fatta da me da leggersi
come se fosse in italiano. La pronuncia naturalmente è un
altro problema da rimandare allo studio della lingua russa.
Ho spesso preferito omettere il segno di palatalizzazione
presente nelle parole russe ossia il mjagkii znak. Da notare
che in russo esiste solo la H pronunciata come il tedesco
nach che ho trascritto a volte con la X come è in uso negli
ultimi decenni mentre lo stesso suono in altre lingue diverse
dal tedesco l'ho trascritto con KH
2. I termini in turco e nelle lingue affini li ho ridotti a volte tra
parentesi con l'alfabeto turco ottomano moderno
3. I termini in arabo seguono la SLI, salvo che non siano già
assimilati in italiano
4. I pochi termini in polacco e in ungherese hanno un aspetto
ibrido nelle mie trascrizioni, ma mi sono riferito anche alle
regole della SLI o all'alfabeto in uso oggi
5. Per il suono di giada, giovani ho un po' abusato del maltese
Ġ al posto della composizione DJ poiché il segno J l'ho
impiegato per il suono di iato, eiaculazione, proiettile
6. G nei nomi e nei termini stranieri è invece da leggere come
nelle parole agata, augurio
7. Alcuni termini contengono una Z da leggersi come per
pezzo, pazzo sebbene nella trascrizione secondo SLI avrei
dovuto usare la lettera C, ma sono davvero pochi:, mentre la
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Z dei toponimi russi e tatari ZVENIGOROD, ZAGORSK,
KAZAN o IZBORSK va letta come la S di rosa.
Avverto che la stragrande maggioranza delle date è d.C. ed è
corretta secondo la riforma gregoriana introdotta nell'URSS nel 1917.
Vignate, fine 2021 in Covid-19
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INDICE
Premesse/Promesse
pag. 13
Capitolo primo
Varietà e uso delle fonti
pag. 35
Capitolo secondo
Stare insieme
pag. 65
Capitolo terzo
Incomprensibilità cristiana
pag. 91
Capitolo quarto
La religione della morte
pag. 127
Capitolo quinto
I sessi non sono 2!
pag. 159
Capitolo sesto
Bogomilismo e altre eresie
pag. 183
Capitolo settimo
Maschi superbi
pag. 215
Capitolo ottavo
Ripartiamo dall'amore?
pag. 239
Capitolo nono
Kiev apre a Cristo
pag. 273
Capitolo decimo
Paganesimo vs. cristianesimo
pag. 297
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Capitolo undicesimo
Riverberi culturali
pag. 329
Capitolo dodicesimo
Il nuovo ordine
pag. 361
Capitolo tredicesimo
Questioni da rispolverare
pag. 387
Capitolo quattordicesimo
Corpo e anima
pag. 409
Capitolo quindicesimo
La verv e la sua mitologia
pag. 437
Amorose conclusioni
pag. 463
Calendario liturgico
pag. 488
Bibliografia essenziale
pag. 490
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Premesse/Promesse
Sono convinto che il tentativo che qui intraprendo di
svelare l'incisivo ruolo della sessualità nella storia del
Medioevo Russo sia soprattutto cercare e trovare una
serie di elementi conoscitivi di qualunque genere che
incoraggi una migliore conoscenza delle genti del Nordest
europeo e logicamente dell'Europa nell'ambito della lotta
perenne e oggi rinnovata fra maschi e femmine e gli
eventuali altri “sessi”.
Partirò dall'innegabile evidenza che ogni azione umana
risponde alla storia sessuale di chi agisce nel teatro degli
eventi ossia risponde a comportamenti legati al sesso che
uno riconosce per se stesso e per l'avversario nelle
decisioni, negli accordi, nell'accettazione e nel rifiuto, nel
tradimento e tanto altro ancora. Siccome poi il luogo è
circoscritto alla Pianura Russa e il periodo concerne la
nascita e la durata dello stato detto Rus di Kiev e degli
stati slavo-russi che ne seguirono, è logico che la
sessualità dei personaggi che farò incontrare nei racconti
e nelle testimonianze sia, a mio avviso, la chiave migliore
per capire il nostro complicatissimo continente nei suoi
aspetti geo-storici e multietnici.
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Il costume didattico del passato recente era incline a
parlare di battaglie, di re e di imprese epiche e poco o
nulla diceva se certe scelte di potere, di comando,
economiche etc. scaturissero, come invece è verosimile,
dall'atteggiamento sessuale degli attori. Sicuramente
l'ignoranza di come i nostri genitali fisiologicamente e
biologicamente funzionassero – da non più di 20 anni lo
si è scoperto, benché ci siano ancora incertezze su
qualche (pochissime, dico io) loro multifunzione – ha
giocato nell'insegnamento della storia un ruolo enorme
distorcendone gli scopi educativi prefissi. Non solo! Le
indagini scientifiche attuali annunciano inaspettati nuovi
esiti in campo genetico e, se già si intravvedono le
irreparabili crepe ideologiche nei sistemi di potere finora
in auge, non vuol forse dire che quei poteri letteralmente
vissuti sul controllo sessuale dei soggetti adesso non
hanno più le armi per impedire il proprio sfacelo? E non
diventa oltremodo interessante una rivisitazione del loro
passato quando al sesso si attribuivano caratteristiche
quali forza o debolezza, risolutezza o esitazione e altri
simili binomi gnostico-manichei? Dal sesso si era persino
sicuri di poter prevedere che cosa una persona sarebbe
stata capace di fare o di non fare, pur senza fondamento
scientifico. Alla fine condivido pienamente le parole di
Francesco Cavalli-Sforza (2017): «L'ostilità e l'imbarazzo
verso il sesso, le remore ad accettarlo come una
spontanea espressione della natura umana e a
valorizzarne la portata esistenziale ed emotiva, al di là
di qualunque normazione, mirano in sostanza ad
assoggettare l'individuo, a renderlo più manipolabile,
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portandolo a introiettare una visione circoscritta di se
stesso, del suo corpo e dei rapporti tra le persone e i loro
corpi.»
Di qui comincerò, non prima di aver esposto alcune mie
personali remore e premesse...
È banale iniziare il viaggio nei tempi passati dall'enorme
difficoltà di spostarsi da un luogo all'altro, ma le
comunicazioni orali, ad esempio un comando o una
delazione, risultavano frenate e alterate proprio dal
tempo occorrente per arrivare alle orecchie giuste magari
situate a 1000 e più km di distanza. Ciò rendeva la vita
vischiosa e incerta guastando ogni relazione intima fra le
persone e risultando in un pesante handicap sulla durata
media della vita dei protagonisti – 35-40 anni. Spesso si
progettava un'impresa e, se dopo i primi tentativi non
riusciti sopravveniva la morte dell'interessato o altro
impedimento, l'azione s'esauriva nel nulla di fatto. Così
prevedendo l'imprevisto più inesorabile, l'impresa la si
affidava per il compimento a figli, nipoti etc. diluendola
negli anni a venire. Eppure per mettersi in moto sarebbe
stata decisiva una seria discussione di piani di lavoro con
i propri intimi, ad esempio con le donne di casa piuttosto
che ricorrere all'autorità dell'indovino, alla profezia del
sacerdote o al segno dal cielo. Addirittura il costume
obbligava il maschio supremo a far sì che la donna
consorte o parente non sapesse mai che cosa lui stesse
preparando! Nei gruppi dirigenziali era radicato il
sospetto che tutto sarebbe andato a catafascio, se una
donna avesse partecipato con le sue idee o consigli, con il
recondito pregiudizio che essa con la sua parlantina
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tradisse per impadronirsi dell'impresa e del potere.
Tali circostanze sono reali nella storia che affronterò e
vanno assimilate bene per capire l'estrema fragilità delle
istituzioni statali e parastatali slavo-russe a cui mi riferirò
spostandomi per esigenze del racconto da un punto
all'altro della carta geografica. Ed ecco pure perché, a
causa di decisioni non prese in tempo o lasciate cadere
per sempre, la Rus di Kiev ci ha lasciato dati scritti
difficilissimi da interpretare.
Devo confessare che la Pianura Russa, il teatro del
Medioevo Russo, ha rivelato poco agli archeologi (tutti
maschi fino a qualche anno fa!) sui comportamenti
personali nonostante i metodi scientifici moderni alle
prese con reperti archeologici persino minutissimi e,
sebbene le analisi interpretative pubblicate recentemente
consentano di ricavare indizi davvero inaspettati, poco
son riuscito a sapere ad esempio sulle tecniche seduttive
adottate in un amoreggiare decisivo per influenzare una
decisione politica del partner sia maschio che femmina o
d'altro genere sessuale. Chi ne scriveva d'altra parte erano
i monaci, dico io frustrati dal loro celibato in un eterno
sognare l'ambiguo amor di dio, i quali mostravano
un'evidente disinteresse ad informarsi sull'argomento
sessualità dei protagonisti che avrebbe magari spiegato le
cause di vari eventi nei loro annali.
Mi è stato obiettato che, se sesso amore copula etc. sono
in sostanza effettuati con apparati genitali biologicamente
più o meno uguali in tutti gli esseri umani, la storia
dovrebbe essere uguale e ripetitiva presso ogni popolo.
Non è un postulato che accetto perché la sessualità, e lo
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ribadisco sempre più convinto, è la chiave storica di base
che non ha mai cessato di agire in tutto il pianeta benché
con mezzi e interventi sempre nuovi e sempre vari (J.
Seager 2020) da popolo a popolo.
Non ha forse stimolato l'arte poetica classica a scrivere
Iliade e Odissea trasformando plausibilissime storie
d'amore in guerre e lotte chissà davvero accadute? E che
dire della Divina Commedia scritta da Dante per
stimolare l'amore di Beatrice? E delle tenzoni medievali
di Don Chisciotte in onore dell'amata Dulcinea? E le
imprese di Giovanna d'Arco? E non spiega forse la nudità
degli atleti nelle Olimpiadi come attrazione spettacolare
della bellezza del corpo umano che fa ginnastica (da
gymnóo/γυμνόω in greco sono nudo)? E le nude velate
Vestali del tempio di Venere, dea romana dell'amore, alle
quali era proibito essere incinte? E la gestione degli
harem nelle mani della Validé Sultan, madre del sultano
ottomano, ereditata dagli usi cristiani antecedenti al
1453? E il famoso poema indiano Mahabharata che
confermava l'uguaglianza fra uomo e donna ben prima
del 500 a.C. quando le cosiddette Leggi di Manu
abolirono tale parità per il resto della storia dell'India?
Sono, queste, le parecchie testimonianze del passato
concernenti noialtri europei attuali immersi in culture
maschiliste e imperialistiche (omofobe!) che limitano
l'espressione sessuale libera con regole senza senso e
rivolte, guarda caso, sempre contro le donne o contro chi,
straniero o connazionale, abbia atteggiamenti diversi dal
sesso apparente nelle proprie gonadi.
Con internet a disposizione fra viaggi reali e virtuali in
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tempo reale, contatti interpersonali e quant'altro indotti a
ripensare noi stessi come persone, mi domando: Siamo in
grado di evitare gli stereotipi del passato e scrivere oggi
una storia dal punto di vista del sesso quale che sia?
Dovremmo modificare i nostri antiquati comportamenti e
vorremmo riflettere di più sulla validità delle tradizioni di
cui siamo intrisi per poi magari liberarcene.
Nella ricerca storica sul Nordest esistono parecchie
barriere inutili per la conoscenza storica e io una l'ho
abbattuta: Negare la nostra continuità biologica con le
persone del passato. Nei fatti la continuità esiste e quindi
posso scrivere: Nel Medioevo Russo sono vissuti i nostri
antenati e nel presente lavoro parlo di affari intimi
di famiglia magari da sottacere!
Da degno epigone non diretto a causa del lungo
intervallo temporale (e spaziale) che mi separa e non per
il genoma che invece condivido quasi totalmente con loro,
se dovessi ricostruire l'albero genealogico personale, è
sicuro che gli antenati comuni con tutti gli altri europei di
oggi sono state persone del Nordest di ieri (J. Manco
2004). Accettato ciò, nei miei studi tuttavia ho scoperto
l'irrealtà... di riuscire a contarli! Mi spiego meglio. I
calcoli pubblicati qualche anno fa dallo statistico J.
Chang dell'Università di Yale su Nature dimostravano
che se si va all'indietro nel tempo di un paio di secoli
immaginando coppie di genitori diversi ogni 35 anni, ci
troveremmo ad avere miliardi e miliardi di nonni! La
Terra non può averli ospitati né da vivi né da morti e
perciò, conclude lo statistico, una genealogia ricostruita
su una perenne e regolare esogamia non sussiste.
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Che fare allora? Si deve ripiegare senza scandalo su
numerosissime coppie dei nostri comuni ascendenti in
regime d'incesto (G. Barbujani, 2018) al di là dei
fantasiosi danni genetici paventati dalla pseudo-scienza
cristiana del passato che condannava e condanna
l'incesto come pratica immorale!
La storia dell'uomo con le scoperte genetiche degli
ultimi tempi è confermata essere un insieme di storie
separate che ogni individuo ha realizzato con le sue azioni
e con la sua vita nei tanti luoghi del pianeta con culture di
gruppo diverse. Se quelle storie particolari una volta
restavano ignorate o sparivano nella leggenda o venivano
scartate prima di poter confluire in una grande storia
universale, oggi sono offerte a livello globale su internet
e suggeriscono spiegazioni a volte strabilianti sulla nostra
stessa natura e sulle nostre tradizionali credenze.
Quante volte ho sentito dire che la storia si fa con i
documenti? Tante, tante e tante. E se i documenti
crescono in numero e in peso on.line, come si fa a definire
un evento e a decidere in tempo reale se sia o no da
raccontare? Un evento esiste, se c'è chi lo racconta e il
racconto esiste se è trasmesso. Se i testimoni coinvolti
sono parecchi e di sesso diverso, ecco che l'evento non è
più uno, ma parecchi. In breve una storia non è che una
delle molte storie vere seppur concernenti un unico
multiforme evento pure vero! Oltre a ciò i documenti
medievali nella totalità sono stati scritti con larghi divari
di tempo fra accaduto e raccontato e in senso stretto non
sono mai ascrivibili a testimoni oculari!
Lo storico onesto immaginifico o meticoloso che sia,
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scrive la sua storia e l'unico diritto che può vantare è la
sincerità nell'ammettere gli scopi del suo lavoro oltre alla
prontezza, in presenza di elementi di informazione non
pervenuti in precedenza, a rivedere e a riscrivere la sua
produzione in qualsiasi momento. Il discorso è lungo e
articolato e qui è fuorviante per cui lo tralascio, non senza
aver accennato altresì a due aspetti più triviali della
questione scrivere storia.
Nel Medioevo non c'era la necessità commerciale di
produrre storie da vendere per cui infiorando e
ingigantendo si raccontavano fatti creduti veri per il solo
gusto di raccontare e guadagnarsi la stima degli astanti.
Ciononostante nelle classi più abbienti che potevano
disporre di libri e scrivani circolò a lungo una strana idea
della storia scritta, saldamente gestita dalle chiese
cristiane in Occidente e in Oriente d'Europa ossia che
fosse il dio monoteistico a guidarla e a svolgerla.
Secondo l'ecclesiastico Sulpicio Severo (IV-V sec.) la
storia doveva esser concepita come letteratura edificante
e basta: Che si scrivano pure romanzi inventati, ma che
siano piacevoli da leggersi e che ogni argomento, testo o
evento sia usato per lodare e esaltare la religione
cristiana e il suo dio. L'idea in seguito fu messa da parte,
ma per decenni influenzò la missione propagandistica dei
predicatori fra i barbari. La gente analfabeta ascoltava la
lettura delle Sacre Scritture e pensava per converso che
l'oggetto-libro fosse una potentissima arma dagli effetti
magici e portentosi. Chi si fermasse ad ascoltarli nelle
sagre e nei mercati era rapito dalle interpolazioni
mirabolanti e fantastiche che costoro sembravano
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estrarre da quelle pagine scritte.
È conseguente immaginare che le parabole evangeliche
pure raccontate dai predicatori cristiani durante la loro
attività si innestassero sulle tradizionali byline (racconti
slavi tradizionali) e circolassero dopo nella maggioranza
delle case. Il Nordest medievale indulgeva volentieri nei
lunghi inverni a sentir raccontare le meraviglie del sud
caldo, ricco e splendente, abitato da popoli lontani e felici
per i miracoli che là avvenivano.
Nelle corti slavo-russe o nei mercati di Grande Novgorod
e di Bulgar-sul-Volga era prassi che i mercanti appena
giunti da lontano fossero invitati dal sovrano o dal capomercato a narrare a una vasta udienza di popolo le
avventure di viaggio più fascinose accompagnandosi
persino con canti e danze di ballerini/e esotici/che.
E gli sciamani/sacerdoti del nordest (volhvy) che cosa
avevano di meno in autorità e spettacolarità dei
predicatori cristiani quando indicavano la parte del corpo
della vittima sacrificale da consumare per impadronirsi
della sua storia personale nel cannibalismo rituale?
Serviva a questo conservare e venerare i genitali o altre
parti del corpo di certi personaggi, sapendo degli usi
militari in caso di vittoria di poter mutilare il capo nemico
a questo scopo. E non era ciò il dialogare dell'Ultima
Cena di Cristo fra i suoi accoliti nei Vangeli? È importante
accennare a questo perché era esattamente con l'identica
speranza sciamanica – non dimentichiamolo – che il
battezzato ex pagano accedeva all'eucaristia, il solenne
rituale cannibalico cristiano che prometteva: Mangia un
pezzo di Cristo e bevi un po' del suo sangue e assimilerai
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tantissimo del suo operato!
La mia conclusione? Questa era la vita e questo era il
divertimento possibile che i nostri antenati ci hanno
lasciato in eredità di conoscenza del mondo e che si coglie
tuttora nei motti e nei proverbi di noi adulti moderni.
Val la pena ritornare all'alba della nostra specie – senza
ripercorrerla per intero – per vedere i nostri progenitori
ancor più remoti di generazione in generazione
trasmigrare affamati da un ambiente ormai esaurito e
insufficiente a coprire la domanda di cibo in territori
ancor vergini stimati buoni per lo sfruttamento. Ciò
accadeva a causa del modo di vivere decine di migliaia di
anni fa con la raccolta, la caccia e la pesca che
richiedevano un enorme dispendio energetico e una
conoscenza impeccabile del clima vigente negli ecosistemi
occupati. Le risorse potevano diminuire rapidamente
nell'area scelta per varie cause e il raggio d'azione della
ricerca di cibo si doveva pertanto estendere e diversificare
ripetutamente. La ricerca di cibo occupava non più di 4-5
ore al dì prima di spossarsi e non solo le intemperie erano
d'ostacolo, ma anche le vicissitudini stagionali che
interrompevano ogni attività per lunghi periodi.
Tutto orbitava intorno alla presenza di donne gravide
con appresso minori che si stancavano presto e
pretendevano soste prolungate. La femmina umana
impegnata a nutrire contemporaneamente e con pari
responsabilità se stessa e la sua prole, quando il cibo
scarseggiava nel passato mesolitico era ricorsa ad
allungare il periodo di allattamento fino a 12 anni (!!) per
vedersi ridurre il numero di gravidanze senza nuocere
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troppo al benessere del gruppo. Aguzzò l'ingegno, guardò
con occhi attenti la natura intorno a sé e nelle fermate
sperimentò e protocollò le prime tecniche agricole,
magari la semina dapprima e il passaggio successivo nello
stesso posto per la raccolta.
A questa stregua i ruoli nei rapporti uomo-ambiente si
invertirono e, se all'inizio era la specie Homo sapiens a
dover lottare per adattarsi all'ambiente per non esserne
annientata, ora era Homo sapiens sapiens a trasformare
l'ambiente meglio confacente ed è sicuro perciò che, non
appena dedicò una parte dello spazio a terreno agricolo e
passò a produrre il cibo, finalmente poté farne riserva e
riposare. Cambiarono i tempi e l'intensità della fatica
diminuì, benché la nuova attività preparatoria alla
produzione, il lavoro, diventasse assai impegnativa
anche mentalmente.
E chi gestiva la distribuzione delle derrate prodotte? La
donna. E chi le preparava per il consumo? Sempre lei.
Se qualcosa andava storto, si poteva fantasticare di poter
essere salvati dalle forze superiori, ma occorreva sapere
appellarsi a loro. E chi avrebbe dovuto farlo nello
specifico caso del mancato o dell'insufficiente raccolto?
Naturalmente la donna e le divinità ausiliatrici non
potevano che essere femminili.
Insomma la vita, e aggiungo la morte, erano in mani
femminili. Da tali presupposti prettamente matriarcali
nasceva nel maschio la volontà di limitare la prevalenza
femminile, logicamente non eliminando la donna, ma
avvilendola in ogni modo affinché per il solo fatto di esser
maschio non fosse escluso dalla distribuzione del cibo.
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Secondo le ricerche antropologiche recenti, vedere il
maschio destinato alle armi e all'ostilità verso la femmina
in realtà è un grosso anacronismo perché si immagina
una società alle origini capitalistica e sfruttatrice che in
quelle epoche lontane ancora non era nata e neppure
poteva esser sognata. I gruppi umani erano, ahimè,
sensibilissimi all'accrescimento demografico poiché un
sol paio di individui in più erano motivo di ansia,
preoccupazione e, al limite, di disperazione per la
sufficienza delle risorse a disposizione. Dunque niente
più maschi estranei da invitare alla mensa agricola
femminile con conclusione amorosa dopo cena? Meno
copule è una misura alquanto strana per limitare la
crescita demografica, dato che non si sapeva come e
quando avvenisse il concepimento, ma alcuni antropologi
l'hanno messa in campo come una ripicca o vendetta
contro il maschio, limitandogli il piacere fisico. Sarà vero?
L'archeogenetica (genetica applicata all'archeologia)
suggerisce molti particolari in questo ambito e basta
leggersi J.-J. Hublin (2008) per restare davvero stupiti da
ciò che l'analisi del genoma di un reperto fossile umano
racconta di sé. Dal suo DNA fossile possiamo sapere chi
fosse e da dove venissero i suoi genitori, quando e in
quale ecosistema avesse avuto luogo il suo concepimento
e di qui fissare la data della sua sedentarizzazione.
Così la conseguente invenzione dell'agricoltura diventa
più facile da datare e su scala archeologica oggi diciamo
che quella nuova tecnica apparve fra gli 8-9 mila e i 5
mila anni fa in 3-4 zone del pianeta. Peraltro ciò accadde
giusto quando parecchi gruppi umani abitavano in aree
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non troppo lontane l'una dall'altra e i maschi stressati e
affamati, non appena sapevano della nuova provvidenza
di cibo presso i vicini, ricorrevano a vari espedienti in cui
per appropriarsene la violenza rappresentava il modo più
immediato.
Immigrazioni al tempo della massima estensione dei ghiacci. 1.
insediamento dall'est: 2. insediamento dall'ovest 3. scavi 4. parte costiera
emersa alla fine dell'era nel Mare del Nord 5. il Mar Baltico allora palude
detto Yoldia. Le date sono espresse in BP ossia Prima del Tempo Attuale.
Tuttavia a conti fatti la guerra o l'assalto in armi non
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erano del tutto profittevoli, mentre probabilmente la
soluzione amore in cambio di cibo ossia sedurre piuttosto
che catturare la donna esperta della dispensa e della
cucina, con una bella copula avrebbe permesso di
acquisire l'accesso al cibo sicuro per un bel po' di tempo.
L'agricoltura arriva in Europa dal Medio Oriente e si
insedia nella vasta conca del Danubio intorno al 6000
a.C. e di lì si diffonde verso l'Atlantico lasciando
“scoperta” al momento la Pianura Russa, ricchissima
fonte di alberi e di animali, ma ancora poco esplorata (C.
Quiles, 2019). I pochissimi abitanti a nord del Mar Nero
continueranno a vivere in prevalenza di raccolta e di
caccia quasi fino al XIV sec. d.C. mentre l'agricoltura
raggiunge il Caucaso già ca. 2000 a.C.
L'agricoltura in definitiva oltre a fissare la dimora
umana, rafforzò le relazioni interpersonali per mezzo del
cibo cotto e del sesso-divertimento e, appena la
sedentarietà si affermò su vasti territori, aumentò la
paura del maschio di essere abbandonato a morire di
fame da una società di donne ostili. Esentatosi da solo da
ogni incombenza parentale, il maschio si dedicò
all'invenzione dello stato al cui vertice si insedierà.
Proclamerà che il sistema di potere da lui capeggiato è la
riproduzione del sistema che i “suoi” antenati, ora nel
cielo da collaboratori degli dèi che regolano il cosmo,
hanno istituito nei secoli passati e che perciò occorre la
sottomissione finale di tutti... pena la morte per
catastrofi naturali e per fame!
È esattamente questo tipo di potere che si imporrà varie
volte nella storia con le invasioni dei popoli indoeuropei e
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dei turcofoni che fonderanno stati e i culti fallici relativi.
Erodoto, in visita nell'area pre-caucasica nel V sec. a.C.,
cita poco l'attività agricola femminile e indulge invece
sulle Amazzoni come popolo in guerra con gli Sciti ossia
come questi ultimi indoeuropei arrivati dai confini
sudorientali si scontrassero con il regime matriarcale
delle Amazzoni autoctone. In verità un residuo storico di
quel regime resiste presso alcune etnie dell'Anticaucaso (i
Vainakh ad es. in M. Tsaroieva, 2011), sebbene ridotto
alla funzione pur rispettatissima di donna giudice terzo
supremo. Nelle controversie con il semplice gesto di
scagliare il suo cappello fra i contendenti, essa ha
conservato intatta l'autorità immediata di arrestare e
impedire ogni scontro armato.
Con le conquiste sempre più estese degli indoeuropei la
mitologia matriarcale dovrà cambiare e essere riadattata.
La riforma maschilista dell'invasore invertirà il sesso al
sole e alla luna lasciandone traccia storica in residui
linguistici singolari. Nelle byline al contrario il sole resta
gelosamente una fanciulla che di giorno indossa un abito
splendente mentre la luna è un fanciullo-fratello e sole e
luna, insieme in amore incestuoso, amministrano la luce
sul mondo copulando durante i giorni che la luna non
compare nel cielo. Il nome russo della luna mesjac
(radice i.e. *mens- cfr. il balto-slavo dio-luna Menulis,
Mēnesis o il latino mensis) accoglierà il termine lunà o
raggio splendente come alternativa femminile al nome
maschile che finirà per indicare preferibilmente la misura
del tempo. Il misoginico intento è chiaro: I maschi sono
padroni del tempo che si misura con i cicli lunari! Ora è
27
un dio maschile a imporre la cadenza del mestruo (lat.
menstruum letteralmente rito della luna) e per le
giornate non è più la dea-sole che domina, ma il dio-sole
che fissa il ritmo circadiano e di vita dell'ecosistema.
Peraltro il sole nel cielo nordico ci sta ben poco e conta
meno come divinità celeste intorno all'Artico...
La donna per sua natura appare legata alla luna col
mestruo e conserva – questione ritenuta minore dal
maschio dominatore – con ciò la sua potenza creatrice. Il
maschio ignora il ruolo biologico del mestruo e il sangue
gli fa paura, ma almeno gli garantisce che la femmina non
generi troppi concorrenti quando ne perde in quantità! A
parte ciò col cristianesimo il sangue mestruale si
trasformerà addirittura in una diabolica e impura
deiezione... Si diceva in Lituania che una donna
mestruata deve star lontana dai maschi, altrimenti questi
litigheranno fino a uccidersi fra loro. Nel passato litigare
significava sempre una lotta fisica e doveva finir male
per uno (o per ambedue) dei litiganti poiché il litigio una
volta iniziato non si estingueva con le sole parole.
Esisteva perciò il pericolo di relazionarsi con una donna
troppo intimamente per poi tormentati dalla gelosia
essere trascinati in duelli per riscattarsi.
Fra i pagani si parlava di mutamenti ciclici del cosmo
che si ripetevano e si succedevano senza fine come il sole
e la luna e le costellazioni nei loro giri periodici nel
firmamento e su cui si imperniavano le attività agricole e
di caccia. Quel che tormentava era che, mentre nel
firmamento tutto si ripeteva regolarmente tanto che per
prevedere il futuro bastava guardare il cielo, dal mondo
28
sotto la luna al confine fra celeste e umano-terrestre la
natura a volte era disturbata da imprevisti fastidiosi e
spesso inaspettati.
Chi poteva aiutare l'uomo nelle ristrettezze che ne
derivavano e che ne sarebbe stato dell'umanità? Ed ecco il
paganesimo nordico insegnare che nel cielo abitano esseri
purtroppo indefinibili per l'uomo, ma potentissimi che
intervengono per piacere personale nei processi naturali
etc. e pertanto, se si vuole ottenere il loro aiuto, è bene
tenerseli amici. Vanno “ubbiditi” nelle regole che essi
hanno fissato e con i sacrifici che essi richiedono e per il
trasgressore la pena è il ritorno anzitempo nel ventre
della generatrice universale, la Gran Madre Terra, cioè la
morte. L'uomo, servo del divino consesso celeste, accetta
appena nato una serie di mete da raggiungere seguendo
cammini rituali precisi poiché si ammette che dal cielo gli
sia assegnato un destino che ha lo scopo di migliorare o
peggiorare la sua vita e quella del gruppo di cui fa parte
a seconda dei suoi comportamenti nella vita.
In un tale cosmo il pagano si dibatte specialmente in
dipendenza del suo sesso e il cristianesimo affermerà di
poterlo liberare purché accetti una nuova, dico io
estrema, gestione religiosa della sua sessualità. Si
insistette infatti sull'idea che la donna avesse la sua
peculiare natura a generare figli e che non dava troppo
peso ai sentimenti amorosi o d'altro tipo. Anzi, il creatore
avrebbe concesso figli alla donna purché disposta a subire
la superbia maschile.
D'altronde ammettere che si facesse all'amore nel coito
eterosessuale affinché desse un risultato riproduttivo per
29
la specie umana 1000 anni fa è pura menzogna storica
poiché si finge di ignorare o si nasconde che il motore
unico alla copula fosse sic et simpliciter il piacere! Sul
piacere in sé si è scritto moltissimo in Europa fino a
descriverlo come l'ultima tappa dell'amore romantico
ossia della costellazione di eccitanti sensazioni che attrae
due persone alla reciproca vista e che sembra rinnovabile
di incontro in incontro. Poco si è scritto invece sul
quando e sul dove l'amore nasce storicamente nella
forma di atto volontario libero e individuale e dove nel
mondo ha perso l'aspetto di libero sfogo al godimento da
soli o insieme ad altri.
Leggevo anni fa (1993) di un'inchiesta fatta su come gli
americani immaginassero il paradiso cristiano e
l'antropologo americano L. Tiger nel suo La Ricerca del
Piacere, sottotitolo La conquista dell'umano piacere
attraverso millenni di storia, società più o meno
repressive, genetica, evoluzioni e emozioni, a pag. 51
dell'edizione italiana (v. bibl.) scriveva:
«Alfred North Whitehead [filosofo contemporaneo
rivale del mio amato Bertrand Russell] ha scritto: Si può
immaginare qualcosa di più idiota del concetto cristiano
di paradiso? Che razza di divinità è quella che può
creare angeli e uomini perché cantino le sue lodi giorno
e notte per tutta l'eternità?» Più avanti aggiungeva: «Più
voluttuosa e meno inglese è la promessa contenuta nel
Corano [organo dottrinario dell'Islam] che gli uomini
religiosi avranno in cielo giacigli dove verranno accuditi
da “uri”, splendide donne dagli occhi neri, che non solo
creeranno e soddisfaranno in loro meravigliosi desideri
30
sensuali, ma saranno fatte interamente di legno di
sandalo e perciò offriranno il sublime piacere di essere
sempre soltanto profumate. Il testo non precisa se ci
saranno anche uomini di legno profumati per le pie
donne musulmane.»
A questo punto sono andato a leggermi la Sura II della
Giovenca, versetto 25, del Corano dove è scritto
testualmente (v. testo italiano in bibl.):
«E annuncia a coloro che credono e compiono il bene
che avranno i giardini in cui scorrono i ruscelli. Ogni
volta che sarà loro dato un frutto diranno: Già ci è stato
concesso [in vita, ma ora…] avranno spose purissime e
colà in eterno rimarranno.»
Insomma il legame fra sessualità e piacere reale tutti lo
conosciamo, ma ci accorgiamo pure che esso è trasmesso
da secoli ben filtrato dai canali culturali attraverso due
strane parole: morale e etica. Secondo me è questa
l'operazione illegittima che frena il desiderio. A che serve
misurare il piacere fisico per riportarlo su una scala
inventata annunciando – ecco l'esca ideologica morale o
etica – che esistono altri piaceri superiori al fare sesso?
Tommaso d'Aquino non domina più, ma studiare i
nostri atteggiamenti sessuali scevri da morale o etica è
davvero difficile dal punto di vista storico, tanto più e
nell'ambito della cultura slavo-russa nell'intervallo
temporale da me scelto. Sono convinto che ai pagani di
1000 anni fa, per di più circolanti molto meno vestiti di
noi, bastasse esaminare il corpo proprio com'era fatto e
confrontarlo con quelli dei loro prossimi per ambire a
imparare come soddisfare le urgenze sessuali con l'amico
31
o con l'amica con grandissimo trasporto.
E così nel confronto col presente mi imbatto con la
pornografia fruibile su internet. Mi son fatto una
domanda: Potrebbe esistere uno spettacolo pornografico
del sesso nudo, se andassimo tutti in giro senza vestiti?
Non trovo che una risposta: NO! Per di più da nudi non
esisterebbe l'arma seduttiva del mostrare agli “altri” se
stessi nelle parti dette proibite o esibirsi in spettacoli di
sesso e ciò corrisponde pure al modo di mostrarsi in
pubblico nel mondo classico greco-romano come nelle
greche ierogamie. Anche le recenti ricerche di
antropologia culturale pubblicate negli ultimi 15 anni in
cui sono descritte molte popolazioni fra le attuali che nei
loro paesi circolano in completa o quasi nudità, dicono la
stessa cosa. Non solo!
Chiudo col greco antico quando riferiva del rito pagano
delle adolescenti nei templi di concedere il proprio corpo
all'amplesso sessuale o altra manipolazione fisica dietro
adeguato pagamento non come “mestiere” ma con offerte
materiali per il mantenimento del tempio stesso.
Il fatto poi che le fonti raccontano che capitasse a certe
adolescenti di restare in servizio più a lungo di altre, mi fa
sospettare che l'amplesso omosessuale – lesbismo – fosse
apprezzato e pienamente in auge.
Siccome nell'etimologia della parola pornografia c'è in
greco pórne/πόρνη di genere femminile e pórnos/πόρνoς
di genere maschile (dizionario Benseler 1991), ciò
suggerisce che pure i maschi concorressero, forse in
tempi o in templi separati, allo stesso servizio sessuale
per il mantenimento del tempio e che ciò evidentemente
32
implicasse anche un'omosessualità maschile o femminile.
Sono costumi antichissimi che troviamo a Babilonia nel
passato lontanissimo oltre che nei Veda indiani fino al
giorno d'oggi.
alcuni merletti scultorei dei templi di Khajuraho
33
E qui, concludendo, non posso che menzionare il caso
dell'India con i templi più famosi al mondo dove le
pratiche della sessualità umana nel trionfo del piacere
supremo sono scolpite in bellissime sculture esplicite e
cioè a Khajuraho.
La località si trova nel cuore del subcontinente indiano,
nello Stato di mezzo o Madhya Pradeš, e la presenza di
questi templi medievali induisti e giainisti è una meta
turistica popolarissima che ha portato l'UNESCO ad
inserirli nei Patrimoni dell'umanità.
Khajuraho deriva dalla parola hindi khajur o palma da
datteri ed è qui l'allestimento di spettacoli pornografici
intorno all'albero sacro della palma da datteri. Il pubblico
assisteva e lasciava che i propri giovani vi partecipassero
in una specie di tirocinio in educazione sessuale. Anzi,
fino a pochi decenni fa c'erano in India compagnie di
girovaghi ballerini che offrivano spettacoli di sesso in
pubblico con le acrobazie più stravaganti richiamandosi
alle famose e innumerevoli posizioni del Kama-sutra.
Devo di nuovo chiarire che si ignorava che il coito
eterosessuale portasse alla gravidanza e, se ciò accadeva,
erano gli dèi in onore dei quali lo spettacolo si era svolto
che mutavano il ruolo della giovane in futura madre.
E qui c'è l'elemento gelosamente conservato nello
spettacolo ossia la centralità della bellezza del corpo
umano mentre si muove e agisce manipolandosi e
lasciandosi manipolare per giungere all'acme del piacere.
Questi riti diffusissimi nel sudest asiatico erano irradiati
prima di altri dall'India che li celebrava solennemente e,
seppur parzialmente riadattati dalle voghe colonialiste
34
europee, costituivano ab initio il passaggio spettacolare di
giovani donne da semplici individui sessuati a generatrici
di nuova umanità, mentre i maschi si ergevano a loro
difensori e a loro compagni di piacere (!!).
Non si intravvede in alcun caso un impegno di unione
fra sessi diversi o uguali o altri legami particolari durevoli
nel futuro. In altri termini finito l'amplesso, calava il
sipario sullo spettacolo, magari per prepararsi alla
prossima scena con nuovi attori.
Per me era un'espressione artistica di ammirevole e
eccitante libertà derivata dalla cultura dello spettacolo
erotico indo-persiano che esaltava in tutti i modi il
divertimento umano universale del fare all'amore.
Specialmente il corpo femminile fa più spettacolo
rispetto al maschile? Sissignori. Ciò tradisce e conferma
una prevalenza storica di società maschiliste nel mondo,
recente e attuale, pur sempre incantate dai misteri del
corpo femminile che la scienza oggi va svelando.
Ritornando nella cultura occidentale non va dimenticato
che il papa Pio XII, sedicente capo del cattolicesimo
universale, riconobbe soltanto nel 1957 che l'uomo e la
donna erano uguali in diritti e dignità! Riconoscimento
ambiguo di fronte ad altri sessi possibili che la chiesa
ancora vede come mostruosità da celare o quando si
tratta della sessualità eccitante e divertente.
E non erano forse adibiti agli spettacoli con contenuti
sessuali (obscenum ossia in origine che riempie la scena)
gli anfiteatri romani e greci come si riesce a desumere dal
Satyricon di Petronio del I sec. d. C. o dagli affreschi e dai
locali-teatri di Pompei? E come mai al contrario la
35
<disprezzata pornografia> è quasi assente nei dipinti
delle caverne della preistoria?
Non m'imbarco qui in una storia della pornografia
poiché non ne avrei la preparazione necessaria, sebbene
mi solletichi l'idea di farlo per quanto ho imparato
sfiorando l'enorme quantità di materiale presente su
internet e di questo tratterò qui e là, magari ritornando
su certi punti che finora ho evidenziato di sfuggita.
36
Capitolo primo
Scelta e uso delle fonti
Un'indagine storica inizia sempre con la prima tipica
domanda: Dove posso raccogliere le informazioni che mi
servono? Come selezionare le fonti da me scelte: Sulla
base della cronologia o dell'affidabilità descrittiva?
Oggi con le nuove tecnologie e con i nuovi mezzi di
comunicazione quantità enormi di dati sono accessibili
rapidamente e facilmente, purché si abbia l'accortezza
nello scrutinarli giacché i siti in internet, ad esempio
Wikipedia, a volte non sono tranquillamente degni di
fede né tempestivamente aggiornati. Dico ciò perché anni
fa invece ci si doveva accontentare degli sforzi dei
cosiddetti appassionati che per fortuna o per lavoro
riuscivano a accedere ai documenti scritti. Frequentando
i musei e le biblioteche, osservando e poi meditando
pubblicavano i risultati dei loro studi nelle loro lingue e
presso le loro università in forma di manuali e letteratura
di vario genere. C'erano argomenti permessi e altri
considerati frivoli o addirittura volgari e da non divulgare
né tanto meno da investigare. E l'argomento sesso o
sessualità nell'Europa dominata dall'ideologia cristiana
37
anti-sessista (nel senso “contro il far sesso”) è stato fino a
qualche anno fa un tabù perché questione peccaminosa e
indecente. Il poco che galleggiava nel mare dell'ignoranza
“prescientifica” era tenuto chiuso nei cassetti (vaticani in
particolare) fuori dalla portata del ricercatore scettico e
curioso (K.-H. Deschner 1980).
La Rivoluzione Russa d'Ottobre (novembre) 1917 stessa
– dato che mi occupo di storia antico-russa – di fronte
all'argomento amore libero su cui si doveva legiferare per
liberare le donne neo-sovietiche dai vincoli di matrimoni
non voluti o da mestieri femminili marchiati col disprezzo
della comunità etc. non seppe che pesci pigliare a
riguardo (G. Carleton 2005). I simpatizzanti americani
contemporanei, seppur entusiasti dello straordinario
evento che avrebbe introdotto il potere popolare e il
concetto di repubblica fra regni e imperi guerrafondai di
un'Europa invecchiata, a causa del puritanesimo che si
erano trascinati nel Nuovo Mondo lasciando l'Inghilterra
di Carlo I, non seppero dare indicazioni ai rivoluzionari
russi su come legiferare per la pratica dell'amore libero e
alla fine sull'attività sessuale e sul suo peso nella nuova
società sovietica si ritornò con Stalin al gran silenzio
legislativo pre-rivoluzionario.
I.S. Kon, sessuologo post-sovietico, nell'introduzione al
suo lavoro La Cultura Sessuale in Russia (1997) scrive:
«Qualche anno fa in occasione di uno dei primi
programmi comuni americano-sovietici in TV all'alba
della perestroika alla domanda di un americano a una
delle nostre collaboratrici leningradesi fu chiesto come
andavano le cose in URSS sul soggetto sesso. La risposta
38
fu [con tipica, immediata e perentoria autocensura]: Da
noi non si fa sesso!»
Il tempo è passato e le cose sono cambiate in Russia ed è
giunto il momento di parlare di sesso e di sessualità pure
per il Medioevo Russo sulla falsa riga di recentissime
indagini ora che il velo della censura sovietica è stato
strappato. Alcuni ricercatori moderni russi li ho inclusi
nell'ambito dei miei studi, ma ho cercato e selezionato
anche le fonti un po' più antiche seguendo i criteri soliti
dell'affidabilità imparati dalla pratica didattica e, se ne
parlo qui, lo faccio affinché il lettore non solo vi si possa
riferire andandosi a leggere la bibliografia in fondo al
presente saggio, ma si senta stimolato a indagare di
persona ulteriormente.
Prima di tutto parlerò delle cosiddette Cronache dei
Tempi Passati che d'ora in poi abbrevierò in CTP. È una
sorta di letteratura storica abbastanza importante che
cominciò a esser prodotta nel XI sec. a Kiev con parecchie
limitazioni interpretative e molta fiction. Le CTP in più
hanno la peculiarità di essere state quasi santificate dalla
storiografia sovietica essendo considerate in grandissima
parte veritiere sebbene mancassero accurati riscontri
incrociati con altre fonti contemporanee disponibili (R.
Picchio 1993). In realtà sono state scritte da monaci
istruiti all'interno del sistema ideologico vigente a
Costantinopoli riattato per la Pianura Russa dopo la fine
del X sec. con tutto il bagaglio dottrinario religioso. Fino
al XI sec. ancora disorganizzati a produrre documenti
ufficiali per il potere, l'intento degli amanuensi di lingua
slavo-bulgara a Kiev nel sud e a Grande Novgorod nel
39
nord non è di riferire eventi rigorosamente reali raccolti
presso testimoni locali, ma di scegliere per poi inserire
nella riduzione annalistica porzioni di eventi affinché
servano ad esaltare la supposta azione divina della nuova
e cristiana nazione slavo-russa ai suoi primi passi verso la
gloria della cristianità nel nordest finora trascurato. Non
solo! I monaci, stendendo e illustrando, si prodigarono
pure nella produzione letteraria “edificante” dei nuovi
vescovi che scrissero sulle attività sfrenate e peccaminose
dei contadini locali. In breve rinvigorendo il metodo del
citato Sulpicio Severo in chiave slavo-russa...
Attenzione però! Metto in chiaro un fatto basilare a
questo riguardo: Documenti originali delle prime CTP
non esistono perché non ne sono mai stati redatti! Le
CTP a disposizione sono sedicenti copie redatte a partire
da non prima del XIII sec. d.C. ed è in esse che sono
menzionate CTP anteriori effettivamente mai scritte (S.
Griffin 2019). Non è un aspetto positivo per lo storico, ma
era l'uso del tempo di inventare o abbellire la storia
della cristianità ortodossa e cattolica!
Alle CTP a partire dal 1950 ca. si sono affiancati gli scavi
archeologici non appena l'archeologia è stata riconosciuta
ricerca storico-scientifica e tolta dalle mani di antiquari
arruffoni e posso dire che tantissimo è cambiato nei
contenuti, sebbene resti ancora sotto direzione maschile.
Infine – last but not least! – c'è il ricco materiale
folcloristico che abbraccia l'oralità popolare nei suoi vari
generi dai proverbi ai racconti, dalle danze ai riti religiosi
etc. che con pazienza sono stati registrati nel XIX sec.
quando gli strumenti erano una matita e a volte, se era
40
disponibile la corrente elettrica, un registratore a nastro
per trascrivere la memoria delle vecchie contadine.
Molte testimonianze provengono pure dai circoli
letterari scandinavi, ma questi narratori, Olao Magno o le
Saghe islandesi fra gli altri, non danno informazioni se
non indirette di persone rientrate in Svezia dopo aver
partecipato a qualcuna delle numerose campagne militari
condotte nella Pianura Russa a scopo di conquista o in
scorribande economiche. Tali narrazioni si interessano
poco di costumi, di religioni e di culture sessuali, ma in
qualche misura possono servire di raffronto, sebbene
siano state composte secoli dopo gli eventi raccontati.
Una fonte molto più tardiva, XIX sec., è l'archivio del
principe V.N. Tenišev dove si trovano informazioni sui
costumi contadini che senz'altro hanno conservato
antiche norme e perciò lo cito (I.S. Kon, 1997).
Tornando alle CTP, posso dire che esse esistono grazie
alla sponsorizzazione di Jaroslav il letterato (mudryi) che
favorì il sorgere di conventi e dei relativi scriptoria dove
gli amanuensi potessero lavorare.
Jaroslav fa costruire la cattedrale di Santa Sofia e nel
coro a primo piano sull'entrata principale pone il suo
ufficio e in quotidiano contatto col Monastero delle
Grotte trasmette notizie e informazioni all'amanuense
incaricato di stilare gli annali del nuovo stato.
A che servono gli annali? A costruire la storia cristiana
della dinastia inaugurata da Vladimiro il santo che il dio
creatore stesso secondo i suoi sconosciuti e inconoscibili
disegni condurrà verso la gloria dell'azione di governo.
Sono modelli storiografici in uso a Costantinopoli da
41
secoli che l'amanuense kievano imiterà a partire da
Giovanni Malala del VI sec. autore della Cronografia,
una storia universale popolare di scarsa attendibilità.
Kiev, la città capitale eletta per il novello stato dei Rus e
dove avvennero le prime evangelizzazioni di massa
ufficiali, era frequentata da genti di diversa origine
geografica e culturale portatrici di varie religioni fra cui
l'islam, l'ebraismo e i paganesimi di vario tipo. Fu ciò che
probabilmente attirò le velleità del primo sovrano slavorusso, l'appena citato Vladimiro padre di Jaroslav, nei
suoi sforzi volti all'istituzione di una Chiesa Russa.
Le intenzioni sue sono abbastanza chiare: Vuole entrare
nella comunità cristiana internazionale in modo da
poter direttamente partecipare alle attività economiche
del continente e trarne profitto per sé e per i suoi accoliti
armati (russo družina). Vladimiro intuiva di trovarsi in
un grande giacimento di materie prime, la foresta, che già
l'occidente richiedeva e sfruttava e sognava pertanto di
vivere in un palazzo pullulante di ricchezze. Questo è ciò
che permise all'ideologia cristiana con la sua struttura
materiale di libri e di chierici di piombare nel bel mezzo
della multietnicità variegata kievana purché Kiev fosse la
capitale dello stato che comprendesse e custodisse i suoi
tesori. Di per sé ogni comunità alloglotta era qui presente
con sedicenti nobili e poteva perciò funzionare bene da
centro di raccolta di merci e di idee. Rinchiusa in barriere
naturali e con i suoi quartieri ben recintati, fra cui la sede
del potere varjago-slavo situata per ragioni strategiche
nella Città Alta con postazioni fortificate tutt'intorno, era
al momento la postazione più favorita mentre la Città
42
Bassa (Podil) sulla riva del fiume Dnepr restava abitata e
sotto il controllo delle varie etnie.
All'inizio il cristianesimo si dichiarò sostenitore del
potere varjago-slavo e furono richieste a Vladimiro azioni
di forza contro i riluttanti al battesimo e pare che un paio
di sortite con le armi nella Città Bassa ribelle risultassero
in parte efficaci. La chiesa aveva però il rimedio
all'insuccesso ossia l'indottrinamento sottile inteso a
eliminare ogni differenza fra comunità e comunità con la
parola e con lo spettacolo ossia con la predicazione più
sofisticata con professionisti. In queste operazioni risultò
di per sé oltremodo difficile convincere l'élite che si
dovesse al più presto imporre un'unica lingua nell'intero
dominio. Si spiegò e rispiegò che giusto in tal maniera si
sarebbe consentito alla gente di capire e di assimilare non
soltanto la “parola divina cristiana”, ma a raccogliere il
consenso amorevole per il sovrano che introduceva e
diffondeva leggi e regole nella prospettiva del benessere
futuro migliore per i suoi sudditi. Un avvenire roseo
d'altronde, se spalmato troppo lontano nel tempo, non
sarebbe stato credibile nel mondo pagano assetato, sì, di
racconti meravigliosi, ma con effetti immediati.
Mi pare che le fonti non riuscissero a superare una
difficoltà primaria: Comunicare usando la viva parola in
una lingua comprensibile. I missionari o i parroci erano
perlopiù bulgari e usavano il cosiddetto paleobulgaro o
slavone ecclesiastico, lingua artificiale (quale lingua non
lo è?) creata da (Costantino)-Cirillo e da suo fratello
Metodio come koiné slava, ma che a Kiev pochissimi
padroneggiavano.
43
È una questione importante, lo ripeto, quella della
lingua veicolare giacché per secoli separò il mondo
contadino da quello delle città. Né si deve dimenticare
che gli accordi parlati fra Vladimiro e il prelato assegnato
avvenivano fra due personaggi autoritari all'estremo per
la loro posizione al vertice e che Vladimiro parlasse chissà
che lingua “slava” mentre il prelato era greco e si serviva
di monaci interpreti bulgari bilingui.
Sia come sia il proposito dell'indottrinamento iniziò
proprio da queste interlocuzioni. Si vantò che il celibato
del clero (più tardi pure per le nobili kievane fatte
badesse fra cui la consorte di Vladimiro, Roghneda, ma
solo dopo aver generato ben 5 figli!) era la meta più alta
che lo spirito umano, essenza divina imprigionata dal dio
cristiano nel corpo destinato alla morte, potesse mai
conseguire e dunque quanto un membro del clero diceva
andava ascoltato e obbedito. Il celibe (e la donna tornata
nubile) era capace giusto in seguito al sacrificio sessuale,
l'ascesi, di contemplare con dedizione e umiltà il supremo
mistero della gloria e della potenza divine e fosse perciò
in grado di spiegarlo prima di abbandonare i vivi.
L'etica da introdurre subito quale principio basilare era
che chi comanda, sia moderato nell'attività sessuale e
abbandoni l'ostentazione della virilità con le armi in
pugno e passi all'ozio santo del padre consolatore, pur
restando autoritario e ineffabile.
Non so se raccontarono a Vladimiro il particolare che i
vescovi costantinopolitani al momento dell'ordinazione
lasciavano moglie e figli e che qualcuno di loro addirittura
si faceva castrare per restare celibe per il resto della vita.
44
Posso immaginare la reazione di Vladimiro, se avesse
conosciuto e scambiato qualche informazione con
Liutprando da Cremona in visita nel X sec. sul Bosforo
quando il vescovo goto non solo constatò la presenza di
numerosi eunuchi nella corte imperiale, ma non appena
venne a sapere dei colleghi castrati, raggiunse il culmine
dell'avversione per il clero di questa Roma d'Oriente e da
subito evitò ogni contatto che non fosse inevitabile. In più
un uomo evirato non annullava forse ogni differenza
visiva e fisica fra i sessi (D.F. Noble, 1994) eliminando
ogni attrazione sessuale?
Niente piacere sessuale, niente piacere nella crapula di
una festa o nel bere smodato e via via niente di tutta una
serie di piaceri fisici per amor della chiesa, sedicente
custode dello spirito che l'uomo ha racchiuso in sé da
difendere. L'edonismo, la chiesa lo affermava in ogni
caso, è da interpretarsi senza eccezioni peccaminoso e
offensivo della divinità e prelude a severe punizioni
poiché, si avvertiva, il demonio aspira a distruggere
l'uomo pio e l'universo suo allettandolo e solleticandolo.
Accenno a tutto ciò perché Vladimiro ormai consacrato
cristiano incontrò e scambiò idee con Bruno, vescovo
“latino” di Querfurt non castrato, in passaggio da Kiev
diretto fra i nomadi peceneghi per la propaganda della
fede. Bruno peraltro è molto critico da vescovo cattolico
di fronte alle numerose concubine (800!) che il sovrano
kievano pretende con orgoglio di mantenere. Certamente
non glielo dirà in faccia, ma lo scriverà nelle sue carte,
confermando i punti di vista nettamente divergenti con
cui i due interlocutori guardavano quelle giovani: (1)
45
Vladimiro le vedeva come ostaggi che gli assicuravano il
dominio dei territori da lui assoggettati e (2) Bruno come
“oggetti sessuali” per un maschio assatanato.
Righe e righe delle CTP sono piene di questi discorsi da
parte del filosofo bulgaro destinato a indottrinare
Vladimiro affinché su queste basi teoriche allargasse la
visione occorrente ad impostare una santa cristiana
guerra contro i paganesimi, l'islam e l'ebraismo nella
Pianura Russa.
Toccava ora a Vladimiro partecipare attivamente con i
suoi armigeri alla liberazione sia di se stesso come
sovrano sia dei suoi sudditi dalle grinfie del demonio
pagano! Toccava a lui non tener in gran conto la vita
terrena in un universo ostile e fare attenzione affinché si
evitasse il ripetersi selvaggio del maledetto “peccato
originale” che era cosa tremendamente peggiore.
Troppe leggende a riguardo sono contenute nelle CTP e
negli annali bulgaro-kievani di Ġa'far Tarihi (Storia di
Almyš-Ġa'far) e alla fine in questi documenti la funzione
dei varjaghi in tempi anteriori al battesimo è niente di più
che controllare i movimenti per conto dei bulgari e dei
cazari lungo il tratto di fiume dove sorgeva lo sperone
kievano alla confluenza del Dnepr col Pripjat!
Il parroco è il maschio da emulare.
Una colonizzazione ideologica ai primi contatti nei
dintorni di Kiev e qualche anno dopo nei dintorni di
Grande Novgorod, risultò piena di ostacoli quando si
insisté da parte dei monaci a voler definire quali fossero i
46
comportamenti rituali aberranti diffusi nella Pianura
Russa rispetto ai canoni consolidati nella dottrina per poi
procedere rapidamente per sopprimerli. Il compito fu
affidato come di consueto al personale ecclesiastico
giovane mandato in giro a predicare dopo un presumibile
tirocinio apparentemente esauriente.
Nel Paterik (raccolta delle vite dei venerabili superiori
del Monastero delle Grotte) si legge di uno di quei
giovani monaci che interpella il reverendo Mosè l'Ungaro
sul fatto di aver notte tempo degli stimoli sessuali sotto
forma di visioni di donne nude nella sua cella. Chiede
perciò se è peccato sopirli da sé masturbandosi oppure
come fare per liberarsene. Mosè che, per quanto si legge
nella sua vita di predicatore, è riuscito a resistere alle
profferte sessuali di una principessa slavo-russa
innamoratasi di lui col rischio di essere ucciso per tale
rifiuto, è lieto di dare il suo consiglio. Innanzitutto che il
“peccatore” non faccia all'amore con se stesso e poi che si
sottoponga alla penitenza di non parlare per il resto
della vita con nessuna donna. Altrimenti? C'è una sola
via d'uscita: la castrazione mentale o fisica! Che punisca i
suoi genitali con gioia e nel dire ciò col bastone pastorale
Mosè colpisce con forza il giovane monaco nei testicoli e
il gioco è fatto: Il monaco non andrà più a predicare e
resterà in clausura per un bel po'.
Se per i monaci la soluzione è per così dire chiara e nota,
per i parroci, indispensabili operatori fra la gente
comune, non lo è altrettanto. Nell'ortodossia i preti
atterravano nella parrocchia assegnata con la loro
famigliola a rappresentare il modello matrimoniale ideale
47
che i parrocchiani dovevano emulare. Ai parroci era
permesso sfogarsi nel sesso con la propria moglie, ma,
siccome con lei e con gli eventuali figli si abitava fra gente
straniera per una vita intera, era giocoforza avere contatti
stretti con i locali ed essere impressionati dalle loro
abitudini. Alla fin fine era quasi impossibile non
partecipare alle feste comunitarie. Beninteso: niente
avventure extraconiugali, niente giovani mantenute o
giochetti sessuali con bambini e adolescenti, niente
divorzi e nemmeno un nuovo matrimonio dopo una
vedovanza. Lo stesso regime si applicava ai parrocchiani e
non era più permesso fare all'amore quando se ne sentiva
lo stimolo, bensì di stare attenti ai giorni prescritti e a
quelli proibiti. L'etica cristiana inoltre prevedeva il coito
senza fantasie erotiche e, si diceva, che di solito erano le
donne a suggerire con insistenza nuove tecniche amorose.
Un calcolo citato da I.S. Uluhanov (2015) dà per il
periodo X-XIII sec. l'esistenza nella Pianura Russa di 10
mila chiese (comprese le cappelle votive) e 200 monasteri
che non sono tantissimi, se si guarda la poca consistenza
numerica del personale e le dimensioni minori di queste
istituzioni. Guarda caso però, i dottrinari in dotazione
nelle parrocchie slavo-russe circolarono poco forse
perché costosissimi e dunque rari tanto che fra il basso
clero si citavano regole e riferimenti spesso a memoria.
Dei penitenziali malgrado tutto ce ne sono giunti, seppur
datati XV sec., e l'impianto di questi manuali è assegnare
a ogni peccato sessuale, ben descritto nei minimi
particolari, la pena adatta pur tenendo conto degli usi
locali come attenuante. La confessione non era segreta né
48
spontanea e prete e fedele si guardavano in faccia e il
fedele rispondeva sì o no incalzato dalle domande del
parroco del tipo: Hai fatto tu questo? E con chi? Quante
volte? In qual modo e dove? Simili interrogatori
avvenivano, lo ricordo ancora una volta, usando un
idioma con cui i parroci non erano tanto sicuri di esser
compresi né di comprendere bene quanto in sé e per sé
era loro confessato dal parrocchiano.
Il parroco inoltre aveva il dovere di denunciare gli
“aberranti” di cui fosse venuto a conoscenza dipingendo i
loro atti come odiosi e sporchi alla gente del villaggio e
avvertendo che quei peccatori correvano il rischio di
subire una punizione divina immediata sia individuale
come un attacco cardiaco improvviso sia collettiva come
un fulmine, una morìa di bestie o altro evento dannoso
per l'intera comunità. Se si scopriva che il parroco avesse
trascurato di far denuncia pubblica o avesse trascurato
una delazione di peccato sessuale o fosse addirittura
scivolato nell'invito a far sesso con lui/lei “come
espiazione”, allora era immediatamente da richiamare,
licenziare e trasferire in altra sede.
In breve una semplice copula o altra impresa sessuale
era solitamente l'oggetto delle divertenti riunioni orali dei
circoli famigliari (bezedki) piuttosto che un sollecito a
raccontarlo al prete e confessarsi e certi discorsi fra i
giovani erano frequenti durante l'autunno-inverno
quando i campi erano in quiescenza. C'era sempre chi
sapeva raccontare un amplesso come un'avventura e ne
sottolineava gli aspetti pruriginosi stuzzicando la
curiosità (M. Dikarev repr. 2020). La confessione presso
49
il parroco al contrario, trasformava la stessa scena in un
psicodramma quando lo stesso peccatore doveva
condannarla pentendosi e vergognandosene, ma non
certo impedendosi in cuor suo di ripeterla in futuro una
volta uscito dalla chiesa.
Su situazioni del genere i prelati che sapevano leggere e
scrivere e che gestivano gli scriptoria dei conventi slavorussi, produssero una notevole (tardiva e non copiosa!)
letteratura di tipo edificante come le infiorate Vite di
santi oltre alle poche lettere fra mercanti e chiesa o le
composizioni poetiche elaborate e messe a punto nei
conventi da cantare. Purtroppo i testi originali in gran
parte sono andati perduti e ne conosciamo i titoli o
qualche ridotto frammento dalle copiature risalenti ai XV
e XVI sec. quando Mosca diventò capitale di uno stato!
Sia come sia, finché non fu chiaro quale fosse il reale
dominio del sovrano kievano e quali fossero i suoi
sudditi e le prospettive ulteriori per l'occupazione di
territorio vergine necessario all'economia di sussistenza,
l'evangelizzazione non procedé in termini spediti senza la
protezione armata da parte dell'élite. Il personale
ecclesiastico non fece tanti passi in avanti e mi pare che
fino al XIII sec. una cristianizzazione totale rimanesse
allo stadio di puro desiderio.
Ritornerò sulla questione parroco più avanti mentre al
momento dirò che il primo Metropolita greco diretto a
Kiev, Teofilatto, alla prima sosta, Perejaslavl-del-sud, a
lungo non osò continuare il viaggio per la paura giacché
accompagnava Anna, la principessa a lui affidata sorella
dell'imperatore, destinata in sposa a Vladimiro. Nella
50
prima decade del XI sec. era ancora in costruzione inclusa
nel cerchio delle mura di difesa della Città Alta una
chiesa degna e il clero, finora minacciante di ripartirsene,
doveva aspettarne il completamento. In seguito per
maggior sicurezza fuori città fondò il Monastero delle
Grotte (Pečerskaja Lavra) scavando con le proprie mani
sulle colline tufacee lì a quatto passi e lo elesse a sede
dell'arcivescovo metropolitano di nomina patriarcale!
L'altra sede arcivescovile importante della Pianura
Russa fu Grande Novgorod in prossimità del Mar Baltico
in piena area etnica ugro-finnica. Qui la chiesa fu
costretta ad asserragliarsi all'interno dell'abitato con
strette misure difensive tanto da vantare una cinta di
mura di mattoni in una città costruita quasi interamente
in legno e con mura pure di legno.
Se però Kiev accettò il regime “monarchico” di
Vladimiro e dei suoi discendenti, a G. Novgorod (per
comodità abbrevio così il toponimo nel prosieguo del
testo) non fu lo stesso. Fino al XV sec. restò una
repubblica oligarchica sui generis e l'unica dipendenza da
Kiev fu l'arcivescovo che per le prime volte fu assegnato,
non proprio direttamente, dal Metropolita kievano. In
seguito il prelato fu di estrazione locale e sottoposto
soltanto in posizione dialettica all'autorità del Monastero
delle Grotte di Kiev che lo avrebbe riconfermato.
Pratiche rituali multietniche.
Non insisterò sulla multietnicità dei territori di nordest,
se non entro uno schema di grossolana ripartizione di
51
uno stretto numero di gruppi etnici sparsi nell'enorme
foresta boreale europea nel X-XI sec. C'è così un nord
abitato in prevalenza da ugro-finni dal Mar Glaciale
Artico fino agli inizi della foresta boreale o taigà poco a
sud del Circolo Polare Artico ed è la biocenosi dove gli
uomini vivono più volentieri ai suoi margini lungo i
grandi fiumi che l'attraversano in lungo e in largo e le rive
baltiche e dove le etnie coabitanti sono di bassissima
consistenza numerica.
All'epoca che mi tocca predominano nella taigà gli
slavofoni su balto-slavi e ugro-finni. Verso sud la foresta
si rarefà e comincia la steppa alberata (lesostep') cioè
un'ampia fascia a nord delle cosiddette terre nere
(černozjòm) fertilissime e più facili da coltivare.
A sud di Kiev e di Černigov c'è l'ultimo lembo di
Pianura Russa vera e propria che finisce sulle rive del
Mar Nero. Qui è ormai la steppa (step) dove i pastoriallevatori nomadi vi si alternano nei pascoli e provengono
dall'Asia Centrale da tempi immemorabili. Turcofoni in
maggioranza, si scontrano spesso con le altre etnie
limitrofe, specie caucasiche.
A causa dei mutamenti climatici o forse per i sentitodire sull'esistenza di regioni più fortunate a sud, i gruppi
etnici ugro-finnici tendevano con gli anni a dirigersi dal
loro nord all'incontro con i balto-slavi, questi ultimi in
migrazione contraria verso nord. Alcuni gruppi ugrofinnici giungono in prossimità delle sponde del Mar Nero
abitate dai greci con la loro invidiatissima cultura e si
mescolano in un pot pourri con altri barbari celtici e
indo-iranici, con i nomadi turcofoni e con gli orticultori e
52
agricoltori slavofoni (A. Kappeler 2006, S.A. Pletnjòva
1990, P.P. Toločko 1999).
Solitamente quando i popoli vengono a contatto, per
riuscire a convivere nella stessa area è giocoforza
meticciarsi evitando i conflitti poiché essere in perenne
migrazione o in perenne regime di guerra logora il tessuto
etnico. Negli spostamenti la gente porta con sé la propria
identità culturale peculiare anche in ambito sessuale e, in
funzione delle mescolanze, i costumi risultano dopo
qualche tempo ibridi sotto i vari aspetti.
A. Rubljòv ca. XV sec. Trio di angeli
Nei contatti interetnici si infiggono elementi nuovi nelle
abitudini del fare all'amore che si ritrovano abbelliti nel
53
folclore sotto l'erotismo favoloso degli eroi slavi e ugrofinnici. Non solo! Il bisessualismo, il transessualismo i
travestitismi sono aspetti accettati tranquillamente nelle
culture slavo-russe, turche e ugro-finniche come doni
degli dèi. Rendono sacri i portatori di diversità talmente
che alcuni di loro – uomini o donne o trans – i cosiddetti
effeminati e rispettivamente le cosiddette maschiacce
sono ritenuti individui i soli degni di eseguire rituali e
pratiche sciamaniche speciali.
È importante la tradizione orale sulla questione perché
fornisce indizi e episodi riguardo i comportamenti dei
gender sopracitati e sono dell'idea personalmente che gli
angeli cristiani dipinti nelle icone da Andrei Rubljòv si
rifacessero proprio a quei personaggi accennati poc'anzi.
Ho scritto di sacerdoti segnati nel corpo dagli dèi e dei
rituali a cui costoro erano infine addetti, manca però per
le etnie della Pianura Russa e tanto meno per gli slavorussi una mitologia organizzata nel modo classico con un
olimpo di dèi e di altri esseri straordinari a cui rivolgersi
con rituali standardizzati. E dunque come e quali dèi
servivano i sacerdoti pagani?
Per fortuna gli etnografi dopo una faticosa raccolta
messa a punto nel XIX-XX sec. una certa misura di
ordine l'hanno fatta e peraltro in ambito sessuale utile
alla mia ricerca. Ho così trovato alcune cosiddette bylički
o byline brevi in cui si accenna alle abitudini famigliari
nell'intimità e ciò mi ha chiarito qualche punto incerto o
oscuro, pur tenendo conto delle stratificazioni createsi col
passar delle generazioni (O. Kotovič & J. Kruk, 2013).
Nel caso dei reperti archeologici i problemi attengono
54
non tanto alla datazione quanto
all'interpretazione dei reperti stessi
discussioni specialistiche talvolta lunghe
favoriscono, una volta pubblicate, altre
fantasticherie.
al contrario
che causano
e complicate e
speculazioni e
Una ricostruzione materiale della società slava del X-XI
sec. finora da me qui sommariamente accennata ha buoni
riscontri nei reperti archeologici nella foresta polaccobielorussa (Łodž) dove un intero villaggio dell'Età del
Ferro è stato riportato alla luce, Biskupin. Il fallo (russo
jarun) di legno in figura trovato negli scavi era usato
evidentemente per riti a sfondo sessuale piuttosto che
come strumento (tecnicamente dildo) per masturbarsi. È
da notare che è in legno di quercia, albero sacro al dio
55
della tempesta Perun, esso stesso al contempo divinitàsimbolo della forza virile. I frutti della quercia, le
ghiande, non solo rassomigliano moltissimo al glande
umano col suo prepuzio, ma addirittura in parecchie
lingue europee glande e frutto della quercia sono varianti
della stessa parola a riconferma che la quercia alla fine
era un simbolo fallocratico.
È lecito quindi secondo me affermare che Perun è il dio
che abita nelle querce e usa il fulmine come arma e che il
fulmine rappresenta esattamente lo spruzzo spermatico
divino che sotto forma di semplice pioggia sollecita la
56
fertilità della terra, ma se colpisce un essere vivente
brucia e può uccidere...
In zona caucasica (Cecenia) si è conservato a
testimonianza delle frequenti mescolanze etnico-religiose
il nome del dio ceceno della tempesta Pirjò o Pirjòn quasi
omofono col precedente Perun e a lui è attribuita la stessa
potenza fallica che poi passa all'uomo maschio.
In tale ottica nelle montagne caucasiche (Daghestan) si
tiene addirittura ben custodito in cantina un fallo di
pietra unto regolarmente in certe occasioni dalle donne di
casa (v. figura).
A G. Novgorod intanto fra i graffiti scoperti e salvati
nella cattedrale di Santa Sofia, costruita sullo spazio di un
ex tempio pagano, è stato ritrovato quello qui riprodotto
in figura (V. Dolgov, 2007) in cui il graffitaro di quel
tempo impetrava, se la scritta in russo pomoc' cioè
aiutami ha questo intento, la divinità di esaudire la sua
richiesta di appuntamento con l'innamorata.
E non è questa una prova della riconosciuta sacralità del
57
sesso agli occhi dei cristiani paganeggianti del XI sec. e
dell'obbligata indulgenza verso il fedele indaffarato a
sgraffiare i muri?
Perun, nel dialetto slavo-russo del nord diventa Peryn o
Volos a G. Novgorod e corrisponde al finno-ugrico
Jumala o Jubmel. e vivevano insieme e in pace prima
dell'arrivo del cristianesimo.
Le tre etnie fondatrici della città: slava, baltoslava e
ugro-finnica avevano ognuna un tempio sulle alture a
sudovest della città. I tre templi scavati dagli archeologi
sono gemelli non tanto perché dedicati alla stessa divinità
quanto invece per indicare la parità civile e religiosa dei
tre gruppi fondatori.
Nella figura c'è la ricostruzione di uno di quei templi con
il fallo di legno al centro mentre soffia il vento tipico
locale che annuncia la nuova stagione.
E infine come non fare un confronto pure fallico del
famoso idolo di Zbruč della figura ancora più avanti con
58
le erme greche e romane?
L'idolo è un palo di pietra locale a sezione quadrata, ma
il cappuccio sulle 4 teste umane in cima non è forse un
glande denudato del prepuzio? Le erme, peraltro molto
comuni (benché più antiche) nella Mitteleuropa, hanno
un'estrema analogia con il detto idolo.
Riproducevano il dio greco Hermes o l'omologo latino
Mercurius il cui simbolo era appunto il fallo (hermes in
greco). Tali rappresentazioni in pietra erano poste lungo
le strade dell'Impero Romano e sappiamo che favorissero
il fiorire delle messi e le proteggessero.
Non sono riuscito a sapere invece per quali funzioni
59
divine l'idolo slavo fosse venerato e, benché ne siano stati
trovati altri simili, per il resto, salvo l'assenza del caduceo
o kerykeion di Hermes/Mercurio e della bacchetta con i
due serpenti attorcigliati, la coincidenza è sorprendente.
È molto probabile che facesse parte di un santuario su
un'altura e che fosse infisso in una pedana di legno al
centro di un recinto/locale sacro orientato secondo i 4
punti cardinali. La figura alla base rammenta il titano
Atlante con l'universo in groppa.
Esisteva la corrispondenza amorosa nel Medioevo Russo
in cui ci si scambiava missive per parlarsi d'amore? Certo!
A G. Novgorod ne sono state ritrovate numerose, a
denuncia della maggiore alfabetizzazione almeno delle
donne, seppur le comunicazioni sono brevi e scritte su
scorza di betulla (berjòsty). Ce n'è un paio interessanti
del XIII sec. e in una (catal. NGB [6], No. 377) si legge
nella mia traduzione un intreccio di relazioni complicate:
Da Mikita (m) a Anna (f). Vieni da me [all'amore!]. Io ti
desidero intensamente e tu me [altrettanto]. Ignat (m) è
testimone [della mia intenzione].
Un'altra berjòsta addirittura esprime dispetto in fatto
d'amore (NGB No. 752 databile 1080):
[Ti ho scritto] ben tre volte. Cosa hai contro di me che
non sei venuto da me questa settimana? Ero ben
disposta verso di te come verso un fratello. Ti sei offeso
perché ho mandato a cercarti? Vedo che non ti va
altrimenti avresti lasciato i tuoi e saresti venuto subito
60
[….] da qualche parte. Scrivimi dunque […] ti lascerò.
Se pure ti sei offeso per la mia foga amorosa [in russo
follia] e cominci a prendermi in giro, dio e la mia umile
rassegnazione ti condanneranno.
Insomma ieri come oggi esistevano vari modi di farsi la
corte per giungere al coito con l'amante desiderata e,
come si vede, l'archeologia dà una mano per scoprirli e
descriverli nei messaggi del XIII-XIV sec.
Da notare è che, a parte i nomadi turcofoni delle steppe,
le etnie meridionali della Pianura Russa erano in
maggioranza portatori di lingue e culture indoeuropee e
quindi con culti religiosi e regole di vita abbastanza
riconoscibili e sovrapponibili. I culti della Grande Dea
Madre ad esempio non furono cancellati nella tradizione
e si trasmisero in riti, abitudini e costumi da madre in
figlio/a lasciandoci immaginare la persistenza di società
in prevalenza matriarcali dove le divinità di sesso
maschile furono imposte in maniera ripetuta a seguito di
più invasioni di popoli indoeuropei ostili ai governi
capeggiati da donne (M. Patou-Mathis 2019).
Anzi! Dalle ultime ricerche sul genoma degli europei
attuali di nordest posso affermare che alla loro
composizione concorsero 3 flussi genetici distinti in
corrispondenza di 3 invasioni dal Centro Asia e dall'Africa
nel nostro continente. La prima è databile 40 mila anni
fa, la seconda 9/7 mila anni fa e l'ultima 5-6 mila anni fa e
quest'ultima apportò non solo la deriva genetica dei
capelli chiari fino allora quasi inesistente in Europa, ma
anche l'imposizione del dio supremo maschile del cielo al
61
posto della Grande Dea Madre.
In conclusione i culti femminili resistettero perché si
riscontrano durante tutto il Medioevo russo (e non solo in
questo periodo e non solo in questa area culturale, ma in
tutto il nostro continente) benché considerati da qualche
studioso come genericamente “residuali”. Un simbolo
principe di quei culti è la sacra venerazione per il forno
pečka che risale a modelli antichissimi ed è presente nella
Pianura Russa in ogni abitazione affidato in gestione alla
padrona di casa.
Nel modellino di forno trovato (M. Gimbutas 2006) a
Csongrád (Ungheria) del 5000 a.C. è facile riconoscervi
un utero gravido pronto a partorire il cibo principe che
sostiene la vita dei contadini il pane (in russo antico detto
žito dalla radice *živ- vivo) specialmente perché l'intera
comunità ha prodotto il grano e lo ha affidato alle arti
della donna per farne farina da impastare e insaporire.
Accennando alle fonti di notizie storiche per i popoli
ugro-finnici la loro scarsezza anche qui è enorme. Grazie
ai ricercatori dei secoli scorsi i poemi epici, il Kalevala
dei finlandesi e il Kalevipoeg degli estoni, sono oggi
leggibili, ma ciò malgrado sull'argomento sessualità sono
assai carenti.
Di discreto aiuto per i baltoslavi e i loro vicini sono le
Cronache di Enrico il Lettone e di Helmold di Bosau oltre
a quelle di Bruno di Querfurt più altri ecclesiastici
tedeschi e polacchi che riflettono le poche note positive
della colonizzazione crociata teutonico-cattolica.
Benché rischi di scivolare in speculazioni e anacronismi,
devo sceverare un tantino meglio la questione, pur
62
rassegnandomi al fatto che tutte le considerazioni fin qui
da me espresse mancano della voce di teologi pagani
dell'epoca. Sicuramente ne esistettero e ebbero diatribe
coi prelati cristiani sulla religione nei centri più colti di
Bulgar-sul-Volga o di G. Novgorod, ma gli echi dei loro
detti mancano. Il loro pensiero traspare alla fine da quel
poco che i cristiani hanno creduto degno per i posteri.
Alla fine rivolgersi al folclore è giustificato e, se da un
lato questa fonte è preziosa, dall'altro quanto giuntoci
oralmente non è facilmente attribuibile a questa o a
quella etnia né catalogabile nel tempo per un confronto.
C'è in fine al presente saggio il calendario slavo-russo
che col cristianesimo restò saldo come substrato nelle
feste e nei lavori dell'intero anno, visto che la nuova
religione non poteva influire più di tanto nello scorrere
delle stagioni. I giorni e le attività in campagna con le
feste son ben registrati con tacche e figure incise su un
legno a sezione esagonale come l'ho visto usare ancora
oggi in Bielorussia.
I nomadi pastori sono invece legati ai ritmi stagionali
della steppa e alle fregole degli armenti e perciò vivono
solitari e senza una casa fissa per gran parte dell'anno e le
loro mitologie appaiono molto semplificate, a mio avviso.
Evidentemente è l'islam che ha maggior successo fra di
loro senza feste, senza templi e senza preti.
Né mi stancherò di sottolineare che il cibo e le attività
per procurarselo dominavano la vita quotidiana dei
contadini e, siccome erano gli dèi a concedere i frutti, le
mitologie diventano piuttosto complicate, sebbene
giunteci mutile e confuse. E qui i riti orgiastici erano
63
fondamentali per impetrare l'aiuto divino e sollecitare
l'intervento sugli sforzi umani falliti o insufficienti e i
sacerdoti officianti erano gli stessi anziani che gestivano
ad esempio la copula rituale pubblica in onore degli dèi
che imitava l'unità di intenti fra il cielo e la terra.
64
Capitolo secondo
Stare insieme
Nel primo codice civile-penale slavo-russo o Pravda
Russkaja si percepisce chiaramente il tentativo cristiano
di rimpiazzare le attività familiari contadine con concetti
legislativi fortemente alieni al paganesimo di nordest:
proprietà di terreni, parentela patrilineare etc.
È diffusissima l'idea che la famiglia mononucleare
composta cioè da un maschio, una femmina e la loro
prole celibe sia l'elementare e originaria aggregazione
umana da cui partire per la storia della formazione di
gruppi umani più ampi e giungere fino al concetto di
stato organizzato. Gli studi di antropologia culturale
pubblicati negli ultimi 20 anni hanno rivelato che tale
tipo di famiglia non è niente altro che un costrutto
riorganizzativo culturale cristiano propagandato in tutto
il pianeta specialmente nell'attività colonizzatrice dei
grandi imperi nati dopo la scoperta delle Americhe.
Questa è la realtà e quindi è inutile affannarsi a cercare
un'istituzione primordiale simile prima dell'arrivo del
cristianesimo irradiantesi da Kiev nel nordest europeo.
Né esiste alcuna ragione naturale che impedisca o abbia
65
mai impedito che maschi e femmine vivessero in gruppi e
conducessero piani di vita in comune, ciascun individuo
con la propria vita biologica e sessuale e senza pregiudizi
reciproci necessariamente ostili.
Ho già scritto degli handicap femminili che rallentavano
la mobilità di Homo sapiens sapiens in migrazione
perenne alla ricerca di cibo, ma erano inconvenienti
superabili organizzandosi in modo adeguato e nell'epoca
di cui mi occupo qui, X-XIV sec., tali riorganizzazioni
hanno ormai avuto luogo millenni prima. Anzi, qualcuna
si è persino consolidata tanto da costituire una pletora di
fondamentali elementi materiali nella tradizione del
Nordest fra cui il possesso di cose e di persone.
Il mio discorso pertanto inizia con la mercificazione di
quanto esiste nell'universo attuale a cui quasi nessuno fa
più caso. Tutto si compra, si vende, si accumula e persino
le persone: vive o morte. Ma era così 1000 anni fa? Non
entrerò nelle questioni che attengono alla famigerata
proprietà privata (si legga J. Attali 2007 sull'argomento)
e mi limiterò invece al concetto di proprietà personale
con i dovuti cenni ai costumi slavo-russi.
La proprietà personale è, così la intendo io, assai
singolare perché è esclusivamente attribuita al maschio in
primo luogo e, pur non comprendendo la proprietà di
terreni e altri spazi della biocenosi, non fa distinzione fra
proprietà di beni materiali mobili e di bestiame. Anzi!
Include consorti e bambini. Questo punto è molto
importante perché coinvolge il concetto di libertà in base
al sesso e all'età che è presente nel mio racconto, sebbene
non sia possibile metterlo sempre in chiara luce. In
66
secondo luogo durante lo scorrere della vita nel gruppo si
acquisiva quanto spettava secondo regole fisse e cioè: (a)
il cibo di cui si rilasciava nei campi una parte in deiezioni,
(b) le vesti che non cambiavano più se non ormai a
brandelli, (c) suppellettili per cibarsi e pochissimo altro.
L'archeologia ha trovato poco arredo nelle urne cinerarie
e, con l'inumazione introdotta posteriormente, quando ne
trova di solito si tratta nelle tombe di membri dell'élite.
Strumenti da lavoro, arnesi et sim. appartengono in
breve alla comunità che ci accoglie e che ce li cede solo
temporaneamente. Quanto ai terreni, case o boschi, tutto
è gestito dalla comunità che gode di un diritto di
“noleggio” pattuito alle origini del mondo dagli antenati
con gli dèi (con la Gran Madre Terra soprattutto) per lo
sfruttamento dell'ecosistema.
Una prova lampante e immediata dell'inconsistenza del
concetto di proprietà nella società pagana del nordest è
data dalle lingue parlate nel panorama multietnico della
Pianura Russa. In breve gli slavi risiedevano nelle steppe
ucraine da genti bellicose e di gran mobilità, come ci
informa il goto Jordanes (VI sec.), finché in particolare gli
slavi orientali successivamente non colonizzano la selva a
contatto con gli ugro-finni dal Volga al Mar Nero. Il
meticciato con queste genti alloglotte influisce sul modo
di vedere l'ecosistema in cui vivono da seminomadi e
quindi pure sull'esistenza di una proprietà personale. Il
verbo avere, imeti, scompare e nel X sec. come termine
ormai desueto sostituito dalla circonlocuzione presso di
me si trova – in russo u menjà est' – e ciò ad imitazione,
per esempio, del finlandese minulla on (H. Haarmann
67
2021) di gran lunga anteriore al russo.
Ciò avviene nella cosiddetta famiglia allargata slavorussa che nei confronti con la fine celtica (J. Markale,
2012) e con la sippe germanica (H. Schröcke, 2007)
conserva grossolane, ma notevoli, somiglianze nei legami
di parentela. È chiaro che la comunanza culturale è
scontata perché indoeuropea, ma una diversa concezione
della proprietà personale mi ha indotto a esaminare
meglio la mediazione linguistica delle donne all'interno
della famiglia pagana di 1000 anni fa.
Il mio primo dubbio sulla posizione cristiana riguardo
tale raggruppamento è: Il cristianesimo da dove tirò
fuori il modello di famiglia mononucleare, se già
nell'Impero Romano era in decadenza da tempo? Alle
statistiche degli specialisti addirittura risulta che ancora
nell'Impero Carolingio la famiglia dopo 4 secoli di
propaganda rispondeva sì! ai criteri cristiani, ma con
parecchie eccezioni e non era nemmeno un concetto
valido nel resto dell'Europa occidentale! Peraltro la stessa
parola latina familia origine di quella italiana non indica
affatto la coppia e i figli di un uomo, ma l'insieme degli
schiavi domestici, i famuli, che gli appartengono. Il russo
semjà che indica la donna schiava a volte è confuso con
sèmja ossia seme, discendenza che può tradurre famiglia
mononucleare cristiana.
Un secondo mio dubbio è la famiglia madre-padre-figli
indicata come minimo gruppo naturale umano. Ciò non
corrisponde al vero giacché il primo gruppo originario
umano è la femmina col frutto del suo utero che resta
indissolubile per almeno 3-4 anni di vita in comune e
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senza alcuna necessità di presenza paterna.
Apro la Bibbia (versione di Re Giacomo, New York s. d.
di cui mi servirò in seguito) e nella Genesi al capitolo 2,
versetti 20-25, leggo:
«...a Adamo non si trovava un aiuto giusto per lui. E il
Signore Dio mandò a Adamo un sonno profondo e
mentre dormiva prese da lui una delle sue costole e ne
riempì il vuoto con la carne. E della costola che il
Signore Dio aveva tolto a Adamo fece la donna e la
presentò all'uomo. E Adamo disse: Questa adesso è ossa
delle mie ossa e carne della mia carne. Si chiamerà
Donna perché è stata tratta dal corpo dell'Uomo. Per lei
l'Uomo lascerà suo padre e sua madre e si attaccherà a
lei, sua Moglie, e saranno una sola carne.»
Il racconto continua nel capitolo 3 e 4 fino alla nascita
dei primi due figli, Caino e Abele, frutto di 2 copule con
esiti procreativi andati a buon fine – si può dire oggi – e
questa sarebbe la primissima famiglia coniugale
semplice. Non solo! Sulla leggenda ebraica delle origini
del mondo e dell'umanità una montagna di scritti
cristiani attribuisce a Eva la colpa di aver insegnato il
piacere del fare all'amore a Adamo, l'unico maschio
adulto presente, per di più copia conforme del dio stesso
che l'aveva creato, sebbene non esattamente per far da
padre. Eppure il creatore aveva detto alla coppia (Genesi
cap. 1, vers. 28): «Siate fertili e moltiplicatevi...», ma
senza spiegar loro come fare e aver quasi costretto la
donna a farselo dire dal serpente. E in più: Il creatore per
il fatto di essere tale doveva sapere bene come funzionava
la fecondazione sperma-ovulo per cui è stranissimo che
69
dopo quasi 50 secoli dalla creazione, avvenuta nel 5509
a.C. secondo i calcoli della chiesa di Costantinopoli, lo
stesso creatore abbia permesso alla chiesa fondata da suo
figlio Cristo di dichiarare l'atto sessuale peccaminoso e da
limitare. Se così non fosse, chissà perché il creatore decise
di concedere all'umanità un riscatto dal peccato delle
origini. Lo ripeto: la nuova ipostasi divina, Cristo, fu
inviata fra gli uomini per assicurare il ritorno nel
paradiso da dove Adamo ed Eva erano stati scacciati, ma
solo dopo la morte e a condizione di essersi comportati da
vivi nella vita collettiva secondo i comandamenti divini in
ambito di sessualità.
A questo punto la storia si complica, se appena penso
alla mitologia cristiana che mal vede l'atto sessuale come
supremo piacere umano e lo trasforma in peccato delle
origini e con la posizione femminile inferiore a quella di
Adamo. Col suddetto bagaglio mitologico nel X sec. il
cristianesimo arriva nel nordest e qui s'accorge quanto sia
duro condurre un'evangelizzazione con tali argomenti
biblici mai uditi prima e assurdi per la tradizione in auge.
Le notizie per sentito-dire indicano queste genti da
catechizzare come praticanti l'agricoltura e il piccolo
allevamento e, in numero minore, dediti alla caccia e alla
raccolta oltre che alla pesca. Venerano dèi celesti da
propiziare per sopravvivere alle frequenti carestie e li
onorano con riti periodici e solenni celebrati in santuari.
Qui si radunano in tantissimi e dopo le cerimonie tornano
nei villaggi di provenienza. Né sono soltanto questi dèi da
venerare e da temere, perché i pagani hanno a che fare
con le forze della natura che vagano nell'ecosistema e che
70
sono potenti, almeno negli effetti, quanto gli dèi celesti.
Contro le dannose credenze pagane l'armamentario
cristiano è pronto: un vangelo di pergamena che gettato
nel fuoco non brucia e simili altre prestidigitazioni! Dai
primi impatti con chi cadeva nella rete d'ascolto dei
predicatori, tutto ciò si rivelò insufficiente e si dové
passare alla spada per i recalcitranti affinché cambiassero
le abitudini in ambito sessuale poiché, non c'era scampo,
il peccato originale andava cancellato per primo e presto
per vivere in un ambito familiare accettabile.
Sant'Agostino (V sec.), padre della chiesa, parlava con
serietà accorata della famiglia cristiana mononucleare e
ne fissava i limiti e le regole di base. La descrive come
consistente di due individui, un uomo e una donna,
definiti secondo la regola bisessuata della società
cristiana, i quali acconsentono in accordo reciproco di
unire tramite l'atto sessuale le vite rispettive e di
risiedere nello stesso luogo dove allevare altri esseri
umani che la donna avrebbe generato.
Troppo semplice? Tant'è. Le dispute sulle riflessioni
agostiniane nel XI-XII sec. continueranno per secoli e la
chiesa fisserà più volte i riti necessari con cui i suoi
ministri benediranno quel legame matrimoniale.
Amore, coppia eterosessuale e matrimonio entreranno
di conseguenza come gli unici sinonimi giuridici e
sacramentali di famiglia. L'insegnamento e l'educazione
orbiteranno intorno a ciò poiché ogni cristiano, volente o
nolente, nasce in tale famiglia e ha l'obbligo di riprodurla
pari-pari durante la sua vita nei diritti e nei doveri.
Le ricerche di antropologia culturale pubblicate negli
71
ultimi decenni, come scrivevo sopra, escludono un unico
modello universale di famiglia tanto meno assolutamente
mononucleare, mentre si citano adattamenti numerosi e
vari all'idea di una partnership per gestire la crescita dei
bambini senza porre particolari accenti sulla relazione
amorosa precedente o seguente dei genitori putativi (S.
Blaffer Hrdy 2008). Di conseguenza la famiglia che si va
affermando oggi dopo i vari esperimenti allo stesso scopo
di vita collettiva del '68 resta un'invenzione culturale.
Chiaramente l'intesa sessuale e la definizione del sesso
dei partner può mancare perché la famiglia si dovrebbe
caratterizzare nella massima libertà in ogni ambito ivi
compreso il numero dei partecipanti al connubio…
insomma molte miglia lontana dal modello cristiano!
Una definizione, se si vuol continuare a usare tale chiave
dello stare insieme, si può descrivere così, esclusa ogni
ingerenza ideologica: Gruppo umano consistente di due
adulti che stabiliscono liberamente di vivere in un'unica
residenza per un certo periodo della loro esistenza al
fine di realizzare un progetto di vita che nessuno dei due
riuscirebbe a portare a compimento da solo.
Io che ne scrivo nel 2021 posso immaginare a posteriori
in parte corroborato dalla tradizione orale come andava a
finire per il predicatore lanciato nel mare pagano con tali
idee. Con un pizzico di fantasia ho ricostruito con quali
argomenti il vescovo l'avrebbe esortato a prendere le più
estreme misure: <Distruggete tutto: Templi, simulacri,
recinti sacri e ridicolizzate i loro sacerdoti. Cercate di
insinuarvi destramente nella loro realtà familiare e
indottrinateli! Vedete un po' come funzionano quelle
72
famiglie e nel dubbio imponete le nostre regole cristiane
con la forza. Fate questo in nome della croce e se vi
uccideranno, ne sarete ricompensati in paradiso.>
Al di là dell'immaginaria conversazione è utile, non
avendo intenzione di rifare la storia del cristianesimo,
sapere che fra gli scritti canonici l'ortodossia, la variante
di cristianesimo penetrata per prima nella Pianura
Russa, oltre ai vangeli canonici cattolici lasciava circolare
i vangeli detti apocrifi del tipo il Racconto di come Dio
creò Adamo (Skazanie kako sotvori Bog Adama) di
tenore cataro-bogomilo. È notevole l'udienza che questo
scritto in particolare raccoglieva fra i battezzati di Kiev
quando il predicatore infiorandolo a suo modo lo leggeva
alla fine del X sec. Il racconto parafrasava le parole della
Bibbia dove è descritta la famiglia di Adamo e di Eva, ma
dopo andava avanti a ruota libera su Satana etc.
S'è scritto a lungo della zadruga, termine d'origine
serba usato dalla storiografia del passato per designare la
famiglia allargata pagana in opposto alla famiglia
mononucleare cristiana. Ebbene io ho scelto di chiamare
la famiglia allargata col termine verv, parola di origine
scandinava che appare per la prima volta nella Pravda
Russkaja (ne accennavo prima) per convenienza al posto
della fittizia zadruga o del russo plèmja (v. M. Vassmer,
1987) e addirittura di porodica, altro termine serbo per
famiglia usato nel linguaggio della chiesa ortodossa per
indicare i fedeli come gregge del divino pastore Cristo.
I villaggi riportati alla luce nella Mitteleuropa e in
Ucraina contano ciascuno poco più di un centinaio di
individui alloggiati in complessi abitativi (dvor) non
73
troppo grandi né tanto discosti l'uno dall'altro. Le notizie
sulle reciproche relazioni sociali degli abitanti sono scarse
e imprecise, ma tutto lascia presumere che nel dvor
trovasse accoglienza l'intero gruppo famigliare formato
da più generazioni e cioè da un maschio poligamo con le
sue consorti, dai loro figli anch'essi poligami (se in età
giusta) con le rispettive consorti e la prole. Vi erano
allogate eccezionalmente pure le sub-famiglie dei figli dei
figli, spazio permettendo, ma sull'aspettativa di vita di 3540 anni, una stratificazione di più di tre generazioni era
in ogni caso impedita.
Le complicate parentele.
Fattori ambientali abbastanza rigidi stanno a
fondamento di ogni decisione sullo sfruttamento del
territorio che deve mettere in conto di riuscire a
mantenere in vita soltanto un numero definito di
persone... dopodiché quelle in più devono emigrare. I
villaggi tendono a restare con un numero di abitanti
pressoché costante nel tempo con un'economia agricola e
di raccolta subissata dalle malattie perinatali, dalle febbri
puerperali e dalle carestie per tacere dell'impoverimento
del suolo.
La prole maschile inoltre assicura nel futuro la stabilità
dell'intero villaggio, mentre le figlie lasciano il loro
nativo dvor e seguono i loro consorti in un altro dvor o
in un altro villaggio. Per esigenze rituali il costume
vigente è l'esogamia ossia trovar mogli “nuove” in altri
villaggi, sebbene all'interno della cerchia delle femmine
74
del rod (russo per schiatta, clan) di cui si è parte.
Spessissimo (e lo metterò in evidenza) l'esogamia non
risulta così esclusiva e totale di fronte alla scelta d'una
consorte nel vicinato immediato.
La donna offre la sua potenzialità generatrice e il suo
lavoro soprattutto e, se fosse rimasta nella famiglia
d'origine troppo a lungo, avrebbe potuto squilibrare il
benessere generale dei suoi parenti nel consumo delle
risorse. L'importante è che essa abbia imparato
l'orticoltura e il governo delle bestie d'allevamento oltre a
quanto concerne tessitura e le minime conoscenze
medico-infermieristiche. Ignorando che il seme maschile
fecondi gli ovociti femminili e dunque la parte di eredità
genetica nuova che la donna apporta, deve essere in buon
tirocinio sessuale ossia che abbia fatto all'amore con altri
uomini. Le numerose copule provano che sa fare
all'amore e perciò fra i servizi richiesti rende piacevole il
rapporto col consorte nel farlo godere.
La fertilità e la sterilità sono argomenti di gran peso,
ma difficili da definire in quei tempi e tuttavia restavano
un problema femminile e mai maschile! A questo
proposito è da notare che in molte tombe femminili
dell'area slava si ritrovano uova di coccio a conferma che
la morta avesse avuto dei figli (F. Schlette, 1962) e
dunque del trionfo della sua attesa fertilità. L'uovo nella
mitologia slava rappresenta la vita e come essa nasce e le
uova di coccio variopinte (pisanki) con sassolini
all'interno sono dei prodotti dell'artigianato femminile
kievano ancor oggi e si usa regalarne alle ragazze appena
puberi nella festività del kumlenie come simboli di
75
fertilità.
Per la natura della società pagana patrilineare in
prevalenza, sorge la necessità di riscontrare alla nascita il
maschio col pene posto in bella evidenza essendo l'unico
destinato ad insediarsi nell'élite del potere all'età giusta.
Siccome non c'è maschio che vorrebbe dipendere
interamente per il piacere sessuale dalla femmina, lei è
condannata al servilismo e alla passività in ogni occasione
per soddisfare le pulsioni del maschio e non si interessa
perciò della di lui attività sessuale con altre donne. Se poi
di femmine comincia a essercene troppe, l'espediente
consigliato persino nei racconti popolari è di sopprimere
alla nascita quelle in soprannumero o in alternativa di
crescerle per venderle al mercante di schiavi.
Assodato che il maschio è posto su un gradino più alto
della femmina, su un gradino più alto ancora c'è il
maschio d'età maggiore di tutti: il capofamiglia (bol'šàk
o staršinà, stàrosta, starožilec) che rappresenta fra i vivi
l'eponimo trapassato.
Il modello che sto descrivendo ha parecchie varianti e
moltissimi esiti di evoluzioni storiche locali e perciò esige
un ripasso continuo su questi e su altri punti. Sono certo
però che il mio lettore mi perdonerà, se riuscirò a volte a
segnalare, ma non a rivedere ciò che muta. Dunque
proseguo e la bibliografia da me scelta lo aiuterà....
La verv vive distribuita nel dvor che è un insieme di
costruzioni dove si lavora e si riposa. La casa più ampia è
la più frequentata e ad essa fanno tutti riferimento poiché
è la dimora del capofamiglia e della consorte (bol'šùxa).
Costei è la prima fra le donne perché ha partorito il primo
76
figlio (secondo nella scala del potere) che è ancora vivo o,
se morto, dal fratello a lui susseguente. Di solito è la più
anziana delle colleghe del dvor, sebbene tutte insieme
agiscono quasi alla pari al posto economico di comando.
Nella casa maggiore (dom) ci si riunisce per i posidelki
(discussioni sulla distribuzioni di incarichi, lavori, etc.) e
soprattutto ogni sera per mangiare. C'è però una serie di
costruzioni minori dove alloggiano i figli maschi e le loro
famiglie per la notte. Sono queste ultime il modello di
casa medievale di legno (izbà) dallo spazio limitatissimo
di 16-20 mq. Vi si dorme distesi su pellicce l'uno
abbracciato all'altro stretti stretti per tenersi caldi e per
fugare le terribili paure del buio spaventoso della notte,
data la mancanza di finestre e di illuminazione, salvo il
chiarore della bocca della stufa posta in angolo. Il
contatto dei corpi nudi è programmato per la difesa
contro il freddo ed è inevitabile scivolare nella copula.
Moltissimi racconti (skazki) e proverbi russi ne
accennano sottolineando, a volte con biasimo ironico, la
sensualità eccitante nell'accarezzare un corpo nudo... a
qualunque genere esso appartenga (M. Dikarev 2020)!
La vita operativa nella bella stagione inizia all'alba e
termina al tramonto nei campi coltivati per il maschio e
per le femmine più giovani nella foresta e in casa per le
adulte anziane.
Malgrado ogni precarietà, esistevano intensi contatti fra
le famiglie di villaggi non troppo lontani. Feste locali ce
n'erano spesso e periodicamente c'erano le celebrazioni
solenni fatte nei santuari a cui facevano capo un numero
di villaggi che si sentivano appartenenti a una certa stirpe
77
(rod). In queste occasioni si ritrovavano i simboli e le
tradizioni comuni. Di solito il santuario non era a due
passi e lo si raggiungeva con un viaggio rituale (guljanie)
se non c'erano impedimenti stagionali, col capofamiglia
in testa che guidava i giovani rampolli del suo villaggio.
Nello spazio del santuario si lasciava che amicizie e leghe
amorose etero o omosessuali o d'altro tipo fra coetanei di
altri villaggi nascessero numerose. Nell'atmosfera del
cameratismo e dell'eccitazione festiva ciò comportava
giochi erotici (igry) fino all'amplesso anche a più persone
(antico-russo kùpa o ammucchiata e nel linguaggio
tecnico pornografico odierno gangbang). Tutto accadeva
non solo fra futuribili consorti, ma pure fra coniugi di
sconosciuti e nessuno avrebbe mai marchiato il coito
extramaritale come adulterio (blud) o roba simile giacché
far sesso era e restava un rito sacro.
L'educazione sessuale dei giovani veniva dalle anziane,
vedove stimate che avevano il ruolo di controllo/aiuto
medico. Nel folclore popolare l'anziana è ricordata col
nome di Baba-Jagà che dal regime imposto dai cristiani
fu ridotta a strega malefica e ogni suo agire bollato come
diabolico. Accogliere i giovani nella foresta nella sua casa
magica sospesa su una zampa di gallina per “farli
rinascere” è detto dal punto di vista cristiano evento
peccaminoso e orrendo dato che la Baba-Jagà possiede
grande sapienza in campo sessuale come filtri d'amore,
tecniche manipolative et sim.
Se alla giovane madre era affidata la cura dei suoi figli
ancora vivi per 3 o 4 anni dopo un anno dal parto, nel
caso che costei provenisse da un'etnia con lingua,
78
credenze e costumi diversi, ciò suscitava curiosità nelle
anziane, ma esse non ponevano alcun limite educativo.
Unico assioma era che i figli fossero tutti della stirpe della
madre e eventuali somiglianze a colui che oggi sappiamo
essere il padre erano frutto di manipolazioni femminili.
Nelle byline ucraine si legge, aperta com'è la verv ad
accogliere positivamente qualsiasi innovazione, quanto
possibile e piacevole fosse quasi stare a spiare le tecniche
amorose nuove e le arti sul comportamento di genere da
mantenere in pubblico.
La gravidanza all'interruzione del mestruo significava
da un lato un'attività ridotta nel lavoro manuale per la
futura puerpera a causa di una serie di inconvenienze
fisiche a partire dall'aumento del peso corporeo etc. e
dall'altro lato, sgravata, una fatica in più a causa
dell'allattamento e della cura del bambino. Benché
nessuno sapesse come mai finché allattava non avrebbe
figliato, la puerpera non rifiutava di amoreggiare per il
suo semplice piacere o per richiesta del maschio di turno.
Sia come sia ogni variante di atto sessuale compresa la
masturbazione era insegnato ai bimbi che per gli
standard del tempo era puberi a 10-12 anni e se maschio
già un adulto. Se femmina, appena avuto il menarca a 1213, era invece pronta a fare all'amore. Pacificamente si
ammetteva che sia l'uno sia l'altra fossero in grado e in
età (approssimate, ad esser puntigliosi) di acconsentire
consapevolmente a una proposta di matrimonio. Anzi,
l'idea era che ai primi segni della pubertà cominciava
finalmente la vita dell'essere umano partendo dalla
sessualità. Nel dvor i bimbi nella loro consueta nudità
79
erano agevolati a scoprire le differenze genitali, a toccarsi
in quelle zone oltre che a manipolarsi e farsi manipolare
per tutto il corpo. Erano attività spontanee che
stimolavano curiosità positiva e nella banja russa, specie
di sauna allestita in una costruzione separata appena
fuori di casa per tutta la famiglia, i bambini avevano la
possibilità di osservare meglio come erano fatti gli adulti
nudi persino se questi si davano a effusioni amorose.
E qui mi viene in mente il jus primae noctis che nella
verv corrispondeva approssimativamente al rito russo
dello snoxačestvo (snoxà è la nuora del capofamiglia e
cioè la sposa o ženà di un membro maschio). Era comune
l'idea che fosse la donna a dirigere e a gestire il coito e il
destino dello sperma da lei trattenuto o rigettato, seppur
ignorandone la funzione biologica. Orbene, siccome col
matrimonio entrava nella verv un nuovo membro
femminile il cui compito era di generare figli e siccome
costei probabilmente aveva fatto all'amore in precedenza,
il primo dovere del capofamiglia era di esaminarla per
bene e di insegnarle come dovesse comportarsi, almeno
nelle fasi consuete della copula, col futuro coniuge magari
più impreparato, affinché ne avesse soddisfazione. Come
si vede il concetto non è di deflorare la giovane, ma di
accertarsi che sapesse usare ogni potenzialità seduttiva e,
data la sacralità del fallo maschile, per la snoxà era un
onore accogliere quello del suocero perché auspicava una
futura buona gravidanza. Lo stesso era se il capofamiglia
preferiva procedere solo alla rottura dell'imene (!?) con
una manovra digitale o con un sacro fallo di legno. Infatti,
se una consorte che le donne di casa avessero accusata di
80
non aver generato entro un certo periodo di tempo,
sarebbe stata rimandata dai suoi o relegata fra le serve
(slugà) per le incombenze più contrastate incluso il far
sesso con tutti o essere offerta all'ospite da “benvenuto”.
Questo però, devo dirlo, per la forte omertà fra le donne
accadeva molto di rado, secondo le byline.
Singolarità della verv.
Per una moglie veniva pagato un prezzo del latte ai
genitori, veno, che ripagava le spese di averla mantenuta
in vita fino al matrimonio. Se invece era “offerta” dai
genitori, la si accompagnava con una dote di vulva (russo
kunnoe) e finché non fosse diventata madre la donna si
doveva riscattare col suo lavoro e niente tempo perso in
smancerie... altrimenti mano alla rozga (verga) o alla plet
(frusta a più trefoli)!
La storica A. Sergeeva (v. bibl.) ammette che il russo di
oggi viene educato tradizionalmente a sentirsi parte di
una comunità e che i piani per il futuro della sua vita
possono avere esiti positivi esclusivamente elaborandoli
con gli altri componenti del suo circolo. In un'indagine
demoscopica il 72,3 % alla domanda: Che cosa è più
importante nella vita? Rispondono: Che tutti abbiano le
stesse opportunità e che sia preferibile vivere come gli
altri piuttosto che distinguersi individualmente. La
tradizione conglomerata nell'archetipo russo in questione
ha radici storiche precise che posso esplicitare in qualche
data. (1) 1054 – Scisma con la cristianità latina e
rafforzamento della cristianità “ortodossa” nella Pianura
81
Russa. (2) 1204 – Conquista e saccheggio di
Costantinopoli da parte latina e sostituzione del
patriarca. Mosca fa sentire la sua presenza politica
mentre il regime latino dura fino al 1261. (3) 1236 –
Assalto e distruzione di Kiev, fatti salvi il Monastero delle
Grotte e la cattedrale di Santa Sofia, da parte dei Tataromongoli. Questo regime per ben 3 secoli convoglierà
moltissime novità nelle abitudini e nei rapporti fra
comunità russe e allogene della Pianura Russa.
E qual è l'aggregazione che è riconosciuta ancor oggi
come collettivo umano da conservare e da riadattare?
Certamente la verv magari sotto un'altra denominazione!
E come si fa parte di una verv? Di sicuro per esservi nato
o al limite esser stato adottato come figlio, se maschio e,
se femmina, col matrimonio, come già scrivevo. E serve
aver parenti in una verv? In realtà non serviva granché
nel passato in quanto la verv accoglieva al massimo 3-4
generazioni nell'albero genealogico e pertanto gli altri
discendenti erano quasi costretti a emigrare altrove.
La verv rappresenta nell'immaginario collettivo quasi
un'istituzione eterna che non si estingue se i capifamiglia
muoiono, ma persiste in qualche modo sotto la direzione
del maschio più anziano presente. Costui di solito è il
primo fratello (o fratellastro, aggiungerei, non sapendo
chi è la madre fra più mogli) del capofamiglia defunto
giacché in breve non c'è l'eredità padre-figlio del potere.
Allo scopo di conoscere le parentele approssimative ho
riprodotto da internet una rappresentazione pittorica
con i legami reciproci di parentela permessi e ammessi
col resto dei membri dell'una, EGO è il maschio, e
82
dell'altra famiglia, EGO è la femmina.
Per semplicità ho omesso nel mio discorso le consorti in
più dei maschi cioè la diffusa poliginia né ho incluso gli
schiavi e i servi i quali, non trovando per la loro posizione
sociale una collocazione di parentela, non avevano diritto
di accesso certo nel sistema della verv, salvo eccezioni.
Come spesso accade in un gruppo numeroso di persone,
c'era sempre l'inetto, il disabile o il debole di mente al
quale si assegnava l'incombenza più semplice, ma
proteggendolo dalle angherie dei soliti bulli perché in
ogni caso era considerato persona sacra. Lo stesso non
accadeva per la donna con le stesse disabilità e pare che si
impedisse che generasse con intrugli anticoncezionali ad
hoc o con l'aborto. In russo un maschio con tali tratti era
chiamato smerd e col passare del tempo la gente di città
83
usò lo stesso termine per indicare il contadino in generale
con una semantica spregiativa simile a zotico, cafone.
Nel mio novero mancano pure le vedove e gli orfani e i
militari. Per questi ultimi, se erano membri della verv che
tornavano da una campagna, riammetterli nel tessuto
famigliare restava una faccenda troppo complicata, se
non avessero portato con loro un buon bottino. Quanto
invece a vedove e orfani i costumi erano diversi da luogo
a luogo in base al sesso riconosciuto.
La nomenclatura usata che si legge nella figura in russo
si è conservata fino alle epoche attuali e serviva non solo a
definire l'identità dell'individuo, ma anche a localizzarne
la provenienza geografica nel raggio di una mobilità assai
limitata. Bastava invece aggiungere al proprio nome
(nome pubblico!) quello del padre e del nonno per
definire a quale rod uno/a appartenesse.
I nomi propri peraltro erano sempre gli stessi passati di
padre in figlio e particolari per ogni villaggio insieme col
soprannome, importantissimo quest'ultimo per gli adulti,
perché il più conosciuto dagli estranei nei sentito-dire.
Non solo! Si pretendeva che una persona riuscisse a
risalire nel tempo ripetendo a memoria i nomi degli
antenati maschili (pradedy) per arrivare al capostipite
vissuto secoli prima e così vantare i propri diritti in caso
di dispute su occupazione di terreni, di passaggi lungo i
fiumi e di pedaggi sugli spartiacque etc. Infine i legami
più forti fra i membri della verv non erano basati tanto
sull'amore o il rispetto et sim. per l'altro dati per scontati
quanto invece – esempio smagliante – sulla legge del
taglione che univa i maschi di una verv nella vendetta
84
cioè nell'obbligo di ciascuno ad esser pronto a lottare fino
alla morte per lavare un'offesa fatta a uno di loro (morto
o vivo) o a uno stretto parente o persino al vicino o da
questi ricevuta da terzi. Presso gli Alani-Osseti-Iron del
Caucaso l'uso si è conservato fino ai giorni nostri fra i
quali l'offesa maggiore da vendicare è l'aver costretto una
donna al coito con minacce, ricatti e violenza...
La nomenclatura della verv fissa pure la casella (čin)
dove inserire l'individuo e così fissa tipi e misura della
funzione produttiva, la porzione di derrate assegnata a
ciascuno e il grado di potere che ognuno può esercitare.
E per le donne? Tutto era per principio condensato nella
di lei funzione generatrice.
Ogni casella è concepita in rapporto di parentela di
ciascuno con la coppia suprema e con i suoi prossimi e
regola la rispettiva partecipazione a ogni atto della verv
automaticamente come, esempio importante, l'essere
ammesso/a alle assemblee di villaggio alla vece o ai
posidelki, fissandone il peso decisionale nel voto. E qui
inserisco alcune mie note: (1) Per l'intero discorso ho
usato termini come moglie, marito, matrimonio,
famiglia etc. perché non ne ho altri, ma è bene che si
sappia che i contenuti semantici delle parole usate per
questi ruoli e funzioni 1000 anni fa erano diversi da quelli
odierni in italiano e persino in russo. (2) Il sistema ha
una profonda impronta maschilista e il maschietto o la
femminuccia non appena puberi ricevevano il nome “da
uomo” o “da donna”, benché all'esterno ambedue vi
aggiungessero il patronimico ossia il nome del padre e
non della madre come nel remoto passato matriarcale.
85
(3) La donna dal marito riceveva il di lui nome (oggi, dal
1917, il cognome) nella desinenza femminile (in russo
-vna, in lituano -né etc.).
Una vera parodia del sistema del rod è ancor oggi in uso
ufficialmente nel mondo elegante per apostrofarsi fra
russofoni ossia con nome+patronimico e la domanda da
fare all'estraneo è rimasta ironicamente la medesima del
passato: Da quale clan provieni (Otkuda ty rodom)?
Se per la chiesa cristiana infastidiva in tutta questa
promiscuità l'aborrendo peccato dell'incesto, nel nordest
europeo tale preoccupazione non esisteva. Questo punto è
fondamentale perché denuncia come lentamente, ma
inesorabilmente l'educazione latina si discostava sempre
più da quella cristiana orientale in gran parte ortodossa.
Eppure all'incesto la chiesa cristiana aveva legato la
minaccia dell'inbreeding (consanguineità) ossessionando
i pensatori cristiani di Alessandria, visto che per le
famiglie nobili egiziane l'incesto era la maniera eletta per
“non inquinare il sangue nobile”. I padri della chiesa,
quando ancora il costume era ammesso, avevano proibito
ai cristiani il matrimonio fra persone che riconoscessero
antenati comuni fino alla 7.ma generazione, adducendo
come ragione che l'incesto causasse il decadimento fisico
di un'intera casata. Nella tradizione e nel folclore slavorussi i fenomeni considerati negativi come le eventuali
malformazioni fisiche dei neonati, non erano al contrario
dovute al “cattivo mescolamento di sangue”, ma era colpa
di un comportamento sessuale inconsueto di una
rancorosa donna-madre “venuta da un altro dvor” o
l'esito di un incantesimo e perciò spesso il neonato era da
86
sopprimere. Che poi il figlio fosse in qualche modo
“disabile nei comportamenti” per i pagani presupponeva
senza dubbio un intervento magico da parte della madre
sul nascituro. In più il sospetto di averlo concepito con un
uomo diverso dal padre biologico non ci fu finché il
cristianesimo non introdusse il marchio spregiativo di
figlio adulterino.
Oggi sappiamo che, se mancano apporti genetici esterni
in un certo gruppo relegato in un certo territorio e se si
praticano per lungo tempo accoppiamenti riproduttivi in
preferenza all'interno del medesimo gruppo –
endogamia dal punto di vista antropologico – col passar
delle generazioni nel genoma si accumulano mutazioni
che generano una deriva genetica considerata alla fin
fine utile se si riflette, ad esempio, nei tratti fenotipici di
grande somiglianza per i membri di un intero villaggio.
Per i cristiani c'era poco da distinguere: Ogni stranezza
nel neonato era il segno della punizione divina alla
donna-madre per aver commesso peccati d'incesto o di
lesbismo, per aver concepito nei giorni proibiti o per
chissà quale altra impurezza. Prudentemente l'ortodossia
slavo-russa scelse il silenzio tout-court su malformazioni
e malattie varie del neonato etc. e sulle misure prese sulla
soppressione di questi bimbi appena nati e l'unico
intervento che attuò per davvero fu esortare i genitori
putativi di evitare di fare all'amore in peccato.
In fondo in fondo però io credo che la questione fosse
un'altra. Raccontano le byline che, essendo le donne
escluse dal potere, avrebbero potuto produrre tanti
maschi se lo avessero voluto e questi figli li avrebbero
87
posti al loro servizio per ribellarsi al maschio-padrone e
per riconquistare la supremazia matriarcale. Addirittura
dai desideri per certi cibi della futura madre o dalla
palpazione del feto prima dello sgravio era possibile
saperne il sesso (G.M. Naumenko 1998). Per questo
motivo alla presentazione del neonato alla verv, era
indispensabile “per fare i conti” che tutti gli occhi (e le
mani) si appuntassero sulla presenza del pene e che
l'organo fosse ben fatto e che nessuna madre osasse
castrare il neonato di nascosto! Il sistema di potere nella
verv richiedeva un numero chiuso di persone con pene
per partecipare al potere e a nessuno interessava che uso
se ne facesse dell'organo da adulti.
Il cristianesimo insisterà affermando che per sposarsi
serve un pene e una vagina e che occorre l'intenzione
dell'uno e dell'altro componente della prevista coppia a
offrirsi l'uno all'altra in corpo e in anima. Non solo! La
coppia era fissa per tutta la vita con l'assenso reciproco e
sotto l'occhio attento del creatore. L'uomo che lasciava il
suo seme nell'utero di una donna significava prendersi
l'impegno di proteggere quella donna in futuro, lei e la
prole che dio aveva concesso, e diventare così capo
(bolšak) di una nuova famiglia e giammai simile alla
verv peccaminosa. Tuttavia l'opposizione è netta alle
modifiche delle procedure tradizionali e ciò affinché non
si inficiassero i piani di alleanze fra i mir fondati giusto
sul matrimonio tradizionale (brak) ove la donna è il
pegno vivente, direi meglio ostaggio, della stipula.
Un velato accenno all'assenza del sentimento amoroso
reciproco e duraturo, obbligatorio per una pia coppia
88
cristiana, l'ho trovato nella vita del reverendissimo
egumeno del Monastero delle Grotte di Kiev, Teodosio. Si
racconta che il monaco frequentasse una famiglia detta
“felice” e che volentieri si intrattenesse con Màrija, la
moglie del capofamiglia. Quando il prelato le chiese dove
si sarebbero fatti seppellire insieme per l'amore che li
aveva legati finora, Màrija rispose che lei decideva per sé
e che quindi chiedesse al consorte che avrebbe fatto a
riguardo. Non viene detto molto sui legami sentimentali
fra marito e moglie e sarebbe stato interessante, a mio
parere, capire in maniera chiara se l'amore che legava la
loro coppia era il piacere fisico, lad, oppure il tesoro
personale accumulato, il klad... e basta! Si noti la rima!
Altra era la situazione nella campagna slavo-russa dove
l'innamoramento disperato o mal d'amore era spiegato
come un'infatuazione inutile o un'infantile vanità. La
coppia non aveva un vero significato sociale all'esterno
della verv e si formava e si scindeva ad libitum pur
continuando i partners a vivere nello stesso luogo.
I costumi sessuali nel sud, a Kiev, erano alquanto diversi
da quelli del nord dove c'era maggiore incidenza dei
contatti con la Scandinavia e con gli ugro-finni delle rive
baltiche e lo si nota su due punti salienti: (1) la maggiore
indifferenza alla nudità nel nord e (2) il comportamento
più rude da parte dell'uomo verso la donna nel sud. I
lituani al contrario veneravano la dea pagana Lada
(analoga a Leda greca) che nelle cronache presiedeva
soprattutto all'allegria, al piacere sessuale e alla felicità
del libero connubio fino al XV sec. che col cattolicesimo
divenne il santo matrimonio.
89
La famiglia peraltro fra i popoli degli Urali settentrionali
aveva spesso una donna a capo che accoglieva il maschiomarito sul suo seno quasi da ospite esterno non esistendo
semplicemente l'idea di automatica di una famiglia con
legami matrimoniali. Addirittura il legame nella nuova
coppia, per quel che valeva, era riconosciuto e celebrato
dalla comunità soltanto dopo il secondo parto poiché il
primo si attribuiva a un amante precedente per nulla
importante per la reputazione personale.
90
Capitolo terzo
Incomprensibilità cristiana
Un certo successo sul ridimensionamento della sessuale
promiscuità dei pagani la chiesa russa lo conseguirà
intorno al XV-XVI sec. quando introdurrà in maniera
massiccia l'educazione cristiana dei giovani e delle
giovani presso gli istituti conventuali in regime
moscovita. Sarà pubblicato allora il tardivo galateo russo,
Domostroi, che accenna al tentativo pesante e perentorio
di creare un sentimento di vergogna di fronte alla nudità
del proprio corpo e di quello degli altri.
E la vergogna non vuol forse dire che non è permesso
eccitare sessualmente chi ci guarda mentre ci mostriamo
nudi? Non è forse a causa della nudità che si trasgredisce
ai due ultimi comandamenti del decalogo cristiano?
Oggi parte di quell'etica cristiana è diventata legge con
l'etichetta di offesa alla pubblica decenza in numerose
collettività statali eccetto che nel nord Europa dove
l'atteggiamento di fronte a svestirsi/vestirsi in presenza
di estranei va dalla blanda indifferenza al rischio di essere
amichevolmente irrisi se ci si schermisce o si arrossisce.
Mi piace qui riportare le parole di A. Meldolesi, biologa
91
ricercatrice bolognese (v. bibl.), sull'argomento che mi ha
suggerito con parole chiare e semplici dei punti di vista
nuovi condivisibili appieno:
«La nudità... può essere esibita o nascosta, vulnerabile
o scioccante, allettante o imbarazzante, conformista o
ribelle. È potente come una calamita. Il suo essere così
materialmente biologica oppure così profondamente
culturale ne fa una lente straordinaria attraverso cui
guardare la natura umana.»
Nel Medioevo Russo sant'Andrea in persona, secondo le
CTP, diretto a Roma sul Tevere passa da Kiev e una volta
a destino parla degli slavi che ha visto nella banja
meravigliandosi della loro indifferenza per il nudo:
«Ho visto cose mirabili mentre passavo nelle terre
slave diretto qui. Ho visto delle costruzioni per fare il
bagno fatte interamente di legno al cui interno la
temperatura è altissima e [gli Slavi qui] si spogliano fino
a restar nudi […] e si battono l'un l'altro con rami verdi
che appena li lasciano in vita e quando escono e si
versano addosso l'acqua gelata […] E lo fanno ogni
giorno e non ne soffrono ma è il loro modo di lavarsi... »
(trad. mia). Altro è il giudizio di al-Bakri (studioso
andaluso del XI sec.) che pure descrive la banja e come
essa funziona, ma non si sofferma in alcun modo sulla
questione della nudità e della sua indecenza.
La banja non è una sauna, bensì in realtà un bagno in
aria caldissima generata da pietre surriscaldate dal fuoco
che tutti i membri della verv periodicamente visitavano.
Non solo! Pure gli ospiti intimi e non intimi dovevano
sottoporsi a questo trattamento igienizzante prima di
92
mettere piede in casa altrui.
D'altronde la banja è chiamata spesso bòžena o
bòžnìca, da bog cioè dio e quindi casa di dio (in altri
termini la casa della gloria divina ossia dell'amore) e
resta un luogo sacro che ogni dvor deve avere perché lì si
celebrano i rituali concernenti la purificazione di ogni
parte del corpo. Era considerato offensivo usarla per una
sola persona e c'era anche l'uso dopo la cena di nozze di
concederla ai novelli sposi per la prima notte d'amore.
Il nome russo odierno non è pero l'originale giacché in
altre lingue slave si è conservato l'appropriato termine
laznja cioè letteralmente lavatoio corporale.
scena in banja tratta da internet (artista sconosciuto)
93
La banja non aveva finestre. Da una porta si accedeva a
un vestibolo dove era situata la fornace incastrata a metà
nella parete fra vestibolo e camera per sudare dove ci si
accomodava su traverse orizzontali incastrate nelle pareti
(lavki). Il fuoco che arroventava i sassi generanti aria
calda ardeva dal lato del vestibolo cioè all'aperto mentre
l'aria calda si svolgeva direttamente nella camera
sudatoria. Nella semioscurità accarezzandosi a vicenda
col vicino/a in un grooming eccitante e piacevole (laski).
Si credeva che il sudore fosse il liquido amniotico quasi a
ritornare nel grembo materno che rivivificava i corpi.
In antropologia culturale lo stesso rituale lo si ritrova in
quasi tutto il mondo a prova di una cultura universale del
rito purificatorio per mezzo del calore. Presso i Sioux – ad
esempio – è l'inipi (F. Cavalli-Sforza, 2018).
E infatti nella banja assaporando la potenza rigenerante
del fuoco si eseguivano in particolare i parti o vi si
curavano nel caso i lungodegenti. Qui si consolidavano in
breve i legami personali ed era possibile per le donne
illibate ma vogliose di sesso interrogare (gadanie) il
custode della banja, il divino bannik, quando si sarebbe
presentato il futuro compagno di copula e chi sarebbe
stato. Il rito consisteva nel farsi accarezzare il perineo
dall'essere divino invisibile... salvo che non fosse un
amante burlone celatosi là nel buio per approfittarne!
Siccome mi sto occupando di lotta fra i sessi per il
primato e per il potere e so che l'arte di filare e di tessere
era “femminile”, mi sono domandato: Quanto opportuno
fu per il cristianesimo collegare il vestito, la trasparenza
o la pesantezza dei teli con la seduzione della nudità? In
94
breve la nudità fu messa al bando, almeno a parole,
mentre il vestito si moltiplicò nelle fogge adattandosi
unicamente alla necessità di distinguere “a vista” i ruoli
sociali. Per una élite sempre più avida occorreva che il
dominato riconoscesse immediatamente il dominante e il
grado di dominio che costui avrebbe potuto esercitare e lo
ossequiasse con equivalente rispetto. L'appartenenza o
l'attrazione sessuale per nudità invece non era ritenuta
distintiva per un personaggio del potere e, lo ricordo, sto
parlando prevalentemente di maschi.
E qui la mia solita nota. Mentre l'uomo era ridicolizzato
per il mettere le sue zone erogene, il fallo, in evidenza col
vestito corto, senza pantaloni e senza mutande; con le
donne, specie per le servette, le prescrizioni erano tutte
l'opposto. Gli orifizi corporali al di sotto della vita
andavano protetti contro il malocchio e contro
l'intrusione di forze divine maligne, ma non in modo da
rendere difficile accedervi. Igiene? Non credo fosse
l'ispirazione nelle istruzioni del succitato Domostroi in
voga fra la nobiltà moscovita.
Mi viene in mente che gli invasori indoeuropei a quanto
pare amassero molto poco coprirsi. I maschi preferivano
il tatuaggio e usavano la nudità per mostrare i bei disegni
sulla pelle e esaltare così la propria bellezza fisica. I
millenni erano poi passati e nelle descrizioni letterarie
tramandateci o nella pittura di 1000 anni fa si annota con
sospetta insistenza che la donna amasse le vesti con
borchie e fermagli piuttosto che gioielli e altre preziosità.
Tessuti esotici, mantelli ricamati o con ornamenti
raffinati per abbigliamenti sfarzosi? Si ottenevano dalle
95
arti femminili – è vero – ma le donne, salvo che non
facessero parte dell'élite, non ne ostentassero troppo!
Questo sembrano suggerire le icone di Andrei Rubljòv
ormai nel XIV-XV sec. (M. Alpatov 1972) a parte i limiti
imposti dalla sessuofobia della chiesa cristiana all'artista
iconografo costretto così a vestire quasi la totalità dei suoi
personaggi eccetto il viso e una manina o un piedino. Per
il resto che le donne andassero pure nude o seminude
nelle loro faccende dentro e fuori del dvor senza sperpero
di sforzi e materiali.
Una costruzione fra quelle separate dall'abitazione
principale del dvor era l'ovin ossia il deposito dove si
seccavano le granaglie e anche qui entrava il sesso. Si
riempiva prima della trebbiatura con le spighe appena
falciate e vi si accendeva il fuoco al centro. Qui si piazzava
un giovane destinato a smuovere le granaglie di tanto in
tanto e a stare attento affinché non scoppiassero incendi.
E se ciò avveniva alquanto spesso di notte o si spandeva
odor di legno bruciato, tutti dicevano che il guardiano
(ovinnik) si era dato ai suoi focosi incontri amorosi che il
calore appunto attizzava e il fuoco era divampato....
E torniamo ai sedentari agricoltori (e orticultori) per i
quali l'abitato, il mir, con case e campi rappresenta
un'unità vivente, un universo di cui l'individuo deve far
parte. Non solo! La verv e la casa (dom) dominata e
gestita dalla donna di maggior età insieme con le altre
donne presenti e dove vivono i componenti famigliari
prima di andare a letto per la notte, sono (ancor oggi) il
cuore della vita che si passa insieme. Verv e vicini di dvor
si offrono reciproca assistenza, tranquillità, affetti e difesa
96
ed è logico che in russo mir significhi allo stesso tempo
villaggio e pace e, perché no?, persino universo, sebbene
lo si usi preferibilmente nel nord a volte al posto di verv.
E in questo microcosmo i poteri del capofamiglia si
esercitavano su ogni membro poiché la loro vita era
interamente affidata a lui che organizzava la produzione
di cibo e interveniva a correggere comportamenti
aberranti che disturbassero l'ordine prefissato fra i quali
giusto quelli sessuali. Gli era affidato persino il compito
delicato dei rapporti del suo dvor con gli altri dvor del
mir poiché tutti insieme nello stesso rod erano legati dal
rispetto dei costumi, nravy, fissati nel passato dagli
antenati comuni, predki e navi. Non era un potere
dispotico il suo poiché, se era il caso, tutto era discusso e
deciso in una riunione dei maschi (veče, posidelki) con
l'assenso partecipativo delle donne.
Il mir intero faceva capo al più vecchio dei capifamiglia
(starožilec) che fungeva in pratica da archivio vivente
della storia del villaggio. Con un'età raramente oltre i 60
anni, impersonava la memoria collettiva e il sapere
tecnologico della comunità. Da lui si andava per aver
consigli su come costruire una casa o su come fabbricare
e riparare un oggetto e soprattutto per chiedere e ricevere
arnesi e strumenti (anche armi). In particolare gli
strumenti nel passato erano considerati magicamente
sacri e non utilizzabili da chi non sapesse in primo luogo
rispettarne la sacralità. Lo starožilec celebrava i riti
religiosi iniziatici collettivi dei giovani maschi, ma pure le
cerimonie intime come le nascite, i matrimoni-alleanze,
le morti etc. oltre a rappresentare il villaggio nelle solenni
97
adunanze del rod nei santuari comuni o a capeggiare i
suoi giovani fantaccini in caso di campagne militari.
Ho notato molte rassomiglianze con le organizzazioni a
clan (in turco oğlan) dei popoli turcofoni delle steppe e
ciò è per me la prova ulteriore del sincretismo culturale in
crescita nella Pianura Russa presso ogni etnia.
Nelle steppe il maschio era a lungo via per i pascoli con
le mandrie e perciò lontano dal villaggio di residenza. Per
questa ragione nei villaggi della steppa vigeva una specie
di matriarcato nelle questioni collettive e le donne in
assenza dei maschi adulti decidevano, come scrive IbnFadhlan nel 920 d.C. (v. bibl.). Al consorte toccava solo
venire a sapere delle nuove misure comuni prese dalle
donne al ritorno nel villaggio e doveva accettarle, senza
troppo discutere. A quanto mi risulta l'ordinamento
appena descritto dipendeva dal tipo di economia della
dispensa. I prodotti delle mandrie non erano gli animali
da macellare che invece erano segno di ricchezza, ma il
latte, la lana etc. che andavano trasformati per essere
consumati o rivenduti e queste erano appunto
occupazioni femminili nella stragrande maggioranza.
Malgrado ciò, presso i nomadi v'erano disomogeneità
numerose fra i diversi clan anche perché io qui mi son
riferito ai nomadi in una situazione disturbata abbastanza
spesso da liti e scontri per la distribuzione dei pascoli così
pure nei mercati disseminati lungo le strade mercantili
(le famose Vie della Seta) che attraversavano le steppe da
est a ovest. Dai viaggiatori e dai mercanti si evidenzia
abbastanza bene la preminenza delle decisioni, diciamo
così femminili, su quelle maschili nel campo politico e
98
sociale. Residui di antico matriarcato ancora vigente nel
XIII sec.? Può darsi...
Altri sessi possibili.
Inoltre, dato che delle distinzioni anatomiche esistono
in Homo sapiens sapiens fra i sessi, i paganesimi
senz'altro le usarono, ma le conservò come distintivi
corporei e non per i comportamenti individuali correlati...
almeno così pare dal poco che i documenti riferiscono.
Anzi, dato che erano consentiti nelle festività religiose
pagane pratiche sessuali le più curiose senza dar loro
grande importanza, salvo la loro sacralità, è lecito
domandarsi perché si accettò in quei tempi lontani la
norma dei sessi istituzionalizzati nella società cristiana
dell'Occidente Europeo come noi li conosciamo tuttora.
E nel mir esistevano atteggiamenti omofobi o negativi
tesi a emarginare o a eliminare persone inclassificabili
nella norma anatomica bisessuata? E che misure si
presero all'interno della verv per difendere la normalità
tradizionale di queste persone etichettate in termini
cristiani sessualmente devianti e pre-condannati come
peccatori o figli del peccato?
Per quanto riguarda l'omosessualità maschile ho trovato
l'interessante seppur censuratissima informazione sulla
coppia omosessuale denunciata senza eccessivo frastuono
nelle CTP formata da Boris e il suo amato, un certo
Giorgio il Magiaro. Boris era il fratello minore di Gleb e
entrambi erano i figli di Vladimiro il santo e di una
bulgara del Volga (lo rivelano i due nomi turco-bulgari
Boris e Gleb!) invece che di Anna, la sorella di Basilio I
99
concessa in sposa al sovrano slavo-russo, come ammette
J. Herrin (2013).
i santi Boris e Gleb in un'icona del XIV sec.
A Kiev nella lotta per il trono si trovano coinvolti tutti e
tre in un assalto armato. Gli assalitori irrompono nella
tenda dei due compagni e Giorgio nel tentativo di salvare
Boris è ucciso lui stesso. Ed ecco il magro testo che si
riferisce per l'anno 1015, dintorni di Kiev, all'evento
appena riassunto:
«Era lì presente il magiaro a nome Giorgio al quale il
principe [Boris] aveva regalato una grivna [bracciale
con numerose spirali] d'oro [giacché Giorgio era] amato
da Boris oltre ogni misura.»
I due fratelli Boris e Gleb oltre ai nomi bulgari hanno
100
ciascuno un nome cristiano, mentre dell'amante di Boris,
Giorgio, è dato il nome cristiano, ma non il suo originale.
I tre personaggi in breve sono battezzati e si deduce che
nessuna condanna esplicita c'è da parte della chiesa
kievana del legame omosessuale Giorgio+Boris tollerato e
benedetto fra commilitoni. Tuttavia, mentre nulla
impedirà che Boris (nelle icone con la barba) e Gleb (nelle
icone è glabro) siano fatti insieme santi qualche decennio
dopo il loro assassinio o martirio come preferisce dire la
chiesa, Giorgio scomparirà del tutto nelle tenebre
dell'oblio. È la classica politica del silenzio che
spessissimo la cristianità adotterà su eventi e persone
scomodi o in situazioni scabrose...
Se nell'affrontare l'evangelizzazione dei pagani il
cristianesimo orientale indossava una veste di ampia
indulgenza rispetto alla omosessualità rifacendosi (senza
saperlo?) agli usi greci (ancora ben diffusi in Europa nel
X sec.), Roma d'Occidente era letteralmente ossessionata
dalla sodomia come essa genericamente chiamava
l'omosessualità maschile.
Oggi è difficilissimo immaginare l'atmosfera omofobica
e l'uso politico che il papato creava intorno a ogni
straniero che rifiutasse o semplicemente ignorasse
l'esistenza e la validità universale del credo di Cristo e le
ferree regole cristiane sui sessi. Secondo le versioni
occidentali sponsorizzate da Roma sul Tevere da me
riscontrate, la Spagna musulmana era il regno dei
sodomiti, Baghdad e il suo impero che allora dominava la
“Terra Santa” era altrettanto così come ogni eretico o
cristiano dissidente. Era lecito e cristiano pertanto
101
infierire su questi peccatori con privazioni, orribili
mutilazioni e torture mortali... altro che il digiuno
ripetuto a lungo inflitto con indulgenza nei penitenziali.
E dell'omosessualità femminile? Figure monastiche
come Chiara d'Assisi o Ildegarda di Bingen a che tipo di
sessualità avevano (o non avevano) rinunciato? Ne
accennerò altrove nel testo, ma in maniera minima
giacché le notizie mancano e qui chiudo perciò con le
parole conclusive di Bernadette J. Brooten (1996):
«Non conosciamo alcun detto attribuibile a Gesù sia
nel Nuovo Testamento sia nei numerosi vangeli più
antichi esclusi dal canone dove [Cristo] fa dei commenti
sull'amore omosessuale maschile o femminile. Tale tipo
di sessualità [evidentemente] non gli interessava in
particolare. Malgrado ciò la chiesa degli inizi imboccò la
via che ha portato [il papato] fino al secolo XX ad
opporsi ai diritti civili per lesbiche, gay e bisex come un
marchio di distinzione per la maggior parte della
cristianità.»
Tutto il contrario accade in ambiente pagano del
nordest dove i o le “devianti” sessuali non erano banditi/e
né castigati/e dalla verv, ma considerate/i doni divini
conclamati. In special modo travestiti e ermafroditi che
non mettevano in crisi il sistema, ma servivano a “parlare
meglio con gli dèi” e a giostrare meglio con le forze
invisibili della natura. Se la persona in questione
rispondeva come si doveva alle incombenze che gli erano
affidate nelle attività collettive, che male c'era se poi
indulgeva in approcci sessuali diversi dai soliti?
Forse per la chiesa ortodossa in questo ambito è lecito
102
usare il vecchio adagio far buon viso a cattivo gioco con
maggior proprietà piuttosto che ammettere un'estesa
indulgenza (come la si accusava in occidente di fare)
nell'affrontare l'omosessualità contadina e pagana.
D'altronde le lesbiche non erano riconosciute come
omosessuali, ma solo delle diaboliche tirocinanti
sessuali! Anzi, per il famoso arcivescovo novgorodese del
XII sec. Nifonte, se due giovanette si masturbavano a
vicenda non potevano essere marchiate di lesbismo, ma
solo come delle giocherellone da non punire
severamente... almeno finché riuscivano a mantenere
l'imene integro.
Col cristianesimo la verginità diventò una topica
centrale quando si decise che la madre di Cristo avesse
partorito da illibata, anzi da immacolata! L'imene da
lacerare come atto onorevole da parte dello sposo nella
prima notte di nozze ha resistito fino al XX sec. nella
cultura giudaico-cattolica europea esportata in tutto il
mondo. Con una migliore conoscenza dell'anatomia del
corpo umano negli anni '50 del secolo scorso tuttavia ci si
è resi conto che l'imene – quando c'è, visto che non tutte
le donne ce l'hanno – non è mai una membrana talmente
grande da costituire una barriera alla penetrazione.
Scrive la sessuologa E. Nagoski (2015) «...non ha
alcuna funzione fisica, riproduttiva o altro, ma è un
sottoprodotto che la macchina della selezione evolutiva
si è lasciata dietro, come i capezzoli degli uomini.»
Comunque sia, gli stranieri cattolici e riformati che
visiteranno la Pianura Russa nel Medioevo, ca. XVI sec.,
crederanno di vedere un'enorme diffusione della
103
omosessualità maschile e si leggono giudizi e reprimende
all'indirizzo dei giovani effeminati dell'élite che si
esibivano in giochi sessuali per divertimento.
Scrive a questo proposito lo zelante inglese Giles
Fletcher nel 1591:
«Eppure si può dubitare che cosa sia peggiore in
questa nazione [Russia] la crudeltà o l'intemperanza
[sessuale]. …. l'intero paese è sommerso di peccati di
questo genere e non fa meraviglia poiché manca ogni
legge che vieti il meretricio, l'adulterio e simili brutture
della vita.»
All'interno della verv contava prima d'ogni altra cosa il
valore economico dell'individuo che col suo lavoro
concorreva alla produzione collettiva, unica vera garanzia
di sopravvivenza. C'era bisogno in parole povere di mano
d'opera affidabile senza escludere nessuno e addirittura
mai sulla base dell'attività sessuale abituale o occasionale.
Il lavoro nei campi per la produzione dei cereali alla base
della dieta, poi la caccia e la pesca e infine la raccolta di
frutti e bacche, erbe varie oltre a miele, funghi, cera e
minerali nella selva, erano occupazioni che richiedevano
sforzi fisici giornalieri immani per quei tempi e che in
definitiva sfibravano ogni individuo attivo. La stanchezza
che ne seguiva era sentita come una ricompensa mandata
dagli dèi nel corpo avvertendo l'individuo che da quel
momento in poi era libero di trastullarsi in godimenti di
qualsiasi altro genere.
Dal punto di vista economico era preferibile che nel
riposo ci si occupasse appunto di godurie sessuali per
recuperare forza e entusiasmo piuttosto invece che, ad
104
esempio, mettersi a sperimentare nel campo della ricerca
tecnologica. La tradizione paventava capacità e facoltà
speciali ostentate per risolvere un problema o una
complicanza nel lavoro senza previamente consultarsi col
capofamiglia. Per tradizione l'invenzione tecnica o la
specializzazione in tecnologie nuove non poteva nascere
nella mente umana poiché la conoscenza apparteneva agli
dèi e non agli uomini.
L'inviato di Baghdad ai Bulgari del Volga Ibn-Fadhlan
scriveva: «Se si nota che un uomo ha un'intelligenza viva
e conosce molte cose, si dice di lui: Costui merita di
servire gli dèi. Lo catturano, gli passano un cappio
intorno al collo e lo lasciano appeso a un albero finché
non cade in pezzi.» La testimonianza è raccolta sul Volga,
ma di certo era un modo di vedere comune all'intera
Pianura Russa.
La casella in cui l'individuo si trovava nella verv dalla
nascita non assegnava alcun privilegio, ma compiti di
lavoro (uroki) da eseguire agli ordini, quelli che fossero,
del ”caposquadra di giornata” che agiva con diligenza
(učenie) e esigeva obbedienza. Non era rara la punizione
corporale per chi non si confacesse. Addirittura N.I.
Kostomarov (2008) conferma che nella società slavorussa aleggiava un perenne senso di paura per le decisioni
repressive dell'autorità famigliare che in ogni momento
sarebbe intervenuta con la frusta o il bastone senza
distinzione di sesso o di età per punire un errore
commesso. Dunque la posizione (čin) nella verv contava
moltissimo.
A parte ciò le madri, col frustino in mano, impiegavano
105
la mano d'opera minorile nella raccolta e nella piccola
caccia e i bambini avevano un bel daffare nella scelta
giusta e nella raccolta di bacche e di funghi o a preparare
trappole per gli uccelli. Non solo! Si rafforzava nei ragazzi
il mito slavo raccontato loro dagli anziani dove il primo
uomo, Jasen (il frassino), e la prima donna, Iva (il salice
piangente), erano venuti fuori dalla terra sotto forma di
due alberi che accoppiatisi avrebbero generato l'intera
umanità (M. Serjakov, 2014) insegnando agli uomini
come vivere del proprio lavoro.
D'altronde col cristianesimo nella Bibbia, la paleja (dal
greco per antica) più apprezzata in area slava che
comprendeva vecchie leggende ebraiche, il creatore non
consegnava la natura all'uomo affinché ne ricavasse
benessere? Logicamente ciò che non si trovava pronto
all'uso occorreva fabbricarselo da sé con perizia e
strumenti adatti che la tradizione pure forniva.
Se l'agricoltura fu inventata come produzione di cibo
preindustriale, fu la donna che imparò a intrecciare fibre
di ogni tipo, animali e vegetali, per fabbricare corde e
nastri dall'utilizzo davvero svariato: dal farne legacci per
impacchettare alle reti da pesca e dalle trappole fino al
più colorito di farne fasce e pendagli da indossare.
Non solo! L'artigianato femminile, una volta scoperte le
piante tessili e imparato a coltivarle, mise a punto
intreccio e tessitura. Dopo la filatura delle fibre nettate e
pettinate con fuso rotante e dopo l'invenzione del telaio
verticale, passò a produrre i teli da cucire (cioè
“abbottonare”) insieme per farne abiti.
Il cristianesimo misogino e sessista, lo ripeto, con la
106
costruzione del senso di vergogna, della decenza e
dell'impudicizia indicherà la nudità femminile come
illecita seduzione e induzione al peccato di lussuria. E ciò
non esclude un fatto curioso sul patriarca Fozio (820891) che sembra esser riuscito a istituire fra i Rus a Kiev
un primo nucleo cristiano.
Che cosa c'è di curioso in questo atto? L'alto prelato era
ben noto a Costantinopoli per la sua biblioteca dove
altresì lo si accusava di custodire e di leggere gustandoli i
libri porno di Achille Tazio in cui si descrivevano le
avventure sessuali di ardenti eroine. Ebbene Fozio in ogni
possibile occasione indugiava volentieri a parlarne,
spesso nominando con sussiego le parti intime delle belle
eroine descritte in quelle operette.
Ciò evidenzia, a mio avviso, un'evoluzione seppur lenta
in atto nel mondo ortodosso di un senso di contrarietà a
mostrare le intimità muliebri nella parola e nelle arti
figurative degli idolatri e che tale atteggiamento abbia
contribuito a una più oculata scelta del personale che
Fozio assegnò per i Rus del suo tempo, visto l'insorgere a
Kiev dei pagani verso i preti cristiani assatanati di sesso!
Ricordo qui la stizza del figlio di Olga, Svjatoslav, padre di
Vladimiro, alla proposta di farsi battezzare.
Decenza e castità.
Detto questo, nella pratica cristiana cittadina anteriore
al X sec. si nota l'aumento del numero dei capi di
vestiario da indossare per le donne nelle classi elevate,
ma anche l'aumento della superficie corporea da coprire e
107
soprattutto un aumento dello sfarzo da ostentare nella
fattura delle vesti. In breve invece di spingere alla purezza
e alla castità come i bigotti monaci volevano, il gioco
erotico si fece più sottile e si trasformò in una scoperta
ancor più eccitante della nudità.
Ciò non impedisce a sant'Agostino, pur con livore e
chissà rimpianto, di attribuire interamente al sesso
femminile l'arte di sedurre col vestito:
«Donna, tu sei la porta del diavolo... Per colpa tua il
figlio di dio ha dovuto morire e dovrai andare [per
questo] sempre vestita di stracci [ma] a lutto [per la tua
impurezza].»
tipico costume femminile
udmurto con i dirhem e i nastri
Altrettanto scrive il Talmùd (Il senso del pudore a pag.
217 ediz. italiana v. bibl.) in maniera invero esagerata:
«Una spanna [scoperta del corpo] di una donna è
108
considerata nudità. [Poiché] chiunque guarda il dito
mignolo di una donna è come se guardasse la
pudenda...».
Nella Pianura Russa si riscontra che, a parte l'indecenza
lamentata per le aperture fra bottone e bottone, il vestito
femminile non è pesantemente decorato e ornato, mentre
è comune curare e esaltare piuttosto i tratti del viso.
Pomate, colori, ampolle per profumi sono i reperti
archeologici nelle tombe dove si riconoscono scheletri di
donne o fra i rifiuti di città ricche e colte come G.
Novgorod o Bulgar-sul-Volga/Biljar-sul-Čeremšan.
Abbastanza tipico nel nordest è l'uso dei dirhem (le
monetine argentee più diffuse) con cui i mercanti sovente
pagavano i prodotti ai locali. Questi dischetti di metallo
prezioso (argento) erano forati e cuciti su nastri colorati e
infine serrati tutt'intorno alla fronte e alla nuca.
Un altro aspetto dell'ornamento del viso, in questo caso
del collo e dei polsi, ma pure delle caviglie, è l'uso dell'oro
(più raro) trafilato e attorcigliato in più giri. Questo filo
d'argento spiralato è detto in russo/ucraino grivna e ha
un peso costante di ca. 120-160 g perché usato da moneta
vera e propria.... come è chiamata oggi la valuta ufficiale
dell'Ucraina. Ibn-Fadhlan (op. cit.) che incontra le donne
dei Rus a Bulgar-sul-Volga lo descrive così:
«Tutte le loro donne indossano sul petto un fil di ferro,
di argento, di rame o d'oro – a seconda della ricchezza e
del rango del rispettivo consorte – sul quale c'è un anello
che porta appesa un coltello pure attaccato al seno. …
Gli ornamenti più bramati [dalle donne] sono le perle di
giada verde che [i loro compagni] conservano nelle loro
109
barche. … [e che] mettono insieme in collane che poi
donano alle donne.»
La descrizione suscita curiosità almeno per la presenza
del coltello su ogni seno come gioiello. Forse serviva per
difendersi dalle avances ardite e premature degli uomini?
D'altra parte in tutta Europa vige e vigeva il costume di
palpeggiare le ragazze e queste ad accettare tali
manipolazioni o respingerle. Certo, il palpeggiamento era
un'occasione di stimolo e di seduzione, se la donna
voleva, ma senza ventilare il rischio di essere accoltellati
come avrebbero potuto fare le donne dei Rus! Alla fin fine
si trattava di verificare la maturità femminile a copulare
e a lavorare saggiando la consistenza dei loro glutei
attraverso il vestito (a quei tempi un solo telo) per essere
sicuri che avrebbero sopportato ogni duro sforzo. In più i
balto-slavi spremevano i seni puberi femminili per
assaggiarne il latte. Se ne sgorgava era inteso che fossero
mature sessualmente, ma stranamente non andavano
oltre a toccare il pube: Tanto era solo una fessura non
importante del corpo femminile!
Ricordo che in epoca cristiana senza le mutande le
occasioni per sedurre c'erano sempre. Le byline ne
raccontano a bizzeffe. Fra i divertimenti più comuni c'era
l'altalena in cui le ragazze potevano sventolare le loro
parti intime nel dondolarsi. Giochi erotici accadevano
pure nel prendere l'acqua dai pozzi – posti consacrati e
riservati alle ragazze, ma frequentati non tanto di
nascosto anche dai maschi – ossia bastava chinarsi in
avanti sulla bocca del pozzo quanto più possibile per
mostrare seni e glutei.
110
pittura ferrarese rinascimentale sulle avances maschili
A G. Novgorod c'era l'uso di mettere in vendita la
propria moglie nella Piazza del Mercato per ragioni
solitamente economiche o prima di partire per un viaggio
lungo ed è logico che al compratore la si mostrasse
quanto più nuda possibile perché ne apprezzasse la
bellezza e l'alto prezzo da pagare o, al limite, offrire il già
citato kunnoe, se la moglie così attraente non era.
C'è da aggiungere che chi fosse risultato per un qualsiasi
motivo espulso dalla famiglia (izgoi) e girasse da
mendicante nel mir o nella città non poteva permettersi
degli abiti e quindi vagava nudo. Fra gli esempi più
famosi il più notevole è Basilio di Mosca (XV sec.) che
mendicava nella Piazza Rossa presso la Cattedrale del
Sacro Mantello o dell'intercessione della Madonna sul
Fossato e per questo quella chiesa è più nota col nome
111
San Basilio.
Un izgoi nel mondo contadino non appena apparisse in
un villaggio era accolto concedendogli non solo vitto e
alloggio temporaneo, ma pure giovanette per fare
all'amore le quali in seguito sarebbero state apprezzate
più di altre. Chissà che Basilio non fosse trattato allo
stesso modo nella Piazza Rossa...
il beato Basilio, il folle in Cristo, in un'icona lignea museale
Comunque sia costoro, chiamati “folli di dio”, poco
avevano in comune con i terribili monaci ortodossi di
sant'Antonio del deserto sinaitico e le loro efferate
battaglie con gli spiriti diabolici di sesso femminile delle
montagne intorno e che nella Rus' di Kiev ebbero tanti
imitatori nei monasteri scavati nelle colline.
112
Una distinzione del rango sociale era la cintura
indossata esclusivamente dagli uomini, mentre ne era
privo l'abbigliamento femminile e ciò affinché le vesti alle
donne cadessero fino alle caviglie celando ogni curva.
Malgrado ciò, le vesti erano fatte di teli non cuciti
insieme, ma abbottonati lungo le cimose, come ho già
spiegato altrove, e quindi lasciavano vedere abbastanza
sui fianchi da far lamentare i parroci.
Menziono qui anche il fazzoletto che raccoglieva i
capelli delle donne considerati erotogeni, se sciolti,
coprendoli agli occhi estranei fuori di casa.
La nudità in ogni caso si addiceva alla divinità e tanto
più a quelle femminili come le ninfe dette vily descritte
bellissime discinte e nude, coi capelli sciolti a cavalcioni
sui rami degli alberi e lo stesso era per le rusalki,
altrettanto belle e simili nell'aspetto. I balto-slavi le
conoscevano col nome di laume e sappiamo che erano
esseri temutissimi dai maschi. Chi le incontrasse, doveva
essere fortunato nel riconoscerle subito dai vestiti o, se
svestite, dagli atteggiamenti strani e lascivi. Si consigliava
al viandante di stare attento poiché queste ninfe
desideravano copulare con i mortali e legarsi ad essi.
Erano giovanette scomparse prima del menarca che ora
volevano essere madri e i loro figli avrebbero infastidito
per il resto della sua vita il mortale che aveva esaudito il
loro desiderio materno. Non solo! C'erano donne a cui
piaceva indossare pellicce o indumenti ricavati dalla pelle
di animali per poi comportarsi appunto come quegli
animali. Ciò era variamente interpretato, ma in ogni caso
l'essere preda dell'incantesimo seduttivo dell'animale
113
denunciava alla fine che chi indossasse pelli conciate,
uomo o donna, era uno “spirito inquieto” (J. Jesch 2001).
Che dire della cosmesi personale? Quanto ai maschi
essa si concentrava sul proprio fisico sebbene si preferisse
impressionare gli altri maschi più che le donne di per sé
facili da sottomettere. In ragione di ciò è la forza fisica
che si tendeva a mettere in bella mostra e la nudità aveva
un ruolo decisamente preponderante. D'altra parte se le
mode maschili da emulare erano quelle circolanti nelle
grandi città del tempo come Costantinopoli, Baghdad e
qualche altra, l'ideale per i Rus restava la capitale
imperiale sul Bosforo e di qui essi importavano le mode
di vestire e di adornarsi al ritorno nella Scandinavia
d'origine. Persino la gestualità e le movenze “romane”
erano imitate dalle élites della Rus di Kiev e riverberate
sulle donne con la spocchia del galletto altezzoso.
È logico pertanto che pennacchi, armi, calzari, mantelli,
fibbie etc. fossero i capi di vestiario che ritroviamo presso
la nobiltà slavo-russa imitanti modelli cristianocostantinopolitani mentre si nota un graduale abbandono
del tradizionale tatuaggio all'approssimarsi del XV sec.
nelle classi elitarie. È un processo di “disimbarbarimento”
lento che fa scrivere al nostro Ibn-Fadhlan senza troppi
commenti:
«[I Rus] … non indossano giacconi né caftani, ma un
vestito che copre metà del corpo lasciando una mano
completamente libera.» e «Dalle punte dei piedi fino al
collo [i Rus] sono tatuati in verde scuro con svariati
disegni.»
Il colore della pelle aveva un ruolo assolutamente
114
relativo nella ricerca o nell'accoglienza in un amplesso
perché nel periodo che mi interessa la presenza di negri
africani o di etiopi scuri di pelle in pratica manca e l'unica
lamentela sul colorito della pelle che ho raccolto da parte
di chi comprava schiavi nella Pianura Russa era sulle
ragazze a volte talmente slavate da sembrare malaticce.
Un'arte seduttiva femminile per eccellenza, mancando
l'arte di sedurre con la nudità, fu la cucina dove la donna
alleata del fuoco possedeva facoltà terribili di vita e di
morte sui commensali. I suoi rapporti “ardenti” con
Svarožič, il figlio del re del celeste cielo Svarog, erano
noti come era noto che il dio abitasse nella pečka di ogni
izbà e che agisse non soltanto sulla cottura dei cibi, ma
penetrasse nel corpo della cuoca guidando le di lei mani
nella manipolazione degli ingredienti piccanti.
Ne ho già scritto (v. bibl.) e qui mi piace sottolineare
una fonte polacca del X sec., Skazanie Hristoljubiča, che
scrive sull'aglio, condimento considerato fortemente
afrodisiaco: «... [Gli slavi] credono sia una forza
divina...» e un'altra fonte rincara (A. Brückner, 2015):
«Durante le nozze gli slavi bevono dopo aver messo nei
bicchieri di legno il fallo [fatto di pasta di pane?] e l'aglio
[sminuzzato].» augurando così fertilità agli sposi novelli.
Non solo! I figli maschi si pretendeva che fossero in
numero maggiore. Gli slavi Xuzùli nei Carpazi secondo
un antico uso pagano imponevano alla sposa all'uscita
dalla chiesa che guardasse dal lato della foresta e
pronunciasse lo scongiuro contro la promiscuità: «Tutte
querce nel folto, ma una sola betulla.»
E a proposito di fertilità e questioni simili ricordo
115
ancora una volta che l'infertilità era interamente
attribuita alla donna, mentre la sterilità maschile non era
neppure immaginabile, causa l'ignoranza sulla fisiologia
del coito umano e che quindi questa carenza fastidiosa
non inficiava il ruolo del maschio. La paternità era nel
contratto di matrimonio insieme con almeno una
gravidanza e capitava che si dovesse stimolare la futura
madre tramite un dono, ad esempio procurando la
cacciagione desiderata dalla consorte. Il cacciatore
l'avrebbe macellata e lei l'avrebbe cucinata e alla fine
insieme l'avrebbero consumata. Non lo facciamo forse
ancora oggi, offrendo da bere e un dolcetto all'amata?
Secondo la chiesa costantinopolitana la donna era la
parte passiva nel coito e quindi più fredda del maschio. Al
contrario una donna troppo attiva nell'amplesso era una
persona illusa di superbia nei confronti del maschio e
pronta a ribellarsi all'ordine divino. Tuttavia una donna
di quest'ultimo genere con i cibi cucinati e con l'aggiunta
di ingredienti speciali era capace di attizzare i desideri
maschili per essere copulata e stremare il partner tanto
da carpirgli il potere o, addirittura, stanca e stufa del
partner propinargli un veleno. La chiesa in qualche
misura intervenne nella dieta quotidiana per smorzare i
bollenti spiriti con ingredienti magici (!) infusi nel cibo,
ma soltanto in modo blando secondo quanto prescritto
nelle regole conventuali che vietavano l'ottenebramento
totale dei sensi (E. Romanenko, 2002).
Non mi è possibile entrare più a fondo in questi modi di
vedere perché il materiale che potrebbe aiutare è
frammentario e scarso, ma dalle byline ho potuto cogliere
116
il pensiero recondito (in verità oltremodo maschilista!)
suggerito e temuto allo stesso tempo dagli ecclesiastici
allorché descrivono feste e abbuffate come attività
demoniache (i demoni sono appunto Svarožič e Rod): La
perfida donna nel suo sfrenato edonismo si preoccupava
col cibo adatto da lei preparato in questi festini di poter
disporre di falli di amanti attivi e in buona salute per il
proprio piacere! Era perciò consequenziale che nel caso
che non riuscisse a eccitare gli scelti, offesa per non esser
stata soddisfatta, optava per l'uccisione del carente o
scomodo partner col veleno. Accadeva spesso nella corte
imperiale del Bosforo e in Bielorussia, e qui siamo ormai
alla fine del XV sec., presso i Radziwill è risaputo delle
arti di Bona Sforza, principessa avvelenatrice milanese.
Niente sono venuto a sapere invece dell'autoerotismo
che certamente era praticato in solitario e in gruppo, visto
il gran numero di falli di legno in circolazione ancora oggi
presso i popoli del Volga e nonostante ciò è probabile che
non riconoscendo bene la sensazione orgasmica tanto da
saperla raccontare e descrivere, è stata ignorata dalla
tradizione orale.
I divertimenti dopo il lavoro.
La voce di donna era certamente udibile nell'assemblea
del popolo (veče) per diritto a G. Novgorod e nell'islamica
Bulgar-sul-Volga, ma nell'ambiente ebraico dei càzari
circolavano ammonimenti contrari in proposito. Rav Jose
ben Johanan di Gerusalemme nella Mishna, Avot I 5 era
stato chiaro:
117
«La tua dimora sia spalancata, siano i poveri i tuoi
amici di casa e non parlare troppo con una donna. I
saggi lo hanno scritto delle loro donne e ciò vale anche
di più per la donna del tuo prossimo. Da tutto ciò
dicevano i saggi: Ogni uomo che parla molto con una
donna, attira guai su di sé e cessa di studiare le parole
della Torà e alla fine eredita un posto fra i dannati.»
L'analfabetismo dei credenti, maschi e femmine, era
inoltre auspicato dalla chiesa cristiana che riservava
lettura e scrittura solo ai testi ecclesiali e perciò solo al
personale autorizzato, ma nel cuore della Rus di Kiev e in
centri importanti come Polozk, Kiev o G. Novgorod
l'analfabetismo al femminile non si verificò del tutto e
tanto meno lungo il litorale del Mar Nero o nel mondo
islamico. Non solo! Le amorose corrispondenze scritte su
scorza di betulla (berjòsty) c'erano e qualcuna già l'ho
mostrata, benché si contino sulle dita d'una mano quelle
ritrovate dagli archeologi sull'argomento amoroso.
E la voce femminile non si esprimeva al meglio nel
canto ammaliatore e nella danza che parlava col suo
corpo? Purtroppo quanto al canto medievale russo non
ho trovato abbastanza. La tradizione folcloristica e la
letteratura popolare hanno lasciato numerosi testi che
per il contenuto dovevano per forza essere cantati da cori
di donne spesso coadiuvate da una solista.
Dalle fonti musulmane inoltre ho riscontrato che fra le
schiave a Cordova o a Rayy (Teheran), le slave erano
apprezzate più di altre nei servizi canori. Ciò dice
qualcosa riguardo ai divertimenti? Esaminando il canto
maschile di cui ci sono tracce nella cultura orale si può
118
ipotizzare che le dichiarazioni d'amore sotto forma di
serenate erano ammesse e cantate da gruppi di musicanti
e ciò specialmente a G. Novgorod, la città internazionale e
più emancipata da ogni punto di vista. Non solo! I canti
maschili (forse è meglio dire le cantilene) servivano
soprattutto a raccontare il passato attraverso versi e
ritornelli allo scopo di consolidare in questa maniera le
tradizioni.
Quasi nulla ho trovato invece sull'impiego di castraticantori presso le chiese o i conventi slavo-russi, sebbene il
mercato degli schiavi esportati dalla Pianura Russa fosse
pieno di ragazzi di slava provenienza presso i “castratoi”
di Samarcanda, ad esempio. L'unica notizia che ho a
riguardo è (P.O. Scholz, 2001) che, nell'ambito del lavoro
missionario a Smolensk, nel 1137 si stabilì un certo
Manuel Castratus di provenienza occidentale con la sua
compagnia di voci per insegnare canto ai giovani nella
cattedrale di Černigov.
I nomadi delle steppe amavano il canto dei loro maschi
e lo sfruttavano con gli stessi scopi amorosi fin qui
accennati, salvo che maggiormente indulgevano in testi
lascivi e ammiccanti per solleticare il desiderio delle loro
donne che rivedevano dopo mesi di solitario pascolo.
Comunque non son riuscito a capire se i popoli turcofoni
usassero le voci di cantori-castrati o di bambini appena
puberi in occasione delle solennità sacre e se le ragazze e
le anziane si esibissero in canti e danze orgiastici.
Ho registrato invece che con il rylei, una chitarra
orizzontale da suonare accovacciati amata e diffusa fin sul
Don, i capiclan dell'etnia turcofona kazaka si facevano
119
intonare canzoni d'amore mentre erano in compagnia
dell'amante di turno, maschio o femmina. Pare a
proposito che il suonatore-cantore era più apprezzato se
fosse stato cieco!
Lo strumento che gli svedesi dicevano eccitasse al
massimo gli ascoltatori maschi e perciò amatissimo e
suonato dalle donne, era la drumla o drymba o, come era
chiamato a G. Novgorod, il vargan (dal greco organon o
strumento sessuale in gergo) ossia il marranzano o
scacciapensieri (sic!).
bellezza tatara col vargan in un reenactment, 2017
Lo strumento è di provenienza centro-asiatica (in tataro
è il kubyz) o, anzi meglio, di origine zingaresca con una
vaga forma fallica. Penso pure che, uditi i vari suoni che
poteva produrre, era usato in città per parlare d'amore da
lontano a chi naturalmente sapesse riconoscere i suoni...
più meno come il cinguettio degli uccelli in amore! Lo si
120
fa ancora in Siberia fra innamorati …A volte il vargan è
chiamato lo strumento degli ebrei forse perché era usato
da Càzari mercanti per scambiarsi appunto notizie e
appuntamenti.
Nominavo l'etnia zingara, i Roma, poiché nel Medioevo
Russo sono gli unici ammirati musici e attori di strada
(skomorohi), non essendoci altre scuole a cui accedere
per imparare canto e danza per insufficienza di monasteri
e conventi femminili, ad esempio.
L'apporto culturale dei Roma è tardivo giacché nella
Pianura Russa compaiono nel tardo XIII sec. accodati ai
Tataro-mongoli dopo aver lasciato la loro sede persiana e
dove erano chiamati Liuli o Luri. Purtroppo per quanto
riguarda canto e canti d'amore da loro propagati posso
scrivere ben poco, se non che nei ritornelli di molte
canzoni popolari si sente ripetere la parola ljuli/luli che,
guarda caso, è giusto l'etnonimo detto poc'anzi. Aggiungo
però che c'è una sospetta consonanza con una divinità
molto popolare fra gli slavo-russi, Ljolja, che, come i
balto-slavi per Lada, si credeva attizzasse la passione nel
fare all'amore.
Tuttavia per il ruolo pagano dell'arte cantoria degli
zingari devo rammentare che la chiesa raccomandava di
non frequentarli, gli zingari, e in nessun caso nemmeno
ascoltare i loro canti e le loro storie oscene! In cambio il
cristianesimo slavo-russo incoraggiava le famiglie più
abbienti a investire nella costruzione di conventi
femminili nella Rus di Kiev dove alle giovani pagane si
sarebbero insegnati i cori inneggianti al dio cristiano, ma
come ho scritto altrove, furono pochi i conventi fino al XV
121
sec. cioè col potere moscovita.
Certo è che i repertori popolari circolanti rimasero a
lungo lascivi e ammiccanti come si immaginavano i suoni
vocali delle ninfe ammaliatrici della selva (vily, rusalki).
Quanto alle danze (pljaski), i divertimenti più in voga
fra le ragazze e i ragazzi, lo schema era solitamente in
gruppi di sole donne e/o di soli uomini che ballavano in
circolo, se possibile intorno a un albero magico come il
melo, mentre la musica andava con l'accompagnamento
vocale e con battiti di mano ritmati dai tamburelli degli
astanti. Nessuna meraviglia che nelle danze in circolo – i
horovody, oggi presentati come tipo di danze
folcloristiche e nazionali – si cantassero storie di imprese
sessuali degli eroi dei tempi andati e nello stile dei
movimenti erotici erano abbastanza ripetitive. Per le
danzatrici erano previsti o la quasi nudità o abiti semplici
ossia camicioni assolutamente bianchi lunghi fino alle
ginocchia che nelle piroette che nelle giravolte lasciavano
intravvedere le bellezze corporee intime senza scandalo.
I circoli danzanti spesso erano due ed erano formati da
maschi e da femmine che volteggiavano l'uno accanto
all'altro fino a scontrarsi, glutei con glutei. Dopodiché ci
si lasciava andare in duetti erotici per il diletto degli
astanti e le ragazze fuggivano inseguite dai ragazzi. Era
uso che si formassero le coppie acchiappandosi per i
genitali o per le mammelle e facendosi acchiappare poi
copulassero sul posto. Le danze più sfrenate erano quelle
delle feste nuziali, perezvy, che il maestro di festa,
družko, dirigeva con solennità. Seguo qui l'etnografo M.
Dikarev (repr. 2020) che le descrive aventi un carattere
122
eminentemente fallico. Il mio autore cita anche la
haljandra degli zingari (cigany) per i gesti insoliti in cui i
danzatori e le danzatrici si tengono non per le mani ma
per le orecchie, i maschi le femmine, e per gli organi
genitali, le femmine i maschi. Al ritmo dei tamburelli
saltano mentre si sculacciano l'un l'altra.
I horovody nascevano da usi e divertimenti vecchissimi
fra cui quello di preparare la persona scelta, un maschio,
al sacrificio cruento. Ebbro/a di droghe e vacillante, la
prevista vittima veniva dapprima caricata di ogni
bruttura compiuta nel mir urlandogli accuse atroci
affinché facesse bene la sua parte di placare ogni
eventuale ira degli dèi (a mo' di capro espiatorio) e poi
era interrogato sul futuro. Finalmente si intonavano i
canti e iniziavano le danze che col loro frastuono
avrebbero smorzato i lamenti e le eventuali grida del
sacrificando nel momento culminante del suo olocausto.
In tal modo il sacrificio si mutava in gioia per tutti....
giacché in tal modo gli dèi si erano ormai placati! Spesso
il coro che accompagnava i riti era composto da vedove o
comunque da donne non più in cerca di uomini con cui
amoreggiare essendo la partecipazione ai horovody
interdetta spesse volte alle madri.
Danze più spettacolari e più movimentate erano quelle
eseguite dai varjaghi quando arrivavano nei mercati
perché mostravano la forza fisica dei giovani armigeri e la
loro abilità nel maneggiare le armi mentre allo stesso
tempo dipinti di nero con maschere spaventose
ammiccavano alle spettatrici attirandole a danzare in
mezzo a loro... Le danze “militaresche” erano amatissime
123
dalle genti del Caucaso poiché richiedevano un esercizio
muscolare intenso per i salti e i contorcimenti ritmati del
corpo con addosso un costume da guerra con spada e
stivali. Le ragazze vi partecipavano volentieri da cantanti
immobili con l'obbligo di essere a piedi nudi e per la
maggior parte del tempo erano circondate dai vorticanti
maschi. Né mancavano solisti e campioni di salto e di
piroetta e costoro, facendo ruotare le ragazze nelle gonne
colorate e con gli scialli enormi e variopinti sulla testa, ne
mostravano le intimità.
La ridottissima antologia qui da me qui inclusa delle
danze in cerchio è da assimilare probabilmente al tipo di
danze greche dette kordax dedicate a Artemide Kordaka
dalle mille mammelle che implicavano il denudarsi delle
ballerine con movimenti erotici che invitavano i maschi
124
per la copula sacra (ierogamìa). Non essendo io però un
musicologo, lascio ad altri specialisti descrivere tempi e
coreografie (v. T. Naryškina 2014 et al.). A parte ciò, non
sono riuscito a confermare una moda che in Occidente
nel Medioevo era talvolta apprezzata nel vestire delle
donne e cioè che la mammella destra, seppur coperta, era
quasi sempre messa in maggior risalto con tessuti
abbastanza diafani rispetto a quella sinistra.
Non solo! Per i nomadi turcofoni detti Cumani dai
mercanti genovesi del Mar Nero e Polovcy dagli slavorussi (in russo: dai capelli color paglia di segale ossia
rossicci) le mammelle erano un segno di femminilità
importante e le loro donne sono ritratte nelle sculture con
i seni liberi in vista (v. figura).
Naturalmente non posso che concludere scrivendo che
per l'autorità religiosa cristiana, una volta entrata a
gamba tesa nella Pianura Russa, tutto ciò che concerneva
danze, canti e suoni erano opere del demonio e che perciò
andavano cancellate e al più presto sostituite dalle pie
teatralità cristiane!
125
126
Capitolo quarto
La religione della morte
Magia e divinazione erano nel passato le forme consuete
per acquisire una migliore conoscenza della biocenosi
dove si abitava, nel nostro caso la Pianura Russa, e con
gli elementi cognitivi acquisiti dall'esperienza personale
più la tradizione del rod gli uomini trascorrevano il
tempo nell'ecosistema in cui si era nati fra gli alti e i bassi
delle stagioni e in cicli più o meno uguali.
Nel mondo magico pagano non esistevano valori
intrinseci da attribuire all'uomo sin dalla nascita. Si
diventava membri della biocenosi abitata insieme con
altri esseri viventi soltanto dopo un certo periodo dal
parto e dopo aver superato gli esami di “vitalità” che
prevedevano un fisico senza difetti e senza disabilità
apparenti. Due erano gli aspetti fondamentali senza stati
intermedi per ammettere l'appartenenza alla stirpe:
essere vivi o essere morti. I vivi in perenne affanno per
mantenersi appunto in vita erano in concorrenza fra loro
nell'ecosistema loro assegnato dalla verv, ma arrivavano
a un certo periodo della vita a un momento critico in cui
dovevano lasciare e ritirarsi nel mondo dei morti. Chissà
127
se fossero ritornati fra i vivi in vita ancora o da fantasmi:
gli dèi del cielo decidevano! La morte non era la fine
assoluta né era ritenuta un evento certo e ineluttabile: si
poteva scomparire senza morire e viceversa! La fine della
vita era di solito il compimento di un ciclo terreno umano
quando ci si ricongiungeva con i padri (predki)
ritornando nel luogo lontanissimo lasciato tempo prima
per entrare nell'utero della madre.
Questo dualismo vivo-morto è riconosciuto peculiare
della natura umana e lo si ritrova fortemente accentuato
in materia sessuale, ma non in modo rigido come nel
cristianesimo che ammette un sesso sì: maschio e un
sesso no: femmina. Due sessi probabilmente esistono, ma
con possibilità di passaggio da un gender all'altro, altri
sessi naturali e permessi, e in ogni caso le gonadi
maschili, evidenti e visibili, o l'utero, invisibile generatore
di vita, non sono utilizzabili senza il permesso divino.
D'altronde se si pensa alla durata della vita media di
quei tempi, fra 12 e 40 anni d'età e il nostro attuale arco
di vita media quasi il doppio, diremmo che nel Medioevo
si dispiega il trionfo corporeo dell'individuo in ogni sua
funzione nella sua giovinezza, dopo un'insipida infanzia e
senza una ambigua adolescenza.
Oggi una decadente vecchiaia curata e medicalizzata è
addirittura auspicata e augurata e nessuno è disposto ad
attendersi che una malattia lo possa uccidere. In più non
essendo in quei tempi i malanni corporei o psichici
ancora medicalizzati e sottoposti a indagine scientifica e
statistica per curarli, le ferite o i malori erano trattati
dalle ved'my con erbe e pozioni appropriate e non
128
permettevano di immaginare un infermo lungodegente.
Chiunque superasse per disabilità una durata stimata
normale (i magici 7 giorni delle fasi lunari o settimana
della creazione in regime cristiano) di impedimento al
lavoro comune era destinato all'emarginazione e
all'estromissione dallo spazio della verv, sebbene non alla
morte esplicitamente.
Come esempio singolare funebre del paganesimo di
Nordest rammento qui che il timore maggiore non era
trasmigrare nel regno dei morti giacché lì si sarebbero
trovati bene in compagnia di conoscenti in attesa forse di
ritornare fra i vivi, ma invece: Che ne sarebbe stato della
salma? Alla fin fine non era un semplice vestito e, se se
ne fossero impadronite le forze impure, l'avrebbero
rivivificata e l'avrebbero mandata in giro nella schiera
degli esseri semi-umani vaganti nella selva a funestare
altri uomini per cibarsi del loro sangue (upiry). Per
evitare un tale destino non c'era altro modo che bruciare
il cadavere e restituire le ceneri solide alla Gran Madre
Terra e la parte aerea al cielo su una bella pira funebre.
Le ceneri di persone più notevoli a volte erano raccolte in
un'urna di terracotta e interrate nei sopki, collinette di
terre artificiali, o poste in cima a un palo lungo il sentiero
che conduceva al villaggio d'origine.
Dopo era arrivato il cristianesimo e i propagandisti
predicatori esortavano a lasciare quelle false credenze. Il
racconto della vita, della morte e della risurrezione del
Cristo provavano l'inconsistenza delle storie pagane.
L'intera vita dell'individuo era fissata passo per passo
nelle Sacre Scritture ispirate dallo stesso dio creatore e
129
Cristo, figlio di quel dio senza nome, era stato mandato
fra gli uomini giusto con la dottrina vincente che incitava
a cambiar modo di vivere per salvarsi in una morte
gloriosa e in una risurrezione ancor più gloriosa! La
potenza del Cristo era testimoniata dai tanti miracoli suoi
che realizzavano le grandi promesse dei miti salvifici da
lui raccontati. Chi si fosse battezzato non sarebbe più
morto. Ci sarebbe stato un giorno in cui il cosmo sarebbe
stato distrutto e gli uomini, vivi e morti, dopo il Giudizio
Finale (russo Strašnyi Sud), sarebbero risorti in carne e
ossa. Il creatore avrebbe premiato chi era morto senza
peccati – se ce n'erano, a pagamento l'estrema unzione in
punto di morte era adatta a cancellarli – con la vita eterna
nella beatitudine del Paradiso. Ai pagani era riservato
l'inferno con i suoi orrori di fuoco. I cadaveri perciò
andavano inumati perché servivano nel grande evento.
Gli dèi pagani avevano allora mentito agli antenati e
taciuto sulla fine futura dell'ecosistema? Cristo non
negava la realtà dei suoi predecessori pure divini e delle
loro rivelazioni, ma avvertiva che erano stati ingannati
dal demonio, un angelo ribelle creato da suo padre per
tormentare e mettere alla prova l'uomo. E, raccontavano
le Sacre Scritture, se il demonio aveva provocato la
“decadenza morale” del primo uomo Adamo, ciò era
accaduto a causa della credulità e della perfidia della
femmina Eva che aveva ceduto alle lusinghe del diavolo.
Con tali contenuti e con una lena graduale, ma tenace e
assillante si faceva leva sulla popolazione urbana delle
due o tre città della Pianura Russa nel X-XI sec. col
nuovo credo affinché si adottassero le nuove regole di
130
vita. Fra gli strati contadini della campagna, della foresta
e della steppa a causa delle difficoltà geografiche e
ecologiche di accessibilità esistenti tali dottrine a lungo
arrancarono. Ancora nel XV sec. si potevano trovare
pietre tombali slave scolpite con scene di danze di uomini
e donne ritratti nei riti pagani del passato, benché una
croce indicasse che la salma fosse battezzata. Non solo!
Le pietre tombali rappresentavano soltanto un confine di
territorio dove il defunto era vissuto giacché il corpo era
andato in fumo.
La chiesa dall'esperienza pregressa in altri luoghi
d'Europa pure pagani aveva sviluppato una grande e
politica pazienza in queste questioni, sebbene nel XII sec.
pungolasse ancora i suoi ministri a un lavoro sollecito di
indottrinamento e restava in attesa di tempi migliori. I
barbari della Pianura Russa erano insomma avvinghiati
saldamente alle tradizioni ed erano queste da sradicare
con qualsiasi mezzo, persino cruento nei casi ostinati.
Si conoscevano queste tradizioni? Non pare, ma c'era il
tempo di studiarle per attaccarle nei punti salienti giusto
come avevano fatto i santi monaci Cirillo e Metodio, i
famosi apostoli degli slavi, nei Balcani e nei Carpazi.
Al momento, X-XI secc., l'incertezza del clero orientale
sul da farsi è notevole a causa delle molte grane religiose
nei Balcani dove i Bogomili bulgari (del Danubio) stavano
rivoluzionando i costumi sessuali e la posizione della
donna nella loro comunità (J. Brosse, 1995).
E così in un pantano di opinioni e di pregiudizi cresceva
la volontà di riformare rapidamente i costumi intimi e
pubblici partendo dai vestiti, dalla lingua e intervenendo
131
nelle relazioni di potere sessuale fra uomo e donna nei
tradizionali raggruppamenti. Il sesso insomma restava la
maggiore preoccupazione.
Secondo i cristiani col battesimo e col tentativo di
limitare i contatti fra donna e demonio e annullare così il
piacere sessuale, si sarebbe sconvolto il ruolo del maschio
superiore che si esprimeva nel tipo di coito nella società
in auge: dunque non proibire del tutto, ma condannare la
sessualità come uno sfrenato e scellerato edonismo!
Scienza e amore.
Al giorno d'oggi con un'enorme esperienza medicoscientifica accumulata, per tacere dei progressi della
genetica sulla fisiologia del corpo e sulla biologia del
comportamento, il sentimento amoroso ci affascina
ancora col suo mistero di intense sensazioni e non
riuscire ad avvolgere col pensiero che cosa esso sia
realmente, resta un campo da esplorare senza tregua. In
breve la parola amore nella civiltà occidentale risulta
talmente gravata di concetti e di sensazioni a volte
sconvolgenti che, sebbene l'osservazione e l'esperimento
negli ultimi decenni abbiano svelato in gran parte la
natura del sesso e della copula, restano numerosi i
ripensamenti e i dubbi nel XXI sec. (A. Comfort, 19912008, I. Consoli 2017, E. Nagoski 2015-2017).
Affronterò la questione con linguaggio semplice, ma
non semplicistico, sempre con la raccomandazione di
consultare la bibliografia consigliata in caso di incertezza
e chissà che magari amore non si possa sostituire con un
132
altro termine meno antiquato.
Noi viviamo in un universo pieno di eventi visibili e
invisibili che ci provocano sensazioni particolari e queste,
mediate dai nostri 5 (e più) sensi, sono registrate e
archiviate nel cervello. Gli eventi che percepiamo variano
nel tempo e il cervello di volta in volta li confronta con
l'archivio acquisito e li riclassifica usando scale innate di
valori che includono un'amplissima gradualità di
interazioni con l'ambiente.
Ogni scala inizia con l'eventuale pericolo letale per il
corpo e culmina probabilmente col massimo piacere
fisico godibile. Il sistema serve a soddisfare i bisogni
corporali evitando danni con adeguate reazioni fisiche di
difesa/accoglienza ossia con complessi automatismi
fisiologici che in buona parte possono essere calibrati
dalla cultura.
Recentemente è stato messo in evidenza che gli odori
che ognuno di noi emana hanno un ruolo preponderante
nell'attrarre o nel respingere l'eventuale partner per farsi
toccare e manipolare.
Per il comportamento sessuale è quasi accertato che, se
il bouquet di fragranze (ferormoni) emanato da un
individuo risulta in alto nella scala dei valori dell'altro
individuo che lo sta percependo e se questo grado è più o
meno raggiunto in entrambi, ecco che nascerebbe la
disponibilità alla manipolazione sessuale reciproca.
Effettivamente odorandosi l'un l'altro in maniera quasi
inconscia si sceglie con chi far lega, non escludendo dal
contatto fisico neppure il cieco o il disabile. In più la
scelta odorifera del partner da cui si è attratti è collegata
133
col MHC personale cioè in termini più semplici col
sistema molecolare che i linfociti d ciascuno di noi hanno
per difenderci dagli agenti patogeni che dovessimo
incontrare (A. Viola 2022). Immediatamente dopo e solo
se la sensazione odorifera percepita è stata accettata, ci si
abbraccia, ci si bacia sulle labbra o sulle guance, ci si
palpa accostandoci fino al contatto estremo coi corpi nudi
da cui può nascere ogni ulteriore attività.
Negli ultimissimi tempi si è pure scoperto che quando
scoppia un amore il segnale è un aumento della
secrezione di numerosi ormoni fra cui l'ossitocina nella
femmina e la vasopressina nel maschio con meccanismi
fisiologici quasi paralleli.
È davvero così semplice? Certamente no e c'è ancora
moltissimo da indagare, ma è provato che occorre
imparare a fare all'amore e con chi o in altre parole che la
penetrazione, le carezze, i baci etc. sono oggetto di
apprendimento e di tirocinio e non azioni genetiche
innate, mentre la scelta di un partner è in gran parte
definita dall'ambiente culturale poiché il piacere sessuale
è eminentemente individuale.
Anzi, dalle ricerche sul campo della sociologa E. Grosz
(2009) fra i casi di ragazzi vissuti in ambiente selvaggio a
contatto con animali per tutta l'infanzia e per parte della
pubertà è stato accertato che l'amplesso con penetrazione
vaginale deve essere insegnato e provato e riprovato
individualmente. In più l'orgasmo, maschile o femminile,
non è sentito da questi ragazzi selvaggi come il massimo
del piacere in confronto con altri piaceri di tipo non
eminentemente sessuali.
134
E che succede se soltanto uno dei due partner è investito
di desiderio amoroso o se i partner sono più di uno o se è
incluso il caso omosessuale? Il sessuologo S. Wunsch
conclude fra l'altro (Manuel de Sexologie, 2014, v. bibl.):
«In sintesi, quanto alla motivazione [al coito], le
diverse attività sessuali (a parte i movimenti ritmici del
bacino maschile) non dipendono più dall'esecuzione in
risposta a riflessi copulatori innati, ma probabilmente
da motivazioni erotiche apprese.»
In conclusione i processi sono complessi, ma mi preme
sottolineare che le circostanze che fanno nascere l'amore
sono in buonissima parte di natura culturale e risultano
inculcate nell'educazione di casa che i genitori – la madre
in primo luogo – passano ai figli in base alle esperienze
personali precedenti (aggiungo: risalenti almeno a una
decina di anni prima rispetto alla propria prole per una
genitrice di ca. 18-20 anni!).
La risposta pratica agli stimoli ormonali e alle pulsioni
perciò non è la stessa sia nel tempo sia nella geografia né
è scontata perché le tradizioni da popolo a popolo sono
differenti e, seppure lentissimamente, fluttuano e
evolvono. Per cause ambientali e storiche la costellazione
ormonale e la gamma delle reazioni corporali e
psicologiche che ne seguono non è quantitativamente ben
riconoscibile nella gestualità amorosa e nel linguaggio
affettivo dell'oralità per cui riconoscere l'idea amorosa di
1000 anni fa è complicato.
Affiora in me però un altro dubbio: Perché i nostri
antenati nella cornice di un'educazione di un/a adulto/a
si sono preoccupati di intervenire sui comportamenti
135
sessuali passando in secondo grado altre esigenze
educative? Premesso che in quasi tutte le società umane
prevale attualmente il patriarcato, è possibile che il
primo sistema organizzativo delle comunità antropiche,
specie nel nostro continente, sia stato il matriarcato che
J. J. Bachofen (1815-1887) aveva cercato di immaginare
di descrivere con le sue ricerche ormai desuete.
Sicuramente alla donna risale l'invenzione della lingua
articolata per comunicare con i figli infanti (lat. infans =
chi non parla, ma obbedisce) e che la sedentarizzazione
realizzata con lo sfruttamento agricolo offriva maggior
tempo libero per le relazioni interpersonali, compreso
l'approccio amoroso. Dubito che in quei secoli di
dominanza culturale femminile in cui la donna non era
soggetta ad altro potere umano, ci fosse una passiva
intenzione del maschio di alterare/abbattere l'importante
ruolo femminile nella vita sociale di una qualsiasi
comunità. Né con l'invasione degli indoeuropei il potere
culturale delle donne in Europa fu del tutto obliterato.
Certamente la donna, pur cedendo all'ordine fallocratico
degli invasori, perse la gestione della vita dei maschi, ma
non quella della prole impubere e senza padri putativi.
Se pertanto i balto-slavi sono gli indoeuropei più antichi
nella Pianura Russa in parziale meticciato con i finnougri nella zona più meridionale, i ricordi di una serie di
sconfitte femminili rimasero nei riti orgiastici dei loro
paganesimi e, siccome la questione è come agisse il
potere patriarcale nella lotta donna-uomo, proprio presso
queste etnie per il periodo medievale ho trovato la mia
ricca miniera dove scavare. Non credo peraltro di dare
136
eccessivo peso all'oralità poiché in un mondo rimasto
senza scrittura tanto a lungo la cultura si registra bene
anche nella tradizione orale e, se si combina la parola con
i reperti archeologici accuratamente interpretati, ecco che
la favolistica popolare può essere una fonte storica da
consultare con affidabile profitto.
Sono partito logicamente dai primi secoli del passato
millennio dagli scritti di costantinopolitana memoria
giacché è il cristianesimo ortodosso di Roma sul Bosforo
che si movimenta e ne scrive nella cornice della politica
imperiale di porre sotto controllo con la sua fitta rete di
spionaggio i popoli che si affacciano sui confini.
L'impero d'Oriente si scontrerà in primis con il
patriarcato politeista delle steppe e dei Carpazi dove
mostra le ferite di essersi misurato impreparato con i
resti di un matriarcato ben radicato. Quando poi i tempi
saranno maturi, i cristiani si riorganizzeranno e
sopravverranno tentando di cambiare il sistema del
potere ben oltre i Carpazi lungo il bacino dell'Elba e della
Vistola che da questi monti scaturiscono affannandosi a
riformare le diverse socialità pagane. Anche qui le etnie
sono numerose sebbene in stragrande maggioranza slave
e, se i dominandi non rientrano nei canoni standard di
sudditanza in auge in gran parte d'Europa (IX-X sec.), è
l'Impero Romano a dettar legge giacché ha ricevuto da
Cristo la missione ecumenica a dominare il pianeta con la
croce e con la spada e con questa facoltà totalizzante
affronta i barbari pagani. Questi ultimi, una volta entrati
in contatto coi missionari, sono alimentati a profusione
con le favole di poter accedere a una vita e a una morte
137
migliori battezzandosi. È chiaro pure che con Cristo si
dovranno accettare nuovi miti nella quotidianità poiché i
vecchi stili di vita saranno persino proibiti. I bisogni
fondamentali fisici del tipo fame e sete, sia chiaro, non
saranno toccati troppo dal cristianesimo... purché non
interferiscano col decalogo di Mosè! Se ad esempio
s'impongono due digiuni settimanali più quelli della
quaresima etc. o si porrà il veto – questo sì con cautela! –
di bere bevande inebrianti, un numero eccessivo di
proibizioni sul cibo si evita perché c'è il timore di voler
condurre alla morte per forzata inedia suicida.
E l'attività sessuale? Dal punto di vista ergonomico è la
più dispendiosa fra le attività umane spontanee (senza
strumenti!) sia in forze fisiche sia in tempo, ma non è
letale – non si muore d'amore – se la si limita o la si vieta
in certi giorni e in certe circostanze.
Se nelle regole è incluso l'assoggettamento femminile al
maschio, il successo per il vivere da cristiani si può
considerare realizzato in pieno. E alla fine non è questo
l'esito che più attrae ogni maschio, pagano o cristiano che
sia, ma che aspiri a un potere, qual che sia? Dal processo
suaccennato mancano le donne tuttavia. Ci sono allora
differenze discriminanti fra i comportamenti femminili
della donna del nordest e le donne del centro Europa?
A questo proposito l'educazione papale conferma
l'inferiorità femminile rispetto al maschio e la sancisce
ufficialmente nel 1234, mettendo in vigore il famigerato
Decretum Gratiani del 1140 emesso quando la definitiva
rottura fra Chiesa d'Oriente e Chiesa d'Occidente è
ribadita irriconciliabile dopo lo scisma del 1054 e mentre
138
un nuovo patriarcato cristiano occidentale è in funzione
dall'occupazione di Costantinopoli del 1204.
In questi testi alla donna cattolica è interdetto
battezzare, insegnare e tanto altro. Essa non deve che
sottomettersi al marito che il dio cristiano le ha concesso
giacché essa è debole di mente e soprattutto... non è stata
creata a immagine e somiglianza divina!
La chiesa, primo impresario teatrale.
La chiesa ha imparato che gli spettacoli pubblici fanno
parte della procedura evangelizzatrice poiché esercitano
una forte impressione sui barbari e che perciò occorre
trasformare ogni ambiente dove è previsto l'incontro coi
pagani in un sacro palcoscenico. Lo scopo è di mantenere
per un certo tempo viva l'attenzione dello spettatore e di
impedire qualsiasi interlocuzione fra predicatore e
udienza. Il teatro migliore, il clero lo sa, è la città che va
sacralizzata per le attività di strada e, dove è fattibile,
disseminandola di chiese di durevole pietra. La gente non
andrà più nella foresta per i riti e gli osceni spettacoli
finiranno perché la chiesa cristiana, il maggior impresario
teatrale del Medioevo, offrirà un carnet di operette
ricchissimo. Costantinopoli possiede già il suo grande
teatro finito e rifinito al coperto dedicato a Santa Sofia o
del Sapere Divino dove si svolgono i drammi sacri cantati
e danzati secondo i testi delle Sacre Scritture davanti a
un pubblico plaudente di credenti!
Anche Kiev avrà nel XII sec. la sua Santa Sofia con la
stessa destinazione teatrale e così pure G. Novgorod e
139
Polozk. Non solo! Le strade e le piazze secondo progetti
urbanistici cristiani combinano il rotondo col rettilineo e,
usando materiali nuovi per costruzioni e per pitture,
permettono processioni e sacre cene con veri cibi e vere
bevande. Strade e vicoli intersecantisi si ridisegneranno
per angoli retti, per quadrati e per rettangoli affinché le
case di dio in pietra o in mattoni santifichino meglio i
quartieri, le piazze e i crocicchi. Le pareti esterne delle
chiese saranno dipinti con le scene più fantastiche tratte
dalle Sacre Scritture e così insieme con gli spettacoli di
strada le anime battezzate sono educate all'obbedienza
dei precetti religiosi e alle prescrizioni del potere
cittadino... divertendosi. Il sovrano è associato in qualche
modo nel vertice religioso e comparirà da protagonista
divinizzato in ogni celebrazione. D'altro canto le festività
cristiane sono numerose e i riti, in forma di processioni
suonate cantate e danzate, hanno il compito di abbagliare
gli spettatori ai quali si offrirà persino l'occasione di
parteciparvi da comparse attive. Col battesimo si ha il
diritto e il dovere di essere presenti in ogni festa, purché
si sia in purezza di corpo e di spirito, altro concetto
alieno che si riferisce al modello di comportamento
distratto dalla lussuria.
Qui di seguito riassumo meglio questi concetti come
erano più o meno definiti all'epoca (M.D. Jordan, 2002):
(1) Il maschio è in cima alla piramide e la femmina, sorta
di maschio riuscito male dalla costola di Adamo, è
succuba del maschio. (2) Non sono ammessi, perché
peccaminose l'incesto, l'omosessualità, l'esibizione del
corpo, la prostituzione, etc. (3) Non conoscendo il ruolo
140
biologico della femmina, la chiesa le riconosce soltanto di
essere per natura il ricettacolo del seme maschile il cui
specifico compito è di nutrire il nuovo essere umano che
il dio cristiano ha inviato e va plasmando nell'utero. (4)
Alla donna e all'uomo, una volta che il legame
matrimoniale è sancito dall'apposita formula rituale, non
è concesso altro sodalizio a scopo sessuale con altra
donna e rispettivamente con altro uomo. L'adulterio è più
grave da parte femminile perché è imputabile allo
sfrenato desiderio di godere della donna inculcato dal
demonio e perciò l'uomo pio deve stare molto attento
nella copula alle subdole tecniche amorose femminili. (5)
Il divorzio non è ammesso, se non in caso di sterilità
femminile, così come neppure la vedovanza consente di
risposarsi e il potere del marito defunto passa al figlio
maggiore e in special modo la vedova rimarrà tale per il
resto della vita. (6) Fare all'amore è consentito soltanto
per riproduzione – intesa come protezione della gestante
da parte del maschio – e mai per il momentaneo piacere.
Ogni procedura contraria è vietata. Ogni pratica
masturbativa è peccaminosa. Rammento che l'onanismo
in particolare cioè l'eiaculazione dello sperma esterna alla
vulva era d'obbligo nelle copule sacre poiché il seme
sacralizzato nel rito andava sparso sul suolo ossia sul
corpo della Gran Madre Terra o Mat Syra Zemljà. Altri
tipi di copula sono pure da evitare come la fornicazione
con una meretrice, donna degradata dalla società che
genera da sola senza la protezione di un maschio ed è
perciò spregevole e impura perché è schiava consenziente
del demonio. (7) Sono bandite le riproduzioni artistiche
141
che mettano in qualche modo a nudo le zone erogene,
benché non si riuscirà a impedire il commercio di
talismani a forma di fallo o di vulva né a impedire le
allusioni sessuali nel parlare male (blasfemia) o nei gesti.
Addirittura si vietava ai maestri muratori o scultori ogni
indulgenza a rappresentare, ad esempio, l'animale fallico
degli slavi, il leone, che troviamo scolpito sulle pareti
della chiesa di san Demetrio a Vladimir-sul-Kljazma
eretta nel XII sec. con un fallo in erezione lunghissimo.
(8) La copula in breve è un'attività impura e sospetta e
per non infettare gli altri di diavoleria occorre farla
nell'intimità in luogo inaccessibile a estranei e nel buio
più assoluto giacché la nudità è sorgente di desiderio
illecito e di peccato. (9) Il coito è permesso nei giorni che
la chiesa ha fissato. Sono vietati la pornografia nelle icone
e sulle pareti delle case e ogni altro spettacolo “privato”
che implichi l'esibizione del corpo senza veli o la copula.
Il mito cristiano di principio è ben chiaro seppur
difficile da digerire nelle abitudini del nordest e cioè:
Nell'universo tutto avviene perché il dio creatore lo
vuole per suoi disegni imperscrutabili che all'uomo non
è dato conoscere. Si deve accettare con rassegnazione
perciò qualsiasi evento spiacevole giacché di certo è
scaturito dalla volontà del dio creatore per punire un
nostro comportamento peccaminoso. La ricompensa per
ogni sofferenza, se si obbedisce ai dettami della chiesa,
comunque sia verrà e sarà la vita eterna dopo la morte
terrena. Basilari per il cristiano di conseguenza sono
l'obbedienza e l'umiltà di fronte al creatore (Atti degli
Apostoli 5,29) e ai suoi preti, monaci e affini.
142
Le modifiche di comportamento del battezzato expagano però non sono costrizioni forzose a cambiare le
proprie abitudini improvvisamente, ma sono inculcate
con la catechesi e ogni concetto entrerà dolcemente come
si fa con i bambini. Nel frattempo la propaganda
ortodossa nella Pianura Russa tollererà a lungo (fino
all'attualità) la cosiddetta dvoeverie ossia il doppio credo
pagano e cristiano.
Imprecare e inveire.
Nella pagana Pianura Russa porre una distinzione netta
fra paganesimo e cristianesimo nelle faccende che
dividevano il sesso dall'economia della dispensa risultò
un'ardua impresa. Forse una parziale colpa va ascritta
alla nuova fede nel vietare ai suoi primi passi l'uso delle
formule pagane per invocare o per respingere le forze
divine invisibili nelle attività umane produttive o di
piacere che fossero. L'effetto finale consistette nel fatto
che le ved'my introdussero volentieri Cristo, Trinità e
Santi nella serie di scongiuri e invocazioni nelle lingue
locali usati prima dell'arrivo della fede cristiana. Nella
credenza popolare le aggiunte di nuovi dèi ai vecchi
rendevano gli scongiuri più efficaci e quindi era stupido
non continuare a farli circolare combinati. Che fossero
sussurrati a bassa voce per non essere uditi dai preti e
essere accusati di paganesimo! Se sfuggivano ad alta voce,
li si indicassero come semplici e ingenue volgarità rivolte
all'avversario demonio. D'altronde contro l'intruso
demonio non erano forse gli esorcismi altri scongiuri che
143
il personale cristiano pronunciava per guarire le donne
assatanate di sesso? Il fatto notevole è che i preti
specialisti di esorcismo per ingannare il diavolo e la
donna ossessionata, vestivano … panni femminili!
Nel paganesimo e nel cristianesimo (non si dimentichi il
decalogo di Mosè: Non nominare il nome di dio invano!)
pronunciare ad alta voce nomi di persone o di divinità era
perlomeno incauto poiché significava invocare la reale
presenza di forze divine invisibili. A causa delle energie
enormi che queste forze portavano con sé e che erano
capaci di scaricare su chi le aveva disturbate, esse erano
in grado di causare gravi danni fisici quali malori, cecità,
atti insani etc. fino alla “morte” improvvisa e subitanea
del disturbatore/-trice.
Ho già accennato all'animismo pagano e dunque alle
forze invisibili che agivano nell'ecosistema. Qui dico che
si distinguevano in forze pure e impure (čistye e nečistye
sily) che una volta invocate accorrevano in legioni per
verificare quali fra loro potessero intervenire a soddisfare
l'imprecante. Di qui la conclusione che con lo scongiuro
giusto ci si potesse servire di quelle forze a volontà per
qualunque scopo... specie in campo amoroso.
Ed ecco una breve antologia di improperi comuni slavorussi apotropaici che attengono al nostro discorso e che
risalgono alla cultura magica paneuropea di mille anni fa.
(1) Va a scopare con tua madre! (Job tvojù mat'!) che è
un invito all'incesto invece di disturbare. (2) Su-e-giù!
(Jolki-palki!) si usa per una persona che pensa solo a far
all'amore. (3) Xui è il nome “volgare” del fallo, chissà il
nome di un Priapo slavo dimenticato, simbolo di fortuna
144
e di ricchezza ed è ritenuto offensivo oggi se si dice a una
donna: Mi servi solo sul mio fallo! (Nà xui ty mne
nužnà!) (4) Un'offesa per escludere una donna - ma pure
un uomo! - dalla copula o allo stesso tempo per invitarla a
un folle incontro a letto è accennare a una vagina
fortemente odorosa: Pizdà vonjučaja! (5) In riferimento
alle pratiche anali o omosessuali si dice che Se non ci
sono uccelli, il culo è un usignolo! (Na besptič'e, žopa
solovèi!) e si dichiara il proprio bisessualismo (6) Un
ingenuo in antico russo si chiama mudak o testicolo che
in latino parimenti sta per piccolo testimone all'atto
sessuale a cui però guarda, ma non partecipa! (7) Te la
danno, prendila. Te le danno, fuggi! (Dadut, berì. Bijut,
begì!) e qui l'accenno è alla gestione di un amore illecito
pur se con una più facile davàlka (in gergo ragazza che
la dà facilmente). (8) Che fortuna! (Ni figà sebè!)
accompagnato dal pugno chiuso col pollice che protrude
fra indice e medio per esprimere il commento: Hai
trovato la vulva giusta!
L'argomento gestualità è invece più complicato per sua
natura e varia da un gruppo all'altro, se non proprio da
un rod a un altro (S.A. Grigor'eva/I.V. Grigor'ev/G.E.
Kreidlin, 2001). Si possono ricavare informazioni sulla
gestualità dagli stereotipi delle icone e dagli affreschi di
chiese e cappelle, sebbene col passar del tempo i gesti
variano come qualsiasi altro linguaggio umano tanto da
rendere impossibile stimarne l'antichità e l'origine.
Ancora attualmente si crede di avere a che fare col
diavolo, se si ode un fischio. Di conseguenza se noi per
richiamare l'attenzione di una donna dall'incedere
145
sensuale, le fischiamo dietro, si dice che sia il diavolo a
emettere tali suoni “serpentini” attraverso la nostra bocca
e la signora si guarderà bene dal volgersi e rapidamente si
allontanerà segnandosi con la croce. E se ci accade spesso
di fischiettare da soli, saremmo una persona posseduta o
perseguitata dal demonio e perciò da temere e da tener
lontano, in particolare astenendosi dal fare all'amore.
C'è qui da aggiungere fra le numerose gestualità
apotropaiche che, vista l'insistenza dei preti a parlare
costantemente di demonio e delle sue azioni malvagie, la
gente evitava di passare troppo vicini a un ecclesiastico
che di certo nella sua attività aveva assorbito molta
energia negativa e per scaramanzia sputava due volte a
destra e a sinistra e si toccava i genitali. Lo faceva persino
la donna che col parroco aveva contatti più frequenti.
Altro esempio. È ritenuto sospetto, se improvvisamente
siamo assaliti da calore nel viso (si arrossisce senza
ragione), perché ciò vuol dire che un qualche ardore
sessuale ci sta penetrando, frutto di un incantesimo
lanciato per conto di qualcuno/a che abbiamo una volta
respinto. E in più, se sono le orecchie che vanno in
fiamme, è perché qualcuno/a parla in segreto del nostro
comportamento sessuale. Le orecchie erano considerate
un'alternativa erotica alla vulva e mordicchiarle, baciarle
etc. poteva causare un orgasmo e perciò, secondo le
credenze del tempo discusse nei manuali erotici del
Centro Asia, la partner seppure senza penetrazione
s'ingravidava e ne seguiva, chissà, una partenogenesi...
E infine il bacio è da classificare nella gestualità come
un gesto ricolmo di sensualità soprattutto facendo
146
distinzione fra amici e estranei quando ci si incontrava e
ci si baciava a Pasqua, la più importante festa dell'anno.
Baciarsi sulla bocca e non sulle guance era l'uso slavo
mentre si pronunciava la santa formula cristiana: Cristo è
risorto! Per davvero è risorto! (Xristos voskres! Voistinu
voskres!). In ogni caso il bacio con la lingua faceva parte
della gestualità amorosa pari alla penetrazione vaginale.
Condannato dalla chiesa, nei penitenziali è detto bacio
tataro forse perché era un preludio al sesso orale che, si
dice, fosse preferito dalla donne tatare appunto.
È proverbiale che alle “nordiche” piaccia moltissimo
baciare a lungo con la lingua quasi a supplire al coito. Un
costume ritenuto riprovevole dai visitatori stranieri, ma
che ricalcava l'uso contadino di cedere le profusioni di
una bellezza della verv all'ospite di riguardo almeno con i
baci e di questo tenore è la cerimonia di benvenuto che
descrive Adamo Oleario ancora nel XVII sec.
«Dopo il saluto di benvenuto l'ospitante comanda a
sua moglie già in abito di festa di andare incontro
all'ospite ospitato con una coppa di vodka da cui ha per
prima sorseggiato e porgergliela da bere e […] con
questo concedergli le labbra per un bacio.»
Nel rapporto di viaggio di A. Oleario c'è anche l'amico
che gli racconta come in un'occasione una dama, con
l'assenso compiacente del marito, in occasione di una
visita si sia appartato per sbaciucchiarsi con lui.
Riti e gestualità matriarcale.
Insomma – perché no? – si diceva (e lo si dice ancora)
147
dell'amore: Piace moltissimo, ma la mamma non lo
comanda! (Hočetsja i koletsja no mama ne velit!) dove
la mamma probabilmente è ciò che resta del ricordo della
Grande Dea Madre, nota nella mitologia slava come Mat
Syra Zemljà cioè Madre Umida Terra e delle orge in suo
onore. Val la pena soffermarsi un momento di più sulla
questione controversa del matriarcato per metterne in
chiaro i residui culturali nei costumi slavo-russi quando
entrano in conflitto con il nuovo credo.
Già Erodoto aveva sentito parlare delle Amazzoni e del
loro stato basato sul matriarcato fra gli Sciti delle steppe
ed ecco ciò che scrive sull'argomento l'archeologa J.
Fischer: «Nelle steppe del sud russo sono state trovate
tombe di donne che contengono dotazione funeraria
tipicamente maschile e che provano che il rango delle
morte sepolte era superiore a quello degli uomini.
Tramite l'analisi del DNA, fatto dall'antropologo
[Università di Magonza] J. Burger, si poté trovare che la
donna guerriera sepolta [in una delle tombe] era di
altissimo rango e di origini asiatiche rispetto alle altre.
Aveva un profilo DNA identico a quello di una ragazza
mongola di 9 anni [di oggi] dai capelli biondi. Lì [nelle
steppe] le donne vivono ancora insieme con abitudini di
vita in comune: vestiti, cappelli, armi [proprio] come le
Amazzoni [di una volta]. Soltanto che le armi sono [oggi]
usate per gare sportive e non per le guerre.[Addirittura]
J. Burger pensa che i nomadi siano [etnicamente] gli
epigoni delle Amazzoni.»
È una prova del dominio femminile protrattosi fin nel
XV sec. nella Pianura Russa? La questione è controversa.
148
Non è controverso invece per me il perenne timore
maschilista del cristianesimo, fondato e organizzato da
san Paolo in Anatolia, là dove un locale matriarcato
aveva grande diffusione, giustificando l'obiettivo di
affrontare e, per quanto possibile, di distruggere con
un'intensa offensiva dottrinale, la donna, eterna e
incombente matriarca potenziale. Purtroppo la donna è
l'unica riproduttrice e prima educatrice dei nuovi esseri
umani e la lotta del maschio andava condotta in
quest'ambiguità di funzioni che il dio cristiano aveva
finora supportato e che adesso con Cristo si doveva
revisionare. L'ideale per san Paolo in conclusione restava
il celibato o altrimenti, se ci si sposava, la coppia doveva
durare finché gli ardori sessuali non si fossero spenti con
l'età. La chiesa cristiana ribadiva che l'attrazione fisica
come fondamento indispensabile del vincolo del
matrimonio non aveva gran valore. Il legame coniugale
era affidato alla scelta del futuro consorte in consulto coi
genitori e non al colpo-di-fulmine che portava due
giovani l'uno nelle braccia dell'altra. Condannava altresì
il ratto d'amore che nella Pianura Russa era un rito
matrimoniale abbastanza diffuso (umykanie) in cui gli
amici dell'innamorato d'accordo con l'innamorata in
attesa segreta nella casa dei suoi, rapivano la giovane e la
portavano dal futuro coniuge in attesa pure lui presso i
genitori in finta segretezza. Scoperta alla fine la manovra,
avrebbero comunque stretto ufficialmente dei patti fra le
due famiglie coinvolte.
In un clima rigido come quello del nordest europeo in
cui si richiedono riti solenni per assicurarsi il rinnovo
149
della fertilità del suolo o per ridurre la mortalità
perinatale che farebbe estinguere in un paio di
generazioni la stirpe (rod) di cui tutti vanno fieri, che
posto avrebbe un precetto di astensione parziale o totale
dal coito? Senza donne chi garantirebbe la coesistenza
pacifica fra villaggio e villaggio implicita nel contratto
matrimoniale slavo-russo? E chi e che cosa potrebbe
sostituire la donna come forza lavoro nelle numerose sue
attività esclusive e irrinunciabili?
È innegabile che il lavoro sia una fatica necessaria per
sopravvivere, ma altrettanto lo è il piacere del fare
all'amore ossia il rito sacro che ne consegue come
ricompensa. E fare all'amore non rinnova in ogni caso la
natura di cui è parte il rod fondato giusto sull'amore di
gruppo? Se la Madre Umida Terra non avesse istituito e
permesso i riti sessuali, non si sarebbe mai rinnovata la
biocenosi forestale con la sua fauna, compreso l'uomo, e
con la sua flora e, soprattutto, il mondo non sarebbe
come lo conosciamo. La Madre Umida Terra è l'unica
divinità femminile primaria venerata fra le varie etnie
slavo-russe, turcofone, ugro-finniche e balto-slave e di
sicuro nella mitologia resta la maggiore di tutte pur
circondata da un'ampia corte di dee e eroine. Ricordo qui
Tacito che scrive degli Aestii baltici:
«Venerano la Madre degli dèi e come emblema di tale
fede indossano le pelli di selvaggi cinghiali in guerra. I
cinghiali rappresentano le loro armi e la protezione
garantita al venerante che la dea conceda una tregua
senza danni in mezzo ai nemici. (C. Quiles 2018)»
Gli archeologi hanno trovato disseminate lungo gli
150
itinerari commerciali della Pianura Russa e nelle steppe,
le nonnine d'oro (zolotye baby) alle quali era d'obbligo
lasciare un obolo nella tazza che esse tenevano in grembo.
È possibile che il rito dell'obolo risalga alla ben nota
prostituzione sacra ossia alla scoperta per la femmina o
per il maschio del piacere sessuale tramite cui era
possibile invocare la Madre Umida Terra per l'aiuto o la
protezione di luoghi e di cose ricorrendo al sacro coito.
Attenzione però: I termini prostituta, meretrice et sim.
nel passato non avevano il senso spregiativo di oggi. Mi
consta che tale senso di disgusto o di biasimo sia stato
acquisito/inventato nel Medioevo e non ha alcun senso
chiamare il meretricio il più antico mestiere del mondo,
come ho scritto nelle prime pagine del presente saggio.
Assodato ciò, la vulva (vecchio russo kunà), per il fatto
di essere l'accesso all'utero (peraltro cavità misteriosa e
151
magica) dove la Madre Umida Terra poneva il nuovo
essere umano da formare usando spesso in qualche modo
anche il seme maschile, era la porta che si apriva alla
penetrazione. Se la donna non richiudeva la vulva subito
dopo il coito, offriva l'accesso alle forze divine invisibili
fra le quali non sempre c'era quella giusta che aiutasse a
formare un nuovo individuo sano. Con la vulva chiusa,
niente gravidanza! La deflorata vergine temeva perciò che
la prima penetrazione potesse aver introdotto forze
invisibili dannose nell'utero e di qui lo snoxačestvo o, se
del caso, i riti pagani che riparavano tali inconvenienti,
ma nessuna condanna o tragedia da parte della comunità
a queste copule non tanto insolite.
Basterà ricordare che fino ai giorni nostri resiste nel
nordest al 26 dicembre la festa del Sacro Ventre della
Madre di Dio detta nel mondo pagano Le Sagge Donne.
Nell'antichità si celebrava il buon esito del primo parto
(1) con la sopravvivenza della partoriente e del neonato e
(2) la bravura e la competenza delle Sagge Donne
(znaxarki o ved'my) col supporto delle due Rožanicy o
dee del parto, presenti e invisibili a volte dette sorelle e a
volte madre e figlia. Insomma dall'ordinato banchetto del
Solstizio d'Inverno per la nascita di Cristo, si passava alla
cena più sfrenata del giorno dopo poiché si paventava la
prossima decadenza dell'universo preannunciata nel
vedere la luce del sole continuare a sparire fino al culmine
del Solstizio d'Inverno.
Noi oggi sappiamo che il sole sembra aver abbandonato
il firmamento per sempre nel nordest estremo, ma che
invece, a causa dell'inclinazione dell'asse di rotazione
152
terrestre, sarà soltanto invisibile per qualche giorno o
mese, ma non così la pensavano i nostri antenati nordici
dove il fenomeno è accentuato. La sciagura era
imminente e a scongiurarla si invitavano le donne che
avevano concorso alle nascite in quell'anno a richiamare
in vita il sole con l'(auto)erotismo più sfrenato il giorno
seguente al natale cristiano.
Per le concezioni cristiano-pagane tornando alla Maria
vergine e alla sua funzione nell'aver generato Cristo pur
restando illibata, essa rientrava nel detto rito. La stessa
chiesa cristiana ebbe perplessità su questa verginità...
almeno fino al 18 dicembre 1854! Sappiamo che: (1)
prima del III sec. nessun padre della chiesa parla della
verginità della madre di Cristo, (2) san Bernardo, Alberto
Magno, san Tommaso d'Aquino e altri pensatori
combatterono come un'eresia l'Immacolata Concezione
di Maria e (3) fino al VI sec. nessuno seppe che fine il
materno personaggio avesse fatto prima di annunciare il
suo volo in cielo dormendo un 15 agosto... nel 1950!
Sull'argomento ho seguito fin qui K.-H. Deschner
(1980), ma voglio citare G. Pigazzo-Bernardi (2020) che
informa da R. G. Capuano (111 errori di traduzione che
hanno cambiato il mondo, 2013, p. 46) quanto segue:
«In Isaia 7, 14 (Bibbia CEI) non è usata la parola
“vergine”, si dice almàh cioè “giovane donna in età da
marito”. Nella versione greca della Bibbia ebraica
(considerata direttamente ispirata da Dio) almàh
diventò parthenos, cioè “vergine”, da cui virgo in latino,
in italiano “vergine”.»
Aggiungo di mio qui che la vergine Maria con un figlio
153
avuto da un padre non coniugato con lei in sacro
matrimonio oggi sarebbe chiamata prestatrice di utero e
duramente condannata dal papato cattolico, prima di
chiudere finalmente con K.-H. Deschner che scrive:
«Era importante solo il fatto che tramite una
superimmagine grandiosa e una ancor più grandiosa
produzione letteraria e poetica si fosse creata una
creatura senza sesso da presentare al mondo intero
come ideale e non come concetto di essere vivente, ma
come la distruzione totale dell'essere femminile.»
Si deve perciò affrontare un altro quesito: Quale etica
nuova poteva dettare nella vita intima dei catecumeni
una tale madre? E ancora: La Vergine Maria e il suo
culto cristiano che funzione ebbe mai nel nordest
europeo? Lo ripeto, alla fine se ne tenne decisamente
poco conto e, a dispetto di feste dedicate sfarzose
pubbliche e frequenti, grandi successi non ve ne furono e
la madre di Cristo dovette coesistere per l'intero
Medioevo Russo (punto che rivisiterò) alla pari con le
ipostasi della Madre Umida Terra nella venerazione
popolare. Un vecchio detto russo “conciliatorio” (cito da
J. Hubbs, 1988, la traduzione è mia) suonava in tempi
recenti: «La tua prima madre è Maria [vergine]; la tua
seconda madre è la Terra e la tua terza madre è quella
che ti ha partorito.»
E la donna in generale? Deve accontentarsi della
miserevole conclusione di restare il soggetto passivo e la
vittima designata dell'arbitrio di una chiesa misogina?
Interessante è stato per me leggere la produzione
letteraria orale e folcloristica slavo-russa a proposito di
154
questa lotta ideologica (S.A. Zenkovsky. I.S. Kon et al. v.
bibl.) che alla fine, non senza un mucchio di compromessi
su riti e costumi, vedrà formalmente il trionfo della
misoginia, forte e violenta del cattolicesimo e quella
meno cruenta dell'ortodossia che non premette troppo
sulla verginità della madre di Cristo.
Ed ecco altre testimonianze sui comportamenti della
donna a casa o fuori casa nell'immensa Pianura Russa
presso etnie slave non slave che sopravviveranno al
periodo medievale.
Dall'archivio Tenišev (XIX sec.) traggo (I.S. Kon, 1997):
«La perdita della verginità non è ritenuta un delitto ed è
considerata con estrema indifferenza. Su 10 giovanette 1
o 2 è ancora vergine [nella regione finno-ugrica di
Vladimir-sul-Kljazma] … e lo si può persino non
comunicare alla svaha. Con una giovane incinta [nubile]
la gente si comporta con indulgenza se non addirittura
con apprezzamento poiché la giovane pur accettando il
peccato sopporta anche il peso della vergogna...»
Dal francescano Guglielmo di Rubruck (XIII sec.) in
viaggio verso la Mongolia e di passaggio nella regione
oggi moscovita e allora occupata in maggioranza da ugrofinni, si apprende che le donne di quelle parti sono molto
libere tanto che i loro consorti non mostrano alcuna
gelosia se esse hanno rapporti sessuali con altri uomini.
Né esse mostrano gelosia o fastidio se i loro consorti
preferiscono comprarsi e tenersi in casa una schiava
appena adolescente per far sesso.
Un uso giustificato sotto ogni punto di vista è pure
quello della donna di procurarsi un nuovo compagno, se
155
il vecchio parte per una campagna militare o per un
lontano mercato. Addirittura è il consorte che la vende,
come ho scritto che accadesse a G. Novgorod. Non solo, il
nuovo coniuge nel caso che il vecchio ritornasse non è
sempre detto che fosse liquidato o scacciato, ma che
convivesse pure come secondo marito!
illustrazione di E. Rantzi (XIX sec. acquarellista viennese ) di un testo
popolare dedicato ai divertimenti notturni delle Mille e una notte
156
Se nel nord della Carelia fra i Lapponi (Saami) la moglie
o la figlia è offerta all'ospite di riguardo, nel sud, nel
Caucaso, Giosafat Barbaro (XV sec.) assiste a una
scenetta per lui alquanto imbarazzante fra un suo
conoscente genovese e la moglie del suo ospitante locale.
Succede che (D. Balestracci, 2008) il detto tipo entra in
casa della signora mentre il marito è assente e
tranquillamente si mette a palpeggiarla fino a chiedere
alla dama di mettergli le mani nelle brache per liberarlo
dalle pulci e costei lo fa senza scomporsi.
Aggiungo che come era stato nel VI-VIII sec. fra gli slavi
Vendi e presso i Serbi fino al X sec. la vedova saliva sul
rogo del marito quasi d'obbligo, benché effettivamente
ciò avvenisse solo per quella vedova che tutte le donne di
casa sapevano aver avuto il legame affettivo maggiore con
l'uomo che stava per esser cremato nella poliginia
imperante fra i pagani o fra gli eretici inclusi ebrei e
musulmani. Al-Bakri, storico-geografo musulmano
andaluso della prima metà del XI sec., descrive il rito
suicida della appena diventata vedova fra i pagani:
«... quando una di esse pretende di aver amato suo
marito [defunto], passa [lei stessa] una corda [intorno a
un ramo e ne fa un nodo scorsoio]. Poi monta su uno
sgabello e si lega il cappio intorno al collo. Subito dopo
le tolgono lo sgabello da sotto i piedi e lei rimane lì
impiccata fino a morirne. Verrà poi bruciata e seppellita
accanto al marito [tanto amato].»
157
158
Capitolo quinto
I sessi non sono 2!
Molti di noi avranno fatto l'esperienza di ammirare i
corpicini nudi di due neonati notando subito come essi
siano simili fra di loro in quasi ogni tratto fisico esterno
salvo che nelle gonadi. L'uno mostra l'apparato genitale
che noi siamo abituati a chiamare maschile mentre l'altro
non mostra alcunché di simile salvo una fessurina
verticale che dopo alcuni anni evolverà nella vulva adulta
di configurazione alquanto più complicata, ma in
grandissima parte celata all'interno del pube. Da questa
constatazione visiva immediata si distingueva 1000 anni
fa – e oggi pure – il maschio con le sue gonadi bene in
vista dalla femmina che ne appariva invece priva. Ogni
altra configurazione fisica era da considerare un
prodigium in termini ecclesiali e un messaggio degli dèi
nel paganesimo generico.
Qui devo chiarire una volta per tutte che la ricerca
antropologica moderna, condotta sia sperimentalmente
sia in lavori demografici sia nell'osservazione delle
culture del mondo, rifiuta il determinismo biologico dei 2
sessi istituzionali collegati alla riproduzione della specie e
159
va sostituito con il concetto di gender/genere con
connotazione squisitamente culturale.
In realtà a cominciare da Sigmund Freud la psicanalisi
attuale pure respinge l'identità sessuale biologicamente
determinata poiché non esiste nell'inconscio una specifica
differenziazione tra maschile e femminile e la sessualità è
legata non solo alla differenza anatomica, ma soprattutto
a una rappresentazione sociale, mentale e soggettiva di se
stessi. Freud si basò su tale sua esperienza medica per
spiegare l'isteria, malanno malauguratissimo e spesso
fittizio che per la chiesa era da curare con gli esorcismi.
L'isteria si mostrava come disordine psichico dovuto al
mancato soddisfacimento sessuale nelle dame della
borghesia viennese per Freud, sebbene comparisse (non
studiata medicalmente) anche nel mondo contadino
quando una giovane da sposare veniva contrariata nei
suoi desideri amorosi. In Puglia si diceva che la giovinetta
fosse stata punta da un ragno, la tarantola (Lycosa
tarentula), e che la tarantolata si potesse liberare
dall'effetto del veleno dell'insetto con danze sfrenate dette
tarantelle. Il clou dello spettacolo era il cadere della
danzatrice esausta per terra e in quel momento esser
capace di predire il futuro a chi la interrogasse.
Lo stesso avveniva nell'antica Russia col cosiddetto
kiklùšestvo in cui per di più si notava l'ostilità tenace
verso i simboli cristiani icone, croci e preti.
Quel che mi preme qui è mettere in evidenza i poteri
magici e divinatori che si riconoscevano alla donna e che i
preti invece dicevano essere il diavolo a parlare tramite la
malata bocca femminile ed era sempre il diavolo a
160
suscitare in lei un intenso desiderio di copulare.
Dal punto di vista (letterale!) pratico non c'erano 2
sessi, ma un sesso soltanto e individui senza sesso.
E il maschio col suo sesso? Viveva, si può dire, nello
sperma: un latte portentoso indispensabile per la sua
potenza nutritizia (letterale!), benché s'ignorasse come e
dove agisse una volta ingoiato in una fellatio o trattenuto
nell'utero. La femmina peraltro non doveva che serbarlo
in attesa di farne alimento interno per il feto prossimo.
Nei miti indoeuropei diffusi in Europa e conservatisi
meglio nella Pianura Russa, la figura della madre si
realizza quando la donna chiede alla luna-dio-maschio,
utilizzando l'intimo suo legame con l'astro notturno, di
mandarle un embrione da nutrire.
L'interruzione del mestruo sarà il segnale per capire se è
stata esaudita e di qui comincerà la gestazione che durerà
9 mestrui. Solitamente la futura madre si ritirava dalla
socialità, salvo che non ci fosse stato un previo accordo
con uno dei maschi a far da padre putativo al nascituro
che lei ormai aveva in grembo e perciò il di lui compito
era in questo tempo di proteggerla, nutrirla etc.
Devo dire che tale situazione della paternità incerta è
durata a lungo in Europa e, benché la chiesa riconoscesse
un “ruolo paterno” al maschio, ignorava allo stesso tempo
come tale ruolo si espletasse nell'umana biologia. Ciò che
contava (e conta fino ad oggi nella tradizione cattolica)
era che il ruolo paterno fosse strettamente connesso con
una superiorità maschile imposta perché il creatore
aveva così deciso al momento della creazione cosmica.
Soltanto con Leeuvenhoek e il suo mirabile nuovo
161
strumento ottico, il microscopio, si dissipò qualche nube
sulle funzioni sessuali. Infatti nel 1677 questo strumento
permise a uno studente di Danzica, L. Hamm, di
osservare per la prima volta i mobilissimi spermatozoi in
una goccia del suo sperma. Ne venne fuori la teoria che
quegli animaletti contenessero nella testolina un intero
essere umano maschio, in latino homunculus che già
Paracelso aveva immaginato che esistesse nel suo sistema
alchimistico. Gli homunculi – accolti e nutriti nell'utero –
diventavano esseri umani veri e si confermava che l'unico
sesso era quello maschile che generava questi uomini in
fieri e che la povera donna ne fosse priva. Anzi, era
un'incubatrice e basta! I figli non erano doni di dio, come
si soleva proclamare, ma potevano ora dirsi doni del
maschio-padre e dei suoi homunculi! Insomma si era
finalmente quasi a metà strada per la verità scientifica del
concepimento, mentre si allertavano le ideologie.
La scienza ha progredito e oggi abbiamo individuato
l'ovulo femminile, solo-soletto in attesa per 12 ore di
essere fecondato nell'utero. Se uno spermatozoo non lo
toccherà, l'ovulo sarà riassorbito e il velo membranoso
che avrebbe dovuto accogliere il feto in formazione e che
ci son voluti 27-29 giorni per crearlo, sarà espulso con
l'emorragia detta mestruo. Relazioni col ciclo lunare che
turba localmente la gravità terrestre? Forse sì, benché
non ci sia finora prova di tali legami nella specie umana.
Uno alla volta maturano gli ovuli, ma sono tantissimi
(ca. 50 mila) che attendono il loro turno nelle ovaie. Non
solo! Se si aggiungono le nuove e interessanti conoscenze
su fecondazione e concepimento acquisite intorno agli
162
anni '60 del secolo scorso, non suscita forse meraviglia
che nonostante tutto continuiamo nei primi decenni del
XXI sec. a classificare gli esseri umani secondo due sessi
distinguibili a vista e continuiamo a credere ai parti
partenogenetici come quello del Cristo?
Quanto ai ruoli genetici del maschio-padre e della
donna-madre, essi sono in certa maniera equipollenti nel
concepimento e dall'esame incrociato del DNA del
genoma del concepito si può risalire ai genitori biologici
senza ombra di dubbio (A.-M. Henning, 2019). Eppure,
benché siano ormai noti genitali esteriori “ambigui” di
qualche neonato perché difformi dai modelli anatomici
classici, non si è ancora deciso di ampliare la gamma dei
sessi nella società o addirittura di sopprimerli del tutto
giuridicamente. Si insiste al contrario sulla bisessualità
istituzionale (ripeto che intendo con questo termine
sempre la situazione della società a due sessi distinguibili
e separati) nella scia di desuete classifiche ideologiche e
sarebbe ora di chiedersi: A che e a chi serviva nel
Medioevo registrare il sesso del neonato? Non ho su
questo punto risposte semplici e definitive da dare, ma mi
piacerebbe sapere se dubbi simili abbiano mai sfiorato il
mondo pagano di 1000 anni fa...
Parto dalla sedentarietà derivata dalla prolungata sosta
in un certo luogo e dalla necessità di costruirvi dimore da
fabbricare con strumenti di lavoro nuovi e più sofisticati.
In breve, essendo aumentato il tempo libero, si poteva
scegliere di trasformare le risorse materiali della foresta
in oggetti tecnicamente più utili e la selva per l'agricoltore
diventava in primo luogo un indispensabile giacimento di
163
materie prime da trasformare. Ci toccherà pertanto
risalire indietro nel tempo quando fu introdotta
l'agricoltura e quando di conseguenza le fatiche della
raccolta e della caccia gradualmente diminuirono e, sin
da 4000-5000 anni fa, diventarono inutili, se spese solo
per il sostentamento.
le aree tratteggiate indicano l'ecosistema forestale mentre
le bianche sono i ghiacci residui e BP – before present è la datazione
164
Fu un processo lento e graduale nella parte d'Europa
dove lo spazio c'era, la gente era poca e giusto mentre
impercettibilmente per l'uomo contemporaneo la foresta
si espandeva col ritiro dei ghiacciai lasciando le fertili
terre di confine argillose a disposizione di chi migrava
seguendo la biocenosi che si estendeva verso nord.
C'era però da implementare un salto culturale.
La fornitura alimentare l'assicurava l'agricoltura e ciò
migliorava la vita che a sua volta favoriva l'accrescimento
demografico, richiedendo un impegno parentale sempre
maggiore. L'uomo maschio, e l'ho già scritto, era escluso
dalla cura della prole per i primi 5-6 anni almeno che
ricadeva interamente sulle spalle della donna.
Che fare allora? Evitando di trasformarsi in una figura
laterale nella compagine collettiva, a lui si offrivano
pochissime alternative, dd esempio assoggettarsi
supinamente alla posizione femminile o – altra opzione –
ingegnarsi a sottrarre alla femmina quante più
incombenze nelle attività del coltivo e così, opzione
finale, poteva offrirsi nella difesa dei depositi di cibo.
Tale è il contesto del mito della suprema e divina virilità
del maschio (C. Thomasset in G. Vigarello, 2011) che non
solo partecipa al consumo del cibo, ma concorre a
produrlo lui stesso e col suo fisico più potente e più
resistente è pronto a difendere la donna-madre non
appena un estraneo attenti alla “comune dispensa”.
L'idea di lavoro.
Secoli e secoli prima del Medioevo quando le invasioni
165
indoeuropee avevano già travolto quasi tutte le etnie del
continente e delle storie relative a questi eventi si erano
conservate, nei ricordi almeno, l'oralità popolare della
Pianura Russa nella paganità paneuropea raccontava che
gli antenati, a qualsiasi etnia appartenessero, avevano
contemplato gli stessi problemi della vita e con l'aiuto
delle potenze superiori celesti a cui ciascuna etnia dava
un nome proprio avevano trovato le soluzioni ad hoc. Le
potenze superiori continuavano ad abitare nel cielo e
volentieri accoglievano gli antenati degli uomini nel
regno dei morti e quando c'era la richiesta de vivi
concedevano che si mantenessero i contatti utilizzando
delle speciali devozioni con rituali appositi da praticare.
Il cielo per quasi tutti i pagani del nordest europeo era il
soffitto della casa-ecosistema con tanti piani abitativi. Di
cui alcuni di esclusivo uso divino. Il cielo poggiava sulla
solida terra (uno dei piani abitativi) per mezzo di un
palo/albero altissimo. Siccome poi le forze vitali interne e
esterne degli uomini venivano dagli dèi, gli stessi dèi
potevano recedere dagli accordi presi con gli antenati a
proprio arbitrio con funeste conseguenze inimmaginabili
per gli uomini vivi: morte, carestie, terremoti etc.
L'agricoltura stessa era un dono della Madre Umida
Terra alle donne per il sostegno materiale della loro
maternità, sebbene nel sistema di potere patrilineare
questo dono fosse passato in gestione ai maschi con la
loro funzione protettiva... Certo, anche al potere maschile
si richiedevano periodiche dimostrazioni di fedeltà agli
dèi e entrambi, uomini e donne, erano obbligati a
eseguire sacrifici propiziatori.
166
Vivendo d'agricoltura e di piccolo allevamento, lavorare
la terra restava l'attività faticosa maggiore sebbene a poco
a poco si scoprisse l'equazione + fatica = + prodotto e,
se a ciò s'aggiungeva la gioia di produrre il cibo con le
proprie umane forze, la soddisfazione di aver conseguito
la concessione degli dèi per utilizzare le risorse
naturali con esito positivo era piena!
Credo che esistesse un'inclinazione ecologica, magari
innata, a mantenere uno stabile equilibrio fra uomo e
biocenosi e alla fine: Quanto si sottraeva di troppo alla
Gran Madre Terra facendo crescere i cereali o alle
divinità della selva raccogliendo e cacciando?
A questo stadio la fatica diventava l'esito di un'attività
ripetitiva, ma rigidamente ritualizzata che permetteva di
pianificare per il meglio il tempo di vita futura ossia
diventava lavoro. Il lavoro tuttavia non era vendibile,
come è oggi, ed era proibito esercitarlo fuori dalla verv,
salvo l'ingaggio militare per la difesa del rod e del
villaggio e, per usare un vecchio termine storico-tecnico,
solo in questo ultimo caso si sarebbe accettato di pagare
ad altri un tributo cioè in forma di una corvée.
La verv è una comunità che percepisce se stessa come
coesa e, insieme con le altre in un certo territorio dove è
etnicamente definita intorno al rod costituisce il mir
come scritto pagine fa. Né i mir sono da inquadrare
esclusivamente nell'attività agricola giacché, malgrado ciò
che si legge nella storiografia dei passati decenni per le
diverse etnie della Pianura Russa, tutti sfruttavano il
territorio in maniera mista 1. da agricoltori, 2. orticoltori,
3. cacciatori e 4. pastori-pescatori etc. e durante lo
167
scorrere delle stagioni ora intensificavano ora limitavano
l'una o l'altra attività. E forse a causa di ciò, ve lo anticipo,
se il maschio era il signore della famiglia nel sud, nel nord
dominava la donna che comandava e gestiva l'economia
della dispensa. È una tipicità, questa, accentuata presso i
popoli del Circolo Polare Artico perché riti e abitudini
davvero singolari si sono conservati a causa di gente
emarginata dall'Impero moscovita in tempi ormai non
più medievali (A.V. Golubnjòv, 1997, R.D. Goldina, 1999).
D'altronde non è sufficiente avere un abitato stabile in
un certo luogo con i campi tutt'intorno alle abitazioni e
lungo le rive di corsi d'acqua affinché si produca quanto è
indispensabile per vivere. Occorre adeguarsi al clima, alle
stagioni e alla natura del suolo. I ritmi lavorativi
circadiani raccontati nel folclore slavo-russo sono infatti
cadenzati in maniera rigida dall'alba-tramonto e dal
riposo di notte combinati con quelli stagionali che
iniziano con le piogge di primavera e terminano con le
messi di settembre e la trebbiatura alla festa cristiana
della Vergine Protettrice (pokrov) al 1° ottobre.
Chiaramente nel nord subartico predominano caccia e
pesca su una misera orticoltura a causa della latitudine
che oscura il sole per metà dell'anno e s'impongono ritmi
differenti nell'attività lavorativa in quel ecosistema.
Nel sud con migliaia di laghi e fiumi, compreso il più
esteso lago del mondo, il Mar Caspio, e la presenza di
correnti fluviali dalla portata a volte grossissima come il
Volga o il Dnepr, se vi aggiungiamo la bassa pendenza del
fondo basaltico, scopriamo il vantaggio geologico offerto
al mondo agricolo da questa singolare regione.
168
È vero che, a causa della piattezza del suolo con dislivelli
minimi, le acque superficiali fluiscono specie al nord (H.
Küster, 2004) con notevole lentezza, ma è pur vero che
d'inverno le correnti acquatiche lente in deflusso non
sono molto profonde e ghiacciano in maniera repentina
non appena i venti cominciano a soffiare gelidi dal polo
nord senza ostacoli in direzione sud incanalati dalla
catena dei Monti Urali. Il territorio è avvinto nel ghiaccio
per mesi e l'unico rifugio dalle rigide temperature è
sempre la fitta foresta (taigà) con le sue radure (bor) e le
sue enormi paludi come il tipico Polesje kievano
(malarico una volta e radioattivo oggi!).
I villaggi hanno un'economia autarchica prevalente e, se
non fosse per le migrazioni periodiche (ogni 8-10 anni nel
Medioevo) dovute all'esaurimento della produttività del
suolo a causa della primitività dei metodi e degli
strumenti agricoli usati, i contadini vivrebbero senza
contatto alcuno con gli altri gruppi coabitanti seppur non
lontani, di qui, lo ripeto, le festività religiose esaltanti
l'appartenenza al rod comune che radunavano un certo
numero di villaggi nei santuari pagani.
A sud ci sono le steppe originatesi sulle benedette Terre
Nere (černozjòm) ossia una fascia di fertilissimo suolo
argilloso agevole da coltivare detto loess.
Si estendono da Kiev e da Černigov a sud e a est dalla
confluenza del Volga col Kama dove sorge Bulgar-sulVolga al Mar Caspio. Oltre dal Centro Asia a nord delle
diverse montagne fino all'Oceano Pacifico la geografia
spiega bene le trasmigrazioni dei pastori nomadi.
La Pianura Russa dove si svolgono le nostre storie e
169
dove conviene fare delle distinzioni sui tipi di produzione
in cui i locali si impegnano, è piuttosto complicato. Oserei
dire che in Europa è persino unico come tipo di paesaggio
dopo la massiccia deforestazione dei Romani in Italia e
oltralpe e dove agli abitanti è inconcepibile attribuire una
storia medievale comune o simile a quella dell'Occidente.
le fertilissime terre nere o černozjòm fra steppa e foresta
Estremizzando, fra le attività antropiche del nordest
europeo si può notare una produzione di sussistenza, un
artigianato “industriale” per fabbricare strumenti e
oggetti d'uso quotidiano e un'altra minore di produzione
esclusiva femminile che dà prodotti vivi, gli schiavi,
comprese le ragazze nubili da scambiare nei matrimonialleanze soliti o vendere in paesi lontani. Ciò modella il
carattere della gente in parecchi aspetti nelle strutture del
potere e sicuramente nei comportamenti sessuali. Se gli
170
uomini manovrano aratro, vanga etc. per ricavare i solchi
in cui porre i semi delle granaglie a dimora e poi
richiuderli in attesa dei germogli e delle messi, anche la
raccolta del miele, materia prima importantissima e
costosissima, è lavoro maschile come la caccia e la pesca
e coinvolge, sì, i ragazzi, ma non le ragazze! Altro compito
prettamente maschile è radunare gli animali cacciati con
trappole e laccioli per non rovinarne le pellicce oltre a
scegliere la carne da arrostire e consumare. Lo stesso è
nel caso del pesce e dei sottoprodotti poiché è il maschio
umano che sa parlare con questi animali in riti astrusi
per chiedere loro di sacrificarsi.
Alla donna compete invece rigovernare gli animali della
stalla come pure galline e oche, proprio come fa con la
sua prole, ma macellarli toccherà all'uomo insieme con la
raccolta del foraggio mentre agli altri animali da cortile si
lasciano i resti e i rifiuti della cucina o pastoni speciali.
Di grande rilevanza è l'orto curato dalla donna perché
lei coltiva insalate, piante odorose e erbe medicamentose
insieme con arbusti fruttiferi e qualche albero, il melo
specialmente oltre al prugno/susino.
Compito esclusivo femminile è la coltivazione delle
piante tessili (le tintorie si raccolgono spontanee nella
foresta) e cioè in ordine di qualità delle fibre: il lino
(Linum usitatissimum), la canapa (Cannabis sativa),
l'ortica (Urtica dioica), la tifa (Typha latifolia) e qualche
altra. Una volta fatte crescere le prime due abbastanza
alte, i loro fusti non troppo legnosi sono messi a macerare
e le fibre liberate sono filate e tessute. Le operazioni
implicate fino al vestito confezionato non è mio compito
171
descriverle, se non ribadire che restano femminili.
La trebbiatura e le altre operazioni concernenti la
liberazione dei chicchi dalla spiga e dalla pula, la loro
cernita etc. che in parte sono compiute da uomini e
donne insieme, ma poi, siccome le granaglie sono la
materia prima per la cucina, sono curate dalla donna le
scelte di conservazione e distribuzione.
L'attività culinaria, seppur meno sofisticata rispetto
all'attuale nelle preparazioni e negli arnesi a disposizione
quasi tutti di legno, ma ricca negli ingredienti, rimaneva
in mani femminili. L'ho già detto: la donna domina la vita
delle persone che nutre coi suoi cibi cucinati e sarebbe in
grado di sbarazzarsi di chiunque avvelenandolo da
commensale, se le garbasse, per cui invitare qualcuno a
tavola con troppa enfasi suscitava grossi sospetti e chi
poteva chiedeva il servizio di un assaggiatore. Insomma la
famosa e infiocchettata cerimonia di benvenuto all'ospite,
hlebosolie, andava sempre bene, ma era comunque
rischioso affidarsi a una donna per nutrirsi... D'altro
canto essere avvelenati è un pericolo quotidiano poiché
spesso, se si è ammalati, ci si deve affidare alle cure della
donna e occorre aver piena fiducia di guarire con gli
intrugli-medicine che essa propina. Se l'arte culinaria è
femminile, in sé e per sé resta il frutto ultimo del lavoro
sia dell'uomo sia della donna e parte del cibo cotto è
l'offerta sacrificale per ringraziare gli dèi e va nonostante
offerta alla divinità protettrice della casa o domovòi.
Ho fatto qualche conto sul tempo speso al lavoro
durante l'anno e approssimativamente, come ho già
scritto, il maschio disponeva di moltissimo tempo libero
172
in inverno fino a primavera in attesa che cadesse la
pioggia o d'estate mentre le spighe crescevano. Al
contrario la donna doveva rispettare le personali
scadenze biologiche impossibili da evitare che a volte
interrompevano le sue attività. Di qui la necessità di far
gruppo a parte poiché nel gruppo c'era sempre qualcuna
di loro che le rimpiazzava nei servizi sessuali.
All'età di 13-15 anni di solito abbandonava il proprio
villaggio e entrava nella verv di un altro villaggio come
consorte-macchina per far figli. L'aspettativa di vita per
lei non superava i 45 anni ossia moriva pochissimi anni
dopo la menopausa che arrivava verso i 38-43 anni.
Nell'intervallo di ca. 25 anni al massimo si snodava
l'attività procreatrice. Se si calcola che fra gravidanza e
cura della prole fino al primo parlare e al primo
camminare servono almeno 4-5 anni di educazione
materna, durante il suo periodo fertile eventualmente
partorirà in totale 5 individui. Non solo! Con le malattie
perinatali che a quei tempi erano davvero micidiali, i figli
che arrivavano alla pubertà si riducevano a 2-3 e, se di
questi uno era femmina, ecco che nella famiglia,
rimaneva un solo figlio maschio nella stessa verv per
tutta la vita. Ne seguiva la necessità della poligamia
tradizionale col numero massimo di mogli presenti pari a
7 (numero magico) e l'accoglienza entusiastica in seno
alla verv di orfani, servette e izgoi per i piaceri sessuali
fuggevoli. Una conferma di quest'ultimo aspetto della
questione credo d'averla trovata nella notizia data da N.
Karamzin (1842 repr. 1994) allorché avverte che gli slavi
non trattenevano a lungo i prigionieri di guerra, bensì
173
dopo qualche anno offrivano loro l'accoglienza nella verv
o, aggiungo, li sacrificavano agli dèi.
Vita contadina e vita cittadina.
Nasce un bimbo... e che succede nella verv?
La donna più anziana innanzitutto offre le sue gambe
sulle cui cosce la partoriente si accomoda nella banja e la
trattiene abbracciata durante il travaglio e non si
dimentichi che anche questa era una posa rituale nel
Nordest. Ci sono naturalmente le altre donne che
fungono da assistenti presenti al parto. Una volta fuori il
neonato è la più anziana che ne osserva attentamente il
corpo e ne nota ogni segno o macchia o forma insolita. Si
credeva che un neo o la forma della mano o l'occhio
strabico etc. fosse un segno degli dèi che preannunciava il
suo destino (dolja) particolare.
Le famiglie abbienti cittadine addirittura mantenevano
una maga di professione (ved'ma o znaxarka) alla quale
era mostrato il maschietto affinché interpretasse i segni
del corpo e lo munisse di talismani apotropaici oppure
consigliasse l'alienazione (esposizione pubblica per la
libera adozione) o la soppressione. Tutto ciò in regime
cristiano sarà proibito, complicato o ridicolizzato. Al
limite la donna potrà avvicinarsi meglio alla divinità e più
libera dalle pulsioni impure di desiderare l'amore con
altri uomini dopo uno o più figli ormai adulti... entrando
in convento! Problema risolto? Credo proprio di no, se
rammento che di frequente i conventi femminili erano
dipendenti in certe rituali incombenze dai monaci. E di
174
ciò le byline più popolari (A. Afanasjev repr. 2008, B.N.
Putilov 2000 et al.) si interessano moltissimo
intrecciando amori e spiritualità fra monaci e monache e,
perché no?, fra gente del popolo circostante e i membri
dei conventi e senza distinzione di generi sessuali e di età.
Ne riparlerò, mentre qui vorrei entrare accennando
nella questione dell'amor filiale come lo intendevano nel
passato pagano. È un argomento, questo, che non
metterò a confronto con l'odierno modo di vedere, ma
avverto subito che non si riteneva delittuoso abbandonare
nella foresta un neonato deforme o un infante disabile. Le
disabilità che mettevano “fuori gioco” senza appello una
persona prima della pubertà erano tradizionalmente la
cecità e lo zoppicare e perciò c'erano le divinità della
selva preposte a provvedere al meschino.
Ne ho già scritto, ma rivediamo meglio l'argomento
insieme poiché questa è una topica di base nella gestione
della sessualità del passato. Rammento anche che non
esistendo un'anagrafe, finché la chiesa ortodossa non
entrò nel mondo tutto femminile del parto, fu impossibile
distinguere e legiferare su parto, aborto e infanticidio.
Se dunque si era deciso di tenere il neonato in vita, era il
padre putativo che dava il nome augurale in base agli usi
della propria etnia, almeno fra gli slavi e i baltoslavi, e
una volta che la religione cristiana dominò nella Pianura
Russa gli appellativi diventarono due: l'uno etnico che
“accontentava” le tradizioni e l'altro cristiano tratto dal
santo al quale il bimbo era stato affidato in protezione
contro il diavolo per il resto della vita.
Non ho trovato testimonianze sicure, ma certamente
175
s'era intuito qualcosa sull'effetto dell'esposizione della
pelle agli ultravioletti che stimolava la produzione della
vitamina D antirachitica. Il che spiegherebbe meglio il
tipo di vestito infantile estremamente corto e facilmente
rimovibile e la frequentissima nudità dei ragazzi
prepuberi in giro nel dvor (o nel detinec, il deposito dei
minorenni, istituzione-novità cittadina a G. Novogorod).
C'è però una differenza fra il nord e il sud della Pianura
Russa abbastanza logica dal punto di vista profilattico ed
è che, mentre la nudità era pienamente sollecitata in ogni
occasione nel settentrione dove il sole batte solo per metà
dell'anno, nel sud al contrario l'accento cadeva sul corpo
nudo per la sua attrazione sessuale. Il regime cristiano col
tipico atteggiamento anti-sessista attecchì meglio nel sud
nel deprecare perversamente la nudità per cui i bimbi
dovevano essere fasciati strettamente affinché non si
potessero liberare da soli delle fasce e la nudità la si
tollerò fra gli schiavi e fra i condannati alla tortura o fra i
poveracci abbandonati a se stessi per varie vicissitudini.
Il IX-X sec. è il tempo dei Rus. Sono svedesi che
all'interno della taigà trovano le condizioni favorevoli per
risiedere stabilmente e non hanno a che fare con i loro
congeneri che si sono sistemati a Polozk fra i Kriviči sulla
bassa Dvina. Questi ultimi vivono di commercio specie di
pellicce pregiate ora che gli zibellini si sono estinti nella
foresta scandinava e chissà che non siano stati proprio
loro ad ambientarne un po' di coppie di questi animaletti
nel Nordest attirando gli interessi dei Bulgari del Volga
nel IX sec.
Birka funzionante favorì la navigazione sul Mar Baltico
176
che appunto gli svedesi monopolizzarono lungo la riva
nord, saltando il Golfo di Riga fino alla foce della Nevà. I
Rus dovevano essere una specie di mafia che armava i
natanti per andata e ritorno con scorta di giovani
tuttofare. I loro punti di riferimento per manutenzione e
riparazioni più noti erano Ladoga/Aldeigja delle saghe e
Gnjòzdovo-Smolensk. Nei tempi morti finché possibile
seguivano dilagando al sud e facendosi coinvolgere con
vari esiti nelle imprese di Vladimiro e di suo figlio
Jaroslav a Kiev e di Mstislav, figlio di Sfeng di
Tmutorokan, a Černigov. Attirando altri svedesi, in pochi
decenni con l'indipendenza di G. Novgorod, autonoma
per suo conto e in concorrenza con Bulgar-sul-Volga, si
sconvolse una situazione etnica che sembrava abbastanza
cristallizzata e nel XII sec. col cristianesimo i Rus
esistevano solo come élites armate con “sovrani legittimi”
incoronati dalla chiesa nelle poche città slavo-russe e
tutte “esigevano” tributi per mantenersi.
Attiravano gente dai villaggi per rinnovarsi fisicamente
offrendo un mestiere fra le numerose attività lavorative
che l'architettura cittadina cristiana, basata sul mattone
cotto e le pietre squadrate, stava usando per trasformare
la città-fortezza, gorod, in fortezza-capitale, stolnyi
gorod. L'esodo dalle campagne e dai villaggi verso
l'inurbamento tuttavia è insignificante, ma la “fornitura”
di donne in città popolate esclusivamente da maschi
doveva essere notevole. Fra i servigi “femminili” offerti
dalle contadine all'élite è notevole quello di balia
bagnata affinché l'avvenenza delle madri nobili non fosse
deturpata da mammelle troppo gonfie, ma è offerto anche
177
conforto alle donne che incinte vogliono ritornare nella
loro terra.
La chiesa kievana entra nel giro e attenta a non
allontanarsi troppo dalle città fonda qualche convento qui
e là. Poca cosa in verità che malgrado tutto sollecitano la
curiosità e attirano i giovani a scoprire l'artigianato
nell'oggettistica sacra e cristiana che può essere un modo
innovativo di vivere fabbricando, scambiando e
commerciando, cancellando lo stereotipo che il lavoro e
la fatica è solo nei campi. Nei conventi si insegna a
scrivere e far di conto e si accentua l'individualismo nei
ragazzi e nelle ragazze contro una verv inerme di fronte
alle meraviglie che si mostrano al contadino giovane e
ingenuo.
Dai villaggi intorno a Kiev è facile fare esperienza in
città per poi tornare al mir e raccontare avventure
mirabolanti o mostrare oggetti curiosi mai visti che
vengono da paesi lontanissimi abitati da esseri umani
strani e mostruosi. In altri termini ciò che attira non è il
denaro che praticamente non circola ancora, ma le storie
semplici che l'oralità di chi ha vissuto in città trasforma in
fiction per il divertimento di grandi e bambini nelle
lunghe serate d'inverno nel villaggio natìo..
Un caso a sé per la sua maggiore laicità è G. Novgorod
dove addirittura ci sono scuole di falegnameria
specialistica nel Quinto Cittadino (pjatìna) dei cantieri
navali che soddisfa la domanda navale dell'intera regione
(P.E. Sorokov, 1997). Sottolineo ciò giacché l'architettura
nei villaggi al contrario è stata sempre un lavoro
occasionale fra le mani dei falegnami più abili che usano
178
in prevalenza il legno. La ciotola, l'ascia tipica etc. in casa
si usa, ma si presta allo scambio coi vicini sotto forma di
prestito temporale e gesto d'amicizia.
Nelle arti femminili le giovani ricamatrici e tessitrici si
impegnano sodo e dietro compenso addobbano chiese e
cappelle, vestono preti e monaci e si tengono in amicizia
con la moglie del parroco, pronte a collaborare nelle
opere di misericordia cosiddette e nei mercati domenicali
che appaiono sempre più frequentemente qua e là.
Grande Novgorod con le sue usad'by recintate
In questi mutamenti impossibili da impedire o arrestare
i vecchi vedevano corruzione e rovina per i loro costumi e
non trovavano la forza per adattarsi alle innovazioni, se
non insistendo sulla conservazione dei riti e dei credi e
lodando il passato come il tempo migliore mai vissuto.
179
Non si accorgevano che stavano nascendo il prestatore
d'opera e il datore di lavoro e che scompariva il concetto
di legame reciproco parentale, età o sesso e con questo
anche l'importanza rituale fra lavoro e lavoro.
Non c'è ancora un contratto basato sul salario pagato in
contante, ma esiste la “vendita del proprio corpo e della
propria vita” a tempo determinato dietro la maschera
ideologica cristiana del dovere forzato (bàrščina o
pànščina) per gratitudine verso il datore di lavoro.
Il dvor cittadino tende a trasformarsi in usad'ba ossia in
una minifabbrica dove c'è la casa del padrone e della sua
famiglia accanto alle case (più basse) dei suoi
artigiani/operai con rispettive famiglie. C'è l'orto insieme
con la stalla per animali da allevare e macellare curati
dalle donne di servizio – spesso, come detto, facenti pure
da balie – oltre a uno spazio coperto che funge da officina
o deposito per gli uomini che fanno da palafrenieri per i
cavalli del cocchio del signor padrone.
Ho in mente l'esempio tipico delle usad'by di G.
Novgorod dove il bojaro abitava (v. figura precedente). Lì
si lavoravano le pellicce pregiate di diversa qualità e
colore animale per animale scegliendo dorso e ventre,
tagliando via le zampe e le unghie etc. Salate e
impacchettate passavano alla vendita ai clienti stranieri
che facevano sosta sulla Riva del Mercato, cantone vitale
della città. Né si faceva soltanto questo nelle usad'by
bojare perché vi si lavoravano pure altre materie prime
come i metalli importati che consentivano all'oggettistica
qui prodotta di mostrare quel non-so-che di esotico che
attraeva il compratore e che ha lasciato traccia nei
180
documenti.
Nella musulmana Bulgar-sul-Volga l'organizzazione
cittadina era molto simile a G. Novgorod, ma più aperta
alle visite dei mercanti stranieri intra moenia, su modello
del Centro Asia.
La particolarità di una civiltà musulmana consentiva
l'esistenza di mercati spiccioli e c'erano infatti intere vie
dedicate agli artigiani specialisti che operavano liberi da
padroni e che contavano moltissimo sulle commesse
femminili trattate persino fuori stagione commerciale.
bellezza bulgara curvy del Volga in vesti invernali
181
Le dame a capo dei clan più abbienti della città che
frequentavano la corte dell'emiro amavano investire i
personali patrimoni per fare affari.
Non solo! Erano le donne a commissionare, specchi,
pettini, profumi in pratica tutto l'anno ed erano loro a
pagare o a fornire in anticipo i costosi materiali da
lavorare per farne gioielli: l'ambra baltica o l'argento degli
Urali, ad esempio. Soprattutto senza dipendere dai loro
consorti spendevano per adornarsi in tutti i modi nella
cosmesi personale oltre a comprare orpelli da applicare
sui vestiti e ogni specie di borchia, fermaglio, fibbia.
182
Capitolo sesto
Bogomilismo e altre eresie
Preoccupandomi di mettere a fuoco i comportamenti
all'interno di tradizioni pagane preesistenti e i mezzi
ideologici usati dal cristianesimo per affrontarli e
ridimensionarli, tenterò adesso di disegnare a grandi
linee presso i contadini le antiche credenze e qualche rito
e festività prima dell'arrivo del nuovo ordine straniero.
Benché la lotta per il rispetto della supremazia della
donna nel nordest europeo dal Mar Baltico al Mar Nero
non si fermasse, la vita nei villaggi fra il X e il XI sec. non
mutò granché finché non si insediarono qui e là nella
foresta dei parroci ortodossi. Il parroco con moglie e figli,
oltre a esser visti come una rappresentanza occhiuta e
reale del potere kievano, avrebbe dovuto far mostra ai
parrocchiani del modello di vita felice e benedetta da
emulare pur concedendo delle locali sfumature.
Purtroppo la chiesa parrocchiale con gli annessi e i
connessi fino al XIV sec. risultò essere un'isola culturale
che all'improvviso sorgeva alla periferia degli abitati
imposta ai locali e frequentata sì e no dai capetti stranieri.
Ripeto con maggiori dettagli che nel VII-VIII sec. nella
183
Pianura Russa migranti scandinavi continuarono ad
avvicendarsi in particolare alla ricerca della via per il sud.
Cercavano la fortuna e quando l'età li metteva fuori ruolo,
si sistemavano in maniera selvaggia e cruenta tentando di
imporre il loro sistema patriarcale mafioso. Sceglievano
i tragitti nella stagione propizia e sostavano per interi
mesi nei villaggi che riuscivano a localizzare e perfino a
occupare, i pogosti, con la scusa del commercio. Lo scopo
però era altro e cioè detto in maniera cruda: essere
mantenuti dalla gente lì insediata e riprendere alla
prima occasione la strada dell'avventura.
Raramente riuscivano a fondare un dominio e a viverci
in maniera duratura e ciononostante è conseguenziale
che i comportamenti stereotipi, sessuali e non, della loro
Svezia incidessero sulla socialità delle comunità da loro
oppresse e veicolate dalle donne che li frequentavano.
Le loro città erano fortezze (gorod) lignee e minacciose
da dove questa mafia varjaga organizzava prima
dell'inverno ricognizioni nell'hinterland per razziare i
villaggi e costringerli a cedere un tributo in cibo e donne.
Costantinopoli, vista l'esigua consistenza delle bande di
cui aveva notizia tutte disunite l'una contro l'altra, li vide
alleati con i bulgari del Danubio e li considerò un pericolo
passeggero attirandoli con i soliti doni aurei periodici. Poi
comparve Svjatoslav, padre putativo di san Vladimiro,
che fissò un paio di postazioni permanenti sul delta del
Danubio, abbandonando Kiev al suo destino. Gli accordi
precedenti fra Kiev e l'Impero furono messi da parte e
soltanto dopo la morte di Svjatoslav (971) furono ripresi e
se ne stipularono di nuovi e finalmente i varjaghi, dopo il
184
laborioso e forzoso battesimo di Kiev, trasmigrarono
ormai diventati slavo-russi in varie famiglie delle élites
cristiane europee (980-1010).
I villaggi intanto andavano localizzati uno per uno nella
foresta e subito dopo occorreva assoggettarne i capi. E
come fare a imporre a interi rod un signore degno e
venerabile, se poi costui scompariva rinchiuso per quasi
tutto il tempo nel suo inaccessibile e irraggiungibile
gorod? Bastava propagandare che col nuovo signore la
vita sarebbe migliorata, senza riuscire a spiegarne il
come? Il clero cristiano aveva la soluzione: Nelle città del
X sec, in cui iniziò l'indottrinamento, l'ausilio materiale
varjago richiesto dal clero fu la costrizione degli abitanti
ancor pagani con la forza armata!
Come di consueto, l'ostacolo più serio rimaneva: Come
parlare alla gente, se non si conosce la loro lingua? Ne
ho già scritto, ma occorre dire che il problema di una
lingua veicolare unica per i dominati ha assillato ogni
impero dal principio della storia scritta. Solitamente lo si
superava con un colpo di mano autoritario. Basta
documentarsi (N. Ostler, 2016) su come la Spagna nel
XVI sec., affrontasse centinaia di lingue diverse e
sconosciute nelle pagane Americhe. Madrid decise che gli
amerindi, pena la morte, dovessero parlare castigliano!
Alla fine gli esiti ottenuti apparentemente furono rapidi,
seppur incerti e labili, ma la mafia varjaga ne uscì
addirittura convinta che cristianizzare fosse la sua divina
missione da espletare manu militari.
Nel caso kievano mi consta che il personale ecclesiastico
inviato da Costantinopoli per l'indottrinamento era
185
bulgaro danubiano nella stragrande maggioranza e di
provenienza dalla città di Filippopoli (Plovdiv) appena
riconquistata dall'Impero, ma in forte odore di eresia.
C'era perciò il fastidio che la dottrina giunta a Kiev fosse
sospetta d'essere intrisa di bogomilismo, l'eresia nata
appunto in quegli anni della fine del X sec. piuttosto che
la lingua da usare.
Come nel resto dei Balcani questi bulgari parlavano
oltre al turco originario la koiné slava comune o
paleobulgaro e quindi i problemi comunicativi
sembravano superati. Tuttavia per capire un po' meglio
l'indottrinamento cristiano occorre descrivere come
cambiasse il modo di vedere il mondo con l'arrivo di quel
cristianesimo deviante. Pertanto riassumo per sommi
capi le tesi del monaco-prete Bogomil che operò fra i
monti dell'attuale Macedonia e quanto le sue idee
abbiano lasciato di tracce riconoscibili nella cultura della
Pianura Russa.
L'universo per Bogomil era stato creato dall'incorporeo
dio cristiano con i 4 elementi fuoco, aria, acqua e terra e
diviso in una parte superiore, i sette cieli, riservata al dio
e ai suoi angeli pure incorporei. Sotto il primo cielo
coperta interamente dall'acqua c'era la terra. Un angelo
altresì, Satanaele, si era ribellato al dio supremo e per
punizione era stato esiliato sulla terra.
Qui oppresso da solitudine Satanaele aveva creato il
mondo come noi uomini lo vediamo. Divise cioè le acque
di superficie da quelle sotterranee e sulla terra asciutta,
lasciò che il tempo atmosferico, pur da lui creato salvo il
sole che invece rimaneva oggetto divino del dio del cielo,
186
agisse e fecondasse il suolo.
Satanaele creò piante e animali e in ultimo l'uomo e
riuscì a dar vita a tutti questi esseri insufflando una parte
della sua angelicità nei loro corpi. Di qui la natura
dualistica dei viventi: angelica-buona e materialemalvagia. Il dio creatore affinché l'uomo capisse
l'ambiguità bene-male aveva inviato degli angeli fra gli
uomini, ma senza successo poiché gli uomini era rimasti
sordi a ogni esortazione a cambiar vita.
Alla fine aveva deciso di mandare Cristo facendolo
uomo come gli altri attraverso il parto di Maria. Satanaele
naturalmente lo combatté fino a farlo crocifiggere, ma
dato che Cristo non poteva morire come gli altri dopo 3
giorni riapparve sulla Terra. Mise Satanaele in catene e lo
relegò a vivere per sempre nell'inferno e dal suo nome
tagliò via la sillaba -el cioè dio e di qui l'attuale nome di
Satanà.
Ad un certo punto Satanà è riuscito a liberarsi e oggi
vaga sulla terra alla ricerca di alleati che lo aiutino a
ripristinare l'antico suo dominio universale terrestre.
E con chi si pone in contatto per conseguire tale fine?
Con la donna, l'ambigua sposa dei potenti della terra! Il
potere che consente all'uomo di sfruttare altri uomini a
suo totale vantaggio è il male assoluto, sebbene si sappia
travestire da missione divina che elargisce falsi beni
materiali con l'aiuto della chiesa di Roma sul Bosforo
corrotta proprio da Satanà.
Di qui il proverbio russo: Муж и жена – одна сатана
cioè Marito e moglie è un unico satana, insomma il
matrimonio ha un esito negativo rispetto all'invito di
187
diventare una sola carne, secondo le parole di Cristo, e
per colpa di chi? Della donna!
L'ambizione dei bogomili era di costituire una propria
chiesa e una propria dottrina purificata di fronte a quella
ufficiale costantinopolitana e chi aderisse al bogomilismo
doveva impegnarsi in tale compito affinché la nuova
chiesa fosse costituita da gente semplice, diversa e in più
opposta a quella al potere nell'Impero Romano d'Oriente
(M. Erbstösser, 1984).
I Varjaghi/Rus.
Assodato ciò, devo però riconsiderare le persone che ne
furono investite per prime: i Varjaghi.
Da mafia organizzata dominante la navigazione nel Mar
Baltico col distintivo del nome Rus, nella Pianura Russa
vagavano senza interesse a circoscrivere né a sapere
quanto esteso fosse il raggio delle loro attività predatorie
e quali altri poteri si potessero incontrare da combattere
o con cui eventualmente fraternizzare. Gli unici aspetti
interessanti che ho potuto individuare nella loro storia
erano i loro perenni sforzi tesi a dimostrare, allorché si
presentava il caso, che da armati in perenne razzia sul
territorio erano giovani e vogliosi di godimenti di
qualsiasi tipo dalla copula all'abbuffata. Mi sono chiesto:
Se in Scandinavia il costume negava che la donna fosse
subordinata all'uomo e pertanto conservasse le sue
prerogative di scegliere i partner sessuali che volesse, i
varjaghi che decidessero di risiedere nel nordest non
avrebbero forse applicato la stessa socialità delle loro
188
madri e sorelle per le donne locali? È da tener a mente ciò
giacché è una delle chiavi interpretative nel conflitto fra i
sessi nelle élites varjaghe al potere nel nordest medievale.
Comunque sia i varjaghi con i locali imposero l'unica
relazione di potere a loro nota favorevole: il ricorso al
terrorismo con le razzie preventive di odore mafioso.
Solitamente si trattava di stipulare con loro un patto di
difesa del villaggio contro gli altri gruppi varjaghi dipinti
a tinte fosche e terribili e mantenere così la pace, ma nel
detto “accordo” si pretendevano donne e cibo dai capi
locali. È logico che con gli ostaggi femminili si formassero
legami famigliari e, se rammentiamo come funzionasse la
verv, è facile immaginare come le madri-consorti a loro
volta diventassero le protagoniste della spinta al
cambiamento negli usi e nei costumi dei parenti d'origine
con i quali esse mantenevano i contatti e come influissero
volenti o nolenti nelle politiche del loro rod.
Chiarisco qualche fraintendimento.
È certo che la donna è geneticamente incline a stabilire
reazioni interpersonali e ciò sta a fondamento non solo
della creazione di gruppi umani, ma soprattutto per le
cure parentali che lega madre e prole per quasi tutta la
vita e che comunemente è definito amor filiale. La coppia
in reciproco amore madre-figlio/a è il primo e minimo
raggruppamento umano poiché la femmina umana non
solo genera dentro il proprio corpo i figli, ma dopo il
parto offre loro se stessa col suo latte come cibo primario
e esclusivo. Dopodiché quando il latte non sarà più
necessario e la sua secrezione cesserà, la madre
masticherà nella bocca la miscela d'alimenti altrimenti
189
indigeribili per il suo bimbo che non ha la dentatura
completa e ne farà una pappa da immettere nella bocca
del figlio con un dolce e amoroso bacio con la lingua.
Questa esperienza primordiale è decisiva per il rapporto
futuro fra madre e prole e la sessualità dell'impubere!
E i detti gesti non sono forse i rituali d'amore che si
usano nella copula sia etero- che omosessuale adulta? Chi
fa da partner femminile si comporterà da madre che
coccola, stimola e diverte mentre chi fa da altro/a partner
farà da figlio beato e gaudente delle carezze e delle
attenzioni manipolatorie.
Né quanto appena scritto deve far scandalo giacché
recenti scoperte confermano che la sessualità funziona
negli infanti dalla nascita seppure da stimolo secondario
rispetto al bisogno fisico primario di nutrirsi e perciò nei
primi anni di vita si rivolgono per l'appagamento al
nutrimento, mentre crescendo alla pubertà saranno
gradualmente educati alla normalità di soddisfare anche
la spinta sessuale al coito dalla cultura dominante (E.
Nagoski , R. Eisler et al.).
Come ho scritto in precedenza, nel VII-VIII sec. ormai il
sistema societario nella Pianura Russa e specialmente fra
le etnie slave si è consolidato nella famiglia allargata o
verv con una élite dominante in mano maschile. Niente
di strano perciò che, quando il caso di maschio pubere si
presenti, gli anziani si riuniscano per trovare per lui la
buona consorte discutendone abbastanza a lungo. Certo,
si aggiunge una nuova forza lavoro nello sfruttamento del
territorio e c'è da fare bene i conti sull'investimento
donna-consorte affinché non sia solo una concubina o
190
una schiava addirittura da destinare esclusivamente alla
copula. Essa deve anche generare e quindi meritare il
favore degli dèi con la sua fertilità. La sposa sappiamo che
andava pagata ai suoi genitori, il veno in slavo-russo e il
kalim in bulgaro-turco, e la somma era quasi sempre un
bel conto salato in natura e lavori, dato che denaro non
ne circolava. Un noto osservatore musulmano del X sec.,
al-Qazwini, scrive infatti:
«Quando un capofamiglia ha 2 o 3 figlie [che è riuscito
a allevare fino all'età da marito] esse sono la sua
ricchezza. Il contrario accade se ha 2 figli maschi poiché
causano il suo impoverimento.»
Alla fine una bocca in più da sfamare si ripagava con
vari servizi, salvo quando una volta ingravidata rallentava
il carico nei lavori diretti a beneficio della comunità da
essa sopportabile e aumentavano i suoi consumi di cibo.
Sgravatasi le bocche da sfamare aumentavano in pratica
e il lavoro della donna-madre da quel momento in poi per
un 2-3 o più anni almeno era speso interamente per la
prole da curare e da accudire.
L'avvento del cristianesimo in minima misura alleggerì
la donna-madre nella cura della prole allorché il parroco
nei villaggi o il prete di famiglia nelle città reclutava per
gran parte della giornata i bambini pochi mesi prima
della pubertà preparandoli col catechismo alla conferma
o cresima (in russo miro dal greco myron, l'unguento che
per i cattolici è l'olio d'oliva benedetto). Insegnare a
leggere e scrivere era un altro espediente per costringere
ad abbandonare il paganesimo visto che si assimilava la
spiegazione di come fosse avvenuta la creazione del
191
mondo, dell'uomo e della donna e qual era il destino
finale dell'uomo rispetto alla donna di per sé impura.
Gli argomenti erano raccontati in modo accessibile e
favolistico-divertente per affascinare il catecumeno
ignorante ricorrendo alla lettura ad alta voce, magari con
un sottofondo musicale e con danze e gesti rituali.
Notiamo che oltre ai 4 vangeli che Roma sul Tevere
considerava già nei primi secoli insostituibili – canonici –
a Roma sul Bosforo alcuni dei cosiddetti apocrifi erano
permessi e circolavano abbastanza liberamente.
In primo luogo la necessità stringente per ogni pagano o
cristiano era comunicare con la divinità per richiederne
il favore negli eventi personali. Nel Medioevo Russo a
questo proposito sembra facile pensare che i sacerdoti
cristiani sopperissero a queste esigenze e ne farebbero
testimonianza quelle pagine piene di lodi e trionfi
sull'organizzazione della chiesa ortodossa alla sua entrata
nella Pianura Russa alla fine del X sec. in alcuni
documenti ecclesiali.
Nonostante ciò nell'assetto ideologico cristiano, senza
ripetermi sul bogomilismo, rimaneva vivo il concetto
paolino che occorre disprezzare il corpo, per sua natura
malvagio, e che non ci si deve pertanto curare troppo
delle sue pulsioni. Gli impegni, i legami, la vita del corpo
compreso l'amore e il sesso andavano messi da parte
perché diabolici e guidati dalla donna complice del
demonio. Per vie dirette tramite i parroci e per vie
indirette tramite le dicerie dei mercanti cristiani da sud a
nord queste concezioni aliene e i relativi comportamenti
si andavano spargendo nella Pianura Russa, lentamente
192
ma inesorabilmente e il paganesimo del nordest ne fu
influenzato già nel XII sec. Nella regione di Rostov nel
nord e di Lago Bianco per l'anno 1071 si legge nelle locali
cronache che un certo Jan affermò di aver udito con le
proprie orecchie le parole e le frasi smozzicate del volhv
mentre esponeva le idee eretiche bogomile sulla donna,
sulla creazione etc. da lui peraltro più o meno condivise.
Ciò aiuta a disegnare meglio la società della Pianura
Russa e non fa meraviglia che nella vita cittadina di
Pskov, di G. Novgorod e fra i Bulgari del Volga e persino
nell'area dove nascerà Mosca, il rispetto sociale per la
donna restava di gran lunga maggiore che a Kiev. Se poi
mi richiedessi se esistette mai la donna-volhv fuori dalla
verv, mi risponderei in base agli episodi raccontati nelle
CTP che sì, benché poco è noto del suo operare da
sciamana e da sacerdotessa.
D'altronde il volhv segnato dagli dèi nelle CTP ne
abbiamo uno fra i discendenti di Roghneda: Vseslav, nato
con una voglia sulla fronte talmente estesa e deturpante
che dalla pubertà si abituò a indossare una berretta che la
nascondesse. Gli fu appioppato il nomignolo di čarodei
ovvero l'equivalente di mago e si dice che parlasse o
chiamasse i lupi ululando nella notte.
Ho già scritto che l'economia generale della verv fosse
gestita dalla donna più anziana e non solo perché nella
remotissima antichità la donna era stata la vera creatrice
dell'economia contadina e la custode di tutta una serie di
competenze tecniche, ma anche per ragioni pratiche nella
divisione dei tempi di lavoro. Mi spiego meglio. Mentre
all'alba gli uomini vanno al lavoro nei campi, nel dvor
193
resta lei, la baba, con le altre baby più giovani e i bambini
e tocca a loro affrontare ogni evenienza e risolvere ogni
contingenza o bisogno fisico.
Quanto poi al potere del suo comando, era un principio
fondamentale che i più giovani obbedissero agli ordini
degli anziani perché questi da eredi e conservatori della
tradizione erano fonti di saggezza. Anzi! Il potere del
bol'šak, se invecchiato e costretto a passare gli ultimi anni
della vita impedito dagli acciacchi, risultava incerto e non
era raro che la consorte lo vedesse inutile nelle attività
produttive solite e se ne liberasse costringendolo a una
specie di suicidio forzato. Gli si costruiva una izbà in un
angolo nascosto della foresta e lo si lasciava lì a vivere
solo soletto fino alla morte. Naturalmente poteva capitare
anche a lei un uguale destino...
Come spesso accadeva tuttavia, era giusto la donna a
sopravvivere al maschio capofamiglia e quindi per un bel
po' alla bol'šuxa si obbediva con riverenza finché in una
riunione di famiglia non si decidesse altrimenti.
In seguito il cristianesimo costruirà conventi qui e là nel
fitto della selva e i vecchi riconosciuti pesi inutili
troveranno ricetto presso i monaci con un'ulteriore causa
dello sbriciolamento della verv. Addirittura i reietti di
famiglia abbiente prendevano volentieri i voti monacali e
il convento evolveva a pensionato o a ospedale sui
generis per lungodegenti, se non proprio a prigione come
accadde con i Cavalieri Teutonici a Marienburg, la loro
centrale operativa, e ad altri castelli nel XIV-XV sec.
Alla fine del mio lungo excursus mi dovrebbe esser
riuscito a inquadrare la donna nella pratica lavorativa nel
194
periodo X-XIV sec., benché gran parte delle notizie
raccolte nelle CTP si riferiscano alle signore dell'élite e
benché il periodo sia pieno di attenzioni critiche e
ironiche sui ruoli femminili.
L'esogamia tradizionale della verv sembra in parte
obliterata man mano che passa a dominare il regime della
famiglia mononucleare sotto la severa giurisdizione
ecclesiastica. In certo qual modo a dire il vero si instaura
il compromesso che introduce qualche miglioria per la
donna finora trattata da ”pegno vivente” fra i mir. Dal
punto di vista economico la coniuge, non schiava né in
contratto di lavoro in una usad'ba, conserva la libertà di
gestire la dote portata con sé nel matrimonio cristiano
che ora è riconosciuta sotto la forma di una donazione e
non più di veno. La si vede comprare e vendere da
amministratrice ordinaria, pur se rammento che sono
casi limitati alla nobiltà femminile.
Appaiono le prime badesse al volgere del X sec. che
intorno a sé raccolgono giovanette che hanno rinunciato
alla copula obbligatoria eterosessuale fra cui lesbiche e
giovani vedove. Tutto questo e altro è contenuto in
maniera volutamente sbiadita nella Pravda Russkaja
allorché si parla di attività lavorativa che conviene
regolamentare senza far troppo conto del rango sociale
acquisito tramite il maschio consorte. Qualcosa si ricava a
conferma di certe mutazioni sociali percepite come
fastidiose dalla tradizione, se nelle byline la figura
femminile nobile non è un personaggio troppo amato
quando rifiutando la verv ha cambiato e tradito. Siccome
è donna, si sottolinea quanto sia scandaloso mettersi alla
195
pari col maschio dominante specie nel fisico e che una
virago armata e vincente nelle prove di forza e dura di
cuore non sia auspicabile. Sottolineo che ciò non vale nel
mondo dei nomadi delle steppe dove la donna rimane
circondata dall'alone delle Amazzoni...
A parte la natura mitologica lunare dell'elemento
femminile, la donna nobile vive separata dal consorte nel
palazzo del knjaz (terem) e dorme con lui soltanto se
questi la chiama! La sua facoltà di riuscire a trasformare
ogni sostanza o miscela di sostanze in qualcosa di
utilizzabile dal suo congiunto sia come cibo sia come
stimolo amoroso sia come medicamento non è più in
discussione, ma la sua economia domestica tanto
popolare nella verv decade. Ciò è verificabile nell'esempio
di un convito: A tavola rarissimamente le è permesso pur
da padrona di casa di mangiare insieme con gli ospiti. Da
nobildonna essa deve solo occuparsi della sua avvenenza.
Tornando al mir e all'attività culinaria contadina, quali
erano i suoi strumenti da cuoca? La domanda è
pertinente perché gli archeologi hanno mostrato come
tali oggetti trovati nelle tombe facessero parte del corredo
personale con addirittura il nome della donna inciso
come l'unica a poterne disporre. Non erano numerosi
tuttavia e fra gli slavi spiccano un bel pentolone di coccio
con tre piedini sul fondo e una lunga forca di metallo per
immettere e tirar fuori la detta pentola. Da dove? Dalla
monumentale stufa o peċka installata nell'angolo sinistro
di ciascuna casa o izbà e che funge da forno-cucina oltre
che da fonte di luce e di calore per l'ambiente altrimenti
senza finestre.
196
reperti vari delle nobildonne kievane del X sec.
Nel ċum dei nordici nomadi al posto della stufa c'è una
piastra di metallo al centro di questo ambiente che è
circolare di fronte all'izbà al contrario quadrangolare e su
questa piastra in un cerchio di grossi ciottoli c'è il fuoco.
L'attività culinaria è però sempre riservata alla donna,
padrona di casa.
Analoga è la sistemazione degli spazi nelle ger circolari
dei nomadi delle steppe.
Il calore/ardore di qualsiasi genere, secondo la
mitologia slava dominante, proviene dal cielo dove
governa Svarog ed è lui che agli albori della civiltà donò il
fuoco agli uomini indicando loro dove trovare la pietra
focaia per attizzarlo e affidandone la custodia a suo figlio
Svarožič. Quest'ultimo è un provetto fabbro ferraio
giovane, bello e muscoloso, ma di poche parole che i
léttoni identificavano con Perkons (slavo-russo Perun),
signore del fulmine. Si credeva che la cuoca di casa gli si
197
offrisse affinché ciò che lei preparava per qualsiasi suo
commensale riuscisse gradito, almeno nella fragranza
oltre che nel sapore. Evidentemente, vista la sua costante
presenza presso la stufa, la voglia di fare all'amore della
padrona di casa derivava proprio dal suo armeggiare col
detto dio. Il fuoco della stufa una volta acceso era
d'altronde tenuto vivo dallo spirito folletto chiamato
Raràšek presso altri slavi che ogni tanto sbucava sotto
forma di faville (iskry) fuori dalla bocca del forno e le
faville si trasformavano in un vero e proprio uccello
rapace dalle piume di fuoco. Era stata la donna, si
raccontava, a farlo nascere ponendo un uovo nella stufa
per 9 giorni e 9 notti e era stata sempre lei a permettergli
di accomodarsi geloso sul tetto della casa.
D'altronde un rito, non scomparso ancora nella
campagna attuale e creduto semmai un'efficace cura
medica associata alle appena citate divinità ardenti, è
l'introduzione da parte della puerpera del suo appena
partorito nella pečka per pochi secondi affinché ne venga
fuori bello e libero da qualsiasi malanno.
Qui ho riferito delle dicerie popolari residui del vecchio
paganesimo slavo, ma tutti erano convinti 1000 anni fa e
così al giorno d'oggi che la pečka fosse il centro vivo della
magia domestica gestita al femminile. Oltre agli dèi e ai
semidèi già nominati parecchie altre presenze divine
erano ospitate dentro e nei pressi della stufa. Bastava
riconoscerle dalle tracce visibili che lasciavano nella
cenere, nel fumo e nelle faville per riuscire a mettersi con
loro in contatto con gli appositi scongiuri e le adeguate
offerte onde farsi specialmente aiutare nel produrre
198
pozioni di sicuri effetti curativi o magici.
Prodotti afrodisiaci.
In altri miei lavori ho scritto della cucina medievale
russa e non mi ripeterò tranne qualche stralcio o qualche
accenno. L'argomento che riservo a questa parte del
saggio è l'uso speciale delle “piante magiche” o “piante
degli dèi” create per risuscitare, mitigare, rafforzare,
scompigliare etc. l'espressione sessuale di chiunque ne
consumasse.
E partiamo non da una pianta vera e propria come si
definiscono in botanica oggi: i conosciuti e gustatissimi
funghi. Raccolti in primavera erano seccati a costituire
una derrata alimentare di riserva amatissima nella
Pianura Russa e se ne raccoglievano davvero in gran
quantità. Di solito la raccolta era un lavoro femminile in
quanto circolava la diceria che le donne non indossando
in quel lontano passato alcun indumento intimo con la
loro vulva in vista eccitavano i geni-nanetti che pertanto
venivano fuori della terra come dei funghi e si lasciavano
cogliere. E non solo si consumavano come cibo, ma anche
per usi medicali e psicotropi nei vari riti orgiastici.
Nell'intera Europa un fungo era usato come afrodisiaco
sia per aumentare la “resa sessuale” nella copula sia come
allucinogeno e sto parlando di Amanita muscaria cioè del
fungo che appare nella favola di Cappuccetto Rosso. R.
Evans Schultes e G. Schön (1998) informano infatti che in
particolare l'Amanita muscaria era arrivata nella
Pianura Russa con le migrazioni ugro-finniche dalla
199
Siberia dove era usato da secoli dagli sciamani. Gli antichi
indoeuropei che avevano invaso l'India ca. 3500 anni fa
provenendo appunto dal Centro Asia con questo fungo
riservato agli dèi ne facevano un infuso che solo i
sacerdoti celebranti certi riti potevano bere e attraverso il
loro corpo avvicinarsi alla divinità. Nelle mitologie
indoeuropee troviamo il consumo di quel fungo sotto vari
nomi: presso gli dèi dell'Olimpo greco è l'ambrosia, come
cibo solido e dunque impastato, e il nettare, come
bevanda-infuso; presso i persiani era la bevanda Haoma
e nei Veda indiani era il Soma e infine fra i varjaghi si
brindava con essa per la festa del bere o Sumbl (stessa
radice di Soma/Haoma). Non solo! Nel Rig-Veda si dice
che Parjania, dio della tempesta, era il padre del Soma e
Parjania corrisponde al balto-slavo Perkunas/Perun
anche per gli attributi divini pressoché uguali.
Come agiva il fungo sulla pratica sessuale? Essiccato lo
si macinava fino a ridurlo in polvere grossolana che si
mescolava al cibo comune oppure dopo averlo inumidito
con la saliva e masticato in piccolissimi pezzi, ma in
quantità tale da non risultare letale, lo si riduceva a una
minuscola polpettina da passare al partner con un bacio.
A seconda della quantità usata gli effetti erano diversi.
Con dosi minimali iniziava una concitazione e una voglia
di muoversi e con dosi massime si arrivava fino
all'ebbrezza allucinatoria o delirium tremens. Dunque la
sposa che notava stanchezza nello sposo nella copula
ricorreva all'infuso del fungo in piccole dosi oppure a una
pietanza più elaborata a base del fungo stesso.
Altri quattro funghi vanno menzionati perché
200
importanti per il nostro tema, l'uno da riconoscere e gli
altri tre da consigliare di averne in riserva a casa:
1. Geastrum
fimbriatum
(russo
zvezdovik
bahromčatyi),
2. Saccharomyces cerevisiae (russo drožži ossia
lievito di birra),
3. Piptoporus betulinus (russo berezovaja gubka o
labbro di betulla)
4. Fomes fomentarius (russo trutovik),
5. Phallus impudicus
Il Geastrum fimbriatum è particolare in quanto forma
dei cerchi anche ampi di individui cresciuti da un fungo
“padre” che compare al centro che le raccoglitrici
chiamano “anello magico”. Il fungo padre infatti prima di
estinguersi irradia i suoi miceli sottoterra a raggiera
intorno a sé e da questi a distanze più o meno eguali
nascono i funghi figli che la raccoglitrice vedrà e eviterà
perché si giudicava pericoloso entrare nell'anello, se non
si era iniziati in certi rituali.
Il Saccharomyces cerevisiae non si riconosceva come
fungo perché microscopico, ma come pasta madre o dežà
usata sia per fare il pane di frumento che per fare la
birra, bevanda comunissima bevuta specialmente dalle
donne e meno cara dell'idromele o miele fermentato fino
a 30-40 gradi percentuali d'alcol etilico riservato alle
élites e ai riti, mentre la vodka distillata da materiale
vegetale era in qualche maniera popolare fra i contadini.
Devo qui aggiungere che la vodka si beveva nelle feste
d'addio al celibato in cui l'ancora celibe veniva costretto
dai suoi amici a bere fino all'ebbrezza. Ancor oggi il rito è
201
ripetuto e incita il malcapitato a bere fino in fondo al
grido Gorka! Gorka! cioè: Brucia, brucia! Si intende non
soltanto il forte grado alcolico (oggi significa amara)
della bevanda che inebrierà la futura sposa, ma anche che
non potrà scegliere un nuovo partner come in passato.
Il Piptoporus betulinus aveva proprietà medicamentose
particolari. Lo si trovava a far marcire la corteccia della
betulla e si mostrava come un grosso labbro grigio
appiccicato al tronco in basso. È famoso nella letteratura
perché si è trovata un cordata di fungo secco nella sacca
di Ötzi, il famoso uomo di 5300 anni fa in giro nelle Alpi.
Perché lo ricordo? Perché è adatto a curare e disinfettare
le ferite e a lenire il dolore nelle infezioni uretrali!
Anche se ultimo nel mio elenco, non ho dimenticato
che l'ipostasi vegetale – se è lecito chiamarla così – del
dio Jarilo (e di Rod) è il famigerato fungo Phallus
impudicus qui raffigurato (la foto è in Wikipedia).
In russo è chiamato vesjòlka traducibile con strumento
202
di piacere e in limitate quantità non è velenoso, ma, oltre
alle sue proprietà afrodisiache nell'ingerirlo, ha un odore
talmente penetrante che – certi micologi russi assicurano
– porta una donna all'orgasmo al solo inspirarlo.
E infine il Fomes fomentarius. È un fungo molto
apprezzato perché seccato e macinato con delicatezza
contiene delle sostanze che favoriscono lo sprigionarsi di
fosfina che prende fuoco quando lo si infrappone fra due
legni secchi che si strofinano fra loro. Era prezioso alla
festa dell'amore della Mezza estate dedicata a Kupalo,
nella cultura slavo-russa e nell'Europa cristiana detta la
Festa di san Giovanni o del solstizio d'estate (1000 anni
fa ca. 24-25 giugno). In questa occasione ogni fuoco era
spento e si allestiva lo spettacolo della riaccensione
facendo ruotare un tronco ben secco verticale e
appuntito, il maschio, ad angolo retto in un incavo di un
altro tronco fissato al suolo, la femmina, che conteneva la
polvere del detto fungo. Quando si vedevano finalmente
le fiamme, si passava a accendere un grande falò e alla
fine della festa ogni donna prendeva una parte della brace
per riaccendere la propria pečka di casa.
Il frutto simbolo dell'amore malgrado tutto è la mela.
Nei racconti popolari col cristianesimo diventa il frutto
che Eva staccò dall'albero del bene e del male e che divise
con Adamo e tale racconto della Genesi ebraica è in
ambiente cristianizzato la metafora del fatto che in realtà
fra i progenitori dell'umanità ci fu la prima copula e si
commise il cosiddetto peccato originale da scontare da
allora in poi. Perché la mela e non un altro frutto? In
primo luogo il melo era nel Medioevo in tutto il bacino
203
del Mar Mediterraneo e del Mar Nero fino al Mar Baltico
l'albero più diffuso e più apprezzato come cibo di riserva
per la resistenza dei frutti alla lunga conservazione (in
fosse di sabbia, coperti d'argilla o nelle cantine sottostanti
alle izbe nordiche, etc.).
In secondo luogo perché nella mitologia pagana e pure
greco-romana la mela era un frutto solare o il sole stesso
come fra i léttoni, mela d'oro di Saule, dea del sole
splendente, ad es. e persino l'oggetto di varie storie
d'amore fra le divinità celesti. Quanto alla mela di Adamo
e Eva la storica francese M. Toussaint-Samat (2009 v.
bibl.) fornisce la sua spiegazione che tale frutto è
scaturito probabilmente da un errore di traduzione
dall'ebraico-aramaico in greco e poi in latino. In altri
termini il testo della Genesi in latino, come era usato
nelle parrocchie tradotto per i fedeli, chiama il frutto
proibito col nome generico di pomum cioè nient'altro che
frutto, ricordo come riferimento che la dea dei frutti si
chiamava a Roma appunto Pomona. In seguito nei
volgari neolatini dei primi convertiti che attesero alle
letture delle Sacre Scritture ossia gli abitanti di GalliaFrancia e d'Italia, aborrendo il malaugurato nome latino
della mela ossia malum che significa pure cattivo o
diabolico, scelsero termini diversi nelle traduzioni
ulteriori e la comunissima mela divenne in it. pomo (più
tardi mela), in fr. pomme.
Così il frutto andò a finire nella leggenda del peccato
originale con un'intenzionale confusione col coito. La
storica rincara la dose sul simbolismo della mela
insistendo che fosse un simbolo del fare all'amore già a
204
vista. Se tagliamo il frutto a metà osserviamo che ci
appare una riproduzione dell'apparato genitale femminile
esterno ben noto nei tempi andati.
Non solo! I semi appaiono sistemati in un pentagono
stellare, rappresentazione magica pagana antica di luoghi
misteriosi come la bocca dell'utero. Una spiegazione
molto simile, ma stavolta basata sulla lingua italiana, la
dà R.G. Capuano (v. bibl.).
E che dire di re Artù che attende il suo destino
disamorato nell'isola delle mele o Avalon dove aval è
appunto la mela in celtico-gallese? E non è forse la mela il
frutto di paragone per la bellezza dell'amata del Cantico
dei Cantici nelle Sacre Scritture? E la mela d'oro delle
Esperidi che Paride lancia a Elena non fa scoppiare la
Guerra di Troia? E quella avvelenata offerta a Biancaneve
non ci dice che con la magia di questo frutto si può
infliggere la morte e più tardi far ritornare in vita il
defunto con un bacio d'amore?
Val la pena ricordare un incantesimo per stuzzicare o
infastidire l'amato lontano che si fa con la mela in ambito
slavo-russo. Eccolo (N.I. Kostomarov, repr. 2008):
«La mela d'amore. Sono queste le mele con il cui aiuto
si può sollecitare l'attenzione e l'amore di una certa
persona. Si fa in modo molto semplice tagliando a metà
una mela. Nel suo centro si mette il nome della persona
scritta su un pezzettino di carta [nel passato: una parte
del corpo come capelli, peli unghie etc.] e la si mette al
sole. Avverrà che la mela seccherà e la persona amata
soffrirà in qualche modo [avrà disturbi alla gola].»
E chiudo ricordando che ogni dvor aveva all'entrata del
205
recinto di casa il melo piantato dall'eponimo fondatore i
cui frutti offerti all'amato erano altrettanti inviti sessuali
ben precisi! Coglierne i frutti per mangiarne era pure
proibito e occorreva attendere che cadessero da soli.
Infatti tirar giù una mela poteva provocare la caduta di
un'adiratissima rusalka che aveva scelto quel melo per
acquattarsi senza farsi notare.
Logicamente non dobbiamo credere che con tutto il
daffare in una casa rurale medievale della Pianura Russa
le donne fossero occupate a preparare solamente filtri e
pozioni. Al contrario! L'economia della dispensa era
piuttosto complicata nello sfruttare al meglio le derrate a
disposizione per cucinare. Nella dispensa infatti c'erano
medicine e intrugli anche minerali che le donne anziane
con più tempo libero e con maggiori conoscenze magiche
e mediche accumulavano.
la Ved'ma in un famoso quadro di Rerih del 1914
206
Le si vedeva spesso bighellonare lungo le rive dei fiumi o
a chiacchierare con le vicine su questo e su quel caso
amoroso risolto... con le loro erbe! Non sempre le donne
rientravano tutte a casa al tramontar del sole giacché
certe piante occorreva coglierle col fresco della sera o nel
buio della notte e le fortissime paure del buio nella gente
di quei tempi lasciavano credere che specialmente le
donne anziane sapessero come consigliarsi con gli esseri
magici della foresta e attardarsi con loro nel buio.
In ogni villaggio quasi per forza doveva abitare una
ved'ma (znaxarka, koldunja etc.) ossia colei che aveva il
rimedio per ogni caso di infermità. Anzi si poteva
diventare tali, frequentando i … serpenti e farsi toccare
appunto dalla loro regina. Come? Andando a cogliere
l'artemisia ossia in russo černòbyl o erba nera che si
usava spargere sui falò di Kupalo perché emanasse il suo
profumo sulle gonadi di ragazzi e ragazze che saltavano
sulle fiamme. Una delicata bylina ucraina racconta
appunto che una giovanetta caduta in una trappola per
serpenti nel Polesje di Kiev, dopo varie peripezie riesce a
ingraziarsi la regina dei serpenti ed è trasformata in
ved'ma. Purtroppo distratta dall'amore per un giovane
pronuncia černòbyl, parola per lei tabù, e perde i suoi
poteri e l'amore perciò è ora irrecuperabile.
La ved'ma per le sue frequentazioni è assimilabile alla
strega nostrana, ma venerata in maniera positiva. Una
guarigione alla fin fine non era solo un suo successo
medico, ma anche la facoltà di aver saputo prevedere il
futuro della vita del malato. Soltanto con il consolidarsi
del potere moscovita la si vide come un'estranea che
207
viveva separata dai suoi e che potesse essere pericoloso
mettersi con lei in contatto. La si accusava di aver
venduto la sua anima al diavolo o a altro essere notturno
demoniaco (bes) e la si portava in giudizio per poi
torturarla o mandarla al rogo, ma ciò non fa parte della
presente storia. Detto ciò già nel XII sec. la nipote di
Vladimiro Monomaco, Eupraxia, si preoccupò di
raccogliere in una specie di manuale intitolato Gli
Unguenti
ogni possibile
informazione medicofarmacologica del mondo rurale, specie bielorusso. Non
essendo la Pianura Russa sfiorata se non marginalmente
e in ogni caso lungo le correnti dei fiumi dagli itinerari
del commercio internazionale delle spezie, la cucina
rurale possedeva una grandissima varietà di sapori
piuttosto che di odori: il dolce dominava sul piccante, il
pesce di fiume sulla carne, i frutti erano disponibili
freschi nella bella stagione (la mela, le prugne, le nocciole
dominavano) e disidratati e dunque dolcissimi e morbidi
da assaporare nel freddo del lungo inverno. E tuttavia chi
poteva saperlo, se in un gradevole sapore di una
succulenta pietanza non si celasse un veleno o una
sostanza psicotropa?
Il cibo-re nel Medioevo era comunque il pane che si
consumava in ogni giorno dell'anno. Nel passato pane o
vita erano la stessa cosa e in russo si chiamavano appunto
con lo stesso termine: žito (in italiano la radice latina del
verbo vivere e del vitto è *vic-/vit-- omologa alla russa).
E qui occorre però dare un'interessante informazione.
Con l'avvento del cristianesimo si introdusse la
comunione e il consumo del pane santo (prosfor) di
208
frumento da usare in chiesa nei riti ortodossi al posto
delle ostie di pasta non lievitata dei cattolici. Si riservò
grande attenzione a questo pane da santificare che cadde
sotto regole abbastanza rigide per la preparazione e per
chi lo preparava. La produttrice comunque restava la
donna, non una qualsiasi, ma la proskurnica, come era
chiamata. Costei era una vedova conosciuta per la
purezza dei costumi e scelta apposta dal parroco per la
bisogna. Essa doveva (1) aver contratto un solo
matrimonio e non aver intenzione di risposarsi, (2) avere
un'età di oltre 40 anni in maniera che le mestruazioni con
l'impurezza che comportavano non profanassero il
prodotto. Se invece la vedova scelta era giovane e
mestruava regolarmente, allora doveva interrompere ogni
volta la preparazione del pane per almeno 20 giorni.
Dopodiché si sarebbe purificata nella banja e poteva
ritornare a lavorare il pane santo. Logicamente colei che
fosse sorpresa o vista o accusata di continuare a fare
all'amore, veniva radiata quasi immediatamente dal
cuocere il detto pane.
Perché ho scritto quasi immediatamente? Il motivo è
che dalle strutture famigliari esistenti di vedove con tali
caratteristiche se ne trovavano forse una o due in un
villaggio e quindi a volte il parroco chiudeva un occhio o
si tappava le orecchie per le maldicenze su di lei.
Il pane quotidiano era solitamente di segale, non
lievitato e il suo impasto era del tipo che in Germania si
chiama Pumpernickel (v. Wikipedia). Era preparato in
semisferiche pagnotte piuttosto schiacciate dal sapore
acidulo che di per sé rendeva difficile mascherare
209
ingredienti estranei come un veleno o un afrodisiaco. Era
invece difficile da mascherare il sapore leggermente
pungente del pericolosissimo fungo Claviceps purpurea o
in italiano segale cornuta. In russo il suo nome sporinjà
nella mitologia slava indicava l'abbondanza e si credeva
che quando se ne trovasse durante il raccolto, anche un
solo corno, voleva dire che la messe era andata bene con
spighe abbondanti e grosse. I corni di segale cornuta si
mettevano da parte poiché un po' della sua polvere (in
realtà le spore) nel pane solito si diceva che promettesse
una copula fortunata. Le levatrici conoscevano bene
l'effetto ausiliario delle pozioni in cui mettevano la segale
cornuta perché si accelerava il parto e si leniva la fatica e
il dolore del travaglio. Nessuno immaginava intanto che
consumare segale senza saperla ben mondare dal detto
fungo provocasse l'ergotismo o fuoco di sant'Antonio a
volte con veri episodi epidemici di questa patologia sia fra
gli uomini sia fra gli animali da stalla ai quali ultimi
appunto si dava biada con segale. Ignorando perciò che la
segale cornuta stesse all'origine di quei malanni, la
terribile gangrena che faceva cadere in pezzi le estremità
necrotizzate non poteva che esser la fattura di una
ved'ma incaricata di eseguire una vendetta per conto di
un nemico del dvor o dell'intero villaggio. Se poi fra le
sofferenze subentrava una specie di danza – le
convulsioni – nel malato ubriaco di segale (russo
ržepjanskii), il ballo era detto il passo contorto o crampo
della ved'ma (rus. ved'mina korča) e in questo caso, data
la concezione pagana del mondo dei morti, si credeva che
il soggetto danzante fosse felice di essere in contatto con
210
gli dèi e lieto di ricongiungersi con gli antenati.
Una pianta che nella letteratura popolare dell'Europa ha
conservato qualcosa di misterioso e di magico fino a tutto
il Medioevo, compreso quello russo, è intanto la
mandragola o Mandragora officinarum. Con questa
pianta (russo fiaccola del diavolo – sveča diavola –
oppure fiore di ved'ma – cvetok ved'my) il cui rizoma ha
spesso la forma di un corpo umano, a volte maschile e a
volte femminile secondo la fantasia di chi la estrae dalla
terra, si facevano amuleti d'amore. Si sceglieva la pianta
del sesso dell'amato/a e vi si intagliavano dei tratti umani
approssimativi. Tutto ciò si faceva in segreto e di notte
mentre si mormoravano gli scongiuri appositi. L'intera
procedura per fabbricare un amuleto efficace durava mesi
con svariate e complicate operazioni (v. Wikipedia in
russo su Yandex.ru).
Alla ved'ma andavano dunque le richieste di unguenti
spermicidi che essa preparava da varie essenze vegetali.
Per questi preparati rimando il lettore alla letteratura del
tipo Le Virtù attrattive delle Donne dove c'è un manuale
apposito (v. mia bibl.). Una parola va detta sulle pratiche
abortive dove l'intervento della ved'ma era indiretto,
fornendo, lei, disinfettanti e unguenti. Devo aggiungere
che l'aborto non risolveva granché il problema delle
troppe bocche da sfamare dato che di figli ne morivano
parecchi in tenera età per malattia. Piuttosto l'aborto
spontaneo era visto come un segnale fisico negativo ossia,
per come era creduta la natura femminile, era la donna
ad aver cambiato idea sul dono divino dell'embrione e se
ne liberava. Col cristianesimo il feto abortito doveva
211
essere benedetto e inumato perché, secondo Ildegarda di
Bingen, l'anima creata dalla santa Trinità cala dal cielo
come un palla di fuoco, entra dalla vagina e si situa nel
cuore del feto e, se il corpo lo si restituisce alla terra,
l'anima va restituita al creatore con i giusti riti.
Ricordo invece come, secondo al-Bakri, le genti slave
non sopportassero il calore ardente del sole poiché
causava il cosiddetto male russo (morbillo) insieme con
l'indebolimento nella pratica sessuale e come si ricorresse
alla ved'ma prima che sopravvenisse la decadenza fisica.
La cura? Gli antidoti? Non si sa se ce ne fossero efficaci
fra le piante e fra i parecchi altri prodotti animali usati in
cucina o dalla ved'ma a scopo terapeutico o psicotropo,
ma mi pare che i cenni fin qui da me dati siano sufficienti
a disegnare parte dei ruoli femminili in ambiti
abbastanza tipici del Nordest europeo.
Comunque il cristianesimo teneva sotto costante esame
le ved'my. Anzi, l'andaluso musulmano del XIII sec. alGarnati ci informa che l'autorità kievana ogni volta che ne
individuava una, ne prendeva nota e ogni 10 anni il
gruppo censito era sottoposto al giudizio dell'acqua
cosiddetto. In breve le ved'my sospette di collusione col
diavolo erano gettate legate nella corrente del fiume e, se
non andavano a fondo, riportate a riva erano comunque
messe al rogo! Non c'è che dire e, a mio parere, tali
processi sommari, rari in verità, altro non erano che
l'importata funesta influenza occidentale dove da tempo
imperversava il Malleus Maleficarum dell'Inquisizione.
La cosa notevole è che il concetto di divinità negativa,
malvagia ossia di demonio brutto e cattivo in sé e per sé
212
non esisteva nella visione olistica dei pagani di nordest e
tutto si riduceva alla libera volontà di un dio di far male o
bene agli esseri viventi sulla terra.
Nel chiudere il capitolo mi corre l'obbligo di qualche
riflessione in più poiché i confronti con le abitudini
attuali li ho trovati quasi sempre sbagliati e anacronistici
in parecchi testi. Ad esempio serve sottolineare che il
gioco della seduzione basato su un latente e insoddisfatto
desiderio di copula da stimolare per indurre ad
accoppiarsi, 1000 anni fa non aveva grande effetto usare
della nudità, visto quanto poco vestito era il Medioevo
rispetto all'oggi. Di conseguenza gli sforzi seduttivi di
ogni sesso per attrarre un partner alla copula erano un
po' violenti e pure grossolani.
Né mancava il linguaggio un po' criptico degli
innamorati fra gli omosessuali come nella berjòsta
novgorodese del XII sec. (Cat. NGB [8] 605 :
Inchini da Efrem a mio fratello Isuci. Senza le prove ti
sei arrabbiato [con me]. L'abate non mi lasciato benché
l'abbia pregato. Mi ha mandato con Asaf a chiedere del
miele dal posadnik [sindaco]. Siamo tornati solo
quando ha suonato [le campane?] Perché sei così
arrabbiato? Io sono sempre tuo. Mi hai offeso quando
mi hai detto: Mi inchino a te, fratellino! Mi aspettavo
che dicessi:Tu sei mio e io sono tuo.
Insomma si può dire che prima dell'indottrinamento
cristiano nella pratica il meretricio esisteva nel nordest
europeo in funzione di semplice corso di educazione
213
sessuale con prova pratica all'interno o all'esterno della
verv e senza distinzioni fra etero- e omosessualità o
qualsiasi altro tipo di copula né tanto meno da
considerarla un'attività spregiativa.
214
Capitolo settimo
Maschi superbi
Ma l'uomo, il maschio venuto d'oltremare che domina
nella società medievale slavo-russa col nome di Rus, per
unirsi con la donna che in quel momento gli piaceva,
quali arti esercitava oltre alla più facile coercizione con le
armi in mano o abbracciandola forte con la propria forza
fisica “palestrata” o, magari, ubriacandola? E se invece di
una donna avesse, lui, sedotto o si fosse fatto sedurre da
un altro uomo, che ne era della sua mascolina superiorità
nelle gerarchie della verv? E c'è pure un'altra domanda:
Chi è un Rus? E in qual periodo del Medioevo Russo
impone la sua figura eroica, a cui lui stesso peraltro si
rifà, come tipo ideale per sedurre?
Sfortunatamente rispondere esaurientemente a questi
quesiti richiede non pagine, ma libri interi con una
competenza vasta e varia e pertanto il mio lettore dovrà
accontentarsi delle righe seguenti o rivolgersi alla
bibliografia da me suggerita.
Io invece partirò dal viso e dalla questione della barba
maschile che nel 1700 Pietro I vietò durante il suo regno a
qualsiasi laico vedendo in questo “onor del mento” un
215
segno di vecchiume e di sfacciata bigotteria di fronte alla
modernizzazione posta da lui in atto. Innanzitutto nel
periodo che mi interessa la prima peluria che apparisse
sul labbro superiore del maschio pubere era la conferma
della sua maturità per accedere ora al mondo degli adulti
e quindi si poteva celebrare il rito del primo taglio di
capelli (postrig). E per i figli glabri di natura? Lascio a voi
immaginare quale serie di intrugli e pomate le donne di
casa si ingegnassero a preparare. Dopodiché la barba non
andava rasa, ma in qualche maniera serbata e curata e
lasciata crescere affinché il maschio si distinguesse
nettamente dalla femmina e, per il personale ecclesiastico
cristiano, il monaco dalla monaca e il parroco dalla
moglie (popad'jà). Sia come sia nella Pravda Russkaja, al
tempo di Jaroslav e di cui ho già detto in precedenza, chi
danneggiasse la barba strappandola o tirandola era
punibile per offesa grave e soggetto a una multa di ben 12
grivne che non era poco davvero. D'altronde si vede nelle
icone e nelle arti figurative (ad es. sculture lignee) etniche
della Pianura Russa che l'artista è attentissimo a
riprodurre un viso maschile “adulto” con una ricca barba
in ottemperanza a quanto si era deciso nel Grande
Scisma del 1054 fra ortodossi e cattolici anche sul caso
specifico del clero monacale.
Lamentava la Chiesa Russa:
«E costoro [i cattolici] si rifiutano di fare attenzione a
quanto dicono le Scritture. Nel Levitico (19, 27) si legge:
Non tagliatevi i capelli in circolo e non guastare
[tagliando] l'orlo della tua barba. In verità [i cattolici]
così facendo non vogliono riconoscere che Dio
216
benevolente creò soltanto per le donne questo aspetto
[glabro], non considerando che lo stesso aspetto si
addicesse al maschio.»
E fra i contadini semi-pagani? La bellezza maschile con
o senza barba non mi è parso un fattore importante, forse
perché per radere i peli sul corpo, sia per il maschio che
per la femmina, mancavano gli arnesi adatti e radersi era
una passiva e fastidiosa perdita di tempo nell'economia
del lavoro della verv. Ricordo personalmente, quando
frequentavo l'URSS negli anni '80, quale meraviglia
suscitava in me vedere le gambe delle ragazze con i peli
fin sulle cosce o in Armenia udire l'apprezzamento
positivo dal punto di vista erotico espresso per le ragazze
con le basette e una cortissima peluria scura sul labbro
superiore!
Quanto all'islam le regole erano più o meno quelle del
cattolicesimo: Lasciare la barba maschile al suo posto!
Naturalmente, visto l'antico uso degli egiziani di radersi e
di usare barbe posticce come segno di alto rango sociale,
l'islam restò più largo di vedute sull'argomento e in più,
frequentando i mercati asiatici dove la barba maschile per
natura (drift genetico) è abbastanza poco frequente, per i
musulmani fu inutile imporre prescrizioni a riguardo con
la religione... Almeno, se proprio radersi faceva comodo,
si conservassero dei corti baffetti!
Ciò detto, nell'Occidente europeo figure di eroi maschi
da proporre e da imitare ne nacquero parecchie e
specialmente nelle tradizioni germaniche e ognuna con
una gran bella barba.
I germani, i goti in particolare, avevano già rimodellato i
217
costumi propri col cristianesimo eretico di Ario e nelle
loro migrazioni da veri modelli di virilità barbarica
sparsero il loro seme in Europa dappertutto: dal Mar
Nero al Mar Baltico e dai fiumi polacchi all'Atlantico dove
in particolare sul lato ispanico già fra il VII e VIII sec. si
scontrarono con l'islam di al-Andalus. Malgrado ciò il
modello maschilista germanico diventò classico e dunque
da emulare in ogni angolo della cristianità nel XIII sec. in
una società piramidale con in cima una ristrettissima
cricca di maschi che rivendicavano il diritto di dominare.
Nel frattempo la società che oso in questo contesto
chiamare cristiano-germanica, arriva nella Pianura
Russa già nel X sec. e la si vorrebbe imporre nella
compagine multietnica del Nordest.
Schematicamente al vertice ci sono gli Oratores (in altre
parole il clero germanico) incaricati di tenersi in contatto
con la divinità creatrice per interpretare ed eseguire gli
ordini immaginati provenire dal cielo. Secondo il modello
germanico, mi sarei aspettato al vertice una élite armata e
invece i Bellatores (i combattenti) si collocano nel
gradino inferiore successivo agli Oratores.
Gli Oratores tuttavia sono una classe interessata in
misura autolimitata alla sessualità e da tale posizione
celibataria teorizza e divide l'umanità in 2 classi
sessualmente contrapposte in cui il maschio rappresenta
la perfezione e la femmina la fisica incompletezza, salvo
essere l'unica generatrice di nuovi esseri umani per
mandato divino indiscutibile. Appartengono perciò agli
Oratores i monaci (e le monache) tagliati fuori da ogni
amplesso amoroso e che pertanto sfogano le urgenze
218
nell'amor di Dio riconosciuto come un tipo di coito
metafisico. In seguito, al tempo delle crociate, i monaci di
alcuni ordini saranno autorizzati dalla chiesa papale a
armarsi e a cancellare ogni differenza di ruolo con i
Bellatores, salvo continuare a ritenere il voto di castità.
Quanto poi concerne la base della piramide societaria,
essa costituisce il “resto” del collettivo cristiano e cioè una
classe larghissima definita Laboratores ovvero i faticanti.
L'attività preminente di queste persone è il lavoro e la
qualità più apprezzata di comportamento è l'obbedienza
agli ordini che provengono dai vertici, in particolare
quando si comanda loro di versare regolare e congruo
tributo materiale affinché il sistema resti a lungo in piedi.
Eppure tale ordine di poteri era stato introdotto molto
probabilmente nel nordest con altre nomenclature già
con le invasioni indoeuropee a spese dell'antico
precedente matriarcato. Dunque niente di nuovo nelle
attività delle 3 classi medievali citate in Europa
Occidentale, eccetto suggerire che all'impatto cristiano
del X sec. con la società agricola pagana e multietnica
prevalente nella Pianura Russa si intravvede un qualche
larvato progresso positivo per la posizione delle femmine
nella nuova società purché… battezzate!
Infatti, se le prime 2 classi dirigenti del sistema
appaiono intoccabili dalla sessualità, l'auspicio del potere
cristiano è in ogni caso che i faticanti abbiano numerosi
numerosa figliolanza e che le generatrici abbiano tutto il
tempo oltre per generare per le cure di inabili e di
bambini. In verità inizia così l'introduzione di tratti
culturali atti a sgretolare la verv e il rod tradizionali e a
219
creare il ruolo femminile ancora presente attualmente in
quasi tutta l'Europa.
L'importanza della comunità.
Le notizie sulla composizione delle tre o quattro società
“tipiche etniche” presenti fra il IX e il XIII sec. sono
poche per poter essere sicuri di poterne scrivere con
scioltezza e classificarle e i tratti che descriverò, lo ricordo
una volta di più, sono dedotti in buona misura dalle
byline della tradizione orale e dai lavori etnografici
sovietici. Ci sono poi le osservazioni dei mercanti che
visitavano la regione senza interruzione che confermano
molti punti che io metterò in evidenza poiché nelle loro
note sono raccolte le dicerie dei locali. In breve se per i
mercanti esse erano notizie utilissime per migliorare gli
scambi, per me sono preziosissime oggi per sapere
qualcosa di più sugli antenati del nordest.
Il lavoro nei campi più lo sfruttamento dei prodotti della
selva assicurano la sussistenza e questo lo sappiamo per
averlo scritto e riscritto, ma non può essere imposto da
un vertice estraneo alla realtà della verv come l'ideale
delle attività di vita. La tradizione spinge ognuno a
conoscere e esplorare in grado ben profondo l'ecosistema
con le regole che gli dèi hanno fissato, ma addentrarsi nel
territorio in modo spavaldo e violento non è concesso allo
straniero né tanto meno al visitatore mercante. Serve
dunque creare una relazione strettissima con i locali.
Se nella foresta l'offerta di risorse è molto varia e
eternamente ricca, così non è nella tundra (foresta ad
220
arbusti che vanno in quiescenza d'inverno), nella regione
più nordica e sulle rive del Mar Glaciale Artico e dei
numerosi e enormi laghi lasciati dai ghiacci del lontano
passato. Qui il maschio è affaccendato soprattutto nella
pesca e nella caccia in una frenetica corsa con la stagione
buia di mezzo anno senza sole a sufficienza per un'attività
agricola. Qui raccontano che il maschio seduce la donna e
non l'inverso. Le offrirà oltre al cibo prodotto dalle sue
prede macellate, anche le pellicce delle prede stesse per
farne capi di vestiario e cosmetici o, con le monete che
vengono dal sud, collane da appendere intorno alla fronte
come si usa nella regione preuralica.
Nell'ambiente forestale o taigà (la foresta boreale
europea in grandissima parte composta di specie arboree
latifoglie viventi e sopravvissute dal 12000 a.C. fra
Polonia e Russia europea), si vive di agricoltura con
tecniche primitive in verità nelle radure (lug, lužaika) e di
piccolo allevamento. Si allevano mammiferi di taglia
minore come il porco e volatili stanziali o da cortile. Non
si trascura la raccolta di frutti nel fitto degli alberi. Se i
lavori agricoli più ripetitivi sono affidati all'uomo e la
raccolta alle donne, l'uomo è una figura abbastanza
scolorita dove l'avvenenza maggiore resta la giovinezza, la
vigoria e, solo tardivamente, XIV-XV sec., avrà un certo
peso anche la sua ricchezza materiale. Le byline lo
descrivono romantico e un tantino geloso e focoso nel
fare all'amore oltre ad amare la festa, la crapula e il bere
smodato.
Ci sono poi le steppe. Il nomade che le abita e le scorre a
cavallo ama la libertà personale e per la maggior parte del
221
tempo vive in solitudine per cui la copula con la donna o
con un altro uomo è certamente desiderata, ma, se non
c'è altro di meglio, sopperisce al desiderio accoppiandosi
con una femmina degli animali che alleva. L'uomo
pastore ideale è focoso, un cavallerizzo in continuo
movimento che porta al suo amore in attesa meravigliosi
oggetti procuratisi o con la razzia o ottenuti dai mercanti
coi quali si incontra spesso. È apprezzatissimo il suo
racconto di avventure vissute personalmente sia di eventi
sia di personaggi mostruosi ispirati pure ai racconti
esotici dei mercanti. Nei periodi di quiescenza allorché
torna in seno al suo clan gli staranno tutti intorno per
ascoltarlo e per discutere con lui nelle jurte (ger) o
intorno al fuoco e sono le donne a volerlo al coito.
Altro e diverso è il maschio nelle città, tenendo presente
che città vere e proprie se ne possono contare sulle dita di
una sola mano fino al XIII sec. La città slavo-russa è la
sede del potere circondata e omaggiata da servitori e
collaboratori. Gli incontri amorosi, forse standardizzati
più rigidamente dai vari fattori che regolano la vita
cittadina, non sono affatto rari. Un coito è sempre
possibile per persone di passaggio nelle locande e nei
bagni pubblici frequentatissimi.
Partecipare ai riti pagani non è impedito al cittadino
purché ci si munisca di croci e un evento festoso come un
matrimonio è concesso gestirlo in modo tradizionale
giacché il parroco (vi partecipa!) tollera che si indulga nel
bere e nel mangiare.
Quanto invece alla vita sessuale degli artigiani che sono
nel numero demografico la vera maggioranza della
222
popolazione residente, essi sono rinchiusi nelle usad'by al
lavoro e il sesso è l'unico divertimento a cui ci si dedica
alla fine della giornata. Raramente al maschio o alla sua
donna è permesso uscire, salvo che non serva per
accompagnare la consorte del padrone. È il padrone che
ha trovato all'artigiano che lavora per lui una moglie e, se
la coppia genererà una figlia, sarà un onore essere
deflorata dal padrone.
A G. Novogorod cristianizzata e a Bulgar-sul-Volga
islamizzata le donne conservavano una grande libertà
sessuale, persino enorme, se appartenevano alla classe
oligarchica dei mercanti direttamente o per matrimonio.
Esse apprezzavano nell'uomo che tentava di sedurle non
solo l'avvenenza fisica, ma anche la cultura espressa nei
contenuti del suo parlare, nell'eleganza del vestire e
godevano dei curiosi racconti di esperienze galanti nei
viaggi esotici intrapresi per commerciare o nei
pellegrinaggi in terre lontane e straniere (a Gerusalemme
o a Kiev o alla Mecca).
Quando erano arrivati i Rus in gran numero sulle coste
baltiche, si erano insediati in fortezze da loro stessi
costruite e con le frequenti scorrerie nella bella stagione
mettevano in allarme la gente dei dintorni. Che li
guardassero le donne! Maschi scelti per la loro prestanza
fisica che vanno soddisfatti sessualmente senza remore
religiose o d'altra maniera!
Di solito nello stesso posto non rimaneva a lungo la
stessa squadra e perciò non c'erano legami amorosi
permanenti. Tuttavia nei loro viaggi verso Costantinopoli
o Baghdad i Rus non sempre riuscivano a raggiungere le
223
mete prefisse e allora si attestavano lungo i fiumi e
magari si creavano piccoli domini adattati ai loro sogni di
una bella vita in ozio e trasformandosi così in altezzosi
predoni. A parte ciò ricordo che i loro costumi sessuali
scandinavi erano fissati nella loro mitologia in cui la dea
dell'amore, Freyja, era famosa per la sua insaziabilità e il
suo consorte e fratello, Freyr, si curava poco del fatto che
essa copulasse con altri dèi. D'altro canto la repressione
sessuale sugli uomini era considerata errata poiché fare
all'amore è spendere energia e che essa è dono degli dèi
che, se accumulata, diventa pericolosa e potrebbe causare
seri guai al portatore e a chi è vicino a lui.
L'immagine fisica di questi armigeri è stereotipa, ma
inevitabile, se si pensa che in Svezia erano scelti prima di
imbarcarsi proprio per queste qualità fisiche: maschi alti
ben fatti con capelli riccioluti e occhi freddi, ma
soprattutto sessualmente enormemente dotati. Va a
cavallo e non ha paura di mostri o di avversari magici coi
quali volentieri si scontra e spesso vince e conquista
l'amore di una donna. Lo strano è che nei dipinti del '700
o del '900 gli eroi delle byline sono sì! grandi e grossi, ma
spesso neri di occhi e di capelli! Significa ciò forse che le
bionde slavo-russe avevano come modello di bellezza
maschile il maschio moro? Non sono in grado di dirlo.
In un famoso quadro di V. Vasnecov (XIX sec. v.
Wikipedia) sono rappresentati i tre maschi ideali che
popolano le byline più popolari: Ilija Muromec,
Dobrynja Nikitič e Aljòša Popovič. Sono i bogatyri (dal
persiano baghapur o figli di dio), eroi straordinari
coinvolti nelle imprese più impossibili. Sono tre tipi di
224
maschio idealizzato dal popolo contadino, ma in verità
non sembrano essere molto differenti nei tratti fisici salvo
l'accenno alle rispettive origini deducibili dai loro
“cognomi”. Essi ispirarono nel XVI sec. i cosiddetti
Cosacchi del Don e persino l'atamano Stepan Razin,
famoso “sciupa-femmine”...
presenza dei pagani baltoslavi nel X-XIV sec.
Il paese delle donne.
Se allora i Rus partivano per l'avventura nel sud ad ogni
buona stagione, in Svezia logicamente restavano gruppi
di sole donne, sorelle o amanti in attesa del ritorno di
questi giovani ed è verosimile che in tali circostanze
rientri una questione delle amazzoni. C'entra però
l'antico mito greco nell'approccio sessuale alla storia
medievale russa?
Il fatto è che Ibrahim ibn-Ya'qub di Tortosa (Spagna,
225
allora al-Andalus) fra il 960 e il 965 fa un lungo viaggio
nella regione che oggi chiamiamo Mitteleuropa per far
visita all'imperatore Ottone I. Lascia le sue attente note
su quanto vede e raccoglie notizie geografiche talmente
importanti che altri geografi dopo di lui useranno per
parlare dei popoli che vivevano in queste regioni con i
loro usi e costumi. Raccoglie pertanto una leggenda su
una città abitata unicamente da donne e il fatto che sia
Ottone stesso ad avergliela trasmessa, rimanda, è vero,
alle Amazzoni di Erodoto di più di mille anni prima, ma le
localizza in area baltica a ovest dell'antica Prussia!
E al-Qazwini addirittura la descrive così:
«Il Paese delle Donne è una grande città situata su
un'isola del Mare Occidentale (sic). La popolazione è
costituita da donne che non riconoscono alcuna autorità
mascolina su di loro. Esse cavalcano e vanno in guerra e
sono molto coraggiose nei combattimenti. Hanno degli
schiavi maschi che cambiano di padrona ogni notte. [Lo
schiavo] prende posto [nel letto di una di loro] alla sera e
senza farsi riconoscere la lascia al sorger del sole. Se
una di loro è incinta e dà alla luce un maschietto, lei
stessa l'uccide all'istante, ma se invece è una
femminuccia allora la tiene [in vita].»
Dello stesso tenore è la segnalazione di Paolo Diacono
nella sua Storia dei Longobardi che scrive più di un
secolo prima di al-Qazwini e dice di averne sentito
parlare e che gli fosse stata indicata una regione
addirittura nel centro della Germania romana. Persino
Adamo di Brema nel XI sec. scrivendo del Vescovado di
Amburgo-Brema parla dell'esistenza, stavolta sul Mar
226
Baltico, di una terra delle donne. Per lui in una delle tante
isole lungo le rive ce n'è una che si chiama Terra delle
Femmine. Scrive:
«Raccontano alcuni che esse concepiscono con una
sorsata d'acqua, altri invece che esse si accoppiano con i
mercanti che passano da quelle parti o di maschi che
esse detengono in prigionia [pronti a far sesso. E persino
si accoppiano] con mostri... e noi crediamo che [queste
dicerie] siano degne di fede.»
Chi guarda ora una carta delle coste baltiche può vedere
che l'isola grande situata all'entrata del Golfo di Riga e
che fa parte oggi dell'Estonia porta il nome di Saaremaa
cioè Terra delle Donne... È forse qui che si radunavano le
ultime amazzoni ugro-finniche?
Al-Idrisi, geografo di corte di Ruggero II di Sicilia,
raccoglie anche lui una notizia analoga e con una certa
logica immagina che ci sia, adiacente a quella delle
donne, un'isola degli uomini. Questi per un mese si
riuniscono qui al principio della bella stagione e si
lasciano invitare in un continuo viavai con l'isola delle
donne dove copulano con esse e finalmente ripartono per
i loro affari mercantili.
A parte le illazioni che posso fare in più partendo dalle
suddette note, una cosa è abbastanza chiara a mio avviso
e cioè che l'impiego massiccio di giovani maschi per le
avventurose campagne esplorative di varia natura dirette
a sud nella Pianura Russa, privava certe aree per davvero
di giovani maschi. In casi di emigrazione maschile
definitiva facilmente folti gruppi di donne restavano
raggruppate in certi porti/scali ad affrontare da sole ogni
227
vicissitudine in attesa di altri uomini e di altri amanti. E
ciò mi conferma una volta ancora lo status differente
delle donne nelle società dell'estremo nordest di fronte
alle colleghe che si misuravano col maschio tipico delle
comunità più a sud nella Pianura Russa.
Da Ibn-Fadhlan sappiamo che i varjaghi Rus, se hanno
con sé la consorte o la schiava preferita, con i pezzi
d'argento guadagnati perché gli affari vanno bene ne
fanno spirali (grivna) da mettere intorno al loro collo in
segno di stima. Contando le spirali si può apprezzare la
ricchezza del consorte e il di lei rango per saper fare
all'amore meglio di un'altra.
Una nota fisica di questo autore è la seguente:
«Io ho visto i Rus arrivare per far mercato e
accamparsi lungo le rive dell'Itil (Volga). Non ho mai
visto dei fisici più perfetti dei loro. Erano diritti come
palme. Erano biondi e rossi.»
E non è l'unico. L'andaluso al-Garnati racconta di aver
ammirato a Bulgar-sul-Volga un gruppo di gente nordica
forse ugro-finnica: «... erano rossi [di pelle o di capelli]
con degli occhi azzurri e dei capelli [lisci] come il lino
tendenti al bianco...»
Qualche decina di anni dopo presso un altro viaggiatore
musulmano, anche lui ben conosciuto, Ibn-Battuta (XIV
sec.), il giudizio sui russi è ribaltato: Sono biondi e con gli
occhi azzurri, ma sono brutti e cattivi!
Tali apprezzamenti pur soggettivi hanno sollevato la
mia curiosità. Ammesso che gli osservatori consultati da
me possano essere considerati dei portatori di modelli
estetici musulmani della bellezza maschile fra il XI e il
228
XIV sec., che male ci sarebbe a immaginare che i maschi
circolanti nella Pianura Russa si sentivano in grado di
pavoneggiarsi nelle loro attrattive fisiche sulle donne che
capitavano loro a tiro? Sarebbe ingenuo pensare che in
tutti i casi le donne fossero prelevate con la coercizione
pura e costrette a far da compagne (umykanie) e mai col
loro assenso e invece, almeno per il senso di novità e di
vita migliore che costoro facevano sognare con le loro
millanterie, erano le donne locali aperte all'avventura.
Nei villaggi non dobbiamo trascurare che esistevano
svariate gare fra maschi per attirare le giovani che poi si
sarebbero messe a disposizione del vincitore. Nominerò
qui la gara-gioco svedese kubb certamente riprodotto in
similitudine nel russo gorodki con birilli da abbattere e
bastoni lanciati da lontano. C'era la gara di chi pesca il
pesce più grosso (nella famosissima bylina novgorodese
di Sadkò Sitinič il pesce pescato è persino d'oro) o il tiro
alternato alla fune per accendere il fuoco nella festa di
Kupalo (vecchio russo zažženie ognja kupalova) fino al
pugilato con una mano sola mentre l'altra trattiene
l'avversario per la cintola.
Insomma c'erano tantissime occasioni durante l'anno
per mostrare alle ragazze la propria forza fisica, la
gagliardia etc. e come tutto si concludesse nel massimo
piacere di fare all'amore coi vincitori delle gare.
Le CTP non hanno dubbi e elevano a ideale maschile fra
i nobili il figlio di Olga e di Igor, il primo vero sovrano
della Rus di Kiev a nome Svjatoslav. Il monaco che scrive
del personaggio detto cocciuto pagano, ammira in pieno
la sua foga di essere in perenne campagna militare alla
229
conquista di terre e di uomini e scrive:
«... Nelle sue imprese non portava con sé né carri né
pentole giacché non cuoceva alcunché [per cibarsi],
neppure la carne, ma si tagliava bistecche di cavallo e di
animali selvaggi … e le arrostiva sulla brace e così le
consumava. Non tirava su tende perché dormiva
all'aperto avendo per guanciale la sella e così facevano
anche i suoi uomini. Prima di attaccare eserciti e città
mandava uno dei suoi per avvertire l'avversario delle
sue intenzioni e del suo prossimo arrivo.»
accensione del fuoco per la festa di Kupalo in un disegno tardo-antico
di questi forzuti giovani... vestiti dalla censura religiosa!
A mio modo di vedere il monaco bulgaro amanuense
vede in lui un bogatyr della steppa e rammenta quanto i
suoi genitori gli hanno raccontato dei suoi antenati
turcofoni tanto più che, aggiungo io abbracciando
l'ipotesi di S. Cvetkov (2016), la madre di Svjatoslav,
Olga, è anche lei bulgara nata a Pliska. Questa però è
un'altra storia. Ritornando al 971 in occasione di una
230
discussione per una tregua sul delta del Danubio con
l'imperatore Giovanni Tzimisce, eccolo Svjatoslav nella
descrizione del reporter imperiale Leone Diacono:
«... era arrivato [al posto convenuto] su uno scafo.
Sedeva al posto di rematore e remava insieme con i suoi
accoliti ed era quasi impossibile distinguerlo dagli altri
[che l'accompagnavano]. Ed ecco il suo aspetto fisico:
statura media: non troppo alto né troppo basso, con
sopracciglia cespugliose e occhi azzurri chiarissimi,
naso camuso. Non portava la barba, ma un bel paio di
baffi molto lunghi a partire dal labbro superiore. La sua
testa era completamente rasata salvo da un lato dove gli
pendeva un ciuffo di lunghi capelli, segno
d'appartenenza alla schiatta nobile. Collo forte, largo
petto e ogni altra parte del corpo assolutamente
proporzionata ... da un orecchio pendeva un orecchino
d'oro con un carbonchio affiancato da due perle. Il
vestito era bianco e non diverso da quello degli altri
eccetto la maggiore pulizia.»
Nel famoso Cantare della Schiera di Igor, poema epico
russo del XII sec., si narra dei varjaghi Rus con a capo il
knjaz Igor (altro Igor e non il padre di Svjatoslav) e la sua
družina mentre attaccano i perfidi nomadi cumani
(turcofoni delle steppe). I varjaghi sono battuti e Igor è
fatto prigioniero e solo anni dopo sarà riscattato e tornerà
fra le braccia dell'amata Jaroslavna che lo ha atteso per
tutto il tempo avendo temuto per la sua sorte.
«Jaroslavna di mattina piange sul bastione di Putivl,
dicendo: Splendido e tre volte splendido sole! Per tutti
sei caldo e bello. Perché, signore, perché scagliasti
231
l'ardente tuo raggio sul mio caro, nel campo io ardo con
l'arsura [e tu] i loro archi irrigidisti, in angoscia le loro
faretre rinserrasti?»
A parte la poesia e la lirica, il quadro disegnato è proprio
quello dei soliti poemi cavallereschi e se Igor in realtà è
perdente, è un eroe che si è sacrificato per la sua terra e
Jaroslavna (secondo l'autore del poema, Bojan) lo vede
come il suo modello di maschio e mi permetto di
aggiungere che le parole nell'estratto si leggono in russo
con un doppio senso in ogni caso...
Sessualità in evoluzione culturale.
Nella Pianura Russa sempre più penetrata da idee
dall'Occidente dopo il XIII sec. è pacifico che un legame a
2 una volta cristiani si faccia sempre più strada e si tenda
a formare una famiglia mononucleare. Non occorre
tuttavia che tale legame sia eterno, se si vuole che il rod si
perpetui all'interno della verv eliminando la poligamia,
ma si lasci la poliginia (concubinaggio). Al contrario in
ambito pagano si concede che il legame binario duri
finché è possibile poiché avere figli dipende dalla
benevolenza degli dèi e non dalla fisiologia e dalla
biologia della copula, ma allevarli compete alla verv, a
condizione che non si distrugga completamente il suo
tessuto. Ne consegue che, se il maschio era accolto dai
genitori della sposa sulla base di valori di scambio
economici, politici e simili contro una figlia, d'ora in poi –
col regime matrimoniale cristiano in atto dal XI sec. – si
darà più peso all'attrazione fisica... perché santificata dal
232
creatore che cancella col battesimo il peccato originale e
benedice la coppia eterosessuale!
A causa della piccolezza del mir la scelta fra ragazzi e
ragazze restava limitata, ma che importava? Gli incontri
nelle occasioni di rituali festivi c'erano, benché iniziassero
ad esser guardati in maniera affatto diversa dal passato.
Ci si cominciò a chiedere che criteri vigessero nei paesi
lontani fra consorti-genitori e se la bellezza fisica potesse
essere più importante delle decisioni degli anziani. Ad
esempio, quando gli incaricati dei mercanti di schiavi
venivano a prelevare nei villaggi i ragazzi in vendita in
soprannumero che criteri usavano per fissare il prezzo da
nord a sud, a Bulgar-sul-Volga o a Turov? Di certo le voci
circolavano e si venne a sapere che nel gruppo dei ragazzi
acquistati un certo numero veniva poi evirato perché
aumentava il loro valore. La cosa non faceva grande
scandalo o orrore, ma il dubbio rimaneva: Che ne era
della sessualità e della superiorità maschile?
Invece di sprecare prezioso liquido spermatico
donandolo a femmine straniere bramose e ottenere posti
prestigiosi di comando come accadeva ad esempio agli
eunuchi in al-Andalus o a Costantinopoli o in Persia, non
era preferibile restare fisicamente integri e continuare a
vantare la propria potenza fallica? Una questione di lana
caprina, dico io, poiché eunuchi o potenti non sarebbero
ritornati mai più nel mir di nascita per raccontare le
proprie avventure da evirati che col passar del tempo
sarebbero diventate in patria nell'oralità popolare
altrettante favole fantastiche.
È legittimo pure pensare che qualche genitore, avido e
233
ambizioso allo stesso tempo, saputa la storia, eseguisse “a
casa” la castrazione per chiedere un più alto prezzo alla
vendita, salvo l'esito letale per il bambino per infezioni e
emorragie che però non importava granché al genitore né
tanto meno al mercante.
A Verdun, la “fabbrica dei castrati” nell'Europa
medievale, si pretendeva che gli slavi-schiavi maschi
arrivassero integri nelle gonadi quasi come marchio di
qualità. Ci avrebbero pensato i “medici “ locali a evirarli e
alzarne il prezzo nelle rivendite a Cordova. Se tutto
andava bene, apriva la porta alla fama al figlio venduto
fra la gente d'élite. Altro che bocca in soprannumero!
I dati statistici di C. Ryan & C. Jethá (2010) qui sopra si riferiscono
all'autoerotismo dei Primati compreso l'uomo: nero intenso per il maschio e
grigio per la femmina
D'altronde la castrazione non è in uso fra gli slavo-russi
in patria fino al XVIII sec. quando nella setta cristiana dei
Vecchi Credenti gli skopcy, ad imitazione dei costumi
234
monacali bizantini e in opposizione alle riforme del
patriarca Nicone, appunto si mutilano in ogni parte del
corpo se imputata di eccitare sessualmente.
Sia come sia, Homo sapiens sapiens è un primate che
non sbriga la copula con un orgasmo in pochi secondi.
Si richiede un rituale che inizia con un preludio fatto di
sguardi e di cenni, di toccamenti e di gesti di invito finché
si arriva alla penetrazione o ad altra eccitante attività
manipolatoria capace di portare all'orgasmo il maschio e
poi la femmina.
Orbene ca. XIII sec. nell'Europa Occidentale a questi
rituali più comuni, si aggiunse la cosiddetta “corte” ossia
tutta una serie di gesti artefatti e di doni materiali fra cui
lettere appassionate e poesie da parte del maschio intesi
ad attirare l'attenzione della possibile amante. Ciò sfocerà
nel cosiddetto amor cortese e con qualche modifica nel
seguito diventerà amore romantico che, strano a dirsi,
come procedure non sempre si concludono nella copula
completa. Sono maniere consolatorie per circoscrivere e
limitare il libero amplesso nelle città dove il cristianesimo
e la chiesa avevano introdotto seri veti e molti limiti.
Ne riparlerò, ma a questo punto non posso dire con
certezza che fra le genti della Pianura Russa si sapesse
molto di tali pratiche amorose prolungate ossia della
cosiddetta corte all'amata dato che le città erano
pochissime dove teorizzare o creare un amore e le corti
altrettante e ciò che il poeta fa dire a Jaroslavna nel
Cantare di Igor è già fantasia cristiana.
L'Occidente (analogamente in al-Andalus) si diletterà
con la storia travagliata degli amori di Abelardo e Eloisa
235
in cui appunto l'amore romantico domina la scena dei
sentimenti contrastati dall'etica cattolica. E nella Pianura
Russa? L'unica storia d'amore struggente che conosciamo
meglio è quella di Pietro e Fevronia, del principe che si
innamora della contadina che l'ha guarito da una
deturpante malattia. Non la racconterò qui, ma il mio
lettore può leggersela sui molti siti in internet
(Yandex.ru) che la propongono.
In conclusione, se un ragazzo si innamorava di una
ragazza incontrata in una festa del rod, non c'era verso:
era obbligato con l'amata a seguire le regole della
tradizione sull'amore improvvisamente nato ma non
“consumato”. Il legame a lungo termine era immaginabile
soltanto se serviva a stipulare un patto di cooperazione
fra mir e verv diversi! Lo stesso era per la ragazza che
addirittura conservava il diritto di scegliere direttamente
entrando nel dvor del ragazzo e prendendolo per mano lo
tirava a sé. Eppure le mode erano tante e cambiarono se
le stesse procedure prescritte per i matrimoni addirittura
si sdoppiarono per far collimare i riti pagani con quelli
cristiani. In particolare per esempio la procedura
dell'ispezione prematrimoniale a vista, gli smotriny, della
promessa sposa da parte dei mediatori di matrimonio,
svat+svaha, acquistava un diverso valore. Incaricati dalla
famiglia del promesso gli intimi smotriny avevano luogo
nella di lei banja e l'esito favorevole preludeva
all'accettazione fisica della ragazza da parte del ragazzo.
Lo stesso avveniva in intimo parallelo con la famiglia di
lei sul promesso. Dopodiché i rispettivi genitori (che
peraltro vi avevano in ogni caso partecipato) decidevano.
236
Questi riti sono sopravvissuti seppur in parte modificati,
ma suggeriscono che ci fossero degli standard di bellezza
che svat+svaha in ogni caso avevano in mente e che
corrispondevano in qualche misura alle mode e alle
descrizioni femminili delle byline.
C'erano peraltro molti problemi da risolvere con
l'avvento del viver cristiano nell'obbligo della famiglia
mononucleare. Al costituirsi col sacro e cristiano vincolo
del matrimonio di una nuova famiglia, un po' alla volta la
verv scompariva e la questione della produzione e della
sussistenza mutava nell'assetto economico e nel ruolo
produttivo del maschio in modo abbastanza netto.
Non solo! Il cristianesimo misogino favorì l'evoluzione
verso un artigianato di classe del lavoro femminile
specialmente fra le giovani e di sicuro col fine di impedire
l'esogamia e la poligamia. Una spinta massiccia venne
dalla chiesa parrocchiale che richiedeva lavori di ricamo e
di tessitura per abbellire la casa del dio cristiano o i
paramenti che il prete indossa durante le funzioni e tutto
quasi sempre in regime di gratuità col nome di offerta a
dio. Nessuno intravvide e previde che l'abilità personale
di una donna potesse diventare un mezzo per sfociare in
un'indipendenza femminile economica e sociale persino
maggiore dal maschio finché non nacque il lavoro
salariato. Addirittura, a parte qualche contributo per le
materie prime, i prodotti dell'artigiana tessitrice erano
definiti come donati alla casa di dio e la ricompensa le
sarebbe arrivata dopo la morte.
Alla fine pur riassunto qui il processo evolutivo della
condizione femminile è veramente complicato, se solo si
237
pensa quali invidie suscitasse nella verv piuttosto che
ammirazione, e quindi l'artigiana a tempo pieno continuò
ad essere disprezzata nel suo mir come una serva (holop)
costretta a cedere a estranei i prodotti del suo lavoro...
privandone la verv!
Con l'insediamento dei Tataro-mongoli in vari siti ai
margini della steppa e lungo il Volga l'artigiano col suo
lavoro autonomo andò diffondendosi sempre più nel
XIII-XIV sec. per il semplice motivo che, essendosi
distrutti i legami personali con le deportazioni forzate dei
giovani, maschi e femmine, dai villaggi, ecco che in
ambiente tataro-musulmano cittadino un'artigiana o un
artigiano, esclusi i pochi lavori tecnici prettamente
femminili o maschili, potevano esistere e acquisire fama e
ricchezza con la loro abilità tecnologica.
Rammento che fin sotto le rive dei grandi laghi nordici
l'islam fino al XIII sec. era più noto del cristianesimo,
supportato in special modo dai Bulgari del Volga entrati
nell'Umma musulmana già nel 921. Val la pena a questo
punto riportare una leggenda raccolta da Giovanni
Malala, storico già citato in precedenza, che lega le
origini della superiorità maschile sulla femmina
addirittura nell'artigianato del fabbro-ferraio di forti
tradizioni turche (G. Pigozzi-Bernardi 2020):
«Cadde dal cielo una pinza di ferro, per cui la gente
incominciò a fabbricare armi di metallo al posto delle
antiche pietre e bastoni; dopodiché le donne, finora
vissute sessualmente libere, furono costrette a sposare
un solo uomo, portandogli la propria dote.»
238
Capitolo ottavo
Ripartiamo dall'amore?
Occorre che io metta in chiaro finalmente un fatto. Parlo
di poligamia da un bel po', ma il termine non descrive la
situazione reale nel mondo pagano del Medioevo Russo.
Poligamia indica molte mogli o in termini cristiani molti
matrimoni e, a ricordare quanto ho scritto della verv, il
maschio scelto per un'alleanza sposava la ragazza anche
lei scelta allo stesso scopo in un altro mir e per lui i
matrimoni erano finiti. Anzi! Se gli fosse premorta la
sposa, si sarebbe pensato a sostituirla con una sorella o
altra parente di posizione equipollente nella verv alleata
affinché il patto d'alleanza non scadesse. Se invece lui
fosse premorto, era la vedova a passare al cognato come
moglie aggiuntiva. In altre parole si tratta di poliginia
dove il maschio dispone di parecchie donne nel letto, ma
di una sola moglie se è il caso. Nella realtà cristiana ciò
era peccaminoso e targato di concubinaggio eversivo
dell'ordine voluto da dio (è bene ripeterlo). Pure
l'espediente adottato fino al XV sec. più o meno dalla
Chiesa di Kiev, obtorto collo dal vescovo coinvolto, fu di
concedere il divorzio e il secondo e il terzo matrimonio
239
purché le spose non abitassero insieme e eventualmente
fossero libere, le divorziate, di trovare altre sistemazioni
o, perché no?, di ritirarsi in convento con le loro doti o
quanto restava di esse da offrire a dio insieme al corpo.
E il santificato amore coniugale, se realmente esisteva,
che fine faceva?
Non si riesce facilmente nelle testimonianze disponibili
a riscontrare in qual misura, seppur non conoscendola
nei suoi meccanismi biologici e fisiologici, l'uomo ha
usato la sessualità sua e quella degli altri per tessere
relazioni, intrighi, vendette etc. pro o contro i suoi simili
prossimi e lontani nelle occasioni diverse di 1000 anni fa.
Non vorrei ripetermi, ma probabilmente per moltissimo
tempo ancora non potrà fare a meno di amare e fare
all'amore... con gli intenti più vari! Visto però che oggi si
è scoperto come l'amore funziona per alcuni suoi tratti
genetici e cerebrali, pur con una maggiore consapevolezza
scientifica il modo di gestire il sesso e legarlo alle
“sensazioni amorose” non riflette altro alla fin fine che la
tradizione millenaria di conquistare, affermare o
difendere la pretesa dell'uomo maschio di sfruttare le
attività femminili a proprio personale vantaggio. La
strada è ancora lunga per far diventare la copula “come
bere un caffè”, usando le parole della pornostar Valentina
Nappi, e cioè che per i copulanti sia un sano divertimento
fra corpi liberi da vincoli. Ciò non vuol dire nel mio
discorso che percepisco una lotta fra i sessi senza
incertezze e dubbi ieri peggiorata oggi o perfino
viceversa, ma che l'eredità medievale europea confluisce
fin dentro l'educazione odierna della prole con elementi
240
che aprono impensati orizzonti di dibattito per
un'educazione sessuale sistematica e strutturale
alternativa tesa alla ricerca della felicità fisica e
psicologica e, soprattutto, liberando una costellazione di
sensazioni oltremodo piacevoli e individuali da veti e
pregiudizi. Amore è, sì!, legato alla sessualità, ma in sé e
per sé, e lo ribadisco, resta un concetto storico generatosi,
almeno per la tradizione europea, nella pratica di vita
medievale. È arduo da definire nella categoria dei
sentimenti come invece appassionatamente è di solito
descritto da poeti e cantanti, giusto perché tali sentimenti
(scientificamente da definire!) sono in continua e
turbinosa evoluzione col tempo e con la cultura. Eppure
la cultura di radici medievali l'abbiamo talmente bene
assimilata ormai che siamo educati a pensare che essa sia
universale e da perpetuare, compresa l'idea di amore
coniugale con la benedizione religiosa.
L'amore non è inteso allo stesso modo in ogni angolo
del nostro continente e – difficile da convincersene! – e
nemmeno in tutto il pianeta proprio perché è un concetto
storico connesso col personale passato etnico, famigliare
et sim. e costituisce oggi un gravame inutile di concezioni
e pregiudizi ormai enorme. Né è affatto eterno come a
volte si millanta e non è neppure naturale nella corte, nei
preludi, nella gestualità, nell'innamoramento e in varie
altre espressioni corporali, ma indicano l'esistenza di
un'ampia gamma di sensazioni abbastanza profonde
persino graduate nell'intensità (R. Eisler & D. P. Fry,
2019, E. Nagoski 2017, I. Consolo 2017, J. Sédat 2014 et
al.). Ciò malgrado non si è scritto abbastanza sui
241
contenuti della cultura amorosa europea né tanto meno
sull'evoluzione del fare all'amore in particolare in Italia.
Anzi, in generale nelle chiacchiere fra amici ho sentito
esprimere nozioni immaginifiche tratte da sentiti-dire
stereotipi o discuterne in internet con una profonda e
insulsa venatura religiosa mediata dai numerosi siti
dedicati, a parte poi le nuove voghe che il poliamore
recentissimo (2020) pretende di suggerire a un pubblico
giovane ancora non libero in campo sessuale.
Al momento vorrei tentare di definire e confrontare un
supposto amore moderno con un altrettanto supposto
amore medievale antico! Tradirei altrimenti le differenti
culture della Pianura Russa, se non tenessi conto nel
confronto delle differenze ecologiche che potrebbero aver
influenzato l'amore e il coito talmente da non saper più
distinguere l'antico dal moderno...
Scrive (2017) D. Fusaro, filosofo contemporaneo
italiano: «L’amore è sempre amore per il nome proprio:
che non si lascia universalizzare, né ridurre a cosa. Da
una diversa prospettiva – in antitesi con il regno delle
merci, ove prevalente è la quantità degli essenti
disponibili e serialmente sostituibili – nella dimensione
dell’amore trionfa la qualità della persona unica e ad
altro incommensurabile. Esso spezza il fatale
incantesimo della standardizzazione mercificata e
mercificante, dell’universale sostituibilità seriale, e fa
irrompere l’esperienza dell’unico insostituibile, del nome
proprio autentico e a null’altro rapportabile: che non
può essere comprato né scambiato, venduto né ceduto.»
Senza nulla togliere alle opinioni piuttosto contorte del
242
filosofo, il riportato è l'esito di secoli di insegnamenti,
abitudini, veti, consigli, etc. riversati da parte cristiana
nella cultura giudaico-cattolica in cui viviamo adesso in
Italia e che devono almeno essere riveduti. Di definizioni
amorose ce ne sono numerose, ma nessuna è pienamente
attinente a descrivere l'amore. Noi europei in generale
siamo stati educati e istruiti a incanalare le urgenze e le
pulsioni sessuali e ogni altro tipo di “ardore fisico con
tratti amorosi” nell'alveo stretto e inutile del pudore e
della decenza con l'imposizione di comportamenti e
norme di nessuna utilità e siamo impelagati nostro
malgrado in “sentimenti” favolistici e romanzati che ci
assalgono con la pubblicità commerciale da ogni lato (W.
Reinhard 2014). Qui però mi arresto perché l'interesse
del mio saggio è l'amore nel passato e non nel presente.
Né oso impegolarmi in una storia dell'amore, dell'eros o
dell'affetto e rimando chi voglia approfondire ai lavori di
R. Eisler (2012, 2019) e di N.M. Filippini (2017) in
particolare. Concludo invece affermando che, secondo le
più recenti ricerche, amore e far all'amore non sono
“procedure” che la natura ci ha imposto affinché si
riproduca la specie, ma è lo stato di benessere e di
godimento che si raggiunge nella sessualità. In altri
termini, una volta convinti che da soli o in compagnia
siamo sicuri dell'assenza di pericoli che ci possano
danneggiare, lasciamo che altri manipolino il nostro
corpo in ogni maniera possibile stimolandoci a
raggiungere il godimento orgasmico, senza pulsioni di
base volte alla riproduzione della specie.
Per quanto mi riguarda ingloberò la questione amorosa
243
(al momento non so definirla altrimenti) in due termini
contrapposti ideologicamente, ma non biologicamente
come già sappiamo: amor pagano e amor cristiano. Dal
mio punto di vista infatti è primario individuare dei tratti
tipici nel primo “tipo” di amore che servano da paragone
contrapposti al secondo. Magari il “tipo” di amor
cristiano è l'amor pagano con qualche fronzolo in più
oppure l'amor cristiano nel Medioevo Russo è qualcosa
di nuovo e l'amor pagano è stato messo da parte forse
per sempre dalle pratiche cristiane?
Logicamente devo partire dalla Rus di Kiev con la sua
élite al potere armata e la decisione da prendere nel IX-X
sec. per integrarsi col resto d'Europa come stato con tutti
i crismi necessari. Integrarsi vuol dire possedere una
Weltanschauung (rus. mirovozzrenie) religioso-politica
che favorisca alleanze, scambi economici e culturali su
numerosi fronti e la più nota e prossima di cui i varjaghi
avevano conoscenza era la religione cristiano-ortodossa
emanante da Costantinopoli. Un punto di svolta per la
scelta dall'élite kievana alla fine del X sec. lo si può
individuare quando Kiev si trovò ad affrontare tali e tanti
problemi organizzativi che fu gioco-forza appoggiarsi
all'opera pratica, riservata eppure incomprensibile ai
rozzi varjaghi e al loro capo Vladimiro, della chiesa
portata “a casa”. Si trattava – lo si spiegò al sovrano – di
impegnarsi con energia a ribaltare concezioni, tradizioni
e costumi secondo i canoni cristiani che rinforzavano la
sudditanza all'élite benedetta dal creatore delle etnie
assoggettate o ancora da soggiogare.
C'erano degli altri termini ancora da puntualizzare. Kiev
244
è lo stato, Vladimiro è il sovrano, ma purtroppo non si sa
bene chi siano i suoi sudditi e quali siano i confini del
suo dominio. Vladimiro peraltro avrebbe coperto le spese
della chiesa implicata a risolvere quei problemi coi suoi
predicatori e aveva pertanto promesso la decima delle
sue entrate senza prevedere che, così facendo, chiesa e
stato sarebbero stati legati l'una all'altro in reciproco e
guardingo amore divino (posso dirlo?).
Tutto qui? In realtà le famigerate entrate vladimiriane
erano il frutto di razzie periodiche, chiamate poljudie,
dall'Imperatore Costantino VII che i Rus facevano in
inverno nella Pianura Russa al nord e quando tornavano
a Kiev alla primavera col bottino raccolto da vendere.
Oso aggiungere che quel -ljudie o persone si riferisce a
una vacanza con le ragazze del posto prima di comprarle
e portarsele schiave al sud. Ciò creava ostilità e fuga nel
fitto degli alberi coi Rus e frustrava in pieno l'impeto
dottrinario della chiesa di convertire alla fratellanza genti
seppur diverse per credenze e culture, se poi si era
destinati alla sudditanza. Tanto peggio per loro! Si
sarebbero forse messi i villaggi a ferro e a fuoco, se non
cedevano? Non era la soluzione più opportuna poiché chi
avrebbe sostituito i morti, recuperato i fuggitivi e pagato
il tributo? Insomma occorreva decidere per regolari e
commisurati tributi da far gravare sui contadini pagani e
destinati a non opporsi al cristianesimo...
Venne fuori subito la necessità di fissare il mir al suo
suolo coltivato evitando le periodiche migrazioni alla
ricerca di nuovo suolo fertile nella selva e i vescovi
assicurarono Vladimiro che i parroci costruendo cappelle
245
al posto dei templi pagani avrebbero costretto i sudditi a
non lasciare il territorio avito. Niente paura. Il sovrano,
scelto per loro dal vero dio creatore, avrebbe trovato i
mezzi per ottemperare alla bisogna. Tramite la catechesi
ci si sarebbe liberati dai peccati e la terra avrebbe
continuato a dare i suoi frutti.
D'altronde la chiesa millantava un'esperienza secolare
nell'affrontare i “barbari/pagani” poiché proponeva non
solo predicatori a suo dire esperti, ma pure indiceva
festività frequenti del tutto nuove e consolatorie insieme
con lo spettacolo di benedizioni dei campi, dei fiumi e
delle persone a protezione da ogni maleficio e ciò attirava
e divertiva e inebriava i neofiti (J. Heers 1990).
Era possibile aspettarsi degli esiti gradevoli nella misura
calcolata dalla Chiesa appena insediatasi a Kiev e prima
della morte di Vladimiro? E il mir costretto a ripianificare
la produzione agricola e artigianale finora autarchica ce
l'avrebbe fatta a coprire le spese senza ribellioni e
sabotaggi? Il primo interlocutore da affascinare? Le
donne di casa! Ho già scritto della verv e dell'economia
domestica nelle mani delle adulte capeggiate dalle più
anziane. Purtroppo mancando i documenti sulla realtà
evolutiva delle comunità slavo-russe del X-XI sec. devo
ricorrere a qualche congettura che comunque si può fare
solo con un po' di empatia in più per i nostri antenati
assediati dai milites Christi.
Posso immaginare così che, attente al numero di braccia
necessarie ai lavori produttivi, le sagge donne avrebbero
dovuto rivedere l'equilibrio demografico finora a loro
affidato in primo luogo. Era quasi impossibile produrre il
246
tributo per mantenere la chiesa e liberarsi dalle minacce
di inutili rappresaglie cruente altrimenti.
Con tali ragionamenti, da me auspicati nella testa degli
antenati dopo la cristianizzazione ufficiale, è certo che
nelle terre kievane mutarono le abitudini sessuali.
Quanto a frequenza di amplessi, il tempo libero diminuì e
la fatica al lavoro aumentò e il tributo a Kiev
ciononostante sembrò assicurato.... almeno secondo il
racconto delle CTP per il XII sec. in poi.
Eppure qualcosa non funzionò a dovere. La dipendenza
kievana di comprare derrate alimentari dai Bulgari del
Volga e di litigare per gli approvvigionamenti con G.
Novgorod non si spezzò e, sebbene le nuove restrizioni
negli usi e nei costumi sessuali che la chiesa per primi
attaccò, la servitù femminile al maschio s'accentuò.
Sincretismo culturale nell'eros.
Gli slavi si erano sempre notati come alacri e caparbi
agricoltori, seppure gli aratri di metallo e il sistema dei 3
campi (2 a coltivo e 1 a maggese cioè a riposo in
rotazione) comparissero in uso tardivamente. L'aratro
con versoio inoltre fu evitato a lungo con timore religioso
perché si temeva di far del male alla Gran Madre Terra.
Di conseguenza all'impoverimento graduale del suolo
senza concimi, seguiva la continua ricerca di terra vergine
e i mir erano portati a sparpagliarsi nella taigà in un
semi-nomadismo oscillante e periodico.
Ciò non accadeva tanto di frequente come si potrebbe
immaginare, ma portava a volte all'invasione di territori
247
altrui e all'adozione di altri metodi di sussistenza nel
meticciato fra genti allogene.
Nella leggenda della Chiamata di Rjurik ciò che le CTP
fanno dire ai locali sul disordine che regna fra le loro
genti, non è la realtà. Né fa meraviglia che i varjaghi Rus
nella citata leggenda pongano la loro prima sede a G.
Novgorod (prima metà del IX sec.) giacché non è il luogo
agricolo ideale. Qui comunque non molto prima del 930
d.C. risiederanno e diventeranno un gruppo slavizzato
con gli altri slavi, Vendi, forse arrivati dal Danubio (!!) e
si arrogheranno il diritto di gruppo fondatore della città.
Si riserveranno un quartiere (cantone, rus. konec)
Slavnja sulla riva destra del Volhov, il fiume che
attraversa l'emporio nordico repubblicano in questione, e
si dichiareranno diversi etnicamente dagli svedesi di
Ladoga Vecchia o di Rjurikovo Gorodišče (Fortezza di
Rjurik nella nuova toponomastica introdotta dopo la
conquista moscovita del 1478) sulla riva sinistra del fiume
Msta, affluente di destra del citato Volhov.
La convivenza fra allogeni nell'esperienza novgorodese,
non influenzò in negativo l'adattamento e la multietnica
compartecipazione nei miti cosmici somiglianti delle
mitologie locali che pure rispecchiavano antichissime
storie. È interessante perciò leggere nel sincretismo
culturale del nordest le avventure risalenti alle diverse
ondate invasive degli indo-europei portatori del sistema
patriarcale. Da pastori esasperati per i cambiamenti
climatici, penso io, gli indoeuropei erano migrati a gruppi
dalle steppe centro-asiatiche verso occidente e si erano
scontrati con le comunità matriarcali esistenti dei ugro248
finni e, vittoriosi, avevano imposto l'ordine fallocratico
loro fino alle rive del Mar Baltico. Non mi addentroin
questa parte di “storia indo-europea”, ma è notevole (non
mi stancherò di ripeterlo) che una visione al femminile
dominante dello stare-insieme esclusivamente per mezzo
del coito/amore sussiste oggi nel nord a prova di un
passato che gli indoeuropei evidentemente non sono
riusciti a mutare in chiave maschilista pur meticciandosi.
Cesare stesso informa della profondamente arcaica
consuetudine dei germani baltici in base alla quale
l'accertamento della volontà degli dèi era affidato alle
anziane matrone (matres familiae). È una testimonianza,
seppur flebile, di quanto tenace fosse il matriarcato
anteriormente all'epoca medievale e mai scomparso del
tutto. D'altronde presso i lettoni baltoslavi e gli ugro-finni
l'olimpo pagano era femminile a stragrande maggioranza.
Altrove ho scritto che i visitatori musulmani del tempo
insistono sull'esistenza di “regni femminili” baltici e
volentieri li combinano con gli usi caucasici di dominanza
femminile di ascendenza amazzone di scitica memoria.
Vediamo un po' meglio.
È ben noto che il primo desiderio dell'essere umano è
quello di nutrirsi e, se al principio della vita è la madre col
suo latte a soddisfare tal bisogno, il neonato, non appena
sarà in grado di muoversi egregiamente senza l'altrui
aiuto, comincerà ad esplorare l'ambiente alla ricerca di
cibo, portando ogni cosa alla bocca. Imparerà con l'aiuto
della madre a riconoscere quanto c'è di commestibile
nella sua biocenosi e eviterà o eliminerà gli ostacoli che
gliene impediscono l'accesso. I sensi che lo muovono?
249
Soprattutto il tatto che offre sensazioni immediate al
contrario della vista che deve non soltanto vedere, ma
imparare a percepire. Poi cresce e giunge il momento
della scoperta di se stesso come corpo da governare e
usare mantenendolo indenne in tutte le sue parti di cui
alfine percepisce l'esistenza e il funzionamento, ma che,
senza specchi, non riesce a vedere per intero. Sappiamo
che la sessualità è presente nel bambino sin dalla nascita
come sensazione di benessere, ma solo all'inizio della
pubertà comincerà a toccarsi sempre di più, a palparsi e a
manipolarsi. Ciò serve a definire le differenze (e le
somiglianze) fra se stesso e gli altri essere simili a lui o
creduti dissimili. Ai riflessi sessuali l'impubere risponde
meccanicamente (in maniera pavloviana), mentre il
pubere non appena inizia la produzione degli ormoni
“sessuali” si accorgerà che alcune aree del corpo
producono sensazioni di piacere particolarmente intense
manipolandole con un certo ritmo. L'adolescente (ripeto:
intervallo d'età sconosciuto nell'epoca medievale ove i
puberi fra i 10 e i 13 anni erano detti adulti) imparerà ad
apprezzare gli stimoli visivi che vengono dalla nudità
parziale o totale, dal contatto, dall'odore, dai suoni e dalle
movenze corporee del diverso da lui (al di là del sesso
istituzionale) che provocheranno “urgenze” e “desideri”
da scaricare e soddisfare. Le armi fisiche che possiede
nella sfera sessuale non sono però automaticamente
collegate con la copula che non conosce ancora e ci vorrà
insegnamento e tirocinio per imparare a fare all'amore.
Una realtà che scombussola la maniera di considerare
l'omosessualità strana, patologica o “contro natura”
250
rispetto all'eterosessualità e che fa cadere le teorizzazioni
astruse sulla copula quando si vuol mettere da parte il
godimento e il benessere di essere accarezzati e coccolati
da chiunque a prescindere dal sesso.
La classificazione del nuovo arrivato, il pubere (ma non
la pubere), nel circolo degli adulti era fondamentale per
decidere i metodi didattici da applicare alla sua
educazione. Chiaramente in ambiente patriarcale il sesso
apparente dava il valore sociale e pratico all'individuo
maschio, mentre il comportamento sessuale, il gender,
era al contrario un aspetto affatto secondario.
Piuttosto c'è da notare che se i bambini sopravvissuti al
parto fossero stati in numero troppo grande da puberi per
le risorse disponibili, allora si sopprimevano senza
imbarazzo nell'infanticidio rituale (sacrificio agli dèi) o
con l'esposizione in dono a chi volesse prendersi il
neonato ancora in vita. Se poi si era in contatto con i
mercanti di schiavi, allora sì che li si lasciavano crescere
fino all'età utile per la vendita e con le spese relative
comprese nel prezzo pattuito. Le decisioni in proposito
erano logicamente della madre, specie se si trattava di
neonate. Comunque sia generare o allevare la prole erano
processi in cui per gran parte della fatica la donna era
coinvolta da sola e, se necessario, contava sull'aiuto delle
altre donne del gruppo.
La faccenda gravidanza aveva inizio col rapporto
personale fra la donna, generatrice divina e umana allo
stesso tempo di tutti gli uomini viventi, e le divinità del
cielo. In alcune versioni mitologiche è la Madre Umida
Terra che su preghiera della futura madre inviava
251
nell'utero un embrione da sviluppare, mentre in altre
versioni l'invio era sacralizzato con l'intervento sessuale
diretto del dio-luna. La copula infatti è sempre stata la
maniera sacrale per sentirsi parte integrante del cosmo e
così era il piacere che la futura madre offriva (e si offriva)
agli dèi in cambio di un figlio-dono in assoluta
indipendenza dal contributo spermatico del maschio,
L'ho ripetuto qui spesso: la paternità non risvegliava
alcun interesse poiché non la si intendeva come al giorno
d'oggi. L'amore pagano pertanto accoglieva l'insieme
delle sensazioni che prevedevano, sì!, l'amplesso finale,
ma che questo, una volta conclusosi, non lasciava alcuna
impronta particolare in grado eventualmente di essere
usato per rafforzare i rapporti futuri fra i partners. Non
solo! Si sa dal folclore e dai racconti erotici bielorussi e da
quelli raccolti da A. Afanasjev ancora nel secolo scorso
che un preludio simile al corteggiamento vero e proprio
non esisteva e che l'adescamento e l'invito erano espliciti
e immediati. Insomma l'intenzione promessa e riservata
fra due o più persone di preferirsi l'un l'altro per tutta la
vita era assente nell'amore pagano e di conseguenza
niente gelosia, almeno come la viviamo da europei oggi.
Sia come sia il cristianesimo in maniera assurda tentò
persino di introdurre la novità di vietare il sorriso e la
risata perché gesto di seduzione. Ridere diventava un
elemento di indecenza da non mostrare mai e, se finora
l'allegria, lo scherzo, l'ironia erano stati parte integrante
del piacere fisico in particolare mentre si copulava o ci si
accingeva, con Cristo diventavano segni diabolici che il
buon cristiano evitava. Di qui l'uso comune per le
252
cristiane di coprirsi la bocca, se venisse loro da ridere.
Un'altra questione era il tempo e i luoghi dove
appartarsi per l'amplesso. Il Medioevo era un mondo
minacciato dalla fame e dove il lavoro nei campi o nella
selva a pesca e a caccia o alla raccolta iniziava all'alba e
finiva al tramonto con un breve intervallo di riposo a
metà giornata e un'unica cena alla sera. La fatica era
grande ed era sentita al ritorno a casa come un dono della
divinità che con la stanchezza dava modo al lavoratore di
risparmiare il proprio fisico per il giorno dopo. In altri
termini la divinità, stancandolo, lo ringraziava per aver
compiuto il proprio dovere e, se nel meritato riposo il
maschio cercava la copula, la donna di casa (qualsiasi)
era lì a disposizione. E ciò valeva anche viceversa, donna
verso uomo.
L'educazione inculcata ai giovani era l'obbedienza
assoluta ai maggiori d'età e una forte amicizia fra non
coetanei poteva rappresentare l'unico legame amoroso
conosciuto. Ripensando alla struttura della verv in cui i
coetanei sono fratelli e fratellastri e sorelle e sorellastre,
per via dell'impossibilità di far amicizie fuori del mir a
causa delle difficili comunicazioni dell'epoca, di sicuro si
sfociava in rapporti sessuali casuali incestuosi e divertenti
e senza neppure varcare la porta di casa. Niente di male...
D'altra parte la sessualità umana è fondata sul piacere
fisico e sul gioco piacevole (in russo lad) fra due o più
persone che si manipolano l'un l'altra sul corpo in tutti i
modi possibili e racchiuderla nello schema cristiano di
attività procreatrice era a dir poco insensato visto che
ancora non si sapeva come funzionasse esattamente la
253
cosiddetta procreazione.
Ho parlato della Gran Madre Terra nel concepimento la
cui presenza con la sua divinità diffusa nella natura era
evidente a tutti, non c'era magari un dio pagano che si
occupasse della questione amorosa? Per i paganesimi del
nordest europeo, seppure con molti e contrastanti aspetti,
non c'è un dio o una dea fisicamente separati come uomo
e donna etc. La divinità è ovunque, penetra l'intera realtà,
vivente e (apparentemente!) non vivente, e l'universo così
fatto non è stato creato né è destinato necessariamente a
perire, bensì avviluppa l'uomo offrendogli ospitalità, non
particolare e non specifica, in un continuo interscambio
di riti di ringraziamento sacrificali anche cruenti. La
divinità non ha perciò nome né sesso, ma tanti nomi e
tanti sessi quanti ne servano per dialogare quando essa
appare materialmente fra gli umani. Si mostra spesso e
volentieri attraverso effetti tangibili derivanti dalle sue
azioni, le più disparate e inaspettate e, a seconda degli
effetti piacevoli o spiacevoli, è definita dall'uomo
favorevole o sfavorevole sotto forma di energia da
spandere, in russo rispettivamente čistaja sila o nečistaja
sila. Come si fa o come non si fa allora per mantenere i
contatti fra uomo e divinità senza pericolo? La risposta è:
Le formule e i riti che gli antenati hanno fissato nella
tradizione pagana.
A questo punto devo abbandonare le velleità di riuscire
a riconoscere e descrivere in particolare un apposito dio
dell'amore. Fra i pochi nomi di dèi che leggo nelle CTP o
che ritrovo nelle varie cronache “occidentali” del XIII sec.
non ci sono che i nomi locali di apparizioni inspiegabili e
254
a ciascuna è legata un'invocazione o un'imprecazione e
perciò senza chiare informazioni sul pensiero religioso
pagano di nordest e sull'argomento amoroso per il
momento andrò a tentoni sullo sfondo di Rùsskaja
Zemljà di S. Cvetkov (2016).
Come si sa, cambiar vita solo perché te la raccontano
migliore della tua, non ha mai dato immediatamente
grandi frutti, salvo che le nuove abitudini non vengano
imposte con la forza o col ricatto. E, lo ribadisco, fu la
forza delle armi o l'equivalente terrore di un intervento
distruttivo ad essere usati nel Medioevo Russo per
abbattere la resistenza dei pagani villaggio per villaggio.
A quell'epoca, ca. X sec., il matriarcato era quasi
dimenticato (non estinto!), ma non si fermavano le azioni
ostili per sopprimerne resti e tracce condotte nella
cristianità occidentale esclusivamente dai maschi al
potere che sanciscono una volta per tutte l'istituto dei due
sessi opposti giacché così li ha creati il dio cristiano. Non
solo, il potere che proviene dal dio creatore è nelle mani
della dinastia imperiale che risiede a Costantinopoli e
resta facoltà dell'imperatore universale (in greco
ecumenico) di elargirne a altri uomini giudicati da lui
degni. Di conseguenza, se si fa parte dell'élite al potere in
uno stato cristiano, fra chi comanda e chi subisce l'unica
naturale differenza da considerare è il sesso esterno e
occorre che tale differenza sia sempre in vista quando si
appare in pubblico o nei tribunali nelle vesti e nei gesti.
E qui ricordo ancora una volta Liutprando da Cremona
in visita alla corte imperiale sul Bosforo. Nel rapporto al
papa denuncia il cattivo esempio della nobiltà, compresa
255
la coppia imperiale, che ha delle abitudini esecrande
soprattutto nell'abbigliarsi per le cerimonie solenni,
secondo lui un esempio deleterio per la gente comune che
vi assiste. I nobili, compreso l'imperatore, si radono,
adornano il viso con gioielli e pendagli, fanno crescere i
loro capelli come le loro donne per tacere poi della
cosmesi personale con unguenti e profumi e delle vesti
piene di orpelli! Era uno scandalo non riuscire a
distinguere l'uomo che il dio creatore aveva posto a capo
dell'umanità dalla pur sottomessa consorte!
C'è da dire che nella Rus di Kiev dopo la morte di
Vladimiro (ca. 1015) l'iconografia ufficiale, e come
esempio c'è la famiglia di Jaroslav in un affresco della
cattedrale di Santa Sofia di Kiev, non seguiva la moda
imperiale integralmente e la barba e una maggiore
moderazione nel vestire riappaiono, benché fosse proibito
aggirarsi nudi in città e men che meno in chiesa, salvo che
alla conferma dei battesimi che l'ortodossia eseguiva sugli
adulti: maschi e femmine almeno di 10-14 anni.
Se guardiamo le icone russe (XIV sec.) si notano subito
due aspetti: 1. le donne sono poco rappresentate e le loro
vesti poco appariscenti. La vergine Maria, con i capelli
accuratamente raccolti e coperti, indossa palandrane che
cadono giù fino ai piedi severe e di colore uniforme
prevalentemente 2. gli uomini invece sono sempre
impaludati in abiti sfarzosi o comunque più ornati (E.
Smirnova, 2002).
A parte le questioni che si presentavano presso le
famiglie dell'élite, laiche e religiose, il mio interesse
adesso si volge al parto cioè all'evento che presso nobili e
256
plebei metteva tutti in attesa: Si sarebbe accresciuto il
popolo dei maschi o il popolo delle femmine? Il parto
pertanto risultava importante dal punto di vista
dottrinario cristiano. Certamente è un'incombenza
femminile, misteriosa e impenetrabile all'occhio dei preti,
ma pure una manifestazione esiziale dell'impurezza
femminile. E nelle poche cittadine fondate da Vladimiro
ci furono pesanti scontri e incomprensioni coi parroci
slavo-russi sul periodo troppo lungo fissato dalla chiesa –
40 giorni – affinché la donna ritornasse dopo il parto a
vivere attivamente nella verv.
L'autorità religiosa cristiana era pure attentissima a
definire entrambi i genitori del neonato e sul legame di
parentela che li univa eventualmente poiché si sapeva
bene quanto fosse difficile discutere di incesto in
ambiente paganeggiante per condannarlo quale peccato
orribile e aborrendo. Nei giochi erotici degli adolescenti
che imitavano gli adulti la pratica copulatoria fra fratello
e sorella era comune come pure a mo' di tirocinio fra
madre e figlio.
In primo luogo si intervenne nella frequenza degli
amplessi prescrivendo ammessi pochi e striminziti giorni
per settimana (e nell'anno) e mai più d'un amplesso per
notte. J. Flandrin (v. bibl.) ha calcolato ben 266 giorni
all'anno di giorni proibiti! Non solo! Le posizioni e i tipi
di pratiche sessuali furono discriminate fra pie e empie
perché, si spiegò, il dio cristiano aveva creato l'universonatura e vi aveva posto l'uomo a far da re purché l'atto
sessuale fosse eseguito entro canoni ben precisi e non si
ricorresse a inutili stimolazioni per il piacere o così pure
257
al coitus interruptus. Fare all'amore era il famigerato
peccato originale a cui l'uomo dopo il battesimo
rispondeva con una vita da condurre secondo i
comandamenti del dio cristiano. Ogni aberranza o deroga
ai dettami divini erano azioni contro natura (natura in
Occidente giunse a significare vulva!) e offendevano la
divinità che per ripicca avrebbe punito l'offensore
colpendolo in vita con malattie e sciagure e gettandolo nel
fuoco eterno dopo la morte. Dante Alighieri docet...
Ho ricostruito sulla base delle CTP e dei racconti
popolari come Vladimiro era incerto sull'adesione al
cristianesimo o all'islam o all'ebraismo parlando di fare
all'amore. I monaci cristiani furono i suoi consulenti, in
greco filosofi, che gli ventilarono come il sesso orale fosse
pericoloso per la fama delle donne musulmane di farlo
volentieri col pericolo che la stessa amante con un morso
avrebbe potuto evirarlo per sempre! La circoncisione
semplice gli fu dipinta parimenti come insicura. Un segno
del patto col creatore dicevano gli ebrei? San Paolo non lo
richiedeva. L'operazione al contrario era sospetta perché
eseguita da abili medici ebrei e costoro, espertissimi nel
“produrre” eunuchi (genere di schiavo che i mercanti
vendevano a prezzo altissimo), per odio religioso o per
illecito guadagno potevano far “scivolare la mano” e al
posto di recidergli il prepuzio, gli avrebbero escisso i
testicoli o troncato il pene. Guai poi se avesse saputo della
metzizah b'peh dove il sangue dell'operazione degli
infanti era succhiato dal medico esecutore ebreo stesso!
Se proprio occorreva fare all'amore in modo canonico,
Vladimiro chiese che si insegnasse a lui e ai suoi varjaghi
258
le varianti ammesse... purché – era sottinteso –
procurasse lo stesso piacere come quello provato finora
in vesti pagane. Era mai possibile che Cristo da vero dio e
vero uomo-maschio non l'avesse mai provato? Non aveva
nel suo seguito di discepoli anche delle donne? Quella
Maria Maddalena che Cristo aveva difeso contro l'accusa
di meretricio e che per prima aveva annunciato la
risurrezione, non era stata la sua amante? Certe
tradizioni cristiane, pur respinte come eretiche o
blasfeme, e mi riferisco ai vangeli detti apocrifi, lo
affermano. A parte questo gossip del primo sec. d.C., fare
all'amore con gli ostaggi femminili o maschili delle etnie
assoggettate era un obbligo per suggellare i patti e Cristo
doveva adattarsi alle tradizioni vigenti.
Alla fine vinsero i monaci cristiani e Vladimiro e
discendenti in nome di Cristo dominarono la Rus di Kiev
senza più allegria come si vede bene nelle icone, ma
soprattutto copulando di meno. Di sicuro però nella
campagna e fra i dominati le cose non andarono come
prescritto dal dio cristiano e molte superstizioni di sapore
pagano sono sopravvissute fino a questo momento...
A parte le speculazioni osservo che nel periodo IX-XXIII sec. l'Europa dagli Urali all'Atlantico e dall'Artico al
Mediterraneo si divide in tre grandi blocchi culturali
dominati da religioni diverse. Se sul lato estremooccidentale atlantico domina l'islam il cui dominio è, in
termini odierni, Spagna e Portogallo e aree del sud della
Francia e dell'Italia e Cordova è il suo fulgido centro
politico-religioso, al cristianesimo tocca l'area centrale
che principalmente ingloba, sempre in termini odierni,
259
Francia, Germania e Italia peninsulare. Verso l'est
domina la foresta boreale europea che caratterizza il terzo
blocco culturale dove vivono slavi, baltoslavi, turcofoni e
ugro-finni le cui tradizionali religioni furono dipinte
sempre in modo tenebroso e demoniaco dal cristianesimo
che ci ha insegnato a chiamarle idolatria, politeismo,
paganesimo e simili e tutti termini “tecnici” spregiativi.
Eppure sono questi, IX-X sec. gli anni in cui si cominciò
a teorizzare letteralmente che cosa fosse o dovesse essere
l'amore in Europa. La parola stessa amor per le lingue
romanze compare per la prima volta nel Giuramento di
Strasburgo nel 842!
L'amore romantico ideale di vita.
Con le sue definizioni Aristotele, il più noto dei filosofi
greci antichi, arriverà attraverso la Persia musulmana in
Europa nel XII-XII sec. e Platone, almeno attraverso
Plotino alessandrino, sarà in circolazione nel mondo
mediterraneo già per il buon servizio che rende alle idee
delle comunità ebraiche. Così più o meno sono presenti le
teorie di Galeno e Ippocrate sull'argomento. E qui ho da
fare delle differenze.
Per gli antichi “medici” l'interesse maggiore era per
l'organo sessuale maschile perché l'unico in evidenza nel
corpo umano nel suo uso per fare all'amore e dunque dal
punto di vista dell'igiene non solo fisica ma soprattutto
religiosa. Diventava di conseguenza perciò basilare la
scelta della partner femminile, considerando la donna
260
senza organo sessuale uno strumento per sopire
l'urgenza di desiderio del momento senza alcun
sentimento amoroso sconvolgente.
Quando qui scrivo fare all'amore e copula tali termini e
altri simili non indicano nella loro semantica passata la
stessa cosa che oggi si intende. Non era infatti prevista
un'acme dell'evento copulatorio obbligatoriamente con
penetrazione vaginale o anale e eiaculazione che invece
erano atti riservati dall'aspetto sacro, ma s'intendeva
quello che volgarmente in italiano è pomiciare ossia
scambiarsi baci e carezze intime.
Fra i sapienti si chiamava amore il turbamento che
nasceva ancor prima di ogni manipolazione corporea
sessuale reciproca con un'altra persona e si arrivava
perciò a discutere oltre la copula eterosessuale o
omosessuale che invece si coltivava nelle consorterie
maschili di vario tipo dove le donne non erano ammesse
(in J. Mossuz Lavau 2014). Lì si formavano vere coppie
che dividevano e costruivano una vita insieme con tutta
una serie di intimità reciproche fatte di sguardi, di
ammiccamenti e di baci e carezze insieme con progetti
comuni futuri su un piano di estrema parità ed esclusività
nel fare all'amore. Questo era il vero amore... almeno
finché pederastia e omosessualità resistettero nei costumi
della tradizione greco-romana!
Quanto al Medioevo, il più antico autore europeo che osi
affrontare l'argomento amore sui vari piani del
comportamento sessuale, è Abu Muhammad Ibn-Hazm,
musulmano di Cordova (994-1064), che nel suo famoso
Collare della Colomba teorizza in particolare come la
261
copula eterosessuale possa avere l'esito felice di
complessi processi analoghi a quelli che producono amori
e copule omosessuali. In entrambi i casi non v'è alcunché
di peccaminoso di fronte al dio creatore. Ed ecco la sua
definizione, peraltro ben sperimentata dall'autore stesso,
dell'amore ideale:
«Circa l'essenza dell'amore, si è discusso con varie
opinioni e a lungo. Il mio parere è che si tratti un'unione
tra le parti delle anime, divise in questo mondo creato
entro il comune loro alto elemento fondamentale […] Noi
sappiamo che il segreto del mescolarsi e rifuggirsi delle
creature sta nei principi dell'unione e della separazione,
che il simile cerca sempre il suo simile e in esso si
adagia, che l'affinità di genere ha un'efficacia sensibile e
una constatata influenza che l'inconciliabilità degli
opposti, l'armonia degli uguali e il tendere l'un verso
l'altro dei simili sono cose che hanno luogo fra noi. (dal
Collare della Colomba o in arabo Tawq al-Hamama v. in
bibl. testo italiano 2006)»
Di qui, leggendo bene, inizia una cultura amorosa
europea del tutto incerta sui legami che potrebbero
seguire ad una copula più piacevole di altre e che suscita i
cosiddetti sentimenti d'amore. Anzi, si continuerà a
teorizzare e si culminerà nel cosiddetto amore cortese o
romantico in auge oggi e che, pur senza le modifiche
concettuali apportate dalla Rivoluzione Francese (1789)
che predicò l'amore libero come un modernismo per
tutto il mondo, fu esportato e imposto dai colonialisti
europei in ogni angolo del pianeta.
Scrive infatti lo storico dell'amore J.-P. Poly (2003):
262
«L'amor cortese non liberava le donne dell'Occidente,
[ma] era un compromesso storico, l'impronta della loro
antica [femminile] dominanza sulla loro novella
dipendenza. Questa dipendenza, grazie ad esso [amor
cortese] sotto la forma totale in cui con 3-4 secoli
d'anticipo i più maschilisti degli uomini avevano voluto
instaurarla; [con l'espediente: niente coito immediato,
ma solo dopo la dovuta corte] sarebbe finita per restare
incompiuta.»
Andrebbero fissati termini e definizioni, ma odio tale
espediente perché fermerebbe nel tempo realtà che non
sono esattamente note e prive perciò di concretezza. Il
mito dell'amore eterno che gli antropologi preferiscono
chiamare amore romantico fu corretto e standardizzato
alla fine del Medioevo e fu collocato comunque nella
nuova ondata dei costumi cavallereschi adottati dai nobili
e dai potenti locali dell'Europa cattolica. Nell'Occidente
sedicente cristianizzato l'idea era che fra gli amori di
vario genere c'era quello che prescindeva dalla copula
immediata da quella obbligatoria e indispensabile per
sigillare il patto di far figli! In breve, se la copula o amore
carnale era un atto peccaminoso, si poteva soprassedere
ad essa e amare la donna come oggetto-premio
idealizzato da conquistare, struggendosi per lei e
soffrendo di non vederla e di non poterla avere vicina a
vista. Occorrerà un paio di secoli (fine del 1200) perché si
verifichi la spontanea volontà della donna a concedersi
all'amante. Ciò tuttavia sarebbe la fine dell'amor cortese
che per poetica definizione non si dovrebbe invece mai
esaurire nel grande amore (fin' amor).
263
Espressioni d'amore cortese? Doni e parole piacevoli e
accattivanti allorché trionfante lui porgeva i trofei vinti
nei tornei per lei! Persino tramite abili servitori prezzolati
il cavaliere dimostrava la sua passione indirizzando
all'amata poesie, canzoni e missive appassionate. Il coito
come premio auspicato, non era preteso, ma concesso pur
col rischio di peccare di lussuria o di adulterio.
Sono questi già tratti più avanzati dell'amore romantico
giacché, come dicevo righe fa, l'analisi particolareggiata
di Ibn-Hazm farà breccia nella vicina Terra d'Oc
(Provenza) a lungo. Qui il duca d'Aquitania, Guglielmo
IX, si sentirà incoraggiato a circondarsi di pensatori e
poeti che sanno come incantare il sesso femminile e si
affermerà che la donna è incline a concedere i favori del
corpo in maniera ottimale... se la si sa corteggiare.
La chiesa cattolica dapprima fu assai critica su tali tipi di
sollecitazioni influenzate dai costumi sessuali musulmani
e che avrebbe voluto invece controllare interamente
nell'ambito della “famiglia monogamica naturale”, ma col
tempo vi si adeguò.
Ammise l'amore romantico purché si concludesse con il
“santo matrimonio” nell'ambito della famiglia cristiana
con tutti gli ammennicoli prescritti fra cui, punto
importantissimo, fissare il luogo di lavoro per il resto
della vita in coppia e pagare l'obolo a san Pietro.
Questo bagaglio di cultura amorosa fu esportato come
modello universale di pratica sessuale, come ho dianzi
scritto, durante il colonialismo inaugurato in grande stile
dalla Spagna nel XV sec. dopo aver cacciato via i
musulmani. Seguita nella politica imperialistica da altri
264
imperi cristiani: francese e inglese, proclamò a gran voce
nel mondo che la famiglia cristiana era per legge divina la
base naturale della civiltà superiore europea.
Forse tutto questo non arrivò nelle terre russe nel
Medioevo giacché qui un cavaliere non esistette come in
Occidente, ma solo in parte esternamente simile ai
cavalieri crociati. Qui c'è il muž. Per quanto riguarda il
rapporto di costui e le donne, dai documenti si riesce a
capire che una donna non può né deve sottrarsi
all’accoppiamento con lui, quasi in una ierogamia, ma
l’amore non è permesso: Esso è debolezza perché
significa sottomettersi alla donna e ciò è scandaloso.
Certo! Alla fine della battaglia vittoriosa un’orgia non è
peccato, ma il muž deve cercare di esser moderato in tutte
le sue azioni, poiché il cappellano cristiano (pop) sarà
sempre lì a controllarlo. Non dovremmo quindi vederlo
frequentare taverne e bagni pubblici a Kiev (o peggio che
mai a G. Novgorod). Possiamo immaginarlo condurre
quasi una vita monacale, se non fosse per le frequenti
campagne militari impostegli dal suo ruolo di guerriero
del knjaz in cui talvolta deve sopraffare le donne, se sono
quelle del nemico, ma difenderle, se sono quelle della
propria gente. In seguito si sposerà, ma solo con colei che
il knjaz gli ha indicato e i figli saranno presentati al knjaz
prima che a qualsiasi altro affinché siano accolti nella
družina! Non vive per accumulare ricchezza, ma gli piace
pavoneggiarsi nella sua uniforme davanti alle donne,
sempre attento ai sortilegi che da queste possono venire.
Nella Rus’ di Kiev la poesia o la lirica esaltante l’amor
cortese non esistette e la donna veniva sempre tenuta da
265
parte nella società russa patriarcale, ma questo non
significa che la donna non avesse un ruolo importante
nella vita del muž. Nella letteratura russa antica è esaltato
il dolore e la lirica lamentazione dell’amata per il muž che
non è più tornato e tuttavia, lo ripeto, la donna è
percepita come un essere misterioso e fondamentalmente
pericoloso. Contro i di lei incantesimi il muž perciò si
fornisce di amuleti e croci e evita così il malocchio o
l’amore non voluto e si astiene da contatti sessuali prima
di ogni campagna. Non sono eccezionali o giudicati
troppo male neppure i suoi rapporti omosessuali…
Questo è il quadro nelle corti slavo-russe per l'armata
personale principesca.
A proposito poi della famiglia monogamica naturale va
aggiunto che nelle società fortemente maschiliste (e forse
meglio misogine come quella cristiana) alla donna non è
riconosciuta alcuna parità col maschio di sentimenti
amorosi sofisticati data la sua natura “mentale” inferiore
e peggio che mai le si doveva permettere di condividere o
discutere i piani e le idee del maschio consorte.
L'autorevole sant'Agostino affermava, con i suoi trascorsi
in questioni di donne:
«Non vedo a che scopo il creatore ha formato la donna
se non a quello di procreare […] un aiuto, ma quale? Se
l'uomo avesse avuto bisogno d'un sostegno [per lavorare
o per consigliarsi], sarebbe stato più utile un altro uomo.
Lo stesso possiamo dire per una compagnia nella
solitudine. Quanto è molto più gradevole la coabitazione
di due amici rispetto a quella di un uomo con una
donna...»
266
Con queste parole la conclusione unica possibile era che,
se era impossibile vietare e proibire la copula, almeno che
servisse a tenere insieme due persone occupate
nell'attività primaria della loro vita: a. per la genitrice di
accrescere il numero dei credenti e b. per il genitore di
educare i bambini maschi a difendere la sua famiglia
cristiana. E non aveva detto più o meno la stessa cosa il
teorico massimo cristiano dell'amor di coppia, Clemente
alessandrino, qualche secolo prima di sant'Agostino?
Certo, per la famiglia cristiana, i cosiddetti sentimenti
amorosi fondamentali da rispettare erano la promessa di
vivere insieme e di copulare come e quando prescritto
abbandonando ogni amore peccaminoso come l'adulterio
o l'incesto.
La filosofia cristiana è chiara: I gruppi umani non sono
sanciti dalla chiesa se vanno oltre la coppia perché
gruppi con un numero maggiore di membri maschi
favoriscono e nascondono accordi per rivolte e sedizioni
contro il potere sovrano concesso dal creatore! La
famiglia cosiddetta naturale è costituita, lo ripeto, da due
consorti ed è il massimo raggruppamento ammissibile
alla benedizione divina nella chiesa. Non solo! Ai due
partners è prescritto il reciproco piacere nell'uso dei
rispettivi corpi (non in tutte le manipolazioni e fantasie,
ma con assurde limitazioni) perché diventano una sola
persona – una sola carne! – e per la società cristiana è il
consorte maschio a proclamarlo, data l'inferiorità sociale
e mentale della femmina.
Spiegare ciò alla gente pagana fu un compito ingrato e la
conclusione fu che il dio cristiano benedicesse la copula
267
solo se i due partners ne godevano contemporaneamente
entrambi. Anzi, leggendo E. Le Roy Ladurie (1998) nella
sua Storia di un paese, Montaillou ossia dai protocolli
dell'Inquisizone del XIII sec. in Francia, la rea di
adulterio, Grazide, non si sentiva in colpa né in peccato a
copulare col parroco locale poiché costui con lei godeva e
Grazide pure. Al contrario quando copulava col consorte
legittimo il godimento per lei era nullo.
Altrettanto avveniva spesso nei villaggi pagani della
Pianura Russa, ma in nessuna relazione con un
reato/colpa per adulterio, visto anche che di adulterio se
ne parla pochissimo nelle fonti cristiane del luogo.
La verv e il mir e forse anche il rod in ogni caso vanno
negati e che trionfi l'individualismo nei comportamenti
del maschio. Persino le assemblee popolari ossia la vece
slavo-russa che serviva da organo di governo a G.
Novgorod e altrove nella Pianura Russa non devono più
esistere, se le decisioni finali non sono “benedette” (=
presiedute!) da un prelato cristiano in nome del dio
creatore. Guai poi se ci sono troppe donne a interloquire
perché a volte si fanno scegliere per posti come quello di
posadnik o sindaco della città. Memorabile fu il caso di
Marta Borezkaja eletta posadnica di G. Novgorod prima
che la repubblica cadesse in mano moscovita nel 1478.
Il discorso sull'individualismo che ancora oggi ci
governa negli atteggiamenti personali e collettivi sulla
topica sessuale è complicato e non mi compete sceverarla
qui salvo confermare che durante il Medioevo Russo le
opposizioni all'individualismo furono tanto forti da
frenare lo sviluppo capitalistico fino ai tempi di Pietro I
268
(1672-1725) e oltre col collettivismo sovietico.
Un aspetto stravagante dei miti dell'amore inaccettabile
per i contadini del nordest e che occorre menzionare
come alieno fu l'estrema privatezza che il cristianesimo
prevedeva per l'atto sessuale bollato di illecito e di lurido,
se fuori della famiglia, e che soltanto la buia notte
medievale fosse il tempo fissato da dio per gli amanti
consorti. Era un'assurdità che i due “vergognandosi della
reciproca nudità” si sarebbero dovuti chiudere in luogo
appartato e dedicato, se poi durante l'anno tante volte si
erano visti e eccitati svestiti nella banja.
E Cristo, secondo il vangelo dell'apostolo Tommaso
(apocrifo per i cattolici), non aveva in maniera chiara
detto riguardo alla nudità fra coniugi: «Quando ti denudi
senza vergognarti prendi i tuoi vestiti e calpestali come
fanno i bimbi piccoli, vedrai [finalmente te stesso cioè] il
figlio bambino dell'uomo. E non ne avrai paura.»?
Fare all'amore è incluso nelle poche attività corporali
che l'uomo compie indifeso come l'evacuare il corpo o il
dormire e quindi ha bisogno di sicurezza contro le
intrusioni altrui e, guarda caso, i costumi e le abitudini
nella Pianura Russa su tali questioni sono diversi e
divergenti di regione in regione, fra cui certi sono davvero
singolari. Visto inoltre che parlo di attività fisiologiche
importanti, val la pena rammentare che per evacuare si è
conservato il costume “militare” di farlo di notte ed essere
preferibilmente in tre. Così, mentre uno sta in piedi di
guardia, gli altri due sono accovacciati a concimare con i
propri escrementi il campo. E per fare all'amore? La
tradizione pagana non indicava la notte, ma il meriggio.
269
Abitudine logica quest'ultima quando le fatiche a metà
giornata si interrompono per rifocillarsi e nel tempo che
avanza ci si apparta per una bella copula sotto lo sguardo
benevolo dello “spirito pagano del meriggio” Poludnik.
D'altronde momenti d'intimità per l'amore come noi
oggi pretendiamo invocando la decenza o la privacy non
sono concessi dalle condizioni materiali d'abitazione o di
ricovero dell'epoca. Nel Medioevo nel mondo rurale
dell'intera Europa lo spazio per dormire è il pavimento
con su distese delle pellicce d'animali o una pedana
leggermente elevata in camere o in tende con uno spazio
di 9-10 m². Anche per i più abbienti la camera da letto
non supera di molto tali dimensioni. In ogni caso si
dorme insieme: genitori e figli, fratelli e sorelle, ospiti
eventuali etc. etc. Nudi tutti a contatto pelle con pelle
perché serve scaldarsi e, se capita di scambiarsi effusioni
amorose, perché no? Il vicino non avrà niente da dire.
D'altronde anche nudo il diabolico essere femminile
nasconde “per natura” nascosto nell'oscurità delle cosce il
suo monte di Venere con il resto perché il dio creatore lo
vuole là e in ogni misura le coppie facoltose cattoliche
disponevano addirittura di coperte separate per coniuge e
quella della donna con un foro all'altezza giusta affinché il
maschio potesse darsi da fare (G. Dmitrieva, 2019).
Pudore? Decenza? Non sono ancora veicolati in una
regola comune nel XII sec. che comincia timidamente ad
apparire presso i monaci nei conventi (W. Reinhard
2014). Basta leggersi le prescrizioni di Ildegarda di
Bingen, badessa benedettina, quando si rivolge ai monaci
a proposito del saio e impone di non toglierlo neppure a
270
letto: «[Che si cingano ben stretti sulle reni] affinché la
veste con cui dormono, non si apra e non appaiano
nudi.» L'indicazione «sulle reni» si riferisce alla credenza
comune che così facendo si impediva al pene di
inturgidirsi, quasi contraddicendosi, dato che è la santa
badessa a riconoscere che la sessualità è cosa sacra e che
il pene eretto è un fiore innalzato in onore del creatore (A.
Ballhaus, 2009).
E in questo scenario per il contadino pagano del Nordest
che di queste ordinanze cristiane non gli viene detto
nulla, ma gli viene imposto di onorare i vecchi costumi
purché liberati da ogni superstizione secondo i dettami
cristiani. Un costume non permesso è quello di appostarsi
per avere un contatto con la riva opposta del fiume dove
già di primo mattino le donne nude lavano i panni. Come
fare a desistere dall'invitarne una? Se poi c'è subito un
certo feeling con qualcuna di loro, ci si può dare più d'un
appuntamento nella stagione buona.
Col cristianesimo un appuntamento amoroso è pari
all'adescamento che è proibito alla donna in qualsiasi
circostanza. A riguardo si imposero come “sante virtù
femminili” le appena inventate vergogna della propria
nudità e pudicizia nel non rispondere agli inviti maschili.
Con la stessa logica al cristiano si vietava l'offerta di
doni che inducessero alla copula (e aggiungerei perché
sottinteso: con chiunque di qualsiasi orientamento
sessuale) o a mostrarsi discinti e col pene eretto.
Eppure il maschio ne trovava di espedienti, quando la
fregola lo sollecitava. Le byline son piene di ragazzi e
ragazze che si incontrano a “provare come si fa”.
271
Addirittura in città ci si può comprare o farsi regalare uno
schiavo o una schiava da tenere in casa per tale tirocinio!
A questo punto penso di essermi fornito di bastanti
elementi sulle diversità fin qui evidenziate per concludere
e confrontare amor cristiano con amor pagano. L'unico
neo è che non sono stato esaudito su quale tipo
d'informazione passasse nelle campagne missionarie del
IX-X sec. condotte fra i barbari pagani di Nordest sulle
questioni dette. Eppure il blocco cristiano occidentale
dominava la scena in gran parte delle regioni occupate
dagli slavi Vendi e fin nelle plaghe meridionali (coste del
Mar Nero) della Pianura Russa.
Tramite la centrale “cattolica” del convento di san
Maurizio di Magdeburgo, sorta nella prima metà del X
sec. nella feracissima area una volta popolata dagli slavi e
dai baltoslavi (prussiani) fra Germania e Polonia odierne,
potrebbero esser penetrati quindi i miti sull'amore
romantico visto l'andirivieni vivace e consistente dei
contadini e dei missionari cristiani fra il Reno, l'Elba e i
grandi fiumi russi, senza contare gli stretti contatti degli
imperatori germanici con l'imperatore ecumenico di
Costantinopoli, occupati in frenetiche attività guerresche
tese alla conversione di pagani e eretici delle coste
baltiche in special modo.
Nel 1054 ci sarà lo scisma unilaterale dei “cattolici” dagli
“ortodossi” giusto mentre il cristianesimo inizia a
consolidarsi in alcune realtà politiche della Pianura
Russa come Kiev e G. Novgorod.
Due mondi, cattolico e ortodosso, si divideranno
misurandosi fra interessi economici e prestigio di potere
272
e si guarderanno in cagnesco, grazie a patriarchi e vescovi
arditi che non smettono mai di contrastarsi l'un l'altro
con insulti e anatemi. I cattolici inoltre agli inizi del XIII
sec. arriveranno in massa, frati e cappellani specialmente,
via terra nella Pianura Russa dai Monti Carpazi sulle rive
baltiche causando violente crisi nel mondo contadino che
coinvolgeranno ordini monastici non armati: cistercensi,
francescani e domenicani insieme con quelli crociati
vecchi e nuovi e senz'altro armati. Numerosi matrimoni
dinastici “misti” (fra il XII e il XVI sec.) si celebreranno
fra nobili appartenenti alle 2 confessioni ora ostili per
scopi economici e politici e i rispettivi prelati nelle
trattative
prematrimoniali
insinueranno
accuse
reciproche d'eresia con tutte le loro contraddizioni
svelando un imbarazzante stato di affari privati e di
relazioni del potere laico con quello ecclesiale di cui
risentirà l'intero Medioevo Russo addirittura dai Balcani
al Volga.
Non posso che concludere con le parole di un notissimo
filosofo francese contemporaneo, Michel Onfray, che ha
dedicato un intero libro all'amore umano (Théorie du
corps amoureux v. bibl.). Commentando sant'Agostino di
Ippona che domina ancora la tradizi0ne cattolica in
materia di famiglia e di amore coniugale in coppia etero
irripetibile dopo il sacramentale primo e unico
matrimonio cattolico, il filosofo scrive:
«La libera sessualità, la libido libertaria, il piacere
zingaro restano i nemici prioritari sotto i termini
cristianissimi di adulterio, fornicazione, lussuria e
concupiscenza. Malgrado tali termini siano diventati
273
caduchi e invitino oggi al sorriso, le idee e le
rappresentazioni [ad essi] associate non cessano di
travagliare l'Occidente e di imporgli una potente
marchiatura. [...] Oggi non si dice più fornicare, ma si
inganna [l'altro/a], non si commette più un peccato di
lussuria, ma si tradisce. Le parole cambiano e
spariscono ma non ciò che esse fustigano o significano.
Noi viviamo sotto un ordine mascherato nell'ambito dei
concetti, ma riattivato [in realtà] del giudeocristianesimo che [ormai] si avvia verso la fine.»
274
Capitolo nono
Kiev apre a Cristo
Dal VII sec. si va diffondendo nell'area fra Polozk e
Pskov fino a Ladoga) l'etnonimo Rus che resterà
attaccato all'entità statale più celebre del Medioevo Russo
o Rus di Kiev. Da Rus deriva l'it. Russia e russo e così
pure Rossija nel caso di Mosca ancora nel XV sec. Ma chi
sono questi Rus?
Uno dei primi visitatori musulmani a frequentarli è IbnFadhlan che li incontra in vesti di mercanti a Bulgar-sulVolga. Il nostro autore risiederà per quasi un anno, 920921 d.C., qui e riporta pertanto nel suo Rapporto (risala
in arabo) al Califfo al-Muqtadir che l'aveva mandato in
missione nel nord, parecchi episodi sui loro
comportamenti sessuali credibilmente da testimone
oculare. Scrive (trad. mia dall'ingl.):
«Ognuno di loro ha il suo posto a sedere su una
mensola [della casa dove vivono insieme] e con loro ci
sono delle belle schiave che hanno portato qui per
venderle ai mercanti. Ogni Rus fa sesso con una schiava
[seduto?] mentre i compagni stanno a guardare e certe
275
volte un intero gruppo di loro fanno all'amore insieme
in vista l'uno dell'altro. Se arriva un mercante per
comprare una schiava mentre il Rus è occupato a far
sesso, [il Rus] non s'interrompe finché non ha
soddisfatto il suo desiderio.» E ancora (trad. mia):
«Quando muore un capo i famigliari chiedono agli
schiavi e alle schiave chi di loro sia disposto a immolarsi
per il funerale del padrone. … Di solito sono le schiave a
farsi avanti. … [Dopo i vari preparativi per i riti, io vidi
infatti] ... la schiava destinata al sacrificio entrare e
uscire dalle varie tende allestite per gli ospiti presenti
per i funerali per far sesso con ciascuno di loro e facendo
sapere che fa ciò in onore del defunto.»
Essendo capitato a Ibn-Fadhlan di assistere al sacrificio
funebre e sessuale di una schiava, sfortunatamente per la
mia ricerca, non so che tipo di trattamento sarebbe
toccato a uno schiavo maschio in caso funebre analogo.
I Rus sembrano essere quel gruppo speciale di varjaghi
che da mercanti armati – normale per un viaggiatore in
quei tempi – frequentano le rive dei grandi fiumi russi
come li presentati più volte nelle pagine precedenti.
Costruiscono delle città fortificate o gorod poco discoste
dagli approdi allorché decidono di metter su un dominio
piccolo ma stabile e qui si rinchiudono durante l'inverno
coi fiumi gelati. Il gorod è abbastanza semplice e si ripete
senza varianti notevoli: pianta rotonda possibilmente
ricavata sulla lingua di terra di una confluenza di due
fiumi (holm in russo e in norreno-svedese e baštu in
bulgaro-turco). Al centro c'è l'abitazione del capobanda e
dei suoi armati munita di un'invalicabile staccionata.
276
Nel gorod sono rinchiusi non soltanto i figli/ostaggi dei
capi dei villaggi intorno assoggettati, ma anche i ragazzi
razziati o acquistati per la vendita ulteriore. Questi ultimi,
giovanette e giovanetti, col destino già segnato sono un
capitale preziosissimo da mantenere in buona salute e in
bell'aspetto giacché si spuntano prezzi altissimi solo se
sono ben fatti e sani nel corpo. Al mio lettore parrà logico
e immaginabile che qui vigesse la nudità come prassi,
dato che i mercanti così constatavano de visu la fisica
costituzione dei giovani in tutti i punti del corpo. A parte
ciò, quale altro divertimento c'era a quei tempi se non
passare con loro sfrenatezze amorose? Il nome più in
auge nel nord di questa locazione interna del gorod ne
tradisce la funzione: detinec, più o meno da tradurre
deposito dei ragazzi (deti, i minori in russo).
Parecchi gorod saranno abbandonati e altri ne saranno
costruiti spesso presso o al posto di santuari pagani e la
denominazione antica di deposito di ragazzi ostaggi sarà
sostituita da quella più neutra di cremlino (da krom,
kerman voce turca per fortezza o recinto sorvegliato).
Perché tale cambiamento di termine? Probabilmente per
opportunità poiché nel cremlino (kreml') delle città trovò
posto la cattedrale che faceva un po' a pugni con i costumi
sessuali imposti dal cristianesimo. Gorod cambierà nome
in mesto (termine slavo per città, residenza) nelle aree
dove si afferma il cristianesimo latino, mentre non si
conserva in russo con la stessa accezione e Detinec invece
di Cremlino resterà in uso nel nord della Pianura Russa
per un po' di tempo ancora. Io lo interpreto col fatto che il
commercio degli schiavi col cristianesimo era traffico
277
legittimo e che continuò e crebbe in mano al sovrano
kievano da cespite d'entrate importante. Probabilmente i
mercanti l'avevano constatato in assenza di un'anagrafe
che si trattava i giovanissimi e che nella società pagana
eliminarli uccidendoli o abbandonandoli nella foresta
non c'era un grande strazio e che la chiesa avallava la loro
compravendita evitando il rito dell'alienazione pagano il
quadro che viene fuori è abbastanza chiaro e evidente: La
compravendita degli schiavi slavi fu l'affare d'argento
(d'oro non ne circolava altrettanto) più lucroso del
Medioevo. Inoltre, se il sovrano ne ricavava in cambio
merci preziose e denaro e la chiesa ne ricavava lavoro e
servizi gratuiti, seppure fra i monaci del Monastero delle
Grotte suscitava fastidio e imbarazzo, ad esempio la
gestione di bimbi maschi destinati alla castrazione, e i
ragazzi elusi alla vendita erano avviato al monachesimo.
È vero: Ciò li salvava dalla morte, ma che ne era della loro
vita sessuale? Sarebbe stata soffocata?
Tale circostanza è confermata dalle CTP per l'anno 988
d.C. che racconta: «Mandò [Vladimiro il primo santo
sovrano kievano] a prelevare i figli minori delle persone
più in vista affinché [si disse che questo era il suo
desiderio] imparassero a leggere i libri [presso gli
ecclesiastici celibi e sospetti perciò di urgenze sessuali da
soddisfare magari con l'esercizio della forza]. Le madri
però [non sapendo bene che cosa significasse imparare a
leggere e a scrivere] ne piansero...[immaginandone]
quasi la morte [andare schiavi valeva morire infatti].»
E qui, a parte il commercio degli schiavi, s'immette il
discorso delle fratellanze o gemellaggi omosessuali
278
(pobratimstvo) ben studiati da J. Boswell (1995) nelle
comunità ecclesiali o d'altro tipo pseudo-militari o affatto
militari nella Rus di Kiev.
La chiesa kievana e la družina del knjaz (armata
personale) erano organizzate militarmente entrambe e di
tanto in tanto dovevano rimpiazzare i loro membri morti
o ormai inabili comprando giovani (otroki). I sentimenti
camerateschi fra queste matricole e chi invece era
immatricolato da tempo erano naturalmente favoriti e
perciò niente di male se si creavano coppie di
commilitoni/monaci legate da amicizia collaborativa e di
altri sentimenti amorosi che duravano fino alla morte!
La chiesa era pronta a benedire queste coppie con riti
matrimoniali speciali creati ad hoc nascondendo l'amore
omosessuale. Poneva le coppie sotto la protezione di santi
militari leggendari pure omosessuali come i ss. Teodoro
Stratilata & Teodoro il Soldato o i ss. Sergio & Bacco (la
cui chiesa a Costantinopoli era importante e nota come
Santa Sofia Minore) e, come J. Boswell scrive (trad. mia):
«... [Le genti] del Medioevo Cristiano avevano molte
ragioni per biasimare le sistemazioni eterosessuali
[giacché erano] viste come una convenienza o un
vantaggio terreni e allo stesso tempo [invece per]
ammirare la passione e le unioni [di coppie]
omosessuali: Il culto residuo di una mascolinità con
un'altra mascolinità da collegare ai tanti esempi di
martiri militari uniti nella morte dalla devozione per
Dio e dell'uno per l'altro.»
Assodato ciò come elemento di base per l'assimilazione
etnica, fra i knjaz (sovrani) della Rus di Kiev seppur
279
ormai sfocati nella leggenda sono due che adesso i
interessano: Vladimiro il santo e suo figlio Jaroslav il
letterato (quest'ultimo aveva un soprannome più
popolare: lo zoppo – in russo xromec – a causa di una
frattura alla tibia durante la caccia). Con essi infatti nel
X-XI sec. si realizza, secondo le CTP, il tentativo di
costituire un grande stato unitario slavo-russo.
Breve storia di san Vladimiro.
Vladimiro è il supposto nipote di due Rus: Igor e Olga
che un mitico Oleg nel 893 d.C. coniugò (non oso dire
sposò poiché non se ne sa granché). Il gruppetto
spodestando i capi locali occupò Kiev che al momento era
un posto di osservazione sotto il dominio dei càzari e dei
bulgari (entrambi turcofoni) e non aveva un'importanza
geopolitica. Occorrerà attendere la metà del X sec. per
vedere Olga, vedova di Igor, col figlio Svjatoslav, padre di
Vladimiro, recarsi sul Bosforo per stipulare accordi
economici con l'imperatore Costantino VII Porfirogenito
dichiarandosi sovrana dei kievani. La visita di Olga a
Costantinopoli durò a lungo e ebbe un suo successo
politico come fra poco dirò, ma risvegliò la misoginia dei
cronachisti delle CTP che ne scrissero di tutti i colori su
affari e amore. Ed ecco di seguito il testo incriminato:
«Anno 955. Partì Olga per Costantinopoli ... e giunse in
presenza dell'imperatore. Costui vide che era bella e
intelligente e le disse: Saresti degna di governare con me
nella mia capitale. Olga, capita l'intenzione
dell'imperatore, rispose: Io sono pagana e devo essere
280
battezzata, ma mi devi battezzare tu stesso … [Passa il
tempo da catecumena fino alla cresima ed ecco che
Costantino le ricorda la promessa:] Ti voglio come
moglie [modo di dire voglio far sesso con te]… [Rispose
Olga] Come fai a chiedermi ciò, se tu sei il mio padrino
di battesimo? Non si può fra cristiani... [e l'imperatore,
pur colmandola di regali, le dice da maschio offeso] Mi
hai preso in giro Olga.»
Insieme con Olga c'erano altre 8 donne, evidentemente
sue pari visto l'Imperatore attribuì loro lo stesso titolo di
arhontissa (capogruppo), ma di quali città o gruppo
etnico non è detto. A Costantinopoli si sapeva che i
mercanti arrivavano in udienza a corte in compagnia di
belle e giovani ragazze disposte a far sesso quando
c'erano in ballo grossi affari. Se tutto andava per il giusto
verso, le ragazze riuscivano a entrare da concubine nel
giro del cliente straniero e ricevevano dai loro mercantipadrini una ricca dote con tanti ringraziamenti per
l'affare concluso. Insomma un vecchio modo di fare che
oggi diremmo di escorting applicabile pure a Olga.
Non basta! Nel 962 Olga è in procinto di avere una
simile disavventura a Kiev stavolta col giovane abate,
Adalberto di Weissemburg. Qui addirittura, l'affare andò
male e il vescovo fu rimandato a casa, anzi, si tentò di
farlo fuori, se non fosse appena uscito dal dominio di
Olga. Si tratta infatti di un vescovo che quando le CTP
furono scritte era diventato un odiato eretico latino (le
CTP furono stese nel periodo in cui infuriava la lotta fra il
Bosforo e il Tevere per la supremazia). Il punto però era
puramente politico. Un vescovo latino non era solo il capo
281
di una diocesi, ma era equiparato con licenza papale a un
principe laico (H. Wolf, 2015) e Olga, probabilmente
venutolo a sapere, immaginò che costui l'avrebbe
scavalcata come capopopolo dei Rus e, magari, avrebbe
chiesto la sua mano. Pertanto, se ne liberò.
Queste storie sarebbero vere, se ci fossero dei riscontri
certi... che però mancano e anche questa storia risulta
inquinata. Le CTP, in quanto scritti edificanti, devono
raccontare come la vita pregressa di una donna d'alto
rango cambi in meglio col battesimo e proprio in ambito
sessuale, dato che essa è fonte di lussuria. È quasi logico
che l'amanuense ricorra a due argomenti in aspra contesa
nel XI sec.: (1) la facilità con cui le donne dei barbari
risolvono ogni questione con gli uomini seducendoli col
sesso e (2) l'incesto, nella fattispecie fra padrino e
figlioccia, peccato orrendo e ignominioso, ma comune.
Lode a Olga che seppe dimostrare come da cristiani
tutto cambia, purché non si toccasse l'ordine fissato dal
sistema di potere che in ogni caso discende dal creatore?
Insomma Olga ha superato elegantemente le prove e
può essere santificata! Anzi, col riconoscimento di “capo
dei Rus” da parte del Bosforo, cominciano a Kiev le
manovre per confermare suo figlio Svjatoslav ancora
minore al potere assoluto dei Rus.
Anni dopo la morte di quest'ultimo, appare Vladimiro,
personaggio che le CTP non esitano a proclamare
ravneapostol'nyi e cioè pari agli apostoli per aver
finalmente battezzato la Rus di Kiev. Opportunamente
nasce da Svjatoslav e da Maluša, ostaggio-schiava (figlia
del sovrano dei vicini drevljani) al servizio di Olga da
282
dispensiera (ključnica). Tali credenziali materne lo fanno
entrare pur figlio-di-schiava nella compagine dell'élite
kievana finché suo padre comanda e rendono il giovane
privo di peso politico in confronto coi fratelli più anziani.
Dovrà lottare e intrigare per prendere il potere e riuscirà,
specialmente in modo cruento, a mettere da parte i tre
fratelli, Svjatopolk, Oleg e Sfeng e a sedersi alla fine sul
trono. Da questa posizione cerca il consolidamento del
potere personale e l'allargamento del dominio e stringe
numerose alleanze con i diversi capi locali vicini. Le
alleanze si suggellano con i matrimoni e con la cessione
di ostaggi, a seconda del grado di dominanza di un
alleato sull'altro, e alla fine Vladimiro si circonderà di
giovani donne fra cerimonie orgiastiche e sacri bagordi...
Nelle CTP ho letto che prima del battesimo:
«Vladimiro era sopraffatto dall'attrazione muliebre.
Aveva mogli e aveva ragazze-ostaggi … 300 a Višgorod,
300 a Belgorod e 200 a Berjòstovo… e con esse
amoreggiava. … era un donnaiolo come Salomone.»
Fin qui il quadro è abbastanza normale per un sovrano
che sogna di essere potente e ricco e usa la poligamia, la
poliginia e il concubinaggio per stringere e mantenere
alleanze e sudditanze oltre al piacere fallocratico
personale. È pure ammissibile che nel 986 ai bulgari
musulmani che volevano convertirlo all'islam si vantasse
riferendosi allusivamente con spocchia ai suoi frequenti
banchetti con libagioni e copule: «A noi Rus piace bere e
non possiamo vivere senza!» La frase nelle CTP sembra
venire da un alcolista, ma in realtà essa dice che lui beve
solo bevande simili a quelle degli dèi cioè l'idromele
283
(mjod) e perciò, con tale bevanda in corpo, è lecito essere
un sovrano e copulare durante un banchetto. C'è da
notare che, a parte i numeri irreali e esagerati di mogli e
concubine, il giudizio morale cristiano di Titmaro,
vescovo monaco cattolico di Merseburgo che gli fa visita è
negativo. Lascia detto che la cintura di Vladimiro era una
“cintura di Venere”, fatta apposta per mettere in bella
evidenza gli attributi sessuali e pronta a slacciarsi ogni
momento.
La situazione all'epoca di questa visita, ca. 1010, è però
ambigua poiché a Kiev al fianco di Vladimiro dovrebbe
esserci Anna, la sorella dell'imperatore Basilio II
Bulgaroctono ceduta come unica moglie cristianamente
legittima alla data del battesimo kievano, ca. 988-990.
Le CTP stranamente neppure pongono Anna di fronte a
Roghneda di Polozk, la primaria consorte pagana di
Vladimiro col figlio Izjaslav. Essa è ancora in vita a Kiev.
Né lascia la città per ancora qualche anno perché a quel
figlio, Izjaslav, ne seguono almeno altri 5 mentre di Anna
con Vladimiro e di una di lei eventuale gravidanza non se
ne sa nulla.
A parte le incongruenze delle CTP, che sarebbe accaduto
se Vladimiro avesse rimandato Roghneda e le concubineostaggio alle rispettive famiglie? Le alleanze si sarebbero
sciolte e la Rus di Kiev si sarebbe sfasciata subito! La
chiesa la soluzione a questo inconveniente ce l'ha. Basterà
che non si parli troppo delle concubine e che Roghneda
col figlio che succederà dopo la morte a Vladimiro, sia
rimandata alla sua Polozk e rinchiusa in un convento
fondato apposta in quel di Minsk dove sarà badessa. Altra
284
storia impastata di leggenda...
La vita di Vladimiro che la chiesa russa dipinge prima
del battesimo insomma è quella di un sovrano libertino e
perciò dedito a eccessi sessuali. In realtà però tace, a mio
avviso, su un problema reale. Il nostro sa benissimo che il
sistema demografico prevalente, verv e mir con eponimo
del rod a sovrano massimo, non gli permette di tenere
saldamente insieme delle mini-repubbliche in un unico
dominio, pur essendosi accordato con i tanti capifamiglia
dei territori limitrofi e pur avendo onorato gli ostaggi
ricevuti con il sacro sigillo della copula sacrale.
Un'organizzazione che vada casa per casa a sponsorizzare
il suo potere invece gli sarebbe utilissima. Così, non
appena Cristo bussa alla sua porta, è pronto ad
accoglierlo con tutto l'apparato ideologico e burocratico
cristiano. Anzi, è ben disposto a far penitenza per i suoi
trascorsi fino alla morte (1015 forse per infarto) purché lo
trasformino in un amato sovrano modello da venerare.
Va da sé che sotto la pressione dell'apparato monacale
della nuova chiesa kievana che da lui dipendeva
economicamente, la sua vita cambiasse e non v'è dubbio
perciò che i primi contatti con l'autorità ecclesiastica gli
provocassero sinceri pentimenti e rinunce non appena gli
vennero descritte le pene dell'inferno che l'aspettavano se
avesse continuato nel suo errore sessuale pagano. Né v'è
dubbio che i peccati maggiori imputatigli erano giusto i
suoi comportamenti verso le donne e perciò che limitasse
e impedisse orgie e bagordi. E ciò avverrà e qualche anno
dopo nelle CTP lo vediamo affannato a alleviare le
difficoltà dei poveri correndo per le strade di Kiev a
285
distribuire pane e generi di vestiario...
Purtroppo le CTP per gli anni fra il 973-980 e il 1000
sono lacunose e le vicende di Vladimiro da pagano in
Scandinavia dove certamente pianificò la conquista del
sud della Pianura Russa, sono oscure.
Malgrado ciò dal nord partì alla conquista di Kiev
appoggiato dall'oligarchia novgorodese. Dapprima si
dirige verso l'odierno Golfo di Riga dove lungo la
Dvinà/Dàugava il suo obiettivo è neutralizzare il gorod di
Palteska/Polozk in mano svedese che fa concorrenza a G.
Novgorod. Coi suoi armigeri tenta un'alleanza incruenta
chiedendo la figlia del signore locale Raghnvald
(Rogvolod), Raghnhild (Roghneda) in sposa-ostaggio.
Costei lo rifiuta con decisione autonoma, com'è costume
svedese. Non c'è più scelta. Roghneda viene copulata in
pubblico e suo malgrado si deve accodare agli accoliti del
nuovo capo Vladimiro diretto al sud mentre il di lei padre
e i due fratelli sono uccisi e Polozk è assoggettata.
Il coito in pubblico rientra nei riti sessuali più soliti di
un conquistatore e fosse anche un'abituale rito dei
Bulgari come turchi Oghuz. Infatti da tale atto il nostro
eroe celebra e proclama (1) la decisione di passare dalla
fase di condottiero mercenario a sovrano stabile e
residente in una capitale (2) la presa in possesso del
territorio di Polozk e dintorni e (3) l'assenso della dea
Madre Umida Terra rappresentata da Roghneda supina
sul nudo suolo a far l'amore nella posizione del
missionario con Vladimiro, maschio dominante sopra di
lei (russo na koné cioè a cavallo). Tutti gli astanti battono
le mani o le armi in segno di giubilo e la conquista è
286
sancita per l'avvenire.
Vladimiro in un convito molto castigato (quadro di I. Karazin, XIX sec.)
Nel caso di occupazione forzata di una parte di territorio
già occupato da altri, si sarebbe invece usato il ratto della
donna consorte del signore vinto e ucciso (e altre donne
in più per il resto dell'armata) in maniera analoga al
famoso Ratto delle Sabine per la città di Roma. Questo
rito era detto umykanie in uso presso gli slavi Dregoviči,
Drevljani, Severiani e Kriviči.
A Kiev Vladimiro elimina due dei fratellastri, Jaropolk e
Oleg, non potendosi occupare del terzo, Sfeng, che è al
momento sulla foce del Don a Tmutorokan (TamatarkaPanticapea) irraggiungibile padrone di quel campo. A
Roghneda affianca una seconda moglie, quella di
Jaropolk, incinta, sperando che il nascituro sia maschio
per nominarlo chissà suo successore. Stavolta Vladimiro
287
ricorrerebbe al levirato classico perché sposa la vedova
del fratello, costume, questo, condannato dal
cristianesimo come peccato di incesto, ma perdonato se
ci si “risposa” secondo il rito cristiano e qui le CTP non
confermano l'evento con chiarezza. Quanto al nascituro
basterà copulare per conferma con la predetta vedova e
tutto sarà legittimo.
Fondamentale è ora assicurarsi la sussistenza della
capitale Kiev perché la popolazione è prevista aumentare
a breve. L'agricoltura non è possibile a nordovest di Kiev
per la presenza delle paludi del fiume Pripjat (le più
grandi forse del mondo) e si deve perciò guardare a sud.
Siamo nell'area delle fertilissime Terre Nere dove però
mancano i villaggi e i contadini. Che fare? Si favorirà
l'immigrazione di Mordvini e di Udmurti e si dovranno
convincere i turcofoni della steppa ucraina ad
abbandonare il nomadismo e passare con Kiev da
contadini. La difesa del territorio è garantita poiché si sta
già procedendo a tale scopo alla fondazione di una serie
di villaggi e città-fortezze lungo il famoso Vallo
Serpentino eretto contro le minacce della steppa. Queste
circostanze significano che dal nordest e dalla steppa
giungono nuovi costumi e nuovi atteggiamenti culturali
fra gli slavi presenti nella regione kievana finora sotto
l'influenza dell'islam e dei càzari ebrei, etnie dominanti
insieme con i Magiari nella città e nei dintorni.
Non appena il cristianesimo diventerà maggiormente
attivo, avverrà ciò che tecnicamente è il sincretismo che
nella definizione classica di I. Eibl-Eibesfeldt (2004) è più
o meno la convergenza di elementi ideologici già
288
inconciliabili, attuata in vista di esigenze pratiche di
carattere culturale, filosofico o religioso, appartenenti a
due o più culture o dottrine diverse. Insomma
l'operazione ideologica condotta dagli ecclesiastici
cristiani fra i “barbari” per amalgamare queste persone fu
la solita predicazione che presentò la dottrina cristiana
come diversa, migliore e santa. Non si gettavano via del
tutto gli dèi pagani e le credenze affinché per precauzione
si potessero invocare con i riti tradizionali.
Gli dèi cambiavano solo di nome e li si travestiva da
santi cristiani con riti aggiuntivi detti più efficaci. Per
stabilizzare il potere, era questa un'accortezza
fondamentale, in special modo perché occorreva imporre
a gente lontana da Kiev l'idea di vivere in un dominio di
un sovrano che non avrebbero mai visto, ma che
avrebbero dovuto immaginare accetto ai loro dèi pagani e
quindi obbedire e venerare.
Nella stessa nordica Ladoga è stato possibile negli scavi
di qualche decina di anni fa datare ancora al X-XI sec. un
santuario dedicato alla Gran Madre con una statua di
legno (in figura) il cui stile non si discosta da quello delle
babki zolotye con tutta la serie di ossa di animali ad essa
sacrificati.
Benché Vladimiro sembrasse collaborare con la politica
sincretistica dei prelati cristiani di Costantinopoli al
posto di una netta intolleranza a lui più consona,
l'incertezza e l'insicurezza nelle nuove terre colonizzate
nel Basso Dnepr non si dissipò. Il timore che la
protezione armata del neo-battezzato sovrano per il
personale ecclesiastico fosse insufficiente era reale. Il
289
primo scaglione di prelati e preti al seguito destinati a
Kiev, temendo non solo Vladimiro e la sua fama di
sanguinario, ma anche i nomadi; restarono a Perejaslavldel-sud in trepida attesa.
statuetta di legno “portatile” degli scavi di Ladoga da una cartolina museale
Solo quando parte del Vallo Serpentino fu portata a
termine e quando ci fu una chiesa di pietra e un alloggio
sicuro e inespugnabile i preti si insediarono a Kiev e
l'avvertirono che non c'era più tempo per espiare le sue
gravi colpe del passato poiché il creatore adirato
l'avrebbe fatto morire da un momento all'altro con la
minaccia di finire nell'inferno di fuoco cristiano.
In breve doveva essere disposto a fare qualsiasi
290
sacrificio che la chiesa gli avesse indicato. I prelati del
Bosforo sfruttarono quelle minacce per consolidare le
loro posizioni poiché temevano una cattiva sorte per loro
stessi da parte dei selvaggi varjaghi, se non fossero
riusciti nell'intento di portarli nella cristianità.
A prova di tali intrighi ci sono certi episodi raccontati
nella sua Vita dove Vladimiro viene indotto agli atti più
pazzi. Così invece di condannare al taglio della testa o alla
mutilazione i briganti che battevano e uccidevano lungo i
fiumi, una volta catturati li giudicava sommariamente per
lasciarli tosto liberi di ritornare ai loro villaggi dopo un
dichiarato religioso pentimento e un bel battesimo.
Alla critica del vescovo per lo strano agire, il nostro si
scusò rispondendo che da cristiano provava orrore a
dover uccidere o mutilare un proprio simile.
Vladimiro, i suoi e la sua legislazione.
Per la chiesa le pene capitali e le torture erano
consentite per certi reati e gli si spiegò che non toccava a
lui apprezzarle o rifiutarle, ma soltanto eseguirle: Dio
guida il giudice che esprimerà un giudizio in seguito a
un'indagine sul reato secondo il diritto canonico e il
tribunale ecclesiastico comminerà la pena giusta… Il
punto da non trascurare era l'aspetto economico dei
processi che andavano spesati e le multe erano da
spartire fra chiesa e knjaz come era fissato nell'accordo
fra la novella chiesa russa e Vladimiro.
E a proposito di giudici e giudizi, un particolare tipo di
delitto interessa qui più di altri: le violenze sessuali sulla
291
popolazione femminile da parte degli armigeri della
družina di Vladimiro (forse più di 800 varjaghi) finora
fuori controllo in una vita cittadina che adesso si
vorrebbe più tranquilla e più ordinata. Le soperchierie
commesse a G. Novgorod da costoro avevano fatto grande
scalpore nelle CTP quando Vladimiro si trovava da quelle
parti e perciò la tradizionale sessuofobia cristiana partorì
un abbozzo giuridico non tanto incisivo o Ustav da usare
contro quel genere di delitti, peraltro non ben identificati,
e con ciò la questione fu conclusa. Soltanto nel XI sec.
sotto il figlio e successore Jaroslav si concretizza e si
perfeziona la Pravda Russkaja in un corpus di leggi da
usare nel sistema giudiziario di tribunali gestiti dai
monaci in cui alla sessualità è dedicata speciale
attenzione. Per le origini e le frequentazioni di Jaroslav:
madre e padre varjaghi, moglie pure svedese; è logico che
la Pravda risulti “inquinata” di elementi “germanici”. La
base antico-slava e genericamente quella germanica,
aborrono dalle torture e dalle mutilazioni o dalle
esecuzioni cruente comuni nei giudizi dei tribunali
cristiani. La pena più pesante per un membro della verv è
il bando che cacciando fuori dal mir rende il reo izgoi
cioè un morto civile. Se vuol continuare a vivere deve
fuggire dal luogo del suo misfatto quanto più lontano
possibile. Dovrà potersi trovare insomma un nuovo rod,
se riesce a essere accolto in un altro mir. Non solo, con le
evitazioni sessuali è escluso dall'avere una propria
discendenza nel vecchio rod e diventa davvero un nuovo
Caino segnato affinché gli altri non lo uccidano!
La chiesa russa nel seguito della sua storia si occuperà
292
dei vaganti maschi (kalekì proxozie) alla ricerca di un
ricettacolo. Aprirà loro le porte dei conventi e a volte,
benché non di frequente, li dirà pazzi di dio e li lascerà
vivere d'elemosina presso i templi cristiani.
Dunque niente pene mutilanti o decapitazioni, ma
multe da pagare in lavoro gratuito forzato per il knjaz e
una quota parte prevista per la chiesa. Per di più si
continuerà a amministrare la giustizia usando la
tradizione. Nel caso che il giudizio o composizione
avvenga nel mir non è detto conclusivo poiché occorrerà
sempre rispettare i canoni cristiani e recarsi nelle città
per il terzo giudice. La società cittadina indirettamente
descritta nel codice distingue in maniera netta l'uomo
libero dallo schiavo, il membro della družina dagli altri
notabili locali e persino la donna libera dalla figlia-damaritare sebbene sempre sotto l'autorità paterna. Aleggia
ovunque la misoginia cristiana che considera l'essere
femminile un'incarnazione del demonio e perciò priva di
raziocinio: i giudizi con interrogatori sono descritti quasi
sempre nel caso di imputati maschi. La donna invece
deve solo ascoltare le testimonianze e tacere...
Dalla Pravda Russkaja si evince che le offese contro il
genere femminile erano numerose e tutte spregevoli e le
cause da cui le offese scaturivano descritte in maniera
ben dettagliata e logicamente insite nella immaginaria
natura del sesso femminile, voglioso e eccessivo.
I delitti maggiori? L'umykanie e la copula violenta nel
senso da far male fisicamente e non a causa di un rifiuto.
In ultimo ho notato come delitto il matrimonio celebrato
senza il reciproco sì! dei nubendi. Al contrario non si
293
prevedono pene da comminare in casi dell'adescamento o
della nudità in pubblico né si nominano le feste
orgiastiche solo che dovrebbero essere scomparse in
teoria. Quanto allo stupro sopra detto occorre confessare
che sussiste così come lo si descrive oggi, anche perché è
conseguenza dell'educazione sessuale imposta dal
cristianesimo. Se la copula fosse un semplice piacevole
momento per passare il tempo, ecco che la richiesta di
coito da parte femminile o maschile o omosessuale o altro
non richiederebbe sopraffazione né alcun attaccamento
amoroso o possesso-schiavitù per il futuro. Ho dedotto da
vari elementi nella letteratura consultata che questa è in
genere la situazione comportamentale del paganesimo
dove il concetto stesso di stupro semplicemente non c'è. A
mo' d'esempio riporto qui il primo articolo della Pravda
Russkaja che introduce il quadro concettuale in cui il
giudice si dovrebbe muovere adeguandosi ai costumi
locali. Jaroslav sui comportamenti sessuali ricorre
all'espediente più semplice che gli permette di evitare
interventi inopportuni nei costumi della realtà a lui
soggetta multietnica e pagana e lascia il tutto al savoirfaire del locale personale giudicante cristiano, mentre lui
presiederà da semplice presidente uditore. Ciò è
dichiarato quasi apertamente nel codice in un preambolo:
«Ecco, io Velikii Knjaz [principe più anziano] … dopo
essermi consultato col Metropolita di Kiev e di tutta la
Rus, Ilarione, [riconosco che] non ho giurisdizione sui
casi di divorzio…» che, però e già lo si sa, era superfluo in
un mondo poligamo o poliginico in cui una coppia eterna
non era neppure immaginabile.
294
Parimenti troviamo contemplati i casi di rapimento
della donna, il già accennato umykanie, sia se seguiti da
successivo matrimonio sia per semplice divertimento
sessuale, facendo distinzione fra figlie o mogli di notabili
e donne di rango inferiore. Si menzionano ripudi arbitrari
distinguendo le donne nel loro ruolo di simboli-pegni di
alleanza fra i rod, si trasformano i riti orgiastici in stupri
violenti collettivi e si vieta l'adulterio seppure con
blandizie lasciando il giudizio finale al Metropolita che
giudicherà e rinvierà il “reo” al knjaz per l'adeguata
punizione, destinando la donna in convento ove sia
necessario. È prevista e logicamente proibita la copula fra
novizie e visitatori di conventi. Chi volesse rinunciare ai
voti e volesse tornare al secolo per essere di nuovo libera
nel fare sesso, la multa da pagare al vescovo è veramente
enorme: 40 grivne … pari a quella da pagare per aver
ucciso un personaggio di alto rango!
Infine il detto codice oltre a menzionare che: «Se una
giovane pur non essendo ancora andata in sposa oppure
è vedova e copula o è ingravidata [N.B. non si intenda
nel senso moderno di fecondata] dal proprio padre … sia
rinchiusa in convento [!].» segue una lunga lista dei
diversi casi che la chiesa giudica peccati di incesto.
Chiudo qui sull'ossessione incesto nel cristianesimo
medievale citando la Bibbia, la Genesi, che spiega bene
come a volte la copula fra padre e figlia costretti da
circostanze fosse ammessa senza condanne. Lo leggiamo
al cap. 19, vers. 30-38 dove le due figlie di Lot, dopo la
distruzione di Sodoma e Gomorra, affinché la loro stirpe
non si estinguesse ubriacano il genitore e copulano con
295
lui. Hanno ciascuna un figlio e diventano le madricapostipiti rispettivamente dei Moabiti e degli Ammoniti.
Quasi con disprezzo è ricordato e condannato il rito
pagano nelle steppe di suggellare una promessa di
matrimonio tagliando un pezzo di formaggio e offrendolo
da mangiare alla sposa futura... perché abbasserebbe il
potere maschile nella coppia. In realtà si riconosce un
mondo ove la nudità è frequentissima e non è un modo di
attrarre un uomo per innamorarlo di una donna. Il rito
pertanto è il simbolo che consacra una commensalità fra
due partner che rappresenta un segno di fiducia reciproca
indispensabile. A tutt'oggi il matrimonio nella Pianura
Russa lo si celebra e lo si suggella col pane e col sale.
Le cause di divorzio (meglio: ripudio) ammesse dalla
chiesa e incluse nel detto codice sono:
1. Partecipare a congiure contro il knjaz da parte di
uno dei coniugi, pur con le dovute esitazioni che si
possono constatare nel processo intentato ai
congiurati che avevano soppresso il knjaz Andrea
Bogoljubskii nel 1174 nel feudo poi moscovita
2. Adulterio occasionale della moglie (l'adulterio
dell'uomo è ignorato eccetto che l'adultero abbia
dei figli da considerare adulterini) in casa da lei
3. Attentato della moglie alla vita del marito con
veleno, sicari etc.
4. Eccessiva libertà di una moglie nel divertirsi con
altri in assenza del marito, compresa la
partecipazione alle feste pagane
5. Aiutare dei malfattori ad agire contro il proprio
marito.
296
In un articolo della Pravda è ammesso persino il diritto
di battere la propria moglie, se il marito la sorprende a
rubargli qualcosa! Al contrario, se fosse la moglie a
battere il marito o se il marito battesse una moglie non
sua, la multa per lei è raddoppiata (3 grivne nel caso
precedente) perché è sua la colpa in ogni caso e quindi la
punizione.
Né si deve mai dimenticare che l'adulterio come reato
fra i pagani di nordest (scandinavi, slavi, ugro-finni etc.)
non era comprensibile perché alla fin fine lo sperma era
solo un dono nutritizio per un feto già insediato e, al
limite avrebbe comportato, se la futura madre l'avesse
serbato dentro di sé, l'accettazione della paternità del
nascituro. Né v'era alcunché di illecito in ciò.
fustigazione in pubblico di un'adultera sorpresa in casa
E se capitasse che un figlio alzasse le mani sui suoi
genitori? La punizione è di far penitenza in un convento.
C'è una berjòsta (N° 415 del Cat. Bibl. di G. Novgorod)
297
dove leggiamo a questo proposito:
Saluti da Fevronija a Felice e con tante lacrime. Il mio
figliastro me le ha date di santa ragione e poi mi ha
cacciato dalla casa di campagna. Mi raccomandi di
andare in città? O vieni tu stesso qui? Sono davvero in
fin di vita!
E chissà come andò a finire...
A parte ciò, rammentando che i preti ortodossi sono
ammogliati, le multe per loro non variano, ma vi si
aggiunge una penitenza fisica extra nella misura decisa
dal loro vescovo. Curiosamente al prete e alla moglie si
perdona l'ubriachezza... salvo che durante la Quaresima!
Bere del sacro liquido usato per la messa, il vino, da parte
della consorte del parroco poteva essere interpretato
come un eccesso di zelo giacché lei ne controllava la
qualità, secondo i doveri ascrittile di gestire i cibi.
Il vino poi dava allegria e se preparava alla santità ciò
che toccava un marito, perché non doveva avere lo stesso
effetto sulla moglie al di fuori della messa?
In realtà non si può negare che costei potesse indulgere
nel berne perché importato dal sud ha ottimo nel sapore
ed è a portata di mano persino da offrire alle amiche,
quando si è stufe della solita birra (braga o kvas).
Naturalmente questa non è solo una ludica aggiunta....
298
Capitolo decimo
Paganesimo vs. cristianesimo
Secondo il racconto biblico assorbito nella dottrina
cristiana, Eva fu creata per far coppia con Adamo e
accompagnare nella vita i loro discendenti. Con le
conoscenze che ci sono oggi sul funzionamento della
copula umana, presumibilmente non solo Adamo è un
padre degli uomini, ma anche Caino lo è in regime di
incesto con Eva e successivamente i fratelli e le sorelle
nelle tornate riproduttive seguenti come è facile dedurre
nella lunghissima vita dei personaggi coinvolti per chi
crede al favoloso racconto biblico, peraltro con traduzioni
incerte dalle lingue antiche in cui fu scritto. Se però si
riflette che si ignorava come avvenisse la fecondazione
dell'ovulo femminile – ripeto: totalmente sconosciuto –
con lo sperma maschile, i figli erano giustamente creduti
doni di dio. L'incomprensibile è l'obbligo futuro che
scaturisce dalle Sacre Scritture di non imitare il modello
della coppia originaria per quanto concerne il coito
appena inventato nell'Eden (ne ho già parlato lezioni fa).
Non solo! Il creatore non aveva nemmeno accennato al
299
piacere fisico che si poteva godere nella copula né aveva
obbiettato, se essa si mutasse in un'attività che servisse
esclusivamente a chetare i bollenti spiriti del maschio o le
voglie smodate della femmina, come si diceva e si dice
nelle comunità maschiliste cristiane.
I pensatori ebrei al contrario ironizzano e si augurano
sull'intera questione che il maschio senza troppe
chiacchiere sentisse dentro di sé un sentimento d'amore
(stima? rispetto?) nell'accingersi al coito con un'altra
persona, ma sapesse che con la consorte non era altro che
uno sforzo di accomodamento onde attraversare le
vicissitudini della vita in due senza troppi attriti! Non
c'era posto per amori complicati, si avvertiva sornioni,
giacché il maschio e la femmina dovevano cercare di
aumentare il numero di esseri umani e la vita era breve
per entrambi. Inoltre la facoltà fisica di generare era stata
data alla femmina in esclusiva, al maschio toccava l'alto e
difficile incarico di difenderla e nutrirla e guidarla
affinché si prendesse cura dei figli educandoli al rispetto
dei comandamenti di Mosé. Con pignoleria il Midrash
ammette che: «...nessun essere umano può essere
concepito [il verbo in ebraico è uguale a immaginato,
riconosciuto] da un uomo senza donna o da una donna
senza uomo né dai due senza la presenza del creatore.»
In conclusione la donna nella Pianura Russa per i
cristiani è in combutta col demonio e per i pagani in
connubio col dio della luna, ma resta l'unica macchina
per produrre neonati, mentre nessuna facoltà le è
concessa di educare la prole al ruolo assegnato nella
verv: Eva generatrice e nutrice, ma non educatrice...
300
Il compito primario umano di porre solide fondamenta
alle antichissime tradizioni nel dare corporeità alla
volontà imposta dagli dèi del cielo, esisteva soltanto con
lei da unica mediatrice. Secondo la mitologia slavo-russa
dominante la donna conosceva i grumetti/ciottoli di
materia magica (grudy) che il dio slavo minore Rod
abitante a metà strada fra firmamento e terra lasciava
cadere qui e là nella foresta. Lei ne raccoglieva qualcuno e
lo infilava nella vagina e di lì scaturiva la gravidanza, se
tutto andava per il verso giusto. L'uomo al contrario era
quasi tutto il tempo fuori di casa per le varie attività
produttive e per la difesa armata della dispensa, ma non
per procreare, amministrare o educare i minori.
Era il collettivo delle donne a gestire questi aspetti
dell'economia domestica, basilare per ottemperare al
compito dell'istruzione della prole fino alla pubertà in
lingua, sessualità, obbedienza agli anziani e qualche
altro obbligo minore che rendeva i bimbi adulti.
Propagandare un'impostazione dove il ruolo di donna
educatrice toccasse alla chiesa e ai suoi ministri
rappresentanti del dio creatore, fu un madornale errore
ideologico poiché nella realtà pagana significava svilire la
sua sacralità di madre e di dominante amministratrice in
lega con le altre donne nella verv.
In breve quando il cristianesimo si instaurò stabilmente
in quel lontano X sec. e in quel Nordest in realtà la chiesa
russa ortodossa con la sua monotona propaganda
misoginica non aveva ancora messo bene a punto una
strategia educativa per pretendere di riformare o di
rimpiazzare il ruolo femminile. Il battesimo per le donne
301
che orbitavano intorno alle città è vero che un po' alla
volta e poi sempre più rapidamente diventa popolare fra
le adulte, ma ci furono numerose esitazioni per la
cerimonia del miro o conferma che seguiva tempo dopo.
Le donne defezionavano e mostrarsi cristiane finì per
essere una maschera da indossare all'esterno del dom
così come farsi il segno della croce incontrando e
salutando così il prete al mercato o il monaco per strada.
Gli anziani del mir avevano aggregato il nuovo dio
cristiano coi suoi santi agli altri dèi, senza però che
nessuna delle divinità pagane perdesse di potenza
cosmica e di popolarità. Ogni divinità continuava ad
essere invocata per la sua specificità allorché ce ne fosse
stato il bisogno o sbeffeggiata, come racconta IbnFadhlan, quando essa non rispondeva ai riti soliti. Da
cristiani magari sarebbe stato il segno della croce a
rafforzare la richiesta.
Non so per certo quali fossero i pensieri che passavano
per la mente degli anziani e delle donne della verv, ma
credo che timorosi di passare per vecchi zotici e ignoranti,
tutto ciò fosse il succo di cui si nutrivano vivendo la
doppia fede o dvoeverie della storiografia classica.
Ad esempio non piaceva ai vescovi che le solennità delle
grandi feste di popolo finissero di nascosto nel fitto della
foresta in sfrenatezze e alla fine l'ultima soluzione fu di
conservare le festività pagane tali e quali, mettendovi a
garanzia della “non-paganità”, un santo qualsiasi (se non
la vergine Maria) che le presiedesse e un prete a benedire
prima di inaugurare. In verità l'esaltato monoteismo con i
numerosi santi protettori introdotti dalla chiesa per ogni
302
giorno dell'anno, è un evidente politeismo ed era logico
che i contadini ad ogni santo attribuissero il governo
specifico di una forza della natura da loro conosciuta con
altro nome divino e che pertanto vi si rivolgessero con i
riti pagani appropriati che gli antenati avevano prescritto
invece che rivolgersi al prete.
Sia chiaro che la rivoluzione che il cristianesimo
proclamava di voler imporre nel mir trovò un terreno
estremamente sdrucciolevole e ci volle parecchio tempo
perché si realizzasse un modus vivendi che assecondasse i
canoni cristiani e nel contempo non offendesse la
tradizione. D'altronde fu un modo di fare comune in tutta
l'Europa e non vedo perché nella Pianura Russa potesse
essere altrimenti.
La dea dell'amore.
Non si possono seguire, per intenderci nel Medioevo
Russo, gli schemi della mitologia classica greco-romana
per la sessualità e individuare un dio o una dea
dell'amore assimilabile a Venere o a Afrodite o agli dèi del
piacere come Priapo o Pan e in più raccontare di eroi
dalla straordinaria potenza maschile tipo Eracle/Ercole.
Anzi, è bene dire che una “teologia” del tipo grecoromano non esisteva e per quanto riguarda il sesso
l'antica parola russa per amore, ljubov, è praticamente
assente. Non basta a descrivere i legami di coppia
eterosessuale così come non esiste vljubljònnost, parola
russa per innamoramento, che apparve nel '800 nella
lingua di corte a detta di N. Karamzin (1766-1826),
303
storico classico dell'impero russo.
Nelle CTP nel cosiddetto Olimpo vladimiriano l'unica
divinità femminile menzionata è Mokoša, la quale, non
tenendo conto delle innumerevoli e riconosciute sue
funzioni, si può in effetti identificare nella dea dell'amore
pagano associandola con la Gran Madre Terra.
Il suo nome ha una vaga assonanza ugro-finnica, ma ciò
dice pochissimo sul suo culto che, a parte i riscontri fra le
varie etnie della Pianura Russa, doveva essere comunque
ben radicato e diffuso. La chiesa russa fu costretta a
identificarla con la popolare santa Parasceva (in russo
Praskovija) o la Santa del Venerdì nata in quel giorno
della settimana a Roma nel II sec. d.C. per annunciare la
preparazione (in greco paraskeve) al trionfo del creatore.
E che dire se la Madre Umida Terra, la vergine Maria e
madre di dio, Prascovia e Mokoša sono tutte divinità
collegate all'acqua e alle sorgenti dispensatrici di
benessere materiale di cui la Pianura Russa è dotata in
maniera esagerata? I pozzi, le sorgenti diventeranno
altrettante cappelle e saranno frequentate per le qualità
curatrici soltanto da donne.
Il tempio di Mokoša però resta la casa contadina dove,
benché col battesimo troneggi l'icona cristiana nell'angolo
opposto alla stufa (pečka), la dea pagana non s'è mai
mossa da dove risiede invisibile cioè dalla trave traversa
portante del tetto, in russo matìca cioè mammina. Di là
essa irradia la sua protezione sulla famiglia, attenta
affinché la vita della verv si svolga secondo le regole
antiche. Interessante è l'annotazione di B.N. Putilov
(2000) che associa Mokoša col verbo lituano makstyti
304
ovvero intrecciare, cucire mettendo in evidenza una
funzione prettamente femminile nel Medioevo ovunque
in Europa ossia l'industria casalinga del vestire.
Mokoša, dea dell'amore, presiede però anche al parto.
La futura gestante, una volta scelto il padre fra i
partners da lei preferiti, avrebbe pregato Mokoša in
segreto affinché l'assistesse durante lo sviluppo del feto
nel proprio utero. Nelle eventuali copule sarebbe toccato
al “latte” del maschio, lo sperma, rilasciato durante la
penetrazione vaginale a cominciare a nutrire il feto che la
donna cresceva nel suo grembo, come ho più volte scritto.
Devo confessare che ho esitato nella ricerca se attribuire
quest'ultima idea della funzione spermatica ai pagani del
nordest in generale, giacché ne circolava pure un'altra e
cioè che lo sperma rappresentasse l'intenzione autonoma
del maschio, trasmessa in segreto al suo liquido magico,
di far generare in una donna da lui prescelta un bimbo a
lui somigliante… sempre che gli dèi mandassero il feto
giusto! Questo lo si dimostrava nei giochi amorosi – si
diceva – allorché il partner evitava ogni inutile erotismo
che permetteva che l'eiaculato andasse a finire in altre
cavità della partner se non nell'utero. In altri termini non
più fellatio, cunnilingus e penetrazione anale o altre
tecniche! Lo sperma maschile andava accolto dalla donna
e, secondo le credenze dell'epoca, con l'orgasmo lo
avrebbe risucchiato dentro di sé. Per di più si credeva che
l'orgasmo, maschile stavolta e non quello femminile,
fosse il segnale atteso dal maschio occupato nella
ierogamìa dei riti di fertilità onde interrompere la
penetrazione vaginale prescritta ed eiaculare sulla nuda
305
terra assicurando che la Gran Madre Terra se ne servisse
per il bene dell'ecosistema abitato dalla comunità umana.
Insomma queste spiegazioni che noi oggi sappiamo
essere scientificamente infondate, nelle fiabe popolari
europee e in quelle del nordest si coglie che se il neonato
non fosse stato maschio, la donna ne avrebbe ricevuto
l'intero biasimo per aver manipolato il feto ingannando
l'aspirante padre. È un modo di vedere paleo-scientifico
deducibile dall'archeolinguistica che può essere apparso
addirittura nel 9000 a.C. (durò tenacemente fino a ca.
1850) ossia alla probabile data in cui il matriarcato subì il
tracollo con l'invasione indoeuropea (C. Quiles 2019).
C'è un posto dove la copula si realizza appieno secondo
le aspettative tradizionali? Sì. Nei luoghi che Mokoša
frequenta di più come è appunto la casa. E il parto? Nella
banja dove la partoriente sarà assistita dalle donne e
dalle servette invisibili di Mokoša, le ròžanicy. La dea
dirige l'intera operazione a partire dall'annuncio
dell'inizio del travaglio. Per questo era chiamata anche
Porà cioè colei che fissa il momento... del parto.
Dopodiché il neonato/a è trasferito/a di lì in casa e
depositato al momento nella culla appesa alla matìca
perché goda di un destino (dolja) fortunato. Se il destino
risulta disgraziato o nedolja si dirà che le Sagge Donne di
casa non sono state attente oppure, apriti cielo, qualcuna
di loro ha fatto un incantesimo e allora sì che son guai.
Di fatto la vita umana era un gomitolo di filo che
scorreva fra le dita delle tre Rožanicy partendo dal
bandolo di partenza fino al bandolo della fine. Di qui era
la stessa Mokoša che accompagnava l'individuo nel
306
mondo dei morti a ricongiungersi con gli antenati, salvo
che costui/costei non avesse infranto gravemente le
regole. In tal caso Mokoša lasciava che il cadavere
continuasse a vivere senza pace vagando sotto forma di
vampiro (upir o vurdalak/volkadlak in russo) che non
avendo più un corpo, da essere immondo doveva nutrirsi
per vivere suggendo sangue umano.
Mokoša in una bella allegoria di Valerii Makarov (My-Slavjane! v. bibl.)
Mokoša in tempi remoti aveva insegnato alla donna in
maniera riservata durante il matriarcato l'arte della
sartoria a cominciare dalla coltivazione delle piante tessili
e passando attraverso la filatura delle fibre ottenute e fino
307
al telaio dove si tesseva, dopo la pettinatura. Era sempre
la donna a cucire, ricamare e intrecciare e a proporre
modelli per le vesti. La sua abilità era raccolta nella
conocchia (prjalka) considerato uno strumento magico
capace di sopraffare qualsiasi maschio ardito che avesse
osato disturbare una filatrice o una tessitrice al lavoro.
Puntandogli contro la conocchia, una donna riusciva
persino a castrarlo (M. Dashu 2018)!
In breve l'unica fornitrice di vestiti della verv è
impegnata a seguire le direttive di Mokoša anche perché
ricordo che il vestito è un oggetto importantissimo dal
punto di vista sociale. Non ci si copre nel freddo, ma si
indossa una veste in modo che da essa si riconosca a vista
il rango della persona e la quantità di rispetto ad essa
dovuta... come sapeva bene il nostro Dante Alighieri.
Nel mondo slavo-russo la dea protegge quelle attività
prettamente femminili e prescrive che filare e tessere
s'interrompano il venerdì in suo onore per essere riprese
il giorno dopo. Né si può lavorare con filo e telaio di notte
poiché sarebbe uno sgarbo alla dea e lei renderebbe i fili
pieni di nodi, ingarbugliati e i tessuti inutilizzabili.
Eppure si apprezza ancor di più questa produzione
artigianale femminile perché è capace non solo di
abbellire e esaltare gli uomini e le donne nei vestiti, ma
anche di addobbare i luoghi con sfarzo e colori come l'uso
cristiano spesso ne richiedeva nelle sue chiese. Il bagaglio
di usi e riti pagani alla base di una produzione artigianale
così importante non mi risulta peraltro cancellato o
distrutto del tutto dal cristianesimo che accettò la solidità
delle pratiche contadine per la sartoria e il ricamo, salvo
308
che nei simbolismi pagani. Molto più tardi (XVI sec.) la
tessitura divenne un artigianato accessibile a chiunque e
fu ammessa fra i monaci, almeno per usi interni al
convento e senza abbellimenti o ricami e in questo caso
Mokoša di sicuro la si sostituì con Santi artigiani.
Vasljanica, un capo d'abbigliamento prodotto dai monaci per i monaci
Accenno qui che fra i nomadi delle steppe, a parte il
cotone e la seta che si scambiava coi mercanti della Via
della Seta, il materiale per vestire era in prevalenza la
lana e il feltro oltre che le pelli conciate e, fatto notevole,
la produzione comunque restava in mano alle donne con
la magica conocchia. Non solo, ricorderò ancora una volta
che donna delle steppe era sopratutto una cavallerizza
che montava a cavallo a cavalcioni come i maschi senza
309
un'adeguata protezione, i gambali di morbido cuoio, del
proprio pube e del proprio perineo che addirittura
radeva. Addirittura l'imperatore bulgaro del Danubio
Boris I battezzato Michele era incerto se dovesse proibire
alle bulgare di indossare i pantaloni e tirar d'arco ancora
nel X sec. giacché la questione aleggiò come costume
pagano non ancora sparito. Io leggo in questo episodio
però una vittoria della misoginia cristiana sulla parità
umo-donna vigente nell'universo delle steppe turcofone.
Il vestito tuttavia è destinato a diventare un articolo di
seduzione femminile man mano che s'allunga per la
pudicizia inventata dai cristiani che reprime la nudità
muliebre mai imposta prima nella Pianura Russa.
La pudica nudità.
A parte alcune solennità collegate con l'amor pagano e
con Mokoša conservatesi fino ad oggi, l'introduzione di
nuove categorie riguardo all'aspetto fisico nudo o vestito
di donne e di uomini il cristianesimo aggiunse negli usi
un fastidioso senso della vergogna. Si ricorse a una rigida
educazione che tendesse a un pudore istituzionale dove
l'esibizione del corpo nudo o il coito in pubblico
(pornografia) diventavano peccati sessuali talmente gravi
da dover espiare poi con flessioni e digiuni numerosi, se
non in alcuni frangenti con la morte.
La nudità – delle donne nella stragrande maggioranza
dei casi – fu classificata più o meno indecente in base alla
misura di spazio di pelle esposta e negativamente
aborrita dal clero cristiano. Di qui sai e camicioni sino
310
alle caviglie di diaconi e diaconesse...
Non solo! La bellezza muliebre in primo luogo affinché
si combini bene con la giovinezza che naturalmente va
dall'età di 15 ai 40 anni e per il maschio anche oltre, nella
pubblicità moderna con varie operazioni cosmetiche
viene esaltata, corretta e rifatta purché non offenda i
termini molto incerti della pubblica decenza... un
lavoraccio! In altre parole il periodo in cui la società
considerava i propri membri giovani o vecchi è molto
cambiato a causa dell'allungamento della vita attiva.
Dalle ricerche archeologiche e demografiche fatte in
necropoli medievali in ambiente culturale germanico, il
neonato per il 65-70 % raggiungeva i 14 anni. Nei tempi
andati si era “maschi” adulti a 9-10 anni e di conseguenza
in grado di far da capofamiglia con cognizione di causa.
Era diffuso il concetto giuridico che l'essere umano
maschio “nascesse nella vita pratica giusto alla pubertà” e
che prima di quell'età fosse qualcosa di vivo benché privo
di valore sociale. Mancava dunque l'età che chiamiamo
adolescenza e che prevede l'adulto a 18 anni come ho già
accennato in altri passi precedenti.
Per le femmine non era tanto diverso giacché il menarca
appariva a 11-13 anni.
Che cosa suggeriscono questi dati genericamente
applicati all'ambiente multietnico del nordest? Che nel
confronto del presente col Medioevo quando la durata
media della vita era 35-40 anni con un'alimentazione
incompleta e precaria e una medicina praticamente
inesistente, in Europa esisteva nel passato la peculiarità
che era rarissimo incontrare la bruttezza fisica
311
dell'invecchiamento! E di qui una certa indifferenza
rispetto alla nudità e pertanto la massima libertà e
frequenza delle manipolazioni corporee reciproche fra
persone che suscitassero piacere senza un coito completo.
Gran Madre Terra in un ricamo museale di tradizione bielorussa
È evidente malgrado tutto che chi dei maschi superasse
la soglia dei 40 anni aveva perso ormai ogni probabilità di
arrivare ai vertici del potere perché vecchio e fuori dal
giro! Non era però la stessa cosa nel Caucaso dove gli
Abkhazi hanno ancora oggi fama di longevità. Per questa
gente i maschi dovevano curarsi di sesso intenso solo in
età oltre la pubertà e sarebbero rimasti attivi ben oltre i
70. Per le donne per converso passati i 40 anni e dunque
vicine alla menopausa, se continuavano a vivere
acquisivano una posizione di saggezza, qualità preclusa ai
312
maschi e da questi pertanto ritenuta inutile da conseguire
con l'esperimento o lo studio.
Non solo! Non prevedendo più gravidanze, dai racconti
popolari si evince che le donne slave (!) in questi
momenti della loro vita si sfrenassero sessualmente e non
facessero troppa differenza di sesso fra i partners.
Dai resoconti dei mercanti che compravano schiavi nella
Pianura Russa, l'offerta “slava” era altamente apprezzata
per la “qualità del prodotto” poiché implicava pochissimi
scarti nella scelta finale della compravendita e i ricavi
invece restavano altissimi. Il mercante stesso tuttavia
giudicava il prodotto umano non tanto basandosi sulla
bellezza data per scontata dalla giovanissima età quanto
sullo stato di salute e sulle eventuali deformità nascoste.
Prova ne sia che SLAVO e SCHIAVO nelle lingue europee,
dal VIII sec. in poi, malgrado le minime differenze
grafiche o di pronuncia, indicava non più un'ipotetica
appartenenza etnica, ma un “marchio di qualità” di
servitori e di ancelle dalle piacevoli attrattive fisiche e,
perché no?, di ottima resa di godimento negli amplessi.
Si tenga presente che in quei lontani tempi pochissime
donne avevano la possibilità di contemplare il proprio
viso e perciò fare il maquillage più idoneo ricorrendo a
specialisti cosmetici costava moltissimo... Gli specchi? I
pochi che circolavano fra i più abbienti erano di ottone
lucidato e comunque malvisti dal punto di vista pagano
perché “osavano” riflettere la luce del sole o della luna. I
profumi? Intoccabili per i costi. Non voglio dire con ciò
che nel mir non esistessero degli standard specifici per
l'avvenenza fisica femminile, ma solo che non avevano il
313
gran peso di oggi.
Prima però di giungere a una qualsiasi conclusione,
osserviamo la statuetta trovata nei monumenti megalitici
di Malta, con 4000-5000 anni di età, di una cosiddetta
Venere di pietra. In questo reperto archeologico (non
l'unico, naturalmente) si possono ammirare gli standard
di bellezza muliebre più diffusi probabilmente nell'intera
area europea anche nei millenni successivi a quanto mi
risulta dalla tradizione orale e che, non sono mutati molto
rispetto a quelli di oggi detti curvy.
Pure i visitatori stranieri del XV-XVI sec. affermavano
che i russi stessi lamentavano prima di tutto nelle loro
donne mammelle poco sviluppate e una fastidiosa
pelosità delle gambe. Sono giudizi facili da dare perché in
realtà, non appena col cristianesimo si instaurò la
cosiddetta “decenza” nel vestire delle donne, toccò celare
il pube, ma non le mammelle!
314
Riguardo alla pelosità della donna sulle labbra, sulle
gote o sulle gambe, era una qualità accettata che lasciava
immaginare un certo fascino mascolino nell'eventuale
copula e ciò normalmente non era cosa da scartare.
D'altronde perché radersi, se il corpo umano era fatto in
quel modo?
Ho già parlato della barba maschile e qui sottolineo che
nelle byline solo le vily e gli altri esseri femminili della
foresta erano totalmente glabre! Quanto alle mammelle
era noto l'uso di serrare con fasce quelle appena in boccio
delle ragazze puberi, forse importato dalle alane (ossete)
del Caucaso che usavano una specie di cinghia che con
sette giri appiattiva il seno fino alla notte di nozze quando
lo sposo la scioglieva e la conservava fra gli oggetti cari di
famiglia. L'uso alano si spiegava col fastidio per le donne
315
abituate a cavalcare e avere le mammelle dondolanti
mentre si era in sella (A. Mayor 2014).
Sono giudizi che contraddicono gli apprezzamenti delle
corti musulmane e cristiane per le “belle slave” in
particolare e per i robusti slavi che in gran numero i
veneziani importavano dai Balcani e mettevano in
vendita sul mercato della Riva degli Schiavoni (nome
classico in antico italiano per slavi). Anzi, mi occorre
dirlo, il punto di vista dei persiani era che una pelle
troppo chiara (slavata!) indicasse debolezza e malattie
nascoste.
I musulmani sottolineavano invece l'indipendenza
estrema delle donne europee del Nordest senza eccezione.
Ecco quanto viene riferito direttamente all'ambasciatore
arabo al-Ghazal (845 d.C. da B. Lewis, 1983) dalla moglie
di un re vichingo al riguardo:
«...non sappiamo che cosa sia la gelosia. Le nostre
donne stanno con i nostri uomini solo se lo desiderano.
Una donna sta con suo marito fintantoché ne ha voglia e
lo lascia quando non ne ha più voglia.»
316
un mercato di schiavi (pittura rinascimentale da internet) idealizzato
Un aspetto strano che qui sottolineo è che nell'islam del
Centro Asia si vociferava che la ragazze slave fossero
sterili e che quindi non ci si preoccupasse tanto in
quest'ambito. Eppure nell'altro islam di al-Andalus non
c'era un personaggio pubblico che non avesse madre
slava comprata schiava al mercato! E alla fine del
Medioevo spagnolo alcune di esse ebbero un ruolo
importante politico diretto in qualche regno Taifa.
Se ciò non bastasse a confermare i comportamenti che
vado descrivendo fin qui, non dovrebbe neppure stupire
quanto qui di seguito scriverò sulle collusioni slavoceltiche visto che le due etnie, al di là delle affinità
culturali indoeuropee scontate, germani, slavi e celti
317
vissero per secoli a stretto contatto e lungo le rive del
Baltico e nella Mitteleuropa (J. Markale 2012) e con i
turchi nel Centro Asia (P.B. Golden 2011).
S. Cvetkov (2008) menziona un interessante e notevole
documento prussiano di fortissima risonanza celtica in
circolazione prima dell'eliminazione dell'etnia baltoslava
prussiana nel XII sec. e il cui autore è del V-VI sec. a
nome Vaidevut.
Il documento in questione si intitola I 17 comandamenti
per mio fratello Krive-Kriveito di Balga per aiutarlo a
tenere unito il popolo e ci dà un'idea dei costumi sessuali
intrisi di mitologia pagana comune con gli altri baltoslavi
dato che Krive-Kriveito lo si trova venerato fino al XIV
sec. in Lituania.
La torre di questa autorità religiosa pagana ancor oggi è
ammirabile a Vilnius come un pseudo-campanile davanti
alla cattedrale cattolica della città.
Ecco di seguito i comandamenti da me più o meno
riadattati linguisticamente che rendono possibile rivedere
i comportamenti della gente baltoslava e, probabilmente,
anche di quella slavo-russa:
1.
Nessuno osi mai rivolgersi agli dèi del cielo al
posto di Krive-Kriveito né osi portare nuovi dèi alla
venerazione dei prussiani poiché i veri dèi sono
Potrimpos, Perkunos e Pikolos dai quali questa terra è
stata a noi concessa
2.
Grazie a loro dobbiamo riconoscere in KriveKriveito il nostro sommo sacerdote....
3.
Dobbiamo venerare e temere questi dèi perché
hanno dato la vita alle nostre belle donne, ai molti figli,
318
un buon cibo, bevande dolci, per la bella stagione abiti
candidi e per la cattiva abiti caldi...
4.
I nostri vicini se venerano i nostri dèi saranno ben
accolti altrimenti saranno da noi uccisi col fuoco e col
bastone
5.
L'uomo può avere tre consorti legali. La prima
deve appartenere alla schiatta degli antenati che vennero
per primi in questa terra, mentre le altre possono essere
di schiatta locale
6.
Se un uomo si trova circondato da consorti, figli,
servi, fratelli affetti da malattie inguaribili dovrà decidere
di dar fuoco agli infettati e se lui stesso si trova nelle
medesime condizioni, uccidersi nello stesso modo...
7.
Se una persona sana per una qualsiasi ragione
vuole sacrificare agli dèi un servo o un figlio bruciandoli
vivi, nessuno l'impedisca giacché il sacrificio nel fuoco
rende santi e degni di stare a fianco degli dèi
8.
Se un uomo o una donna perde l'onore [s'intende
in atti non leciti e non sessuali], dovrà sopprimersi nel
fuoco davanti agli dèi
9.
Se una donna si rifiuta di dare il proprio corpo alle
voglie del consorte è degna di essere bruciata nel fuoco
insieme alle sue sorelle poiché vuol dire che tutte insieme
non hanno recepito l'obbligo imposto dagli dèi di
assoggettarsi all'uomo
10.
Se un uomo circuisce una ragazza o la consorte di
un altro uomo per un amplesso forzato dovrà essere
punito col fuoco
11.
Chi deflora una ragazza è pure obbligato a
prenderla per consorte
319
Chi uccide un sacerdote che avrebbe sostenuto (in
giudizio) un assassino e i di lui amici, dovrà subire la
vendetta di questi ultimi
13.
Il ladro scoperto la prima volta lo si bastonerà [...]
la terza e ultima volta sarà dato in pasto ai cani
14.
Nessuno può costringere un altro a lavorare per
lui...
15.
Sarà considerato onorevole chi è rapido nell'agire
meglio di altri...
16.
Se un uomo è fortemente addolorato per la perdita
della consorte, affinché non stia in pena giorno e notte
occorrerà che si trovi al più presto una fidanzata con la
quale consolarsi sessualmente.
17.
Se poi ne sarà soddisfatto nel corpo con lei
completamente, dovrà assicurarsi che anche lei sia
soddisfatta nella stessa misura. Se ciò ha esito positivo, si
sacrificheranno agli dèi un gallo e dei pulcini in
ringraziamento.
18.
Se un uomo muore e lascia da sola la sua consorte
in vita e senza figli, è obbligo dei suoi amici scapoli
tentare di sollecitare sessualmente la vedova a produrre
figli. Tuttavia se essa preferisce restare vedova e senza
figli, dovrà mettersi sotto la protezione dei suoi stretti
parenti fino alla fine dei suoi giorni.
A parte le evidenti e logiche somiglianze celtico/slave
che riecheggiamo le radici comuni indoeuropee, i pagani
del nordest come si interfacciavano con il divino nel fare
all'amore? In primo luogo credevano che copulando si
potessero trasformare in esseri divini ed è ovvio che tale
credo non avrebbe avuto grosse difficoltà ad accettare
12.
320
nella sfera sessuale i canoni provenienti dall'Occidente
perché anche i cristiani millantavano che gli uomini
erano fatti a immagine e somiglianza del dio creatore.
Paganesimi e teologie nelle parole dell'amore.
Partirò da un evento importante per l'attività agricola: la
pioggia. Queste gocce erano null'altro che lo sperma del
dio del cielo che fecondava la dea terra...
Il processo avveniva per volere e con la partecipazione
diretta delle due forze divine e quindi auspicabile per
l'agricoltura, mentre la copula umana non poteva sortire
alcun effetto simile, salvo che non fosse sacralizzata con
una ierogamìa pubblica. È l'interpretazione di alcune mie
fonti storiografiche e che noi oggi condivideremmo per
un mondo pagano di cui sappiamo quasi nulla. l 1000
anni fa era ammissibile che la Gran Made Terra e il Cielo
in connubio facessero funzionare il cosmo benché non
fosse noto il ruolo biologico che ha lo sperma.
Sia come sia, non starò a arzigogolare troppo sulle
parole fecondare, fertilità o sterilità et sim. per il semplice
motivo che tali concetti sono moderni, mentre nella
tradizione pagana è possibile per gli esseri umani e non
umani trasformarsi in divinità persino animali, almeno
per breve tempo tout-court e avere poteri mirabolanti.
Nella tradizione slavo-russa sono noti esseri divini che
fungono da referenti magici dell'attività sessuale umana e
ne nominerò qualcuno benché con l'intimo sospetto che i
nomi tramandati comprendano divinità non sempre
slave, ma recepite nei contatti interetnici. Dare un nome
321
agli dèi cioè alle forze della natura significa entrare nella
logica classica greco-romana e poi cristiana di un sistema
di pensiero totalizzante che presso il paganesimo
multietnico del nordest non esisteva. In altri termini la
venerazione dei fenomeni naturali ha lasciato tracce
indelebili nella tradizione orale pagana negli eroi e nei
loro nomi e in questi i missionari cristiani hanno voluto
rivedere in modo semplicistico uno schema di religione
presunta ostile popolata di demoni.
Della tradizione sincretica che esamino qui non vanno
trascurati 2 aspetti:
1.
l'omologia che tiene insieme livelli di esistenza
seppure differenziati: l'uomo e la divinità legati da
solidarietà antica perché entrambi parti di cicli storici
come il circadiano, la vita umana dalla nascita fino ad
essere in grado di fare all'amore e
2. la capacità di sapere astrarre e simbolizzare usando
schemi di conoscenza e immagini favolistiche come il
carro del sole, le tenebre stagionali etc. perché adatte alla
trasmissione sotto forma di insegnamento da genitore a
prole.
Prova è che non si ha a che fare con qualcosa di vago e
di primordiale, ma si ha davanti agli occhi una volontà
passata, per così dire nazionale, non scritta perché non
serviva in tale forma, che vuole sfruttare al meglio le
esperienze passate e le soluzioni adottate dai predecessori
per superare gli ostacoli e evitare i pericoli tramite una
religiosità mutevole piuttosto che una religione.
Spero che sia chiaro pertanto che non mi riferisco nel
seguito a un Olimpo divino slavo o ugro-finnico o altro,
322
ma al contrario tento di ricostruire un “pensiero pagano”
di nordest con i suoi ammennicoli, non ancora fagocitati
dalla cristianizzazione.
corna di uro per il sacro simposio (da una cartolina museale)
Un dio indoeuropeo conservatosi nei paganesimi
europei è il Dio-padre-cielo presente con questo stesso
nome ovunque, più o meno storpiato dalle vicissitudini
linguistiche del tempo, e gli fa da paredra, sottomessa, la
Gran Madre Terra. Nel cosmo teologico pagano-slavo è il
russo Svarog che governa dal cielo. Sovrasta e domina
Madre Umida Terra (Mat Syra Zemlja), la detta dea
femmina. Si legittima l'esito della vecchissima lotta per il
potere e della vittoria maschile che vede nella donna
l'essere più debole per lui indispensabile e ovviamene la
destina al perenne sfruttamento, ma non più che da
paredra. Le ipostasi animali della coppia cosmica divina
sono nella tradizione slava (e indoeuropea in generale) il
toro e la vacca. Il toro è quello selvaggio o uro (zubr)
vagante nella selva e i cui possenti muggiti terrorizzano i
viventi, mentre la vacca è quieta al riparo in attesa di
323
essere montata. Il toro è immaginato di mole enorme
specie negli attributi sessuali come le sue enormi e sacre
corna che, inargentate e scolpite, sono usate nei simposi
degli uomini di potere per bere la bevanda inebriante che
stabilisce il contatto uomo-dio e riafferma il dominio
concesso all'uomo-sovrano.
Nelle festività solenni alla fine dell'estate al toro (in
russo tur) si sacrificavano dei buoi e se ne donava il
sangue al Dio-padre (cristallizzato forse nel più noto
Perun). La carne invece si consumava in un'orgia di
appetiti di cibo insoddisfatti che combinavano la carne,
fresca e abbondante una volta nell'anno, con la copula
libera dei partecipanti seguita dallo spargimento dello
sperma. Gli anziani vi partecipavano indossando
maschere di cuoio col muso di toro e aprivano le
cerimonie inneggiando alla divinità con canti e danze, ma
da autorità e in ruolo di testimoni della giustezza rituale.
Un santuario dedicato al dio-toro esisteva nei pressi
della cittadina bielorussa di Turov, appunto Città di Tur.
E nel Podil di Kiev (città bassa) a Veles/Volos era
dedicato il palo (kumir) innalzato in piena piazza del
mercato e scolpito con corna e col muso taurino. Inoltre,
poiché i bovini (allora non erano più grossi di cani sanbernardo) rappresentavano la ricchezza di cibo nei
momenti di fame, e Veles lo paragonerei al dio Plutone
romano. Il suo omologo baltoslavo era Vels che si batteva
contro Perkunas, per il governo del cosmo.
In realtà il nome Volos, Veles, Vels è collegato con la
radice indoeuropea *vor- che significa copertura di pelo,
pelliccia (cfr. lat. (v)lana e villus/villosus come anche slv.
324
volna o lana e volos o capello e ancora vorš o pelo ritorto
etc.). Veles antropomorfizzato era un pastore avviluppato
nella sua burka di lana feltrita a pascolare mandrie. E se
ben rileggo dei racconti del passato, Veles ai tempi
primordiali quando imperavano le donne, doveva essere
l'unica persona di sesso maschile con cui esse avevano
contatti per gli scambi e a Veles qualcuna scelta a sorte si
concedeva a mo' di pagamento per la compravendita.
Veles inoltre corrisponde al celtico Belenos cioè Belin dei
bielorussi che a volte si identifica persino con l'orso.
Con questi miti si intreccia la leggenda del Vello d'oro e
degli Argonauti, di Giasone e Medea, appunto in area
caucasica. Insomma avveniva da sempre nelle razzie dei
nomadi delle steppe che i villaggi cedessero le loro
giovani e, anzi, così accadeva pure nel cosiddetto poludie,
citato da Costantino VII Porfirogenito quando racconta
che i Rus (Rhos) lasciano Kiev d'inverno e si recano al
nord a raccogliere tributo e qui rimangono fino al ritorno
del bel tempo. L'Imperatore ha preso per vera una favola
giacché il poljudie non era altro che le razzie sistematiche
condotte dai Rus sugli spartiacque (volok) dei fiumi
maggiori contro i villaggi che lì facevano servizio di
trasbordo e che cedevano loro quanto trasportavano di
valore, compresi i giovani che lì lavoravano.
Un altro dio importantissimo era Jaro o Jarilo, il cui
nome risale all'indoeuropeo *jar- che significa luce che
nasce, chiarore, ardore giovanile e persino ira, sforzo.
Dopo il freddo inverno, il dio annunciava e apriva la
semina dei campi finora quiescenti. Era Jaro che con un
gesto di forza maschia metteva in moto la ruota del
325
tempo. Anche i latini (con la variante in -n) veneravano
una divinità simile, Janus dai due volti, a simbolo del
passaggio dall'anno agricolo vecchio a quello nuovo,
fresco e giovane. Jarilo è dunque l'aspetto primaverile
del dio Rod accostabile al prussiano Pikolos e all'estone
Peko, entrambi dèi della fertilità con riti simili. Non solo!
A Jarilo seguiva nei giorni successivi la celebrazione di
Perun, padrone del fulmine e delle nubi cariche di pioggia
fertilizzante.
C'è un'assonanza strana, ma accettabilissima dal punto
di vista del sincretismo in atto nel nordest fra etnie a
contatto, con la massima divinità ugro-finnica del cielo
Jumala in cui tolta la particella sostantivante -la resta
Jum- facilmente assimilabile a jan-/jar- e persino al dio
lettone Jumis. E non vorrei speculare oltre assimilando
tale radice con juvenis, junyi, jung etc. che indica il
giovane che ha forza e che può aiutare cfr. anche lat.
ad-juv-are e la dea paredra di Giove, Juno (Giunone).
Nei riti in onore di Jarilo fra i ragazzi del mir si
sceglieva il più aitante come momentaneo rappresentante
del dio che sarebbe andato in giro col fallo eretto da
accarezzare e baciare durante le feste e alle ragazze e alle
vedove regalava falli di legno da appendere al collo a
protezione contro ogni nečistaja sila. Avrebbe poi
compiuto la copula della fertilità sulla nuda terra di un
campo vergine con una giovinetta mai toccata dal
maschio. Dopo la copula sacra, c'era il solito grande
potlatch dove con la crapula, si amoreggiava di regola in
modo promiscuo.
J.D. Petuhov (1998) riporta un inno a Jarilo che le
326
ragazze intonavano prima di lanciarsi nei horovdy (danze
circolari) e che qui di seguito riproduco nella mia
traduzione.
Jarilo, Jarilo, grande Jarilo
Tue siamo noi
Mettici in ardore
Subito.
Il cavallo già scalpita e il knjaz-signore anche lui
Monta!
Monta e prendi fra noi quella che vuoi.
Jarilo, Jarilo
Sono ardente
Jarilo, Jarilo
Sono tua
Bruciami, bruciami
Con gli occhi tuoi di fuoco.
Strano a dirsi, per l'odio per il sesso della chiesa
cristiana, il Cantico dei Cantici della Bibbia non è dello
stesso tenore – la tradizione lo vuole composto dal re
Salomone addirittura – ma non fu neppure lasciato
leggere volentieri ai nuovi cristiani né mai cantato al
posto del sopraddetto inno pagano.
Ed eccone un estratto per un confronto:
LUI: ...perché l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata,
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato…....
327
...Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
O mia colomba,
che stai nelle fenditure della roccia…....
...mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è incantevole
LEI: ...il mio innamorato mi appartiene e io a lui;
…...ritorna, sii come il camoscio
o come il cerbiatto negli spazi delle montagne...
Nel lavoro dell'antropologa I.V. Ržepjanskaja (2010)
alcune riflessioni sulla sessualità del passato nella regione
kievana dimostrano che erano le donne ad offrirsi ai
maschi solleticate dalla voglia di fare all'amore. Alcuni riti
“femminili” sono perciò eseguiti in presenza del serpente
che la donna poi taglierà a pezzi e arrostirà in onore degli
dèi, ma soltanto dopo una copula che il serpente, simbolo
fallico pure nella mitologia slava, presto favorirà con un
uomo che le faccia da compagno-protettore.
Il sincretismo pagano-cristiano serpente-donna-MariaVergine appare chiaro nel horovod del Jaš, antichissimo
rito pagano di fare all'amore sotto l'egida del serpente.
Il rettile è strettamente collegato al mondo sotterraneo e
con la morte fisica e, in più, odia l'immobilità della donna
nella copula.
È un essere d'acqua poiché gli animali serpeggianti nella
biocenosi del nordest vivono di solito nei laghi e nelle
328
correnti ed è qui che incontra la donna, principale
frequentatrice nelle sue svariate incombenze delle
sorgenti e degli ambienti acquatici.
Jaš o Jašerica (oggi indica più propriamente la
lucertola e nelle favole diventa il drago) e in ucraino
Jašei è il nome dato alla figura del ragazzo al centro del
circolo delle ragazze che gli vorticano intorno esaltando la
forza del suo pene.
Parafraso il testo cantato all'occasione:
Resta seduto o serpente sotto l'arbusto di nocciolo,
scrocchia coi denti il frutto del nocciolo, il dono gentile
che ti sei procurato. Ciok-ciok cinque-dita, serpente
ingenuo!
Dov'è la ragazza per te? E come è vestita? Come si
chiama? E da dove è giunta fin qui da te?
----Voglio fare all'amore, dicevi?
E perché indugi?
Prenditi una signorina, quella che vuoi...
Quella che più ti piace.... e vai!
In particolare le ragazze baltoslave lettoni erano ben
note per la loro avvenenza, ma piuttosto per la loro abilità
molteplice nel “far all'amore”. Alcune canzoni cantate
durante il lavoro del lavare i panni presso un fontanile
dove era scontata la nudità della lavandaia, sono fino a
oggi sopravvissute e indicano che c'erano i posti dove le
ragazze si radunavano e di là facevano l'occhiolino ai
ragazzi mentre cantavano. Eccone i versi di qualcuna per
329
confronto con le precedenti (E. Shorter, 1988), ma altre
se ne trovano abbastanza più sconce in M. Dikarev (repr.
2020):
Le ragazze dicono facendo il bucato:
Ci toccano soltanto i pantaloni però vuoti.
Come ci piacerebbe avere quegli affari
Che stan dentro i pantaloni.
Faccio girar la mazza del bucato
Più in alto della testa
Mentre lavo i pantaloni di un ragazzo
Altro non vorrei che quella mazza
Che sta dentro i pantaloni.
C'è anche un giudizio sulla rozzezza dei partner
amorosi contadini:
Per amore morivo di voglia
Di baciare il mio Gianni
Ma ogni volta che offrivo le labbra
Trovavo i pidocchi di Gianni.
Pazienza per i dannati pidocchi,
Ma il moccolo non mi andava giù.
Nel Medioevo Russo una festa citata spesso nei
“rimproveri ecclesiali” per la sua “fattura diabolica” è
nota col nome generico di Rusalii. Essa prendeva corpo
attivo nei due solstizi e cioè alla fine di giugno e alla fine
di dicembre. Ne ho parlato sotto il nome con cui i rituali
si sono standardizzati nel XII-XIII sec. ossia Kupalo col
330
magico falò e rispettivamente le Sagge Donne subito
dopo il Natale cristiano (26 dic.), salvo l'errore delle date
astronomiche senza la correzione gregoriana.
Le Rusalii (o Rusalki) restarono delle feste orgiastiche
periodiche in cui le donne avevano la preminenza e ne
gestivano gli eccessi come la crapula, l'ubriachezza, la
copula selvaggia e i travestimenti come elementi che
dovevano confermare festosità e allegria collettiva. Lo
scopo? Rinnovare l'amore olistico delle generatrici di
uomini usando bene le tradizioni degli antenati che esse
stesse perpetuavano (v. Wikipedia, русальные дни)
orgogliosamente usando il proprio corpo nel pieno delle
sue funzioni sessuali prima della decadenza dei 40 anni.
Accusate queste cerimonie di amore collettivo come
spettacoli pornografici o di prostituzione mascherata
oltre che di esibizionismo inutile e dannoso dall'autorità
ecclesiastica ortodossa quasi in sordina sebbene con
fermezza, val la pena ricordare qui che l'amore libero fu la
bandiera della libertà femminile in tutti i campi quando si
trattò di legiferare nella prima URSS nel 1917.
Capitolo undicesimo
331
Riverberi culturali
Ho pubblicato anni fa il Libro delle Attrattive delle
Donne (v. bibl. ACM) con i miei commenti sull'argomento
sessualità perché il trattatello, redatto in persiano-farsi
originariamente e influenzato da costumi vedico-indiani,
era il più diffuso e il più famoso (D. L. Newman, 2014)
dell'epoca (X-XII sec.) e rientrava nei miei studi di igiene
sessuale nel Medioevo. Lo cito poiché nella prima metà
del XIII sec. la chiesa ortodossa dové subire una pesante
crisi della Roma d'Oriente finita nelle mani dei latini nel
1204 e durata per oltre 50 anni. Non solo! Dall'ambiente
musulmano della Persia indiana in quello stesso tempo
giungevano nella Pianura Russa e fino in Occidente i
Tataro-mongoli con il progetto di stabilirvisi per sempre
lungo i grandi fiumi del Nordest.
Nell'insieme tutto ciò non risultò negativo perché con la
protezione dell'autorità tatara le centrali ortodosse di
Kiev e di Vladimir-sul-Kljazma riuscirono a fondare
nuove diocesi e nuove parrocchie nell'hinterland di nuove
città con sistemi complicati di soggezione sulle comunità
contadine. Invitando i contadini più arditi nelle nuove
comunità cittadine si spinse soprattutto a dimenticare la
poligamia e la promiscuità e adottare una visione
cristiana della famiglia mononucleare creando un mondo
nuovo che andava plasmato.
L'obbligo imposto al credente di scegliersi un'unica
donna come consorte per tutta la vita induceva a scegliere
332
una partner con criteri diversi basati sulla bellezza che
finora erano sfuggiti a canoni classificatori dell'aspetto
fisico ben definiti. Se però si doveva scegliere fra le più
belle, l'atteggiamento maschile della disponibilità
all'amplesso senza limiti doveva pure cambiare e ciò si
riscontra nel lavoro dei mediatori di matrimonio
svat+svaha che abbiamo già incontrato in una loro
maggiore attenzione nei famosi smotriny.
Intanto tramite i traffici dei bulgari del Volga nei
racconti dei viaggiatori, negli apprezzamenti dei mercanti
di schiavi arrivano nella Pianura Russa gli elementi di
paragone in ambito sessuale diffusi da secoli nel Centro
Asia dall'esperienza cittadina molto antica. Nel trattatello
poc'anzi citato infatti le donne vengono classificate con
una scala che implica 4 tipi di fattezze fisiche femminili
riscontrabili nella realtà umana, secondo gli studi indopersiani. Il nubendo o l'amante deve scegliere fra questi.
Anzi, una volta fatta la scelta si consiglia di trovare un bel
ragazzo e di allestire un porno-show con pochi intimi per
vedere come la donna scelta si comporta nel fare
all'amore. Soltanto dopo si deciderà.
Tutto ciò a conferma delle relazioni interpersonali che
iniziano a cambiare nella verv benché, per le ragioni di
comunicazione difficili di cui ho scritto altrove, con
estrema lentezza. Sono riconoscibili persino nella nuova
lingua slava che va nascendo, il russo moscovita, dove dei
vecchi termini mutano di significato giusto a causa di
quanto detto fin qui. Un esempio? L'aggettivo krasnyi da
gradevole alla vista passa a significare rosso quasi a
sollecitare un esame più attento del corpo femminile che
333
non si fermi ai soli capelli color paglia di segale.
Inoltre, ammesso una volta di più che queste aree non
hanno mai cessato di interagire culturalmente per secoli,
devo rammaricarmi per il fatto che le autorità politiche
della Mitteleuropa e del Nordest utilizzarono pochissimo
del progresso scientifico e pratico che arrivava da questi
nuovi orizzonti centro-asiatici. È sicuro che le molte
epidemie che assalirono i popoli europei decimandoli,
furono favorite dai traffici internazionali, ma in generale
si sarebbero potute contenere meglio, se per pregiudizio
religioso non si fosse rinunciato ad adottare le scoperte e
le misure tecnico-medicali offerte dal mondo persiano più
illuminato (S.F. Starr, 2013) in campo di profilassi. Non
si capirono e si ignorarono i controlli sanitari e le
strutture relative: ospedali, acquedotti e scarichi delle
acque luride che da tempo avevano migliorato la vita
nelle città e nei centri di sosta delle carovane commerciali
lungo le Vie della Seta. E tutto semplicemente per un
cieco antagonismo religioso!
Il presente saggio ha il cristianesimo come colonna
portante per il semplice motivo che, in cerca di
documenti sulla sessualità, il più prolifico dei monoteismi
europei nella produzione di scritti sull'argomento è
esattamente il cristianesimo. Arrivato dall'Oriente nel
continente europeo come rielaborazione elitaria di
credenze e teorie sin dal principio scritte e diffuse nei
circoli ebraici, si concentrò (ca. IV sec.) nella lotta contro
ogni altra religione presente con ogni mezzo, ivi
compreso l'uso della prestidigitazione da piazza del
mercato come lamenta il Concilio di Salisburgo ancora
334
nel 1310. Si dedicò intensamente alla teorizzazione della
cosiddetta servitù volontaria come oggi è chiamata dagli
antropologi la rinuncia alla propria libertà – fino al
suicidio, si badi bene! – per affidarsi a un'élite avida di
governo cleptocratico che promette migliorie in ogni
ambito e garantisce ogni difesa da supposti e futuri
nemici. Dopo gli exploit dell'islam, la cristianità si ridusse
alle genti che abitavano un territorio più ridotto rispetto a
quello dell'Impero Romano e si rinchiuse in se stessa.
I dati utilizzabili da me trovati sono ridottissimi nei
contenuti e non solo per l'ignoranza scientifica di quei
tempi, ma perché era presente una rigida autocensura in
chi scriveva occupandosi del coito quale espressione
pagana pubblica e privata. Le fonti pertanto sono
ambigue e indirette e le più feconde restano i Penitenziali
che a partire da prima del IX sec. circolavano in
Occidente. Ne ho accennato altrove, ma val la pena
ritornare su alcuni punti. I manuali servivano prima di
tutto a sollecitare le confessioni sulle pratiche sessuali e a
individuare con precisione il tipo di atto peccaminoso da
punire. Il più famoso si trova in un'opera maggiore di
diritto canonico del vescovo Burcardo di Worms (sec. XI)
dove il testo elenca le domande da porre descrivendo nei
minimi dettagli l'atto sessuale e le sue tecniche
peccaminose. L'utilità dei Penitenziali per conoscere usi e
costumi sessuali pagani è perciò evidente, ma resta il
dubbio: Furono usati nell'intera Pianura Russa?
Visto che gli slavi Vendi nella Mitteleuropa e nell'area
baltoslava erano sotto il torchio cristiano-cattolico con gli
stessi metodi, i detti Penitenziali si usarono certamente
335
in quelle regioni, mentre nel Nordest materiali analoghi
mancano, seppure in qualche racconto popolare se ne
accenni.
Fra cazari ebrei e nomadi musulmani.
Concludendo diventa logico capire le posizioni negative
della nuova religione verso la sessualità e se esse
rispondessero ai modi noti di gestirla ad esempio nel
mondo giudaico, visto che gli ebrei convivevano con i
cristiani sparsi qui e là in comunità circoscritte
minoritarie e separate, anche nella Pianura Russa.
Uno stato ebraico sorto dopo la cacciata dalla Palestina
e durato a lungo abbastanza da essere riconosciuto nelle
fonti non esistette, finché intorno al VI-VII sec. nelle
steppe ucraine i cazari turcofoni non si insediarono e
fondarono il loro impero durato per ben 4 secoli!
Ed ecco la singolarità del Medioevo Russo: Aver avuto
in quello che possiamo chiamare il territorio slavo-russo
tradizionale ossia la steppa e i bacini meridionali dei
grandi fiumi, l'Impero dei Cazari, stato di netta
impronta ebraica a partire dall'800 d.C. Mi chiedo:
Mentre l'Impero Cazaro fioriva in prestigio, cultura e
ricchezza materiale e il cristianesimo faceva i primi
passi nella steppa con una dottrina ben standardizzata
per le azioni missionarie, è possibile trovare influenze
allo stesso tempo turcofone e giudaiche di derivazione
cazara fra i contadini del nordest europeo e i loro
comportamenti in ambito sessuale?
Una risposta assoluta non l'ho trovata, sebbene
336
nell'Anticaucaso alani, ceceni e ingusci e altre genti del
Daghestan abbiano serbato reminiscenze di propaganda
cristiana dalla Georgia fino a Derbent, sulla strada
litorale occidentale caspica in parallelo con evidenti
presenze ebraiche (cazare?) e solo dopo il 700 d.C. con
infiltrazioni musulmane. Esiste insomma un sincretismo
religioso davvero unico nella Pianura Russa dove usi e
riti cristiani si mescolano a usi e riti giudaico-islamici su
uno sfondo pagano più antico (M. Tsaroieva, 2011).
E i cazari? Arrivarono da queste parti quando ormai il
citato sincretismo religioso era in fase di consolidamento
e perciò si percepiscono come sovrapposizioni culturali
nel loro primo stato nel bacino del fiume Terek, affluente
del Mar Caspio nella parte orientale dell'Anticaucaso.
Soltanto una limitatissima élite dello stato càzaro si
riconosceva di religione ebraica, almeno in teoria, e i suoi
membri sensibilissimi all'endogamia intraspecifica
rigorosa che imponeva la purezza razziale di popolo
eletto, escludevano i contatti diretti, intimi e sessuali con
i dominati. D'altronde non dimenticherò che i càzariebrei per adattarsi alla cultura dell'ecosistema dominato
dalle montagne avevano abbandonato in grande misura
la loro poliginia ossia ad avere una moglie e tante
concubine, ma non più tardi dell'anno 1000 d.C. Ciò
spiega bene l'endogamia gelosa a cui il kaghan (sovrano)
e la katun (sovrana) dovevano attenersi per poter
apparire esseri divini in cui il creatore si personifica e qui,
in uno stato teocratico, ci sono tutti i presupposti per una
decadenza demografica a partire appunto dal X sec.
capace di far crollare la struttura da un momento all'altro.
337
L'Impero Cazaro d'altro canto non produceva alcunché
per l'export e mancava dunque della linfa culturale dello
scambio. Questo è importante notarlo, ma non solo. La
“gelosia religiosa” costringeva ad appaltare quasi tutti i
servizi statali come, ad esempio, la riscossione dei tributi
che era effettuata da funzionari prezzolati non ebrei così
come si assoldavano armigeri pure non ebrei, per le forze
armate. L'élite cazara con i suoi correligionari ossequianti
e con i suoi simpatizzanti funzionava bene solitamente in
ambiente cittadino benché per la sussistenza le città
dipendessero dalle derrate trasferite da aree lontane. Con
un inurbamento della gente comune quali artigiani,
lavoranti e simili – fino al XIV sec. nella Pianura Russa al
contrario tale fenomeno è quasi nullo – le città cazare
restarono attive e frenetiche di fronte alla silente vita
dell'entroterra delle zone contadine dominate.
È facile intravvedere nella disposizione dei quartieri
separati per religione nella capitale Itil l'isolazionismo
orgoglioso della classe superiore turco-ebraica. Non mi
consta che gli Slavi siano mai venuti nel nordest a
contatto intimo e massiccio con i Càzari, tranne qualche
scontro peraltro di misura minore sul Volga o nel Mar
Nero, e malgrado la presenza a Kiev di una comunità
israelitica di antica data. A G. Novgorod per esempio dei
veri riscontri ebreo-cazari mancano.
Eppure bulgari e cazari al momento del loro primo
muovere verso ovest dagli Altai erano due grossi clan dei
turchi Oghuz e, prima che i bulgari si slavizzassero nella
conca del Danubio (totalmente), erano nomadi pastori
turcofoni che usufruivano del pascolo nella steppa e che
338
non se la passavano meglio dei non-nomadi che vivevano
un po' più a nord. I nomadi nel X sec. si addestravano
volentieri nell'attività militare con arco e cavallo per poi
offrirsi come mercenari o schiavi specializzati piuttosto
che dedicarsi all'allevamento. Un giro del genere finiva
per vedere usati i giovani cavallerizzi come squadracce
deterrenti proprio contro i contadini slavofoni che
dovevano mettere in conto con la razzia, ossia il metodo
dello scambio forzato, oltre all'incursione lungo i fiumi
sulle attività commerciali e sulle Vie della Seta classiche
per l'esazione di esose gabelle. Se i nomadi non trovavano
da saccheggiare, catturavano giovani donne e giovani
uomini nei villaggi che trovavano e, visto che la richiesta
di schiavi era in aumento (per tutto il Medioevo!), gli
affari con i mercanti di schiavi davano loro grossi ricavi.
Ai nomadi invasioni o conquiste di territori non facevano
per niente gola giacché non amavano gli stati con potere
centralizzato e sedentario che gestissero terre e abitanti.
La steppa non apparteneva a nessuno e nessuno la
difendeva in nome di una proprietà personale! Chi
volesse organizzare un dominio con foresta e steppa unite
insieme avrebbe dovuto garantire ai dominandi la
proibizione del nomadismo e un'efficace protezione delle
vie mercantili.
Nel frattempo, X sec., l'islam si era espanso fin nelle
oasi del Centro Asia e dall'altra parte del continente nella
Spagna seguendo l'auspicio di Maometto (hadith da alMaqqari, storico del XVI sec.): «Ho visto coi miei occhi
l'Oriente e l'Occidente e ogni loro regione deve essere
assoggettata alla mia gente.» Attenzione però! Non è
339
un'esortazione alla guerra di conquista questa, ma chi
comanda in nome di dio, deve incoraggiare e proteggere il
viaggiatore/straniero/migrante aiutandolo a superare gli
stenti della vita e accogliendolo come istruttore nella
propria dimora e nella propria città per godere ogni
giorno della sua opera di errante maestro di vita. Sono
queste le idee espresse più tardi da Ibn-Battuta nella sua
Muqaddima...
Se Baghdad, nuova residenza del califfo dell'islam,
giunge ad avere quasi un milione di abitanti a pochi anni
dalla fondazione, non da meno sono le grandi città più
antiche del Centro Asia come Samarcanda e Bukharà.
Anzi, esse serviranno da modello dove la città non è un
dormitorio né un mercato, ma un luogo dove si studia e si
riflette per promuovere una migliore vita del credente
musulmano. E qui hanno sede istituzioni universitarie
attrezzate dove, studiando sui testi degli autori greci,
latini e indiani antichi, si sperimenta e si formano
scienziati di ampia competenza. Sono costoro che hanno
il dovere di viaggiare e insegnare nei luoghi dove fanno
sosta. La scienza viene da dio, ma è patrimonio di tutti e i
sapienti incoraggiano gli studenti a far ricerca in ogni
campo ossia pure sull'amore come sensazione di piacere
supremo e pratica sperimentale aperta a piacevoli stimoli.
Si pubblicavano libri di ricette afrodisiache e testi d'igiene
sessuale poiché l'interesse per la sessualità per una vita
sana e serena era fondamentale.
Nell'Umma o mondo musulmano l'amore fisico col
piacere che esso dà è l'anticipo della vita che il credente
godrà nel paradiso dopo la morte. Non è un peccato la
340
copula né c'è un giudizio finale da attendere, ma è la gioia
che dio concede all'uomo sulla terra e che continua dopo
la morte ad elargire. La gelosia ad esempio, sentimento
composto fra coniugi e amanti per i loro rapporti
amorosi, sta alla base dell'armonia in casa, in famiglia e
fra le famiglie purché non distrugga la pace comune.
La modestia nel vestire inoltre valeva sia per l'uomo che
per la donna, salvo definire che cosa essa significasse
nell'islam dato che in questo stesso periodo si andava
creando nelle società cristiane e musulmane il concetto di
vergogna e di pudore. C'è notizia che al mercato di
Baghdad le donne musulmane, sorprese da un estraneo
col volto scoperto, tirassero su bruscamente lo hijab per
coprirsi il volto e così facendo scoprissero il pube. E che
dire delle Mille e una Notte se non gustare l'umorismo
musulmano nei dialoghi allusivi e pieni di sottintesi
riferentisi alle esperienze amorose? Mentre i cristiani si
preoccupavano di coprire il corpo femminile, i
musulmani si dilettavano nelle trasparenze delle vesti e
indossare i veli era un'arte muliebre raffinata.
La Sura II della Giovenca dedicata alla donna e al suo
comportamento fra i suoi innumerevoli versetti il 223.mo
recita (G. Mandel, 1994): «Le vostre mogli sono per voi
come un giardino e coltivatelo come volete.» In pratica:
Pensate a fare all'amore gestendo la donna senza limiti
nel corpo a vostro piacimento! Un hadith di Maometto
avverte che però lei sia consenziente e ne goda.
Non è però tutto rose e fiori per la donna nel Corano
poiché la Sura IV della Donna al versetto 34 recita: «Gli
uomini sono preposti alle donne a causa della
341
preferenza che Dio concede agli uni rispetto alle altre
[…] Ammonite quelle di cui temete l'insubordinazione,
lasciatele sole nei loro letti, battetele.»
Per i beduini che vivevano in piccoli gruppi nel deserto
da nomadi pastori fare all'amore era l'unico grande
piacere orgasmico e non facevano troppa distinzione fra
coiti etero- e omosessuali, pederastici, anali o persino
bestiali e giochi erotici d'ogni tipo, pur di poterne godere
appena se ne presentasse l'occasione. Aderire all'islam
per loro significò viaggiare per il mondo sia da guerrieri
sia da mercanti oltremodo privilegiati e allargare il loro
panorama culturale secondo l'ideale del jihad che
implicava l'eliminazione dell'infedele, ma stimolava e
consentiva l'appropriazione dei suoi averi inclusi mogli e
figli. Il guerriero vittorioso per volontà di dio aveva così a
disposizione i suoi schiavi sessuali. È l'atteggiamento
assunto dai guerrieri berbero-marocchini che Tariq si tirò
dietro alla conquista della Spagna visigota poi divenuta il
califfato omayyade di al-Andalus.
Includo qui l'imposizione della vergogna culturale
poiché l'islam tenterà partendo dalla cosiddetta decenza
pubblica una riforma dei costumi sessuali fra i nomadi
della steppa quasi di pari passo col cristianesimo. E
difatti nel X sec. l'inviato del califfo al-Muqtadir a Bulgarsul-Volga, Ibn-Fadhlan, durante il viaggio verso il nord si
ferma presso i turchi oghuz del Centro Asia e annota il
comportamento delle loro donne.
Scrive: «Le loro donne non si coprono di fronte agli
uomini, siano essi i loro congiunti o degli stranieri. Allo
stesso modo non si coprono nessuna parte del loro corpo
342
[ad es. i genitali].» e vive un episodio presso di loro che
racconta con sorpresa: «Un giorno visitammo in casa
uno dei capi... la cui moglie era con noi. Mentre stavamo
discutendo, la signora scoprì il pube e si grattò mentre
noi la guardavamo. Noi ci coprimmo gli occhi con le
mani esclamando: Il Signore Dio ci perdoni! Al che il
nostro ospite cominciò a ridere e rivolto al nostro
interprete disse: Dì ai tuoi che se la mia donna ha
scoperto le sue intimità di fronte a estranei, ciò non
significa che permetterà chi la guarda di avvicinarsi
[con desiderio di copularla]. Dunque è meglio del coprire
e poi aprirsi all'amante.»La stessa indifferenza per la
nudità Ibn-Fadhlan la nota fra i Bulgari musulmani del
Volga di cui scrive ancora: «Uomini e donne vanno a
bagnarsi nel fiume completamente nudi e nessuno si
copre sotto gli sguardi degli altri. [Comunque] non sono
spinti [da ciò] a fare all'amore.»
Faccio notare a questo punto il modo di vedere la
sessualità nella differenza sostanziale fra la cultura degli
arabi musulmani e quella degli europei cristiani del IXXII sec. descritta più efficacemente dall'islamista E. K.
Rowson (v. Google books 1991):
«Riguardo alla condotta sessuale [la società
musulmana del Vicino Oriente] in marcato contrasto con
la nostra società [europea] definiva la mascolinità non
in termini di chi sceglieva l'oggetto sessuale [donna,
uomo, trans etc.], ma nella realtà dell'atto sessuale.
Nella … [società europea]... è il maschio che crea le
relazioni sessuali di qualsiasi sorta [ad esempio] con
altri maschi che non sono dei “veri uomini” [e scegliere
343
con chi farlo da soggetto attivo, invece] nel IX sec. a
Baghdad erano i maschi che [invitavano e]
acconsentivano ad essere penetrati analmente [e che noi
diremmo non essere]... veri maschi. Le donne (in
entrambe le società) anch'esse non sono “veri maschi” …
[ma possono essere scelte per divertimenti sessuali
travestendosi e senza far offesa a dio].»
Bulgari del Volga mentre si bagnano (illustr. del XVI sec. a Ibn-Fadhlan)
Convertirsi all'islam era di gran lunga più semplice che
non essere accolti nel cristianesimo, per tacere poi
dell'impossibilità teorica nel caso di entrare a far parte
del popolo eletto dell'ebraismo ortodosso.
Nell'islam una volta pronunciata davanti a testimoni la
prima Sura coranica, non solo il maschio subiva la
344
circoncisione come conferma dell'accoglienza fra i maschi
uomini cioè l'operazione di mettere a nudo il glande
tagliando via il prepuzio senza ulteriori conseguenze per
la potenza coitale, ma d'ora in avanti gli era concesso di
circuire la femmina affinché copulasse con lui (Y. Olfa v.
in J. Mossuz-Lavau 2o14).
Per la femmina era ben vista l'analoga infibulazione
della vulva d'altronde legale e onorevole in al-Andalus.
L'infibulazione secondo la cosiddetta Šarija malikita non
era obbligatoria e di certo (D. Fernández-Morera 2018)
imitava la cintura di castità forse mai esistita, ma tanto
decantata nelle discussioni alla moda in terra cristiana
perché rendeva il coito dolorosissimo per la donna oltre a
grossi fastidi per le deiezioni.
Sfortunatamente mancano le prove che l'operazione di
asportare con la cauterizzazione il clitoride, le piccole
labbra e parte delle grandi labbra vaginali (arabo khifad)
lasciando aperto solo un foro per la fuoriuscita dell'urina
e del mestruo fosse eseguita fra le musulmane presenti a
Kiev o fra le donne bulgare del Volga, ma di certo le
schiave importate a Cordova dalla Pianura Russa la
subivano e restava il peggiore dei 3 tipi di infibulazione.
Un altro costume, il meretricio, considerato dai cristiani
una specie di piaga sociale ormai verso il XIII sec. in
verità nell'islam non esisteva in sé e per sé e nei posti
dove il musulmano era costretto a soste più o meno a
lunghe era in uso sposare una giovinetta locale per un
periodo concordato pari a quello della sosta. Il costume
inoltre raccomandava nel rapporto di evitare il coitus
interruptus che faceva orrore anche ai preti cristiani per
345
lo spreco di sperma e in ogni caso il mercante-ex-marito
lasciava una pingue dote alla ex consorte (khadima in
arabo andaluso) prima di riprendere il viaggio di
rimpatrio da solo. I figli erano riconosciuti come legittimi
ossia in pari dignità di altri preesistenti e qualcuno di essi
avrebbe accompagnato pure il padre per esser presentato
alla “prima” moglie in patria. E qui aggiungo che, se un
musulmano aveva un figlio o una figlia dalla sua schiava,
alla nascita del bimbo la madre passava automaticamente
secondo la legge a donna libera con i figli altrettanto
liberi come appena detto.
Il progetto politico musulmano più grandioso nella
Pianura Russa fra il X e il XIII sec. è ad ogni modo
Bulgar-sul-Volga, uno stato-città che col suo ingrandirsi
allargò il dominio e esigette una nuova capitale che
costruì arretrando rispetto al Volga nella Nuova Bulgar
sul fiume Čeremšan. Chiaramente si arricchì nella pratica
erotica mentre assorbiva e assimilava la cultura dal
Centro Asia e in parte ne trasmise agli ugro-finni
associati/assoggettati pre-uralici.
Lo svelano assai bene i termini coranici fissatisi nelle
lingue märi e ciuvascia per certe celebrazioni e per
alcune cariche di comando. Di certo nei palazzi dell'emiro
bulgaro e dei suoi dignitari si svolgevano quei famosi
festini in cui davano spettacolo i giovanissimi gulam
turchi educati alle armi e a cavalcare sin dalla pubertà e
che, ahimé, ignoravano ogni tecnica amatoria.
Orbene, pur ammessa l'introduzione di tecniche nuove e
di modi diversi di gestire l'amore e il sesso nella Pianura
Russa, non si può dire che il campione finale del
346
sincretismo culturale fosse proprio Vladimiro battezzato e
cristiano, allorché leggiamo la descrizione fattane da
Titmaro di Merseburgo che gli fece visita ca. 1010 a Kiev.
vie di commercio della Pianura Russa secc. X-XIII d.C.
Le prime volte che le CTP nominano Vladimiro è in
coppia col sedicente zio Dobrynja il quale ultimo fa in
modo di ottenere delle credenziali da Svjatoslav, padre
putativo del “ragazzo” Vladimiro, per portarlo con lui in
un viaggio d'affari a G. Novgorod. La coppia è legata dal
patto fra anziano protettore (opekun) e pubere protetto
(otrok) secondo le già accennate regole del pobratimstvo,
347
e si sistema nella repubblica del nord con l'appoggio di
bojari al momento conniventi. Il fine è di trasformare la
repubblica in un regno a sé con Vladimiro e Dobrynja al
potere e fare affari con Costantinopoli direttamente,
relegando Kiev in secondo piano.
A causa dell'ardore amoroso del giovane con le donne
dei bojari che provoca tafferugli, zio e nipote devono
abbandonare G. Novgorod fuggendo in Svezia. Di lì
torneranno, ma le vecchie amicizie si sono inaridite e, a
parte l'avventura svedese che ha procurato una buona
družìna di volenterosi armigeri, Vladimiro si trova contro
l'intera casta degli oligarchi bojari novgorodesi. Costoro
fondamentalmente pagani non condividono con lui
alcuna possibilità di essere inglobati in un regime statale
unico. Dunque: Che Vladimiro e i suoi migrino al più
presto al sud verso Kiev e vi si sistemino eliminando i
fratellastri che adesso vi comandano. Una volta che il
trono kievano è sentito saldo e così pure l'alleanza con G.
Novgorod garantita da Dobrynja che è rimasto lì come
ostaggio, Vladimiro invita gente dal nord a popolare il suo
nuovo regno. Fra paludi e steppe intorno, Kiev ha bisogno
di immigrati e si inaugura così una grande mescolanza di
turcofoni, slavofoni, baltoslavi e ugrofinni.
Le CTP si affrettano a scrivere intanto che sia Bulgarsul-Volga sia l'Impero Càzaro erano stati messi fuori
gioco da Svjatoslav nel 950 d.C. e che perciò da quel lato
non c'è più nulla da temere, ma ciò non corrisponde a
verità giacché Kiev dipenderà a lungo dai flussi mercantili
che càzari e bulgari garantiscono lungo il Volga e molto
meno lungo il Dnepr.
348
A questo punto il quadro mi pare chiaro almeno per il
X-XI sec. sulla generale situazione economico-politica
della Pianura Russa nel vecchio modo di raccontare il
Medioevo nell'Europa occidentale dove si trascura l'islam
che da vera onda anomala culturale ha invaso la Spagna,
la Sicilia, Creta e sta avanzando in Anatolia.
Il cristianesimo sembra col suo raccontare coprire quasi
tutta l'Europa sin dal X-XI sec. e crederlo serve da
progetto di conquista universale in fase di realizzazione a
Roma sul Tevere inclusa Costantinopoli ortodossa.
L'Impero Romano d'Oriente invece conosce molto
meglio costumi e usanze musulmane giacché
direttamente li contempla nelle steppe appena a nord
del Mar Nero e sa trattare con loro traendone vantaggi
maggiori e danni minori persino nelle conversioni.
Un aspetto della civiltà costantinopolitana tipico e
opposto a quanto vigeva in Occidente sui sessi e, secondo
me, mutuato dai contatti con musulmani e popolazioni
slave dei Balcani, era la posizione imperiale più articolata
di fronte alla bisessualità istituzionale.
Nei documenti del X sec. i sessi legalmente classificati
nel genere umano sono comunque due e, secondo Simone
lo Stilita, per il dio creatore il maschio sta in cima e la
femmina è da questi comandata. Dopodiché ci sono gli
eunuchi ai quali, per il fatto di non essere più preda del
desiderio sessuale, possono essere affidate altissime
cariche politiche e religiose. E che mai impedisce che
cariche analoghe siano affidate alle donne nate già
castrate dalla natura come racconta la Genesi?
Purtroppo con Jaroslav e con suo figlio, Vladimiro
349
Monomaco educato alla corte imperiale sul Bosforo, non
c'è traccia di espressioni chiare a riguardo né c'è traccia
certa di eunuchi forse perché una burocrazia come quella
era ancora in fieri nella Rus di Kiev.
Il cristianesimo in genere era costretto a riconoscere
alla pari il giudaismo con la circolazione della “sua”
Bibbia (Tanakh o Pentateuco) in cui si descriveva una
società con individui sessuati o maschi o femmina come
l'unica possibile. L'ho già scritto: l'amore e la sessualità
hanno un peso grandissimo in questo antichissimo credo
figlio di civiltà mesopotamiche anteriori. Nella coppia
eterosessuale fare all'amore è un obbligo ma mai senza il
consenso della donna, soprattutto. La sessualità è un
dialogo permanente fra uomo e dio giacché l'unione
carnale rappresenta l'unità della creazione e dunque non
è immorale né sporca. È un'attività piacevole separata
dalla procreazione e perciò la sterilità, la menopausa, la
gravidanza in corso non impediscono il coito.
La famiglia ebraica ideale nasce e si basa proprio sulla
passione immessa nella copula onde produrre figliolanza
con l'intervento divino. Il coito prima e fuori del
matrimonio promesso non è permesso e la coppia
benedetta deve fare all'amore in luogo chiuso, di notte e
possibilmente in silenzio affinché entrambi i partner
siano concentrati sul fare all'amore e l'unico testimone
deve essere e restare lo spirito divino. Il dio di Abramo ha
promesso di riscattare l'offesa originaria che ha causato la
dispersione degli ebrei per il mondo senza più una terra
propria e può aver deciso di far nascere l'atteso messia
proprio dalla coppia occupata a fare all'amore, purché
350
entrambi rispettino le regole. Nel Talmùd (v. il Sabato) si
legge: «Nel momento in cui il serpente si mescolò con
Eva, gettò dentro di lei una sporcizia che continua a
infettare i figli da lei generati.» per cui, se si agisce con
buona volontà e pulizia fisica e psicologica, la sposa
potrebbe esser degna di esser visitata dal creatore e
generare il Salvatore.
carovana di ebrei rahdaniti sulla via della seta diretta in Cazaria
L'influenza giudaica non andava oltre Kiev nelle steppe
o fra i varjaghi in giro per il nord, sebbene il kahal
kievano fosse antico e ben radicato nel podil della città
dove aveva un quartiere riservato in cui si accedeva per la
“Porta dei Càzari”. Eppure secondo me il meticciato
presente in una comunità come Kiev o G. Novgorod
accolse bene la maggiore liberalità e libertà sessuali che il
giudaismo ammetteva rispetto al cristianesimo coi suoi
numerosi veti. Nel Medioevo Russo comunque l'ebraismo
non costituì un gran nemico ideologico da combattere per
l'ortodossia poiché non faceva di regola proselitismo e
351
perciò era poco o per nulla conosciuto tranne il fatto di
essere la religione dei dominanti càzari e di dipendere dai
loro mercanti e artigiani per il commercio a grande raggio
che prometteva sempre degli enormi ricavi al piccolo
mediatore slavo di villaggio o nel budget di una città-stato
e del suo knjaz.
L'unica generatrice di uomini.
Naturalmente il discorso fatto da me fin qui orbita
intorno alla donna generatrice e si sa benissimo che la
storia senza l'essere umano non si può scrivere poiché è
lui stesso che si ingegna e si sforza di fissare gli eventi in
una storia e questa si esaurirebbe quando l'umanità si
dissolvesse in una specie Homo differente dall'attuale.
Per questo motivo l'idea di tempo lineare che scorre in un
solo senso verso una fine del mondo era impensabile nel
paganesimo convinto di eventi ciclici senza fine inclusa la
vita dell'uomo. Inoltre, benché la Bibbia ebraica sia la più
antica delle Sacre Scritture monoteistiche note in Europa
e che il Corano riconosca in essa la sue radici come fa il
cristianesimo, la società che in essa appare è fortemente
patriarcale e la poliginia è la regola e sull'argomento
procreazione e fenomeni collegati governa l'ignoranza.
La prima coppia umana, Adamo e Eva, scopre la
sessualità e celebra il primo amplesso. Eva è colpevole di
aver sedotto Adamo e averlo indotto a disobbedire agli
ordini del creatore, mangiando il frutto dell'albero
vietato. Per evitare infine che Adamo e Eva completino la
loro deificazione mangiando altri frutti (??) dell'albero
352
della vita e della morte che li renderebbero immortali, il
creatore li scaccia dall'Eden e la vita umana d'ora in poi
terminerà con la morte ineluttabile e irrevocabile!
Eva per tutto ciò è punita dal dio offeso che al cap. 3,
vers. 16 della Genesi le annuncia: «Ti moltiplicherò
grandemente il dolore e la concezione [del nuovo essere
vivente dentro di te] e nel dolore tu partorirai.»
La punizione di Adamo per la disobbedienza è
enormemente più blanda: Lavorerà da capofamiglia per
mantenere Eva e la prole. Quanto in particolare concerne
il creare nuovi esseri viventi, la presenza del maschio non
è richiesta esplicitamente se non con le dette incombenze
poiché il creatore ignora il ruolo biologico dei 2 partner.
La Bibbia purtroppo, scritta da mano maschile, non ha
molta “curiosità” a sapere che cosa realmente accada alla
nascita né “misura” il travaglio del parto con i suoi
terribili e lunghi dolori fisici. Il maschio autore preferisce
non indagare sulla pesantissima fatica assegnata alla
femmina per far nascere un nuovo essere umano e
considera l'alta mortalità della puerpera e del neonato
come un'avventura esclusiva femminile che a volte finisce
male. Le stesse mammane non sanno e non devono
intervenire per lenire le sofferenze della partoriente e
salvarla dalla morte col suo frutto, se dio non vuole.
Non solo! Sull'argomento partorire alcuni punti nella
Bibbia sono vaghi. Se la donna conosce lo spavento del
primo sanguinare del suo corpo e i periodici dolori
mestruali e da madre conosce il dolore fisico intenso e
quasi ininterrotto del parto, il maschio al contrario
attribuisce un qualsiasi dolore o problema fisico a magie e
353
sortilegi operati dalle donne su di lui e quando proverà
individualmente un dolore per la prima volta, ne sarà
terrorizzato e cadrà nella disperazione più nera (non
dimentichiamo che parliamo di circostanze di 1000 anni
fa). Così, non avendo imparato a sopportarli, implorerà la
donna, incantatrice o ved'ma affinché gliene liberi.
Oggi è diverso, l'ostetricia moderna riesce a ridurre il
dolore al minimo e quasi sempre salva madre e nascituro.
Non solo un maschio dottore assiste durante il parto, ma
preserva nel periodo perinatale dalle infezioni e dalle
malattie con vaccini e medicamenti. Nel passato ancora
nel XIX sec. il parto era davvero una lotta per la vita e, a
leggere le statistiche calcolate dagli storici, nel Medioevo
mieteva un gran numero di vittime malgrado la presenza
e gli aiuti di levatrici di esperienza nei villaggi.
Per il Medioevo Russo informazioni dello stesso genere
non ce ne sono né si riesce a trarre granché nemmeno
dalla cultura orale. Tuttavia, presumendo condizioni
fisiche e ambientali simili a quelle d'Occidente per il
periodo X-XII sec., si può pensare a una situazione
sanitaria non diversa per le partorienti del nordest seppur
circondate dal mistero e dagli scongiuri sempre per
timore di una nečistaja sila in perenne agguato. La
conferma è proprio la funzione della dea Mokoša che
presiedeva al parto e che, se da un canto nelle mentite
spoglie di santa Parasceva imponeva di fermare la
tessitura una settimana inesorabilmente per i dolori e i
travagli che la madre di Cristo soffriva per la prossim a
nascita cioè il Natale, d'altro canto era altrettanto pronta
a accompagnare puerpera e neonato nel lunghissimo
354
viaggio verso il mondo pagano dei morti senza adeguate
asepsi e profilassi.
È una situazione che giustifica pienamente la poligamia,
benché complichi ulteriormente la scala di accesso
dell'anzianità al potere nella verv per i maschi, quando
appunto accade che più figli nascono e sopravvivono nello
stesso periodo da più mogli, riconosciuti da un solo
padre. In casi del genere un comprensibilissimo e curioso
uso slavo-orientale ha resistito fino al XV sec.: Si
attribuisce ai bambini sopravvissuti all'infanzia un nome
proprio accompagnato da >figlio/a di< e il nome della
madre mentre al contrario è comunissimo oggi fra gli
slavo-russi accompagnarlo col nome del padre. In breve
un residuo dell'anteriore matriarcato e un segno della
lotta maschile in atto per esautorare la donna.
Non ho raccolto sufficienti informazioni sulla levatrice
slavo-russa del X sec., ma posso immaginarla come la
“nonna” della verv ormai in menopausa coadiuvata dalle
altre donne di casa, tutte disponibili vuoi esperte vuoi
inesperte pronte ad imparare.
Non essendo in grado di addentrarmi oltre in campo
ostetrico, sottolineo da incompetente che il parto non è
così semplice come sembrerebbe. Ha delle fasi scomode e
dolorose che si susseguono senza interruzione dalle
prime spinte fino all'espulsione del neonato. Detto in
modo semplice: (1) le doglie ossia quei dolori crescenti di
intensità nella zona del bacino che annunciano gli sforzi
coi quali l'utero sta preparandosi a svuotarsi (2) rottura
del sacco in cui il feto si è sviluppato e fuoriuscita dalla
vagina del liquido amniotico (3) movimenti vari,
355
rotazioni etc. che dovrebbero mettere in posizione a testa
in giù il feto (4) dilatazione della vagina e apparizione
della testa del nascituro (5) espulsione rapida del
neonato (6) annodamento e taglio a monte, lato madre, e
a valle, lato figlio, del cordone ombelicale (7) espulsione
della placenta e anche qui con i tagli e gli annodamenti
del resto del cordone ombelicale.
La puerpera deve ora riposare giacché il travaglio oltre
ai dolori forti e intensi è durato più di un'ora (a volte dura
giorni) e la madre deve “a breve” allattare.
A parte varie altre operazioni esterne al corpo della
puerpera eseguite dalla levatrice, la placenta che le
femmine dei mammiferi di solito divorano qui era
pensata come il resto del segno lasciato dalla divinità per
il concepimento. Rappresentava cioè nella forma rotonda
piena di sangue vitale una parte dell'albero della vita e le
anziane la ponevano a seccare perché, macinata, sarebbe
servita a curare tanti malanni. Non sono riuscito a sapere
se ne facessero qualche intruglio da dar da mangiare
contro la sterilità o altro come più o meno alla stessa
epoca faceva il movimento olandese delle beghine. Queste
signore infatuate di fede e di sesso mescolavano e
pestavano placente e sperma umano, mestruo con miele e
farina per farne dolcetti (M. Onfray 2006).
Detto ciò il travaglio e il resto si svolgevano nella banja,
esclusivamente con gli uomini rigorosamente esclusi!
Se visibili sono le donne della verv nel parto, invisibili
sono invece le cosiddette rožanicy mandate dagli dèi per
concorrere alla riuscita: 2 in prima battuta e la terza che
avrebbe fissato la durata della vita del nuovo nato per
356
ultima. Il neonato passato in loro mano si credeva che
ognuna lo toccasse qua e là nel corpicino infondendo al
neonato/a nella parte toccata una qualità.
I racconti popolari raccontano che si notava la loro
presenza fisica perché lasciavano strane macchie sulla
pelle nell'assegnare il destino o dolja e nelle pieghe delle
mani e delle gambe fissavano la fine della vita ossia il
giorno in cui Mara o Marena, Mora cioè la morte, si
sarebbe presentata per il lungo viaggio nel mondo degli
antenati.
È chiaro che gli dèi avessero ascoltato le preghiere della
una nuova madre e ne vigilassero l'esito nel parto, ma per
la ferrea ciclicità degli eventi in natura un giorno l'essere
umano sarebbe stato privato di forza vitale. Questa era la
ragione di dare al neonato dopo i prescritti 7 o 9 giorni
dalla nascita il nome: per i maschi il nome era composto
di due elementi lessicali che auguravano imprese, vittorie
etc. e per le donne nomi di fiori e di piante. Presso certe
etnie nordiche si dava il nome di un antenato e nel
chiamarlo con quel nome ad alta voce vedere la reazione
del neonato, se per caso rammentasse la vita precedente e
quanto essa era durata.
Notevole è il mito dell'orso o l'eponimo dei popoli del
nord e in particolare dei Rus'. Si crede ancor oggi che ci
siano persone nate dagli orsi in una copula bestiale e che
perciò vanno trattate con deferenza. A parte ciò l'orso è
l'antenato dei Rus' e non va mai nominato invano (A.
Leont'ev & M. Leont'eva 2017).
In tutta questa rete di credenze, che accadeva dei parti
di nati morti o degli aborti? Non è una questione minore
357
perché fa conto dei contadini del Medioevo Russo e delle
relazioni madre-figlio, genitore-genitrice, comunitànascita e nascita-morte. Ciò che oggi chiameremmo
amor filiale era un comportamento mal definito nei
paganesimi di nordest e a seconda dell'etnia i bambini
nati deformi o deceduti prima di essere accolti nella
comunità o erano considerati un rifiuto vero e proprio (in
lettone strunts) e perciò abbandonati nella foresta, se non
proprio sacrificati agli dèi nelle feste solenni quasi a
scusarsi con la Gran Madre Terra di una trascuratezza di
non esser riuscita a portare a termine la gravidanza nel
modo dovuto. I nati riscontrati malati o disabili erano
ritenuti dei tentativi di una nečistaja sila di impadronirsi
dell'essere umano per cui erano da sopprimere col loro
maleficio. Forse aborti o feti deformi erano i grudy di
Rod che solitamente diventavano gli esseri che i contadini
raccontavano volentieri di aver visto sugli alberi, nei
laghetti o udito cantare di notte fra i tanti rumori che si
odono nel fitto degli alberi.
Fra le etnie nordiche, nella tundra non così fitta come la
selva a sud (taigà), i resti del genere detto sopra erano
bruciati insieme alle placente e le ceneri sparse al vento,
se non piuttosto raccolti con cura e posti nelle caverne dei
Monti Urali dove reliquie di quegli antichissimi riti le
hanno ritrovate gli archeologi allo stato fossile...
Va messo in evidenza che (1) per i musulmani la vita del
feto inizia nel ventre della madre con la concezione cioè,
lo ripeto, che ci sia stato l'invio da parte di dio della
materia vivente, ma il feto diventa essere umano soltanto
se il neonato sopravvive fino al 120° giorno dopo la
358
nascita e (2) per gli ebrei nel Talmùd è scritto che fino al
40° giorno di gravidanza (calcolato dalla scomparsa del
mestruo) l'embrione non è che qualcosa simile all'acqua e
finché non viene fuori vivo dal ventre di sua madre non
esiste come essere umano ed è possibile liberarsene senza
pensarci troppo.
Nel paganesimo slavo-russo non si trova un'unisona
descrizione della forza vitale simile a quella cristiana del
soffio divino o anima della Genesi! Pare che gli dèi
concedessero la possibilità alla generatrice tramite
un'invocazione appropriata al chiaro della luna piena di
costruire nuovi esseri umani aventi un cuore che produce
il sangue cioè la forza vitale, ma per l'appunto doveva
essere la donna a desiderarlo nel feto che avrebbe
ricevuto. Poiché nel paganesimo del nordest non si
concepisce la dicotomia corpo-spirito e il corpo fisico è la
persona stessa, perdere sangue è perdere forze vitali e ciò
spiega la debolezza della donna dopo il parto e tanto
peggio dopo il mestruo. Non spiega malgrado tutto come
mai la donna non ne muoia tanto spesso, specialmente
dopo il mestruo quando invece con una tale emorragia
quasi certamente un uomo ferito ne morrebbe. Il sangue
mestruale è perciò temuto come liquido misterioso e
magico e comunque sacro e la donna considerata l'eterna
malata
Siccome Cristo è l'ultimo ad arrivare nella Pianura
Russa (fra i lituani arriva nel XIV-XV sec.!), deve
affrontare i differenti modi di vedere bambini, madri e
nascite che funzionano bene o male da tempo fra le etnie
che coabitano nella biocenosi di nordest. Non pare che
359
col cristianesimo le cose cambiassero molto. Cristo, ad
esempio, si adattò a farsi circoncidere perché non voleva
essere diverso dai suoi correligionari ebrei e l'uomo è il
signore delegato dal creatore sugli esseri viventi tutti,
specie sulle donne e perciò non dovrebbe trasformare il
corpo vivente con interventi chirurgici! La donna però
deve ammettere la sua soggezione all'uomo e deve
conservare il sesso per lui soltanto.
Per il pensiero cristiano definire il sesso è importante e
inevitabile poiché ciò che viene fuori dall'utero di una
donna fatto di carne deve essere battezzato in ogni caso.
E se il feto vien fuori senza vita in un aborto procurato e
non spontaneo? È comunque un corpo umano carico del
peccato originale con un'anima da ritornare al creatore.
Quanto al parto, esso passerà tardivamente in tempi
post-medievali sotto il controllo della chiesa ossia quando
i preti, maschi per definizione e non per vocazione, non si
fideranno più del personale femminile. Le mammane
sono donne di malaffare e potrebbero eseguire operazioni
chirurgiche deturpanti sui neonati o – scandalo! – aborti.
Peraltro accoppiarsi durante la gestazione non era
desiderabile poiché poteva disturbare la crescita regolare
del feto e la gestante doveva rinunciare a ogni contatto
maschile compresa la copula e presso certe comunità la
futura madre era rimandata alla verv di provenienza a
partorire. E come si fa a controllare ciò? Tramite la
confessione obbligatoria al parroco magari dopo il parto.
E il maschio? Per un bel po' di tempo “dimenticava” la
consorte e già la rimpiazzava! Di sicuro manteneva
l'impegno di proteggere la madre, ma finché il neonato
360
maschio restava affidato alle di lei cure, se ne
disinteressava di madre e neonato. Sarebbe intervenuto
nell'educazione post-natale non appena il bimbo alla
pubertà fosse considerato degno di essere un nuovo
membro del Rod.
Un confronto di piani educativi paterni slavo-russi con
quanto avveniva in area scandinava è abbastanza curioso.
Si pensava che l'educando sottoponendosi ai riti dal coito
intracrurale alla fellatio, imparasse che da maschio per il
resto della vita non si dovesse trovare mai come una
femminuccia nella parte umiliante di partner passivo.
E se il neonato era una femmina? Rifacendomi a quanto
raccontato sin qui, è chiaro che fossero le anziane di casa
a decidere che farne in quasi assoluta autonomia!
La sterilità? Si credeva di risolverla prima che si notasse
frequentando sorgenti e luoghi sacri di ogni genere per
riuscire ad avere figli. Ci si recava, appunto solo femmine,
con offerte quali cibi speciali, nastrini colorati da legare
ai rami degli alberi sacri o statuette poste nei luoghi
appropriati o si correva alle fonti magiche per irrorarsi la
vulva con acqua santa etc. In conclusione, eccetto i riti
orgiastici, col cristianesimo tutto ciò rimase e niente di
diverso da quei rituali pagani fu instaurato nell'implorare
l'intervento delle divinità. Solo le forze divine pagane
della natura furono ora rimpiazzate da diversi santi
patroni cristiani che elargivano i benefici di fertilità.
E se la puerpera muore? Se ne farà il funerale col rito
cristiano, mentre l'eventuale neonato rimasto in vita
rimarrà affidato alle donne di casa o si cercherà nel
vicinato chi potesse allattarlo finché non si deciderà
361
altrimenti. In ambito pagano il concetto di vedovanza era
mal compreso e l'opzione per il maschio, pagano e poi
cristiano, era procurarsi un'altra consorte persino senza
matrimonio canonico, senza curarsi granché del bimbo
che oggi affideremmo al vedovo. La chiesa in un tale
legame vedovo-donna di comodo marchia col disprezzo
la concubina seppure la tolleri dietro pagamento della
corrispondente dispensa vescovile. D'altronde neppure il
cristianesimo è definitivo sul numero di mogli da poter
sposare durante una vita, benché il divorzio sia respinto.
A leggere Matteo (19, 5) uomo e donna diventano una
carne mentre Paolo nell'epistola ai Corinzi (1 Cor. 2, 26)
scrive che è meglio non sposarsi. E la vedova? Dati non
pervenuti nelle CTP!
Questi però sono costrutti culturali ripercorribili con
gran difficoltà per la scarsità dei documenti e si intuisce
che fossero legati all'economia dei riti a pagamento della
chiesa russa e che nel Nordest si agganciavano agli usi
tradizionali senza la mediazione dei parroci.
362
Capitolo dodicesimo
363
Il nuovo ordine
Se Costantinopoli nel Medioevo era creduta la cittàmodello cristiana sia per l'architettura sia per la vita
quotidiana che vi si conduceva, non lo era affatto in
ambito sessuale in cui il modello cristiano di castità e
senza peccato, almeno fra la nobiltà non era per niente
emulato. I Patriarchi, personaggi solitamente abbastanza
laici, se ne lamentavano sebbene vi partecipassero...
Le regole e i veti di comportamento che il cristianesimo
ci ha tramandato nella letteratura cosiddetta edificante
sulla coppia, sull'adulterio, sull'incesto e sui divertimenti
amorosi erano ampiamente ignorati sul Bosforo e se ne
faceva oggetto di satira. E il cittadino costantinopolitano
comune quanto si discostava dai nobili in ambito
sessuale? E la gente delle regioni limitrofe lungo i confini
imperiali quanto percepiva di questi costumi? E come li
giudicava?
Mi è sembrato importante fare una breve ricognizione
nella situazione intorno al X-XI sec. dato che il
cristianesimo nella Rus di Kiev – come ho scritto e detto
– giunse dal Mar Nero via Crimea con un bagaglio
abbastanza massiccio di usi e costumi sedicenti migliori
da imporre alla gente pagana e selvaggia di Nordest.
Secondo alcuni storici post-sovietici il cristianesimo che
arrivò a Kiev era in certa misura aberrante e quasi eretico
di “colore” bulgaro e che nella sessualità non fosse
composto di rituali molto diversi da quelli pagani che
364
prevedeva di combattere. In ogni caso a me serve puntare
il dito sul fatto che il X-XI sec. è un periodo di crisi per il
cristianesimo e per la sua organizzazione missionaria e
che nella Pianura Russa i primi parroci e i diaconi di
sicuro erano gruppetti di gente del popolo dell'etnia
bulgara danubiana unici col vantaggio linguistico di
padroneggiare allo stesso tempo un dialetto slavo e un
dialetto turco. Erano predicatori più che parroci con
famiglia mandati allo sbaraglio a ricrearsi una vita in
terra straniera finché, essi stessi paganeggianti, non
riuscivano con vari espedienti a coinvolgere i locali ad
accettarli dopo averli sommariamente istruiti nel giro del
lavoro parrocchiale. I compiti erano chiaramente distinti:
da una parte i parroci con le prediche, i giochi di prestigio
e dall'altra i locali a far da claque e da servizio d'ordine,
ma soprattutto a raccogliere le offerte dagli astanti. I
giovani parroci nell'insediarsi nella sede loro assegnata
dovevano star bene attenti a non infastidire le ragazze
barbare per non inquinare così l'esempio che il parroco
stesso impersonava col suo lavoro del vivere cristiano
monogamico. Ne ho già parlato e per ora non mi ripeto...
Quel che mi interessa invece è la crisi del sistema
Impero Romano cristiano, militarmente incalzato senza
tregua dall'islam. La nuova religione monoteistica ha
invaso l'Europa (Spagna in particolare) già nel VIII sec.
mentre i paganesimi coprono con le loro mitologie oltre i
¾ del continente senza che i patriarcati interessati
abbiano i mezzi sufficienti per sgominarli. In breve
l'Impero Romano, potenza dominatrice dall'Atlantico ai
confini con la Cina e dai mari settentrionali fino al
365
deserto del Sahara e all'Oceano Indiano, in ben 6 secoli
col cristianesimo, religione dello stato, e all'unisono con
le azioni militari aveva rafforzato la sua presenza in
questi enormi territori. L'espansione costata molto cara,
dopo un evidente seppur parziale trionfo simboleggiato
dall'inaugurazione del tempio cristiano più grande del
mondo, la cattedrale dedicata alla sapienza del creatore o
Santa Sofia, gran parte di ciò che aveva costruito in
chiave imperiale nel Vicino Oriente stava crollando ora
distrutto dalla ventata iconoclasta dell'islam.
La nuova religione “del deserto arabico” nel VII sec.
aveva già fagocitato il nord Africa e islamizzato il
Mediterraneo tanto che nel X sec. si può dire che il
controllo dei traffici marittimi fosse in mano musulmana.
Alcuni Patriarchi, ognuno con i propri gelosi
collaboratori, avevano visto i territori una volta ben
delimitati (almeno sulla carta) rimpicciolirsi col nuovo
ordine islamico. Le sedi di maggior prestigio cioè Roma
sul Tevere e Roma sul Bosforo, quasi felici che i
patriarcati minori fossero stati messi fuori gioco, si
battevano opportunisticamente per il primato e facevano
la voce grossa. Col grande scisma del 1054 le due Rome
diventeranno aspre nemiche perché la prima non è più a
capo di un impero universale, mentre invece la seconda
ne rivendica uno che durerà per quasi 1000 anni ancora.
Alla fine del XIII sec. la scissione del cristianesimo in
occidentale cattolico-romano e orientale ortodosso sarà
sancita per sempre dal proclama di Innocenzo III il quale
papa conferma di essere lui stesso l'unico rappresentante
di Cristo (e del dio creatore) sulla Terra con le parole:
366
«Nostro Signor Gesù Cristo ha posto una sola persona
come suo vicario universale a reggere tutte le cose e ogni
autorità deve obbedire a questo vicario poiché ci sarà un
solo gregge e un solo pastore.»
In tale contesto si informano due politiche dottrinarie
cristiane diverse e sedicenti universali in contrasti
reciproci spessissimo cruenti per l'intero Medioevo.
Malgrado ciò, la politica di Costantinopoli è contingente
alla sua geografia ed è per la creazione tutt'intorno alla
città capitale di stati-satelliti, evitando di incorporare
popoli alieni se è possibile e contando invece di trasferire
ogni spesa di conquista o di difesa sulle spalle dei nuovi
cristianizzati che la sua organizzazione religiosa riesce a
fare. Invasioni, attacchi che Roma intraprendeva di
frequente nel passato diminuiscono e verso il IX-X sec. si
ricorre frequentemente agli accordi, alle donazioni e ai
contributi annuali per mantenere la pace con i barbari sui
confini ondeggianti. È centrale per l'ideologia in tali
frangenti che la quotidianità dei nuovi credenti a casa
loro debba esser riadattata per entrare nei prevedibili
modelli di controllo imperiali ben collaudati. Il personale
ecclesiastico curerà questo aspetto nella missione e si
preoccuperà in altri termini di “istruire” le élites barbare
che governano (senza saperlo in nome di Costantinopoli)
affinché le loro “inclinazioni religiose pagane” siano
definitivamente abbandonate e possano meglio
“edificare” i costumi cristiani fra i “governati” i quali di
solito accettano nuove regole solo se sono appunto
promulgate dalle loro élites. Sessualità e riproduzione,
relazioni fra coloro che procreano e loro figli sono gli
367
obbiettivi primari da riformare soprattutto sfruttando
quello che la chiesa sa far meglio nelle comunicazioni di
massa: lo spettacolo dei suoi riti in pubblico! D'altronde
Basilio di Cesarea (IV sec.), il più famoso dei padri della
chiesa ortodossa insieme con Giovanni Crisostomo nel
suo Esamerone (Hexameron) aveva fissato riti e liturgie e
ne aveva indicato i teatri: Le chiese, le strade e le piazze
nelle città. Erano luoghi da riorganizzare cristianamente
mentre nelle campagne le cappelle andavano moltiplicate
o le grotte, ricettacoli di peccatori e di diavolerie,
anch'esse erano da santificare trasformandole in chiese o
conventi!
Mi sono allora domandato: Che sa la chiesa dei barbari
e cioè se fare all'amore è la stessa cosa in ambienti
cristiani e in ambienti pagani? E perché mai Cristo nel
VIII sec. aveva abbandonato il suo gregge nel nord Africa
e nel Vicino Oriente all'islam che in una manciata di
decenni era riuscito a cancellare i costumi e le obbedienze
di migliaia di battezzati?
È un'atmosfera di rammarico maschile poiché l'appena
nominato Innocenzo III lascerà persino scritto: «Creato è
l'uomo da un seme schifoso, concepito è nella foga della
carne, nel fuoco della lussuria.» E rammento che
lussuria – dal lat. luxuria rad. *lup-/lub- – vuol dire
semplicemente fare all'amore (A. Ballhaus, 2009).
E la donna? Peggio che mai per lei e per la sua genìa! È
un maschio incompleto perché nata priva di sesso e il suo
ruolo è risparmiare al maschio le fatiche della gestazione,
i dolori del parto e il lavoro educativo dei figli almeno per
il tempo occorrente a insegnare a muoversi e a parlare
368
giacché, una volta svezzati e indipendenti nel corpo, i
bambini dovranno passare sotto la dura pedagogia a cui è
deputato il padre (per i figli delle élites la delicata
incombenza sarà intrapresa dal prete) che includeva
l'obbedienza assoluta al maschio maggiore d'età.
Comunque lungo il Volga, dalle rive del Mar Caspio e
dalle steppe, l'islam fa le sue incursioni sui popoli della
Pianura Russa e, siccome sulla sessualità l'islam la pensa
in modo diverso dai cristiani, nei mercati dove i
musulmani trafficano come ad esempio sul Bosforo
Cimmerio a Kerč-Panticapea o a Bulgar-sul-Volga, si
continua a accogliere con curiosità le idee sul
concubinaggio a termine, sulla schiavitù, sugli eunuchi,
sull'omosessualità etc. che indirettamente gli stessi
mercanti-viaggiatori musulmani trasferiscono poi in
Occidente con i commerci che in pratica non sono mai
cessati. Non solo! Nei porti italiani e francesi si viene a
sapere che la sessualità in area musulmano-persiana è da
tempo studiata dal lato igienico-sanitario sulla base di
sperimentazioni e che si producono trattati medicospecialistici per la pratica medico-igienica.
Sfortunatamente per me che faccio ricerca, storica gli
argomenti d'indole sessuale sono tabù “letterario” nella
Roma sul Bosforo e la produzione di epigrammi e di
romanzetti pornografici che invece ho riscontrato, sono i
testi clandestini dei gruppi elitari che possono disporne,
leggerne e discuterne in esclusiva, ma che non possono
propagare o usare a scopo pedagogico. Le operette
descrivono una “paganità” nell'Impero Romano d'Oriente
imperante quasi intatta persino nelle aree ufficialmente
369
cristianizzate e appare nelle agiografie come etichetta per
indicare i dettagli di una vita licenziosa precedente al
santo di cui si narra la vita. Al lettore se ne fa conoscere
ogni aspetto pratico poiché le attività sessuali sono
descritte nel modo il più possibile accurato, seppur
bollate come impure e vietate. I testi si concludono col
ravvedimento del santo che condanna ogni copula del suo
passato e che perciò, rinsavito, per il resto della sua vita si
dedicherà all'ascesi celibataria!
Col monopolio dello scrivere nelle mani dalla chiesa e
con la ridottissima conoscenza dell'entroterra kievano e
delle sue tradizioni, il lettorato o un'udienza popolare in
realtà manca a chi insegna il catechismo. Ammesso e non
concesso che i parroci conoscessero e diffondessero gli
scritti adatti, i penitenziali, tutto si riduce nella Rus di
Kiev a un dialogo approssimativo fra parroci e
parrocchiani sui peccati, salvo il mercanteggio delle
penitenze distribuite su basi improprie e approssimative.
Né ciò che raccontavano i contadini nella sfera della loro
sessualità era ascoltabile fuori dal contesto della
confessione, poiché in ogni caso il barbaro stava subendo
una sua soggezione al demonio e, se perseverava nelle
pratiche sessuali perverse, si stava preparando all'inferno
dopo la morte. E quale parroco sarebbe stato in grado di
domandare, ad esempio, informazioni sulle feste che “i
contadini” in solennità celebravano nella copula
orgiastica che la chiesa proibiva? Informare il parroco e a
che pro? Dava un ”pruriginoso fastidio” agli ecclesiastici
più giovani pur sposati sapere troppo sulle pratiche
amorose pagane e di conseguenza si rischiava l'intensa
370
eccitazione seguita dal desiderare di applicarle loro stessi
magari con la propria consorte.
Costumi barbari da osteggiare.
Di certo i festival pagani erano orge (jobki) dette
dissolute e tali da infamare qualsiasi battezzato che ne
avesse soltanto accennato nei discorsi per sentito dire.
Qualche parroco più accorto ne aveva scritto al proprio
vescovo e meno di quanto ne avesse visto coi propri
occhi... affinché non sorgesse il sospetto di avervi
partecipato di persona o addirittura con la famiglia!
Occorreva che le loro consorti non frequentassero le
“colleghe” contadine per timore che poi fossero infettate
da desideri di piaceri illeciti.
Dai racconti popolari sappiamo che il parroco le
giudicasse discinte e volgari, le ragazze barbare, e
ricordasse a tutti i parrocchiani che Cristo era pronto a
punirle ogni volta che esse indulgevano in maniera
terribile nel corpo e nell'anima di chi con loro
amoreggiava. La salvezza? Frenare ogni impulso con
donne straniere e, a seguire, pentimento e penitenza onde
ottenere dal creatore il nuovissimo assurdo perdono e
dimenticare liti e vendette.
Eppure orgia, la tanto deprecata parola della copula
sfrenata, è altresì un termine tecnico greco-latino riferito
all'offerta di sacrifici alle divinità nelle diverse solennità
del paganesimo classico, compresa la copula rituale
(ierogamìa) in onore di Cibele, Bacco, Iside etc.
Orgia deriva dal verbo greco όργάω (orgào) che
371
significa divento turgido come un frutto maturo da
cogliere ossia, traslato, ardo dal desiderio.
La radice indoeuropea *org- di orgào ha la variante
*erg- che significa eseguire un lavoro preparato alla
fatica coi muscoli gonfi. Nella metafora sessuale e sacra
orgia si riferisce al ruolo sacrificale del fallo (lat. virga
dalla stessa radice e in italiano verga) che inturgidisce
dal desiderio urgente di copula (lat. urgeo dalla stessa
radice significa spingo o sono stimolato intensamente
pronto a assalire o il verbo ergo che si riduce a andare in
cerchio).
Grandissima era la paura nel maschio per la potenza
magica della vulva, caverna morbida e calda in cui il suo
fallo, simbolo di potere, si adagiava in onore degli dèi.
Benché ne traesse piacere e fosse gradito alla divinità,
quando il fallo esce dalla vagina e s'affloscia, il maschio
deve riposare. Ecco, tutto ciò restava pur sempre un
mistero temibile, nel caso che non si fosse ripetuto.
A parte le etiche moderne che in ogni caso non possono
negare la bellezza di questa realtà “pornografica” umana,
nel mondo pagano lo spettacolo più esaltante pieno di
sensazioni e di piacere fisico restava la copula di due o
più giovani corpi ben fatti con tutta la serie di
manipolazioni reciproche fino all'eiaculazione di sperma
da spargere sul luogo consacrato. Né si deve dimenticare
che allo spettacolo ierogamico gli astanti partecipavano
nudi e eccitati e con urli di incoraggiamento o gufate
parteggiavano per l'uno o per l'altro partner con battute
di mani etc. in un'atmosfera di festa intensa e allegra.
372
metopa sheela-na-gig nella chiesa di santa Maria e san Davide
nell'Hertfordshire in Inghilterra
Chiudo queste annotazioni e confermo che le copule
orgiastiche non terminavano con l'eiaculazione in vagina,
ma al contrario lo sperma doveva cadere sul suolo e alla
donna non era permesso conservarne dentro di sé senza
compire un sacrilegio (skorb, merzost).
Aggiungo che nell'Edda islandese il norreno argr è il
maschio che si fa copulare come una donna riferendosi al
rito scandinavo omosessuale (T. Vanggaard, 1971) contro
un pericolo che incombe. Pertanto era ben noto ai
varjaghi Rus in viaggio e non sempre con donne al fianco,
ma soprattutto non era considerato scandaloso perché
compiuto in onore degli dèi. L'argomento però è più
vasto, ma siccome concerne prettamente gli scandinavi
non mi dilungo oltre e rimando alla M. Dashu (2018).
Queste considerazioni di archeologia linguistica ciò
373
malgrado consentono di inquadrare meglio le feste
orgiastiche che si ripetevano da secoli per mantenere
l'ordine nel mondo.
L'ossessione di combattere i paganesimi sotto qualsiasi
forma, specie se implicava amplessi, non permetteva alla
chiesa russa di tener conto della strettissima connessione
fra agricoltura e lo scopo dell'orgia stessa che era tesa
piuttosto che alla goduria, a rendere meno spiacevoli le
dure vicissitudini climatiche nel lavoro dei campi e
attenuare il timore di dover vivere un domani senza cibo
a sufficienza (anche per pagare l'obolo di san Pietro).
Insomma osteggiata dal cristianesimo e non potendosi
eliminare sic et simpliciter la copula orgiastica e i festival
con essa collegati, alla fine ci si accontentò di assimilare
le festività pagane ai riti della chiesa dove però al centro
c'era un maschio, Cristo o un equipollente divinità,
ricorrendo alle sagre dei santi e alle processioni per
strada... ma senza ierogamìa!
La chiesa non capì bene che la primitività degli
strumenti e la tecnica di coltivazione usata costituivano le
cause di una precarietà della vita rurale perennemente
esposta a carestie e a morie di animali nella stalla, senza
parlare delle malattie dovute alla cattiva nutrizione.
Riconobbe invece che finché l'unica energia (forza
interna) da sfruttare erano i muscoli umani, specialmente
quelli del maschio, l'unico sistema di potere possibile per
tenere insieme un gruppo era quello al cui vertice vi fosse
il maschio e il suo fallo attivo, giustificando appieno le
facoltà del capofamiglia.
Alla fine fu concessa una sola festa sfrenata nell'anno
374
del calendario cristiano imposto nella Pianura Russa: Il
Carnevale. Fissata in inverno prima che iniziassero i
lavori agricoli, ne fu ammesso lo svolgimento rituale
libero e così il Carnevale risultò del tutto assimilato alla
Maslenica, analogo festival pagano che permetteva il
contrario di ogni normalità per un'intera settimana,
almeno entro ristretti limiti e proibizioni su cibi e vestiti.
Lavoro agricolo, religione e sessualità.
Le attività produttive umane sono interconnesse con la
vita della biocenosi in cui l'individuo vive e perciò in
qualche tratto permettono di distinguere in maniera netta
il meridione dal settentrione della Pianura Russa. È
importante giacché per chi abita in una o nell'altra area
nell'epoca medievale pur con ridottissimi scambi si
creano aspettative, desideri e intenzioni a volte diversi a
causa della geografia e dell'insieme climatico. Non è un
modo di descrivere semplicistico popoli e paesaggi, ma si
tratta di vedere gli effetti negativi di qualcuno dei
numerosi eventi che l'uomo percepisce con i suoi stessi
occhi allorché disturbano e minano il quotidiano.
Eventi e quali effetti? La durata eccessiva dei solstizi!
Per gli uomini di quei tempi quando questi eventi si
verificano, la necessità di blandire le forze provocatrici
divine esige inventare i riti atti a ottenere una “risposta”
divina favorevole. La durata eccessiva dei solstizi è una
caratteristica che non poteva non segnare il paganesimo
del nordest europeo e persino profondamente. Lo
vediamo nei tratti peculiari del sistema delle forze divine
375
immaginate in azione in quei momenti dell'anno. Di
conseguenza nessuna di quelle divinità pagane nordiche
che tali eventi governavano poteva esser sostituita da
qualsiasi altra che non avesse poteri divini almeno
maggiori... come invece pretendevano i cristiani.
Ordunque, nel solstizio estivo (approssimativamente
23-24 giugno ancora 1000 anni fa) il sole restava a picco
sui campi per tutta la giornata e quasi tutta la nottata con
una temperatura raggiunta fino a ca. 40 °C e per qualche
settimana sotto l'elevato ardore i campi seccavano e il
vento soffiava via la superficie secca e pulverulenta, ma
fertile. Soltanto le Terre Nere (černozjòm) riuscivano a
trattenere l'umidità nel loro suolo argilloso e purtroppo
gran parte dei contadini non abitava nelle Terre Nere...
Nel solstizio invernale (23-25 dicembre c. s.) il buio era
totale per la lunga durata della notte e la temperatura,
analogamente in discesa già da qualche settimana,
toccava picchi negativi fino a -38/-39 °C. Il terreno gelava
coprendosi di uno strato di ghiaccio che cominciava a
sciogliersi soltanto verso maggio a sud del Circolo Polare
trascinando con fiumi di fanghiglia cioè parte della
preziosa superficie coltivabile. A nord del Circolo Polare
Artico occorreva aspettare con lunghi mesi di quiescenza
che le rive del mare Artico e le superfici dei grandi laghi si
liberassero dal ghiaccio e si potesse tornare a pescare e a
cacciare, avendo esaurito le riserve di cibo invernali.
Ibn-Fadhlan nell'anno della sua permanenza a Bulgarsul-Volga – 921-922 – visse queste e altre stranezze
ambientali mai immaginate nel vissuto precedente nella
sua natia Baghdad e le descrisse con sorpresa e
376
meraviglia servendosi logicamente delle sue conoscenze
scientifiche. Alcune spiegazioni dei locali le accettava e le
riportò, altre invece le ha lasciate come curiosità delle
mitologie regionali non discreditandole, ma ascrivendole
comunque alla grandezza del dio di Abramo. Di certo i
costumi sessuali dei bulgari del Volga, ad esempio,
risentivano delle condizioni ambientali, ma il nostro
autore ce ne dice molto poco perché probabilmente li
assimilava alla normalità dei costumi vigenti presso i
nomadi turchi e senza tante contraddizioni con le
prescrizioni coraniche in generale. Incuriosisce invece
quel che racconta dei Rus i quali, è da precisare, fino alla
costituzione dello stato Rus di Kiev non sembrano
un'etnia a sé, ma erano degli svedesi mercenari che
andavano e venivano nella Pianura Russa. Gli slavi il
nostro autore li conosce col nome di saqaliba e l'emiro
dei bulgari del Volga se ne dichiara il malik ovvero, dico
io, il padrino mafioso. L'emiro stesso viene da Kiev ed è
figlio del “governatore” (illetver/baltavar in turcobulgaro) di quella città in quel momento storico (X sec.)
sotto dominio càzaro e dove dei Rus si accasermeranno e
in seguito si fonderanno con gli slavi.
Ho scritto del meticciato etnico quasi perenne nella
Pianura Russa, ma il termine appare alquanto impreciso
perché può far intendere che la copula riproduttiva fra
due membri allogeni producesse nelle fattezze corporali
della prole rimarcabili sconvolgimenti e ciò non è. Fino al
XVI secolo, a quanto sembra dalle informazioni lasciate
dai viaggiatori stranieri che visitarono la Pianura Russa,
il fenotipo umano slavo-russo era abbastanza omogeneo e
377
le differenze etniche si basavano prima di tutto sulle
lingue parlate da ciascuno.
Le classifiche “razziali” certamente rispondevano alle
teorie fisico-mediche tramandate dalla ricerca scientifica
greco-romana antica che, ben studiate nell'islam centroasiatico, circolavano, pur in maniera minimale, a Kiev e a
G. Novgorod veicolate, secondo me, dai bulgari del Volga
(G. Heng 2018). Noi qui ne rammenteremo qualcuna
dato che nel Medioevo in base all'aspetto fisico si credeva
di poter prevedere persino il comportamento sessuale di
una persona e di qui... la validità del maschio nel
prendersi certi incarichi.
Parto da Ibn al-Faqih (prima decade del X sec.) il quale
esalta la perfezione fisica dei centro-asiatici iracheni
facendo notare la loro differenza in positivo con gli slavi
in negativo.
«[Gli iracheni] non vengono alla luce con un colore che
va dal biondo, al marrone, allo slavato, al lebbroso
come i neonati usciti dall'utero delle donne degli slavi...»
Ancora un musulmano, stavolta dalla Spagna (Toledo),
Sa'id al-Andalusi (XI sec.) descrive per sentito-dire le
genti del nord europeo e scrive:
«Nel caso di coloro che vivono più lontani nel nord, tra
l'ultimo dei 7 climi e i limiti del mondo abitato, la
distanza eccessiva del sole in rapporto alla linea dello
zenit rende l'aria gelida e l'atmosfera densa. Il loro
comportamento è di conseguenza frigido, i loro umori
sono grezzi, il loro ventre sporgente, il colore della pelle
pallido, i capelli lunghi e lisci. Pertanto difettano di
acutezza di comprensione e di chiarezza d'intelligenza e
378
vengono sopraffatti dall'ignoranza e dalla stupidità,
dall'assenza di discernimento e dall'ottusità. Così sono
gli slavi, i bulgari e i loro vicini.»
Infine Nasir al-Tusi (XIII sec.) scrive nel suo Trattato
sulle pozioni che stimolano il sesso:
«Per quanto riguarda chi ha la pelle bianca, essi si
dividono in due categorie e cioè 1. chi ha un colore
chiaro [della pelle] e begli occhi e 2. chi ha un colore
[della pelle] che tende al giallo con capelli [pure] gialli. Il
gruppo della seconda categoria posseggono un'alta
libido. Quelli che invece sono bianchi di pelle, ma con
temperamento flemmatico hanno membra flaccide né
sono forti abbastanza da poter sostenere la copula. Se
copulassero eccessivamente potrebbero anche morire e
quindi è consigliabile che stiano molto attenti quando si
impegnano in un coito.»
E a proposito di igiene sessuale nel XIII sec. comincia a
circolare in Occidente l'opera De Coitu di Maimonide,
giudeo spagnolo, mentre a Montecassino Costantino
Africano, converso ex musulmano, arriva portando con sé
in ambiente ecclesiastico cristiano e traducendoli in
latino parecchi testi in arabo dove si tocca la sfera
sessuale e l'igiene relativa come lavarsi prima e dopo. Un
testo dei suoi diventerà un altro De Coitu che la Scuola
Medica di Salerno userà a piene mani tanto da poter
leggere testualmente (1200 trad. mia) nelle Quaestiones
Salernitanae : «Di tutto ciò che è naturale, nulla è
rivoltante!». Frase rivoluzionaria per un cristiano dato
che la zona genitale era considerata impura e così lavarsi
non altro che un rito di purificazione diabolico fino al
379
XV-XVI sec. E sempre in ambito salernitano alla stessa
epoca chissà se giunse nel nordest la “ricetta” di Trota, la
prima medichessa europea, per evitare gravidanze (la
riduzione del testo è mia da L. Kang & N. Pedersen 2019).
«Catturate una donnola maschio. Recidete i testicoli
dell'animale e rilasciate in libertà. I testicoli siano
avvolti in un sacchetto di pelle d'oca e che la donna li
porti appesi in mezzo ai seni. Così si impedirà la
gravidanza dopo ogni coito.»
La ricetta suona di origine certa dal Centro Asia (poco
probabile trovar donnole nel Salernitano!), eppure,
malgrado gli scritti scientifici che in qualche modo erano
trascinati in Occidente, le autorità cristiane tenaci si
aggrapperanno alla loro teologia e nulla farà loro
cambiare idea sia sul Tevere sia sul Bosforo (questa più
influente della prima fino al XIII sec.). L'attività sessuale
resterà definita nel dogma del matrimonio cristiano
(dopo il Concilio di Trento, XVI sec., diventerà “un
sacramento”, un “remedium concupiscentiae” cioè un
rimedio alla schifosa libidine), mentre fuori dalla coppia
consacrata, persino se nel matrimonio non si prevede uno
scopo procreativo, fare all'amore è certamente peccato
giacché si scivola nella bieca passione animale.
In breve le fonti dei musulmani nei cortili delle moschee
e la banja slava erano luoghi di perdizione! E pensare che
lavarsi poteva considerarsi l'unico contatto del corpo non
peccaminoso con l'acqua visto che anche per i cristiani
era obbligatorio il bagno nudi nella fonte battesimale
prima che s'abolisse questo spettacolo ritenuto impudico!
Attenzione però! Si userà la parola procreare in latino
380
per la posizione della madre umana al posto del creatore
perché, benché sembri che ciò avvenga, essa non crea un
essere umano nuovo, ma fa nascere ciò che dio le manda.
La femmina diventa madre perché è stata consacrata e
benedetta tale dal santo matrimonio con quel consorte
determinato e non perché si sappia come funziona il
concepimento. Al maschio-padre infatti putativo, il
creatore ha affidato altri “superiori e onorifici” ruoli che
non una volgare cavalcata sul corpo della moglie.
Atteggiamenti del genere nel nordest resteranno alieni,
sconosciuti e inspiegabili. La gente pagana, cittadina o
rurale, continuava a vedere la copula come l'espediente
preferibile per entrare in comunicazione con le potenze
divine in modo immediato sia nei casi di richiesta di
privata intercessione sia nel caso più allargato ricorrendo
alle celebrazioni orgiastiche.
Quando poi scrivevo del rapporto dei Rus con le divinità
pagane secondo il racconto di Ibn-Fadhlan, accennavo
alla tipica connotazione “mercantile” nel chiedere un
aiuto a un dio che l'autore arabo aveva notato. Da tal
genere di approccio è facile dedurre che far entrare una
nuova divinità nel mondo pagano senza la “prova della
sua potenza” era impossibile e che nessuno osasse
imporre un monoteismo incomprensibile e caparbio.
Ritornando ai solstizi, la loro origine cosmica resta
confusa fra le varie versioni magico-fantastiche che
circolavano e, essendo arduo farne una sintesi o una
selezione, diciamo che la credenza, almeno nel caso
invernale, era l'eterna lotta fra la Luce e le Tenebre di
derivazione zoroastriana-manichea.
381
La Luce è quasi logicamente tutto ciò che distribuisce il
dio del cielo col suo carro del sole sorgente dalle acque al
mondo inferiore e nel mondo slavo il dio è Svarog (o
forse anche Perun con un po' di mescolanza sulle
attribuzioni) che si batte con la Tenebra del dio-serpente
Veles/Volos. Quest'ultimo, si racconta, è stato derubato di
una parte delle sue vacche e lui per rappresaglia ha rapito
la sposa del dio del cielo e l'ha portata con sé sotterra.
Alla difficile ricerca della divina sposa Svarog/Perun
lascia che Veles occupi il cielo e ostacoli il percorso del
carro del sole ogni giorno. Le Tenebre perciò avanzano e
l'uomo vede allungarsi la notte con la paura che il sole
non ritorni e tutto: piante, animali e uomini, muoiano.
Più si sale in latitudine e più si accentua il fenomeno
solstiziale e nessuno ha la certezza che il sole ritorni. Che
fare? Gli antenati che avevano vissuto quelle paure
avevano lasciato una speranza nel celebrare grandi
lamentazioni e dei riti propiziatori affinché la Luce
prevalesse sulla Tenebra.... entro 7 giorni!
La paura che tutto finisse in una catastrofe cominciava
ai Koljady quando ufficialmente i sacerdoti indicevano
preghiere agli antenati per l'intercessione. Si cominciava
col mettersi in vedetta sull'altura del Rod incaricando un
sacerdote di rimanere desto, attento e pronto a avvisare
del corso della battaglia celeste e dell'esito finale...
misurando l'illuminazione. Ibn-Fadhlan credette di esser
stato testimone della detta lotta celeste per aver osservato
un'aurora boreale e scrisse:
«... vidi l'orizzonte diventare rosso brillante e nell'aria
al di sopra [della mia testa] clamore e tumulti. Alzai la
382
testa per guardare e vidi una nebbia rosso-fuoco che si
avvicinava diretta verso di me... da essa venivano il
clamore e i tumulti. … [in essa c'erano] ombre a forma di
uomini armati con lance e spade. All'improvviso
un'altra nube con uomini armati simile alla prima si
lanciò verso la prima. Fu come uno scontro fra due
cavallerie. Noi eravamo terrorizzati e ci mettemmo
faccia a terra a pregare Dio perché ci risparmiasse la
vita mentre i locali meravigliati del comportamento
nostro ridevano di noi ... Dopo circa un'ora tutto
scomparve ... e il re spiegò che gli antenati pensavano
[che questi eventi fossero dovuti] a spiriti divini che si
combattevano da sempre e che avrebbero continuato a
farlo [anche in futuro].»
Intanto sulla collina i sacerdoti hanno montato un
primitivo osservatorio astronomico con un paio di lastre
di pietra sacra che attraverso la fessura orizzontale
lasciata libera nella loro sovrapposizione faranno passare
il primo raggio di sole... se gli dèi lo vorranno!
Prima di annunciare la vittoria della Luce ci si
assicurerà che il sole sia ritornato per davvero e che sia
rientrato nel ciclo circadiano abituale con una verificaveglia di ben 7 giorni. A quel punto aveva luogo il solenne
ringraziamento con sacrifici di animali maschi sgozzati e
il loro sangue, elemento vivificante, versato in terra. Le
carcasse macellate erano arrostite lasciando che salissero
verso il cielo gli effluvi dell'arrosto affinché gli dèi
partecipassero all'orgia in corso in loro onore.
La carne finalmente era consumata da tutti i convenuti
con grandi bevute di birra e di idromele. Dopodiché
383
copulando senza regole finché era possibile e prima di
crollare sfiniti e ebbri al suolo, gli uomini e le donne
festeggiavano la contentezza generale perché un altro
anno di vita era stato loro concesso.
Religiosità della biocenosi.
Il paganesimo contadino ancora una volta da
evidenziare è fondato sui cicli della natura e il suo
calendario segue passo passo le operazioni agricole con le
loro scadenze come la seminagione, la mietitura etc. che
sono presiedute da divinità particolari. Per il contadino
questi sono anche i suoi ritmi di vita nei quali vanno
interpolati gli eventi umani come nascite, morti, sponsali
etc. pure ciclici, ma con scadenze diverse e impreviste. Se
per una qualche ragione ignota e perciò magica pure i
cicli chissà per voleri e arbitri divini variavano o,
addirittura quando sembravano interrompersi, suscitava
uno spavento generale e occorreva pertanto ricorrere a
un intervento rituale straordinario che spesso includeva
un sacrificio umano. Soltanto così si credeva ripristinare
correttamente la vita nell'hinterland delle poche città
sedicenti slavo-russe.
Il ciclo vitale della biocenosi forestale come lo
descrivono contadini e raccoglitori-cacciatori aveva inizio
tardi con l'equinozio di primavera e terminava poco
prima dell'equinozio autunnale dopodiché c'era la lunga
quiescenza invernale. Sia come sia le date precise dei cicli
di 1000 anni fa non le conosciamo bene perché sono
variati e perché non corrispondono le rispettive
384
nomenclature alle odierne e malgrado la Riforma
gregoriana eseguita per ragioni astronomiche la Chiesa
Russa nemmeno la recepì perché eretica. Tanto che le
feste cristiane dovettero adattarsi a quelle pagane che
avrebbero dovuto essere soppresse e sostituite.
D'altronde la posizione geografica della Pianura Russa
richiedeva non un calendario per l'agricoltura, ma forse 2
o 3 e le modifiche (dette in russo “vecchio stile”)
astronomiche furono introdotte da Pietro I nel 1700
solamente per gli atti civili (v. in Wikipedia e in Istorija
krest'janstva SSSR, 1987). Comunque non mi compete
qui andare oltre nella questione e voglio solo sottolineare
che nell'intera Pianura Russa da nord a sud non si
notano 4 stagioni, ma piuttosto 2: Una buona e corta e
una cattiva e lunga. Né esistono riposi e fermate
settimanali, ma solo ritmi circadiani basati sulla presenza
e sull'assenza del sole.
Le cerimonie del ciclo annuale erano più o meno simili a
quelle che si facevano per festeggiare Mitra, il dio del
sole, nell'Iran avestico sul fondo comune indoeuropeo. Il
cristianesimo le aveva viste a Roma sul Tevere e sul
Bosforo, ma poi, diventato religione ufficiale dell'Impero,
aveva travestito quelle festività in messe speciali notturne
di ringraziamento per il Natale di Cristo, occultando ogni
troppo appariscente “indecenza” pagana soprattutto le
crapule, l'ubriachezza e l'orgia.
385
ricostruzione museale di un trasbordo su uno spartiacque
Richiamo qui Mitra poiché è un luogo comune leggere
che Cristo nasce come il dio ariano in una grotta da una
vergine, Maria, che partorisce in un rifugio di pastori. Per
me è notevole pure che ciò lega il Natale alla sacralità
delle grotte considerate nel paganesimo come le vulve
della Gran Madre Terra e Maria d'allora in poi appare
quasi sempre all'interno di grotte o di arcate di tale forma
ossia in perenne collegamento con gli esseri divini del
sottosuolo di solito associati con gli antenati morti. A
causa di quelle presenze divine (per i cristiani diaboliche)
nelle grotte, in esse scelgono e vivono la vita i monaci in
ascesi come nel Sinai e sul monte Athos ossia tormentati
da continue visioni erotiche emananti dal mondo
sotterraneo che mette a dura prova la loro fede. Il
Monastero delle Grotte è l'esempio smagliante del culto
della caverna sopravvissuto nel cristianesimo slavo-russo
386
e sarà in seguito chiamato persino Nuova Gerusalemme.
Detto ciò, il solstizio d'estate era speciale fra gli slavi
meticciati per tutta una serie di ragioni. Ritornando sulla
festa di Kupalo do qui l'informazione aggiuntiva che era
in realtà il trionfo dell'amore in assoluto. L'unico
documento superstite che ne parla con variegatissimi
particolari è la lettera del superiore del monastero di
sant'Eleazaro di Pskov, l'egumeno Pamfilo (ca.1530) che
conclude con queste parole astiose: «Tutto questo
succede nel giorno di san Giovanni Battista con
preghiere empie e sataniche secondo gli usi del diavolo.»
Ed ecco in breve le fasi dello svolgimento.
•
Si celebrava più o meno quando il grano era
pronto a essere mietuto e tirare le somme su come era
andata l'annata. Se non fosse andata bene, comunque del
raccolto ce ne sarebbe stato in qualche misura per tutti e
quindi andava festeggiato mentre il terreno era lasciato a
riposare prima di trebbiare.
•
Era il momento di fare piani per il futuro ponendo
nuove basi per nuovi insediamenti nella foresta e quindi
era importante formare le nuove coppie di futuri coniugi
e Kupalo, il dio della gioventù in amore e della fertilità,
era pronto a dare una mano indicando le persone giuste
con la lettura dei legni sacri mescolati e poi lasciati cadere
sul suolo a formare disegni da interpretare. Nel primo
atto del rito ci si doveva prima bagnare nel fiume e poi
purificare i genitali saltando nudi sui fuochi ormai brace
dei falò. Si saltava in coppia e se si riusciva a saltare
sempre tenendosi per mano... era fatta!
•
Se poi sembra che ci sia una certa quiescenza con
387
l'avanzare dell'età nel fare all'amore, la festa di Kupalo
offriva spazio agli anziani di dare la caccia alle giovanette
che alla fine dovevano cedere secondo gli usi e lo stesso
accadeva per le anziane che si sceglievano un baldanzoso
giovanotto.
•
Kupalo appariva insieme a sua sorella che era stata
il suo primo amore e ora la sua consorte e i due erano
simboleggiati rispettivamente dall'acqua e dal fuoco
mentre il frutto del loro connubio era il fiorire della Viola
tricolor sp. o Viola del pensiero simbolo popolare dei
sentimenti amorosi ben rappresentati dai due colori in
contrasto nella corolla del fiore. In una variante del mito
Kupalo vuole sacrificare sua sorella e lei gli chiede di
piantar la Viola del pensiero sulla sua tomba.
•
In alcune aree si confezionavano persino due
pupazzi di paglia chiamati fratello-e-sorella che alla fine
della festa erano dati alle fiamme (vince la donna) o
“annegati” o gettati nella corrente del fiume (vince
l'uomo). L'incesto fratello-sorella ispirava l'intera
celebrazione in ricordo del sacrificio cruento di una
coppia umana eseguito nel passato per impetrare dagli
dèi fertilità e che pertanto ancora nel XII sec. tale rito
suscitava le lamentele della chiesa.
•
È pure importante l'analogia che si nota di Kupalo
con le Targhelie di Apollo che davano il nome al mese
greco (maggio-giugno) targhelione. Seguivano più o
meno lo stesso andamento e la straordinaria assonanza
con Cupavon figlio di Cygnus nell'Eneide di Virgilio e
considerato re dei Liguri è singolare.
Per Kupalo il folclore non solo russo ma slavo in
388
generale ha creato parecchie altre leggende e racconti che
però poco si occupano di spiegare il fenomeno solstiziale
almeno con la mitologia. Forse una ragione è che, finiti i
lavori nei campi e tirate le somme, adesso si doveva
lasciare i campi a riposare e dedicarsi finalmente a
attività spensierate e piene di godimento come i giochi
d'amore. E che c'entrava san Giovanni in tutto questo,
secondo la chiesa cristiana? Sembra che si riferisca per i
fuochi a un detto di Cristo che avrebbe chiamato san
Giovanni Battista “luce bruciante e accecante” senza
risvolti impudichi (S. Hodorowicz Knab, 1993).
Indicativamente riproduco il Calendario Slavo in
appendice con le date riadattate al calendario stagionale
moderno (2021) che comprende logicamente la riforma
gregoriana. Si tenga peraltro presente che alle feste
popolari spessissimo fu cambiato il nome e l'abbinamento
con la divinità pagana e quest'ultima fu sostituita con una
figura santa cristiana. Addirittura ove un santo apposito
non si trovasse, la chiesa ne inventava uno provvisorio
che in seguito l'autorità ecclesiastica avrebbe in ogni caso
consacrato.
Per queste ragioni le date del Calendario Slavo non sono
mai ultime e definitive nei vari autori da me consultati.
389
Capitolo tredicesimo
Questioni da rispolverare
Le CTP insistentemente lamentano – fino al XIV sec.
inoltrato, non dimentichiamolo! – pesanti ostilità da
parte della gente comune verso il pensiero-dottrina
cristiano già a partire dall'essere etichettati con l'epiteto
spregiativo di pagani, di persone barbare e intristite, ma
soprattutto di essere compresi fra “quelli che non
capiscono la giusta lingua di Cristo” e di far parte di
lingue profane o in russo Jazyčestvo. Si accusa così la
gente di respingere l'amore del dio creatore verso le sue
creature e di non saper accogliere la salvezza dalle pene
quotidiane che il cristianesimo offre.
Le CTP, l'ho già scritto, iniziarono ad esser compilate a
Kiev con Jaroslav e a G. Novgorod con Vladimiro
Monomaco, educato a Costantinopoli e sposo di Ghita,
figlia di Aroldo, il re anglosassone caduto nella battaglia
di Hastings (1066) contro l'ex vichingo Guglielmo il
Conquistatore. Di conseguenza il Monomaco da sovrano
varjago-svedese era abbastanza internazionalizzato da
non poter ignorare la situazione religiosa esistente nel
dominio kievano al battesimo del X sec. poiché i varjaghi
erano stati in realtà i pochi battezzati di Kiev, benché –
sfortunatamente per loro – aderenti all'eresia di Ario. Il
suo omonimo nonno, Vladimiro il santo, aveva concesso
390
il primato religioso all'ortodossia di Costantinopoli e le
cose a Kiev erano alquanto cambiate.
Rammento che Kiev nasce come un governatorato
militare càzaro-bulgaro in cui islam, ebraismo e
cristianesimo convivevano fra pochi fedeli senza inutili
scontri da anni ed era giunta l'ora che quei rapporti
mutassero rafforzando la chiesa russa. La politica del
Monomaco su sollecitazioni di prelati alloglotti e
sospettosi avrebbe dovuto coincidere con una gradualità
dell'azione politica ingiuntiva verso chiunque non fosse
cristiano ortodosso e non pagasse tributo, evitando
maniere brusche manu militari. Per di più i commerci
andavano “alla grande” in quei secoli e eventuali contrasti
e battaglie religiose avrebbero avuto solo effetti negativi a
Kiev fra le diverse comunità mercantili.
È chiaro che sto leggendo nelle CTP eventi storici che
non coprono bene la regione circumkievana, ma che si
svolgono all'interno delle mura kievane e dove i contadini
vantati come fedeli sudditi al contrario sono assenti come
attori politici. Le CTP tralasciano dal novero delle
religioni presenti nelle due grandi città, Kiev e G.
Novgorod, proprio quelle maggiori e cioè i vari
paganesimi
etnici,
ancora
fortemente
radicati
nell'hinterland. Quell'unico termine: paganesimo (russo
jazyčestvo) risponde alla concezione di mitologia
religiosa sincretistica del Nordest dove puntigliosamente
i pagani restavano relegati nel XI-XII sec. in aree
linguistiche di porzioni di foreste poco conosciute o ai
margini di estese paludi pochissimo frequentate e
risultavano pertanto ignorati e assenti nella vita di
391
relazione della limitatissima popolazione cittadina.
Nell'élite al potere pertanto si cominciarono a far meglio
i conti con la demografia e l'interesse a governare di
persona le fonti di sussistenza per Kiev (G. Novgorod e i
Bulgar-sul-Volga se la vedevano ciascuna in proprio
comperando e producendo) s'accresce enormemente. A
questo punto la chiesa cristiana con i suoi preti e i suoi
diaconi e parroci si deve sguinzagliare per identificare più
accuratamente la realtà contadina da mettere sotto
tributo cioè, per farla breve, rendersi conto finalmente
dell'esistenza di una buona massa di popolo ancora da
assoggettare. E inizia così per davvero la battaglia dura e
secolare fra credenze cristiane e credenze pagane
“diaboliche” a più livelli, soprattutto per la posizione
ancora solidissima nell'economia dei mir della donna
amministratrice e la misoginia della chiesa. I preti si
lanciano a costituire conventi nei posti più sperduti del
territorio costruendo chiese e refettori. È il fuoco divino
del XII-XIII sec. che investe il personale ecclesiastico e i
laici compresi gli izgoi...
È strano per me 1000 anni dopo, constatare che la
questione maggiore su cui si articolò la propaganda
cristiana fu l'incesto... facile da condannare, se già
avvenuto, ma difficile da prevenire, se ancora non
attuato. Ne ho scritto in precedenza, ma val la pena
aggiungere altre informazioni e capire perché l'incesto sia
un peccato orrido per i cristiani e poco importante per
l'islam (Sura IV, La Donna, vers. 19-23), mentre era un
normale accaduto di educazione sessuale per i pagani.
L'apologeta cristiano Tertulliano scrive consolandosi
392
(ca. III sec.): «Se c'è un'etnia completamente libera dal
coito e dalle urgenze del sesso e dell'età, per tacere dei
piaceri della carne e del lusso, è proprio quella in cui si
consente all'incesto.»
Un giro di parole per dire che l'amore incestuoso
oscurava ogni altro tipo di sessualità ed era perciò
realistico intervenire per arginarlo nel tessuto familiare
dove si svolge la vita umana in maniera santa e non fra
animali e mettendo la copula in secondo piano. È la verv
che deve esser presa di mira di cui la comunità pagana
era gelosissima. E non era assurdo vietare l'incesto fra
parentele fino alla 7.ma generazione? Nella verv per
quanto possibile di generazioni se ne allogavano 4 al
massimo e se si scivolava a fare all'amore fra parenti
stretti, era forse male? Una regolamentazione sessuale
restrittiva in questo ambito avrebbe in pratica destinato
le comunità all'estinzione, non essendo in grado di
praticare un'esogamia a largo raggio e quindi nel cercare
e nel trovare persone non parenti in distanze accessibili al
di là dell'ignoranza della fisiologia sessuale. La stessa
chiesa riparerà alla stupida prescrizione secoli dopo
(Concilio di Trento, XVI sec.) ammettendo l'incesto
purché non auspicato intenzionalmente e purché seguito
sempre da matrimonio canonico con speciale dispensa.
In conclusione sull'incesto e sull'idea sbandierata che
implicasse persino un l'uso malvagio per generare mostri
o deboli di mente, la chiesa cristiana s'accorse presto di
aver pochissime armi convincenti. Anzi! Negli antichi
miti riflessi nei costumi con l'incesto e la poliginia i figli
da esso derivati erano integrati al resto della prole senza
393
discriminazioni. La madre precocemente vedova, ad
esempio, vedeva nel figlio i tratti fisici del consorte
defunto e così egualmente il padre rispettivamente nella
figlia e nasceva naturalmente il desiderio amoroso. Nel
caso di fratello e sorella l'incesto invece, poteva dare
l'esito di un tirocinio o di giochi sessuali divertenti. E
perché allora inventarsi e caricare un pesante senso di
colpa su quei costumi sessuali che i pagani stimavano
un'eredità intoccabile passata dagli antenati? E perché
dire che un figlio incestuoso nasceva malformato, morto o
dai tratti mostruosi o persino destinato a vagare senza
meta nelle sembianze di morto-non-morto (upir)? Se un
bimbo veniva al mondo male, ciò era sicuramente frutto
di incantesimi malvagi, senza contare (aggiungo!) la
mortalità perinatale che eliminava gli esemplari umani
pur leggermente difettosi, ma l'incesto non c'entrava per
nulla né c'erano prove che così non fosse!
Se le donne non sapevano di possedere uova da
fecondare, i maschi credevano che lo sperma fosse un
nutrimento essenziale da accogliere nell'utero già gravido
durante la gestazione e, perché no?, anche in tutti gli altri
casi quando l'utero era per così dire vuoto. Mi pare pure
di capire dai contenuti di certi proverbi russi che il coitus
interruptus da usarsi per non incorrere nell'incesto fosse
una decisione esclusiva maschile, ma poteva esser
ritenuto un'offesa dalla partner che si sentiva magari
rifiutata e meglio disposta a ingollare lo sperma in una
fellatio invece di buttarlo via. E bocca e vagina non erano
entrambe orifizi sacri del corpo femminile? Altro che le
peccaminose porte del demonio dei cristiani.
394
Le conoscenze “scientifiche” dei “padri della chiesa”
sull'argomento concepimento risalivano per la gran parte
ai sentiti dire di Aristotele (IV sec. a.C.) e di Galeno (II
sec. d.C.) che si erano pronunciati sul ruolo dello sperma.
Il primo considerava una partecipazione organica dello
sperma al concepimento e ne attribuiva la presenza
soltanto al maschio, l'unico a produrne. Galeno invece
riconosceva la presenza di sperma anche nella femmina
che coagulandosi (insufficiente intuizione) con quello del
maschio provocava il concepimento. Testi del genere
tradotti dall'arabo giunsero tardivamente nel nordest e la
chiesa russa nell'epoca rimase a vagare in una fantasiosa
ignoranza sul sesso e su come esso funzionasse.
Quel che non sono riuscito a sapere con sicurezza è se
nel passato pagano slavo-russo ci si è mai preoccupati di
interrompere la gravidanza e perché farlo e se era in uso il
preservativo.
Ancora sul matrimonio.
Ad onor del vero chi prima dell'osservazione al
microscopio avrebbe mai immaginato che anche la donna
avesse uova da fecondare nel suo utero e che il maschio
possedesse gli spermatozoi nel suo liquido spermatico per
ottemperare alla bisogna? Ogni religione ebbe carta
bianca fino ad alcuni decenni fa nel descrivere il sesso nei
modi più improbabili e fantasiosi e travestirlo di misteri
religiosi e/o di segreti di ideologia politica.
L'interesse della chiesa era chiaro: tramite la polemica
sull'incesto si presentava la “famiglia cristiana” come
395
l'unità santa e mai ribelle che arricchisce la vita in
comune. Non solo! Tenendo a mente che la donna
amministrava l'economia del dvor. definire chi ereditava
la proprietà materiale alla morte del maschio consorte era
la giurisdizione primaria per non frammentare il
contributo dovuto al sovrano e non diminuirne perciò
l'ammontare da versare. I primi scontri col paganesimo si
focalizzarono perciò sul matrimonio affinché tale rito
apparisse collegato strettamente ai costumi sessuali
piuttosto che a un mucchio di questioni prettamente
economiche.
La tattica d'attacco fu quella solita: proporre un modello
da emulare. Quale? Costruire un tempio cristiano nel
cuore del mir e assegnarlo in gestione a un parroco e alla
sua famiglia dove il ruolo imprescindibile del prete era di
percepire le prebende dovute al suo vescovo e proporsi
come modello di comportamento cristiano contro incesto
e poligamia. Si predicò che Cristo non permettesse
l'esistenza di amanti fossero o no sposati e registrati dal
parroco! Una riforma del genere andava contro ogni uso
e costume slavo-russo giacché per l'unione di un uomo e
una donna con pretese di esclusività sull'atto coitale non
era previsto. Tanto meno era prevista l'esigenza di un rito
religioso a proposito. Erigere templi e santuari per
celebrare questi eventi, a parte il fatto che tali costruzioni
erano previste fuori dai villaggi in posti speciali e isolati
in cima a un'altura nel fitto, risultava un'oscena sfida alla
tradizione.
Eppure la chiesa cristiana era dura su questi punti e il
papa Nicola I scrisse ai bulgari del Danubio nel 866 una
396
lunga lettera sull'intera questione parrocchiale e sul
matrimonio. I contenuti della stessa serviranno nel XII
sec. a elaborare una vera dottrina per i promessi sposi
finché il matrimonio non diventerà un sacramento
standardizzato. A Roma sul Tevere seguirà più avanti nel
tempo persino l'introduzione del celibato per l'intero
corpo ecclesiastico mentre a Roma sul Bosforo con una
visione più pratica si imporrà l'obbligo del celibato solo ai
monaci ai quali però restarono riservate le cariche
ideologicamente più importanti nel sistema chiesa.
Il parroco (e con lui il diacono) pertanto avrà una sua
famiglia rispettando le regole e i principi di cui Nicola I
scrive e che qui di seguito sommariamente enuncio: (1) la
coppia nubenda deve essere eterosessuale (2) occorre
verificare il grado di parentela biologica (!) e istituzionale
fra i due partner per evitare l'ignominioso incesto (3) i
partner devono essere reciprocamente consenzienti a
dover vivere insieme l'intera vita e, se uno di loro dovesse
mancare, a rispettare la vedovanza fino alla morte (4)
permesso il matrimonio dall'autorità vescovile, esso deve
essere pubblico, ma nel chiuso di una chiesa consacrata e
l'atto dovrà essere celebrato dal ministro del dio cristiano
(5) finalmente la nuova famiglia è costituita ufficialmente
e la coppia si può separare dai suoi per concludere il rito
con la copula legittima (6) la donna deve essere munita
dai suoi genitori di una dote congrua allo scopo di evitare
la sua compravendita come avviene presso gli slavi
pagando il veno o presso i bulgari non battezzati e i loro
affini turcofoni della steppa e sul Volga che pagano il
qalim/kalim alla famiglia di lei.
397
E fare all'amore? Lo scopo è di rafforzare i legami
maritali e la chiesa raccomanda pure la postura coitale
detta laterale o alla pigra in cui i partner giacciono sulla
schiena uno accanto all'altro e girandosi l'uno sul fianco
sinistro e l'altro sul destro copulano guardandosi negli
occhi!
Il compito del parroco, della sua consorte e dei loro figli
fu di dimostrare con i loro comportamenti soprattutto
sessuali come il matrimonio cristiano funzionasse e ne
ricevesse la divina benevolenza. I volhvy pagani al
contrario restavano celibi o nubili, a seconda del sesso
loro attribuito e avevano le loro avventure amorose
quando volevano che non costituivano una minaccia
all'armonia del mir e delle verv pagani. Diventava
incomprensibile persino lo scopo dell'alleanza fra la
famiglia del parroco con quella della sua consorte nel
caso che entrambi o uno/a dei due fosse locale, se sposati
in modo cristiano. Il parroco non era che uno straniero
nel villaggio, ma non per questo superiore agli altri
capifamiglia che invece vantavano lo stesso eponimo.
Un padre con più figli e figlie in generale per l'etica
cristiana suscitava sospetti di incesto o di adulterio, ma
altrettanto accadeva per il mir se si impediva che tali
situazioni ci fossero perché si vedevano trascurate le
alleanze matrimoniali e attentava in più al potere
tradizionale del pater familias.
Che scopo c'era, se non oppressivo, nel prescrivere (e
non soltanto per il parroco) che la copula non avvenisse
troppo spesso né prima di certe liturgie né durante alcuni
periodi festivi e, orribile a dirsi e a farsi, che si evitasse di
398
ricorrere all'atto sessuale per raffreddare le eventuali
ardenti spinte proprie e della consorte? In breve sorsero
ostacoli e contraddizioni enormi che non consentivano di
accettare passivamente o con entusiasmo l'ordine
matrimoniale cristiano con i suoi strani veti sessuali.
La Chiesa Russa del XI-XII sec., serva politica del
principe di Kiev e del Patriarcato di Costantinopoli,
tenterà di introdurre il suo modello fra le diverse etnie
che riesce a localizzare e ad affrontare. Chiaramente dopo
una stratificazione di secoli di culture in evoluzione, nel
racconto orale o nei proverbi si riscontra l'autocensura
evidente nell'indicare le tradizioni sulle relazioni amorose
come eretiche e peccaminose e da metter da parte per
sempre. Neppure gli sponsali costituivano un argomento
di cui parlar spesso nel mir giacché le eventuali coppie (di
qualsiasi tipo!) innamorate si formavano e si scioglievano
spontaneamente e tutto finiva lì, magari con una bella
mangiata e una buona bevuta e un lieto scambio di regali
e alla stessa stregua non aveva ragion d'essere una coppia
in eterno amore. Allo stesso tempo tuttavia si indulgeva
ironizzando sul parroco e sulle sue debolezze sessuali
ovviate con avventure extra matrimoniali, omosessuali e
quant'altro di peccaminoso.
Un discorso a parte si faceva sul trasferimento di una
donna da un mir all'altro poiché in tal caso era lo scambio
di un pegno su un capitale di enorme valore: la fertile
genitrice. Ciò costituiva per la famiglia di lei una perdita
di forza lavoro nella figliolanza a venire e allora sì che
un'alleanza fra famiglie in caso di scompensi di
produzione di cibo, minaccia frequente nei tempi andati,
399
andava organizzata con cura e impegni precisi di
“vicinato”. Nel passare al cristianesimo nessuna autorità
osò pertanto intervenire nell'intera sequela rituale di
questo tipo di matrimonio in misura tale da cancellare gli
usi pagani antichi.
Prima di arrivare agli sponsali che descriverò più avanti,
ci sono altri “riti di passaggio” che l'individuo subisce
durante la vita nella società slavo-russa del X-XIV sec.
La gravidanza ad esempio andrebbe considerata il
passaggio della donna a madre col suo frutto offerto alla
società già esistente. Eppure non solo questo rito di
passaggio manca, ma – lo rammento ancora una volta –
il parto, la nascita, la morte perinatale etc. vagano nella
penombra degli eventi in generale ignorati. E così se il
neonato è maschio, è un conto e, se è femmina, corre il
rischio di essere eliminata fisicamente o alienata in
qualche modo con l'esogamia o venduta schiava appena
pubere. E non basta. Siccome appare nella credenza
popolare che la donna fosse libera di generare senza
l'ausilio maschile, ancora oggi si crede nel nordest che
atti inconsulti a parte il coito possano indurre una
gravidanza non desiderata o influire sul processo
generativo. Un esempio? I piselli sono detti legumi che
“portano la gravidanza” poiché pieni di amido che
“gonfiano il ventre” e quindi si evita di mangiarne! Pure
l'acqua che sgorga da certe fonti ha lo stesso effetto e le
russe di oggi leggono e rileggono con attenzione
l'etichetta dell'acqua minerale acquistata nei ristoranti e,
senza saper l'antico perché, nel dubbio preferiscono
sorbire volentieri i succhi di frutta.
400
Seguendo il fil rouge del maschio unico membro della
verv al quale i riti di passaggio si celebrano con maggiore
solennità, comincio col dire che dopo la nascita il neonato
maschio fino alla pubertà in pratica non esiste per l'intera
verv. Ed è appunto la pubertà il primo rito di passaggio
che matura con le prime polluzioni spermatiche verso gli
8-9 anni e che viene celebrato fra i 10 e i 14 anni sotto
forma di postrig ovvero di prima tonsura dei capelli,
mentre non si tocca la peluria sulle labbra che pure
appare. Il rito rappresenta il culmine nello sviluppo fisico
raggiunto dal ragazzo per accedere all'azione pedagogica
(paideia) dell'autorità adulta di sesso maschile cioè del
padre putativo. Da lui imparerà l'assoluta obbedienza al
più anziano e passerà alla gestione autonoma delle
proprie abilità fisiche comprese le attività sessuali. Di
solito il postrig è un rito collettivo nel mir poiché non
esiste l'adolescenza né un registro anagrafico e le verv del
villaggio mettono insieme una parata di giovanetti
abbastanza mista quanto a età e parentela in una festa di
allegria orgiastica. E siccome si tratta di un rito iniziatico
maschile, essa è assimilata nei Balcani di ascendenza
latina ai Lupercalia romani ed è la festa dei Koljady o, in
rumeno, dei Colinde (I. Ghinoiu, 2001) in cui i ragazzi
ancora celibi, nudi e armati di falli di legno invadono
strade e piazze assaltando e battendo le donne e fingendo
di copulare con esse col fallo sempre eretto ben in vista.
La bambina? Non subisce il postrig perché i capelli
lunghi o in treccia raccolta sulla nuca da sempre sono la
caratteristica sessualmente distintiva e seduttiva della
donna nordica europea. Nel caso i capelli tagliati per la
401
prima volta sono la conferma del matrimonio prossimo
ossia di un passaggio di proprietà o una grave punizione.
Il segnale di raggiunta pubertà per lei è naturalmente il
menarca che appare chiaramente intorno ai 12-13 anni in
media nella Pianura Russa di 1000 anni fa. I suoi
giocattoli? Il fuso e il telaio. Non c'è alcun rito di
passaggio collettivo e pubblico per lei, ma la nuova
condizione fisica si evidenzia in casa, quasi di nascosto
con il cristianesimo, abituandola ai tanti pregiudizi che
circondano il mestruo sempre vivi.
Un rito speciale dedicato all'entrata di bambine scelte
prima che abbiano avuto il menarca, ma già quasi puberi,
è sotto forma di essere selezionate e sfilare vestite da
spose del knjaz. Addirittura se accadeva che il menarca
irrompesse durante il rito, la bimba coinvolta con una
certa delusione perdeva gli aspetti magici che il rito le
attribuiva come un grande onore da vantare nelle
solennità. Non solo! Ritenendo giustamente che fosse
importante saper ben gestire la copula, le bambine puberi
sarebbero state educate in alcune regioni a perdere prima
d'ogni altra cosa la verginità imparando a copulare
affinché da spose fossero in grado di far godere il partner.
Siccome poi l'orgasmo femminile è più elaborato e più
lento da raggiungere di quello maschile, l'unico modo per
goderne in tranquillità era la masturbazione solitaria o in
coppia o in gruppo di tipo lesbico e in quest'ultimo caso
una delle ragazze appariva acconciata da uomo cioè con
capelli molto corti e gesti marcatamente maschili
(mužeskaja žena).
D'altronde i racconti popolari ci hanno trasmesso molte
402
cerimonie simili per monache e converse prima di
prendere i voti nei primi conventi sorti nella Pianura
Russa. In parecchie byline l'eroe non si sposa con la bella
che ha liberato, come accade nei racconti edificanti della
letteratura controllata dalla chiesa, ma conquista per lei
quanto basta in gioielli e stoffe preziose per meritare, lui,
una festosa accoglienza nel mir e poi partire via per
sempre.
In generale il folclore non dipinge la donna come essere
inaffidabile e demoniaco, ma come persona libera di
scegliere fondamentalmente l'amato e di battersi persino
con successo contro gli eroi maschi. Addirittura,
travestita con la pelle di un animale sfugge ai matrimoni
indesiderati facendosi volentieri rapire dall'animale
maschio corrispondente alla pelle che indossa e copulerà
con lui nel fitto della foresta. In altre fonti si legge che
erano le donne a scegliere il partner... guardando e
toccando i loro testicoli!
Ed ecco quanto scrivono con obbrobrio e rassegnazione
le CTP:
«...il matrimonio [fra i contadini] non esiste; c'erano
invece dei giochi [riti sacri o igry] che si celebravano fra
un villaggio e l'altro. [I giovani] tutti vi partecipavano,
ballavano e si divertivano in maniera diabolica e
ciascuno si appartava con la femmina scelta e c'era chi
si appartava persino con due o tre...»
Malgrado tutto la donna ormai allo stadio considerato
adulto, ma non ancora sottomessa, riceve dal consorte il
titolo piuttosto lesivo suggerito dal cristianesimo di
piccola anima in russo maloduha o in altre parole di
403
stupidina... nomignolo che si dà volentieri agli animali
femmina o quello più volgare di skotìna ossia animale da
vendere! D'altronde un accostamento del genere lat.
mulier cioè donna, moglie con mollior cioè più debole era
corrente pure in latino. Gli scossoni ideologici che il
cristianesimo tenta di infliggere alle antiche norme sulle
relazioni intime non sono solo parole e termini nuovi, ma
dure regole da rispettare collegate che danneggiano
pesantemente la verv sensibilissima all'entrata e all'uscita
dei suoi componenti, specialmente femminili, il capitale
vivo da sfruttare al meglio.
404
Bibbia di Velislav (XI sec.), ragazza in età da sposare
L'unico tipo di matrimonio riconosciuto e intoccabile
come solenne festa collettiva è il patto di alleanza fra due
verv o fra due mir o brak. Val la pena a questo punto di
scrivere qualcosa in più sui passi da compiere a partire
dalle occasioni per fare accordi fra gli anziani di mir
diversi e i capi-famiglia con le giovanette da sposare.
Pur con la limitata disponibilità a viaggiare, durante
l'intero anno ci si incontrava di sicuro nelle solennità del
rod, anziani e giovani, donne e bambini. Ci si informava
gli uni degli altri sulla salute, sui risultati degli
esperimenti fatti in campo agricolo e tecnico in generale o
su come aver ottenuto con la selezione animali da stalla o
da cortile migliori o dei semi che davano rese maggiori
405
etc. In più una buona amicizia la si faceva sfociare in una
parentela o meglio vicinato e così nei casi di stress quali
carestie, morie, guerre, razzie etc. potersi appoggiare o
aiutare l'un l'altro.
La volontà di allearsi fra mir con gli standard
contrattuali che prevedevano un legame stretto tramite
l'impegno sessuale-matrimoniale di due giovani epigoni
liberi, ciascuno appartenente alla verv e al mir rispettivo
interessato.
Il rituale pre-cristiano iniziava col rivolgersi di solito a
una coppia residente in uno dei mir che avesse una buona
nomea nel rod e la si incaricava di trovare e “apprezzare”
i previsti sposi. La coppia di esperti, svat+svaha,
cominciava i suoi giri visitando le case dove c'erano figli
da sposare, esaminava i candidati nelle condizioni fisiche
e allo stesso tempo si rendeva conto della situazione
economica nelle relative famiglie. Con una ghirlanda di
nomi e di descrizioni finalmente quei mediatori di
matrimonio facevano le proposte dei partner possibili
rilevando soprattutto i risvolti economici in cui l'amore
c'entrava poco o nulla. I candidati prima del sì/no finale
dovevano sottostare all'esame dell'una e dell'altra verv
coinvolta per cui si procedeva ai cosiddetti smotriny
(esame visivo) con lo scambio di reciproche visite dei
rispettivi genitori. La visita comportava sempre un bagno
purificatore nella banja dell'ospitante e in quel momento
gli smotriny erano effettivi e efficaci almeno dal punto di
vista visivo per la decisione “corporale”. Alla conclusione
del primo passo si stabiliva lo svatovstvò (promessa di
matrimonio) con il tacito impegno di astinenza sessuale
406
di ciascun partner fino al rito del legame matrimoniale.
Spesso, specie nel nord della Pianura Russa, si lasciava
che il promesso fosse ospite della verv della promessa
durante la quiescenza della stagione invernale affinché i
due in ogni maniera familiarizzassero sebbene sotto gli
sguardi di tutti. Era fuori luogo il contrario cioè la
promessa a casa del promesso giacché la donna era alla
fin fine il pegno vivente e non poteva “uscir di casa” se
non intatta cioè vergine di quel momento. Ad ogni modo
il periodo di prova, ben noto e praticato in tutta l'Europa,
assicurava un più convinto accordo dei nubendi.
Nell'estremo nord infatti l'esogamia era rispettata in
modo più rigido che nel sud poiché per i nomadi
cacciatori ugro-finni della tundra non esistevano villaggi
stabili, ma solo posti sacri di ritrovo periodico e per ogni
tenda (čum) la famiglia che vi abitava contava al massimo
una decina di persone. L'aumento dei membri famigliari
metteva subito in crisi l'assicurarsi cibo sufficiente con la
caccia o l'allevamento delle renne e le indispensabili
derrate alimentari agricole che completavano il menù
costavano care.
Inoltre, se l'incesto si esercitava,senza il biasimo altrui
ciò – si sperava – non doveva portare troppo spesso a
gravidanze gravanti demograficamente altrimenti il
ricorso all'aborto era inevitabile. Una figlia era da dare in
moglie fuori del čum al più presto e concettualmente era
impensabile nel caso che essa fosse nata da un incesto!
407
408
svat+svaha alla scelta della sposa
Se un padre aveva più figlie da maritare, i mediatori
avrebbero trovato dei partner per le sorelle della
promessa in altri mir purché si rispettasse la priorità allo
svatovstvò della sorella di maggiore età e vi fosse
l'interesse di famiglie a legarsi in contratto.
Le persone-chiave fra gli slavo-russi per ottemperare
alle esigenze restavano comunque svat+svaha che non
erano soltanto noti per serietà ma (1) conoscevano bene i
riti e i loro svolgimenti canonici e (2) erano in contatto
fiduciario con gli antenati (vivi e defunti) che avrebbero
avallato ogni loro scelta.
D'altronde, visto che si trattava di mir appartenenti allo
409
stesso rod, gli antenati navi o dedy, erano in ogni caso gli
stessi e i promessi andavano loro presentati in qualche
modo e, dato che i luoghi sacri che gli dèi frequentavano
erano di solito le alture non coltivate, ci si recava di
mercoledì accompagnati da un sacerdote e si celebrava il
rito detto della collina bella (krasnaja gorka). Qui si
immaginava di poter incontrare il dio della tempesta
Perun che di solito risiedeva nelle querce, ma incuriosito
ne sarebbe venuto fuori a guardare.
Gli ugro-finni avevano più o meno le stesse credenze e la
famosa esogamia praticata dagli slavi alla fine non era
che una endogamia allargata alla maniera simile degli
ugro-finni e, anzi, molto allargata, poiché l'adozionealienazione rendeva membri della verv orfani e trovatelli
e, se dobbiamo credere a ciò che raccontava il vescovo
goto Jordanes (Jordnand) del VI sec., agli schiavi
affrancati dopo un certo periodo era concessa l'opzione di
entrare nella verv dell'ex padrone appunto da adottati.
E che fare se il “legame matrimoniale” non stava più in
piedi sulla questione del fare all'amore? In realtà non
potevano esistere casi del genere teoricamente per tutto
quello che ho scritto fin qui. Per il cristianesimo invece
erano tradimenti i casi di adulterio. Sia come sia le
conseguenze sul legame matrimoniale con le nuove leggi
cristiane ebbero pochissima incidenza giacché sui
comportamenti “extraconiugali” esisteva nella tradizione
slava un diritto all'adulterio. La necessità di ricorrere alla
copula con un altro consorte per dare un padre a un figlio
già in utero, ma rifiutato per qualche ragione, si
procedeva a una specie di ricerca del maschio disposto a
410
convivere fino all'evidente compimento della gravidanza
con la moglie altrui.
Mir nel polesje kievano, ricostruzione museale
Ciò portò nel passato gli storici a parlare di poliandria
slava e che noi oggi conosciamo come utero in prestito o
acquisto di sperma e fecondazione eterologa. Insomma il
problema dell'adulterio esistette nelle città e presso i più
abbienti che ne erano maggiormente toccati.
Se nel XIII sec. iniziò l'invasione dei cavalieri crociati
sulle rive del Mar Baltico e nuovi trattamenti giudiziari
sulla sessualità trapelarono dall'Occidente, i vecchi
costumi pagani nel fitto della foresta russa restarono in
vigore ben oltre il XV sec. e svat+svaha con gli aiutanti
da loro selezionati continuarono il loro lavoro. Col
411
cristianesimo queste persone diventarono naturalmente
servi del demonio e con gli anni furono costrette a
ritirarsi marchiati di maghi e diffusori di eresie. E il
divorzio o il ripudio? Per i cristiani non esisteranno,
sebbene la chiesa ammettesse degli opportuni espedienti
per sciogliere un matrimonio deteriorato, sempre per chi
potesse permettere di pagare la dispensa vescovile.
Un'interessante testimonianza tarda, XVII sec., di un
famoso viaggiatore tedesco, Adamo Oleario, colta nei
dintorni di Mosca (J.S. Rjabcev 1998) serve a vedere che i
costumi non erano cambiati 5 secoli dopo la il battesimo,
mentre in Occidente fervevano i tentativi, protestanti in
prima fila, di emancipare la donna e la società.
«Ai giovani maschi e alle giovani donne non è
permesso far conoscenza l'uno con l'altra da soli e ancor
meno parlare di eventuale loro matrimonio [...]. Al
contrario quel genitore che ha figli adulti e che desidera
maritarli, nella maggioranza padri di giovani donne, si
reca da chi, secondo lui, può essere degno delle sue figlie,
ne parla o direttamente o con i rispettivi genitori e amici
e fa sapere della sua disponibilità, del suo desiderio e
della sua opinione riguardo al matrimonio dei suoi figli
[…]. Solitamente tutti i nobili e quasi nobili istruiscono le
proprie figlie tenendole rinchiuse in stanza [lontane]
dagli sguardi della gente e il promesso vedrà la
promessa non prima di essere insieme nella camera da
letto nuziale. [Capita così che] invece di una bella
ragazza gliene dà una brutta e malata, talvolta neppure
sua figlia giacché [nel letto] vi mette una di lei amica o
una servetta.»
412
Capitolo quattordicesimo
Corpo e anima
Prima
di
presentarsi
nella
413
Pianura
Russa
il
cristianesimo aveva già elaborato a proposito dell'essere
umano l'assurda dicotomia fra l'esistente fisico ossia il
corpo umano e l'altro esistente metafisico ossia lo spirito
o anima che il dio creatore insufflava alla nascita dopo
aver giudicato il nuovo essere degno di vivere. Lo spiritoanima è dichiaratamente la parte più nobile dell'uomo e è
quella che la chiesa di Cristo cura di più. Lo spirito-anima
è eterno e guida il corpo nelle azioni in vita e, mentre il
corpo morirà, lo spirito-anima aspetterà il giudizio finale
per riprendersi il corpo e accedere al paradiso o lasciarlo
cadere nell'inferno.
Il mito della resurrezione è notissimo nei paganesimi
della Pianura Russa, ma non in maniera circostanziata e
precisa come il cristianesimo l'offriva al suo credente. La
posta della scommessa cristiana è più allettante, se è vero
che si ritorna belli e in forze! Insomma è meglio non
correre rischi. Cristo afferma che c'è uno spirito dentro di
noi? C'è poco da fare: crediamogli e affidiamoci ai
consigli di quello spirito per condurre una vita sino alla
fine seguendo i dettami del dio creatore altrimenti, altro
che resurrezione: c'è l'inferno coi tormenti di fuoco!
C'è nell'opera di Aristotele un'affermazione interessante
tramandata da Averroé: «Quod felicitas habetur in ista
vita, non in alia.» ossia in italiano che si abbia la felicità
in questa vita, non nell'altra. Tale idea mediata dai
musulmani di al-Andalus e chissà da quelli di Bulgar-sulVolga nel X-XII sec. circolava nel Nordest e, se era
popolare e ben accetta nell'islam, in qual misura era
condannata dai cristiani, se metteva in dubbio la realtà
del premio o della pena dopo la morte?
414
Quanto prescritto dai comandamenti di Mosè non è così
ostico, salvo le regole sui comportamenti sessuali! Fare
all'amore è peccaminoso? Niente paura, nella pratica si
può negoziare con una commisurata penitenza e il gioco è
fatto. Il corpo muore? Sì, ma poi ci viene restituito. Questi
sono i punti salienti che ho letto ripetutamente nella
tradizione dell'Europa cristiana in giro su internet e fino
ad oggi paganeggiante!
Quanto alla morte naturale (cioè non violenta) nel
mondo pagano di 1000 anni fa essa non era l'esaurimento
definitivo delle forze vitali del fisico, ma un evento
provocato dagli incantesimi che, per effetto di una forza
maligna (nečistaja sila) sollecitata da una fattura magica,
agivano sull'indebolimento fisico.
Faccio qui una premessa, se si vuol capire il contrasto
ideologico fra paganesimo e cristianità e l'odio di base per
il sesso femminile. Le cosiddette invasioni barbariche e il
crollo dell’impero romano d'Occidente aprirono un lungo
periodo di oscurantismo per la ricerca scientifica in
generale e per la medicina in particolare, col diffondersi
del Cristianesimo, si trasse dai vangeli una concezione del
dolore e della morte del tutto nuova. Il dolore era detto
dai cristiani conseguenza di un disordine – ecco il peccato
– fatto dall’uomo nell’ordine cosmico del creatore. La
chiesa indicava il dolore fisico quale strumento attraverso
la cui sopportazione il credente arrivava alla salvezza
dell’anima sua e rendeva così la sua morte un momento
esaltante di passaggio alla vera vita eterna senza più
dolore! Tale valore salvifico della sofferenza dominerà
per i secoli a venire il mondo cristiano occidentale ove
415
pressoché scompare l’uso e in primo luogo il commercio
lungo le Vie della Seta di erbe e di pozioni che leniscono il
dolore. Si preme presso il popolo per la devozione di
alcuni santi protettori specializzati da venerare e da
implorare contro il dolore e chissà rimandare il tempo
della morte. La figura della donna curatrice viene perciò
sostituita da quella del monaco del convento indaffarato
alla coltivazione di qualche pianta medicinale fra le altre
dell'orto, ma soprattutto che consola con la sua dottrina e
senza sventolare compensazioni sessuali nell'Aldilà.
Oggi sappiamo pronosticare la morte per una malattia o
con vari espedienti tecnico-medicali persino rimandarla,
ma poi occorrerà certificarla. La nostra moderna
medicina non guarisce, ma riduce il dolore ai minimi
sopportabili e continuare a vivere più o meno bene (D.E.
Lieberman 2018). Nel passato al contrario si assisteva
raramente alla morte naturale di un individuo e, quando
ciò accadeva, le spiegazioni che ho raccolto sono piuttosto
vaghe. In breve ci si convinceva prima del decesso che la
nečistaja sila era troppo forte per essere sconfitta e perciò
il ricorso a erbe curative o all'intervento dello sciamano
era inutile e il malcapitato sofferente non era più
recuperabile alla vita attiva. Ciò non prevedeva la morte e
l'attesa in agonia e non appena la degenza in malattia
superava un certo limite (7 giorni?), si costruiva nel fitto
della foresta un capanno rifornito con un po' di cibo e il
malato era lì abbandonato. Ci avrebbero pensato le
divinità della foresta al suo destino compresa l'eventuale
guarigione. Medesima procedura era prevista
per
l'anziano disabile o demente che nella foresta sarebbe
416
andato incontro agli antenati e con loro avrebbe
continuato a mediare con le divinità del cosmo per il
benessere dei discendenti. Demenza, disabilità e malanni
vari erano impegni troppo intensi per la richiesta di un
intervento nei contatti con gli dèi e non era immaginabile
mantenere in casa una persona in decadimento fisico
irreversibile. Costui/costei è degno/a di tornare fra gli
avi! avrebbe dichiarato qualsiasi persona sapiente
(znaxar/znaxarka) del Medioevo Russo.
Cristo aveva fatto miracoli sugli altri e su se stesso, ma
era il figlio del creatore. E l'uomo? I preti assicuravano
che un miracolo risolutivo per un malanno o per evitare
una morte prematura, era sempre possibile ma c'erano
delle condizioni molto dure per il caso di richiederlo
personalmente. Peraltro il discorso era poco interessante
per i pagani o gli ex-pagani giacché non ne capivano la
necessità davanti alla morte o al dolore, come avremo
immaginato da quanto scritto da me finora.
Anche un viaggio per lidi lontani era una specie di morte
si direbbe oggi, sebbene in tali casi la verv si preparasse
in ogni anniversario della partenza all'accoglienza del
ritorno. Chi partiva affinché lo riconoscessero appunto al
ritorno lasciava presso i suoi un capo d'abbigliamento che
avrebbe poi usato per farsi riconoscere quasi la scarpa di
un paio come quella di Cenerentola.
Era noto il suicidio e l'uccisione rituale, ma tali eventi
non erano classificati in ogni caso come tipi di morte.
Altro ancora era la morte violenta in guerra, in lite o in
duello che richiedeva un giudizio terzo per decidere se
ricongiungere la vittima con gli antenati.
417
Logicamente tali punti di vista non escludevano la pena
e il dolore dei congiunti o degli amanti né il periodico
“festeggiamento” all'anniversario della scomparsa e si
immaginava di ritrovare il defunto “a tavola” presente,
seppur invisibile.
Ci si comportava altrimenti alla morte di un personaggio
d'alto rango giacché si riconosceva la necessità dello
spettacolo funebre per una folla che accompagnasse
l'egregia salma a una tomba speciale.
Ecco come Ghedimino, granduca di Lituania, ucciso nel
1341 in uno scontro coi Cavalieri Teutonici viene sepolto a
Vilnius con un rituale pagano grandioso (ACM, 2019):
«Il cadavere fu portato in processione sugli scudi dei
suoi fino al Castello Superiore dove era stata preparata
una pira di legno resinoso grandiosa su cui sarebbe
stato cremato senza puzzo di carne bruciata. Vestito dei
suoi abiti più sfarzosi che in vita aveva indossato nelle
cerimonie importanti, Ghedimino fu adagiato sul
legname impilato. Vicino a lui fu posta la sua sciabola e
il suo corno da caccia. Gli animali più belli furono
sgozzati in suo onore, specialmente il suo cavallo con la
sella nuova e furono posti accanto al suo cadavere.
Anche i suoi servi più devoti, inebriati affinché non
sentissero dolore, furono immolati e legati al suo
cadavere per servirlo nell’aldilà. Persino tre prigionieri
tedeschi appena catturati furono sgozzati a conferma
dell'ostilità dei Cavalieri Teutonici le cui armi lo
avevano ucciso.»
Un po' diversa era l'esperienza della morte del nord preuralico. Gli sciamani ugro-finnici affermavano che un
418
sonno troppo prolungato indebolisse il fisico e ciò che
appariva come un corpo immoto di un morto era un
dormiente che si sarebbe risvegliato magari non nello
stesso luogo dove si era addormentato e nemmeno nel
medesimo corpo. Ciò una volta di più giustificava
l'abbandono del “dormiente” in un luogo ben conosciuto
per il caso che si risvegliasse. Gli stessi sciamani
sperimentavano tali stati ipnotici risvegliandosi altrove,
ma avevano imparato dagli animali che cadevano in
letargo come l'orso a trovare la via del ritorno in vita e a
dirigersi verso casa “leggendo le indicazioni”. Lo
sciamano assicurava di saper rintracciare la forza vitale di
un parente vagante nello spazio e a parlarle per
informarsi su chi o che cosa le impediva di tornare. Le
lamentazioni funebri rituali lo aiutavano giacché
chiedevano proprio questo al corpo immoto e lo
impetravano affinché si risvegliasse e tornasse fra i suoi.
Aggiungevano che la forza vitale che abitava nel corpo
del defunto era momentaneamente volata via e, avendo
perso la strada ad opera di forze ostili, non potevano
talvolta impedire che il corpo immoto e inerme fosse cibo
per carnivori affamati. Questo, sì, era la morte!
Presso gli slavi il cadavere era passato fuori dalla casa
non per la soglia giacché la porta era riservata soltanto ai
vivi, ma da una finestra ritagliata giusto per quel
momento e traslato con i piedi verso l'esterno e con la
testa verso casa. La meta della salma non era la fossa né
la palude, ma la pira. L'incinerazione persistette per
decenni dopo l'introduzione del cristianesimo, specie nel
nord fra i Kriviči bielorussi e i Balto-slavi (per tacere
419
degli ugro-finni) prima che prevalesse l'inumazione col
cristianesimo. Le ceneri erano poste in un'urna che
veniva interrata lungo la strada nel folto con un palo che
ne indicava la presenza e su cui appendere voti e saluti.
Se il defunto era il capofamiglia, le sue cose passavano a
chi l'avrebbe sostituito (di solito suo fratello minore)
eccetto qualche oggetto più amato degli altri che restava
col defunto: la spada, l'accetta oppure un anello, un peso
del fuso per filare o il fuso stesso se la salma apparteneva
a una donna di rango....
In certe località l'inumazione fu accolta senza remore
perché già di routine nei costumi, ma restò un obbligo
religioso per le persone importanti i cui cadaveri erano
collocati in tumuli (i citati sopki) nelle radure disabitate e
a volte inumati insieme ai necrofori. Il fastidio per
l'inumazione nascondeva il timore che il defunto potesse
ritornare e scompigliare l'ordine ereditario.
Ibn-Fadhlan assistette a un rito funerario a Bulgar-sulVolga per la morte di un capo varjago. Quando chiese
come mai il corpo del defunto invece di seppellirlo lo
bruciassero, gli fu risposto che il fumo della pira, esalato
dal cadavere, restituiva rapidamente agli dèi lo spirito. Se
invece lo avessero seppellito, ci sarebbe voluto più tempo
per il suo viaggio al cielo. In realtà il concetto di spirito o
anima come ho scritto non era parte del pensiero pagano
e Ibn-Fadhlan ne dà una sua generica interpretazione.
Quel che mi preme qui però è far notare che sulla pira
brucia insieme al capo varjago la consorte da lui favorita
secondo l'antico rito vedico-indoeuropeo del satti vietato
in India solo decenni fa. Né risulta l'inverso ossia che il
420
consorte si sacrificasse sulla pira della consorte morta.
Tuttavia che una donna potesse suicidarsi per amore del
consorte morto era ammissibile, ma rarissimo nei
racconti popolari perché considerato un atto sacrificale
non richiesto dagli dèi e suggerisce, si noti bene, quanto
poco importante potesse essere l'amore sentimentale!
Ritornando all'anima cristiana insufflata dal creatore
alla nascita affinché il corpo vivesse, l'idea pagana era che
il corpo è vivo se è in movimento e si muove perché ospita
in sé la forza vitale che gli viene dalla terra dal momento
quando appena nato è stato adagiato per qualche minuto
sul suolo con il cordone ombelicale ancora non reciso...
altro che anima invisibile e divina! La forza della vita è il
sangue che fluido e caldo muove i muscoli. Il sangue è un
dono del corpo della madre quando gli dèi esaudirono il
di lei desiderio di far nascere un nuovo essere. È per
questo che scompare il mestruo per i mesi di gestazione e
il sangue in più sarà espulso nella placenta al parto.
Un'altra lettura avvertiva che la forza vitale cadeva nel
corpo materno subito dopo il parto da una stella nel cielo
accesa dagli dèi che avevano approvato la nascita!
E che accadeva quando una persona moriva? Occorreva
dissanguarla come si faceva con gli animali macellati e
spargerne il sangue sulla terra? E come mai – all'unisono
cristianesimo e paganesimo lo ammettevano – il defunto
indugiava nei dintorni di casa per molti giorni in forma
invisibile? Era forse in attesa che si trovasse per lui una
sistemazione adatta nel mondo dei morti e quindi non
ancora interamente morto?
Per i pagani slavo-russi era finalmente Mokoša o Mara,
421
Marena a decidere il da farsi per accompagnare il
defunto nel viaggio verso gli antenati che lo aspettavano.
Il mito raccontava che il paese dei morti, in russo
chiamato Irii, era dove abitava Svarog e dove faceva
sosta il carro del sole durante la notte. Si trovava in
Occidente al di là dell'oceano che circondava la terra
abitata. Fra camminate a piedi e navi da prendere per
attraversare mari, fiumi e laghi, il tempo occorrente era
veramente tantissimo e per arrivarci c'erano dei turni da
rispettare. E ritornare? Non era pensabile!
Nello scrivere di questi miti si cade nella trappola
dell'idea – e io ci son caduto – che essi si riferiscano a
costumi esotici e non europei. Ebbene non è così. Mi son
lamentato di non aver trovato le voci, i detti, i dibattiti dei
sacerdoti pagani del nordest che ho conglobato nel
termine volhv, ma in realtà lo sciamanesimo “siberiano”
non è altro che il paganesimo di cui la cristianità
medievale si crucciava e cercava di spingere fuori dai
propri confini culturali. Il volhv (come il prete cristiano) è
una persona, donna preferibilmente, che crede di “saper
viaggiare fra i veri due mondi esistenti” cioè il mondo dei
vivi e quello dei morti. Nel primo si arriva appena nati e
nell'altro qualche tempo dopo esser morti.
La collettività accetta lo sciamano o il prete non per
semplice imposizione o arbitrio del potere, ma per paura.
Sì! Per paura che costui/costei possa evocare e spingere le
forze ignote celate nell'ecosistema ad agire contro di noi!
Gli dèi pagani in generale sono indifferenti di fronte
all'agire umano finché l'uomo segue bene e ripete i rituali
di venerazione e di soggezione periodicamente prescritti.
422
Non appena però si compia un atto che disturba
l'ecosistema, ecco che a seconda della gravità dell'atto, gli
dèi si adirano e, se non interviene lo sciamano o il prete,
siamo perduti tutti!
Se è questo ruolo che l'anziana spessissimo assume e
spiega perché le donne vivessero in media degli anni di
più dell'uomo, per i cristiani c'era il dubbio che le donne
non avessero un'anima o, se l'avessero, Satana l'aveva
carpita alla nascita presso di sé.
E qui ci sono dei curiosi costumi sessuali da annotare.
Col cristianesimo e con l'inumazione, alla morte
dell'unica moglie ammessa, la di lei salma doveva esser
deposta accanto al marito premorto nella stessa tomba. E
le prescrizioni di un concilio del IV sec. avevano imposto
che il cadavere femminile in tal caso dovesse disfarsi nei
prescritti 40 giorni dalla morte completamente di tutta la
carne affinché non risvegliasse i bollenti spiriti necrofili
nel cadavere maschile (F. Valitutti & D. Verdegiglio,
2001) del consorte. Era credenza che il maschio defunto
finché ci fosse un po' carne attaccata alle sue ossa poteva
comunque risvegliarsi eccitato sessualmente e sotto
forma di upir o vampiro lasciare la tomba e tornandovi a
suo piacere violentare le donne.
Le CTP s'interessano poco della morte di donne e nel
caso di dame altolocate non descrivono neppure la
cerimonia funebre e non sono riuscito a sapere a quali
obblighi rituali si ottemperasse.
Negli scavi nella chiesa della Decima a Kiev, secondo gli
archeologi che vi hanno lavorato, si trova il sarcofago di
pietra dove furono traslati i resti di Olga di Kiev quando
423
la chiesa fu costruita dal di lei nipote san Vladimiro.
Leggiamo nelle CTP in ambiente ancora pagano:
«Nell'anno 6477 (969 d.C.)... Olga morì e la piansero
con gran dolore e suo figlio e i suoi nipoti e tutta la gente
e la portarono e la seppellirono all'aperto.»
È da notare qui che non si parla di una festa funeraria,
la trizna, incentrata sul bere smodato che Olga da
battezzata avrebbe rifiutato per la sua morte. Se il suo
cadavere è stato recuperato, manca quello del consorte
(leggendario) Igor squartato tempo prima nella faida coi
Drevljani e sarei curioso di sapere che soluzione si
sarebbe adottata, se i due avessero dovuto giacere da
morti l'una affianco dell'altro. Non vado tanto oltre nelle
notizie funerarie e faccio notare che un giudizio finale con
il rito della richiesta di perdono al creatore tramite
l'estrema unzione nel paganesimo non era previsto.
Caratteristico e ne riferisco pensando che sia la parodia di
un rituale importato dal Centro Asia, era l'uso di
consegnare alla salma una letterina che ricordasse al
creatore ciò che il defunto aveva fatto di buono da vivo
per i suoi e che questi suoi avrebbero pregato per lui
invocando il perdono per gli errori commessi.
Nelle CTP gli annunci funerari sono pochissimi e
estremamente laconici come quando nel 1000 d.C. si
registra che morisse una non ben identificata Malfrida o
alla morte della prima consorte di Vladimiro, Roghneda
di Polozk. Niente si sa che ne fu dei loro resti, molto
probabilmente inumati. Di Anna, sorella dell'Imperatore
Basilio II l'Ammazzabulgari (in greco il Bulgaroctono) si
ignora che ne accadesse da viva e da morta.
424
pominki
Al defunto comunque era riservato il posto nel turno
della distribuzione del cibo nella cena quotidiana (užin)
per lungo tempo, come o accennato prima. Pensate che
oggi dove la sepoltura è per legge nei cimiteri, si rispetta
in Ucraina e in Bielorussia la presenza del morto (benché
invisibile) durante i cosiddetti pominki o rimembranze
funerarie. Si pranza tutti insieme nel cimitero sulla
tomba dei coniugi nonni ad esempio, e ci si mette in
contatto con loro brindando alla loro vita nell'Aldilà e
auspicando la loro protezione per i discendenti.
È un uso ben diffuso fra gli slavi ortodossi dal Mar Nero
all'Adriatico e dal Caspio al Mar Glaciale Artico e ciò ne
garantisce l'antichità. Per di più i pominki sono in una
decina di festività sparse durante l'anno e, secondo certe
tradizioni locali, in maniera “privata” devono ripetersi
dopo 15 giorni, poi dopo 6 settimane e un 1 anno dopo,
425
dalla data della morte e vanno mantenuti per ben 7 anni!
Se si trascurassero, il compianto tornerebbe irritato e
vendicativo in vita mutato in upir.
Alla fine pur avendo trascurato parecchi rituali minori,
per me un punto è restato oscuro: Il parroco e la chiesa
intera una volta insediatisi nel cuore del mir, che
ricavavano materialmente da queste cerimonie? E
quando il mir diventò parte di un dominio con una
capitale e un sovrano che cosa dové in più a quest'ultimo
la verv del defunto?
Le mie domande si fondano sul fatto che la morte col
cristianesimo restò il prete incaricato di constatarla e che
la proclamava e comunicava agli astanti. Anzi! Diventava
qualcosa di spaventoso e terribile senza un prete
benedicente accanto all'agonizzante e per il morituro
significava la perdita sicura del promesso paradiso...
come da polizza sulla vita eterna sottoscritta al battesimo
(v. in Sacred Trust, 1996). Non solo! Il rito funebre era
stato sempre un evento pubblico del mir e adesso invece
era gestito quasi di nascosto fra gli intimi. Sia come sia la
salma sempre col prete accanto era traslata in un'area
recintata nel folto o nel sagrato retrostante al tempio
cristiano dove il cadavere era finalmente inumato.
E ciò costava e di sicuro un prezzario esisteva, magari
sotto forma di contributi in lavoro o di cessione di derrate
alimentari al naturale o cucinate che andavano alla chiesa
e al suo parroco con famiglia.
La fine del mondo.
426
C'è un altro aspetto in questa mia corsa raccogliticcia di
dati storici sulla morte che va coniugato col resto del
cosmo pagano ossia: Anche il mondo poteva un giorno
perire? Cristo l'aveva annunciato e la minaccia di
un'immane catastrofe incombeva minacciosa ogni
momento. Di questo mito si era nutrito il Millenarismo
cosiddetto. Era così accaduto che uno studioso della corte
franca nel 727 d.C. prima che Carlomagno fosse
incoronato imperatore nel 800 d.C. affermò che il mondo
stava completando con la fine del X sec. il settemillesimo
anno di età cioè dalla creazione, calcolata da lui nel 5928
a.C. (la chiesa ortodossa, come ho già scritto, la fissava
invece per l'anno 5509 a.C.), e pertanto a breve sarebbe
comparso l'Anticristo e subito dopo sarebbe tornato
Cristo in persona per il successivo e finale Giudizio
Universale! Roma sul Tevere si affrettò a smentire tutto,
ma il personale ecclesiastico minore diffuse quelle paure
relative alle catastrofi in arrivo allo scopo forse inconscio
di facilitarsi il lavoro di propaganda nelle aree ancora da
riscattare al paganesimo! Il Millenarismo si era poi
esaurito sul punto che passato l'anno 1000 tutto era
continuato come prima e non era arrivata dal cielo
nessuna salvezza per l'umanità sofferente.
Chi non aveva sperato in una vita nella gioia eterna del
paradiso? E invece lo sfruttato restava alla mercé dello
sfruttatore, i guai restavano quelli di prima e la fame, la
malattia e la morte imperversavano. E il dio-padre
salvatore e consolatore dov'era finito? L'ho appena
scritto: La chiesa ufficiale non aveva previsto la fine del
mondo per quella data e affrontò le rivolte e le proteste
427
che seguirono alle false paure tentando lo scaricabarile di
riversare sugli eretici e sugli infedeli le ire e la sete di
vendetta dei delusi.
I primi eretici a subire le ostilità delle crociate sessiste
della chiesa (i peccati sessuali soprattutto disturbavano il
cosmo) furono i Bogomili bulgari del Danubio e a seguire
i musulmani. A questi ultimi le crociate furono dirette in
Terra Santa, ma poi continuarono sul Mar Baltico fino al
XV sec. contro i popoli della Pianura Russa sia pagani
sia ortodossi!
Gli eretici maggiori in assoluto per il Patriarcato di s.
Pietro erano il Patriarcato di s. Andrea sul Bosforo e i
suoi prelati con la loro dottrina ancora piena di apocrifi e
di riti estranei.
Ricordo che dopo lo scisma unilaterale del 1054 l'odio
eterno fra i 2 mondi cattolico romano e ortodosso
costantinopolitano toccherà il culmine nel 1204 quando
Roma Secunda sarà profanata dai cattolici “in crociata” e
le sue chiese saccheggiate di ori e di preziosi manoscritti
mentre il patriarca ortodosso era scacciato e sostituito da
uno cattolico (il veneziano Morosini) che la chiesa russa e
le chiese suffraganee naturalmente non riconobbero.
A parte ciò col diventare il cristianesimo religione
dell'Impero Romano tanto da veder comparire spesso la
sua etica nella legislazione ordinaria, la chiesa ai fatti in
tempi anteriori si trovò a dover definire un suo ruolo
pratico di alleato religioso dello stato e definì se stessa un
santo servizio missionario il cui fine istituzionale
primario era di vanificare le minacce dei barbari sui
confini per mezzo del lavoro di spionaggio dei suoi preti.
428
Un compito improbo perché significò intrufolarsi nella
vita di persone sconosciute e parlanti incomprensibili
linguaggi per convincerle a un'amicizia improbabile con
l'Impero Romano, famoso stato conquistatore spietato e
orgoglioso.
Fra i primi teorizzatori della santa missione non può
mancare la voce del berbero di Tagaste, sant'Agostino, già
da me nominato ai confini africani dell'Impero. Nel V sec.
d.C. dopo una lunga vita vissuta in ogni maniera possibile
fra eretici e ortodossi, fra amori “leciti” e “illeciti”, lo
vediamo farsi vescovo con la scelta del celibato per quel
che gli resta da vivere. Forse per l'età avanzata, ma con lo
scopo preciso di dichiararsi giudice “a-sessuato” super
partes e quindi ormai privo di pregiudizi sui ruoli di
maschi e di non-maschi, nella sua produzione letteraria
indica ciò che la chiesa deve fare per tenere insieme le
compagini etniche vecchie e nuove dell'Impero. Si
rammarica per la decadenza di Roma sul Tevere sotto i
colpi dei vandali che hanno sconvolto per prima Ippona
(medievale Bona e oggi Annaba in Algeria) dove lui si
trova. Ormai il Tevere conta poco di fronte a
Costantinopoli sui problemi dei contatti con i barbari e
occorre invece ripensare le politiche, magari partendo
dalle esperienze fatte sulle poche conversioni attuate.
Queste questioni lo affascinano e lo inducono a teorizzare
piani pubblicitari, diremmo oggi, più incisivi, affinché il
prodotto battesimo sia percepito come un alito di vita
nuova necessario fra i selvaggi pagani. Ai suoi tempi la
quasi totalità dei sudditi dell'Impero non era indottrinata
e il cristianesimo appariva ancora una setta ebraica con
429
limitati e riservati consensi. Si può dire che è stato
sant'Agostino a inventare una specie di slogan incentrato
sugli aspetti sessuali della società affermando in De bono
coniugali che fare all'amore per il solo gusto del
godimento fosse una pratica che deturpava e sconvolgeva
la vita di chiunque, credente o pagano. Scrive che se si
vuol migliorare non c'è che il battesimo e spiega che i
sentimenti amorosi possono essere o (1) rivolti alla
divinità (caritas) o (2) a un altro essere umano
(cupiditas). Mentre con 1. si tende alla purezza della
carne e dello spirito, al contrario con 2. c'è impurità e
perversione o in termini religiosi il peccato come è stata
la prima copula di Adamo con Eva detta perciò peccato
originale (con tardiva opportunità si dirà che il peccato
era la disobbedienza al creatore per aver mangiato dei
frutti proibiti!). È pericoloso dipendere dalla copula
poiché ogni facoltà maschile – lo dice perfino Aristotele –
verrebbe succhiata dalla donna nel piacere dell'amplesso
e l'uomo decadrebbe. E non è forse qui il pericolo che la
sessualità sia usata dalla donna per divorare il maschio
che la penetra? E le streghe conosciute in Occidente, non
celebrano forse il cannibalismo rituale? Di qui l'equazione
popolare: Femmina = Strega malefica con il seguito
dell'infame storia dell'Inquisizione. Ne accenno seppur
avvertendo il mio lettore che una persecuzione simile
delle donne come streghe nel Medioevo Russo non ci fu
mai e la ved'ma restò una vecchia magari stramba, ma
utilissima e apprezzatissima... perfino dal parroco.
Nelle Sacre Scritture molti punti di questi argomenti
sono peraltro oscuri. Basti pensare al fatto in sé
430
stranissimo dove la perpetuazione della specie umana sia
stata affidata dal creatore a Eva col parto, malgrado sia
stata lei, alleatasi col demonio-serpente, a indurre Adamo
al peccato originale. Col coito e col parto dio non crea più
gli uomini impastando terra, ma lascia che il robotdonna da lui fabbricato con la costola di Adamo produca
esseri umani in cui insufflerà l'anima.
E che cosa mette in moto il robot-donna per trovarsi
nell'utero un corpo estraneo da nutrire fino a espellerlo
eventualmente come essere vivente? Il vecchio adagio che
afferma: I figli sono doni di dio! è credibile poiché in
maniera indiretta avverte che è inutile stare a scervellarsi
sul come il concepimento avvenga: È opera divina e non
umana e – insistono i cristiani fino al 1968 con Paolo VI e
l'enciclica Humanae Vitae – non può esser sottoposta a
indagine scientifica senza compiere sacrilegio.
Si legge ancora in Genesi cap. 4 vers. 1: «E Adamo
conobbe [copulò con] Eva e Caino fu partorito. E Adamo
disse: Ho avuto un uomo [nuovo] dal Signore.» Il che
sembra dare all'uomo una partecipazione oltremodo
blanda nel processo riproduttivo, ma tutto è lì.
Addirittura sembra concedere la possibilità di parti
virginei di fatto ben conosciuti nelle realtà pagana e
cristiana medievali. E allorché si parla della copula fra i
figli della coppia primordiale per continuare la genia
umana, ecco l'altro topos natural-religioso da immettere
nella propaganda cristiana d'assalto: l'incesto, indicato
come ignominioso e da aborrire. Ne ho parlato e
riparlato, ma sia chiaro che questo aspetto culturale
rientrante nella gamma dei rapporti possibili fra due
431
membri della verv che ignora l'idea di parentela come la
vede il cristianesimo, ad ogni buon conto se prevenuto,
proibito o nascosto non mette in alcun modo in crisi la
struttura della comunità pagana. I fulmini di Cristo su
questa pratica sessuale non spaventano i contadini.
I cristiani sostengono una società a dominanza maschile
anch'essi, ma insieme con un'esogamia la più larga
possibile. I moventi cristiani? Una consorte non
apparentata assicura l'allargamento dei domini e del
potere di un sovrano, senza impegnarsi in incerte guerre
di conquista. Anzi! I vantaggi sono molti e di qualità
persino maggiore: La consorte proveniente dal “di-fuori”
non perde la sua cultura e la sua lingua nel nuovo dom ed
è perciò diventa una mediatrice linguistica insostituibile
per i contatti interetnici, diremmo oggi.
Malgrado ciò, siccome il potere è concesso dal creatore
per intercessione della chiesa solo ai maschi, associarvi la
donna è un problema poiché la chiesa fa da garante per
una corretta gestione di questo potere e non vuole donne
fra i piedi. Una consorte-mediatrice che intervenisse in
affari di stato suscita l'ira del creatore che può essere
terribile e devastante. Per converso Cristo è maschio, ma
non ha avuto (così si dice) una consorte “intrigante” e si è
trattenuto spesso nell'esercitare l'immenso potere che la
sua condizione di figlio-di-dio gli offriva sin dalla nascita,
persino di ascoltare sua madre.
E qui ritorno a Maria, madre e educatrice di Cristo nella
gestione del potere pur non avendo, come pare, alcuna
esperienza di rapporto con maschi dominatori.
Fondamentalmente restava incomprensibile per la
432
mentalità pagana (ricordate lo snoxačestvo?) esaltare la
verginità come qualità suprema femminile e per lo meno
risultò contraddittorio proporre come modello sessuale
da imitare non Eva per aver fatto per prima all'amore, ma
la Vergine Maria che restò illibata.
E che dire piuttosto di Maria, consapevole di aver dato
alla luce Cristo e che dopo averne sofferto per la morte e
esultato per la risurrezione, sia più o meno sparita nei
tantissimi scritti lasciati ai posteri dagli apostoli che si
presume l'avessero ben conosciuta? Non aveva Cristo
affidato sua madre a Giovanni prima di morire crocifisso?
Al leggere quel che si scrive sui miracoli e sulle sue
apparizioni si nota che gradualmente, ma rapidamente,
Maria perde la sua funzione femminile di madre e il suo
corpo e la sua sessualità scompaiono nei paludamenti del
vestito azzurro cupo fino ai piedi dell'iconografia
costantinopolitana. Di lei si dipingono solo viso e mani e
a comprova del di lei parto si pone il bimbo Cristo fra le
sue braccia, anche lui paludato di panneggi improbabili.
Sono i primi successi pittorici della campagna contro la
nudità che, salvo il viso e le mani, per altre zone del corpo
è vietata. In realtà nel X sec. la vergine Maria che viene
fuori nella pittura e nella letteratura edificante in
occidente è ormai una signora altolocata vestita come si
deve che con condiscendenza guarda i suoi sudditi nudi.
Le si deve attribuire il titolo di Madonna o Nostra
Signora poiché la modesta giovanetta di Nazareth pur di
discendenza nobile dalla stirpe di Re Davide non è più
accettabile. E non si dimentichi che nel mito mariano
anche Anna, sua madre, l'ha generata nell'ambito di
433
un'Immacolata Concezione.
Lentamente Maria si va assimilando come figura di alta
autorità dottrinaria all'élite ecclesiastica fatta di papi,
patriarchi, vescovi e abati che mantengono corti e
cortigiane addirittura con grande sfarzo ostentando così il
potere che Cristo ha loro concesso. La chiesa da alleata
dei pochi eletti uomini di potere fra il X e il XII sec. con la
spinta al culto mariano riesce a trasformare Cristo e le
sante di genere femminile in altrettante divinità, pur
secondarie rispetto alla vergine Maria, ma ugualmente
potenti nella pratica miracolistica.
In breve il corpo ecclesiale maschile pensante decide col
ricorso al celibato di diventare, si può dire, per quanto
possibile simile a Maria e fonda una vera e propria
corporation composta di maschi sotto la presidenza di
una donna, appunto Maria (le donne suore non hanno
voce in capitolo). La Vergine naturalmente da brava
divinità sarà assunta in cielo e quindi non sarà presente
fisicamente, ma col suo spirito in mezzo a loro.
Maria vergine diventa la nuova Eva, la rigeneratrice
dell'intera umanità che si avvia sulla strada della verità
attraverso i corpi femminili battezzati di tutte le donne.
La chiesa è custode dei segreti di un'insolita aggregazione
di atti e concetti imperniati sulla donna-madre e non
sulla donna-amante e assume l'etichetta di Santa Madre
Chiesa trasformandosi in potere assoluto tout-court di
sapore ambiguamente femminile. Non solo, alla vergine
Maria si addice il giglio, simbolo sessuale di donna mai
toccata da membro virile, e di questo fiore, come
d'altronde anche della viola che riproduce abbastanza
434
chiaramente la parte esterna dei genitali femminili la
pittura sacra cristiana d'Occidente sarà inondata...
Altro accade nel nordest. Gli sforzi indipendentisti dei
pochi stati che sorgono nella Pianura Russa tendono
all'autonomia religiosa che il patriarca costantinopolitano
a volte è costretto eccezionalmente a concedere. Maria in
questo contesto acquista un aspetto consono all'idea di
una divinità separata e antagonista del dio trino cristiano
e cioè della Gran Madre Terra riconsacrata dalla chiesa.
E che dire dell'altra ossessione cristiana medievale se
san Paolo nel I sec. vedeva intorno a sé i costumi
spregevoli dell'omosessualità maschile e femminile? A
questo proposito nella Bibbia in Lettera ai Romani 1,
vers. 21 e segg., scrive:
«...Quando lo hanno conosciuto [il creatore] lo hanno
glorificato non come dio né lo hanno ringraziato [...]
Proclamando di essere loro i saggi e diventando [invece]
i folli [...] hanno cambiato la gloria divina in
un'immagine fatta simile all'uomo corruttibile [...] per
cui dio li ha abbandonati all'impurità [che traggono]
tramite i piaceri dei loro cuori, per disonorare i loro
propri corpi fra loro stessi. […] A causa di ciò [dio] li ha
consegnati agli affetti vili giacché anche le donne hanno
cambiato l'uso naturale [dei loro corpi] in quelli contro
natura. E così anche gli uomini dopo aver lasciato l'uso
naturale delle donne bruciano di passione l'uno per
l'altro...»
In queste parole è altresì riassunto l'insuccesso finale
delle battaglie cristiane contro questo tipo di sessualità
poiché, pur riuscendo a promuovere la produzione di
435
leggi imperiali ad hoc 4 secoli dopo san Paolo, le autorità
dei primi cristiani liberi fra pratiche maschili e pratiche
femminili inserirono un grado di peccaminosità con
relativo peso diverso nella concessione del perdono
sessuato e riconosciuto a seconda del rango sociale.
Vediamo la questione un po' meglio.
Richiamandosi al modello sessuato della società ebraica
e alla superiorità del maschio sancita dal creatore in
quanto la femmina era stata “fabbricata” con pezzi del
maschio senza gli attributi genitali, nella copula la donna
è soggetto passivo e deve stare supina sotto il maschio
attivo. Questa però è la versione della creazione meno
nota. Nel X sec. appare un'altra versione in cui maschio e
femmina sono creati nello stesso momento (A. Le BrasChopard 2014 in J. Mossuz-Lavau v. bibl.). Nella
leggenda talmudica Lilith si lamenta cin Adamo: «Perché
devo giacere sotto di te? Io pure sono fatta di polvere
come te e perciò sono eguale a te!» Adamo le risponde di
essere superiore a lei in ogni cosa, ma Lilith non ci sta e
lascia il giardino dell'Eden. Richiamata, rifiuta di tornare
e resta col nuovo amante Samaele, capo dei demoni, e da
questa sua nuova posizione odierà Eva. Non solo! La
letteratura anti-omosessualista del '800 la trasformerà in
un'insaziabile ninfomane che non disdegna neanche
l'amore lesbico in cui Lilith fa la parte del maschio. Fra
l'altro se si considera la copula omosessuale una
“sordida” parodia di quella etero, allora chi dei partner
subisce l'azione del fallo è da marchiare spregiativamente
come passivo rispetto all'altro. Di qui segue che l'uomo
che ha parte passiva si degrada e trascura che dio gli ha
436
concesso l'apparato genitale maschile. Viceversa fra le
lesbiche è la donna attiva che si arroga contro la sua
natura un attributo maschile che non possiede: il fallo.
chiesa di Paion-Montméridien del XIII sec.
L'allegoria scolpita nel capitello in figura di una chiesa
francese denuncia chiaramente col serpente in cima che
la copula di Adamo e Eva è peccato.
L'etica ebraica è abbastanza chiara e schematicamente
considera sporco e impuro ciò che sta in basso verso la
terra e ciò che si trova in alto verso il cielo puro e glorioso
e dunque santo e senza peccato di fronte al creatore. Per
questo motivo è evidente che l'apparato sessuale vuoi il
fallo maschile vuoi la sua mancanza nella donna che il
creatore ha situato in basso nel corpo umano vuoi
insomma l'uso di questa parte bassa per le deiezioni
437
corporee (compreso l'eiaculato maschile e le pratiche
copulatorie) è per natura macchiata di peccato.
la Gran Madre Terra coi serpenti in chiesa a Bamberga
Un esempio pratico sull'uso fazioso del grado di
peccaminosità si nota quando, vietando agli omosessuali
maschi di rango di esporsi al pubblico nelle città. A
seconda dei casi li si costringeva a prendere gli abiti
monacali o a pagare una congrua multa e mettere a tacere
il “reato” per sempre... Niente coming-out!
Delle lesbiche invece non ci si occuperà giacché per le
donne non sono previste altrettanto frequenti apparizioni
in pubblico. E di casi in questo ambito se ne riscontrano
nel tardo Medioevo Russo. Insomma si conferma il
simbolismo del potere fallocratico ai suoi primi passi che
438
penetrerà nella Pianura Russa con l'ortodossia erede
sedicente dell'ebraismo e contro la posizione ebraica non
tanto critica sull'omosessualità.
Ancora nel XII sec. si scrivevano a G. Novgorod due
amanti:
Naturalmente è giocoforza che i cristiani si distinguano
dagli ebrei nei casi in cui riescono a farlo nettamente con
dottrine specifiche e infatti il patriarca di Alessandria,
Cirillo, apparso dopo sant'Agostino, con le sue “attività
antisemite” in tutti i modi insisterà affinché chi aderisca
all'ebraismo di Cristo debba accettare e condividere la
condanna delle pratiche amorose denominate “contro
natura” come è indicato nella Bibbia di Adamo + Eva.
Concludendo, si deve respingere ogni collusione,
confronto o discussione su tale oggetto, il lesbismo, con le
comunità ebraiche sparse nell'Impero e fuori di esso... ad
es. con i Cazari a partire dal 800 d.C. sulle sponde del
Mar Nero, salvo sposarne qualche loro figlia e battezzarla
per porla sul trono costantinopolitano senza dubitare
della sua femminilità!
E la posizione pagana sull'argomento “sesso sporco”? In
altre parole è lecito accettare veti su fellatio, cunnilingus,
penetrazione anale e quant'altro?
In tali questioni le byline erotiche, specie quelle
pubblicate in Svizzera da A. Afanas'ev, i sopraddetti
problemi dottrinari di educazione sessuale ai giovani
almeno fino al XV-XVI sec. sono sottaciuti forse ignorati
o dati per scontati: L'importante nella pratica sessuale,
comunque e con chiunque si realizzi l'erotismo, come
ultima ricompensa per il maschilista stressato dalla vita
439
è il godimento personale e individuale!
440
Capitolo quindicesimo
La verv e la sua mitologia
441
Nella Pianura Russa ci sono altresì questioni di una
gelosissima etnicità e del fatto che stati veri e propri nel
IX sec., malgrado la presenza cristiana fra gli slavi di
nordest, non se ne vedono. E, se nel X sec. la chiesa russa
è negli anni del suo radicamento a Kiev, a G. Novgorod
(XI sec.), a Polozk (XI sec.) e nell'area del fiume Okà dove
oggi si trova Mosca (XII sec.), essa non può che adottare
la strategia di procedere all'appiattimento delle differenze
etniche con ogni mezzo per farsi strada fra difficoltà
ecologiche notevoli. Traspare senza eccezioni dalla
tradizione dei popoli del nord il fatto che le “aberranze”
sessuali sono numerose nei villaggi e nelle campagne e,
benché si richieda alla missione cristiana di concedere
indulgenze, alla fine si nota un'esigua attività ecclesiale
per mancanza di personale preparato e in primo luogo
per insufficiente ricognizione dei territori.
Per di più i locali fanno sempre il confronto fra i propri
sacerdoti pagani e i preti cristiani. Ne ho ripetutamente
accennato nel mio testo, ma credo che valga la pena
rivederne ancora qualche aspetto particolare.
Si parte dal sentito-dire che si trovano sacerdotesse
pagane dai poteri “magici” molto forti e molto stimate
dalla gente. Che misure prendere? Forse è meglio per i
preti cristiani non incontrarle per non incorrere in figure
meschine per questi maschi celibi. Ad esempio gli Ingusci
dell'Anticaucaso da pagani eleggevano i propri sacerdoti
fra gli adulti nei villaggi e, ripeto, non escluse le donne
(M. Tsaroieva 2011). Generalizzando – leggo che in altri
luoghi della Pianura Russa era spesso la stessa cosa
442
presso altre etnie – si richiedeva loro una vita onorevole e
un'intuizione pronta e superiore nel carpire i segreti utili
nella natura delle cose, di interpretare i sogni etc.
Importante era prevedere il futuro, dominare la
comunicazione in lingue diverse e possedere una buona
facoltà oratoria. In aggiunta guarire, ritrovare un'arnese
smarrito, pacificare liti d'ogni tipo e roba simile erano i
loro compiti quasi quotidiani, benché li sapesse svolgere
pure qualsiasi capofamiglia con una minore sacralità. Se
accadeva loro di sbagliare, si era subito revocati ed era
vietato loro l'accesso ai santuari per almeno 3 anni.
Soprattutto quando gli effetti dell'errore causava grossi
danni alla comunità, il sacerdote era a volte strangolato.
Al volhv – lo chiamo così qui per analogia – tocca
tenersi buoni gli dèi e, se si vuole il favore del cielo,
occorre saper donare e scegliere l'offerta giusta poiché
agli dèi si offrono in primo luogo esseri viventi.
L'offerta, compresi bimbi o adulti, è in slavo treba,
drapa per i germani e tropaeum per i latini etc. e non
erano un tropeum/trofeo i genitali del capo nemico vinto
recisi e conservati? A caccia, riproduzione della guerra fra
uomini con insidie e quant'altro, era uso per i grossi
mammiferi sopraffatti che le femmine fossero risparmiate
e i maschi emasculati e i loro genitali consegnati al
signore-capocaccia!
Non solo. Le monete d'oro di san Vladimiro e dei suoi
discendenti (i cosiddetti rjurikidi) hanno sul recto il
ritratto del sovrano e sul verso uno strano simbolo che
può sembrare le 3 punte di un tridente o un falco in
picchiata. A mio avviso invece potrebbero essere gli
443
attributi genitali del diavolo come simbolo della vittoria
di Cristo con il battesimo di Kiev al volgere del X sec.
Come ho più volte scritto, la sessualità per i pagani era
un dono degli dèi e perciò una copula era pari a un
sacrificio, se offerta e sacralizzata dal volhv in certe
cerimonie. Infatti fare all'amore in pubblico copriva un
amplissimo campo di applicazioni culturali e religiose e
quindi, in casi di insuccesso nel lavoro di conversione, i
cristiani pensavano di lasciare i pagani ai loro costumi
diabolici perché si mettono da soli sulla via che li
condurrà diritti all'inferno...
Diciamo la verità: Nell'insistenza tipica missionaria, se
Cristo voleva entrare nel cuore della società pagana,
occorreva colpire nel luogo giusto. Dove o meglio chi
colpire? La risposta era immediata: la donna! La
misoginia è pertanto concentrata qui cioè avvilire quanto
più possibile la donna in qualunque ruolo anche sacro
riconducendola a corpo-macchina, mantenendo la ferrea
444
soggezione all'uomo e espandendo il potere di
quest'ultimo in modo che volhv femmine non ce ne
fossero più. In altri termini una specie di caccia alle
streghe bella e buona che, come ho già scritto, non ci fu
per la semplice ragione che la donna-volhv non va
eliminata sic et simpliciter, ma va messa in ridicolo per
aver abbandonato i suoi compiti tradizionali. Ed è quello
che a volte leggo nelle CTP.
Nei paganesimi di nordest la donna è collocata nella
verv dove, come già sappiamo, gestisce la famiglia
allargata prima di tutto come un'unità vivente economica
di produzione di derrate alimentari, pur conservando
come ogni membro la natura cooperativa della sua
attività più o meno con una certa parità di diritti e di
doveri ed è perciò non soltanto l'anziana che veste e
nutre, ma contemporaneamente socia e operaia, volendo
usare termini moderni.
La verv produce quel che consuma e, finché non
interviene un potere esterno a imporre un tributo, il
surplus prodotto in parte si deposita per i momenti duri e
per le semine seguenti e in parte si ridistribuisce nel mir.
La terra e il coltivo appartengono alla comunità per
concessione a tempo degli dèi e nessuno può pretendere
dai suoi frutti più di quel che gli tocca in base alla
disponibilità del momento. Ogni occasione è sfruttata
contro lo spreco di cibo, ma accade persino di esaurire i
depositi in un potlatch in onore degli dèi quando occorre
affrontare le non rare epidemie e carestie. L'unica
produzione che si può dire “personale” o “individuale”
quasi intoccabile è ciò che si ricava dall'orto o dagli alberi
445
da frutto nel giardino-orto di ogni dom.
Sono proprietà nella stessa ultima maniera del gruppo
delle donne econome (ključnicy) le piante tessili: canapa,
lino, tifa e qualche altra che sono lavorate in comune e
convertite in filo da tessere pure in comune. Lo stesso è
per gli animali da cortile e da stalla che in numero
limitato e di piccola taglia non hanno eccessivo peso
nell'economia, visto quanto costa farli crescere in casa
prima di macellarli. Si sa bene dai contati con i pastori
nomadi che per l'allevamento in grande si tratta di
un'economia che non dà ricavi immediati, ma in periodi
lunghi e persino lunghissimi.
Chi fa girare le ruote della verv conosce per eredità
culturale e per esperienza queste topiche e deve disporre
quando occorre di correre qualche rischio e non avere un
ritorno della somma del valore delle risorse impiegate più
il costo della fatica in uno scambio andato male.
Relazioni interpersonali.
Assodato l'aspetto macroeconomico, il sistema nella
verv delle relazioni interpersonali non è statico e lo
scambio di persone nello stesso mir e con altri mir è
intenso e proficuo allo stesso tempo, se però rispetta le
sacre regole tramandate dagli antenati. Si sa che la
relazione interpersonale primissima è proprio quella fra
madre e figlio/a dove la donna si cura di tenere in vita la
prole appunto fino alla pubertà. Ed è proprio nell'amor
filiale dove il cristianesimo colpirà, benché – si sa oggi a
posteriori – con pochissimo successo. Istituirà malgrado
446
difficoltà e incomprensione una primitiva anagrafe presso
la chiesa del villaggio imponendo ai parrocchiani di non
indicare il nome della madre vicino a quello del bimbo da
battezzare, ma il nome del padre.
uomini che arano un campo nella foresta russa nel X sec. e gli strumenti,
aratro e puntale per seminare, sono di legno (Prižok v Prošloe v. bibl.)
L'educazione inculcata ai maschi onde abituarli al
comando era chiara, salvo che la casa grande, dom, del
capofamiglia era gestita, ordinata e governata sempre
dalle donne. I maschi all'alba, compreso il capofamigilia
ancora in forze, sciamavano fuori per il lavoro nei campi e
non sarebbero tornati che al tramonto.
Le donne, lo ripeto, si occupavano del cibo, dei bambini,
degli animali, dell'orto, della tessitura e dei vestiti in
generale, della cura dei malati, della raccolta nella foresta
di legna da ardere e ancora altro. Non solo, disponevano
liberamente della propria dote (il veno pagato ai di lei
genitori dal marito, ma devoluto dai genitori di lei dopo i
447
dovuti conti e prima di lasciare la casa avita), ma la sposa
prima (più anziana delle altre) manteneva un utile
scambio con i vicini: semi, panni, conserve. La donna
dopo la menopausa utilizzava il vantaggio di essere
magari sopravvissuta allo sposo e diventava il nuovo capo
della verv, benché nei contatti con l'esterno apparisse tale
il figlio maggiore o il cognato-fratello di maggiore età del
defunto.
Eppure non c'era un unico modello di educazione
femminile da impartire alle ragazze russe nel passato
giacché lo storico S.M. Solovjov (2005 repr.) ha
trasmesso un quadro alternativo dove la ragazza slava
riceveva l'educazione nel mostrare la forza fisica
esattamente come e insieme con i coetanei maschi.
Imparando a mettere a disposizione della comunità le sue
facoltà sviluppate col tirocinio delle armi contro
l'eventuale nemico, spesso partecipava alle missioni
militari coi coetanei e non come donna di piacere o da
cuciniera, ma da vera e propria guerriera. Specialmente le
figlie e le madri delle élites di città erano pronte ad
armarsi, sapendo bene dove procurarsi un pugnale in
ogni momento per togliersi di torno un fastidioso
maschio.
Titmaro di Merseburgo (sec. XI) scrive della moglie
slava di un re ungherese che ha incontrato: «Essa beveva
smodatamente, andava a cavallo come un qualunque
cavallerizzo e [mi hanno raccontato che] una volta in un
accesso d'ira furiosa avesse ucciso un uomo.»
Anche le byline ci hanno tramandato figure femminili
militaresche di ugual fatta e con un alto grado di astuzia
448
per circuire il nemico e vincere. Ancora nel XVII sec. fu
raccontato al missionario italiano Arcangelo Alberti in
visita in Russia che i Mingreli, cristiani del Caucaso
georgiano, addirittura erano certi che donne guerriere
esistessero ancora sul monte Elbrus (in Alania/Ossezia
del nord oggi) fin dall'antichità, forse rammentando le
leggendarie Amazzoni.
Dobbiamo allora ricrederci sulla posizione della donna
nella verv? In realtà l'antico matriarcato non era mai
interamente scomparso nel mondo pagano e nel nordest
sopravviveva, ma poi è inutile girarci intorno: la prima
sfruttata nella verv è malgrado tutto la donna! E siccome
ci si riferisce allo sfruttamento fisico in ogni suo aspetto
misurato e in qualche modo ricompensato o difeso, lo
sfruttatore non può essere che il maschio pur sempre
entro regole ideate ad hoc dove appunto il gradino
sociale della donna è posto in basso.
E qui c'entrerebbe un inciso cioè l'argomento prostitute
gestite dal prosseneta e cioè di un uomo che vive con i
ricavi di tale femminile attività, ma non esercitata da lui
di persona! Evidentemente con quanto abbiamo scritto
tale “servizio sessuale” non esisteva nei termini in cui in
occidente fino al XV-XVI si era classificato e legiferato in
proposito da parte del papato che gestiva specialmente i
bordelli romani. Certo, ovunque durante le feste c'erano
ragazze che indulgevano al coito più volentieri di altre e
magari ricevevano doni dall'amante casuale, ma ciò era
per l'appunto casuale. A G. Novgorod le inservienti dei
bagni sulla Riva del Mercato includevano nelle loro
attività il divertimento di ballare, spogliarsi, ubriacarsi e
449
copulare con i mercanti, ma, lo ripeto, non era un lavoro.
Nel Medioevo Russo al concludersi del grande exploit di
san Vladimiro alla fine del X sec. Kiev è dominata dai
gruppi militari varjaghi, ma la stragrande maggioranza
dei dominati – l'ho detto e ridetto – è disseminata in
villaggi davvero minuscoli, se li guardiamo con l'occhio
moderno, sparsi in un'area enorme e nel fitto
difficilmente accessibili. Non sono realtà stabili nel lungo
termine giacché, appena il terreno si esaurisce dopo 8-10
anni, gli abitanti migrano altrove e gli insediamenti
abbandonati a volte si dissolvono interamente. I legami
fra persone sono precari (né servono legami tenaci in
ogni caso) ed è comprensibile che a voler fondare uno
stato-dominio, se non si riesce a legare il contadino alla
terra che coltiva, l'impresa è inutile poiché dal prodotto
dei dominati dipende la sussistenza dei dominanti e, se i
dominati devono pagare un tributo devono cambiare i
loro ritmi lavorativi e la maniera di affrontare la penuria
di cibo che si verrà a creare non potendo più mettere da
parte una riserva.
Insomma Vladimiro doveva essere un gran sognatore
piuttosto che un pari agli apostoli come nelle CTP è
soprannominato, russo ravneapostolnyi. Ciononostante
la novella chiesa russa da lui materialmente sostenuta
inventerà per lui il mito della Rus di Kiev e cioè
un'avventura storica piena di illusioni di gloria, ma senza
esito duraturo. Crollata nella prima metà del XIII sec.
sotto lo tsunami tataro-mongolo e con i lituani al potere a
Kiev nel XIV sec. la Rus e i suoi ex-sudditi ritorneranno
tranquillamente alle superstizioni pagane.
450
In questa cornice leggo l'episodio seppur biasimevole
dal punto di vista militare del 1071 a G. Novgorod come lo
raccontano le CTP.
«Un certo volhv comparve [quando era il comandante]
Gleb a Novgorod. Arringò la gente […] e in città ci
furono disordini e tutti credevano alle sue parole e
volevano uccidere il vescovo. [Quest'ultimo non avendo
altra scelta] prese la croce [e] disse: Chi crede al volhv [e
al suo paganesimo] che lo segua e chi crede al dio
[cristiano] venga verso la croce. [Intanto dalla caserma
arrivò anche Gleb coi suoi armati] che fecero gruppo col
vescovo. […] Liti furiose ci furono fra i due gruppi e Gleb
con l'ascia nascosta sotto il mantello affrontò il volhv.
Gli chiese: Tu [… che affermi di sapere il futuro] sai che ti
accadrà oggi? Grandi miracoli che io farò. Rispose [il
volhv]. Gleb [allora] sguainò l'ascia e colpì e uccise il
volhv che cadde senza vita. La gente [temendo il peggio]
si ritirò. Così il volhv morì nel corpo e lasciò l'anima al
diavolo.»
Succede ciò nella grande città, ma è certo che di episodi
simili se ne verificassero a volte nei villaggi e in tali
situazioni per non essere uccisi era scontato che ci si
facesse battezzare di corsa. Quando si dovettero
organizzare gli immigrati turcofoni a sudovest e quelli
venuti dell'estremo nord a sudest di Kiev si riprodussero
situazioni simili al 1071 e la chiesa evitando l'uso delle
armi accettò la verv slavo-russa e i clan nomadi così
come erano riservandosi di riformarli usando le solite
minacce dell'inferno non appena opportuno.
C'è un acuirsi dell'attenzione alla peculiarità slavo-russa
451
e alla necessità di studiarla riguardo ai costumi sessuali
poiché i mezzo-bulgari di Kiev costituiscono l'enorme
maggioranza dei nuovi catecumeni. E tramite questa
parentela etnica la misoginia fondamentale cristiana da
Costantinopoli approda nella Pianura Russa all'acme
dell'asprezza. Infatti, se si guarda quanto accadeva in
Occidente nel XI sec., si notano subito dei timidi
aggiustamenti dottrinari a favore del sesso femminile
mentre sullo stesso atteggiamento nulla si legge nello
scritto di Ilarione, primo metropolita non greco all'epoca
di Jaroslav, Sermone sulla Legge e sulla Grazia (Slovo o
Zakone i Blagodati). Scrive costui dopo aver spiegato che
la Legge di Mosè era impura perché rivolta a un popolo
schiavo e che Cristo l'aveva superata:
«...come Abramo, sin dalla giovinezza, ebbe in moglie
Sara, moglie libera e non schiava [l'evidenziamento è
mio], anche Iddio sin dal primo tempo volle e pensò
d'inviare nel mondo il Figlio suo e di rivelare in Lui la
grazia [cioè l'autorizzazione divina a fare concessioni
parziali di potere]...»
Troppo poco per attribuire a questo intellettuale della
chiesa russa l'intenzione di suggerire misure a favore
della donna. Anche Vladimiro Monomaco, succeduto al
potere kievano a Jaroslav, nel suo Insegnamento
(Poučenie 1096) ha le idee molto chiare sulla posizione
giuridica della donna e ai figli raccomanda: «Amate la
vostra sposa, ma non datele potere su di voi.» benché in
un altro punto raccomandi di rispettare e difendere le
vedove... poiché sa troppo bene la grande influenza
decisionale che le anziane hanno nella verv!
452
L'inconsistente famiglia cristiana
È vero! Ho citato personaggi che vivono in ambienti
elitari e cittadini profondamente distaccati dalla realtà
della gente comune e non fanno troppo testo. Purtroppo
le sottigliezze dottrinarie evidenziate e che evidenzierò
non potevano neppure essere discusse col contadino o
con qualunque altra persona del popolo poiché non era
concesso tempo per le spiegazioni nelle predicazioni e
mancava evidentemente la preparazione dottrinaria da
parte cristiana e da parte pagana per qualsiasi dibattito. A
Roma sul Tevere, a Costantinopoli o a Alessandria era
facile arringare la gente nei mercati e nelle piazze e
disquisire su vari argomenti con udienze di centinaia di
persone fra residenti e visitatori che si alternavano nelle
piazze. In più erano zone dove il bel tempo prevaleva
mentre lo stesso non era a Kiev o a G. Novgorod alla
medesima scala di grandezza.
Eppure un asso la chiesa russa aveva ancora in serbo
nella manica per attirare i sudditi che invece sfuggivano
la sua presenza e correvano a nascondersi. Era il ben
congegnato matrimonio cristiano! Ne ho già scritto in
precedenza, ma va precisato ancora qualche punto.
In Occidente il modello stava avendo successo poiché a
tale cerimonia sacra seguiva la costituzione della nuova
famiglia cristiana, istituto etico molto più adatto a
controllare persone e loro movimenti tramite il maschio
capofamiglia, atto a pianificare con maggior sicurezza
produzione e risorse economiche su cui imporre tributo.
453
Al credente tale tipo di famiglia individualistica era
“venduto” come un percorso educativo da compiere nella
vita sulla terra per prepararsi al paradiso.
Dato che matrimonio e famiglia mononucleare
cristiana sono in vigore più o meno senza grosse varianti
nelle società di stampo giudaico-cristiane ancora oggi e
esportati in tutto il mondo, vuol dire che tali strutture
hanno avuto un notevole consenso (con appropriati
adattamenti “locali”) nelle società diffuse come superiori
dall'imperialismo europeo insieme col cristianesimo.
Scrivo tutto ciò ritornando sull'argomento famiglia
giacché un confronto della verv slava in un suo aspetto
apparentemente diverso dai canoni familiari cristiani,
risulta al contrario in strabiliante similitudine con
l'istituto famigliare celtico o fine. Questo mi conforta
poiché l'etnia slava (e le etnie balto-slave) e quella celtica
appartengono allo stesso ceppo indoeuropeo e, se la verv
risulta quasi coincidente nella struttura di base, ciò vuol
dire che l'istituto fine/verv è antichissimo e che la lotta
della donna per difendere tale istituto in un modo o
nell'altro è rimasta ben radicata fra le tradizioni degli
invasori indoeuropei tanto da conservarsi invariata nel
nordest fino all'arrivo del cristianesimo.
Celti e Slavi e Baltoslavi di sicuro vissero a contatto nel
nordest europeo già con queste distinzioni linguistiche o
forse in un'unica superetnia nell'area carpatica e quando
si separarono (3000-2500 a.C.) non esisteva alcun
motivo pratico che giustificasse mutamenti profondi nel
modo dello stare insieme e della posizione sociale della
donna.
454
Il padre? Mi ripeto, ma è bene riscriverlo. Vista
l'ignoranza del ruolo biologico-sessuale, il genitore
continuava a significare forza fisica, decisioni rapide,
atteggiamento severo affinché i figli puberi imparassero a
comandare e a ubbidire al capo riconosciuto già a partire
dal fratello maggiore e dal capofamiglia.
La madre o le donne? Un paio di racconti proibiti russi
avvertono i ragazzi di guardar bene le pieghe della vulva
poiché ne potrebbero trarre utili indicazioni sulla loro
debolezza. Anzi, visto che la nudità era comunissima, il
tacito consiglio paterno era di osservarne colore e
dimensioni delle labbra, grandezza del clitoride, pelosità
etc. come T. Laqueur (1992), ma pure A. Afanasjev (v.
bibl.) docunt, prima di scegliere un'eventuale consorte.
Il cristianesimo accantonava insomma ogni mistero
biologico o fisiologico nell'amore con un modello del
vivere insieme in cui era fissata la coppia etero e per
principio divino anche la paternità che automaticamente
legittimava il ruolo di capofamiglia alla pari con gli
attributi soliti della tradizionale verv cioè: Tanti maschi
coniugati = Altrettanti capifamiglia!
Ciò era accettabile nel sistema pre-capitalistico cristiano
perché in tale maniera passavano in eredità al figlio
primogenito le proprietà materiali di valore e l'unica
sicurezza che tutto andasse nelle mani dell'erede giusto
era nella certezza della paternità.
Ho ragione di credere che nella promiscuità della verv i
bambini fossero assegnati a caso a un padre-tutore e cioè
in qualche misura la paternità era collettiva. E nel caso di
un matrimonio istituzionale la verginità della sposa fino
455
al primo parto dava la certezza allo sposo di essere
considerato il padre-nutritizio vero e la di lei fedeltà in
coppia fino alla morte assicurava il detto ruolo paterno
nel caso di ulteriori maternità.
Da una situazione del genere scaturisce una pletora
enormemente complessa di concetti, di usi e di costumi
intrecciati fra loro che fino al XVI sec. nella Pianura
Russa si trovarono a combattere contro la tradizione
orale favolistica usata per l'educazione sessuale.
Rivediamo un momento il cosiddetto amor filiale. Se
osserviamo le manipolazioni e la tattilità generica con le
odorazioni reciproche pressoché continue fra madre e
figlio/a, non solo le paragoneremmo con il cosiddetto
grooming degli scimpanzé o dei primati bonobo del
Congo che oggi sappiamo essere un puro godimento fra
individui a prescindere dal sesso, ma scopriremmo che
Homo sapiens sapiens ha la stessa sensibilità e le stesse
sensazioni di appagato piacere dei cugini primati nel
solletico, nelle carezze, nel leccare e nel baciare etc.
E non basta! Alle osservazioni fatte su madre e figli in
diversi gruppi umani in località diversissime del pianeta,
la gestualità e le manipolazioni con un'amplissima
gamma di variabilità e di intensità corrispondono alla
gestualità e alle manipolazioni del coito o in altri termini
il coito nelle sue attività erotiche in genere equivale giusto
dall'amor filiale! Se aggiungo che osservazioni, pure
recenti, hanno riconosciuto la presenza delle reazioni
erotiche degli adulti nell'infante sin dalla nascita, tutto
cambia nella sessualità umana (ma anche dei Primati e
probabilmente di altre specie animali) che spazza d'un
456
colpo ogni teoria sui sessi e sulle loro funzioni tese solo
alla riproduzione della specie. Sono odierne conclusioni
antropologiche ignorate nel Medioevo, ma sicuramente
danno un'idea di come gli argomenti amore e religiosità
siano dei veri campi minati nella ricerca attuale.
Ciò assodato, allora come spiegare 1000 anni fa che si
credesse senza obiezioni che una donna potesse generare
da vergine? Dunque occorre ritornare sulla questione
femminile che nel contesto della nuova famiglia cristiana
coinvolge Maria vergine e l'immacolata concezione di
Cristo.
Maria vergine e la Gran Madre Terra.
Nell'educazione pagana l'idea di partenogenesi non
risulta essere affatto tanto peregrina e risulta persino
favoleggiata in un racconto popolare ucraino dove la
nascita di Cristo da Maria vergine è spiegata, senza
esitazioni direi, come segue (M. Dragomannov & L.
Dragomannova repr. Lingva 2014) :
«Un giorno Maria si recò in chiesa con suo fratello
Giordano e mentre si avvicinavano alla chiesa a
quest'ultimo venne l'idea che l'avrebbero preso in giro
quando l'avessero visto con la sorella ancora giovanetta
illibata, ma incinta [… e così...] impugnò la lancia e ferì
sua sorella al petto. Lei con le proprie mani estrasse la
lancia [...e la restituì al fratello, dopo averla tersa del
sangue....] Dalla ferita inferta […] venne al mondo Gesù
Cristo insufflato [dell'anima] e Maria restò vergine.»
457
È importante questo stralcio dal racconto popolare della
Creazione del Mondo che circolava da secoli nell'oralità
contadina fin nel XIX sec. contro il senso del miracolo
che invece il mito cristiano voleva suscitare nel credente.
Maria vergine entrava in scena tutta tesa a costruirsi
una popolarità che ancora non possedeva, benché alla
fine nessuno capiva bene il racconto dei predicatori del
suo connubio con Giuseppe, specie quando quest'ultimo
si reca a registrare (secondo il vangelo di Luca 2, 1-2 al
censimento indetto da Quirinio) un figlio altrui che non
aveva nemmeno adottato. C'erano troppe stranezze e
andava bene come fiction, ma imitare tale modello
familiare era davvero insensato.
Al contrario a questo proposito ebbe un gran peso
l'esistenza di una storia che nel Medioevo Russo era
diventata talmente popolare da esser letta e raccontata di
villaggio in villaggio più e più volte. E circolava non solo
nella Rus di Kiev, ma era nota dai Balcani al Mar Baltico
(R. Picchio, 1993). È la cosiddetta Andata di Maria
all'Inferno (Sošestvie Bogorodicy vo Ad), un testo
apocrifo che descrive come Maria vergine, in compagnia
dell'arcangelo Michele, fa visita ai dannati dell'inferno.
Sono descritte le pene a cui sono sottoposti le anime
perdute più o meno secondo il contrappasso dantesco e
soprattutto Maria rammaricata s'attarda fra i pagani,
condannati per aver continuato a adorare gli dèi slavorussi fra i quali i già ricordati Veles e Perun.
Se queste storie erano così amate dall'udienza
slavofona, vuol dire che la venerazione per la Gran
Madre Terra non era mai scomparsa nel XII sec.
458
nell'ambito etnico dai Balcani all'Artico e di conseguenza
il discorso sulla giustezza degli argomenti usati per
innestare transizioni culturali come quelli annunciati dai
predicatori cristiani usando solo la parola e
contemporaneamente tenere “sveglia e attenta” l'udienza
da catechizzare senza l'ausilio di abilissimi oratori e di
spettacoli visivi era veramente difficile. Le processioni di
strada si facevano, ma dipendevano dal tempo
atmosferico e non attiravano molto di più degli sfrenati
riti orgiastici pagani mentre i disegni e i quadri dipinti
ossia le icone si potevano mostrare in ogni momento,
vista l'impressione che suscitavano esposte nell'iconostasi
delle chiese ortodosse. Rappresentarono una novità nel
mondo contadino di 1000 anni fa e bastava vuoi produrle
vuoi procurarsele a Costantinopoli.
E c'è poco da fare: il quadro, la statua e oggetti simili
erano oggetti magici e facevano presa sui pagani. Se poi si
millantava che le icone fossero miracolose, chi non voleva
toccarle e baciarle? Portatili, senza le dimensioni
ingombranti delle composizioni figurative d'Occidente a
profusione le vediamo usate nelle attività missionarie
dell'Impero Romano d'Oriente.
Eppure nell'Esodo al cap. 20 vers. 1-6 si legge:
«Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è
lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di
ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai
davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore,
sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei
padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione,
per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore
459
fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e
osservano i miei comandi.»
A Costantinopoli c'era già stata un'ondata di distruzione
delle icone o iconoclastia, ma dopo, una volta superata la
crisi appunto nel X sec., si permise a questi strumenti
didattici di tornare a circolare. E qui si dovette far finta di
non sapere da parte dell'autorità religiosa che le icone
dipinte su legno riproducevano spesso le fattezze
dell'imperatore in qualità di santo padrino per il
battesimo o per la cresima e si vendevano al posto di santi
e madonne. Restava il timore che con una domanda
crescente gli artisti greci sarebbero ricaduti nello
scandalo della nudità e del realismo dell'arte pagana
antica, specie su argomenti amorosi e affettuosi come
madre e figlio.
Ricordo a proposito del nudo che il battesimo fino al IXX sec. tranquillamente si continuò a concentrarlo in certe
festività annuali (Pasqua o Natale) nelle chiese latine con
battistero con vere lunghe file di infanti, ma pure di adulti
completamente svestiti. Non solo! Una miniatura del XV
sec. francese mostra sette uomini che si arrampicano
l'uno sull'altro per cercare di contemplare attraverso la
toppa della serratura di un battistero il corpo nudo di
Maria Maddalena mentre è battezzata appunto da adulta
da san Giovanni Battista (J.-C. Bologne 1986).
Sia come sia il problema più grosso si presentò nel caso
della vergine Maria poiché la sua figura nell'icona
rischiava di scivolare in particolari femminili scabrosi per
dimostrarne la maternità e ciò non era ammesso dalla
tradizionale misoginia cristiana e perciò niente nudità.
460
Ad ogni buon conto non mi è giunta notizia dell'esistenza
di icone slavo-russe che rappresentino Maria col
pancione o con i seni nudi mentre allatta il bimbo Cristo
prima dell'era moscovita.
Alla fine per le icone, da oggetti sacri quali erano, l'arte
e la tecnica per produrle furono affidate all'opera dei
monaci e la prima icona apparsa nella Pianura Russa è
della vergine Maria. Essa è detta achiropita o in greco
non fatta da mano umana perché, come credevano i
cristiani ortodossi, le icone sono dipinte con la mano
guidata dal creatore.
Non m'impelagherò in una storia delle icone russe, ma,
secondo me, la prima riproduzione della “madre di dio”
(bogorodica) non è un piccolo dipinto su legno, bensì è il
grandioso mosaico dell'abside maggiore nella chiesa di
Santa Sofia di Kiev. Maria vi appare con ambe le mani
alzate (per questo è detta Oranta cioè in preghiera con
un latinismo grecizzato) mentre Cristo Onnipotente
(Pantokrator) la sovrasta. Peraltro l'Oranta che avvolge il
visitatore è la funzione di Maria ben chiara negli apocrifi:
Assicura la protezione dei credenti sotto il suo magico
velo-mantello (pokrov).
La gente “russa” era sensibilissima al calore di una
madre divina che proteggesse dalla fame, dalla siccità e
dalle continue campagne militari fra i principi russi a
causa delle loro sanguinose rivalità, se non proprio
dall'invasione tataro-mongola del XII-XIII sec. e dalle
angherie che costoro ebbero fama storiografica di
imporre a loro proprio arbitrio.
461
Persino la paganeggiante G. Novgorod farà dell'icona di
Maria vergine un'insegna municipale, attribuendo ad essa
la salvezza della repubblica specialmente nelle occasioni
di conflitti fino al XV sec.
Intanto fra il VI-VII e il X-XI sec. si va raffinando la
tecnica consolatoria che la chiesa cristiana ha messo a
punto per spiegare ogni evento all'interno e all'esterno
del corpo umano. Il creatore interviene sull'individuo
dove, quando e come vuole per metterlo alla prova nel
corpo: sarà premiato (!!) se è pio e punito se invece è
empio! Nello schema pio-empio ci si premunisce per il
meglio seguendo i dettami della chiesa, unica capace di
impetrare il perdono (concetto allora misconosciuto) dal
creatore e somministrare l'indulto al peccatore. E così
piaccia o non piaccia l'etica cristiana, sedicente eterna e
immutabile e “spurgata” d'ogni influenza femminile, deve
essere rispettata proprio a partire dalla venerazione della
vergine Maria, esempio unico di purezza femminile.
Se la chiesa russa mantenne un'assurda cautela nel
fomentare il culto mariano nel nordest, a mio parere fu
perché paventava orribilmente la riapparizione del culto
della Gran Madre Terra e del potere matriarcale! Posso
dire che la Gran Madre Terra, comunque la si voglia
accogliere dal punto di vista cristiano o pagano, resisteva
nelle mitologie della Pianura Russa e trionfava adesso
travestita da vergine Maria imposta dal credo cristiano.
In verità la natura suggerisce di per sé un ordine
matriarcale in una società agricola e sedentaria con i
maschi ordinati in ranghi inferiori. Con le sue forze
scatenate in eventi stagionali vistosi a cui le comunità del
462
passato assistevano atterrite, la terra fecondata dalla
pioggia cadente dal cielo in tempesta e colpita dal fulmine
ma poi riscaldata dal sole, si concedeva agli esseri umani
offrendo senza cessa i suoi prodotti nella biocenosi che
essa manteneva nutrendola del suo corpo. Attraverso la
donna unico essere umano e quasi altrettanto fruttifero,
la Gran Madre Terra sottolineava che nessuna attività
umana si potesse svolgere staccati da lei ossia librati
nell'aria, se non con appropriate arti magiche!
Gli dèi concorrevano a mantenere in vita il cosmo, ma
abitavano lontani nel mondo superiore e si interessavano
poco o niente delle vicissitudini umane e, benché
contattabili esclusivamente tramite gli antenati, era
meglio non disturbarli.
Altri dèi minori invece aleggiavano nella biocenosi
terrestre in compagnia degli esseri umani e degli altri
animali. Questi, sì!, direttamente accessibili e sempre
occupati a intervenire nelle faccende umane attinenti alla
sessualità. Abitavano nella selva dove alcuni di essi erano
persino sospesi nell'aria o accovacciati sugli alberi o
immersi nelle acque dei fiumi.
Nel Medioevo Russo quel che conta è la realtà vivissima
di queste credenze riflessa negli usi e nei costumi con
etiche e riti sotto l'egida dell'antico matriarcato e persino
nella storia dell'Ordine dei Cavalieri Teutonici, nella loro
ufficiale Narrazione delle Origini dell'Ordine, questi
Cavalieri di Santa Maria dei Tedeschi cioè monaci
armati, una volta conquistato in pratica il Mar Baltico coi
suoi popoli slavi e ugro-finnici, governeranno fino al XVII
sec. proprio usando quel certo parallelismo di funzioni
463
divine appena dette non riuscendo a obliterare le
tradizioni e le credenze pagane sulla Gran Madre.
Scrive L. Rangoni (2005), studiosa accurata del mito:
«La Dea [Gran Madre Terra] assomma in sé gli
opposti: il buono e il cattivo, la vita e la morte, la
creazione e la distruzione che si sono via via incorporati
in figure mitiche di dee da Gea alla vergine Maria, da
Iside a Medea e così via. Come la madre reale anche
alcune dee assommano in sé caratteri ambivalenti: Kali,
Artemide, Hera, Morrigan sono ad un tempo buone o
cattive, generose ma anche ferocemente vendicative.»
E infatti la mitologia sincretistica ugro-finnica, baltica e
slava “sparsa” fra i vari popoli dalle rive dell'Artico fino al
Mar Nero ha conservato i nomi e le analogie della Gran
Madre Terra come lo slavo Mat Syra Zemljà, il prussiano
Ausca ossia la dea della terra fertile e il lituano Zemina e
pure Aušteja con prerogative simili alle donne nel fare
all'amore, Madder Akka presso i saami, Mastor Ave degli
udmurti etc.
Inoltre, se si pensa che il cristianesimo come dottrina
religiosa è nato proprio nelle menti di pensatori
alessandrini, come si fa a non vedere nell'iconografia
mariana Iside che tiene sulle ginocchia il figlio Horus da
difendere contro il dio Set, il malefico serpente? E non è
nell'atmosfera di questi miti che la civiltà occidentale oggi
persiste nel crogiolarsi (N. MacGregor 2018)?
In conclusione alla diffusione del matrimonio cristiano
si assegnò con una tipica illusione storica il culto mariano
e il suo inutile quadretto famigliare! Si tentò in verità di
cancellare i ricordi di antichissimi scontri fra invasori
464
patriarcali e donne al potere matriarcale del Grande Nord
e probabilmente ciò si cela nella parola semjà che in
russo si è conservata e, sebbene oggi indichi la famiglia
di tipo cristiano, il suo significato primario resta forza
generatrice. Anzi, la parola omofona, ma con accento e
declinazione differente, sèmja, significa seme nel senso
agricolo ossia di chicco capace di riprodursi purché
nutrito dalla Gran Madre Terra in un mito che i latini di
certo riconoscevano nei Semones o dèi della semina.
Tipico in questa chiave è il racconto lituano di Aušriné e
Tarnaitis conservatosi fino al XV sec. I due esseri divini
dopo essersi scambiati la formula di esclusività coitale: io
sono tua e tu sei mio, vivranno insieme. Aušriné, la
bellissima regina dei mari e cioè l'Aurora che annuncia il
sorgere del sole, Saule, e che esce nel cielo sempre per
prima, mentre Tarnaitis rimarrà dietro di lei da buon
servitore. Se questo ordine dovesse mutare, i contadini
lituani temono di sicuro qualche catastrofe celeste.
Il cristianesimo di cultura semitica arrivò 2-3 millenni
dopo gli indoeuropei Baltoslavi sulle rive baltiche e alla
stessa stregua nell'antica Irlanda e nella altrettanto antica
Francia-Gasllia poté fare pochissimo con la sua dottrina
per rivoluzionare o abolire legami e rapporti famigliari
ormai ben radicati nel mito della Gran Madre Terra.
Devo ripetere per chiarezza che documenti di sicuro
affidamento riproducenti per filo e per segno i
sopraddetti processi non ne ho trovati poiché fare sesso
era un argomento di pochissimo interesse nel gossip
pagano e perciò le informazioni che concorrono a
dipingere il quadro da me proposto sono sparse in altri
465
termini in miriadi di cenni e di sottintesi negli scritti
ecclesiastici e nelle byline.
A questo punto il mio excursus non può che concludersi
con un piccolo estratto dagli scritti della defunta grande
storica e archeologa lituana Marija Gimbutas i cui testi mi
hanno confortato nella ricerca.
La traduzione qui di seguito è parte della pag. xvii
dell'Introduzione di I linguaggi della Dea (v. bibl.)
riferentesi al materiale scavato dall'autrice e da altri
archeologi in Europa, in Anatolia e in Centro Asia.
«Le credenze dei popoli agricoltori per quanto
riguarda fertilità e sterilità [inconvenienze riconosciute
esclusivamente alle donne fino a un secolo fa!], la
fragilità della vita e la minaccia costante di distruzione
[materiale] e la periodica necessità di rinnovare i
processi generativi della natura sono le più dure a
morire. Vivono ancora al presente come pure vivono gli
aspetti molto arcaici della Dea contro il processo di
erosione continuativo nell'era storica [scritta].
Trasmesse dalle nonne e dalle madri della famiglia
europea le antiche credenze hanno sopravvissuto le
sovrapposizioni del mito indoeuropeo e di quello
cristiano. La religione incentrata sulla Dea è esistita per
un troppo lungo tempo, molto più lungo della[religione]
indoeuropea e [di quella] cristiana (che rappresentano
un periodo relativamente breve della storia dell'uomo) e
ha lasciato un'impronta indelebile nella psiche
occidentale. [Quelle] ... antiche credenze registrate in
tempi storici o quelle che ancora resistono nelle aree
rurali o periferiche d'Europa messe vie dalle turbolenze
466
della storia europea – in particolare presso i Baschi, i
Brettoni, i Gallesi, gli Irlandesi, gli Scozzesi e gli
Scandinavi o dove il cristianesimo fu introdotto molto
più tardi come in Lituania (ufficialmente nel 1387 ma in
realtà non prima del XVI sec.) – sono essenziali per
capire i simboli preistorici nei contesti rituali e
mitologici da quando queste versioni più tardive[dei
simboli] sono a noi note [ossia i reperti archeologici].»
Amorose conclusioni
Soffermarsi a lungo sulla situazione culturale europea
occidentale può alimentare il pregiudizio che alla fin fine
467
nel nordest europeo in ambito sessuale ci sia stata una
storia se non analoga, estremamente simile al resto del
continente tanto da poterne sovrapporre o scambiare
cronologicamente le relative evoluzioni e perciò evitare di
esaminarne le diversità che con tale logica sarebbero da
considerare quasi impercettibili. Ebbene non è così. Ci
sono cause vuoi demografiche vuoi geografico-ecologiche,
ma soprattutto storiche, che mettono il Medioevo Russo
in una posizione peculiare unica sin dal VIII sec. sulle
questioni degli usi e costumi tradizionali, compresi gli
atteggiamenti rispetto al sesso e al fare all'amore. A
questo stadio credo comunque che sia ormai abbastanza
chiaro a chi mi ha letto fin qui nella presente ricerca che i
dubbi e i pregiudizi sulla singolarità culturale del Nordest
vanno accantonati e dissipati, se e quanto è possibile.
Il Medioevo in Occidente è il periodo in cui si
costruivano stati e comunità governate da un sovrano più
o meno assoluto a tutto andare sulla base di esperienze
politiche antiche per quanto conosciute allora e ciò
accadeva perché la chiesa latina aveva deciso di superare
il vecchio concetto di Costantino che aveva decretato il
primato della sua Roma sul Bosforo e del patriarcato di
sant'Andrea a spese della Roma sul Tevere e del
patriarcato di san Pietro, capo degli apostoli.
Con la famigerata truffa De falso credita et ementita
Constantini donatione confutata da Lorenzo Valla nel XV
sec. e resa nota solo nel 1517 Roma sul Tevere legittimava
il potere temporale della sua Chiesa e perciò nella
teorizzazione cristiana comune del papa non potevano
esistere pertanto altri stati e altri imperatori che non
468
fossero consacrati appunto dal papa stesso.
Ciò era in netto contrasto con la volontà del dio creatore
che aveva già assegnato in esclusiva alla Roma di
Costantino la missione ecumenica di conquistare a Cristo
l'intera umanità e all'imperatore l'incarico di gestire il
periodo di transizione fino al ritorno di Cristo sulla terra.
Altri sedicenti capi-popolo o capi-nazione erano da
considerare impostori e illegittimi e, se supportati da
religioni monoteistiche altrettanto o più antiche del
cristianesimo, erano comunque obbligati a riconoscere il
primato di Roma sul Bosforo e del suo sovrano.
Qui nel nordest, regione che mai aveva conosciuto la
presenza culturale massiccia del mondo classico grecoromano fino al XIV-XV sec., queste beghe erano
incomprensibili, ammesso che riuscissero ad avere un eco
presso delle élites che possedessero i requisiti e i
riferimenti filosofici necessari. Tali élites mancavano e
non esistevano perché non necessarie nell'universo
multietnico del Nordest nelle quasi perenni migrazioni di
piccoli gruppi gelosi delle uniche conoscenze che
custodivano e cioè principalmente le tradizioni delle
conoscenze pratiche e religioso-favolistiche della selva. Il
concetto di stato e di sovrano neppure esisteva in
maniera chiara: Non erano istituti indispensabili alla vita!
469
Pieve di Corsignano – Maria o la Gran Madre Terra
nella chiesa maggiore
Dunque l'ideale di un'organizzazione di più persone
restava multicentrica e pluralista dove il vicino
quantunque distante era legato con alleanze fra famiglie e
pur sempre facente parte di un rod! Il resto del mondo
restava nei sentiti-dire, com'è logico per le limitatissime
possibilità di comunicare.
Eppure uno stato era apparso nel VI-VII sec. nelle
steppe ucraine: la Magna Bulgaria sotto il dominio del
khan Kubrat e con probabile capitale a Poltava. In questo
caso però la realtà bulgara era stata fagocitata da
Costantinopoli e allogata oltre il Danubio verso il sudest
470
con echi quasi nulli nella Pianura Russa. La spinta
espansionistica dei cazari, turcofoni congeneri dei bulgari
e possessori di cultura ebraica già millenaria, e l'arrivo
dell'islam in gran forza sul basso Volga, rese possibile
sulla confluenza del grande fiume col fiume uralico Kama
ad alcuni clan bulgari, sempre in accordo con i cazari,
creare un emirato che in sé e per sé fu un tipo di stato sui
generis inedito persino per l'antica Europa.
Perché ritorno qui sull'argomento “bulgari”? Il motivo è
che le due città degli inizi del Medioevo Russo, Kiev e G.
Novgorod, sono dominate dal mito bulgaro e dai bulgari e
addirittura la carica di corte che nel XV sec. apparirà
nella lista dei titoli nobiliari di Mosca, sono appunto i
“bulgari novgorodesi” o bojari (russo boljarin/bojarin)
deportati in massa da G. Novgorod, i quali, secondo la
tradizione, a piedi lungo la riva sinistra del Volga
compirono una sorta di pellegrinaggio in direzione sud. E
chi era a capo di questa triste processione? Una donna,
l'attivissima capo-città (posadnica) Marta Boreckaja,
che, per aver respinto la sovranità maschilista moscovita,
come punizione non arriverà mai a Mosca e sarà ibernata
in un convento sconosciuto non molto lontano dalla
nuova capitale, scomparendo dalla storia!
Ciò detto, non si deve dimenticare che nella parte
occidentale del continente a proposito di ideologie
dominanti non era solo il cristianesimo combinato con
l'imperialismo greco-romano a persistere, ma anche
l'islam che prevaleva nel Mar Mediterraneo, nelle steppe
ucraine e oltre i Pirenei fin nell'Atlantico. Ebbene giusto
nel Nordest, con ideologie etniche pagane debolissime dal
471
punto di vista politico, i detti monoteismi nel Medioevo
Russo si trovavano a combattersi l'uno contro l'altro,
ciascuno offrendo una teoria del potere differente in uno
stato rispettivamente proclamato il migliore possibile.
A questo punto occuparmi con quale canale ideologicoreligioso fu veicolata la teoria dello stare insieme nel
Nordest e quale delle tre, significherebbe investigare sul
come maturasse l'illusione nella mente di parecchi piccoli
avventurieri stranieri, una volta accordatisi con uno dei
monoteismi detti, che fosse facile fondare un regno, un
impero purchessia da dove gestire le grandi ricchezze che
il territorio offriva e vivere nell'agiatezza.
Seppure complicata ho seguito fin qui questa falsa riga,
benché sappia che non si spiegano del tutto così le ultime
trasmigrazioni che aumentarono “silenziosamente” dopo
il VI sec. e fissarono delle identità etniche che noi oggi
possiamo etichettare: Germani, Slavi, Goti, Peceneghi,
Ungheresi, Cazari, Bulgari e non ultimi gli svedesi
Varjaghi e Vichinghi e persino Lituani e Karaiti della
Crimea. Se il Nordest è un melting pot di etnie, si deve
aggiungere in particolare che germani-svedesi-varjaghi
insieme con baltoslavi-ugro-finni-turchi si rimescolarono
e si rinominarono più intimamente di altre etnie oggi
sparite quali i Prussiani. È vero che gli esiti tramandati
sono nel racconto di battaglie e di personaggi maschi
famosi, ma per me è ovvio che la donna, pegno e ostaggio
di matrimoni dinastici, reggente in alcuni casi e santa
cristiana in altri, pur accettando di rimanere dietro le
quinte, fu la produttrice letteralmente fisica di questi
eventi l'un con l'altro susseguenti.
472
Quel che fa scalpore è che una specie di società per
azioni chiamata Chiesa Cristiana sia riuscita alla fine a
nascondere il ruolo femminile e abbia conseguito i propri
scopi antisessisti e misogini per mezzo di appropriate
manipolazioni documentarie.
Al vertice del sistema imperiale santificato dal papa di
Roma sul Tevere gli stati europei d'Occidente già da
qualche secolo non si combattevano fra loro tanto per il
primato quanto invece, magari senza accorgersene,
agivano da veri mercenari al soldo della chiesa nella
nuova ideologia del colonialismo universale
cattolico. Lo schema da rispettare a tutti i costi è: un
territorio con una comunità produttiva e con un
sovrano, con una lingua (preferibilmente il latino) e con
una religione (certamente cattolica) cioè espresso nel
motto latino cuius regio, eius religio.
In breve la chiesa latina distribuirà titoli sovrani da re
a imperatore a piene mani all'unico scopo di smantellare
l'idea dell'impero ecumenico di Costantinopoli... e io ex
post so che ci riuscirà nel 1492 (ACM 2019) con la
scoperta delle Nuove Indie.
Passando nella Pianura Russa col battesimo di Kiev
l'attore storico è allora la Chiesa Russa e non l'élite
mafiosa varjaga che pure la sostiene materialmente e nel
Nordest posso dire che il clero si occupa meticolosamente
della nascita dello “stato” kievano e lo lancia nelle
battaglie ideologiche dei predicatori. Occorre non
distruggere il nemico pagano, ma assoggettarlo in modo
da poter controllare le risorse della selva.
Sono vecchie questioni storiche arcinote nell'ortodossia
473
costantinopolitana di cui la Chiesa Russa di Kiev è figlia e
mi pare che valga la pena delineare in maniera sommaria
il ruolo giocato dall'Impero d'Oriente al volgere del XI
sec. in una fase di decadenza ideologica.
474
santuario-rifugio slavo al centro di un lago con un lungo ponte d'accesso
Notevolmente ridotto di territorio e di risorse, avendo
perduto le coste mediterranee e l'Anatolia ora sotto il
dominio dell'islam, l'Impero era cambiato radicalmente
nel suo quadro antropico. La presenza slava era
aumentata
vertiginosamente
nella
compagine
demografica balcanica tanto che nella seconda città
imperiale, Tessalonica o, com'era popolarmente
chiamata, Salonicco/Solùn, si parlavano lingue slave
molto e greco poco. Persino nella stessa Costantinopoli gli
inni al creatore si poteva udirli in lingue diverse dal greco
e dal latino nelle chiese.
Non solo! La sedicente ecumenica missione di pace
cristiana si era ormai trasformata in un'aspra e cruenta
lotta contro chiunque osasse avvicinarsi troppo al sacro
475
trono costantinopolitano. Il clero col suo peso da secoli
intimamente inserito nella gestione dello stato disponeva
di un proprio esercito non armato col ferro, ma al
comando diretto di un'armata di preti e predicatori
“sedicenti votati al martirio” che costavano molto meno
dei soldati professionisti ed erano più efficaci perché più
durevole la loro azione.
Non basta! Il contributo periodico che Kiev pagava al
patriarca diventò un po' alla volta l'unico sostegno
materiale che consentiva al prelato costantinopolitano di
proseguire a svolgere le sue attività propagandistiche ora
deprezzate e di conseguenza portò alla graduale
scomparsa di un patriarcato ortodosso autorevole nel
1204. A questo punto per la Rus di Kiev, rimasta la sola
autorità guida nell'immaginario collettivo delle élites
slavo-russe, giustificò la necessità di rifondare la storia
cristiana nella Pianura Russa multietnica, battezzata e
quanto ne restava da battezzare. E, lo dico convinto,
l'Ortodossia lasciò che fosse il papa cattolico ad
imbarcarsi nelle famigerate crociate con ecclesiastici e
monaci-cavalieri in armi quando nel 1204 il papa occupò
e saccheggiò la prestigiosa Costantinopoli e sostituì il
patriarca greco con un vescovo latino, il veneziano
Morosini. Fu lo svilimento totale dell'Impero con gran
disdoro per la Chiesa Russa in qualche modo decapitata!
Orbene, mentre in Occidente il Medioevo termina
convenzionalmente con la scoperta delle Americhe, qui
nel nordest tale limite temporale addirittura non c'è. Nel
1236 infatti mentre Costantinopoli è ancora in mano al
papato cattolico gli invasori tataro-mongoli sferrano un
476
colpo durissimo alla Rus di Kiev, illusoriamente avviata
sulla strada del divenire l'unica erede dell'ideologia
politica ortodossa. Kiev è rasa al suolo e solo la cattedrale
e il Monastero delle Grotte rimangono in piedi!
E l'élite slavo-varjago-russa? Annientata!
L'evento è irreversibile e alla fine del XIII sec. ciò che
resta del sogno kievano è la magica parola Rus che il
monaco amanuense gelosamente continuerà ad apporre
negli scriptoria che i despoti locali mettono a
disposizione in ogni dominio governato con la tacita
richiesta-obbligo di esser glorificati nello scritto epigoni
di Vladimiro il santo e nella realtà col permesso dei
Tataro-mongoli.
Mi sono chiesto a questo punto con un tantino di
ingenuità: Forse questi eventi arrestano una qualche
fase della lotta fra maschio e femmina per il potere nel
Medioevo Russo? E nella Rus di Kiev che parte fu
affidata alla donna dalla Chiesa Russa nella favola del
grande stato ora in rovine? Qui la letteratura russa tace.
Kiev è abbandonata al suo destino e la storia russa si
sposta gradualmente su Mosca.
Nel XIV-XV sec. infatti appare la Zadonščina, poema
ispirato dalle lamentazioni di Eudocia e delle sue donne
per i caduti sul Don contro il khan tataro Mamai (1380)
che consacra l'eredità storica moscovita pur decimata già
dalla Morte Nera nel 1351. I cadaveri sono ben allineati
nella Piazza Rossa davanti a Demetrio, vincitore di quella
battaglia finale e marito di Eudocia. La vittoria sui Tatari,
passata alla leggenda col nome di Battaglia di Pian delle
Beccacce (Kulikovo Pole), rappresentava il sigillo finale
477
della nuova Rus moscovita che si scuoteva di dosso il
“giogo” tataro-mongolo… anche a costo di sacrifici per
salvare il resto dell'Europa.
Avverto che allora (XIV sec.) il ruolo sociale della
cosiddetta nobiltà, parecchio ridotta nel numero di
membri dopo la falcidia della sunnominata peste, era più
simbolico che reale, dato che ogni “alta” politica era
condotta dai Tataro-mongoli e Eudocia, benché faccia
parte della nobiltà, dà il quadro tipico di esempiomodello del ruolo femminile nel Medioevo Russo. Data in
sposa all'apparire del menarca: 12-13 anni al quindicenne
Demetrio di Mosca, non ci fu amore fra i due in poco più
di 20 anni, sebbene lei fedele pegno matrimoniale lo
accompagnasse fin sul Don! Tutto orbitò sul fare figli!
Eudocia generò ben 8 figli e 4 figlie e l'incorporazione di
una bella fetta della riva sinistra del Volga nel dominio
del nuovo stato moscovita fu realizzata – si può ben dire
– grazie a lei.
Io assumo la svolta, seppur verso il gradino basso
sociale, come prova che la lotta fra i sessi (istituzionali e
non) non era cambiata di tono malgrado l'accumularsi di
esperienze culturali nuove. Infatti l'auspicato santo stato
slavo-russo, comunque lo si chiami, restò guidato nei
costumi e nelle politiche da un clero maschile e soltanto
per il resto fu gestito da sovrani militari pure maschili.
Il famigerato Ivan il Terribile (Giovanni IV) addirittura
proclamò (e siamo nel XVI sec.) di aver riunito tutte le
Rus – usando il termine collettivo Rossija – nella sua
Mosca o Terza Roma sul sacro fiume Moscova (russo
Moskvà) e spinse affinché la chiesa russa diventasse una
478
chiesa moscovita e reggesse così il confronto con la Prima
Roma sul Tevere e con la Seconda Roma-Costantinopoli.
Eppure nell'affresco appena disegnato il fattore che
domina sin dal IX-XI sec. è – non mi stanco di ripeterlo –
il rimescolamento etnico. Difatti le invasioni tatare
aumentarono la mobilità della gente ossia chi poteva
rifuggiva agli armati a cavallo, abbandonando i villaggi
troppo esposti e ritirandosi nella selva più fitta senza
tuttavia grandi impatti demografici. I gruppi in
movimento erano in ogni caso esigui nel numero dei
membri componenti e il luogo che si abbandonava e dal
quale si partiva quasi sempre era destinato allo sfacelo
entro brevissimo tempo.
Non mi ripeterò qui su migrazioni e deportazioni, ma mi
serve sottolineare che in un casuale conflitto solitamente
il vincitore catturava donne e bambini dei vinti, il
cosiddetto bottino vivo! Gli oggetti materiali, salvo che
non fossero armi, erano ingombro passivo per una
campagna militare in continuo movimento. Lo sapevano
bene i tataro-mongoli che nella loro storia asiatica prima
di avventurarsi alla conquista del nord con Batu Khan
preferivano non distruggere i centri abitati, ma cercare di
conquistarli colonizzandoli dal di dentro del loro tessuto
sociale. Ne diventavano così con i loro giovani che
legavano con le donne locali la maggior componente
antropica. Nella Pianura Russa guidati da Gazi Baraġ,
bulgaro del Volga e informatore prezioso, dopo non
moltissimi km nella foresta che appariva praticamente
deserta e dopo aver aggirato G. Novgorod e Polozk,
ripiegarono dall'hinterland baltico verso la conca del
479
Danubio per poter attraversare le aree più ricche di
derrate alimentari e di bottino vivo. Il vincitore avrebbe
immesso le persone nella propria compagine umana e si
sarebbe assicurata una retrovia di “parenti ubbidienti”
più alcuni servizi lungo le marce compresi i servizi
sessuali. Avrebbero assimilato elementi culturali allogeni
dalle giovanette con le quali i vincitori copulavano o
adottavano come figlie o concubine, ma i contatti con i
nativi sarebbero stati di sicuro più scorrevoli. D'altronde
il costume vigente prevedeva pure che al primo mercato il
bottino vivo si sarebbe potuto vendere o, nel peggiore dei
casi, lasciato in gruppetti al suo destino lungo il percorso.
Tale intreccio storico-culturale denuncia la dura realtà
di una vita precaria fatta perlopiù di legami effimeri, di
improvvisi abbandoni e violenze, di minaccia e di paura e
dove innamoramento e amore alla fin fine non trovavano
posto neppure nelle byline, a parte il richiamo a qualche
esoticità di costume o di tratto fisico (epigenetico) che
ebbero il tempo di spargersi persino in Occidente da
essere tuttora geneticamente riconoscibile (J. Manco,
2014).
Per il verso economico il XIII sec. invece è un periodo
propizio per accumulare risorse e ricchezze materiali con
una maggiore sedentarizzazione e per creare nuovi miti
da parte cristiana contro il paganesimo e l'islam, additati
– è in gran voga e fa grande effetto nella cristianità
europea – come opere di Satana e segni inconfondibili di
selvatichezza femminile nordica! E ne sono convinti i
visitatori occidentali del XV sec. che, non potendo
viaggiare comodamente, incolpano i locali di meschinità
480
d'ogni tipo, salvo approfittare dell'ospitalità povera, sì,
nel mangiare e nel dormire, ma ricchissima nei giochi
d'amore delle donne.
In quei secoli la cristianità guardava avidamente alla
possibilità di colonizzare le terre di Nordest e, siccome
colonizzare per l'apparato ecclesiastico cristiano era
l'equivalente di evangelizzare, si colse ogni sentito-dire
sulla fastidiosa presenza di gente pagana da quelle parti
in modo da essere nel giusto a intervenire per riscattare
un'umanità altrimenti perduta per Cristo. Per riuscire a
occuparne i territori i vescovi più attivi a sguinzagliare
predicatori fra gli slavi prima di altri furono quelli della
cosiddetta Mitteleuropa. Pronti ad allearsi con
avventurieri di ogni risma in grado di organizzare
carovane di pionieri, le corti vescovili fra il basso Reno e il
medio Elba pertanto istigavano con le loro omelie agli
scontri purché inducessero alla trionfante conquista e
niente discussioni o dibattiti fra i ministri del dio creatore
e alieni sedicenti sacerdoti pagani.
Nei posti dove oggi è Polonia e Germania Orientale
l'insediamento medievale fu marcato dalla chiesa
vescovile e dalle sue massicce mura di difesa contro gli
“assalti” dei nativi. In polacco infatti la chiesa cristiana si
chiama kościół, corruzione di castellum o postazione
armata, che faceva paura a nord dei Carpazi, per
esempio, quando da lontano appariva la guglia di un
campanile poiché lì si annidavano i feroci armati latini.
Le azioni cruente sui nativi dalla tortura fisica alle
mutilazioni corporee più orrende per chi non accettava la
croce, non si contavano e alcuni popoli allogeni stremati
481
dalle campagne distruttive cristiane scompariranno alla
fine nell'oblio: i prussiani, fra gli altri, pur rimanendo nel
genoma di chi aveva cambiato solo di lingua.
In realtà la chiesa sin dai tempi dell'imperatore
Giustiniano (V-VI sec.) aveva carta bianca sui modi e
sugli strumenti per contrastare i paganesimi oltreconfine
e non si era mai fermata nel distruggere templi e statue o
nell'uccidere sacerdoti/sciamani di divinità pagane specie
se di sesso femminile. Si oltrepassò la misura del
sessismo misogino quando il papa romano istituì la
persecuzione sistematica della donna con la Santa
Inquisizione (fine del XIII sec.).
Nell'Impero Romano d'Oriente era altra musica. Il
problema primario per secoli era sembrato essere quello
delle immigrazioni barbariche attraverso il sesso
femminile poiché le donne passavano le dogane in piccoli
gruppi da schiave, meretrici e concubine. L'efficiente rete
di spionaggio gestito appunto dai chierici nelle aree
confinarie preveniva i movimenti di persone dirette verso
il Bosforo e funzionava meglio dopo le trasmigrazioni del
IV-V sec., ma raramente toccava le donne e in particolare
quelle che accompagnavano i grossi funzionari o i grandi
mercanti. Rammento qui che a detta dei mercanti di
schiavi genovesi che operavano nei porti della Crimea e
alla foce del Don con l'aiuto di mediatori e mediatricimadri locali dislocati nel sud della Pianura Russa, le
ragazze costavano di meno e si rivendevano a altissimo
prezzo nei mercati “arabi”.
Nella Pianura Russa occorre notare ancora una volta
che le comunicazioni difficoltose furono l'unica difesa
482
naturale contro chi si accingesse a razziare i villaggi,
benché i campi subissero le devastazioni delle soldataglie.
Quando capitava, si fuggiva nel folto lungo una corrente e
l'archeologia ha scoperto molti rifugi “slavi” costruiti su
isole artificiali in mezzo agli innumerevoli laghi e laghetti.
I santuari-rifugi non erano però degli stati. Ci si
rinchiudeva e si aspettava che l'assalto finisse per poi
tornare ai propri villaggi.
La soluzione per l'ecosistema forestale era ottimale
poiché l'assalitore non in grado di assediare dalle correnti
fluviali non poteva correre il rischio che il gelo
sopraggiungesse e quindi arrivava a parlamentare. A
questo punto gli assaliti offrivano le giovanette come
ostaggi per la pace e l'assedio si interrompeva e gli
equilibri sessuati delle verv dei villaggi risultavano in
pratica rispettati.
La statalità (VIII-IX sec.) che l'archeologia ha ricostruito
per le etnie slave antiche è perlopiù costituita da
capitanati (chiefdoms-chefferies) limitati nel territorio e
nel governo di abitati nella foresta purché, conditio sine
qua non, raggiungibili a piedi esclusivamente con
un'esperta guida o con una non lunga gita in barca.
483
484
gli ortodossi di Nordest al tempo di Jaroslav
L'esempio più clamoroso ricordato nelle CTP è
Iskorosten' dei drevljani sull'affluente del Dnepr, il fiume
Už (G. Schramm, 2002). È un contesto che la cancelleria
imperiale di Costantino VII Porfirogenito nella seconda
metà del X sec. conosceva bene. Dagli scritti di questo
imperatore si sa che lo stadio di autocrate armato
(knjaz) con territorio e dominio non eliminava del tutto i
capi anziani (starosta) del circondario, ma li assimilava
485
alla nobiltà minore con compiti di generico controllo e
dell'esazione dei tributi. I predecessori di Costantino VII
avevano già sperimentato il fatto che i rapporti fra
dominanti e dominati barbari si stabilivano sfruttando
esclusivamente la magica potenza delle religioni anche
pagane e Costantinopoli era riuscita bene o male a
costituire la Magna Bulgaria di Kubrat, primo stato
cristiano “ponte fra i nomadi delle steppe e i contadini
della conca del Danubio”.
La Bulgaria danubiana del IX-X sec. è senz'altro la
chiave che apre il cammino alla storia russa delle origini
perché è sul delta del Danubio che gli interessi economici
kievani in competizione fra Occidente e Oriente saranno
numerosi. Ricordo alcuni fatti su cui oggi poco si discute:
Olga di Kiev era nativa probabilmente di Pliska e non dei
dintorni di Pleskov/Pskov e Svjatoslav, suo figlio, aveva
costituito un caposaldo sul delta del Danubio detto
appunto Rus del Danubio con una città chiamata Kievec
ossia Piccola Kiev più qualche altro particolare che qui
tralascio.
Ho accennato a queste cose perché nel XIX-XX sec. in
questo ambito corse la famosa diatriba fra i cosiddetti
normannisti che negavano qualunque cultura agli slavi
considerati in strettissima parentela con i vandali e con i
goti e i cosiddetti anti-normannisti russi (H. Schröcke,
2007) che volevano gli Slavi autoctoni, sebbene forse un
po' intrisi di sangue tataro come invece si indicavano
mezzo tatari gli ugro-finni.
Ho usato qui l'etnonimo varjaghi per gli scandinavi,
senz'altro letterario e più tardivo, ma in certo qual modo
486
non inquinato dalla detta polemica. E non mi tocca perciò
che un tipico varjago slavizzato, Vladimiro (nome d'etimo
slavo impegnativo cioè padrone del mondo piuttosto che
dal norreno Valdemar cioè uomo di fama gloriosa),
aprisse al cristianesimo come politica da adottare per la
“sua” Rus di Kiev alla ricerca di una dignità regale allora
tanto alla moda. Una prova? La parola per capo,
comandante che si affermò in tutto il territorio è knjaz
ed è derivata dal norreno kuningas o nobile. Per di più
dato che il Bosforo vedeva al limite questi personaggi dei
semplici luogotenenti battezzati, non si sentirà mai nella
Pianura Russa la parola per re, ma solo quella di arhon
cioè knjaz e velikii knjaz cioè knjaz anziano. Ho soltanto
da far notare che comunque Vladimiro non ricevette i
regalia che il papa invece elargì con magnanimità al suo
discendente carpatico Romano di Galič.
I popoli slavi fino al IX sec. occupavano quasi tutta la
foresta boreale europea (allora non tanto devastata)
dall'est, il fiume Volga, fino al Reno e risentivano dei litigi
fra i massimi poteri europei e delle conseguenze politiche
e pratiche che ne riverberavano fin nei loro territori. Né
stupisce che a Vladimiro succeda suo figlio Jaroslav,
secondo nome norreno Harald, perché è plausibile che
sua madre, Ragnheid (russo Roghneda) figlia dello
svedese Ragnvald (russo Rogvolod), signore di Polozk
(norreno
Palteska),
abbia
voluto
confermare
l'ambientazione svedese della dinastia vladimiriana
contro la rivalità (fantomatica in verità) degli eventuali
figli di Anna di Costantinopoli.
Se poi riscontriamo nei costumi degli slavi occidentali, i
487
Vendi, una dominanza abbastanza consistente di regole e
di usi germanici, ciò non può meravigliare perché ho
tenuto conto dell'Appello di Magdeburgo che nel 1108
apparve con Vladimiro ancora in vita. L'Appello con la
scusa di difendere i cristiani del nordest da poco
battezzati o da battezzare, invitava proprio i principi
germanici a una crociata contro gli slavi Vendi e i loro
congeneri presenti sulla riva destra del Reno dichiarando
che: «Questi pagani sono gente pessima, ma la loro
terra dà ottima carne, miele, farina … È per questo o
Sassoni, Franchi, Lotaringi e Frisoni, notissimi
dominatori del mondo, che potrete sia salvare le vostre
anime, sia – se vorrete – acquisire ottima terra per
abitarci.»
Con questa bolla detta Divini Dispensatione il papa
Eugenio III dichiarava la terra baltica sacra a Maria
Vergine e nel 1147 s'inaugurava la crociata (E.
Christiansen 1997) che apriva la strada all'occupazione
militare delle sponde baltiche da parte dell'Ordine
Teutonico, monaci armati sconfitti in Terra Santa e poi
scacciati dall'Ungheria per le loro soperchierie e i loro
debiti non saldati. Dopo aver eliminato nel sangue i
prussiani, l'Ordine Teutonico (nel Mar Baltico ne
appariranno tanti di ordini monastici armati, come
eserciti privati di vescovi con fini puramente
colonialistici) sconvolgerà fino al XVI sec. la vita dei
balto-slavi, degli slavi vendi e slavo-russi e degli ugrofinni (ACM 2019).
La tradizione lituana e bielorussa ne risentirà nella
riorganizzazione della famiglia allargata sbattuta fra le
488
spinte ortodosse che giungono dal sud e quelle cattoliche
più prossime che provengono dai monaci armati del nord
baltico. Molte consuetudini marchiate di paganesimo
andranno in gran parte perse: in primis la poliginia (non
il concubinaggio!) e in secundis il costume dei mariti di
battere le mogli spesso a mo' di dimostrare il loro amore
verso di loro! Il frustino (nagaika) con cui lo sposo
batteva la sposa alla cerimonia matrimoniale, un rito
tataro molto diffuso e a volte sostituito dallo schiaffo, sarà
uno strumento responsabile di molti delitti puniti dal
Diritto di Magdeburgo introdotto ca. XV sec. nei
tribunali ecclesiastici della Pianura Russa.
A ben guardare una prima significativa svolta culturale
di sapore cattolico nel Medioevo Russo si era già avuta
negli anni in cui Andrea, figlio di Giorgio Lungamano
(ACM v. bibl.), aveva dedotto dalle annose liti con i suoi
stretti parenti che la Rus di Kiev non funzionava più.
Andrea preferì lasciare la regione circumkievana dove
risiedeva nella cittadina di Vyšgorod e si trasferì (XII sec,)
a 1000 km di distanza sul fiume Nerl nei dintorni della
città fondata sul fiume Kljazma da suo nonno Vladimiro
Monomaco che appunto consacrò col proprio nome. Non
solo! Suo padre in qualche modo aveva assimilato il
concetto cristiano di proprietà privata della terra e con un
colpo di mano si era appropriato dell'area collinare dove
oggi c'è il cremlino moscovita. In realtà l'aveva strappata
a un certo Kučko, capo locale turcofono occupante di
diritto, uccidendolo. Se Andrea riuscirà a districarsi e a
uscirne indenne nelle ingarbugliate lotte per il potere a
Kiev e nelle città collegate per mezzo della chiesa russa
489
fra gli anziani per così dire della “sua” famiglia slavorussa, qui nel nord dovrà lottare per assoggettare gli
ugro-finni col suo potenziale armato di principe, la
družìna. Tenterà, senza riuscirci, di avere un arcivescovo
metropolitano da lui consacrato per gestire ogni
questione politica e culturale nelle alleanze e nelle
sudditanze. Educato dalla madre Ajepa, nobile pecenega
turcofona pagana e battezzata al momento del
matrimonio, Andrea aveva sposato Ulita, figlia del
predetto Kučko, a garanzia per i locali ed evitare la
vendetta della stirpe dei Kučko.
Andrea è una persona che darà fastidio a parecchi suoi
parenti e così, malgrado le precauzioni, una congiura in
cui furono coinvolti anche i Kučko lo ucciderà e
Vladimir-sul-Kljazma resterà a lungo la capitale di una
nuova Rus. Nel processo ai congiurati istruito una decina
di anni dopo da suo fratello Vsevolod, il defunto Andrea
sarà calunniato in tutti i modi: sarà accusato di
impotenza, di avere una moglie che faceva all'amore col
proprio fratello e altre accuse sessuali.
Intanto nubi tempestose si accumulano all'orizzonte
orientale al di là del Volga. Si tratta dei Tataro-mongoli
che si sono affacciati nella Pianura Russa! Al principio
del XIII sec. i mongoli delle steppe dell'Altai aggregatisi
con i turchi kipciaki formano un aggregato imperiale
semi-nomade con a capo Temügin, soprannominato con
la metafora appropriata per gente che non aveva mai
visto il mare: Sovrano Oceanico ossia Cinghiz Khan per
le sue grandi voglie di creare un impero che abbracciasse
il mondo intero (P.B. Golden 2011). Considerando la
490
possibilità di attaccare Costantinopoli dopo aver
annientato la Persia, c'erano state parecchie ricognizioni
degli itinerari da seguire con le armate per entrare nelle
steppe ucraine dal sud superato il Caucaso.
La Rus di Kiev ne aveva avuto notizia, ma non le aveva
prese troppo sul serio, mentre i Bulgari del Volga al
contrario, dalle informazioni che i mercanti fornivano dal
Centro Asia, avevano previsto facilmente quali fossero i
piani degli invasori riguardo la Pianura Russa e si erano
premuniti alla resistenza..
Se nelle steppe ucraine i Tataro-mongoli potevano
disporre di parziale e forzata collaborazione dei nomadi
491
locali lungo le rive del Mar Nero, per le rive del Volga la
situazione come ho scritto dianzi era più complessa. Si
dové incorporare Bulgar-sul-Volga e la nuova BulgarBiljar saccheggiandole e subito dopo puntare al nord.
D'altro canto le campagne condotte a cavallo con le
macchine da guerra cinesi e persiane per espugnare città
fortificate sarebbero abortite, se si fosse indugiato troppo
a lungo nelle trattative e senza dei piani immediati. Fu
pertanto facile immaginare che cosa era in procinto di
accadere e G. Novgorod, non sentendosi troppo sicura
nella propria situazione geografica decentrata, concordò
un riscatto una tantum. Sicuramente quindi pagò con
l'ausilio dei Bulgari del Volga e restò intatta, anche perché
i Tataro-mongoli sapevano bene dai collaboratori bulgari
l'importanza economica dei contatti che la repubblica
manteneva con l'Occidente.
E non erano soltanto i Tataro-mongoli che stavano
battendo il nord giacché più o meno nello stesso periodo
era cominciata la conquista della regione baltica e
dell'estremo nordest con diverse campagne crociate di
monaci cattolici armati, come ho scritto in altri miei saggi
(v. bibl. ACM).
La presenza dei monaci celibi per vocazione ha alcunché
di contraddittorio nelle politiche del papato contro gli
eretici ortodossi e i cosiddetti pagani nordici perché si
predicava la dottrina matrimoniale cattolica fra i popoli
vinti e subito battezzati, ma poi, tranne eccezioni, non si
dimostrava con l'esempio personale quali fossero
effettivamente i comportamenti sessuali leciti per i nuovi
cristiani. E tanti cavalieri mantenevano non troppo di
492
nascosto amanti e concubine locali...
La lotta maschio-femmina però non si interrompe.
Continua a far storia stavolta cambiando gli antagonisti:
da un lato la donna abitualmente alloglotta e di cultura
assai variegata e quasi sempre ibrida epigeneticamente
(V. Tucci 2019) e dall'altro lato la macchina ideologica
maschile del clero cristiano cioè l'intrusa a forza con i
canonici veti e limitazioni in amore. Né a contrapporsi
sono solo i sessi istituzionalizzati dalla chiesa poiché è la
sessualità in sé che è detta peccaminosa e di conseguenza
deve essere o repressa o celata.
In conclusione posso affermare che il paganesimo
inteso come ideologia liberatoria dal totalizzante
cristianesimo in ambito sessuale continuò a sussistere
oltre il Medioevo fino ai giorni nostri nel nordest europeo
senza troppi vincoli e pregiudizi religiosi.
Non molto diversamente dal resto d'Europa d'altronde
che conserva antichissime superstizioni ricristianizzate
tutte per quanto possibile ed è corretto dire che nelle
diverse comunità cristiane europee, compreso il Nordest,
la lotta fra maschio e femmina e contro ogni altro sesso
possibile prosegue senza interruzione... sotto l'egida
cattolica ancora oggi.
E chi dimentica Aleksandra Mihailovna Domontovič
Kollontai (morta nel 1952) e i suoi numerosi amori? In
primo luogo nel suo odio per la famiglia tradizionale
cristiana scriveva fra l'altro che il matrimonio “opprime le
donne d'ogni classe sociale”. Fare all'amore – diceva e
scriveva ancora – deve essere tanto comune quanto bersi
un bicchiere d'acqua. E Lenin e Klara Zetkin che non
493
condividevano questa sua teoria del bicchiere d'acqua? E
non ho già citato lo stesso punto di vista della famosa
pornostar sedicente comunista Valentina Nappi?
La chicca più saporita sull'amore nei ricordi della
Rivoluzione d'Ottobre comunque di colore maschilista
appare nel 1918 quando il Soviet (municipio) di Vladimirsul-Kljazma approva una disposizione locale in cui ogni
giovanetta di almeno 18 anni si doveva registrare
all'Ufficio dell'Amore Libero dell'Assessorato per la
salute pubblica. Dopodiché i maschi fra 19 e i 50 anni, di
stato libero, potevano scegliere una di esse da sposare. Il
consenso delle nubende non era necessario e i figli erano
figli dello stato! Ciò non escludeva l'uso del divorzio e
dell'aborto volontario su richiesta separata di uno dei
coniugi. Naturalmente con Stalin tutto decadde...
494
****
Calendario liturgico
slavo-russo-pagano ricostruito
◦
22 dic. Inizio della battaglia cosmica Luce-Tenebre per la notte più
lunga dell'anno e paura per lo spegnimento perpetuo del sole al servizio del dio del
cielo illuminato Svarog
◦
26 dic. Festa delle Savie Donne vietata ai maschi o eventualmente
ammessane la presenza, ma con gli occhi bendati per sbeffeggiarlo fino
all'ubriacatura finale
◦
31 dic. Fine della battaglia cosmica fra Perun e Veles e attesa
trepidante che Svarog rimetta il sole al suo posto sul mondo
◦
6 gen. Svjatki o le Luci. Annuncio finale dei sacerdoti che Tur il toro
cosmico del carro del sole è di nuovo in tiro e che l'anno nuovo è cominciato
◦
28 gen. Kudesy. Giorno delle forze divine protettrici
◦
1 feb. Gromnica, paredra tonante di Perun, che con i primi tuoni
annuncia le piogge fecondanti i campi
◦
2-3 feb. Fine del letargo dell'orso (spjačka). Gli uomini si coprono di
peli l'intero corpo e in viso indossano maschere zannute. Rapiscono le giovani donne
e si accoppiano con esse in pubblico, come si credeva facessero gli orsi.
Un'etimologia un po' troppo ardita ammette che l'etnonimo Rus derivi da un'epopea
in cui appunto il capostipite eponimo è l'orso.
◦
11 feb. Giorno di Veles dio supremo dei mercanti a G. Novgorod e il
diavolo per i cristiani
◦
2 mar. Zaklički. Venerazione orgiastica della betulla che col cambio di
colore della corteccia annuncia la primavera nel tremolio delle foglie al vento
◦
24-25 mar. Komojedica. Giorno dedicato all'orso femmina che
conferma con i suoi piccoli in raccolta di frutti e di miele, l'arrivo della primavera e
con lo strano rituale in cui uomini distesi per terra si dimenano come, appunto, si
risvegliassero da un lungo sonno
◦
25 mar. Giorno di Živa. Il grande riposo è finito e ci si prepara al
lavoro nei campi da iniziare, ritualmente, entro l'alba del 26 mar.
◦
23 apr. Jarilo. Festa orgiastica con copula sacra direttamente sulla
terra da dissodare
◦
30 apr. Radunica. Festa degli antenati
495
◦
10 mag. Festa orgiastica per la Gran Madre Terra
◦
31 mag.-6 giu. Settimana delle Rusalki
◦
23-24 giu. Festa orgiastica per Kupalo
◦
14 lug. Festa orgiastica per Stribog
◦
20 lug. Festa orgiastica per Perun
◦
31 ago. Postrig. Festa dell'iniziazione dei bimbi maschi col primo
taglio dei capelli coincidente coi Koljady del principio dell'anno che nel passato
pagano iniziava a settembre
◦
28 ott. Mokoša/Matuška Praskovija. Festa delle donne nell'area
baltica interdetta agli uomini. Nell'area slavo-russa la festa aveva anche qui una nota
sessuale poiché le donne cantavano invocando la Vergine cristiana con le parole:
“Matuška Praskovja, coprimi presto!” intendendo con “coprimi” trovami un amante!
◦
1° nov. Kuzminki. Festa dei lavori femminili, forse assimilabile alla
precedente, ma stavolta orgiastica con presenza maschile. Qui c'è una curiosità. La
festa è sotto il patronato dei santi Cosma e Damiano considerati pari a Mokoša
perché presiedono il filare, il cucire e il ricamare, tutte operazioni previste per il
corredo delle giovanette da usare quando fossero andate in sposa.
***
calendario contadino con tacche e incisioni su un bastone a sezione esagonale
496
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Il materiale illustrativo per la stragrande maggioranza è costituito da
cartoline museali raccolte nelle mie numerose visite e scelte dalla collezione
di incisioni del XIX sec. della mia famiglia, qualche foto è anche mia e le
altre sono disponibili senza copyright su internet.
506
Aldo C. MARTURANO
Cittadino vignatese, nato a Taranto nel 1938, ha studiato nell'Università di
Bari e in quella di Pavia.
Giramondo, poliglotta (parla e usa correntemente russo, inglese, tedesco,
francese, spagnolo, ungherese e ne continua a studiare altre) Al liceo ha
studiato latino e greco. Ha abitato in Germania e a Amburgo ha concluso i
suoi studi. Qui ha conosciuto e sposato la madre dei suoi 4 figli e sua prima
moglie. Non è nato come storico, ma la sua passione per la storia medievale
e la conoscenza sempre rinnovata della realtà slavo-russa (la sua seconda
moglie era bielorussa) lo ha portato a specializzarsi nello studio del
Medioevo Russo.
La grande occasione gli è stata offerta dal prof. ord, di Storia Medievale e
Curatore dell'Istituto di Studi Normanno Svevi dell'Univ. di Bari, Raffaele
Licinio, che dopo un esame approfondito lo ha consacrato ufficialmente
storico e gli ha messo a disposizione la sezione Medioevo Russo sul sito
www.mondimedievali.net.
Ogni articolo pubblicato è stato sempre riletto e rimarginato dal prof. R.
Licinio fino alla sua morte nel 2018. Il sito è ancora aperto, ma manca
attualmente un coordinatore scientifico.
Dopo la prima tesi ciclostilata
“Lettura e crisi capitalistica della stampa, 1976-1977”, il suo primo lavoro
pubblicato a stampa è stato:
“Olga la russa”, dedicato alla sua seconda moglie.
La sua produzione sull'argomento Medioevo Russo è così cominciata:
507
“Andrea deve morire”,
“L’ultimo amore di Novgorod” (un romanzo storico),
“L’ombra dei tartari” (un libro per i ragazzi ovvero la saga dialogata di
Alessandro Nevskii),
“La badessa delle paludi” (encomiato da S.S. Filarete, defunto Esarca della
Bielorussia),
“Cristo e la mafia dei Rus’ “,
“Mescekh, il paese degli ebrei dimenticati”,
“Storie di cavalieri e di lituani”,
“Pian delle beccacce” (elogiato da S.S. Alessio II, defunto Patriarca di tutta
la Russia),
“Rasdrablenie”,
“Vita di Smierd”,
“Mai più una quarta Roma” (dedicato all'anniversario dello stato russo del
2012),
“È caduta la repubblica”,
“È tramontato un sole sulla terra russa”,
“Il cavaliere russo”,
“L’oro di Novgorod”,
“Arcivescovi o mercanti”,
“Quella campana non suonerà più”,
“Introduzione al paganesimo russo”,
”Nell'anno 6494”,
“I Signori del grande fiume”
“Vestirsi, Svestirsi, Travestirsi – abbigliamento e costumi nel Medioevo
Russo”
e in lingua russa
“Когда Волга-река была болгарской”.
L'editore TRIGLAV di Volin (Polonia) lo ha accolto col libro in polacco
“Slowanska Rus, Poganstwo i Kobiety”
Il suo primo e.book è stato con Liberiter di La Spezia
“Storia e cucina nel Medioevo Russo”
a cui sono seguiti con GRIN Verlag di Monaco di Baviera e su Kindle
“Scorrono le acque dell'Itil...”,
“La Rus di Kiev fra mafie e colpi di stato”,
“Le montagne russe”
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“Gli Iperborei Ebrei”,
“Casa Russa”
“Scorrono le acque del fiume Itil...”
Con Lulu.com (USA-UK) ha pubblicato
“Missione Lungamano”
“La Rus' di Kiev?”
“Càzari e Russi, un'avventura ebraica medievale”
“La selva, l'Europa e il Medioevo Russo”
“Le Virtù attrattive delle Donne” con M. Hasanov e H. Bababekov
“Guerra e Pace nella Rus' di Kiev”
“Il delitto a Mosca e il castigo a Kiev”
“Vivere il Medioevo Russo nella foresta”
“Sessualità e Medioevo Russo – PRIMA PARTE”
“Sessualità e Medioevo Russo – SECONDA PARTE”
Con Createspace, USA ha pubblicato
“Storie cattoliche e Medioevo Russo”
Con Kindle Publishing (Amazon) ha continuato a pubblicare
“Fare all'amore nel Medioevo Russo”
“Colonialismo cattolico e Medioevo Russo”
“Le origini baltiche del colonialismo cattolico”
“ДОСТИЖЕНИЯ ЛЮБВИ В РУССКОМ СРЕДНЕВЕКОВЬЕ”
Con Ilona Marturano
“Un racconto per Natale 2020 - LA BYLINA DI SADKÒ
I suoi libri sono in vendita nelle tradizionali librerie e su quelle on.line.
Lo ospitano:
www.homolaicus.com
www.academia.edu.com
www.researchgate.com
www.amazon.com
È collaboratore di Wikipedia e insegnava Medioevo Russo e argomenti
affini presso l'Università 2000 di Cassina de' Pecchi (MI).
È membro corrispondente di E S S A - Early Slavic Studies Association
Naturalmente è su Facebook e su Google e su Yandex.ru
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