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1 2021 KINDLE DIRECT PUBLISHING 2 Aldo C. Marturano DAL MEDIOEVO RUSSO CON TANTO AMORE IX-XIV sec. d.C. edizione riveduta, corretta e ampliata di Donne, uomini e altri sessi nel Medioevo Russo 3 4 Aldo C. Marturano DAL MEDIOEVO RUSSO CON TANTO AMORE IX-XIV sec. d.C. edizione riveduta, corretta e ampliata di Donne, uomini e altri sessi nel Medioevo Russo 5 6 PREFAZIONE Quando pubblicai il mio primo saggio sull'approccio sessuale nel Medioevo Russo, la bibliografia a disposizione era ridottissima, specie in lingua italiana. Allora, 2010, le mie illazioni furono molto ingenue e tutte da richiedere una ricerca successiva più seria e più ampia. Così fra i miei viaggi in giro per il mondo imparavo e scoprivo che la sessualità è la nota più importante nella musica della vita. Ho dovuto concedere che le espressioni di questo groviglio di sensazioni e di attività fisiche e religiose che chiamiamo amore, sesso e simili è certamente diverso da popolo a popolo. Alla fine però dà un senso al tempo che scorre nel nostro corpo poiché esorta, spinge e costringe a confrontarsi con gli altri abitanti del pianeta che ci appaiono essere molto simili a noi e a migliorare la conoscenza e l'uso delle comuni, ma diverse per geografia, potenzialità. A questo punto, visto che mi reputo specializzato nella storia del Medioevo Russo e che possiedo un accesso linguistico abbastanza vasto da poter studiare gli scritti di specialisti di diverse nazionalità a proposito di sessualità e storia medievale senza aspettare traduzioni, ho raccolto letteralmente saggi su saggi e li ho divorati. Oggi – 2021 – il tempo che la pandemia del COVID-19 mi ha offerto l'ho sfruttato giusto per mettere a fuoco alcuni aspetti della sessualità umana e a vedere meglio il ruolo che essa ha avuto nel passato nell'ambito della mia competenza. Di qui un ennesimo saggio sull'amore e sull'innamoramento dei nostri antenati di Nordest. Non sarà certo l'ultimo dei miei sull'argomento, ma penso che il materiale da me finora raccolto vada messo a disposizione al più presto, sempre in tono divulgativo, dei curiosi perché mi pare che ci sono molti dei miei concittadini interessati a capir meglio e più a fondo chi vive al di là delle Alpi e nel Grande Nord, patria di molti europei un tantino differenti da noi mediterranei, specie nel rapporto sessuale. Il mio punto di vista sul Medioevo Russo e le vicende che lo toccano è dunque in gran parte nelle pagine seguenti e spesso ho inserito stralci dagli autori che prediligo affinché non si pensi che io sia solo una vox clamans in deserto.... 7 A scopo di riferimento ho pure inserito qui sotto la cartina da me elaborata indicativa dei ceppi etnici dell'Europa continentale riconoscibili nelle loro sedi medievali dove in violetto ci sono i turcofoni e in giallo i magiari o altre genti non indoeuropee. Mancano i baschi e qualche altra minoranza alloglotta europea che hanno avuto poco a che fare col Medioevo Russo. Una prima nota faccio qui nell'edizione ampliata e corretta e cioè che la mitologia balto-slavo-russa si fonda proprio sulla lotta primordiale dei due sessi istituzionali validi ancora oggi in un ecosistema dell'emisfero nordico diversissimo dal nostro e che mi sono ingegnato a richiamare e a descrivere qui e là, benché sappia quanto sia mutato in questi secoli. La seconda nota è avvertire che i 8 termini pagano/a e contadino/a nel testo sono equipollenti e spessissimo da me interscambiati. E l'ultima nota è che nel testo compare abbondante materiale folcloristico che, se attentamente letto, offre tantissimi spiragli sui costumi del passato nella Pianura Russa. Le traduzioni e il riadattamento sono miei, naturalmente. Ho incontrato dei grossi problemi invece nella trascrizione di nomi, toponimi, idronimi e etnonimi giacché per molti di questi non esistono trascrizioni italiane di uso comune e son dovuto passare attraverso suoni e scritture diverse. Ho fatto delle scelte ed ecco qui di seguito come ho risolto globalmente la questione e chiedo perdono al lettore, se è un tantino complicata. 1. I termini in russo sono fra parentesi e adattati nella trascrizione alle raccomandazioni della Soc. Ling. Internaz. Fuori parentesi invece è la riduzione fatta da me da leggersi come se fosse in italiano. La pronuncia naturalmente è un altro problema da rimandare allo studio della lingua russa. Ho spesso preferito omettere il segno di palatalizzazione presente nelle parole russe ossia il mjagkii znak. Da notare che in russo esiste solo la H pronunciata come il tedesco nach che ho trascritto a volte con la X come è in uso negli ultimi decenni mentre lo stesso suono in altre lingue diverse dal tedesco l'ho trascritto con KH 2. I termini in turco e nelle lingue affini li ho ridotti a volte tra parentesi con l'alfabeto turco ottomano moderno 3. I termini in arabo seguono la SLI, salvo che non siano già assimilati in italiano 4. I pochi termini in polacco e in ungherese hanno un aspetto ibrido nelle mie trascrizioni, ma mi sono riferito anche alle regole della SLI o all'alfabeto in uso oggi 5. Per il suono di giada, giovani ho un po' abusato del maltese Ġ al posto della composizione DJ poiché il segno J l'ho impiegato per il suono di iato, eiaculazione, proiettile 6. G nei nomi e nei termini stranieri è invece da leggere come nelle parole agata, augurio 7. Alcuni termini contengono una Z da leggersi come per pezzo, pazzo sebbene nella trascrizione secondo SLI avrei dovuto usare la lettera C, ma sono davvero pochi:, mentre la 9 Z dei toponimi russi e tatari ZVENIGOROD, ZAGORSK, KAZAN o IZBORSK va letta come la S di rosa. Avverto che la stragrande maggioranza delle date è d.C. ed è corretta secondo la riforma gregoriana introdotta nell'URSS nel 1917. Vignate, fine 2021 in Covid-19 10 INDICE Premesse/Promesse pag. 13 Capitolo primo Varietà e uso delle fonti pag. 35 Capitolo secondo Stare insieme pag. 65 Capitolo terzo Incomprensibilità cristiana pag. 91 Capitolo quarto La religione della morte pag. 127 Capitolo quinto I sessi non sono 2! pag. 159 Capitolo sesto Bogomilismo e altre eresie pag. 183 Capitolo settimo Maschi superbi pag. 215 Capitolo ottavo Ripartiamo dall'amore? pag. 239 Capitolo nono Kiev apre a Cristo pag. 273 Capitolo decimo Paganesimo vs. cristianesimo pag. 297 11 Capitolo undicesimo Riverberi culturali pag. 329 Capitolo dodicesimo Il nuovo ordine pag. 361 Capitolo tredicesimo Questioni da rispolverare pag. 387 Capitolo quattordicesimo Corpo e anima pag. 409 Capitolo quindicesimo La verv e la sua mitologia pag. 437 Amorose conclusioni pag. 463 Calendario liturgico pag. 488 Bibliografia essenziale pag. 490 12 Premesse/Promesse Sono convinto che il tentativo che qui intraprendo di svelare l'incisivo ruolo della sessualità nella storia del Medioevo Russo sia soprattutto cercare e trovare una serie di elementi conoscitivi di qualunque genere che incoraggi una migliore conoscenza delle genti del Nordest europeo e logicamente dell'Europa nell'ambito della lotta perenne e oggi rinnovata fra maschi e femmine e gli eventuali altri “sessi”. Partirò dall'innegabile evidenza che ogni azione umana risponde alla storia sessuale di chi agisce nel teatro degli eventi ossia risponde a comportamenti legati al sesso che uno riconosce per se stesso e per l'avversario nelle decisioni, negli accordi, nell'accettazione e nel rifiuto, nel tradimento e tanto altro ancora. Siccome poi il luogo è circoscritto alla Pianura Russa e il periodo concerne la nascita e la durata dello stato detto Rus di Kiev e degli stati slavo-russi che ne seguirono, è logico che la sessualità dei personaggi che farò incontrare nei racconti e nelle testimonianze sia, a mio avviso, la chiave migliore per capire il nostro complicatissimo continente nei suoi aspetti geo-storici e multietnici. 13 Il costume didattico del passato recente era incline a parlare di battaglie, di re e di imprese epiche e poco o nulla diceva se certe scelte di potere, di comando, economiche etc. scaturissero, come invece è verosimile, dall'atteggiamento sessuale degli attori. Sicuramente l'ignoranza di come i nostri genitali fisiologicamente e biologicamente funzionassero – da non più di 20 anni lo si è scoperto, benché ci siano ancora incertezze su qualche (pochissime, dico io) loro multifunzione – ha giocato nell'insegnamento della storia un ruolo enorme distorcendone gli scopi educativi prefissi. Non solo! Le indagini scientifiche attuali annunciano inaspettati nuovi esiti in campo genetico e, se già si intravvedono le irreparabili crepe ideologiche nei sistemi di potere finora in auge, non vuol forse dire che quei poteri letteralmente vissuti sul controllo sessuale dei soggetti adesso non hanno più le armi per impedire il proprio sfacelo? E non diventa oltremodo interessante una rivisitazione del loro passato quando al sesso si attribuivano caratteristiche quali forza o debolezza, risolutezza o esitazione e altri simili binomi gnostico-manichei? Dal sesso si era persino sicuri di poter prevedere che cosa una persona sarebbe stata capace di fare o di non fare, pur senza fondamento scientifico. Alla fine condivido pienamente le parole di Francesco Cavalli-Sforza (2017): «L'ostilità e l'imbarazzo verso il sesso, le remore ad accettarlo come una spontanea espressione della natura umana e a valorizzarne la portata esistenziale ed emotiva, al di là di qualunque normazione, mirano in sostanza ad assoggettare l'individuo, a renderlo più manipolabile, 14 portandolo a introiettare una visione circoscritta di se stesso, del suo corpo e dei rapporti tra le persone e i loro corpi.» Di qui comincerò, non prima di aver esposto alcune mie personali remore e premesse... È banale iniziare il viaggio nei tempi passati dall'enorme difficoltà di spostarsi da un luogo all'altro, ma le comunicazioni orali, ad esempio un comando o una delazione, risultavano frenate e alterate proprio dal tempo occorrente per arrivare alle orecchie giuste magari situate a 1000 e più km di distanza. Ciò rendeva la vita vischiosa e incerta guastando ogni relazione intima fra le persone e risultando in un pesante handicap sulla durata media della vita dei protagonisti – 35-40 anni. Spesso si progettava un'impresa e, se dopo i primi tentativi non riusciti sopravveniva la morte dell'interessato o altro impedimento, l'azione s'esauriva nel nulla di fatto. Così prevedendo l'imprevisto più inesorabile, l'impresa la si affidava per il compimento a figli, nipoti etc. diluendola negli anni a venire. Eppure per mettersi in moto sarebbe stata decisiva una seria discussione di piani di lavoro con i propri intimi, ad esempio con le donne di casa piuttosto che ricorrere all'autorità dell'indovino, alla profezia del sacerdote o al segno dal cielo. Addirittura il costume obbligava il maschio supremo a far sì che la donna consorte o parente non sapesse mai che cosa lui stesse preparando! Nei gruppi dirigenziali era radicato il sospetto che tutto sarebbe andato a catafascio, se una donna avesse partecipato con le sue idee o consigli, con il recondito pregiudizio che essa con la sua parlantina 15 tradisse per impadronirsi dell'impresa e del potere. Tali circostanze sono reali nella storia che affronterò e vanno assimilate bene per capire l'estrema fragilità delle istituzioni statali e parastatali slavo-russe a cui mi riferirò spostandomi per esigenze del racconto da un punto all'altro della carta geografica. Ed ecco pure perché, a causa di decisioni non prese in tempo o lasciate cadere per sempre, la Rus di Kiev ci ha lasciato dati scritti difficilissimi da interpretare. Devo confessare che la Pianura Russa, il teatro del Medioevo Russo, ha rivelato poco agli archeologi (tutti maschi fino a qualche anno fa!) sui comportamenti personali nonostante i metodi scientifici moderni alle prese con reperti archeologici persino minutissimi e, sebbene le analisi interpretative pubblicate recentemente consentano di ricavare indizi davvero inaspettati, poco son riuscito a sapere ad esempio sulle tecniche seduttive adottate in un amoreggiare decisivo per influenzare una decisione politica del partner sia maschio che femmina o d'altro genere sessuale. Chi ne scriveva d'altra parte erano i monaci, dico io frustrati dal loro celibato in un eterno sognare l'ambiguo amor di dio, i quali mostravano un'evidente disinteresse ad informarsi sull'argomento sessualità dei protagonisti che avrebbe magari spiegato le cause di vari eventi nei loro annali. Mi è stato obiettato che, se sesso amore copula etc. sono in sostanza effettuati con apparati genitali biologicamente più o meno uguali in tutti gli esseri umani, la storia dovrebbe essere uguale e ripetitiva presso ogni popolo. Non è un postulato che accetto perché la sessualità, e lo 16 ribadisco sempre più convinto, è la chiave storica di base che non ha mai cessato di agire in tutto il pianeta benché con mezzi e interventi sempre nuovi e sempre vari (J. Seager 2020) da popolo a popolo. Non ha forse stimolato l'arte poetica classica a scrivere Iliade e Odissea trasformando plausibilissime storie d'amore in guerre e lotte chissà davvero accadute? E che dire della Divina Commedia scritta da Dante per stimolare l'amore di Beatrice? E delle tenzoni medievali di Don Chisciotte in onore dell'amata Dulcinea? E le imprese di Giovanna d'Arco? E non spiega forse la nudità degli atleti nelle Olimpiadi come attrazione spettacolare della bellezza del corpo umano che fa ginnastica (da gymnóo/γυμνόω in greco sono nudo)? E le nude velate Vestali del tempio di Venere, dea romana dell'amore, alle quali era proibito essere incinte? E la gestione degli harem nelle mani della Validé Sultan, madre del sultano ottomano, ereditata dagli usi cristiani antecedenti al 1453? E il famoso poema indiano Mahabharata che confermava l'uguaglianza fra uomo e donna ben prima del 500 a.C. quando le cosiddette Leggi di Manu abolirono tale parità per il resto della storia dell'India? Sono, queste, le parecchie testimonianze del passato concernenti noialtri europei attuali immersi in culture maschiliste e imperialistiche (omofobe!) che limitano l'espressione sessuale libera con regole senza senso e rivolte, guarda caso, sempre contro le donne o contro chi, straniero o connazionale, abbia atteggiamenti diversi dal sesso apparente nelle proprie gonadi. Con internet a disposizione fra viaggi reali e virtuali in 17 tempo reale, contatti interpersonali e quant'altro indotti a ripensare noi stessi come persone, mi domando: Siamo in grado di evitare gli stereotipi del passato e scrivere oggi una storia dal punto di vista del sesso quale che sia? Dovremmo modificare i nostri antiquati comportamenti e vorremmo riflettere di più sulla validità delle tradizioni di cui siamo intrisi per poi magari liberarcene. Nella ricerca storica sul Nordest esistono parecchie barriere inutili per la conoscenza storica e io una l'ho abbattuta: Negare la nostra continuità biologica con le persone del passato. Nei fatti la continuità esiste e quindi posso scrivere: Nel Medioevo Russo sono vissuti i nostri antenati e nel presente lavoro parlo di affari intimi di famiglia magari da sottacere! Da degno epigone non diretto a causa del lungo intervallo temporale (e spaziale) che mi separa e non per il genoma che invece condivido quasi totalmente con loro, se dovessi ricostruire l'albero genealogico personale, è sicuro che gli antenati comuni con tutti gli altri europei di oggi sono state persone del Nordest di ieri (J. Manco 2004). Accettato ciò, nei miei studi tuttavia ho scoperto l'irrealtà... di riuscire a contarli! Mi spiego meglio. I calcoli pubblicati qualche anno fa dallo statistico J. Chang dell'Università di Yale su Nature dimostravano che se si va all'indietro nel tempo di un paio di secoli immaginando coppie di genitori diversi ogni 35 anni, ci troveremmo ad avere miliardi e miliardi di nonni! La Terra non può averli ospitati né da vivi né da morti e perciò, conclude lo statistico, una genealogia ricostruita su una perenne e regolare esogamia non sussiste. 18 Che fare allora? Si deve ripiegare senza scandalo su numerosissime coppie dei nostri comuni ascendenti in regime d'incesto (G. Barbujani, 2018) al di là dei fantasiosi danni genetici paventati dalla pseudo-scienza cristiana del passato che condannava e condanna l'incesto come pratica immorale! La storia dell'uomo con le scoperte genetiche degli ultimi tempi è confermata essere un insieme di storie separate che ogni individuo ha realizzato con le sue azioni e con la sua vita nei tanti luoghi del pianeta con culture di gruppo diverse. Se quelle storie particolari una volta restavano ignorate o sparivano nella leggenda o venivano scartate prima di poter confluire in una grande storia universale, oggi sono offerte a livello globale su internet e suggeriscono spiegazioni a volte strabilianti sulla nostra stessa natura e sulle nostre tradizionali credenze. Quante volte ho sentito dire che la storia si fa con i documenti? Tante, tante e tante. E se i documenti crescono in numero e in peso on.line, come si fa a definire un evento e a decidere in tempo reale se sia o no da raccontare? Un evento esiste, se c'è chi lo racconta e il racconto esiste se è trasmesso. Se i testimoni coinvolti sono parecchi e di sesso diverso, ecco che l'evento non è più uno, ma parecchi. In breve una storia non è che una delle molte storie vere seppur concernenti un unico multiforme evento pure vero! Oltre a ciò i documenti medievali nella totalità sono stati scritti con larghi divari di tempo fra accaduto e raccontato e in senso stretto non sono mai ascrivibili a testimoni oculari! Lo storico onesto immaginifico o meticoloso che sia, 19 scrive la sua storia e l'unico diritto che può vantare è la sincerità nell'ammettere gli scopi del suo lavoro oltre alla prontezza, in presenza di elementi di informazione non pervenuti in precedenza, a rivedere e a riscrivere la sua produzione in qualsiasi momento. Il discorso è lungo e articolato e qui è fuorviante per cui lo tralascio, non senza aver accennato altresì a due aspetti più triviali della questione scrivere storia. Nel Medioevo non c'era la necessità commerciale di produrre storie da vendere per cui infiorando e ingigantendo si raccontavano fatti creduti veri per il solo gusto di raccontare e guadagnarsi la stima degli astanti. Ciononostante nelle classi più abbienti che potevano disporre di libri e scrivani circolò a lungo una strana idea della storia scritta, saldamente gestita dalle chiese cristiane in Occidente e in Oriente d'Europa ossia che fosse il dio monoteistico a guidarla e a svolgerla. Secondo l'ecclesiastico Sulpicio Severo (IV-V sec.) la storia doveva esser concepita come letteratura edificante e basta: Che si scrivano pure romanzi inventati, ma che siano piacevoli da leggersi e che ogni argomento, testo o evento sia usato per lodare e esaltare la religione cristiana e il suo dio. L'idea in seguito fu messa da parte, ma per decenni influenzò la missione propagandistica dei predicatori fra i barbari. La gente analfabeta ascoltava la lettura delle Sacre Scritture e pensava per converso che l'oggetto-libro fosse una potentissima arma dagli effetti magici e portentosi. Chi si fermasse ad ascoltarli nelle sagre e nei mercati era rapito dalle interpolazioni mirabolanti e fantastiche che costoro sembravano 20 estrarre da quelle pagine scritte. È conseguente immaginare che le parabole evangeliche pure raccontate dai predicatori cristiani durante la loro attività si innestassero sulle tradizionali byline (racconti slavi tradizionali) e circolassero dopo nella maggioranza delle case. Il Nordest medievale indulgeva volentieri nei lunghi inverni a sentir raccontare le meraviglie del sud caldo, ricco e splendente, abitato da popoli lontani e felici per i miracoli che là avvenivano. Nelle corti slavo-russe o nei mercati di Grande Novgorod e di Bulgar-sul-Volga era prassi che i mercanti appena giunti da lontano fossero invitati dal sovrano o dal capomercato a narrare a una vasta udienza di popolo le avventure di viaggio più fascinose accompagnandosi persino con canti e danze di ballerini/e esotici/che. E gli sciamani/sacerdoti del nordest (volhvy) che cosa avevano di meno in autorità e spettacolarità dei predicatori cristiani quando indicavano la parte del corpo della vittima sacrificale da consumare per impadronirsi della sua storia personale nel cannibalismo rituale? Serviva a questo conservare e venerare i genitali o altre parti del corpo di certi personaggi, sapendo degli usi militari in caso di vittoria di poter mutilare il capo nemico a questo scopo. E non era ciò il dialogare dell'Ultima Cena di Cristo fra i suoi accoliti nei Vangeli? È importante accennare a questo perché era esattamente con l'identica speranza sciamanica – non dimentichiamolo – che il battezzato ex pagano accedeva all'eucaristia, il solenne rituale cannibalico cristiano che prometteva: Mangia un pezzo di Cristo e bevi un po' del suo sangue e assimilerai 21 tantissimo del suo operato! La mia conclusione? Questa era la vita e questo era il divertimento possibile che i nostri antenati ci hanno lasciato in eredità di conoscenza del mondo e che si coglie tuttora nei motti e nei proverbi di noi adulti moderni. Val la pena ritornare all'alba della nostra specie – senza ripercorrerla per intero – per vedere i nostri progenitori ancor più remoti di generazione in generazione trasmigrare affamati da un ambiente ormai esaurito e insufficiente a coprire la domanda di cibo in territori ancor vergini stimati buoni per lo sfruttamento. Ciò accadeva a causa del modo di vivere decine di migliaia di anni fa con la raccolta, la caccia e la pesca che richiedevano un enorme dispendio energetico e una conoscenza impeccabile del clima vigente negli ecosistemi occupati. Le risorse potevano diminuire rapidamente nell'area scelta per varie cause e il raggio d'azione della ricerca di cibo si doveva pertanto estendere e diversificare ripetutamente. La ricerca di cibo occupava non più di 4-5 ore al dì prima di spossarsi e non solo le intemperie erano d'ostacolo, ma anche le vicissitudini stagionali che interrompevano ogni attività per lunghi periodi. Tutto orbitava intorno alla presenza di donne gravide con appresso minori che si stancavano presto e pretendevano soste prolungate. La femmina umana impegnata a nutrire contemporaneamente e con pari responsabilità se stessa e la sua prole, quando il cibo scarseggiava nel passato mesolitico era ricorsa ad allungare il periodo di allattamento fino a 12 anni (!!) per vedersi ridurre il numero di gravidanze senza nuocere 22 troppo al benessere del gruppo. Aguzzò l'ingegno, guardò con occhi attenti la natura intorno a sé e nelle fermate sperimentò e protocollò le prime tecniche agricole, magari la semina dapprima e il passaggio successivo nello stesso posto per la raccolta. A questa stregua i ruoli nei rapporti uomo-ambiente si invertirono e, se all'inizio era la specie Homo sapiens a dover lottare per adattarsi all'ambiente per non esserne annientata, ora era Homo sapiens sapiens a trasformare l'ambiente meglio confacente ed è sicuro perciò che, non appena dedicò una parte dello spazio a terreno agricolo e passò a produrre il cibo, finalmente poté farne riserva e riposare. Cambiarono i tempi e l'intensità della fatica diminuì, benché la nuova attività preparatoria alla produzione, il lavoro, diventasse assai impegnativa anche mentalmente. E chi gestiva la distribuzione delle derrate prodotte? La donna. E chi le preparava per il consumo? Sempre lei. Se qualcosa andava storto, si poteva fantasticare di poter essere salvati dalle forze superiori, ma occorreva sapere appellarsi a loro. E chi avrebbe dovuto farlo nello specifico caso del mancato o dell'insufficiente raccolto? Naturalmente la donna e le divinità ausiliatrici non potevano che essere femminili. Insomma la vita, e aggiungo la morte, erano in mani femminili. Da tali presupposti prettamente matriarcali nasceva nel maschio la volontà di limitare la prevalenza femminile, logicamente non eliminando la donna, ma avvilendola in ogni modo affinché per il solo fatto di esser maschio non fosse escluso dalla distribuzione del cibo. 23 Secondo le ricerche antropologiche recenti, vedere il maschio destinato alle armi e all'ostilità verso la femmina in realtà è un grosso anacronismo perché si immagina una società alle origini capitalistica e sfruttatrice che in quelle epoche lontane ancora non era nata e neppure poteva esser sognata. I gruppi umani erano, ahimè, sensibilissimi all'accrescimento demografico poiché un sol paio di individui in più erano motivo di ansia, preoccupazione e, al limite, di disperazione per la sufficienza delle risorse a disposizione. Dunque niente più maschi estranei da invitare alla mensa agricola femminile con conclusione amorosa dopo cena? Meno copule è una misura alquanto strana per limitare la crescita demografica, dato che non si sapeva come e quando avvenisse il concepimento, ma alcuni antropologi l'hanno messa in campo come una ripicca o vendetta contro il maschio, limitandogli il piacere fisico. Sarà vero? L'archeogenetica (genetica applicata all'archeologia) suggerisce molti particolari in questo ambito e basta leggersi J.-J. Hublin (2008) per restare davvero stupiti da ciò che l'analisi del genoma di un reperto fossile umano racconta di sé. Dal suo DNA fossile possiamo sapere chi fosse e da dove venissero i suoi genitori, quando e in quale ecosistema avesse avuto luogo il suo concepimento e di qui fissare la data della sua sedentarizzazione. Così la conseguente invenzione dell'agricoltura diventa più facile da datare e su scala archeologica oggi diciamo che quella nuova tecnica apparve fra gli 8-9 mila e i 5 mila anni fa in 3-4 zone del pianeta. Peraltro ciò accadde giusto quando parecchi gruppi umani abitavano in aree 24 non troppo lontane l'una dall'altra e i maschi stressati e affamati, non appena sapevano della nuova provvidenza di cibo presso i vicini, ricorrevano a vari espedienti in cui per appropriarsene la violenza rappresentava il modo più immediato. Immigrazioni al tempo della massima estensione dei ghiacci. 1. insediamento dall'est: 2. insediamento dall'ovest 3. scavi 4. parte costiera emersa alla fine dell'era nel Mare del Nord 5. il Mar Baltico allora palude detto Yoldia. Le date sono espresse in BP ossia Prima del Tempo Attuale. Tuttavia a conti fatti la guerra o l'assalto in armi non 25 erano del tutto profittevoli, mentre probabilmente la soluzione amore in cambio di cibo ossia sedurre piuttosto che catturare la donna esperta della dispensa e della cucina, con una bella copula avrebbe permesso di acquisire l'accesso al cibo sicuro per un bel po' di tempo. L'agricoltura arriva in Europa dal Medio Oriente e si insedia nella vasta conca del Danubio intorno al 6000 a.C. e di lì si diffonde verso l'Atlantico lasciando “scoperta” al momento la Pianura Russa, ricchissima fonte di alberi e di animali, ma ancora poco esplorata (C. Quiles, 2019). I pochissimi abitanti a nord del Mar Nero continueranno a vivere in prevalenza di raccolta e di caccia quasi fino al XIV sec. d.C. mentre l'agricoltura raggiunge il Caucaso già ca. 2000 a.C. L'agricoltura in definitiva oltre a fissare la dimora umana, rafforzò le relazioni interpersonali per mezzo del cibo cotto e del sesso-divertimento e, appena la sedentarietà si affermò su vasti territori, aumentò la paura del maschio di essere abbandonato a morire di fame da una società di donne ostili. Esentatosi da solo da ogni incombenza parentale, il maschio si dedicò all'invenzione dello stato al cui vertice si insedierà. Proclamerà che il sistema di potere da lui capeggiato è la riproduzione del sistema che i “suoi” antenati, ora nel cielo da collaboratori degli dèi che regolano il cosmo, hanno istituito nei secoli passati e che perciò occorre la sottomissione finale di tutti... pena la morte per catastrofi naturali e per fame! È esattamente questo tipo di potere che si imporrà varie volte nella storia con le invasioni dei popoli indoeuropei e 26 dei turcofoni che fonderanno stati e i culti fallici relativi. Erodoto, in visita nell'area pre-caucasica nel V sec. a.C., cita poco l'attività agricola femminile e indulge invece sulle Amazzoni come popolo in guerra con gli Sciti ossia come questi ultimi indoeuropei arrivati dai confini sudorientali si scontrassero con il regime matriarcale delle Amazzoni autoctone. In verità un residuo storico di quel regime resiste presso alcune etnie dell'Anticaucaso (i Vainakh ad es. in M. Tsaroieva, 2011), sebbene ridotto alla funzione pur rispettatissima di donna giudice terzo supremo. Nelle controversie con il semplice gesto di scagliare il suo cappello fra i contendenti, essa ha conservato intatta l'autorità immediata di arrestare e impedire ogni scontro armato. Con le conquiste sempre più estese degli indoeuropei la mitologia matriarcale dovrà cambiare e essere riadattata. La riforma maschilista dell'invasore invertirà il sesso al sole e alla luna lasciandone traccia storica in residui linguistici singolari. Nelle byline al contrario il sole resta gelosamente una fanciulla che di giorno indossa un abito splendente mentre la luna è un fanciullo-fratello e sole e luna, insieme in amore incestuoso, amministrano la luce sul mondo copulando durante i giorni che la luna non compare nel cielo. Il nome russo della luna mesjac (radice i.e. *mens- cfr. il balto-slavo dio-luna Menulis, Mēnesis o il latino mensis) accoglierà il termine lunà o raggio splendente come alternativa femminile al nome maschile che finirà per indicare preferibilmente la misura del tempo. Il misoginico intento è chiaro: I maschi sono padroni del tempo che si misura con i cicli lunari! Ora è 27 un dio maschile a imporre la cadenza del mestruo (lat. menstruum letteralmente rito della luna) e per le giornate non è più la dea-sole che domina, ma il dio-sole che fissa il ritmo circadiano e di vita dell'ecosistema. Peraltro il sole nel cielo nordico ci sta ben poco e conta meno come divinità celeste intorno all'Artico... La donna per sua natura appare legata alla luna col mestruo e conserva – questione ritenuta minore dal maschio dominatore – con ciò la sua potenza creatrice. Il maschio ignora il ruolo biologico del mestruo e il sangue gli fa paura, ma almeno gli garantisce che la femmina non generi troppi concorrenti quando ne perde in quantità! A parte ciò col cristianesimo il sangue mestruale si trasformerà addirittura in una diabolica e impura deiezione... Si diceva in Lituania che una donna mestruata deve star lontana dai maschi, altrimenti questi litigheranno fino a uccidersi fra loro. Nel passato litigare significava sempre una lotta fisica e doveva finir male per uno (o per ambedue) dei litiganti poiché il litigio una volta iniziato non si estingueva con le sole parole. Esisteva perciò il pericolo di relazionarsi con una donna troppo intimamente per poi tormentati dalla gelosia essere trascinati in duelli per riscattarsi. Fra i pagani si parlava di mutamenti ciclici del cosmo che si ripetevano e si succedevano senza fine come il sole e la luna e le costellazioni nei loro giri periodici nel firmamento e su cui si imperniavano le attività agricole e di caccia. Quel che tormentava era che, mentre nel firmamento tutto si ripeteva regolarmente tanto che per prevedere il futuro bastava guardare il cielo, dal mondo 28 sotto la luna al confine fra celeste e umano-terrestre la natura a volte era disturbata da imprevisti fastidiosi e spesso inaspettati. Chi poteva aiutare l'uomo nelle ristrettezze che ne derivavano e che ne sarebbe stato dell'umanità? Ed ecco il paganesimo nordico insegnare che nel cielo abitano esseri purtroppo indefinibili per l'uomo, ma potentissimi che intervengono per piacere personale nei processi naturali etc. e pertanto, se si vuole ottenere il loro aiuto, è bene tenerseli amici. Vanno “ubbiditi” nelle regole che essi hanno fissato e con i sacrifici che essi richiedono e per il trasgressore la pena è il ritorno anzitempo nel ventre della generatrice universale, la Gran Madre Terra, cioè la morte. L'uomo, servo del divino consesso celeste, accetta appena nato una serie di mete da raggiungere seguendo cammini rituali precisi poiché si ammette che dal cielo gli sia assegnato un destino che ha lo scopo di migliorare o peggiorare la sua vita e quella del gruppo di cui fa parte a seconda dei suoi comportamenti nella vita. In un tale cosmo il pagano si dibatte specialmente in dipendenza del suo sesso e il cristianesimo affermerà di poterlo liberare purché accetti una nuova, dico io estrema, gestione religiosa della sua sessualità. Si insistette infatti sull'idea che la donna avesse la sua peculiare natura a generare figli e che non dava troppo peso ai sentimenti amorosi o d'altro tipo. Anzi, il creatore avrebbe concesso figli alla donna purché disposta a subire la superbia maschile. D'altronde ammettere che si facesse all'amore nel coito eterosessuale affinché desse un risultato riproduttivo per 29 la specie umana 1000 anni fa è pura menzogna storica poiché si finge di ignorare o si nasconde che il motore unico alla copula fosse sic et simpliciter il piacere! Sul piacere in sé si è scritto moltissimo in Europa fino a descriverlo come l'ultima tappa dell'amore romantico ossia della costellazione di eccitanti sensazioni che attrae due persone alla reciproca vista e che sembra rinnovabile di incontro in incontro. Poco si è scritto invece sul quando e sul dove l'amore nasce storicamente nella forma di atto volontario libero e individuale e dove nel mondo ha perso l'aspetto di libero sfogo al godimento da soli o insieme ad altri. Leggevo anni fa (1993) di un'inchiesta fatta su come gli americani immaginassero il paradiso cristiano e l'antropologo americano L. Tiger nel suo La Ricerca del Piacere, sottotitolo La conquista dell'umano piacere attraverso millenni di storia, società più o meno repressive, genetica, evoluzioni e emozioni, a pag. 51 dell'edizione italiana (v. bibl.) scriveva: «Alfred North Whitehead [filosofo contemporaneo rivale del mio amato Bertrand Russell] ha scritto: Si può immaginare qualcosa di più idiota del concetto cristiano di paradiso? Che razza di divinità è quella che può creare angeli e uomini perché cantino le sue lodi giorno e notte per tutta l'eternità?» Più avanti aggiungeva: «Più voluttuosa e meno inglese è la promessa contenuta nel Corano [organo dottrinario dell'Islam] che gli uomini religiosi avranno in cielo giacigli dove verranno accuditi da “uri”, splendide donne dagli occhi neri, che non solo creeranno e soddisfaranno in loro meravigliosi desideri 30 sensuali, ma saranno fatte interamente di legno di sandalo e perciò offriranno il sublime piacere di essere sempre soltanto profumate. Il testo non precisa se ci saranno anche uomini di legno profumati per le pie donne musulmane.» A questo punto sono andato a leggermi la Sura II della Giovenca, versetto 25, del Corano dove è scritto testualmente (v. testo italiano in bibl.): «E annuncia a coloro che credono e compiono il bene che avranno i giardini in cui scorrono i ruscelli. Ogni volta che sarà loro dato un frutto diranno: Già ci è stato concesso [in vita, ma ora…] avranno spose purissime e colà in eterno rimarranno.» Insomma il legame fra sessualità e piacere reale tutti lo conosciamo, ma ci accorgiamo pure che esso è trasmesso da secoli ben filtrato dai canali culturali attraverso due strane parole: morale e etica. Secondo me è questa l'operazione illegittima che frena il desiderio. A che serve misurare il piacere fisico per riportarlo su una scala inventata annunciando – ecco l'esca ideologica morale o etica – che esistono altri piaceri superiori al fare sesso? Tommaso d'Aquino non domina più, ma studiare i nostri atteggiamenti sessuali scevri da morale o etica è davvero difficile dal punto di vista storico, tanto più e nell'ambito della cultura slavo-russa nell'intervallo temporale da me scelto. Sono convinto che ai pagani di 1000 anni fa, per di più circolanti molto meno vestiti di noi, bastasse esaminare il corpo proprio com'era fatto e confrontarlo con quelli dei loro prossimi per ambire a imparare come soddisfare le urgenze sessuali con l'amico 31 o con l'amica con grandissimo trasporto. E così nel confronto col presente mi imbatto con la pornografia fruibile su internet. Mi son fatto una domanda: Potrebbe esistere uno spettacolo pornografico del sesso nudo, se andassimo tutti in giro senza vestiti? Non trovo che una risposta: NO! Per di più da nudi non esisterebbe l'arma seduttiva del mostrare agli “altri” se stessi nelle parti dette proibite o esibirsi in spettacoli di sesso e ciò corrisponde pure al modo di mostrarsi in pubblico nel mondo classico greco-romano come nelle greche ierogamie. Anche le recenti ricerche di antropologia culturale pubblicate negli ultimi 15 anni in cui sono descritte molte popolazioni fra le attuali che nei loro paesi circolano in completa o quasi nudità, dicono la stessa cosa. Non solo! Chiudo col greco antico quando riferiva del rito pagano delle adolescenti nei templi di concedere il proprio corpo all'amplesso sessuale o altra manipolazione fisica dietro adeguato pagamento non come “mestiere” ma con offerte materiali per il mantenimento del tempio stesso. Il fatto poi che le fonti raccontano che capitasse a certe adolescenti di restare in servizio più a lungo di altre, mi fa sospettare che l'amplesso omosessuale – lesbismo – fosse apprezzato e pienamente in auge. Siccome nell'etimologia della parola pornografia c'è in greco pórne/πόρνη di genere femminile e pórnos/πόρνoς di genere maschile (dizionario Benseler 1991), ciò suggerisce che pure i maschi concorressero, forse in tempi o in templi separati, allo stesso servizio sessuale per il mantenimento del tempio e che ciò evidentemente 32 implicasse anche un'omosessualità maschile o femminile. Sono costumi antichissimi che troviamo a Babilonia nel passato lontanissimo oltre che nei Veda indiani fino al giorno d'oggi. alcuni merletti scultorei dei templi di Khajuraho 33 E qui, concludendo, non posso che menzionare il caso dell'India con i templi più famosi al mondo dove le pratiche della sessualità umana nel trionfo del piacere supremo sono scolpite in bellissime sculture esplicite e cioè a Khajuraho. La località si trova nel cuore del subcontinente indiano, nello Stato di mezzo o Madhya Pradeš, e la presenza di questi templi medievali induisti e giainisti è una meta turistica popolarissima che ha portato l'UNESCO ad inserirli nei Patrimoni dell'umanità. Khajuraho deriva dalla parola hindi khajur o palma da datteri ed è qui l'allestimento di spettacoli pornografici intorno all'albero sacro della palma da datteri. Il pubblico assisteva e lasciava che i propri giovani vi partecipassero in una specie di tirocinio in educazione sessuale. Anzi, fino a pochi decenni fa c'erano in India compagnie di girovaghi ballerini che offrivano spettacoli di sesso in pubblico con le acrobazie più stravaganti richiamandosi alle famose e innumerevoli posizioni del Kama-sutra. Devo di nuovo chiarire che si ignorava che il coito eterosessuale portasse alla gravidanza e, se ciò accadeva, erano gli dèi in onore dei quali lo spettacolo si era svolto che mutavano il ruolo della giovane in futura madre. E qui c'è l'elemento gelosamente conservato nello spettacolo ossia la centralità della bellezza del corpo umano mentre si muove e agisce manipolandosi e lasciandosi manipolare per giungere all'acme del piacere. Questi riti diffusissimi nel sudest asiatico erano irradiati prima di altri dall'India che li celebrava solennemente e, seppur parzialmente riadattati dalle voghe colonialiste 34 europee, costituivano ab initio il passaggio spettacolare di giovani donne da semplici individui sessuati a generatrici di nuova umanità, mentre i maschi si ergevano a loro difensori e a loro compagni di piacere (!!). Non si intravvede in alcun caso un impegno di unione fra sessi diversi o uguali o altri legami particolari durevoli nel futuro. In altri termini finito l'amplesso, calava il sipario sullo spettacolo, magari per prepararsi alla prossima scena con nuovi attori. Per me era un'espressione artistica di ammirevole e eccitante libertà derivata dalla cultura dello spettacolo erotico indo-persiano che esaltava in tutti i modi il divertimento umano universale del fare all'amore. Specialmente il corpo femminile fa più spettacolo rispetto al maschile? Sissignori. Ciò tradisce e conferma una prevalenza storica di società maschiliste nel mondo, recente e attuale, pur sempre incantate dai misteri del corpo femminile che la scienza oggi va svelando. Ritornando nella cultura occidentale non va dimenticato che il papa Pio XII, sedicente capo del cattolicesimo universale, riconobbe soltanto nel 1957 che l'uomo e la donna erano uguali in diritti e dignità! Riconoscimento ambiguo di fronte ad altri sessi possibili che la chiesa ancora vede come mostruosità da celare o quando si tratta della sessualità eccitante e divertente. E non erano forse adibiti agli spettacoli con contenuti sessuali (obscenum ossia in origine che riempie la scena) gli anfiteatri romani e greci come si riesce a desumere dal Satyricon di Petronio del I sec. d. C. o dagli affreschi e dai locali-teatri di Pompei? E come mai al contrario la 35 <disprezzata pornografia> è quasi assente nei dipinti delle caverne della preistoria? Non m'imbarco qui in una storia della pornografia poiché non ne avrei la preparazione necessaria, sebbene mi solletichi l'idea di farlo per quanto ho imparato sfiorando l'enorme quantità di materiale presente su internet e di questo tratterò qui e là, magari ritornando su certi punti che finora ho evidenziato di sfuggita. 36 Capitolo primo Scelta e uso delle fonti Un'indagine storica inizia sempre con la prima tipica domanda: Dove posso raccogliere le informazioni che mi servono? Come selezionare le fonti da me scelte: Sulla base della cronologia o dell'affidabilità descrittiva? Oggi con le nuove tecnologie e con i nuovi mezzi di comunicazione quantità enormi di dati sono accessibili rapidamente e facilmente, purché si abbia l'accortezza nello scrutinarli giacché i siti in internet, ad esempio Wikipedia, a volte non sono tranquillamente degni di fede né tempestivamente aggiornati. Dico ciò perché anni fa invece ci si doveva accontentare degli sforzi dei cosiddetti appassionati che per fortuna o per lavoro riuscivano a accedere ai documenti scritti. Frequentando i musei e le biblioteche, osservando e poi meditando pubblicavano i risultati dei loro studi nelle loro lingue e presso le loro università in forma di manuali e letteratura di vario genere. C'erano argomenti permessi e altri considerati frivoli o addirittura volgari e da non divulgare né tanto meno da investigare. E l'argomento sesso o sessualità nell'Europa dominata dall'ideologia cristiana 37 anti-sessista (nel senso “contro il far sesso”) è stato fino a qualche anno fa un tabù perché questione peccaminosa e indecente. Il poco che galleggiava nel mare dell'ignoranza “prescientifica” era tenuto chiuso nei cassetti (vaticani in particolare) fuori dalla portata del ricercatore scettico e curioso (K.-H. Deschner 1980). La Rivoluzione Russa d'Ottobre (novembre) 1917 stessa – dato che mi occupo di storia antico-russa – di fronte all'argomento amore libero su cui si doveva legiferare per liberare le donne neo-sovietiche dai vincoli di matrimoni non voluti o da mestieri femminili marchiati col disprezzo della comunità etc. non seppe che pesci pigliare a riguardo (G. Carleton 2005). I simpatizzanti americani contemporanei, seppur entusiasti dello straordinario evento che avrebbe introdotto il potere popolare e il concetto di repubblica fra regni e imperi guerrafondai di un'Europa invecchiata, a causa del puritanesimo che si erano trascinati nel Nuovo Mondo lasciando l'Inghilterra di Carlo I, non seppero dare indicazioni ai rivoluzionari russi su come legiferare per la pratica dell'amore libero e alla fine sull'attività sessuale e sul suo peso nella nuova società sovietica si ritornò con Stalin al gran silenzio legislativo pre-rivoluzionario. I.S. Kon, sessuologo post-sovietico, nell'introduzione al suo lavoro La Cultura Sessuale in Russia (1997) scrive: «Qualche anno fa in occasione di uno dei primi programmi comuni americano-sovietici in TV all'alba della perestroika alla domanda di un americano a una delle nostre collaboratrici leningradesi fu chiesto come andavano le cose in URSS sul soggetto sesso. La risposta 38 fu [con tipica, immediata e perentoria autocensura]: Da noi non si fa sesso!» Il tempo è passato e le cose sono cambiate in Russia ed è giunto il momento di parlare di sesso e di sessualità pure per il Medioevo Russo sulla falsa riga di recentissime indagini ora che il velo della censura sovietica è stato strappato. Alcuni ricercatori moderni russi li ho inclusi nell'ambito dei miei studi, ma ho cercato e selezionato anche le fonti un po' più antiche seguendo i criteri soliti dell'affidabilità imparati dalla pratica didattica e, se ne parlo qui, lo faccio affinché il lettore non solo vi si possa riferire andandosi a leggere la bibliografia in fondo al presente saggio, ma si senta stimolato a indagare di persona ulteriormente. Prima di tutto parlerò delle cosiddette Cronache dei Tempi Passati che d'ora in poi abbrevierò in CTP. È una sorta di letteratura storica abbastanza importante che cominciò a esser prodotta nel XI sec. a Kiev con parecchie limitazioni interpretative e molta fiction. Le CTP in più hanno la peculiarità di essere state quasi santificate dalla storiografia sovietica essendo considerate in grandissima parte veritiere sebbene mancassero accurati riscontri incrociati con altre fonti contemporanee disponibili (R. Picchio 1993). In realtà sono state scritte da monaci istruiti all'interno del sistema ideologico vigente a Costantinopoli riattato per la Pianura Russa dopo la fine del X sec. con tutto il bagaglio dottrinario religioso. Fino al XI sec. ancora disorganizzati a produrre documenti ufficiali per il potere, l'intento degli amanuensi di lingua slavo-bulgara a Kiev nel sud e a Grande Novgorod nel 39 nord non è di riferire eventi rigorosamente reali raccolti presso testimoni locali, ma di scegliere per poi inserire nella riduzione annalistica porzioni di eventi affinché servano ad esaltare la supposta azione divina della nuova e cristiana nazione slavo-russa ai suoi primi passi verso la gloria della cristianità nel nordest finora trascurato. Non solo! I monaci, stendendo e illustrando, si prodigarono pure nella produzione letteraria “edificante” dei nuovi vescovi che scrissero sulle attività sfrenate e peccaminose dei contadini locali. In breve rinvigorendo il metodo del citato Sulpicio Severo in chiave slavo-russa... Attenzione però! Metto in chiaro un fatto basilare a questo riguardo: Documenti originali delle prime CTP non esistono perché non ne sono mai stati redatti! Le CTP a disposizione sono sedicenti copie redatte a partire da non prima del XIII sec. d.C. ed è in esse che sono menzionate CTP anteriori effettivamente mai scritte (S. Griffin 2019). Non è un aspetto positivo per lo storico, ma era l'uso del tempo di inventare o abbellire la storia della cristianità ortodossa e cattolica! Alle CTP a partire dal 1950 ca. si sono affiancati gli scavi archeologici non appena l'archeologia è stata riconosciuta ricerca storico-scientifica e tolta dalle mani di antiquari arruffoni e posso dire che tantissimo è cambiato nei contenuti, sebbene resti ancora sotto direzione maschile. Infine – last but not least! – c'è il ricco materiale folcloristico che abbraccia l'oralità popolare nei suoi vari generi dai proverbi ai racconti, dalle danze ai riti religiosi etc. che con pazienza sono stati registrati nel XIX sec. quando gli strumenti erano una matita e a volte, se era 40 disponibile la corrente elettrica, un registratore a nastro per trascrivere la memoria delle vecchie contadine. Molte testimonianze provengono pure dai circoli letterari scandinavi, ma questi narratori, Olao Magno o le Saghe islandesi fra gli altri, non danno informazioni se non indirette di persone rientrate in Svezia dopo aver partecipato a qualcuna delle numerose campagne militari condotte nella Pianura Russa a scopo di conquista o in scorribande economiche. Tali narrazioni si interessano poco di costumi, di religioni e di culture sessuali, ma in qualche misura possono servire di raffronto, sebbene siano state composte secoli dopo gli eventi raccontati. Una fonte molto più tardiva, XIX sec., è l'archivio del principe V.N. Tenišev dove si trovano informazioni sui costumi contadini che senz'altro hanno conservato antiche norme e perciò lo cito (I.S. Kon, 1997). Tornando alle CTP, posso dire che esse esistono grazie alla sponsorizzazione di Jaroslav il letterato (mudryi) che favorì il sorgere di conventi e dei relativi scriptoria dove gli amanuensi potessero lavorare. Jaroslav fa costruire la cattedrale di Santa Sofia e nel coro a primo piano sull'entrata principale pone il suo ufficio e in quotidiano contatto col Monastero delle Grotte trasmette notizie e informazioni all'amanuense incaricato di stilare gli annali del nuovo stato. A che servono gli annali? A costruire la storia cristiana della dinastia inaugurata da Vladimiro il santo che il dio creatore stesso secondo i suoi sconosciuti e inconoscibili disegni condurrà verso la gloria dell'azione di governo. Sono modelli storiografici in uso a Costantinopoli da 41 secoli che l'amanuense kievano imiterà a partire da Giovanni Malala del VI sec. autore della Cronografia, una storia universale popolare di scarsa attendibilità. Kiev, la città capitale eletta per il novello stato dei Rus e dove avvennero le prime evangelizzazioni di massa ufficiali, era frequentata da genti di diversa origine geografica e culturale portatrici di varie religioni fra cui l'islam, l'ebraismo e i paganesimi di vario tipo. Fu ciò che probabilmente attirò le velleità del primo sovrano slavorusso, l'appena citato Vladimiro padre di Jaroslav, nei suoi sforzi volti all'istituzione di una Chiesa Russa. Le intenzioni sue sono abbastanza chiare: Vuole entrare nella comunità cristiana internazionale in modo da poter direttamente partecipare alle attività economiche del continente e trarne profitto per sé e per i suoi accoliti armati (russo družina). Vladimiro intuiva di trovarsi in un grande giacimento di materie prime, la foresta, che già l'occidente richiedeva e sfruttava e sognava pertanto di vivere in un palazzo pullulante di ricchezze. Questo è ciò che permise all'ideologia cristiana con la sua struttura materiale di libri e di chierici di piombare nel bel mezzo della multietnicità variegata kievana purché Kiev fosse la capitale dello stato che comprendesse e custodisse i suoi tesori. Di per sé ogni comunità alloglotta era qui presente con sedicenti nobili e poteva perciò funzionare bene da centro di raccolta di merci e di idee. Rinchiusa in barriere naturali e con i suoi quartieri ben recintati, fra cui la sede del potere varjago-slavo situata per ragioni strategiche nella Città Alta con postazioni fortificate tutt'intorno, era al momento la postazione più favorita mentre la Città 42 Bassa (Podil) sulla riva del fiume Dnepr restava abitata e sotto il controllo delle varie etnie. All'inizio il cristianesimo si dichiarò sostenitore del potere varjago-slavo e furono richieste a Vladimiro azioni di forza contro i riluttanti al battesimo e pare che un paio di sortite con le armi nella Città Bassa ribelle risultassero in parte efficaci. La chiesa aveva però il rimedio all'insuccesso ossia l'indottrinamento sottile inteso a eliminare ogni differenza fra comunità e comunità con la parola e con lo spettacolo ossia con la predicazione più sofisticata con professionisti. In queste operazioni risultò di per sé oltremodo difficile convincere l'élite che si dovesse al più presto imporre un'unica lingua nell'intero dominio. Si spiegò e rispiegò che giusto in tal maniera si sarebbe consentito alla gente di capire e di assimilare non soltanto la “parola divina cristiana”, ma a raccogliere il consenso amorevole per il sovrano che introduceva e diffondeva leggi e regole nella prospettiva del benessere futuro migliore per i suoi sudditi. Un avvenire roseo d'altronde, se spalmato troppo lontano nel tempo, non sarebbe stato credibile nel mondo pagano assetato, sì, di racconti meravigliosi, ma con effetti immediati. Mi pare che le fonti non riuscissero a superare una difficoltà primaria: Comunicare usando la viva parola in una lingua comprensibile. I missionari o i parroci erano perlopiù bulgari e usavano il cosiddetto paleobulgaro o slavone ecclesiastico, lingua artificiale (quale lingua non lo è?) creata da (Costantino)-Cirillo e da suo fratello Metodio come koiné slava, ma che a Kiev pochissimi padroneggiavano. 43 È una questione importante, lo ripeto, quella della lingua veicolare giacché per secoli separò il mondo contadino da quello delle città. Né si deve dimenticare che gli accordi parlati fra Vladimiro e il prelato assegnato avvenivano fra due personaggi autoritari all'estremo per la loro posizione al vertice e che Vladimiro parlasse chissà che lingua “slava” mentre il prelato era greco e si serviva di monaci interpreti bulgari bilingui. Sia come sia il proposito dell'indottrinamento iniziò proprio da queste interlocuzioni. Si vantò che il celibato del clero (più tardi pure per le nobili kievane fatte badesse fra cui la consorte di Vladimiro, Roghneda, ma solo dopo aver generato ben 5 figli!) era la meta più alta che lo spirito umano, essenza divina imprigionata dal dio cristiano nel corpo destinato alla morte, potesse mai conseguire e dunque quanto un membro del clero diceva andava ascoltato e obbedito. Il celibe (e la donna tornata nubile) era capace giusto in seguito al sacrificio sessuale, l'ascesi, di contemplare con dedizione e umiltà il supremo mistero della gloria e della potenza divine e fosse perciò in grado di spiegarlo prima di abbandonare i vivi. L'etica da introdurre subito quale principio basilare era che chi comanda, sia moderato nell'attività sessuale e abbandoni l'ostentazione della virilità con le armi in pugno e passi all'ozio santo del padre consolatore, pur restando autoritario e ineffabile. Non so se raccontarono a Vladimiro il particolare che i vescovi costantinopolitani al momento dell'ordinazione lasciavano moglie e figli e che qualcuno di loro addirittura si faceva castrare per restare celibe per il resto della vita. 44 Posso immaginare la reazione di Vladimiro, se avesse conosciuto e scambiato qualche informazione con Liutprando da Cremona in visita nel X sec. sul Bosforo quando il vescovo goto non solo constatò la presenza di numerosi eunuchi nella corte imperiale, ma non appena venne a sapere dei colleghi castrati, raggiunse il culmine dell'avversione per il clero di questa Roma d'Oriente e da subito evitò ogni contatto che non fosse inevitabile. In più un uomo evirato non annullava forse ogni differenza visiva e fisica fra i sessi (D.F. Noble, 1994) eliminando ogni attrazione sessuale? Niente piacere sessuale, niente piacere nella crapula di una festa o nel bere smodato e via via niente di tutta una serie di piaceri fisici per amor della chiesa, sedicente custode dello spirito che l'uomo ha racchiuso in sé da difendere. L'edonismo, la chiesa lo affermava in ogni caso, è da interpretarsi senza eccezioni peccaminoso e offensivo della divinità e prelude a severe punizioni poiché, si avvertiva, il demonio aspira a distruggere l'uomo pio e l'universo suo allettandolo e solleticandolo. Accenno a tutto ciò perché Vladimiro ormai consacrato cristiano incontrò e scambiò idee con Bruno, vescovo “latino” di Querfurt non castrato, in passaggio da Kiev diretto fra i nomadi peceneghi per la propaganda della fede. Bruno peraltro è molto critico da vescovo cattolico di fronte alle numerose concubine (800!) che il sovrano kievano pretende con orgoglio di mantenere. Certamente non glielo dirà in faccia, ma lo scriverà nelle sue carte, confermando i punti di vista nettamente divergenti con cui i due interlocutori guardavano quelle giovani: (1) 45 Vladimiro le vedeva come ostaggi che gli assicuravano il dominio dei territori da lui assoggettati e (2) Bruno come “oggetti sessuali” per un maschio assatanato. Righe e righe delle CTP sono piene di questi discorsi da parte del filosofo bulgaro destinato a indottrinare Vladimiro affinché su queste basi teoriche allargasse la visione occorrente ad impostare una santa cristiana guerra contro i paganesimi, l'islam e l'ebraismo nella Pianura Russa. Toccava ora a Vladimiro partecipare attivamente con i suoi armigeri alla liberazione sia di se stesso come sovrano sia dei suoi sudditi dalle grinfie del demonio pagano! Toccava a lui non tener in gran conto la vita terrena in un universo ostile e fare attenzione affinché si evitasse il ripetersi selvaggio del maledetto “peccato originale” che era cosa tremendamente peggiore. Troppe leggende a riguardo sono contenute nelle CTP e negli annali bulgaro-kievani di Ġa'far Tarihi (Storia di Almyš-Ġa'far) e alla fine in questi documenti la funzione dei varjaghi in tempi anteriori al battesimo è niente di più che controllare i movimenti per conto dei bulgari e dei cazari lungo il tratto di fiume dove sorgeva lo sperone kievano alla confluenza del Dnepr col Pripjat! Il parroco è il maschio da emulare. Una colonizzazione ideologica ai primi contatti nei dintorni di Kiev e qualche anno dopo nei dintorni di Grande Novgorod, risultò piena di ostacoli quando si insisté da parte dei monaci a voler definire quali fossero i 46 comportamenti rituali aberranti diffusi nella Pianura Russa rispetto ai canoni consolidati nella dottrina per poi procedere rapidamente per sopprimerli. Il compito fu affidato come di consueto al personale ecclesiastico giovane mandato in giro a predicare dopo un presumibile tirocinio apparentemente esauriente. Nel Paterik (raccolta delle vite dei venerabili superiori del Monastero delle Grotte) si legge di uno di quei giovani monaci che interpella il reverendo Mosè l'Ungaro sul fatto di aver notte tempo degli stimoli sessuali sotto forma di visioni di donne nude nella sua cella. Chiede perciò se è peccato sopirli da sé masturbandosi oppure come fare per liberarsene. Mosè che, per quanto si legge nella sua vita di predicatore, è riuscito a resistere alle profferte sessuali di una principessa slavo-russa innamoratasi di lui col rischio di essere ucciso per tale rifiuto, è lieto di dare il suo consiglio. Innanzitutto che il “peccatore” non faccia all'amore con se stesso e poi che si sottoponga alla penitenza di non parlare per il resto della vita con nessuna donna. Altrimenti? C'è una sola via d'uscita: la castrazione mentale o fisica! Che punisca i suoi genitali con gioia e nel dire ciò col bastone pastorale Mosè colpisce con forza il giovane monaco nei testicoli e il gioco è fatto: Il monaco non andrà più a predicare e resterà in clausura per un bel po'. Se per i monaci la soluzione è per così dire chiara e nota, per i parroci, indispensabili operatori fra la gente comune, non lo è altrettanto. Nell'ortodossia i preti atterravano nella parrocchia assegnata con la loro famigliola a rappresentare il modello matrimoniale ideale 47 che i parrocchiani dovevano emulare. Ai parroci era permesso sfogarsi nel sesso con la propria moglie, ma, siccome con lei e con gli eventuali figli si abitava fra gente straniera per una vita intera, era giocoforza avere contatti stretti con i locali ed essere impressionati dalle loro abitudini. Alla fin fine era quasi impossibile non partecipare alle feste comunitarie. Beninteso: niente avventure extraconiugali, niente giovani mantenute o giochetti sessuali con bambini e adolescenti, niente divorzi e nemmeno un nuovo matrimonio dopo una vedovanza. Lo stesso regime si applicava ai parrocchiani e non era più permesso fare all'amore quando se ne sentiva lo stimolo, bensì di stare attenti ai giorni prescritti e a quelli proibiti. L'etica cristiana inoltre prevedeva il coito senza fantasie erotiche e, si diceva, che di solito erano le donne a suggerire con insistenza nuove tecniche amorose. Un calcolo citato da I.S. Uluhanov (2015) dà per il periodo X-XIII sec. l'esistenza nella Pianura Russa di 10 mila chiese (comprese le cappelle votive) e 200 monasteri che non sono tantissimi, se si guarda la poca consistenza numerica del personale e le dimensioni minori di queste istituzioni. Guarda caso però, i dottrinari in dotazione nelle parrocchie slavo-russe circolarono poco forse perché costosissimi e dunque rari tanto che fra il basso clero si citavano regole e riferimenti spesso a memoria. Dei penitenziali malgrado tutto ce ne sono giunti, seppur datati XV sec., e l'impianto di questi manuali è assegnare a ogni peccato sessuale, ben descritto nei minimi particolari, la pena adatta pur tenendo conto degli usi locali come attenuante. La confessione non era segreta né 48 spontanea e prete e fedele si guardavano in faccia e il fedele rispondeva sì o no incalzato dalle domande del parroco del tipo: Hai fatto tu questo? E con chi? Quante volte? In qual modo e dove? Simili interrogatori avvenivano, lo ricordo ancora una volta, usando un idioma con cui i parroci non erano tanto sicuri di esser compresi né di comprendere bene quanto in sé e per sé era loro confessato dal parrocchiano. Il parroco inoltre aveva il dovere di denunciare gli “aberranti” di cui fosse venuto a conoscenza dipingendo i loro atti come odiosi e sporchi alla gente del villaggio e avvertendo che quei peccatori correvano il rischio di subire una punizione divina immediata sia individuale come un attacco cardiaco improvviso sia collettiva come un fulmine, una morìa di bestie o altro evento dannoso per l'intera comunità. Se si scopriva che il parroco avesse trascurato di far denuncia pubblica o avesse trascurato una delazione di peccato sessuale o fosse addirittura scivolato nell'invito a far sesso con lui/lei “come espiazione”, allora era immediatamente da richiamare, licenziare e trasferire in altra sede. In breve una semplice copula o altra impresa sessuale era solitamente l'oggetto delle divertenti riunioni orali dei circoli famigliari (bezedki) piuttosto che un sollecito a raccontarlo al prete e confessarsi e certi discorsi fra i giovani erano frequenti durante l'autunno-inverno quando i campi erano in quiescenza. C'era sempre chi sapeva raccontare un amplesso come un'avventura e ne sottolineava gli aspetti pruriginosi stuzzicando la curiosità (M. Dikarev repr. 2020). La confessione presso 49 il parroco al contrario, trasformava la stessa scena in un psicodramma quando lo stesso peccatore doveva condannarla pentendosi e vergognandosene, ma non certo impedendosi in cuor suo di ripeterla in futuro una volta uscito dalla chiesa. Su situazioni del genere i prelati che sapevano leggere e scrivere e che gestivano gli scriptoria dei conventi slavorussi, produssero una notevole (tardiva e non copiosa!) letteratura di tipo edificante come le infiorate Vite di santi oltre alle poche lettere fra mercanti e chiesa o le composizioni poetiche elaborate e messe a punto nei conventi da cantare. Purtroppo i testi originali in gran parte sono andati perduti e ne conosciamo i titoli o qualche ridotto frammento dalle copiature risalenti ai XV e XVI sec. quando Mosca diventò capitale di uno stato! Sia come sia, finché non fu chiaro quale fosse il reale dominio del sovrano kievano e quali fossero i suoi sudditi e le prospettive ulteriori per l'occupazione di territorio vergine necessario all'economia di sussistenza, l'evangelizzazione non procedé in termini spediti senza la protezione armata da parte dell'élite. Il personale ecclesiastico non fece tanti passi in avanti e mi pare che fino al XIII sec. una cristianizzazione totale rimanesse allo stadio di puro desiderio. Ritornerò sulla questione parroco più avanti mentre al momento dirò che il primo Metropolita greco diretto a Kiev, Teofilatto, alla prima sosta, Perejaslavl-del-sud, a lungo non osò continuare il viaggio per la paura giacché accompagnava Anna, la principessa a lui affidata sorella dell'imperatore, destinata in sposa a Vladimiro. Nella 50 prima decade del XI sec. era ancora in costruzione inclusa nel cerchio delle mura di difesa della Città Alta una chiesa degna e il clero, finora minacciante di ripartirsene, doveva aspettarne il completamento. In seguito per maggior sicurezza fuori città fondò il Monastero delle Grotte (Pečerskaja Lavra) scavando con le proprie mani sulle colline tufacee lì a quatto passi e lo elesse a sede dell'arcivescovo metropolitano di nomina patriarcale! L'altra sede arcivescovile importante della Pianura Russa fu Grande Novgorod in prossimità del Mar Baltico in piena area etnica ugro-finnica. Qui la chiesa fu costretta ad asserragliarsi all'interno dell'abitato con strette misure difensive tanto da vantare una cinta di mura di mattoni in una città costruita quasi interamente in legno e con mura pure di legno. Se però Kiev accettò il regime “monarchico” di Vladimiro e dei suoi discendenti, a G. Novgorod (per comodità abbrevio così il toponimo nel prosieguo del testo) non fu lo stesso. Fino al XV sec. restò una repubblica oligarchica sui generis e l'unica dipendenza da Kiev fu l'arcivescovo che per le prime volte fu assegnato, non proprio direttamente, dal Metropolita kievano. In seguito il prelato fu di estrazione locale e sottoposto soltanto in posizione dialettica all'autorità del Monastero delle Grotte di Kiev che lo avrebbe riconfermato. Pratiche rituali multietniche. Non insisterò sulla multietnicità dei territori di nordest, se non entro uno schema di grossolana ripartizione di 51 uno stretto numero di gruppi etnici sparsi nell'enorme foresta boreale europea nel X-XI sec. C'è così un nord abitato in prevalenza da ugro-finni dal Mar Glaciale Artico fino agli inizi della foresta boreale o taigà poco a sud del Circolo Polare Artico ed è la biocenosi dove gli uomini vivono più volentieri ai suoi margini lungo i grandi fiumi che l'attraversano in lungo e in largo e le rive baltiche e dove le etnie coabitanti sono di bassissima consistenza numerica. All'epoca che mi tocca predominano nella taigà gli slavofoni su balto-slavi e ugro-finni. Verso sud la foresta si rarefà e comincia la steppa alberata (lesostep') cioè un'ampia fascia a nord delle cosiddette terre nere (černozjòm) fertilissime e più facili da coltivare. A sud di Kiev e di Černigov c'è l'ultimo lembo di Pianura Russa vera e propria che finisce sulle rive del Mar Nero. Qui è ormai la steppa (step) dove i pastoriallevatori nomadi vi si alternano nei pascoli e provengono dall'Asia Centrale da tempi immemorabili. Turcofoni in maggioranza, si scontrano spesso con le altre etnie limitrofe, specie caucasiche. A causa dei mutamenti climatici o forse per i sentitodire sull'esistenza di regioni più fortunate a sud, i gruppi etnici ugro-finnici tendevano con gli anni a dirigersi dal loro nord all'incontro con i balto-slavi, questi ultimi in migrazione contraria verso nord. Alcuni gruppi ugrofinnici giungono in prossimità delle sponde del Mar Nero abitate dai greci con la loro invidiatissima cultura e si mescolano in un pot pourri con altri barbari celtici e indo-iranici, con i nomadi turcofoni e con gli orticultori e 52 agricoltori slavofoni (A. Kappeler 2006, S.A. Pletnjòva 1990, P.P. Toločko 1999). Solitamente quando i popoli vengono a contatto, per riuscire a convivere nella stessa area è giocoforza meticciarsi evitando i conflitti poiché essere in perenne migrazione o in perenne regime di guerra logora il tessuto etnico. Negli spostamenti la gente porta con sé la propria identità culturale peculiare anche in ambito sessuale e, in funzione delle mescolanze, i costumi risultano dopo qualche tempo ibridi sotto i vari aspetti. A. Rubljòv ca. XV sec. Trio di angeli Nei contatti interetnici si infiggono elementi nuovi nelle abitudini del fare all'amore che si ritrovano abbelliti nel 53 folclore sotto l'erotismo favoloso degli eroi slavi e ugrofinnici. Non solo! Il bisessualismo, il transessualismo i travestitismi sono aspetti accettati tranquillamente nelle culture slavo-russe, turche e ugro-finniche come doni degli dèi. Rendono sacri i portatori di diversità talmente che alcuni di loro – uomini o donne o trans – i cosiddetti effeminati e rispettivamente le cosiddette maschiacce sono ritenuti individui i soli degni di eseguire rituali e pratiche sciamaniche speciali. È importante la tradizione orale sulla questione perché fornisce indizi e episodi riguardo i comportamenti dei gender sopracitati e sono dell'idea personalmente che gli angeli cristiani dipinti nelle icone da Andrei Rubljòv si rifacessero proprio a quei personaggi accennati poc'anzi. Ho scritto di sacerdoti segnati nel corpo dagli dèi e dei rituali a cui costoro erano infine addetti, manca però per le etnie della Pianura Russa e tanto meno per gli slavorussi una mitologia organizzata nel modo classico con un olimpo di dèi e di altri esseri straordinari a cui rivolgersi con rituali standardizzati. E dunque come e quali dèi servivano i sacerdoti pagani? Per fortuna gli etnografi dopo una faticosa raccolta messa a punto nel XIX-XX sec. una certa misura di ordine l'hanno fatta e peraltro in ambito sessuale utile alla mia ricerca. Ho così trovato alcune cosiddette bylički o byline brevi in cui si accenna alle abitudini famigliari nell'intimità e ciò mi ha chiarito qualche punto incerto o oscuro, pur tenendo conto delle stratificazioni createsi col passar delle generazioni (O. Kotovič & J. Kruk, 2013). Nel caso dei reperti archeologici i problemi attengono 54 non tanto alla datazione quanto all'interpretazione dei reperti stessi discussioni specialistiche talvolta lunghe favoriscono, una volta pubblicate, altre fantasticherie. al contrario che causano e complicate e speculazioni e Una ricostruzione materiale della società slava del X-XI sec. finora da me qui sommariamente accennata ha buoni riscontri nei reperti archeologici nella foresta polaccobielorussa (Łodž) dove un intero villaggio dell'Età del Ferro è stato riportato alla luce, Biskupin. Il fallo (russo jarun) di legno in figura trovato negli scavi era usato evidentemente per riti a sfondo sessuale piuttosto che come strumento (tecnicamente dildo) per masturbarsi. È da notare che è in legno di quercia, albero sacro al dio 55 della tempesta Perun, esso stesso al contempo divinitàsimbolo della forza virile. I frutti della quercia, le ghiande, non solo rassomigliano moltissimo al glande umano col suo prepuzio, ma addirittura in parecchie lingue europee glande e frutto della quercia sono varianti della stessa parola a riconferma che la quercia alla fine era un simbolo fallocratico. È lecito quindi secondo me affermare che Perun è il dio che abita nelle querce e usa il fulmine come arma e che il fulmine rappresenta esattamente lo spruzzo spermatico divino che sotto forma di semplice pioggia sollecita la 56 fertilità della terra, ma se colpisce un essere vivente brucia e può uccidere... In zona caucasica (Cecenia) si è conservato a testimonianza delle frequenti mescolanze etnico-religiose il nome del dio ceceno della tempesta Pirjò o Pirjòn quasi omofono col precedente Perun e a lui è attribuita la stessa potenza fallica che poi passa all'uomo maschio. In tale ottica nelle montagne caucasiche (Daghestan) si tiene addirittura ben custodito in cantina un fallo di pietra unto regolarmente in certe occasioni dalle donne di casa (v. figura). A G. Novgorod intanto fra i graffiti scoperti e salvati nella cattedrale di Santa Sofia, costruita sullo spazio di un ex tempio pagano, è stato ritrovato quello qui riprodotto in figura (V. Dolgov, 2007) in cui il graffitaro di quel tempo impetrava, se la scritta in russo pomoc' cioè aiutami ha questo intento, la divinità di esaudire la sua richiesta di appuntamento con l'innamorata. E non è questa una prova della riconosciuta sacralità del 57 sesso agli occhi dei cristiani paganeggianti del XI sec. e dell'obbligata indulgenza verso il fedele indaffarato a sgraffiare i muri? Perun, nel dialetto slavo-russo del nord diventa Peryn o Volos a G. Novgorod e corrisponde al finno-ugrico Jumala o Jubmel. e vivevano insieme e in pace prima dell'arrivo del cristianesimo. Le tre etnie fondatrici della città: slava, baltoslava e ugro-finnica avevano ognuna un tempio sulle alture a sudovest della città. I tre templi scavati dagli archeologi sono gemelli non tanto perché dedicati alla stessa divinità quanto invece per indicare la parità civile e religiosa dei tre gruppi fondatori. Nella figura c'è la ricostruzione di uno di quei templi con il fallo di legno al centro mentre soffia il vento tipico locale che annuncia la nuova stagione. E infine come non fare un confronto pure fallico del famoso idolo di Zbruč della figura ancora più avanti con 58 le erme greche e romane? L'idolo è un palo di pietra locale a sezione quadrata, ma il cappuccio sulle 4 teste umane in cima non è forse un glande denudato del prepuzio? Le erme, peraltro molto comuni (benché più antiche) nella Mitteleuropa, hanno un'estrema analogia con il detto idolo. Riproducevano il dio greco Hermes o l'omologo latino Mercurius il cui simbolo era appunto il fallo (hermes in greco). Tali rappresentazioni in pietra erano poste lungo le strade dell'Impero Romano e sappiamo che favorissero il fiorire delle messi e le proteggessero. Non sono riuscito a sapere invece per quali funzioni 59 divine l'idolo slavo fosse venerato e, benché ne siano stati trovati altri simili, per il resto, salvo l'assenza del caduceo o kerykeion di Hermes/Mercurio e della bacchetta con i due serpenti attorcigliati, la coincidenza è sorprendente. È molto probabile che facesse parte di un santuario su un'altura e che fosse infisso in una pedana di legno al centro di un recinto/locale sacro orientato secondo i 4 punti cardinali. La figura alla base rammenta il titano Atlante con l'universo in groppa. Esisteva la corrispondenza amorosa nel Medioevo Russo in cui ci si scambiava missive per parlarsi d'amore? Certo! A G. Novgorod ne sono state ritrovate numerose, a denuncia della maggiore alfabetizzazione almeno delle donne, seppur le comunicazioni sono brevi e scritte su scorza di betulla (berjòsty). Ce n'è un paio interessanti del XIII sec. e in una (catal. NGB [6], No. 377) si legge nella mia traduzione un intreccio di relazioni complicate: Da Mikita (m) a Anna (f). Vieni da me [all'amore!]. Io ti desidero intensamente e tu me [altrettanto]. Ignat (m) è testimone [della mia intenzione]. Un'altra berjòsta addirittura esprime dispetto in fatto d'amore (NGB No. 752 databile 1080): [Ti ho scritto] ben tre volte. Cosa hai contro di me che non sei venuto da me questa settimana? Ero ben disposta verso di te come verso un fratello. Ti sei offeso perché ho mandato a cercarti? Vedo che non ti va altrimenti avresti lasciato i tuoi e saresti venuto subito 60 [….] da qualche parte. Scrivimi dunque […] ti lascerò. Se pure ti sei offeso per la mia foga amorosa [in russo follia] e cominci a prendermi in giro, dio e la mia umile rassegnazione ti condanneranno. Insomma ieri come oggi esistevano vari modi di farsi la corte per giungere al coito con l'amante desiderata e, come si vede, l'archeologia dà una mano per scoprirli e descriverli nei messaggi del XIII-XIV sec. Da notare è che, a parte i nomadi turcofoni delle steppe, le etnie meridionali della Pianura Russa erano in maggioranza portatori di lingue e culture indoeuropee e quindi con culti religiosi e regole di vita abbastanza riconoscibili e sovrapponibili. I culti della Grande Dea Madre ad esempio non furono cancellati nella tradizione e si trasmisero in riti, abitudini e costumi da madre in figlio/a lasciandoci immaginare la persistenza di società in prevalenza matriarcali dove le divinità di sesso maschile furono imposte in maniera ripetuta a seguito di più invasioni di popoli indoeuropei ostili ai governi capeggiati da donne (M. Patou-Mathis 2019). Anzi! Dalle ultime ricerche sul genoma degli europei attuali di nordest posso affermare che alla loro composizione concorsero 3 flussi genetici distinti in corrispondenza di 3 invasioni dal Centro Asia e dall'Africa nel nostro continente. La prima è databile 40 mila anni fa, la seconda 9/7 mila anni fa e l'ultima 5-6 mila anni fa e quest'ultima apportò non solo la deriva genetica dei capelli chiari fino allora quasi inesistente in Europa, ma anche l'imposizione del dio supremo maschile del cielo al 61 posto della Grande Dea Madre. In conclusione i culti femminili resistettero perché si riscontrano durante tutto il Medioevo russo (e non solo in questo periodo e non solo in questa area culturale, ma in tutto il nostro continente) benché considerati da qualche studioso come genericamente “residuali”. Un simbolo principe di quei culti è la sacra venerazione per il forno pečka che risale a modelli antichissimi ed è presente nella Pianura Russa in ogni abitazione affidato in gestione alla padrona di casa. Nel modellino di forno trovato (M. Gimbutas 2006) a Csongrád (Ungheria) del 5000 a.C. è facile riconoscervi un utero gravido pronto a partorire il cibo principe che sostiene la vita dei contadini il pane (in russo antico detto žito dalla radice *živ- vivo) specialmente perché l'intera comunità ha prodotto il grano e lo ha affidato alle arti della donna per farne farina da impastare e insaporire. Accennando alle fonti di notizie storiche per i popoli ugro-finnici la loro scarsezza anche qui è enorme. Grazie ai ricercatori dei secoli scorsi i poemi epici, il Kalevala dei finlandesi e il Kalevipoeg degli estoni, sono oggi leggibili, ma ciò malgrado sull'argomento sessualità sono assai carenti. Di discreto aiuto per i baltoslavi e i loro vicini sono le Cronache di Enrico il Lettone e di Helmold di Bosau oltre a quelle di Bruno di Querfurt più altri ecclesiastici tedeschi e polacchi che riflettono le poche note positive della colonizzazione crociata teutonico-cattolica. Benché rischi di scivolare in speculazioni e anacronismi, devo sceverare un tantino meglio la questione, pur 62 rassegnandomi al fatto che tutte le considerazioni fin qui da me espresse mancano della voce di teologi pagani dell'epoca. Sicuramente ne esistettero e ebbero diatribe coi prelati cristiani sulla religione nei centri più colti di Bulgar-sul-Volga o di G. Novgorod, ma gli echi dei loro detti mancano. Il loro pensiero traspare alla fine da quel poco che i cristiani hanno creduto degno per i posteri. Alla fine rivolgersi al folclore è giustificato e, se da un lato questa fonte è preziosa, dall'altro quanto giuntoci oralmente non è facilmente attribuibile a questa o a quella etnia né catalogabile nel tempo per un confronto. C'è in fine al presente saggio il calendario slavo-russo che col cristianesimo restò saldo come substrato nelle feste e nei lavori dell'intero anno, visto che la nuova religione non poteva influire più di tanto nello scorrere delle stagioni. I giorni e le attività in campagna con le feste son ben registrati con tacche e figure incise su un legno a sezione esagonale come l'ho visto usare ancora oggi in Bielorussia. I nomadi pastori sono invece legati ai ritmi stagionali della steppa e alle fregole degli armenti e perciò vivono solitari e senza una casa fissa per gran parte dell'anno e le loro mitologie appaiono molto semplificate, a mio avviso. Evidentemente è l'islam che ha maggior successo fra di loro senza feste, senza templi e senza preti. Né mi stancherò di sottolineare che il cibo e le attività per procurarselo dominavano la vita quotidiana dei contadini e, siccome erano gli dèi a concedere i frutti, le mitologie diventano piuttosto complicate, sebbene giunteci mutile e confuse. E qui i riti orgiastici erano 63 fondamentali per impetrare l'aiuto divino e sollecitare l'intervento sugli sforzi umani falliti o insufficienti e i sacerdoti officianti erano gli stessi anziani che gestivano ad esempio la copula rituale pubblica in onore degli dèi che imitava l'unità di intenti fra il cielo e la terra. 64 Capitolo secondo Stare insieme Nel primo codice civile-penale slavo-russo o Pravda Russkaja si percepisce chiaramente il tentativo cristiano di rimpiazzare le attività familiari contadine con concetti legislativi fortemente alieni al paganesimo di nordest: proprietà di terreni, parentela patrilineare etc. È diffusissima l'idea che la famiglia mononucleare composta cioè da un maschio, una femmina e la loro prole celibe sia l'elementare e originaria aggregazione umana da cui partire per la storia della formazione di gruppi umani più ampi e giungere fino al concetto di stato organizzato. Gli studi di antropologia culturale pubblicati negli ultimi 20 anni hanno rivelato che tale tipo di famiglia non è niente altro che un costrutto riorganizzativo culturale cristiano propagandato in tutto il pianeta specialmente nell'attività colonizzatrice dei grandi imperi nati dopo la scoperta delle Americhe. Questa è la realtà e quindi è inutile affannarsi a cercare un'istituzione primordiale simile prima dell'arrivo del cristianesimo irradiantesi da Kiev nel nordest europeo. Né esiste alcuna ragione naturale che impedisca o abbia 65 mai impedito che maschi e femmine vivessero in gruppi e conducessero piani di vita in comune, ciascun individuo con la propria vita biologica e sessuale e senza pregiudizi reciproci necessariamente ostili. Ho già scritto degli handicap femminili che rallentavano la mobilità di Homo sapiens sapiens in migrazione perenne alla ricerca di cibo, ma erano inconvenienti superabili organizzandosi in modo adeguato e nell'epoca di cui mi occupo qui, X-XIV sec., tali riorganizzazioni hanno ormai avuto luogo millenni prima. Anzi, qualcuna si è persino consolidata tanto da costituire una pletora di fondamentali elementi materiali nella tradizione del Nordest fra cui il possesso di cose e di persone. Il mio discorso pertanto inizia con la mercificazione di quanto esiste nell'universo attuale a cui quasi nessuno fa più caso. Tutto si compra, si vende, si accumula e persino le persone: vive o morte. Ma era così 1000 anni fa? Non entrerò nelle questioni che attengono alla famigerata proprietà privata (si legga J. Attali 2007 sull'argomento) e mi limiterò invece al concetto di proprietà personale con i dovuti cenni ai costumi slavo-russi. La proprietà personale è, così la intendo io, assai singolare perché è esclusivamente attribuita al maschio in primo luogo e, pur non comprendendo la proprietà di terreni e altri spazi della biocenosi, non fa distinzione fra proprietà di beni materiali mobili e di bestiame. Anzi! Include consorti e bambini. Questo punto è molto importante perché coinvolge il concetto di libertà in base al sesso e all'età che è presente nel mio racconto, sebbene non sia possibile metterlo sempre in chiara luce. In 66 secondo luogo durante lo scorrere della vita nel gruppo si acquisiva quanto spettava secondo regole fisse e cioè: (a) il cibo di cui si rilasciava nei campi una parte in deiezioni, (b) le vesti che non cambiavano più se non ormai a brandelli, (c) suppellettili per cibarsi e pochissimo altro. L'archeologia ha trovato poco arredo nelle urne cinerarie e, con l'inumazione introdotta posteriormente, quando ne trova di solito si tratta nelle tombe di membri dell'élite. Strumenti da lavoro, arnesi et sim. appartengono in breve alla comunità che ci accoglie e che ce li cede solo temporaneamente. Quanto ai terreni, case o boschi, tutto è gestito dalla comunità che gode di un diritto di “noleggio” pattuito alle origini del mondo dagli antenati con gli dèi (con la Gran Madre Terra soprattutto) per lo sfruttamento dell'ecosistema. Una prova lampante e immediata dell'inconsistenza del concetto di proprietà nella società pagana del nordest è data dalle lingue parlate nel panorama multietnico della Pianura Russa. In breve gli slavi risiedevano nelle steppe ucraine da genti bellicose e di gran mobilità, come ci informa il goto Jordanes (VI sec.), finché in particolare gli slavi orientali successivamente non colonizzano la selva a contatto con gli ugro-finni dal Volga al Mar Nero. Il meticciato con queste genti alloglotte influisce sul modo di vedere l'ecosistema in cui vivono da seminomadi e quindi pure sull'esistenza di una proprietà personale. Il verbo avere, imeti, scompare e nel X sec. come termine ormai desueto sostituito dalla circonlocuzione presso di me si trova – in russo u menjà est' – e ciò ad imitazione, per esempio, del finlandese minulla on (H. Haarmann 67 2021) di gran lunga anteriore al russo. Ciò avviene nella cosiddetta famiglia allargata slavorussa che nei confronti con la fine celtica (J. Markale, 2012) e con la sippe germanica (H. Schröcke, 2007) conserva grossolane, ma notevoli, somiglianze nei legami di parentela. È chiaro che la comunanza culturale è scontata perché indoeuropea, ma una diversa concezione della proprietà personale mi ha indotto a esaminare meglio la mediazione linguistica delle donne all'interno della famiglia pagana di 1000 anni fa. Il mio primo dubbio sulla posizione cristiana riguardo tale raggruppamento è: Il cristianesimo da dove tirò fuori il modello di famiglia mononucleare, se già nell'Impero Romano era in decadenza da tempo? Alle statistiche degli specialisti addirittura risulta che ancora nell'Impero Carolingio la famiglia dopo 4 secoli di propaganda rispondeva sì! ai criteri cristiani, ma con parecchie eccezioni e non era nemmeno un concetto valido nel resto dell'Europa occidentale! Peraltro la stessa parola latina familia origine di quella italiana non indica affatto la coppia e i figli di un uomo, ma l'insieme degli schiavi domestici, i famuli, che gli appartengono. Il russo semjà che indica la donna schiava a volte è confuso con sèmja ossia seme, discendenza che può tradurre famiglia mononucleare cristiana. Un secondo mio dubbio è la famiglia madre-padre-figli indicata come minimo gruppo naturale umano. Ciò non corrisponde al vero giacché il primo gruppo originario umano è la femmina col frutto del suo utero che resta indissolubile per almeno 3-4 anni di vita in comune e 68 senza alcuna necessità di presenza paterna. Apro la Bibbia (versione di Re Giacomo, New York s. d. di cui mi servirò in seguito) e nella Genesi al capitolo 2, versetti 20-25, leggo: «...a Adamo non si trovava un aiuto giusto per lui. E il Signore Dio mandò a Adamo un sonno profondo e mentre dormiva prese da lui una delle sue costole e ne riempì il vuoto con la carne. E della costola che il Signore Dio aveva tolto a Adamo fece la donna e la presentò all'uomo. E Adamo disse: Questa adesso è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Si chiamerà Donna perché è stata tratta dal corpo dell'Uomo. Per lei l'Uomo lascerà suo padre e sua madre e si attaccherà a lei, sua Moglie, e saranno una sola carne.» Il racconto continua nel capitolo 3 e 4 fino alla nascita dei primi due figli, Caino e Abele, frutto di 2 copule con esiti procreativi andati a buon fine – si può dire oggi – e questa sarebbe la primissima famiglia coniugale semplice. Non solo! Sulla leggenda ebraica delle origini del mondo e dell'umanità una montagna di scritti cristiani attribuisce a Eva la colpa di aver insegnato il piacere del fare all'amore a Adamo, l'unico maschio adulto presente, per di più copia conforme del dio stesso che l'aveva creato, sebbene non esattamente per far da padre. Eppure il creatore aveva detto alla coppia (Genesi cap. 1, vers. 28): «Siate fertili e moltiplicatevi...», ma senza spiegar loro come fare e aver quasi costretto la donna a farselo dire dal serpente. E in più: Il creatore per il fatto di essere tale doveva sapere bene come funzionava la fecondazione sperma-ovulo per cui è stranissimo che 69 dopo quasi 50 secoli dalla creazione, avvenuta nel 5509 a.C. secondo i calcoli della chiesa di Costantinopoli, lo stesso creatore abbia permesso alla chiesa fondata da suo figlio Cristo di dichiarare l'atto sessuale peccaminoso e da limitare. Se così non fosse, chissà perché il creatore decise di concedere all'umanità un riscatto dal peccato delle origini. Lo ripeto: la nuova ipostasi divina, Cristo, fu inviata fra gli uomini per assicurare il ritorno nel paradiso da dove Adamo ed Eva erano stati scacciati, ma solo dopo la morte e a condizione di essersi comportati da vivi nella vita collettiva secondo i comandamenti divini in ambito di sessualità. A questo punto la storia si complica, se appena penso alla mitologia cristiana che mal vede l'atto sessuale come supremo piacere umano e lo trasforma in peccato delle origini e con la posizione femminile inferiore a quella di Adamo. Col suddetto bagaglio mitologico nel X sec. il cristianesimo arriva nel nordest e qui s'accorge quanto sia duro condurre un'evangelizzazione con tali argomenti biblici mai uditi prima e assurdi per la tradizione in auge. Le notizie per sentito-dire indicano queste genti da catechizzare come praticanti l'agricoltura e il piccolo allevamento e, in numero minore, dediti alla caccia e alla raccolta oltre che alla pesca. Venerano dèi celesti da propiziare per sopravvivere alle frequenti carestie e li onorano con riti periodici e solenni celebrati in santuari. Qui si radunano in tantissimi e dopo le cerimonie tornano nei villaggi di provenienza. Né sono soltanto questi dèi da venerare e da temere, perché i pagani hanno a che fare con le forze della natura che vagano nell'ecosistema e che 70 sono potenti, almeno negli effetti, quanto gli dèi celesti. Contro le dannose credenze pagane l'armamentario cristiano è pronto: un vangelo di pergamena che gettato nel fuoco non brucia e simili altre prestidigitazioni! Dai primi impatti con chi cadeva nella rete d'ascolto dei predicatori, tutto ciò si rivelò insufficiente e si dové passare alla spada per i recalcitranti affinché cambiassero le abitudini in ambito sessuale poiché, non c'era scampo, il peccato originale andava cancellato per primo e presto per vivere in un ambito familiare accettabile. Sant'Agostino (V sec.), padre della chiesa, parlava con serietà accorata della famiglia cristiana mononucleare e ne fissava i limiti e le regole di base. La descrive come consistente di due individui, un uomo e una donna, definiti secondo la regola bisessuata della società cristiana, i quali acconsentono in accordo reciproco di unire tramite l'atto sessuale le vite rispettive e di risiedere nello stesso luogo dove allevare altri esseri umani che la donna avrebbe generato. Troppo semplice? Tant'è. Le dispute sulle riflessioni agostiniane nel XI-XII sec. continueranno per secoli e la chiesa fisserà più volte i riti necessari con cui i suoi ministri benediranno quel legame matrimoniale. Amore, coppia eterosessuale e matrimonio entreranno di conseguenza come gli unici sinonimi giuridici e sacramentali di famiglia. L'insegnamento e l'educazione orbiteranno intorno a ciò poiché ogni cristiano, volente o nolente, nasce in tale famiglia e ha l'obbligo di riprodurla pari-pari durante la sua vita nei diritti e nei doveri. Le ricerche di antropologia culturale pubblicate negli 71 ultimi decenni, come scrivevo sopra, escludono un unico modello universale di famiglia tanto meno assolutamente mononucleare, mentre si citano adattamenti numerosi e vari all'idea di una partnership per gestire la crescita dei bambini senza porre particolari accenti sulla relazione amorosa precedente o seguente dei genitori putativi (S. Blaffer Hrdy 2008). Di conseguenza la famiglia che si va affermando oggi dopo i vari esperimenti allo stesso scopo di vita collettiva del '68 resta un'invenzione culturale. Chiaramente l'intesa sessuale e la definizione del sesso dei partner può mancare perché la famiglia si dovrebbe caratterizzare nella massima libertà in ogni ambito ivi compreso il numero dei partecipanti al connubio… insomma molte miglia lontana dal modello cristiano! Una definizione, se si vuol continuare a usare tale chiave dello stare insieme, si può descrivere così, esclusa ogni ingerenza ideologica: Gruppo umano consistente di due adulti che stabiliscono liberamente di vivere in un'unica residenza per un certo periodo della loro esistenza al fine di realizzare un progetto di vita che nessuno dei due riuscirebbe a portare a compimento da solo. Io che ne scrivo nel 2021 posso immaginare a posteriori in parte corroborato dalla tradizione orale come andava a finire per il predicatore lanciato nel mare pagano con tali idee. Con un pizzico di fantasia ho ricostruito con quali argomenti il vescovo l'avrebbe esortato a prendere le più estreme misure: <Distruggete tutto: Templi, simulacri, recinti sacri e ridicolizzate i loro sacerdoti. Cercate di insinuarvi destramente nella loro realtà familiare e indottrinateli! Vedete un po' come funzionano quelle 72 famiglie e nel dubbio imponete le nostre regole cristiane con la forza. Fate questo in nome della croce e se vi uccideranno, ne sarete ricompensati in paradiso.> Al di là dell'immaginaria conversazione è utile, non avendo intenzione di rifare la storia del cristianesimo, sapere che fra gli scritti canonici l'ortodossia, la variante di cristianesimo penetrata per prima nella Pianura Russa, oltre ai vangeli canonici cattolici lasciava circolare i vangeli detti apocrifi del tipo il Racconto di come Dio creò Adamo (Skazanie kako sotvori Bog Adama) di tenore cataro-bogomilo. È notevole l'udienza che questo scritto in particolare raccoglieva fra i battezzati di Kiev quando il predicatore infiorandolo a suo modo lo leggeva alla fine del X sec. Il racconto parafrasava le parole della Bibbia dove è descritta la famiglia di Adamo e di Eva, ma dopo andava avanti a ruota libera su Satana etc. S'è scritto a lungo della zadruga, termine d'origine serba usato dalla storiografia del passato per designare la famiglia allargata pagana in opposto alla famiglia mononucleare cristiana. Ebbene io ho scelto di chiamare la famiglia allargata col termine verv, parola di origine scandinava che appare per la prima volta nella Pravda Russkaja (ne accennavo prima) per convenienza al posto della fittizia zadruga o del russo plèmja (v. M. Vassmer, 1987) e addirittura di porodica, altro termine serbo per famiglia usato nel linguaggio della chiesa ortodossa per indicare i fedeli come gregge del divino pastore Cristo. I villaggi riportati alla luce nella Mitteleuropa e in Ucraina contano ciascuno poco più di un centinaio di individui alloggiati in complessi abitativi (dvor) non 73 troppo grandi né tanto discosti l'uno dall'altro. Le notizie sulle reciproche relazioni sociali degli abitanti sono scarse e imprecise, ma tutto lascia presumere che nel dvor trovasse accoglienza l'intero gruppo famigliare formato da più generazioni e cioè da un maschio poligamo con le sue consorti, dai loro figli anch'essi poligami (se in età giusta) con le rispettive consorti e la prole. Vi erano allogate eccezionalmente pure le sub-famiglie dei figli dei figli, spazio permettendo, ma sull'aspettativa di vita di 3540 anni, una stratificazione di più di tre generazioni era in ogni caso impedita. Le complicate parentele. Fattori ambientali abbastanza rigidi stanno a fondamento di ogni decisione sullo sfruttamento del territorio che deve mettere in conto di riuscire a mantenere in vita soltanto un numero definito di persone... dopodiché quelle in più devono emigrare. I villaggi tendono a restare con un numero di abitanti pressoché costante nel tempo con un'economia agricola e di raccolta subissata dalle malattie perinatali, dalle febbri puerperali e dalle carestie per tacere dell'impoverimento del suolo. La prole maschile inoltre assicura nel futuro la stabilità dell'intero villaggio, mentre le figlie lasciano il loro nativo dvor e seguono i loro consorti in un altro dvor o in un altro villaggio. Per esigenze rituali il costume vigente è l'esogamia ossia trovar mogli “nuove” in altri villaggi, sebbene all'interno della cerchia delle femmine 74 del rod (russo per schiatta, clan) di cui si è parte. Spessissimo (e lo metterò in evidenza) l'esogamia non risulta così esclusiva e totale di fronte alla scelta d'una consorte nel vicinato immediato. La donna offre la sua potenzialità generatrice e il suo lavoro soprattutto e, se fosse rimasta nella famiglia d'origine troppo a lungo, avrebbe potuto squilibrare il benessere generale dei suoi parenti nel consumo delle risorse. L'importante è che essa abbia imparato l'orticoltura e il governo delle bestie d'allevamento oltre a quanto concerne tessitura e le minime conoscenze medico-infermieristiche. Ignorando che il seme maschile fecondi gli ovociti femminili e dunque la parte di eredità genetica nuova che la donna apporta, deve essere in buon tirocinio sessuale ossia che abbia fatto all'amore con altri uomini. Le numerose copule provano che sa fare all'amore e perciò fra i servizi richiesti rende piacevole il rapporto col consorte nel farlo godere. La fertilità e la sterilità sono argomenti di gran peso, ma difficili da definire in quei tempi e tuttavia restavano un problema femminile e mai maschile! A questo proposito è da notare che in molte tombe femminili dell'area slava si ritrovano uova di coccio a conferma che la morta avesse avuto dei figli (F. Schlette, 1962) e dunque del trionfo della sua attesa fertilità. L'uovo nella mitologia slava rappresenta la vita e come essa nasce e le uova di coccio variopinte (pisanki) con sassolini all'interno sono dei prodotti dell'artigianato femminile kievano ancor oggi e si usa regalarne alle ragazze appena puberi nella festività del kumlenie come simboli di 75 fertilità. Per la natura della società pagana patrilineare in prevalenza, sorge la necessità di riscontrare alla nascita il maschio col pene posto in bella evidenza essendo l'unico destinato ad insediarsi nell'élite del potere all'età giusta. Siccome non c'è maschio che vorrebbe dipendere interamente per il piacere sessuale dalla femmina, lei è condannata al servilismo e alla passività in ogni occasione per soddisfare le pulsioni del maschio e non si interessa perciò della di lui attività sessuale con altre donne. Se poi di femmine comincia a essercene troppe, l'espediente consigliato persino nei racconti popolari è di sopprimere alla nascita quelle in soprannumero o in alternativa di crescerle per venderle al mercante di schiavi. Assodato che il maschio è posto su un gradino più alto della femmina, su un gradino più alto ancora c'è il maschio d'età maggiore di tutti: il capofamiglia (bol'šàk o staršinà, stàrosta, starožilec) che rappresenta fra i vivi l'eponimo trapassato. Il modello che sto descrivendo ha parecchie varianti e moltissimi esiti di evoluzioni storiche locali e perciò esige un ripasso continuo su questi e su altri punti. Sono certo però che il mio lettore mi perdonerà, se riuscirò a volte a segnalare, ma non a rivedere ciò che muta. Dunque proseguo e la bibliografia da me scelta lo aiuterà.... La verv vive distribuita nel dvor che è un insieme di costruzioni dove si lavora e si riposa. La casa più ampia è la più frequentata e ad essa fanno tutti riferimento poiché è la dimora del capofamiglia e della consorte (bol'šùxa). Costei è la prima fra le donne perché ha partorito il primo 76 figlio (secondo nella scala del potere) che è ancora vivo o, se morto, dal fratello a lui susseguente. Di solito è la più anziana delle colleghe del dvor, sebbene tutte insieme agiscono quasi alla pari al posto economico di comando. Nella casa maggiore (dom) ci si riunisce per i posidelki (discussioni sulla distribuzioni di incarichi, lavori, etc.) e soprattutto ogni sera per mangiare. C'è però una serie di costruzioni minori dove alloggiano i figli maschi e le loro famiglie per la notte. Sono queste ultime il modello di casa medievale di legno (izbà) dallo spazio limitatissimo di 16-20 mq. Vi si dorme distesi su pellicce l'uno abbracciato all'altro stretti stretti per tenersi caldi e per fugare le terribili paure del buio spaventoso della notte, data la mancanza di finestre e di illuminazione, salvo il chiarore della bocca della stufa posta in angolo. Il contatto dei corpi nudi è programmato per la difesa contro il freddo ed è inevitabile scivolare nella copula. Moltissimi racconti (skazki) e proverbi russi ne accennano sottolineando, a volte con biasimo ironico, la sensualità eccitante nell'accarezzare un corpo nudo... a qualunque genere esso appartenga (M. Dikarev 2020)! La vita operativa nella bella stagione inizia all'alba e termina al tramonto nei campi coltivati per il maschio e per le femmine più giovani nella foresta e in casa per le adulte anziane. Malgrado ogni precarietà, esistevano intensi contatti fra le famiglie di villaggi non troppo lontani. Feste locali ce n'erano spesso e periodicamente c'erano le celebrazioni solenni fatte nei santuari a cui facevano capo un numero di villaggi che si sentivano appartenenti a una certa stirpe 77 (rod). In queste occasioni si ritrovavano i simboli e le tradizioni comuni. Di solito il santuario non era a due passi e lo si raggiungeva con un viaggio rituale (guljanie) se non c'erano impedimenti stagionali, col capofamiglia in testa che guidava i giovani rampolli del suo villaggio. Nello spazio del santuario si lasciava che amicizie e leghe amorose etero o omosessuali o d'altro tipo fra coetanei di altri villaggi nascessero numerose. Nell'atmosfera del cameratismo e dell'eccitazione festiva ciò comportava giochi erotici (igry) fino all'amplesso anche a più persone (antico-russo kùpa o ammucchiata e nel linguaggio tecnico pornografico odierno gangbang). Tutto accadeva non solo fra futuribili consorti, ma pure fra coniugi di sconosciuti e nessuno avrebbe mai marchiato il coito extramaritale come adulterio (blud) o roba simile giacché far sesso era e restava un rito sacro. L'educazione sessuale dei giovani veniva dalle anziane, vedove stimate che avevano il ruolo di controllo/aiuto medico. Nel folclore popolare l'anziana è ricordata col nome di Baba-Jagà che dal regime imposto dai cristiani fu ridotta a strega malefica e ogni suo agire bollato come diabolico. Accogliere i giovani nella foresta nella sua casa magica sospesa su una zampa di gallina per “farli rinascere” è detto dal punto di vista cristiano evento peccaminoso e orrendo dato che la Baba-Jagà possiede grande sapienza in campo sessuale come filtri d'amore, tecniche manipolative et sim. Se alla giovane madre era affidata la cura dei suoi figli ancora vivi per 3 o 4 anni dopo un anno dal parto, nel caso che costei provenisse da un'etnia con lingua, 78 credenze e costumi diversi, ciò suscitava curiosità nelle anziane, ma esse non ponevano alcun limite educativo. Unico assioma era che i figli fossero tutti della stirpe della madre e eventuali somiglianze a colui che oggi sappiamo essere il padre erano frutto di manipolazioni femminili. Nelle byline ucraine si legge, aperta com'è la verv ad accogliere positivamente qualsiasi innovazione, quanto possibile e piacevole fosse quasi stare a spiare le tecniche amorose nuove e le arti sul comportamento di genere da mantenere in pubblico. La gravidanza all'interruzione del mestruo significava da un lato un'attività ridotta nel lavoro manuale per la futura puerpera a causa di una serie di inconvenienze fisiche a partire dall'aumento del peso corporeo etc. e dall'altro lato, sgravata, una fatica in più a causa dell'allattamento e della cura del bambino. Benché nessuno sapesse come mai finché allattava non avrebbe figliato, la puerpera non rifiutava di amoreggiare per il suo semplice piacere o per richiesta del maschio di turno. Sia come sia ogni variante di atto sessuale compresa la masturbazione era insegnato ai bimbi che per gli standard del tempo era puberi a 10-12 anni e se maschio già un adulto. Se femmina, appena avuto il menarca a 1213, era invece pronta a fare all'amore. Pacificamente si ammetteva che sia l'uno sia l'altra fossero in grado e in età (approssimate, ad esser puntigliosi) di acconsentire consapevolmente a una proposta di matrimonio. Anzi, l'idea era che ai primi segni della pubertà cominciava finalmente la vita dell'essere umano partendo dalla sessualità. Nel dvor i bimbi nella loro consueta nudità 79 erano agevolati a scoprire le differenze genitali, a toccarsi in quelle zone oltre che a manipolarsi e farsi manipolare per tutto il corpo. Erano attività spontanee che stimolavano curiosità positiva e nella banja russa, specie di sauna allestita in una costruzione separata appena fuori di casa per tutta la famiglia, i bambini avevano la possibilità di osservare meglio come erano fatti gli adulti nudi persino se questi si davano a effusioni amorose. E qui mi viene in mente il jus primae noctis che nella verv corrispondeva approssimativamente al rito russo dello snoxačestvo (snoxà è la nuora del capofamiglia e cioè la sposa o ženà di un membro maschio). Era comune l'idea che fosse la donna a dirigere e a gestire il coito e il destino dello sperma da lei trattenuto o rigettato, seppur ignorandone la funzione biologica. Orbene, siccome col matrimonio entrava nella verv un nuovo membro femminile il cui compito era di generare figli e siccome costei probabilmente aveva fatto all'amore in precedenza, il primo dovere del capofamiglia era di esaminarla per bene e di insegnarle come dovesse comportarsi, almeno nelle fasi consuete della copula, col futuro coniuge magari più impreparato, affinché ne avesse soddisfazione. Come si vede il concetto non è di deflorare la giovane, ma di accertarsi che sapesse usare ogni potenzialità seduttiva e, data la sacralità del fallo maschile, per la snoxà era un onore accogliere quello del suocero perché auspicava una futura buona gravidanza. Lo stesso era se il capofamiglia preferiva procedere solo alla rottura dell'imene (!?) con una manovra digitale o con un sacro fallo di legno. Infatti, se una consorte che le donne di casa avessero accusata di 80 non aver generato entro un certo periodo di tempo, sarebbe stata rimandata dai suoi o relegata fra le serve (slugà) per le incombenze più contrastate incluso il far sesso con tutti o essere offerta all'ospite da “benvenuto”. Questo però, devo dirlo, per la forte omertà fra le donne accadeva molto di rado, secondo le byline. Singolarità della verv. Per una moglie veniva pagato un prezzo del latte ai genitori, veno, che ripagava le spese di averla mantenuta in vita fino al matrimonio. Se invece era “offerta” dai genitori, la si accompagnava con una dote di vulva (russo kunnoe) e finché non fosse diventata madre la donna si doveva riscattare col suo lavoro e niente tempo perso in smancerie... altrimenti mano alla rozga (verga) o alla plet (frusta a più trefoli)! La storica A. Sergeeva (v. bibl.) ammette che il russo di oggi viene educato tradizionalmente a sentirsi parte di una comunità e che i piani per il futuro della sua vita possono avere esiti positivi esclusivamente elaborandoli con gli altri componenti del suo circolo. In un'indagine demoscopica il 72,3 % alla domanda: Che cosa è più importante nella vita? Rispondono: Che tutti abbiano le stesse opportunità e che sia preferibile vivere come gli altri piuttosto che distinguersi individualmente. La tradizione conglomerata nell'archetipo russo in questione ha radici storiche precise che posso esplicitare in qualche data. (1) 1054 – Scisma con la cristianità latina e rafforzamento della cristianità “ortodossa” nella Pianura 81 Russa. (2) 1204 – Conquista e saccheggio di Costantinopoli da parte latina e sostituzione del patriarca. Mosca fa sentire la sua presenza politica mentre il regime latino dura fino al 1261. (3) 1236 – Assalto e distruzione di Kiev, fatti salvi il Monastero delle Grotte e la cattedrale di Santa Sofia, da parte dei Tataromongoli. Questo regime per ben 3 secoli convoglierà moltissime novità nelle abitudini e nei rapporti fra comunità russe e allogene della Pianura Russa. E qual è l'aggregazione che è riconosciuta ancor oggi come collettivo umano da conservare e da riadattare? Certamente la verv magari sotto un'altra denominazione! E come si fa parte di una verv? Di sicuro per esservi nato o al limite esser stato adottato come figlio, se maschio e, se femmina, col matrimonio, come già scrivevo. E serve aver parenti in una verv? In realtà non serviva granché nel passato in quanto la verv accoglieva al massimo 3-4 generazioni nell'albero genealogico e pertanto gli altri discendenti erano quasi costretti a emigrare altrove. La verv rappresenta nell'immaginario collettivo quasi un'istituzione eterna che non si estingue se i capifamiglia muoiono, ma persiste in qualche modo sotto la direzione del maschio più anziano presente. Costui di solito è il primo fratello (o fratellastro, aggiungerei, non sapendo chi è la madre fra più mogli) del capofamiglia defunto giacché in breve non c'è l'eredità padre-figlio del potere. Allo scopo di conoscere le parentele approssimative ho riprodotto da internet una rappresentazione pittorica con i legami reciproci di parentela permessi e ammessi col resto dei membri dell'una, EGO è il maschio, e 82 dell'altra famiglia, EGO è la femmina. Per semplicità ho omesso nel mio discorso le consorti in più dei maschi cioè la diffusa poliginia né ho incluso gli schiavi e i servi i quali, non trovando per la loro posizione sociale una collocazione di parentela, non avevano diritto di accesso certo nel sistema della verv, salvo eccezioni. Come spesso accade in un gruppo numeroso di persone, c'era sempre l'inetto, il disabile o il debole di mente al quale si assegnava l'incombenza più semplice, ma proteggendolo dalle angherie dei soliti bulli perché in ogni caso era considerato persona sacra. Lo stesso non accadeva per la donna con le stesse disabilità e pare che si impedisse che generasse con intrugli anticoncezionali ad hoc o con l'aborto. In russo un maschio con tali tratti era chiamato smerd e col passare del tempo la gente di città 83 usò lo stesso termine per indicare il contadino in generale con una semantica spregiativa simile a zotico, cafone. Nel mio novero mancano pure le vedove e gli orfani e i militari. Per questi ultimi, se erano membri della verv che tornavano da una campagna, riammetterli nel tessuto famigliare restava una faccenda troppo complicata, se non avessero portato con loro un buon bottino. Quanto invece a vedove e orfani i costumi erano diversi da luogo a luogo in base al sesso riconosciuto. La nomenclatura usata che si legge nella figura in russo si è conservata fino alle epoche attuali e serviva non solo a definire l'identità dell'individuo, ma anche a localizzarne la provenienza geografica nel raggio di una mobilità assai limitata. Bastava invece aggiungere al proprio nome (nome pubblico!) quello del padre e del nonno per definire a quale rod uno/a appartenesse. I nomi propri peraltro erano sempre gli stessi passati di padre in figlio e particolari per ogni villaggio insieme col soprannome, importantissimo quest'ultimo per gli adulti, perché il più conosciuto dagli estranei nei sentito-dire. Non solo! Si pretendeva che una persona riuscisse a risalire nel tempo ripetendo a memoria i nomi degli antenati maschili (pradedy) per arrivare al capostipite vissuto secoli prima e così vantare i propri diritti in caso di dispute su occupazione di terreni, di passaggi lungo i fiumi e di pedaggi sugli spartiacque etc. Infine i legami più forti fra i membri della verv non erano basati tanto sull'amore o il rispetto et sim. per l'altro dati per scontati quanto invece – esempio smagliante – sulla legge del taglione che univa i maschi di una verv nella vendetta 84 cioè nell'obbligo di ciascuno ad esser pronto a lottare fino alla morte per lavare un'offesa fatta a uno di loro (morto o vivo) o a uno stretto parente o persino al vicino o da questi ricevuta da terzi. Presso gli Alani-Osseti-Iron del Caucaso l'uso si è conservato fino ai giorni nostri fra i quali l'offesa maggiore da vendicare è l'aver costretto una donna al coito con minacce, ricatti e violenza... La nomenclatura della verv fissa pure la casella (čin) dove inserire l'individuo e così fissa tipi e misura della funzione produttiva, la porzione di derrate assegnata a ciascuno e il grado di potere che ognuno può esercitare. E per le donne? Tutto era per principio condensato nella di lei funzione generatrice. Ogni casella è concepita in rapporto di parentela di ciascuno con la coppia suprema e con i suoi prossimi e regola la rispettiva partecipazione a ogni atto della verv automaticamente come, esempio importante, l'essere ammesso/a alle assemblee di villaggio alla vece o ai posidelki, fissandone il peso decisionale nel voto. E qui inserisco alcune mie note: (1) Per l'intero discorso ho usato termini come moglie, marito, matrimonio, famiglia etc. perché non ne ho altri, ma è bene che si sappia che i contenuti semantici delle parole usate per questi ruoli e funzioni 1000 anni fa erano diversi da quelli odierni in italiano e persino in russo. (2) Il sistema ha una profonda impronta maschilista e il maschietto o la femminuccia non appena puberi ricevevano il nome “da uomo” o “da donna”, benché all'esterno ambedue vi aggiungessero il patronimico ossia il nome del padre e non della madre come nel remoto passato matriarcale. 85 (3) La donna dal marito riceveva il di lui nome (oggi, dal 1917, il cognome) nella desinenza femminile (in russo -vna, in lituano -né etc.). Una vera parodia del sistema del rod è ancor oggi in uso ufficialmente nel mondo elegante per apostrofarsi fra russofoni ossia con nome+patronimico e la domanda da fare all'estraneo è rimasta ironicamente la medesima del passato: Da quale clan provieni (Otkuda ty rodom)? Se per la chiesa cristiana infastidiva in tutta questa promiscuità l'aborrendo peccato dell'incesto, nel nordest europeo tale preoccupazione non esisteva. Questo punto è fondamentale perché denuncia come lentamente, ma inesorabilmente l'educazione latina si discostava sempre più da quella cristiana orientale in gran parte ortodossa. Eppure all'incesto la chiesa cristiana aveva legato la minaccia dell'inbreeding (consanguineità) ossessionando i pensatori cristiani di Alessandria, visto che per le famiglie nobili egiziane l'incesto era la maniera eletta per “non inquinare il sangue nobile”. I padri della chiesa, quando ancora il costume era ammesso, avevano proibito ai cristiani il matrimonio fra persone che riconoscessero antenati comuni fino alla 7.ma generazione, adducendo come ragione che l'incesto causasse il decadimento fisico di un'intera casata. Nella tradizione e nel folclore slavorussi i fenomeni considerati negativi come le eventuali malformazioni fisiche dei neonati, non erano al contrario dovute al “cattivo mescolamento di sangue”, ma era colpa di un comportamento sessuale inconsueto di una rancorosa donna-madre “venuta da un altro dvor” o l'esito di un incantesimo e perciò spesso il neonato era da 86 sopprimere. Che poi il figlio fosse in qualche modo “disabile nei comportamenti” per i pagani presupponeva senza dubbio un intervento magico da parte della madre sul nascituro. In più il sospetto di averlo concepito con un uomo diverso dal padre biologico non ci fu finché il cristianesimo non introdusse il marchio spregiativo di figlio adulterino. Oggi sappiamo che, se mancano apporti genetici esterni in un certo gruppo relegato in un certo territorio e se si praticano per lungo tempo accoppiamenti riproduttivi in preferenza all'interno del medesimo gruppo – endogamia dal punto di vista antropologico – col passar delle generazioni nel genoma si accumulano mutazioni che generano una deriva genetica considerata alla fin fine utile se si riflette, ad esempio, nei tratti fenotipici di grande somiglianza per i membri di un intero villaggio. Per i cristiani c'era poco da distinguere: Ogni stranezza nel neonato era il segno della punizione divina alla donna-madre per aver commesso peccati d'incesto o di lesbismo, per aver concepito nei giorni proibiti o per chissà quale altra impurezza. Prudentemente l'ortodossia slavo-russa scelse il silenzio tout-court su malformazioni e malattie varie del neonato etc. e sulle misure prese sulla soppressione di questi bimbi appena nati e l'unico intervento che attuò per davvero fu esortare i genitori putativi di evitare di fare all'amore in peccato. In fondo in fondo però io credo che la questione fosse un'altra. Raccontano le byline che, essendo le donne escluse dal potere, avrebbero potuto produrre tanti maschi se lo avessero voluto e questi figli li avrebbero 87 posti al loro servizio per ribellarsi al maschio-padrone e per riconquistare la supremazia matriarcale. Addirittura dai desideri per certi cibi della futura madre o dalla palpazione del feto prima dello sgravio era possibile saperne il sesso (G.M. Naumenko 1998). Per questo motivo alla presentazione del neonato alla verv, era indispensabile “per fare i conti” che tutti gli occhi (e le mani) si appuntassero sulla presenza del pene e che l'organo fosse ben fatto e che nessuna madre osasse castrare il neonato di nascosto! Il sistema di potere nella verv richiedeva un numero chiuso di persone con pene per partecipare al potere e a nessuno interessava che uso se ne facesse dell'organo da adulti. Il cristianesimo insisterà affermando che per sposarsi serve un pene e una vagina e che occorre l'intenzione dell'uno e dell'altro componente della prevista coppia a offrirsi l'uno all'altra in corpo e in anima. Non solo! La coppia era fissa per tutta la vita con l'assenso reciproco e sotto l'occhio attento del creatore. L'uomo che lasciava il suo seme nell'utero di una donna significava prendersi l'impegno di proteggere quella donna in futuro, lei e la prole che dio aveva concesso, e diventare così capo (bolšak) di una nuova famiglia e giammai simile alla verv peccaminosa. Tuttavia l'opposizione è netta alle modifiche delle procedure tradizionali e ciò affinché non si inficiassero i piani di alleanze fra i mir fondati giusto sul matrimonio tradizionale (brak) ove la donna è il pegno vivente, direi meglio ostaggio, della stipula. Un velato accenno all'assenza del sentimento amoroso reciproco e duraturo, obbligatorio per una pia coppia 88 cristiana, l'ho trovato nella vita del reverendissimo egumeno del Monastero delle Grotte di Kiev, Teodosio. Si racconta che il monaco frequentasse una famiglia detta “felice” e che volentieri si intrattenesse con Màrija, la moglie del capofamiglia. Quando il prelato le chiese dove si sarebbero fatti seppellire insieme per l'amore che li aveva legati finora, Màrija rispose che lei decideva per sé e che quindi chiedesse al consorte che avrebbe fatto a riguardo. Non viene detto molto sui legami sentimentali fra marito e moglie e sarebbe stato interessante, a mio parere, capire in maniera chiara se l'amore che legava la loro coppia era il piacere fisico, lad, oppure il tesoro personale accumulato, il klad... e basta! Si noti la rima! Altra era la situazione nella campagna slavo-russa dove l'innamoramento disperato o mal d'amore era spiegato come un'infatuazione inutile o un'infantile vanità. La coppia non aveva un vero significato sociale all'esterno della verv e si formava e si scindeva ad libitum pur continuando i partners a vivere nello stesso luogo. I costumi sessuali nel sud, a Kiev, erano alquanto diversi da quelli del nord dove c'era maggiore incidenza dei contatti con la Scandinavia e con gli ugro-finni delle rive baltiche e lo si nota su due punti salienti: (1) la maggiore indifferenza alla nudità nel nord e (2) il comportamento più rude da parte dell'uomo verso la donna nel sud. I lituani al contrario veneravano la dea pagana Lada (analoga a Leda greca) che nelle cronache presiedeva soprattutto all'allegria, al piacere sessuale e alla felicità del libero connubio fino al XV sec. che col cattolicesimo divenne il santo matrimonio. 89 La famiglia peraltro fra i popoli degli Urali settentrionali aveva spesso una donna a capo che accoglieva il maschiomarito sul suo seno quasi da ospite esterno non esistendo semplicemente l'idea di automatica di una famiglia con legami matrimoniali. Addirittura il legame nella nuova coppia, per quel che valeva, era riconosciuto e celebrato dalla comunità soltanto dopo il secondo parto poiché il primo si attribuiva a un amante precedente per nulla importante per la reputazione personale. 90 Capitolo terzo Incomprensibilità cristiana Un certo successo sul ridimensionamento della sessuale promiscuità dei pagani la chiesa russa lo conseguirà intorno al XV-XVI sec. quando introdurrà in maniera massiccia l'educazione cristiana dei giovani e delle giovani presso gli istituti conventuali in regime moscovita. Sarà pubblicato allora il tardivo galateo russo, Domostroi, che accenna al tentativo pesante e perentorio di creare un sentimento di vergogna di fronte alla nudità del proprio corpo e di quello degli altri. E la vergogna non vuol forse dire che non è permesso eccitare sessualmente chi ci guarda mentre ci mostriamo nudi? Non è forse a causa della nudità che si trasgredisce ai due ultimi comandamenti del decalogo cristiano? Oggi parte di quell'etica cristiana è diventata legge con l'etichetta di offesa alla pubblica decenza in numerose collettività statali eccetto che nel nord Europa dove l'atteggiamento di fronte a svestirsi/vestirsi in presenza di estranei va dalla blanda indifferenza al rischio di essere amichevolmente irrisi se ci si schermisce o si arrossisce. Mi piace qui riportare le parole di A. Meldolesi, biologa 91 ricercatrice bolognese (v. bibl.), sull'argomento che mi ha suggerito con parole chiare e semplici dei punti di vista nuovi condivisibili appieno: «La nudità... può essere esibita o nascosta, vulnerabile o scioccante, allettante o imbarazzante, conformista o ribelle. È potente come una calamita. Il suo essere così materialmente biologica oppure così profondamente culturale ne fa una lente straordinaria attraverso cui guardare la natura umana.» Nel Medioevo Russo sant'Andrea in persona, secondo le CTP, diretto a Roma sul Tevere passa da Kiev e una volta a destino parla degli slavi che ha visto nella banja meravigliandosi della loro indifferenza per il nudo: «Ho visto cose mirabili mentre passavo nelle terre slave diretto qui. Ho visto delle costruzioni per fare il bagno fatte interamente di legno al cui interno la temperatura è altissima e [gli Slavi qui] si spogliano fino a restar nudi […] e si battono l'un l'altro con rami verdi che appena li lasciano in vita e quando escono e si versano addosso l'acqua gelata […] E lo fanno ogni giorno e non ne soffrono ma è il loro modo di lavarsi... » (trad. mia). Altro è il giudizio di al-Bakri (studioso andaluso del XI sec.) che pure descrive la banja e come essa funziona, ma non si sofferma in alcun modo sulla questione della nudità e della sua indecenza. La banja non è una sauna, bensì in realtà un bagno in aria caldissima generata da pietre surriscaldate dal fuoco che tutti i membri della verv periodicamente visitavano. Non solo! Pure gli ospiti intimi e non intimi dovevano sottoporsi a questo trattamento igienizzante prima di 92 mettere piede in casa altrui. D'altronde la banja è chiamata spesso bòžena o bòžnìca, da bog cioè dio e quindi casa di dio (in altri termini la casa della gloria divina ossia dell'amore) e resta un luogo sacro che ogni dvor deve avere perché lì si celebrano i rituali concernenti la purificazione di ogni parte del corpo. Era considerato offensivo usarla per una sola persona e c'era anche l'uso dopo la cena di nozze di concederla ai novelli sposi per la prima notte d'amore. Il nome russo odierno non è pero l'originale giacché in altre lingue slave si è conservato l'appropriato termine laznja cioè letteralmente lavatoio corporale. scena in banja tratta da internet (artista sconosciuto) 93 La banja non aveva finestre. Da una porta si accedeva a un vestibolo dove era situata la fornace incastrata a metà nella parete fra vestibolo e camera per sudare dove ci si accomodava su traverse orizzontali incastrate nelle pareti (lavki). Il fuoco che arroventava i sassi generanti aria calda ardeva dal lato del vestibolo cioè all'aperto mentre l'aria calda si svolgeva direttamente nella camera sudatoria. Nella semioscurità accarezzandosi a vicenda col vicino/a in un grooming eccitante e piacevole (laski). Si credeva che il sudore fosse il liquido amniotico quasi a ritornare nel grembo materno che rivivificava i corpi. In antropologia culturale lo stesso rituale lo si ritrova in quasi tutto il mondo a prova di una cultura universale del rito purificatorio per mezzo del calore. Presso i Sioux – ad esempio – è l'inipi (F. Cavalli-Sforza, 2018). E infatti nella banja assaporando la potenza rigenerante del fuoco si eseguivano in particolare i parti o vi si curavano nel caso i lungodegenti. Qui si consolidavano in breve i legami personali ed era possibile per le donne illibate ma vogliose di sesso interrogare (gadanie) il custode della banja, il divino bannik, quando si sarebbe presentato il futuro compagno di copula e chi sarebbe stato. Il rito consisteva nel farsi accarezzare il perineo dall'essere divino invisibile... salvo che non fosse un amante burlone celatosi là nel buio per approfittarne! Siccome mi sto occupando di lotta fra i sessi per il primato e per il potere e so che l'arte di filare e di tessere era “femminile”, mi sono domandato: Quanto opportuno fu per il cristianesimo collegare il vestito, la trasparenza o la pesantezza dei teli con la seduzione della nudità? In 94 breve la nudità fu messa al bando, almeno a parole, mentre il vestito si moltiplicò nelle fogge adattandosi unicamente alla necessità di distinguere “a vista” i ruoli sociali. Per una élite sempre più avida occorreva che il dominato riconoscesse immediatamente il dominante e il grado di dominio che costui avrebbe potuto esercitare e lo ossequiasse con equivalente rispetto. L'appartenenza o l'attrazione sessuale per nudità invece non era ritenuta distintiva per un personaggio del potere e, lo ricordo, sto parlando prevalentemente di maschi. E qui la mia solita nota. Mentre l'uomo era ridicolizzato per il mettere le sue zone erogene, il fallo, in evidenza col vestito corto, senza pantaloni e senza mutande; con le donne, specie per le servette, le prescrizioni erano tutte l'opposto. Gli orifizi corporali al di sotto della vita andavano protetti contro il malocchio e contro l'intrusione di forze divine maligne, ma non in modo da rendere difficile accedervi. Igiene? Non credo fosse l'ispirazione nelle istruzioni del succitato Domostroi in voga fra la nobiltà moscovita. Mi viene in mente che gli invasori indoeuropei a quanto pare amassero molto poco coprirsi. I maschi preferivano il tatuaggio e usavano la nudità per mostrare i bei disegni sulla pelle e esaltare così la propria bellezza fisica. I millenni erano poi passati e nelle descrizioni letterarie tramandateci o nella pittura di 1000 anni fa si annota con sospetta insistenza che la donna amasse le vesti con borchie e fermagli piuttosto che gioielli e altre preziosità. Tessuti esotici, mantelli ricamati o con ornamenti raffinati per abbigliamenti sfarzosi? Si ottenevano dalle 95 arti femminili – è vero – ma le donne, salvo che non facessero parte dell'élite, non ne ostentassero troppo! Questo sembrano suggerire le icone di Andrei Rubljòv ormai nel XIV-XV sec. (M. Alpatov 1972) a parte i limiti imposti dalla sessuofobia della chiesa cristiana all'artista iconografo costretto così a vestire quasi la totalità dei suoi personaggi eccetto il viso e una manina o un piedino. Per il resto che le donne andassero pure nude o seminude nelle loro faccende dentro e fuori del dvor senza sperpero di sforzi e materiali. Una costruzione fra quelle separate dall'abitazione principale del dvor era l'ovin ossia il deposito dove si seccavano le granaglie e anche qui entrava il sesso. Si riempiva prima della trebbiatura con le spighe appena falciate e vi si accendeva il fuoco al centro. Qui si piazzava un giovane destinato a smuovere le granaglie di tanto in tanto e a stare attento affinché non scoppiassero incendi. E se ciò avveniva alquanto spesso di notte o si spandeva odor di legno bruciato, tutti dicevano che il guardiano (ovinnik) si era dato ai suoi focosi incontri amorosi che il calore appunto attizzava e il fuoco era divampato.... E torniamo ai sedentari agricoltori (e orticultori) per i quali l'abitato, il mir, con case e campi rappresenta un'unità vivente, un universo di cui l'individuo deve far parte. Non solo! La verv e la casa (dom) dominata e gestita dalla donna di maggior età insieme con le altre donne presenti e dove vivono i componenti famigliari prima di andare a letto per la notte, sono (ancor oggi) il cuore della vita che si passa insieme. Verv e vicini di dvor si offrono reciproca assistenza, tranquillità, affetti e difesa 96 ed è logico che in russo mir significhi allo stesso tempo villaggio e pace e, perché no?, persino universo, sebbene lo si usi preferibilmente nel nord a volte al posto di verv. E in questo microcosmo i poteri del capofamiglia si esercitavano su ogni membro poiché la loro vita era interamente affidata a lui che organizzava la produzione di cibo e interveniva a correggere comportamenti aberranti che disturbassero l'ordine prefissato fra i quali giusto quelli sessuali. Gli era affidato persino il compito delicato dei rapporti del suo dvor con gli altri dvor del mir poiché tutti insieme nello stesso rod erano legati dal rispetto dei costumi, nravy, fissati nel passato dagli antenati comuni, predki e navi. Non era un potere dispotico il suo poiché, se era il caso, tutto era discusso e deciso in una riunione dei maschi (veče, posidelki) con l'assenso partecipativo delle donne. Il mir intero faceva capo al più vecchio dei capifamiglia (starožilec) che fungeva in pratica da archivio vivente della storia del villaggio. Con un'età raramente oltre i 60 anni, impersonava la memoria collettiva e il sapere tecnologico della comunità. Da lui si andava per aver consigli su come costruire una casa o su come fabbricare e riparare un oggetto e soprattutto per chiedere e ricevere arnesi e strumenti (anche armi). In particolare gli strumenti nel passato erano considerati magicamente sacri e non utilizzabili da chi non sapesse in primo luogo rispettarne la sacralità. Lo starožilec celebrava i riti religiosi iniziatici collettivi dei giovani maschi, ma pure le cerimonie intime come le nascite, i matrimoni-alleanze, le morti etc. oltre a rappresentare il villaggio nelle solenni 97 adunanze del rod nei santuari comuni o a capeggiare i suoi giovani fantaccini in caso di campagne militari. Ho notato molte rassomiglianze con le organizzazioni a clan (in turco oğlan) dei popoli turcofoni delle steppe e ciò è per me la prova ulteriore del sincretismo culturale in crescita nella Pianura Russa presso ogni etnia. Nelle steppe il maschio era a lungo via per i pascoli con le mandrie e perciò lontano dal villaggio di residenza. Per questa ragione nei villaggi della steppa vigeva una specie di matriarcato nelle questioni collettive e le donne in assenza dei maschi adulti decidevano, come scrive IbnFadhlan nel 920 d.C. (v. bibl.). Al consorte toccava solo venire a sapere delle nuove misure comuni prese dalle donne al ritorno nel villaggio e doveva accettarle, senza troppo discutere. A quanto mi risulta l'ordinamento appena descritto dipendeva dal tipo di economia della dispensa. I prodotti delle mandrie non erano gli animali da macellare che invece erano segno di ricchezza, ma il latte, la lana etc. che andavano trasformati per essere consumati o rivenduti e queste erano appunto occupazioni femminili nella stragrande maggioranza. Malgrado ciò, presso i nomadi v'erano disomogeneità numerose fra i diversi clan anche perché io qui mi son riferito ai nomadi in una situazione disturbata abbastanza spesso da liti e scontri per la distribuzione dei pascoli così pure nei mercati disseminati lungo le strade mercantili (le famose Vie della Seta) che attraversavano le steppe da est a ovest. Dai viaggiatori e dai mercanti si evidenzia abbastanza bene la preminenza delle decisioni, diciamo così femminili, su quelle maschili nel campo politico e 98 sociale. Residui di antico matriarcato ancora vigente nel XIII sec.? Può darsi... Altri sessi possibili. Inoltre, dato che delle distinzioni anatomiche esistono in Homo sapiens sapiens fra i sessi, i paganesimi senz'altro le usarono, ma le conservò come distintivi corporei e non per i comportamenti individuali correlati... almeno così pare dal poco che i documenti riferiscono. Anzi, dato che erano consentiti nelle festività religiose pagane pratiche sessuali le più curiose senza dar loro grande importanza, salvo la loro sacralità, è lecito domandarsi perché si accettò in quei tempi lontani la norma dei sessi istituzionalizzati nella società cristiana dell'Occidente Europeo come noi li conosciamo tuttora. E nel mir esistevano atteggiamenti omofobi o negativi tesi a emarginare o a eliminare persone inclassificabili nella norma anatomica bisessuata? E che misure si presero all'interno della verv per difendere la normalità tradizionale di queste persone etichettate in termini cristiani sessualmente devianti e pre-condannati come peccatori o figli del peccato? Per quanto riguarda l'omosessualità maschile ho trovato l'interessante seppur censuratissima informazione sulla coppia omosessuale denunciata senza eccessivo frastuono nelle CTP formata da Boris e il suo amato, un certo Giorgio il Magiaro. Boris era il fratello minore di Gleb e entrambi erano i figli di Vladimiro il santo e di una bulgara del Volga (lo rivelano i due nomi turco-bulgari Boris e Gleb!) invece che di Anna, la sorella di Basilio I 99 concessa in sposa al sovrano slavo-russo, come ammette J. Herrin (2013). i santi Boris e Gleb in un'icona del XIV sec. A Kiev nella lotta per il trono si trovano coinvolti tutti e tre in un assalto armato. Gli assalitori irrompono nella tenda dei due compagni e Giorgio nel tentativo di salvare Boris è ucciso lui stesso. Ed ecco il magro testo che si riferisce per l'anno 1015, dintorni di Kiev, all'evento appena riassunto: «Era lì presente il magiaro a nome Giorgio al quale il principe [Boris] aveva regalato una grivna [bracciale con numerose spirali] d'oro [giacché Giorgio era] amato da Boris oltre ogni misura.» I due fratelli Boris e Gleb oltre ai nomi bulgari hanno 100 ciascuno un nome cristiano, mentre dell'amante di Boris, Giorgio, è dato il nome cristiano, ma non il suo originale. I tre personaggi in breve sono battezzati e si deduce che nessuna condanna esplicita c'è da parte della chiesa kievana del legame omosessuale Giorgio+Boris tollerato e benedetto fra commilitoni. Tuttavia, mentre nulla impedirà che Boris (nelle icone con la barba) e Gleb (nelle icone è glabro) siano fatti insieme santi qualche decennio dopo il loro assassinio o martirio come preferisce dire la chiesa, Giorgio scomparirà del tutto nelle tenebre dell'oblio. È la classica politica del silenzio che spessissimo la cristianità adotterà su eventi e persone scomodi o in situazioni scabrose... Se nell'affrontare l'evangelizzazione dei pagani il cristianesimo orientale indossava una veste di ampia indulgenza rispetto alla omosessualità rifacendosi (senza saperlo?) agli usi greci (ancora ben diffusi in Europa nel X sec.), Roma d'Occidente era letteralmente ossessionata dalla sodomia come essa genericamente chiamava l'omosessualità maschile. Oggi è difficilissimo immaginare l'atmosfera omofobica e l'uso politico che il papato creava intorno a ogni straniero che rifiutasse o semplicemente ignorasse l'esistenza e la validità universale del credo di Cristo e le ferree regole cristiane sui sessi. Secondo le versioni occidentali sponsorizzate da Roma sul Tevere da me riscontrate, la Spagna musulmana era il regno dei sodomiti, Baghdad e il suo impero che allora dominava la “Terra Santa” era altrettanto così come ogni eretico o cristiano dissidente. Era lecito e cristiano pertanto 101 infierire su questi peccatori con privazioni, orribili mutilazioni e torture mortali... altro che il digiuno ripetuto a lungo inflitto con indulgenza nei penitenziali. E dell'omosessualità femminile? Figure monastiche come Chiara d'Assisi o Ildegarda di Bingen a che tipo di sessualità avevano (o non avevano) rinunciato? Ne accennerò altrove nel testo, ma in maniera minima giacché le notizie mancano e qui chiudo perciò con le parole conclusive di Bernadette J. Brooten (1996): «Non conosciamo alcun detto attribuibile a Gesù sia nel Nuovo Testamento sia nei numerosi vangeli più antichi esclusi dal canone dove [Cristo] fa dei commenti sull'amore omosessuale maschile o femminile. Tale tipo di sessualità [evidentemente] non gli interessava in particolare. Malgrado ciò la chiesa degli inizi imboccò la via che ha portato [il papato] fino al secolo XX ad opporsi ai diritti civili per lesbiche, gay e bisex come un marchio di distinzione per la maggior parte della cristianità.» Tutto il contrario accade in ambiente pagano del nordest dove i o le “devianti” sessuali non erano banditi/e né castigati/e dalla verv, ma considerate/i doni divini conclamati. In special modo travestiti e ermafroditi che non mettevano in crisi il sistema, ma servivano a “parlare meglio con gli dèi” e a giostrare meglio con le forze invisibili della natura. Se la persona in questione rispondeva come si doveva alle incombenze che gli erano affidate nelle attività collettive, che male c'era se poi indulgeva in approcci sessuali diversi dai soliti? Forse per la chiesa ortodossa in questo ambito è lecito 102 usare il vecchio adagio far buon viso a cattivo gioco con maggior proprietà piuttosto che ammettere un'estesa indulgenza (come la si accusava in occidente di fare) nell'affrontare l'omosessualità contadina e pagana. D'altronde le lesbiche non erano riconosciute come omosessuali, ma solo delle diaboliche tirocinanti sessuali! Anzi, per il famoso arcivescovo novgorodese del XII sec. Nifonte, se due giovanette si masturbavano a vicenda non potevano essere marchiate di lesbismo, ma solo come delle giocherellone da non punire severamente... almeno finché riuscivano a mantenere l'imene integro. Col cristianesimo la verginità diventò una topica centrale quando si decise che la madre di Cristo avesse partorito da illibata, anzi da immacolata! L'imene da lacerare come atto onorevole da parte dello sposo nella prima notte di nozze ha resistito fino al XX sec. nella cultura giudaico-cattolica europea esportata in tutto il mondo. Con una migliore conoscenza dell'anatomia del corpo umano negli anni '50 del secolo scorso tuttavia ci si è resi conto che l'imene – quando c'è, visto che non tutte le donne ce l'hanno – non è mai una membrana talmente grande da costituire una barriera alla penetrazione. Scrive la sessuologa E. Nagoski (2015) «...non ha alcuna funzione fisica, riproduttiva o altro, ma è un sottoprodotto che la macchina della selezione evolutiva si è lasciata dietro, come i capezzoli degli uomini.» Comunque sia, gli stranieri cattolici e riformati che visiteranno la Pianura Russa nel Medioevo, ca. XVI sec., crederanno di vedere un'enorme diffusione della 103 omosessualità maschile e si leggono giudizi e reprimende all'indirizzo dei giovani effeminati dell'élite che si esibivano in giochi sessuali per divertimento. Scrive a questo proposito lo zelante inglese Giles Fletcher nel 1591: «Eppure si può dubitare che cosa sia peggiore in questa nazione [Russia] la crudeltà o l'intemperanza [sessuale]. …. l'intero paese è sommerso di peccati di questo genere e non fa meraviglia poiché manca ogni legge che vieti il meretricio, l'adulterio e simili brutture della vita.» All'interno della verv contava prima d'ogni altra cosa il valore economico dell'individuo che col suo lavoro concorreva alla produzione collettiva, unica vera garanzia di sopravvivenza. C'era bisogno in parole povere di mano d'opera affidabile senza escludere nessuno e addirittura mai sulla base dell'attività sessuale abituale o occasionale. Il lavoro nei campi per la produzione dei cereali alla base della dieta, poi la caccia e la pesca e infine la raccolta di frutti e bacche, erbe varie oltre a miele, funghi, cera e minerali nella selva, erano occupazioni che richiedevano sforzi fisici giornalieri immani per quei tempi e che in definitiva sfibravano ogni individuo attivo. La stanchezza che ne seguiva era sentita come una ricompensa mandata dagli dèi nel corpo avvertendo l'individuo che da quel momento in poi era libero di trastullarsi in godimenti di qualsiasi altro genere. Dal punto di vista economico era preferibile che nel riposo ci si occupasse appunto di godurie sessuali per recuperare forza e entusiasmo piuttosto invece che, ad 104 esempio, mettersi a sperimentare nel campo della ricerca tecnologica. La tradizione paventava capacità e facoltà speciali ostentate per risolvere un problema o una complicanza nel lavoro senza previamente consultarsi col capofamiglia. Per tradizione l'invenzione tecnica o la specializzazione in tecnologie nuove non poteva nascere nella mente umana poiché la conoscenza apparteneva agli dèi e non agli uomini. L'inviato di Baghdad ai Bulgari del Volga Ibn-Fadhlan scriveva: «Se si nota che un uomo ha un'intelligenza viva e conosce molte cose, si dice di lui: Costui merita di servire gli dèi. Lo catturano, gli passano un cappio intorno al collo e lo lasciano appeso a un albero finché non cade in pezzi.» La testimonianza è raccolta sul Volga, ma di certo era un modo di vedere comune all'intera Pianura Russa. La casella in cui l'individuo si trovava nella verv dalla nascita non assegnava alcun privilegio, ma compiti di lavoro (uroki) da eseguire agli ordini, quelli che fossero, del ”caposquadra di giornata” che agiva con diligenza (učenie) e esigeva obbedienza. Non era rara la punizione corporale per chi non si confacesse. Addirittura N.I. Kostomarov (2008) conferma che nella società slavorussa aleggiava un perenne senso di paura per le decisioni repressive dell'autorità famigliare che in ogni momento sarebbe intervenuta con la frusta o il bastone senza distinzione di sesso o di età per punire un errore commesso. Dunque la posizione (čin) nella verv contava moltissimo. A parte ciò le madri, col frustino in mano, impiegavano 105 la mano d'opera minorile nella raccolta e nella piccola caccia e i bambini avevano un bel daffare nella scelta giusta e nella raccolta di bacche e di funghi o a preparare trappole per gli uccelli. Non solo! Si rafforzava nei ragazzi il mito slavo raccontato loro dagli anziani dove il primo uomo, Jasen (il frassino), e la prima donna, Iva (il salice piangente), erano venuti fuori dalla terra sotto forma di due alberi che accoppiatisi avrebbero generato l'intera umanità (M. Serjakov, 2014) insegnando agli uomini come vivere del proprio lavoro. D'altronde col cristianesimo nella Bibbia, la paleja (dal greco per antica) più apprezzata in area slava che comprendeva vecchie leggende ebraiche, il creatore non consegnava la natura all'uomo affinché ne ricavasse benessere? Logicamente ciò che non si trovava pronto all'uso occorreva fabbricarselo da sé con perizia e strumenti adatti che la tradizione pure forniva. Se l'agricoltura fu inventata come produzione di cibo preindustriale, fu la donna che imparò a intrecciare fibre di ogni tipo, animali e vegetali, per fabbricare corde e nastri dall'utilizzo davvero svariato: dal farne legacci per impacchettare alle reti da pesca e dalle trappole fino al più colorito di farne fasce e pendagli da indossare. Non solo! L'artigianato femminile, una volta scoperte le piante tessili e imparato a coltivarle, mise a punto intreccio e tessitura. Dopo la filatura delle fibre nettate e pettinate con fuso rotante e dopo l'invenzione del telaio verticale, passò a produrre i teli da cucire (cioè “abbottonare”) insieme per farne abiti. Il cristianesimo misogino e sessista, lo ripeto, con la 106 costruzione del senso di vergogna, della decenza e dell'impudicizia indicherà la nudità femminile come illecita seduzione e induzione al peccato di lussuria. E ciò non esclude un fatto curioso sul patriarca Fozio (820891) che sembra esser riuscito a istituire fra i Rus a Kiev un primo nucleo cristiano. Che cosa c'è di curioso in questo atto? L'alto prelato era ben noto a Costantinopoli per la sua biblioteca dove altresì lo si accusava di custodire e di leggere gustandoli i libri porno di Achille Tazio in cui si descrivevano le avventure sessuali di ardenti eroine. Ebbene Fozio in ogni possibile occasione indugiava volentieri a parlarne, spesso nominando con sussiego le parti intime delle belle eroine descritte in quelle operette. Ciò evidenzia, a mio avviso, un'evoluzione seppur lenta in atto nel mondo ortodosso di un senso di contrarietà a mostrare le intimità muliebri nella parola e nelle arti figurative degli idolatri e che tale atteggiamento abbia contribuito a una più oculata scelta del personale che Fozio assegnò per i Rus del suo tempo, visto l'insorgere a Kiev dei pagani verso i preti cristiani assatanati di sesso! Ricordo qui la stizza del figlio di Olga, Svjatoslav, padre di Vladimiro, alla proposta di farsi battezzare. Decenza e castità. Detto questo, nella pratica cristiana cittadina anteriore al X sec. si nota l'aumento del numero dei capi di vestiario da indossare per le donne nelle classi elevate, ma anche l'aumento della superficie corporea da coprire e 107 soprattutto un aumento dello sfarzo da ostentare nella fattura delle vesti. In breve invece di spingere alla purezza e alla castità come i bigotti monaci volevano, il gioco erotico si fece più sottile e si trasformò in una scoperta ancor più eccitante della nudità. Ciò non impedisce a sant'Agostino, pur con livore e chissà rimpianto, di attribuire interamente al sesso femminile l'arte di sedurre col vestito: «Donna, tu sei la porta del diavolo... Per colpa tua il figlio di dio ha dovuto morire e dovrai andare [per questo] sempre vestita di stracci [ma] a lutto [per la tua impurezza].» tipico costume femminile udmurto con i dirhem e i nastri Altrettanto scrive il Talmùd (Il senso del pudore a pag. 217 ediz. italiana v. bibl.) in maniera invero esagerata: «Una spanna [scoperta del corpo] di una donna è 108 considerata nudità. [Poiché] chiunque guarda il dito mignolo di una donna è come se guardasse la pudenda...». Nella Pianura Russa si riscontra che, a parte l'indecenza lamentata per le aperture fra bottone e bottone, il vestito femminile non è pesantemente decorato e ornato, mentre è comune curare e esaltare piuttosto i tratti del viso. Pomate, colori, ampolle per profumi sono i reperti archeologici nelle tombe dove si riconoscono scheletri di donne o fra i rifiuti di città ricche e colte come G. Novgorod o Bulgar-sul-Volga/Biljar-sul-Čeremšan. Abbastanza tipico nel nordest è l'uso dei dirhem (le monetine argentee più diffuse) con cui i mercanti sovente pagavano i prodotti ai locali. Questi dischetti di metallo prezioso (argento) erano forati e cuciti su nastri colorati e infine serrati tutt'intorno alla fronte e alla nuca. Un altro aspetto dell'ornamento del viso, in questo caso del collo e dei polsi, ma pure delle caviglie, è l'uso dell'oro (più raro) trafilato e attorcigliato in più giri. Questo filo d'argento spiralato è detto in russo/ucraino grivna e ha un peso costante di ca. 120-160 g perché usato da moneta vera e propria.... come è chiamata oggi la valuta ufficiale dell'Ucraina. Ibn-Fadhlan (op. cit.) che incontra le donne dei Rus a Bulgar-sul-Volga lo descrive così: «Tutte le loro donne indossano sul petto un fil di ferro, di argento, di rame o d'oro – a seconda della ricchezza e del rango del rispettivo consorte – sul quale c'è un anello che porta appesa un coltello pure attaccato al seno. … Gli ornamenti più bramati [dalle donne] sono le perle di giada verde che [i loro compagni] conservano nelle loro 109 barche. … [e che] mettono insieme in collane che poi donano alle donne.» La descrizione suscita curiosità almeno per la presenza del coltello su ogni seno come gioiello. Forse serviva per difendersi dalle avances ardite e premature degli uomini? D'altra parte in tutta Europa vige e vigeva il costume di palpeggiare le ragazze e queste ad accettare tali manipolazioni o respingerle. Certo, il palpeggiamento era un'occasione di stimolo e di seduzione, se la donna voleva, ma senza ventilare il rischio di essere accoltellati come avrebbero potuto fare le donne dei Rus! Alla fin fine si trattava di verificare la maturità femminile a copulare e a lavorare saggiando la consistenza dei loro glutei attraverso il vestito (a quei tempi un solo telo) per essere sicuri che avrebbero sopportato ogni duro sforzo. In più i balto-slavi spremevano i seni puberi femminili per assaggiarne il latte. Se ne sgorgava era inteso che fossero mature sessualmente, ma stranamente non andavano oltre a toccare il pube: Tanto era solo una fessura non importante del corpo femminile! Ricordo che in epoca cristiana senza le mutande le occasioni per sedurre c'erano sempre. Le byline ne raccontano a bizzeffe. Fra i divertimenti più comuni c'era l'altalena in cui le ragazze potevano sventolare le loro parti intime nel dondolarsi. Giochi erotici accadevano pure nel prendere l'acqua dai pozzi – posti consacrati e riservati alle ragazze, ma frequentati non tanto di nascosto anche dai maschi – ossia bastava chinarsi in avanti sulla bocca del pozzo quanto più possibile per mostrare seni e glutei. 110 pittura ferrarese rinascimentale sulle avances maschili A G. Novgorod c'era l'uso di mettere in vendita la propria moglie nella Piazza del Mercato per ragioni solitamente economiche o prima di partire per un viaggio lungo ed è logico che al compratore la si mostrasse quanto più nuda possibile perché ne apprezzasse la bellezza e l'alto prezzo da pagare o, al limite, offrire il già citato kunnoe, se la moglie così attraente non era. C'è da aggiungere che chi fosse risultato per un qualsiasi motivo espulso dalla famiglia (izgoi) e girasse da mendicante nel mir o nella città non poteva permettersi degli abiti e quindi vagava nudo. Fra gli esempi più famosi il più notevole è Basilio di Mosca (XV sec.) che mendicava nella Piazza Rossa presso la Cattedrale del Sacro Mantello o dell'intercessione della Madonna sul Fossato e per questo quella chiesa è più nota col nome 111 San Basilio. Un izgoi nel mondo contadino non appena apparisse in un villaggio era accolto concedendogli non solo vitto e alloggio temporaneo, ma pure giovanette per fare all'amore le quali in seguito sarebbero state apprezzate più di altre. Chissà che Basilio non fosse trattato allo stesso modo nella Piazza Rossa... il beato Basilio, il folle in Cristo, in un'icona lignea museale Comunque sia costoro, chiamati “folli di dio”, poco avevano in comune con i terribili monaci ortodossi di sant'Antonio del deserto sinaitico e le loro efferate battaglie con gli spiriti diabolici di sesso femminile delle montagne intorno e che nella Rus' di Kiev ebbero tanti imitatori nei monasteri scavati nelle colline. 112 Una distinzione del rango sociale era la cintura indossata esclusivamente dagli uomini, mentre ne era privo l'abbigliamento femminile e ciò affinché le vesti alle donne cadessero fino alle caviglie celando ogni curva. Malgrado ciò, le vesti erano fatte di teli non cuciti insieme, ma abbottonati lungo le cimose, come ho già spiegato altrove, e quindi lasciavano vedere abbastanza sui fianchi da far lamentare i parroci. Menziono qui anche il fazzoletto che raccoglieva i capelli delle donne considerati erotogeni, se sciolti, coprendoli agli occhi estranei fuori di casa. La nudità in ogni caso si addiceva alla divinità e tanto più a quelle femminili come le ninfe dette vily descritte bellissime discinte e nude, coi capelli sciolti a cavalcioni sui rami degli alberi e lo stesso era per le rusalki, altrettanto belle e simili nell'aspetto. I balto-slavi le conoscevano col nome di laume e sappiamo che erano esseri temutissimi dai maschi. Chi le incontrasse, doveva essere fortunato nel riconoscerle subito dai vestiti o, se svestite, dagli atteggiamenti strani e lascivi. Si consigliava al viandante di stare attento poiché queste ninfe desideravano copulare con i mortali e legarsi ad essi. Erano giovanette scomparse prima del menarca che ora volevano essere madri e i loro figli avrebbero infastidito per il resto della sua vita il mortale che aveva esaudito il loro desiderio materno. Non solo! C'erano donne a cui piaceva indossare pellicce o indumenti ricavati dalla pelle di animali per poi comportarsi appunto come quegli animali. Ciò era variamente interpretato, ma in ogni caso l'essere preda dell'incantesimo seduttivo dell'animale 113 denunciava alla fine che chi indossasse pelli conciate, uomo o donna, era uno “spirito inquieto” (J. Jesch 2001). Che dire della cosmesi personale? Quanto ai maschi essa si concentrava sul proprio fisico sebbene si preferisse impressionare gli altri maschi più che le donne di per sé facili da sottomettere. In ragione di ciò è la forza fisica che si tendeva a mettere in bella mostra e la nudità aveva un ruolo decisamente preponderante. D'altra parte se le mode maschili da emulare erano quelle circolanti nelle grandi città del tempo come Costantinopoli, Baghdad e qualche altra, l'ideale per i Rus restava la capitale imperiale sul Bosforo e di qui essi importavano le mode di vestire e di adornarsi al ritorno nella Scandinavia d'origine. Persino la gestualità e le movenze “romane” erano imitate dalle élites della Rus di Kiev e riverberate sulle donne con la spocchia del galletto altezzoso. È logico pertanto che pennacchi, armi, calzari, mantelli, fibbie etc. fossero i capi di vestiario che ritroviamo presso la nobiltà slavo-russa imitanti modelli cristianocostantinopolitani mentre si nota un graduale abbandono del tradizionale tatuaggio all'approssimarsi del XV sec. nelle classi elitarie. È un processo di “disimbarbarimento” lento che fa scrivere al nostro Ibn-Fadhlan senza troppi commenti: «[I Rus] … non indossano giacconi né caftani, ma un vestito che copre metà del corpo lasciando una mano completamente libera.» e «Dalle punte dei piedi fino al collo [i Rus] sono tatuati in verde scuro con svariati disegni.» Il colore della pelle aveva un ruolo assolutamente 114 relativo nella ricerca o nell'accoglienza in un amplesso perché nel periodo che mi interessa la presenza di negri africani o di etiopi scuri di pelle in pratica manca e l'unica lamentela sul colorito della pelle che ho raccolto da parte di chi comprava schiavi nella Pianura Russa era sulle ragazze a volte talmente slavate da sembrare malaticce. Un'arte seduttiva femminile per eccellenza, mancando l'arte di sedurre con la nudità, fu la cucina dove la donna alleata del fuoco possedeva facoltà terribili di vita e di morte sui commensali. I suoi rapporti “ardenti” con Svarožič, il figlio del re del celeste cielo Svarog, erano noti come era noto che il dio abitasse nella pečka di ogni izbà e che agisse non soltanto sulla cottura dei cibi, ma penetrasse nel corpo della cuoca guidando le di lei mani nella manipolazione degli ingredienti piccanti. Ne ho già scritto (v. bibl.) e qui mi piace sottolineare una fonte polacca del X sec., Skazanie Hristoljubiča, che scrive sull'aglio, condimento considerato fortemente afrodisiaco: «... [Gli slavi] credono sia una forza divina...» e un'altra fonte rincara (A. Brückner, 2015): «Durante le nozze gli slavi bevono dopo aver messo nei bicchieri di legno il fallo [fatto di pasta di pane?] e l'aglio [sminuzzato].» augurando così fertilità agli sposi novelli. Non solo! I figli maschi si pretendeva che fossero in numero maggiore. Gli slavi Xuzùli nei Carpazi secondo un antico uso pagano imponevano alla sposa all'uscita dalla chiesa che guardasse dal lato della foresta e pronunciasse lo scongiuro contro la promiscuità: «Tutte querce nel folto, ma una sola betulla.» E a proposito di fertilità e questioni simili ricordo 115 ancora una volta che l'infertilità era interamente attribuita alla donna, mentre la sterilità maschile non era neppure immaginabile, causa l'ignoranza sulla fisiologia del coito umano e che quindi questa carenza fastidiosa non inficiava il ruolo del maschio. La paternità era nel contratto di matrimonio insieme con almeno una gravidanza e capitava che si dovesse stimolare la futura madre tramite un dono, ad esempio procurando la cacciagione desiderata dalla consorte. Il cacciatore l'avrebbe macellata e lei l'avrebbe cucinata e alla fine insieme l'avrebbero consumata. Non lo facciamo forse ancora oggi, offrendo da bere e un dolcetto all'amata? Secondo la chiesa costantinopolitana la donna era la parte passiva nel coito e quindi più fredda del maschio. Al contrario una donna troppo attiva nell'amplesso era una persona illusa di superbia nei confronti del maschio e pronta a ribellarsi all'ordine divino. Tuttavia una donna di quest'ultimo genere con i cibi cucinati e con l'aggiunta di ingredienti speciali era capace di attizzare i desideri maschili per essere copulata e stremare il partner tanto da carpirgli il potere o, addirittura, stanca e stufa del partner propinargli un veleno. La chiesa in qualche misura intervenne nella dieta quotidiana per smorzare i bollenti spiriti con ingredienti magici (!) infusi nel cibo, ma soltanto in modo blando secondo quanto prescritto nelle regole conventuali che vietavano l'ottenebramento totale dei sensi (E. Romanenko, 2002). Non mi è possibile entrare più a fondo in questi modi di vedere perché il materiale che potrebbe aiutare è frammentario e scarso, ma dalle byline ho potuto cogliere 116 il pensiero recondito (in verità oltremodo maschilista!) suggerito e temuto allo stesso tempo dagli ecclesiastici allorché descrivono feste e abbuffate come attività demoniache (i demoni sono appunto Svarožič e Rod): La perfida donna nel suo sfrenato edonismo si preoccupava col cibo adatto da lei preparato in questi festini di poter disporre di falli di amanti attivi e in buona salute per il proprio piacere! Era perciò consequenziale che nel caso che non riuscisse a eccitare gli scelti, offesa per non esser stata soddisfatta, optava per l'uccisione del carente o scomodo partner col veleno. Accadeva spesso nella corte imperiale del Bosforo e in Bielorussia, e qui siamo ormai alla fine del XV sec., presso i Radziwill è risaputo delle arti di Bona Sforza, principessa avvelenatrice milanese. Niente sono venuto a sapere invece dell'autoerotismo che certamente era praticato in solitario e in gruppo, visto il gran numero di falli di legno in circolazione ancora oggi presso i popoli del Volga e nonostante ciò è probabile che non riconoscendo bene la sensazione orgasmica tanto da saperla raccontare e descrivere, è stata ignorata dalla tradizione orale. I divertimenti dopo il lavoro. La voce di donna era certamente udibile nell'assemblea del popolo (veče) per diritto a G. Novgorod e nell'islamica Bulgar-sul-Volga, ma nell'ambiente ebraico dei càzari circolavano ammonimenti contrari in proposito. Rav Jose ben Johanan di Gerusalemme nella Mishna, Avot I 5 era stato chiaro: 117 «La tua dimora sia spalancata, siano i poveri i tuoi amici di casa e non parlare troppo con una donna. I saggi lo hanno scritto delle loro donne e ciò vale anche di più per la donna del tuo prossimo. Da tutto ciò dicevano i saggi: Ogni uomo che parla molto con una donna, attira guai su di sé e cessa di studiare le parole della Torà e alla fine eredita un posto fra i dannati.» L'analfabetismo dei credenti, maschi e femmine, era inoltre auspicato dalla chiesa cristiana che riservava lettura e scrittura solo ai testi ecclesiali e perciò solo al personale autorizzato, ma nel cuore della Rus di Kiev e in centri importanti come Polozk, Kiev o G. Novgorod l'analfabetismo al femminile non si verificò del tutto e tanto meno lungo il litorale del Mar Nero o nel mondo islamico. Non solo! Le amorose corrispondenze scritte su scorza di betulla (berjòsty) c'erano e qualcuna già l'ho mostrata, benché si contino sulle dita d'una mano quelle ritrovate dagli archeologi sull'argomento amoroso. E la voce femminile non si esprimeva al meglio nel canto ammaliatore e nella danza che parlava col suo corpo? Purtroppo quanto al canto medievale russo non ho trovato abbastanza. La tradizione folcloristica e la letteratura popolare hanno lasciato numerosi testi che per il contenuto dovevano per forza essere cantati da cori di donne spesso coadiuvate da una solista. Dalle fonti musulmane inoltre ho riscontrato che fra le schiave a Cordova o a Rayy (Teheran), le slave erano apprezzate più di altre nei servizi canori. Ciò dice qualcosa riguardo ai divertimenti? Esaminando il canto maschile di cui ci sono tracce nella cultura orale si può 118 ipotizzare che le dichiarazioni d'amore sotto forma di serenate erano ammesse e cantate da gruppi di musicanti e ciò specialmente a G. Novgorod, la città internazionale e più emancipata da ogni punto di vista. Non solo! I canti maschili (forse è meglio dire le cantilene) servivano soprattutto a raccontare il passato attraverso versi e ritornelli allo scopo di consolidare in questa maniera le tradizioni. Quasi nulla ho trovato invece sull'impiego di castraticantori presso le chiese o i conventi slavo-russi, sebbene il mercato degli schiavi esportati dalla Pianura Russa fosse pieno di ragazzi di slava provenienza presso i “castratoi” di Samarcanda, ad esempio. L'unica notizia che ho a riguardo è (P.O. Scholz, 2001) che, nell'ambito del lavoro missionario a Smolensk, nel 1137 si stabilì un certo Manuel Castratus di provenienza occidentale con la sua compagnia di voci per insegnare canto ai giovani nella cattedrale di Černigov. I nomadi delle steppe amavano il canto dei loro maschi e lo sfruttavano con gli stessi scopi amorosi fin qui accennati, salvo che maggiormente indulgevano in testi lascivi e ammiccanti per solleticare il desiderio delle loro donne che rivedevano dopo mesi di solitario pascolo. Comunque non son riuscito a capire se i popoli turcofoni usassero le voci di cantori-castrati o di bambini appena puberi in occasione delle solennità sacre e se le ragazze e le anziane si esibissero in canti e danze orgiastici. Ho registrato invece che con il rylei, una chitarra orizzontale da suonare accovacciati amata e diffusa fin sul Don, i capiclan dell'etnia turcofona kazaka si facevano 119 intonare canzoni d'amore mentre erano in compagnia dell'amante di turno, maschio o femmina. Pare a proposito che il suonatore-cantore era più apprezzato se fosse stato cieco! Lo strumento che gli svedesi dicevano eccitasse al massimo gli ascoltatori maschi e perciò amatissimo e suonato dalle donne, era la drumla o drymba o, come era chiamato a G. Novgorod, il vargan (dal greco organon o strumento sessuale in gergo) ossia il marranzano o scacciapensieri (sic!). bellezza tatara col vargan in un reenactment, 2017 Lo strumento è di provenienza centro-asiatica (in tataro è il kubyz) o, anzi meglio, di origine zingaresca con una vaga forma fallica. Penso pure che, uditi i vari suoni che poteva produrre, era usato in città per parlare d'amore da lontano a chi naturalmente sapesse riconoscere i suoni... più meno come il cinguettio degli uccelli in amore! Lo si 120 fa ancora in Siberia fra innamorati …A volte il vargan è chiamato lo strumento degli ebrei forse perché era usato da Càzari mercanti per scambiarsi appunto notizie e appuntamenti. Nominavo l'etnia zingara, i Roma, poiché nel Medioevo Russo sono gli unici ammirati musici e attori di strada (skomorohi), non essendoci altre scuole a cui accedere per imparare canto e danza per insufficienza di monasteri e conventi femminili, ad esempio. L'apporto culturale dei Roma è tardivo giacché nella Pianura Russa compaiono nel tardo XIII sec. accodati ai Tataro-mongoli dopo aver lasciato la loro sede persiana e dove erano chiamati Liuli o Luri. Purtroppo per quanto riguarda canto e canti d'amore da loro propagati posso scrivere ben poco, se non che nei ritornelli di molte canzoni popolari si sente ripetere la parola ljuli/luli che, guarda caso, è giusto l'etnonimo detto poc'anzi. Aggiungo però che c'è una sospetta consonanza con una divinità molto popolare fra gli slavo-russi, Ljolja, che, come i balto-slavi per Lada, si credeva attizzasse la passione nel fare all'amore. Tuttavia per il ruolo pagano dell'arte cantoria degli zingari devo rammentare che la chiesa raccomandava di non frequentarli, gli zingari, e in nessun caso nemmeno ascoltare i loro canti e le loro storie oscene! In cambio il cristianesimo slavo-russo incoraggiava le famiglie più abbienti a investire nella costruzione di conventi femminili nella Rus di Kiev dove alle giovani pagane si sarebbero insegnati i cori inneggianti al dio cristiano, ma come ho scritto altrove, furono pochi i conventi fino al XV 121 sec. cioè col potere moscovita. Certo è che i repertori popolari circolanti rimasero a lungo lascivi e ammiccanti come si immaginavano i suoni vocali delle ninfe ammaliatrici della selva (vily, rusalki). Quanto alle danze (pljaski), i divertimenti più in voga fra le ragazze e i ragazzi, lo schema era solitamente in gruppi di sole donne e/o di soli uomini che ballavano in circolo, se possibile intorno a un albero magico come il melo, mentre la musica andava con l'accompagnamento vocale e con battiti di mano ritmati dai tamburelli degli astanti. Nessuna meraviglia che nelle danze in circolo – i horovody, oggi presentati come tipo di danze folcloristiche e nazionali – si cantassero storie di imprese sessuali degli eroi dei tempi andati e nello stile dei movimenti erotici erano abbastanza ripetitive. Per le danzatrici erano previsti o la quasi nudità o abiti semplici ossia camicioni assolutamente bianchi lunghi fino alle ginocchia che nelle piroette che nelle giravolte lasciavano intravvedere le bellezze corporee intime senza scandalo. I circoli danzanti spesso erano due ed erano formati da maschi e da femmine che volteggiavano l'uno accanto all'altro fino a scontrarsi, glutei con glutei. Dopodiché ci si lasciava andare in duetti erotici per il diletto degli astanti e le ragazze fuggivano inseguite dai ragazzi. Era uso che si formassero le coppie acchiappandosi per i genitali o per le mammelle e facendosi acchiappare poi copulassero sul posto. Le danze più sfrenate erano quelle delle feste nuziali, perezvy, che il maestro di festa, družko, dirigeva con solennità. Seguo qui l'etnografo M. Dikarev (repr. 2020) che le descrive aventi un carattere 122 eminentemente fallico. Il mio autore cita anche la haljandra degli zingari (cigany) per i gesti insoliti in cui i danzatori e le danzatrici si tengono non per le mani ma per le orecchie, i maschi le femmine, e per gli organi genitali, le femmine i maschi. Al ritmo dei tamburelli saltano mentre si sculacciano l'un l'altra. I horovody nascevano da usi e divertimenti vecchissimi fra cui quello di preparare la persona scelta, un maschio, al sacrificio cruento. Ebbro/a di droghe e vacillante, la prevista vittima veniva dapprima caricata di ogni bruttura compiuta nel mir urlandogli accuse atroci affinché facesse bene la sua parte di placare ogni eventuale ira degli dèi (a mo' di capro espiatorio) e poi era interrogato sul futuro. Finalmente si intonavano i canti e iniziavano le danze che col loro frastuono avrebbero smorzato i lamenti e le eventuali grida del sacrificando nel momento culminante del suo olocausto. In tal modo il sacrificio si mutava in gioia per tutti.... giacché in tal modo gli dèi si erano ormai placati! Spesso il coro che accompagnava i riti era composto da vedove o comunque da donne non più in cerca di uomini con cui amoreggiare essendo la partecipazione ai horovody interdetta spesse volte alle madri. Danze più spettacolari e più movimentate erano quelle eseguite dai varjaghi quando arrivavano nei mercati perché mostravano la forza fisica dei giovani armigeri e la loro abilità nel maneggiare le armi mentre allo stesso tempo dipinti di nero con maschere spaventose ammiccavano alle spettatrici attirandole a danzare in mezzo a loro... Le danze “militaresche” erano amatissime 123 dalle genti del Caucaso poiché richiedevano un esercizio muscolare intenso per i salti e i contorcimenti ritmati del corpo con addosso un costume da guerra con spada e stivali. Le ragazze vi partecipavano volentieri da cantanti immobili con l'obbligo di essere a piedi nudi e per la maggior parte del tempo erano circondate dai vorticanti maschi. Né mancavano solisti e campioni di salto e di piroetta e costoro, facendo ruotare le ragazze nelle gonne colorate e con gli scialli enormi e variopinti sulla testa, ne mostravano le intimità. La ridottissima antologia qui da me qui inclusa delle danze in cerchio è da assimilare probabilmente al tipo di danze greche dette kordax dedicate a Artemide Kordaka dalle mille mammelle che implicavano il denudarsi delle ballerine con movimenti erotici che invitavano i maschi 124 per la copula sacra (ierogamìa). Non essendo io però un musicologo, lascio ad altri specialisti descrivere tempi e coreografie (v. T. Naryškina 2014 et al.). A parte ciò, non sono riuscito a confermare una moda che in Occidente nel Medioevo era talvolta apprezzata nel vestire delle donne e cioè che la mammella destra, seppur coperta, era quasi sempre messa in maggior risalto con tessuti abbastanza diafani rispetto a quella sinistra. Non solo! Per i nomadi turcofoni detti Cumani dai mercanti genovesi del Mar Nero e Polovcy dagli slavorussi (in russo: dai capelli color paglia di segale ossia rossicci) le mammelle erano un segno di femminilità importante e le loro donne sono ritratte nelle sculture con i seni liberi in vista (v. figura). Naturalmente non posso che concludere scrivendo che per l'autorità religiosa cristiana, una volta entrata a gamba tesa nella Pianura Russa, tutto ciò che concerneva danze, canti e suoni erano opere del demonio e che perciò andavano cancellate e al più presto sostituite dalle pie teatralità cristiane! 125 126 Capitolo quarto La religione della morte Magia e divinazione erano nel passato le forme consuete per acquisire una migliore conoscenza della biocenosi dove si abitava, nel nostro caso la Pianura Russa, e con gli elementi cognitivi acquisiti dall'esperienza personale più la tradizione del rod gli uomini trascorrevano il tempo nell'ecosistema in cui si era nati fra gli alti e i bassi delle stagioni e in cicli più o meno uguali. Nel mondo magico pagano non esistevano valori intrinseci da attribuire all'uomo sin dalla nascita. Si diventava membri della biocenosi abitata insieme con altri esseri viventi soltanto dopo un certo periodo dal parto e dopo aver superato gli esami di “vitalità” che prevedevano un fisico senza difetti e senza disabilità apparenti. Due erano gli aspetti fondamentali senza stati intermedi per ammettere l'appartenenza alla stirpe: essere vivi o essere morti. I vivi in perenne affanno per mantenersi appunto in vita erano in concorrenza fra loro nell'ecosistema loro assegnato dalla verv, ma arrivavano a un certo periodo della vita a un momento critico in cui dovevano lasciare e ritirarsi nel mondo dei morti. Chissà 127 se fossero ritornati fra i vivi in vita ancora o da fantasmi: gli dèi del cielo decidevano! La morte non era la fine assoluta né era ritenuta un evento certo e ineluttabile: si poteva scomparire senza morire e viceversa! La fine della vita era di solito il compimento di un ciclo terreno umano quando ci si ricongiungeva con i padri (predki) ritornando nel luogo lontanissimo lasciato tempo prima per entrare nell'utero della madre. Questo dualismo vivo-morto è riconosciuto peculiare della natura umana e lo si ritrova fortemente accentuato in materia sessuale, ma non in modo rigido come nel cristianesimo che ammette un sesso sì: maschio e un sesso no: femmina. Due sessi probabilmente esistono, ma con possibilità di passaggio da un gender all'altro, altri sessi naturali e permessi, e in ogni caso le gonadi maschili, evidenti e visibili, o l'utero, invisibile generatore di vita, non sono utilizzabili senza il permesso divino. D'altronde se si pensa alla durata della vita media di quei tempi, fra 12 e 40 anni d'età e il nostro attuale arco di vita media quasi il doppio, diremmo che nel Medioevo si dispiega il trionfo corporeo dell'individuo in ogni sua funzione nella sua giovinezza, dopo un'insipida infanzia e senza una ambigua adolescenza. Oggi una decadente vecchiaia curata e medicalizzata è addirittura auspicata e augurata e nessuno è disposto ad attendersi che una malattia lo possa uccidere. In più non essendo in quei tempi i malanni corporei o psichici ancora medicalizzati e sottoposti a indagine scientifica e statistica per curarli, le ferite o i malori erano trattati dalle ved'my con erbe e pozioni appropriate e non 128 permettevano di immaginare un infermo lungodegente. Chiunque superasse per disabilità una durata stimata normale (i magici 7 giorni delle fasi lunari o settimana della creazione in regime cristiano) di impedimento al lavoro comune era destinato all'emarginazione e all'estromissione dallo spazio della verv, sebbene non alla morte esplicitamente. Come esempio singolare funebre del paganesimo di Nordest rammento qui che il timore maggiore non era trasmigrare nel regno dei morti giacché lì si sarebbero trovati bene in compagnia di conoscenti in attesa forse di ritornare fra i vivi, ma invece: Che ne sarebbe stato della salma? Alla fin fine non era un semplice vestito e, se se ne fossero impadronite le forze impure, l'avrebbero rivivificata e l'avrebbero mandata in giro nella schiera degli esseri semi-umani vaganti nella selva a funestare altri uomini per cibarsi del loro sangue (upiry). Per evitare un tale destino non c'era altro modo che bruciare il cadavere e restituire le ceneri solide alla Gran Madre Terra e la parte aerea al cielo su una bella pira funebre. Le ceneri di persone più notevoli a volte erano raccolte in un'urna di terracotta e interrate nei sopki, collinette di terre artificiali, o poste in cima a un palo lungo il sentiero che conduceva al villaggio d'origine. Dopo era arrivato il cristianesimo e i propagandisti predicatori esortavano a lasciare quelle false credenze. Il racconto della vita, della morte e della risurrezione del Cristo provavano l'inconsistenza delle storie pagane. L'intera vita dell'individuo era fissata passo per passo nelle Sacre Scritture ispirate dallo stesso dio creatore e 129 Cristo, figlio di quel dio senza nome, era stato mandato fra gli uomini giusto con la dottrina vincente che incitava a cambiar modo di vivere per salvarsi in una morte gloriosa e in una risurrezione ancor più gloriosa! La potenza del Cristo era testimoniata dai tanti miracoli suoi che realizzavano le grandi promesse dei miti salvifici da lui raccontati. Chi si fosse battezzato non sarebbe più morto. Ci sarebbe stato un giorno in cui il cosmo sarebbe stato distrutto e gli uomini, vivi e morti, dopo il Giudizio Finale (russo Strašnyi Sud), sarebbero risorti in carne e ossa. Il creatore avrebbe premiato chi era morto senza peccati – se ce n'erano, a pagamento l'estrema unzione in punto di morte era adatta a cancellarli – con la vita eterna nella beatitudine del Paradiso. Ai pagani era riservato l'inferno con i suoi orrori di fuoco. I cadaveri perciò andavano inumati perché servivano nel grande evento. Gli dèi pagani avevano allora mentito agli antenati e taciuto sulla fine futura dell'ecosistema? Cristo non negava la realtà dei suoi predecessori pure divini e delle loro rivelazioni, ma avvertiva che erano stati ingannati dal demonio, un angelo ribelle creato da suo padre per tormentare e mettere alla prova l'uomo. E, raccontavano le Sacre Scritture, se il demonio aveva provocato la “decadenza morale” del primo uomo Adamo, ciò era accaduto a causa della credulità e della perfidia della femmina Eva che aveva ceduto alle lusinghe del diavolo. Con tali contenuti e con una lena graduale, ma tenace e assillante si faceva leva sulla popolazione urbana delle due o tre città della Pianura Russa nel X-XI sec. col nuovo credo affinché si adottassero le nuove regole di 130 vita. Fra gli strati contadini della campagna, della foresta e della steppa a causa delle difficoltà geografiche e ecologiche di accessibilità esistenti tali dottrine a lungo arrancarono. Ancora nel XV sec. si potevano trovare pietre tombali slave scolpite con scene di danze di uomini e donne ritratti nei riti pagani del passato, benché una croce indicasse che la salma fosse battezzata. Non solo! Le pietre tombali rappresentavano soltanto un confine di territorio dove il defunto era vissuto giacché il corpo era andato in fumo. La chiesa dall'esperienza pregressa in altri luoghi d'Europa pure pagani aveva sviluppato una grande e politica pazienza in queste questioni, sebbene nel XII sec. pungolasse ancora i suoi ministri a un lavoro sollecito di indottrinamento e restava in attesa di tempi migliori. I barbari della Pianura Russa erano insomma avvinghiati saldamente alle tradizioni ed erano queste da sradicare con qualsiasi mezzo, persino cruento nei casi ostinati. Si conoscevano queste tradizioni? Non pare, ma c'era il tempo di studiarle per attaccarle nei punti salienti giusto come avevano fatto i santi monaci Cirillo e Metodio, i famosi apostoli degli slavi, nei Balcani e nei Carpazi. Al momento, X-XI secc., l'incertezza del clero orientale sul da farsi è notevole a causa delle molte grane religiose nei Balcani dove i Bogomili bulgari (del Danubio) stavano rivoluzionando i costumi sessuali e la posizione della donna nella loro comunità (J. Brosse, 1995). E così in un pantano di opinioni e di pregiudizi cresceva la volontà di riformare rapidamente i costumi intimi e pubblici partendo dai vestiti, dalla lingua e intervenendo 131 nelle relazioni di potere sessuale fra uomo e donna nei tradizionali raggruppamenti. Il sesso insomma restava la maggiore preoccupazione. Secondo i cristiani col battesimo e col tentativo di limitare i contatti fra donna e demonio e annullare così il piacere sessuale, si sarebbe sconvolto il ruolo del maschio superiore che si esprimeva nel tipo di coito nella società in auge: dunque non proibire del tutto, ma condannare la sessualità come uno sfrenato e scellerato edonismo! Scienza e amore. Al giorno d'oggi con un'enorme esperienza medicoscientifica accumulata, per tacere dei progressi della genetica sulla fisiologia del corpo e sulla biologia del comportamento, il sentimento amoroso ci affascina ancora col suo mistero di intense sensazioni e non riuscire ad avvolgere col pensiero che cosa esso sia realmente, resta un campo da esplorare senza tregua. In breve la parola amore nella civiltà occidentale risulta talmente gravata di concetti e di sensazioni a volte sconvolgenti che, sebbene l'osservazione e l'esperimento negli ultimi decenni abbiano svelato in gran parte la natura del sesso e della copula, restano numerosi i ripensamenti e i dubbi nel XXI sec. (A. Comfort, 19912008, I. Consoli 2017, E. Nagoski 2015-2017). Affronterò la questione con linguaggio semplice, ma non semplicistico, sempre con la raccomandazione di consultare la bibliografia consigliata in caso di incertezza e chissà che magari amore non si possa sostituire con un 132 altro termine meno antiquato. Noi viviamo in un universo pieno di eventi visibili e invisibili che ci provocano sensazioni particolari e queste, mediate dai nostri 5 (e più) sensi, sono registrate e archiviate nel cervello. Gli eventi che percepiamo variano nel tempo e il cervello di volta in volta li confronta con l'archivio acquisito e li riclassifica usando scale innate di valori che includono un'amplissima gradualità di interazioni con l'ambiente. Ogni scala inizia con l'eventuale pericolo letale per il corpo e culmina probabilmente col massimo piacere fisico godibile. Il sistema serve a soddisfare i bisogni corporali evitando danni con adeguate reazioni fisiche di difesa/accoglienza ossia con complessi automatismi fisiologici che in buona parte possono essere calibrati dalla cultura. Recentemente è stato messo in evidenza che gli odori che ognuno di noi emana hanno un ruolo preponderante nell'attrarre o nel respingere l'eventuale partner per farsi toccare e manipolare. Per il comportamento sessuale è quasi accertato che, se il bouquet di fragranze (ferormoni) emanato da un individuo risulta in alto nella scala dei valori dell'altro individuo che lo sta percependo e se questo grado è più o meno raggiunto in entrambi, ecco che nascerebbe la disponibilità alla manipolazione sessuale reciproca. Effettivamente odorandosi l'un l'altro in maniera quasi inconscia si sceglie con chi far lega, non escludendo dal contatto fisico neppure il cieco o il disabile. In più la scelta odorifera del partner da cui si è attratti è collegata 133 col MHC personale cioè in termini più semplici col sistema molecolare che i linfociti d ciascuno di noi hanno per difenderci dagli agenti patogeni che dovessimo incontrare (A. Viola 2022). Immediatamente dopo e solo se la sensazione odorifera percepita è stata accettata, ci si abbraccia, ci si bacia sulle labbra o sulle guance, ci si palpa accostandoci fino al contatto estremo coi corpi nudi da cui può nascere ogni ulteriore attività. Negli ultimissimi tempi si è pure scoperto che quando scoppia un amore il segnale è un aumento della secrezione di numerosi ormoni fra cui l'ossitocina nella femmina e la vasopressina nel maschio con meccanismi fisiologici quasi paralleli. È davvero così semplice? Certamente no e c'è ancora moltissimo da indagare, ma è provato che occorre imparare a fare all'amore e con chi o in altre parole che la penetrazione, le carezze, i baci etc. sono oggetto di apprendimento e di tirocinio e non azioni genetiche innate, mentre la scelta di un partner è in gran parte definita dall'ambiente culturale poiché il piacere sessuale è eminentemente individuale. Anzi, dalle ricerche sul campo della sociologa E. Grosz (2009) fra i casi di ragazzi vissuti in ambiente selvaggio a contatto con animali per tutta l'infanzia e per parte della pubertà è stato accertato che l'amplesso con penetrazione vaginale deve essere insegnato e provato e riprovato individualmente. In più l'orgasmo, maschile o femminile, non è sentito da questi ragazzi selvaggi come il massimo del piacere in confronto con altri piaceri di tipo non eminentemente sessuali. 134 E che succede se soltanto uno dei due partner è investito di desiderio amoroso o se i partner sono più di uno o se è incluso il caso omosessuale? Il sessuologo S. Wunsch conclude fra l'altro (Manuel de Sexologie, 2014, v. bibl.): «In sintesi, quanto alla motivazione [al coito], le diverse attività sessuali (a parte i movimenti ritmici del bacino maschile) non dipendono più dall'esecuzione in risposta a riflessi copulatori innati, ma probabilmente da motivazioni erotiche apprese.» In conclusione i processi sono complessi, ma mi preme sottolineare che le circostanze che fanno nascere l'amore sono in buonissima parte di natura culturale e risultano inculcate nell'educazione di casa che i genitori – la madre in primo luogo – passano ai figli in base alle esperienze personali precedenti (aggiungo: risalenti almeno a una decina di anni prima rispetto alla propria prole per una genitrice di ca. 18-20 anni!). La risposta pratica agli stimoli ormonali e alle pulsioni perciò non è la stessa sia nel tempo sia nella geografia né è scontata perché le tradizioni da popolo a popolo sono differenti e, seppure lentissimamente, fluttuano e evolvono. Per cause ambientali e storiche la costellazione ormonale e la gamma delle reazioni corporali e psicologiche che ne seguono non è quantitativamente ben riconoscibile nella gestualità amorosa e nel linguaggio affettivo dell'oralità per cui riconoscere l'idea amorosa di 1000 anni fa è complicato. Affiora in me però un altro dubbio: Perché i nostri antenati nella cornice di un'educazione di un/a adulto/a si sono preoccupati di intervenire sui comportamenti 135 sessuali passando in secondo grado altre esigenze educative? Premesso che in quasi tutte le società umane prevale attualmente il patriarcato, è possibile che il primo sistema organizzativo delle comunità antropiche, specie nel nostro continente, sia stato il matriarcato che J. J. Bachofen (1815-1887) aveva cercato di immaginare di descrivere con le sue ricerche ormai desuete. Sicuramente alla donna risale l'invenzione della lingua articolata per comunicare con i figli infanti (lat. infans = chi non parla, ma obbedisce) e che la sedentarizzazione realizzata con lo sfruttamento agricolo offriva maggior tempo libero per le relazioni interpersonali, compreso l'approccio amoroso. Dubito che in quei secoli di dominanza culturale femminile in cui la donna non era soggetta ad altro potere umano, ci fosse una passiva intenzione del maschio di alterare/abbattere l'importante ruolo femminile nella vita sociale di una qualsiasi comunità. Né con l'invasione degli indoeuropei il potere culturale delle donne in Europa fu del tutto obliterato. Certamente la donna, pur cedendo all'ordine fallocratico degli invasori, perse la gestione della vita dei maschi, ma non quella della prole impubere e senza padri putativi. Se pertanto i balto-slavi sono gli indoeuropei più antichi nella Pianura Russa in parziale meticciato con i finnougri nella zona più meridionale, i ricordi di una serie di sconfitte femminili rimasero nei riti orgiastici dei loro paganesimi e, siccome la questione è come agisse il potere patriarcale nella lotta donna-uomo, proprio presso queste etnie per il periodo medievale ho trovato la mia ricca miniera dove scavare. Non credo peraltro di dare 136 eccessivo peso all'oralità poiché in un mondo rimasto senza scrittura tanto a lungo la cultura si registra bene anche nella tradizione orale e, se si combina la parola con i reperti archeologici accuratamente interpretati, ecco che la favolistica popolare può essere una fonte storica da consultare con affidabile profitto. Sono partito logicamente dai primi secoli del passato millennio dagli scritti di costantinopolitana memoria giacché è il cristianesimo ortodosso di Roma sul Bosforo che si movimenta e ne scrive nella cornice della politica imperiale di porre sotto controllo con la sua fitta rete di spionaggio i popoli che si affacciano sui confini. L'impero d'Oriente si scontrerà in primis con il patriarcato politeista delle steppe e dei Carpazi dove mostra le ferite di essersi misurato impreparato con i resti di un matriarcato ben radicato. Quando poi i tempi saranno maturi, i cristiani si riorganizzeranno e sopravverranno tentando di cambiare il sistema del potere ben oltre i Carpazi lungo il bacino dell'Elba e della Vistola che da questi monti scaturiscono affannandosi a riformare le diverse socialità pagane. Anche qui le etnie sono numerose sebbene in stragrande maggioranza slave e, se i dominandi non rientrano nei canoni standard di sudditanza in auge in gran parte d'Europa (IX-X sec.), è l'Impero Romano a dettar legge giacché ha ricevuto da Cristo la missione ecumenica a dominare il pianeta con la croce e con la spada e con questa facoltà totalizzante affronta i barbari pagani. Questi ultimi, una volta entrati in contatto coi missionari, sono alimentati a profusione con le favole di poter accedere a una vita e a una morte 137 migliori battezzandosi. È chiaro pure che con Cristo si dovranno accettare nuovi miti nella quotidianità poiché i vecchi stili di vita saranno persino proibiti. I bisogni fondamentali fisici del tipo fame e sete, sia chiaro, non saranno toccati troppo dal cristianesimo... purché non interferiscano col decalogo di Mosè! Se ad esempio s'impongono due digiuni settimanali più quelli della quaresima etc. o si porrà il veto – questo sì con cautela! – di bere bevande inebrianti, un numero eccessivo di proibizioni sul cibo si evita perché c'è il timore di voler condurre alla morte per forzata inedia suicida. E l'attività sessuale? Dal punto di vista ergonomico è la più dispendiosa fra le attività umane spontanee (senza strumenti!) sia in forze fisiche sia in tempo, ma non è letale – non si muore d'amore – se la si limita o la si vieta in certi giorni e in certe circostanze. Se nelle regole è incluso l'assoggettamento femminile al maschio, il successo per il vivere da cristiani si può considerare realizzato in pieno. E alla fine non è questo l'esito che più attrae ogni maschio, pagano o cristiano che sia, ma che aspiri a un potere, qual che sia? Dal processo suaccennato mancano le donne tuttavia. Ci sono allora differenze discriminanti fra i comportamenti femminili della donna del nordest e le donne del centro Europa? A questo proposito l'educazione papale conferma l'inferiorità femminile rispetto al maschio e la sancisce ufficialmente nel 1234, mettendo in vigore il famigerato Decretum Gratiani del 1140 emesso quando la definitiva rottura fra Chiesa d'Oriente e Chiesa d'Occidente è ribadita irriconciliabile dopo lo scisma del 1054 e mentre 138 un nuovo patriarcato cristiano occidentale è in funzione dall'occupazione di Costantinopoli del 1204. In questi testi alla donna cattolica è interdetto battezzare, insegnare e tanto altro. Essa non deve che sottomettersi al marito che il dio cristiano le ha concesso giacché essa è debole di mente e soprattutto... non è stata creata a immagine e somiglianza divina! La chiesa, primo impresario teatrale. La chiesa ha imparato che gli spettacoli pubblici fanno parte della procedura evangelizzatrice poiché esercitano una forte impressione sui barbari e che perciò occorre trasformare ogni ambiente dove è previsto l'incontro coi pagani in un sacro palcoscenico. Lo scopo è di mantenere per un certo tempo viva l'attenzione dello spettatore e di impedire qualsiasi interlocuzione fra predicatore e udienza. Il teatro migliore, il clero lo sa, è la città che va sacralizzata per le attività di strada e, dove è fattibile, disseminandola di chiese di durevole pietra. La gente non andrà più nella foresta per i riti e gli osceni spettacoli finiranno perché la chiesa cristiana, il maggior impresario teatrale del Medioevo, offrirà un carnet di operette ricchissimo. Costantinopoli possiede già il suo grande teatro finito e rifinito al coperto dedicato a Santa Sofia o del Sapere Divino dove si svolgono i drammi sacri cantati e danzati secondo i testi delle Sacre Scritture davanti a un pubblico plaudente di credenti! Anche Kiev avrà nel XII sec. la sua Santa Sofia con la stessa destinazione teatrale e così pure G. Novgorod e 139 Polozk. Non solo! Le strade e le piazze secondo progetti urbanistici cristiani combinano il rotondo col rettilineo e, usando materiali nuovi per costruzioni e per pitture, permettono processioni e sacre cene con veri cibi e vere bevande. Strade e vicoli intersecantisi si ridisegneranno per angoli retti, per quadrati e per rettangoli affinché le case di dio in pietra o in mattoni santifichino meglio i quartieri, le piazze e i crocicchi. Le pareti esterne delle chiese saranno dipinti con le scene più fantastiche tratte dalle Sacre Scritture e così insieme con gli spettacoli di strada le anime battezzate sono educate all'obbedienza dei precetti religiosi e alle prescrizioni del potere cittadino... divertendosi. Il sovrano è associato in qualche modo nel vertice religioso e comparirà da protagonista divinizzato in ogni celebrazione. D'altro canto le festività cristiane sono numerose e i riti, in forma di processioni suonate cantate e danzate, hanno il compito di abbagliare gli spettatori ai quali si offrirà persino l'occasione di parteciparvi da comparse attive. Col battesimo si ha il diritto e il dovere di essere presenti in ogni festa, purché si sia in purezza di corpo e di spirito, altro concetto alieno che si riferisce al modello di comportamento distratto dalla lussuria. Qui di seguito riassumo meglio questi concetti come erano più o meno definiti all'epoca (M.D. Jordan, 2002): (1) Il maschio è in cima alla piramide e la femmina, sorta di maschio riuscito male dalla costola di Adamo, è succuba del maschio. (2) Non sono ammessi, perché peccaminose l'incesto, l'omosessualità, l'esibizione del corpo, la prostituzione, etc. (3) Non conoscendo il ruolo 140 biologico della femmina, la chiesa le riconosce soltanto di essere per natura il ricettacolo del seme maschile il cui specifico compito è di nutrire il nuovo essere umano che il dio cristiano ha inviato e va plasmando nell'utero. (4) Alla donna e all'uomo, una volta che il legame matrimoniale è sancito dall'apposita formula rituale, non è concesso altro sodalizio a scopo sessuale con altra donna e rispettivamente con altro uomo. L'adulterio è più grave da parte femminile perché è imputabile allo sfrenato desiderio di godere della donna inculcato dal demonio e perciò l'uomo pio deve stare molto attento nella copula alle subdole tecniche amorose femminili. (5) Il divorzio non è ammesso, se non in caso di sterilità femminile, così come neppure la vedovanza consente di risposarsi e il potere del marito defunto passa al figlio maggiore e in special modo la vedova rimarrà tale per il resto della vita. (6) Fare all'amore è consentito soltanto per riproduzione – intesa come protezione della gestante da parte del maschio – e mai per il momentaneo piacere. Ogni procedura contraria è vietata. Ogni pratica masturbativa è peccaminosa. Rammento che l'onanismo in particolare cioè l'eiaculazione dello sperma esterna alla vulva era d'obbligo nelle copule sacre poiché il seme sacralizzato nel rito andava sparso sul suolo ossia sul corpo della Gran Madre Terra o Mat Syra Zemljà. Altri tipi di copula sono pure da evitare come la fornicazione con una meretrice, donna degradata dalla società che genera da sola senza la protezione di un maschio ed è perciò spregevole e impura perché è schiava consenziente del demonio. (7) Sono bandite le riproduzioni artistiche 141 che mettano in qualche modo a nudo le zone erogene, benché non si riuscirà a impedire il commercio di talismani a forma di fallo o di vulva né a impedire le allusioni sessuali nel parlare male (blasfemia) o nei gesti. Addirittura si vietava ai maestri muratori o scultori ogni indulgenza a rappresentare, ad esempio, l'animale fallico degli slavi, il leone, che troviamo scolpito sulle pareti della chiesa di san Demetrio a Vladimir-sul-Kljazma eretta nel XII sec. con un fallo in erezione lunghissimo. (8) La copula in breve è un'attività impura e sospetta e per non infettare gli altri di diavoleria occorre farla nell'intimità in luogo inaccessibile a estranei e nel buio più assoluto giacché la nudità è sorgente di desiderio illecito e di peccato. (9) Il coito è permesso nei giorni che la chiesa ha fissato. Sono vietati la pornografia nelle icone e sulle pareti delle case e ogni altro spettacolo “privato” che implichi l'esibizione del corpo senza veli o la copula. Il mito cristiano di principio è ben chiaro seppur difficile da digerire nelle abitudini del nordest e cioè: Nell'universo tutto avviene perché il dio creatore lo vuole per suoi disegni imperscrutabili che all'uomo non è dato conoscere. Si deve accettare con rassegnazione perciò qualsiasi evento spiacevole giacché di certo è scaturito dalla volontà del dio creatore per punire un nostro comportamento peccaminoso. La ricompensa per ogni sofferenza, se si obbedisce ai dettami della chiesa, comunque sia verrà e sarà la vita eterna dopo la morte terrena. Basilari per il cristiano di conseguenza sono l'obbedienza e l'umiltà di fronte al creatore (Atti degli Apostoli 5,29) e ai suoi preti, monaci e affini. 142 Le modifiche di comportamento del battezzato expagano però non sono costrizioni forzose a cambiare le proprie abitudini improvvisamente, ma sono inculcate con la catechesi e ogni concetto entrerà dolcemente come si fa con i bambini. Nel frattempo la propaganda ortodossa nella Pianura Russa tollererà a lungo (fino all'attualità) la cosiddetta dvoeverie ossia il doppio credo pagano e cristiano. Imprecare e inveire. Nella pagana Pianura Russa porre una distinzione netta fra paganesimo e cristianesimo nelle faccende che dividevano il sesso dall'economia della dispensa risultò un'ardua impresa. Forse una parziale colpa va ascritta alla nuova fede nel vietare ai suoi primi passi l'uso delle formule pagane per invocare o per respingere le forze divine invisibili nelle attività umane produttive o di piacere che fossero. L'effetto finale consistette nel fatto che le ved'my introdussero volentieri Cristo, Trinità e Santi nella serie di scongiuri e invocazioni nelle lingue locali usati prima dell'arrivo della fede cristiana. Nella credenza popolare le aggiunte di nuovi dèi ai vecchi rendevano gli scongiuri più efficaci e quindi era stupido non continuare a farli circolare combinati. Che fossero sussurrati a bassa voce per non essere uditi dai preti e essere accusati di paganesimo! Se sfuggivano ad alta voce, li si indicassero come semplici e ingenue volgarità rivolte all'avversario demonio. D'altronde contro l'intruso demonio non erano forse gli esorcismi altri scongiuri che 143 il personale cristiano pronunciava per guarire le donne assatanate di sesso? Il fatto notevole è che i preti specialisti di esorcismo per ingannare il diavolo e la donna ossessionata, vestivano … panni femminili! Nel paganesimo e nel cristianesimo (non si dimentichi il decalogo di Mosè: Non nominare il nome di dio invano!) pronunciare ad alta voce nomi di persone o di divinità era perlomeno incauto poiché significava invocare la reale presenza di forze divine invisibili. A causa delle energie enormi che queste forze portavano con sé e che erano capaci di scaricare su chi le aveva disturbate, esse erano in grado di causare gravi danni fisici quali malori, cecità, atti insani etc. fino alla “morte” improvvisa e subitanea del disturbatore/-trice. Ho già accennato all'animismo pagano e dunque alle forze invisibili che agivano nell'ecosistema. Qui dico che si distinguevano in forze pure e impure (čistye e nečistye sily) che una volta invocate accorrevano in legioni per verificare quali fra loro potessero intervenire a soddisfare l'imprecante. Di qui la conclusione che con lo scongiuro giusto ci si potesse servire di quelle forze a volontà per qualunque scopo... specie in campo amoroso. Ed ecco una breve antologia di improperi comuni slavorussi apotropaici che attengono al nostro discorso e che risalgono alla cultura magica paneuropea di mille anni fa. (1) Va a scopare con tua madre! (Job tvojù mat'!) che è un invito all'incesto invece di disturbare. (2) Su-e-giù! (Jolki-palki!) si usa per una persona che pensa solo a far all'amore. (3) Xui è il nome “volgare” del fallo, chissà il nome di un Priapo slavo dimenticato, simbolo di fortuna 144 e di ricchezza ed è ritenuto offensivo oggi se si dice a una donna: Mi servi solo sul mio fallo! (Nà xui ty mne nužnà!) (4) Un'offesa per escludere una donna - ma pure un uomo! - dalla copula o allo stesso tempo per invitarla a un folle incontro a letto è accennare a una vagina fortemente odorosa: Pizdà vonjučaja! (5) In riferimento alle pratiche anali o omosessuali si dice che Se non ci sono uccelli, il culo è un usignolo! (Na besptič'e, žopa solovèi!) e si dichiara il proprio bisessualismo (6) Un ingenuo in antico russo si chiama mudak o testicolo che in latino parimenti sta per piccolo testimone all'atto sessuale a cui però guarda, ma non partecipa! (7) Te la danno, prendila. Te le danno, fuggi! (Dadut, berì. Bijut, begì!) e qui l'accenno è alla gestione di un amore illecito pur se con una più facile davàlka (in gergo ragazza che la dà facilmente). (8) Che fortuna! (Ni figà sebè!) accompagnato dal pugno chiuso col pollice che protrude fra indice e medio per esprimere il commento: Hai trovato la vulva giusta! L'argomento gestualità è invece più complicato per sua natura e varia da un gruppo all'altro, se non proprio da un rod a un altro (S.A. Grigor'eva/I.V. Grigor'ev/G.E. Kreidlin, 2001). Si possono ricavare informazioni sulla gestualità dagli stereotipi delle icone e dagli affreschi di chiese e cappelle, sebbene col passar del tempo i gesti variano come qualsiasi altro linguaggio umano tanto da rendere impossibile stimarne l'antichità e l'origine. Ancora attualmente si crede di avere a che fare col diavolo, se si ode un fischio. Di conseguenza se noi per richiamare l'attenzione di una donna dall'incedere 145 sensuale, le fischiamo dietro, si dice che sia il diavolo a emettere tali suoni “serpentini” attraverso la nostra bocca e la signora si guarderà bene dal volgersi e rapidamente si allontanerà segnandosi con la croce. E se ci accade spesso di fischiettare da soli, saremmo una persona posseduta o perseguitata dal demonio e perciò da temere e da tener lontano, in particolare astenendosi dal fare all'amore. C'è qui da aggiungere fra le numerose gestualità apotropaiche che, vista l'insistenza dei preti a parlare costantemente di demonio e delle sue azioni malvagie, la gente evitava di passare troppo vicini a un ecclesiastico che di certo nella sua attività aveva assorbito molta energia negativa e per scaramanzia sputava due volte a destra e a sinistra e si toccava i genitali. Lo faceva persino la donna che col parroco aveva contatti più frequenti. Altro esempio. È ritenuto sospetto, se improvvisamente siamo assaliti da calore nel viso (si arrossisce senza ragione), perché ciò vuol dire che un qualche ardore sessuale ci sta penetrando, frutto di un incantesimo lanciato per conto di qualcuno/a che abbiamo una volta respinto. E in più, se sono le orecchie che vanno in fiamme, è perché qualcuno/a parla in segreto del nostro comportamento sessuale. Le orecchie erano considerate un'alternativa erotica alla vulva e mordicchiarle, baciarle etc. poteva causare un orgasmo e perciò, secondo le credenze del tempo discusse nei manuali erotici del Centro Asia, la partner seppure senza penetrazione s'ingravidava e ne seguiva, chissà, una partenogenesi... E infine il bacio è da classificare nella gestualità come un gesto ricolmo di sensualità soprattutto facendo 146 distinzione fra amici e estranei quando ci si incontrava e ci si baciava a Pasqua, la più importante festa dell'anno. Baciarsi sulla bocca e non sulle guance era l'uso slavo mentre si pronunciava la santa formula cristiana: Cristo è risorto! Per davvero è risorto! (Xristos voskres! Voistinu voskres!). In ogni caso il bacio con la lingua faceva parte della gestualità amorosa pari alla penetrazione vaginale. Condannato dalla chiesa, nei penitenziali è detto bacio tataro forse perché era un preludio al sesso orale che, si dice, fosse preferito dalla donne tatare appunto. È proverbiale che alle “nordiche” piaccia moltissimo baciare a lungo con la lingua quasi a supplire al coito. Un costume ritenuto riprovevole dai visitatori stranieri, ma che ricalcava l'uso contadino di cedere le profusioni di una bellezza della verv all'ospite di riguardo almeno con i baci e di questo tenore è la cerimonia di benvenuto che descrive Adamo Oleario ancora nel XVII sec. «Dopo il saluto di benvenuto l'ospitante comanda a sua moglie già in abito di festa di andare incontro all'ospite ospitato con una coppa di vodka da cui ha per prima sorseggiato e porgergliela da bere e […] con questo concedergli le labbra per un bacio.» Nel rapporto di viaggio di A. Oleario c'è anche l'amico che gli racconta come in un'occasione una dama, con l'assenso compiacente del marito, in occasione di una visita si sia appartato per sbaciucchiarsi con lui. Riti e gestualità matriarcale. Insomma – perché no? – si diceva (e lo si dice ancora) 147 dell'amore: Piace moltissimo, ma la mamma non lo comanda! (Hočetsja i koletsja no mama ne velit!) dove la mamma probabilmente è ciò che resta del ricordo della Grande Dea Madre, nota nella mitologia slava come Mat Syra Zemljà cioè Madre Umida Terra e delle orge in suo onore. Val la pena soffermarsi un momento di più sulla questione controversa del matriarcato per metterne in chiaro i residui culturali nei costumi slavo-russi quando entrano in conflitto con il nuovo credo. Già Erodoto aveva sentito parlare delle Amazzoni e del loro stato basato sul matriarcato fra gli Sciti delle steppe ed ecco ciò che scrive sull'argomento l'archeologa J. Fischer: «Nelle steppe del sud russo sono state trovate tombe di donne che contengono dotazione funeraria tipicamente maschile e che provano che il rango delle morte sepolte era superiore a quello degli uomini. Tramite l'analisi del DNA, fatto dall'antropologo [Università di Magonza] J. Burger, si poté trovare che la donna guerriera sepolta [in una delle tombe] era di altissimo rango e di origini asiatiche rispetto alle altre. Aveva un profilo DNA identico a quello di una ragazza mongola di 9 anni [di oggi] dai capelli biondi. Lì [nelle steppe] le donne vivono ancora insieme con abitudini di vita in comune: vestiti, cappelli, armi [proprio] come le Amazzoni [di una volta]. Soltanto che le armi sono [oggi] usate per gare sportive e non per le guerre.[Addirittura] J. Burger pensa che i nomadi siano [etnicamente] gli epigoni delle Amazzoni.» È una prova del dominio femminile protrattosi fin nel XV sec. nella Pianura Russa? La questione è controversa. 148 Non è controverso invece per me il perenne timore maschilista del cristianesimo, fondato e organizzato da san Paolo in Anatolia, là dove un locale matriarcato aveva grande diffusione, giustificando l'obiettivo di affrontare e, per quanto possibile, di distruggere con un'intensa offensiva dottrinale, la donna, eterna e incombente matriarca potenziale. Purtroppo la donna è l'unica riproduttrice e prima educatrice dei nuovi esseri umani e la lotta del maschio andava condotta in quest'ambiguità di funzioni che il dio cristiano aveva finora supportato e che adesso con Cristo si doveva revisionare. L'ideale per san Paolo in conclusione restava il celibato o altrimenti, se ci si sposava, la coppia doveva durare finché gli ardori sessuali non si fossero spenti con l'età. La chiesa cristiana ribadiva che l'attrazione fisica come fondamento indispensabile del vincolo del matrimonio non aveva gran valore. Il legame coniugale era affidato alla scelta del futuro consorte in consulto coi genitori e non al colpo-di-fulmine che portava due giovani l'uno nelle braccia dell'altra. Condannava altresì il ratto d'amore che nella Pianura Russa era un rito matrimoniale abbastanza diffuso (umykanie) in cui gli amici dell'innamorato d'accordo con l'innamorata in attesa segreta nella casa dei suoi, rapivano la giovane e la portavano dal futuro coniuge in attesa pure lui presso i genitori in finta segretezza. Scoperta alla fine la manovra, avrebbero comunque stretto ufficialmente dei patti fra le due famiglie coinvolte. In un clima rigido come quello del nordest europeo in cui si richiedono riti solenni per assicurarsi il rinnovo 149 della fertilità del suolo o per ridurre la mortalità perinatale che farebbe estinguere in un paio di generazioni la stirpe (rod) di cui tutti vanno fieri, che posto avrebbe un precetto di astensione parziale o totale dal coito? Senza donne chi garantirebbe la coesistenza pacifica fra villaggio e villaggio implicita nel contratto matrimoniale slavo-russo? E chi e che cosa potrebbe sostituire la donna come forza lavoro nelle numerose sue attività esclusive e irrinunciabili? È innegabile che il lavoro sia una fatica necessaria per sopravvivere, ma altrettanto lo è il piacere del fare all'amore ossia il rito sacro che ne consegue come ricompensa. E fare all'amore non rinnova in ogni caso la natura di cui è parte il rod fondato giusto sull'amore di gruppo? Se la Madre Umida Terra non avesse istituito e permesso i riti sessuali, non si sarebbe mai rinnovata la biocenosi forestale con la sua fauna, compreso l'uomo, e con la sua flora e, soprattutto, il mondo non sarebbe come lo conosciamo. La Madre Umida Terra è l'unica divinità femminile primaria venerata fra le varie etnie slavo-russe, turcofone, ugro-finniche e balto-slave e di sicuro nella mitologia resta la maggiore di tutte pur circondata da un'ampia corte di dee e eroine. Ricordo qui Tacito che scrive degli Aestii baltici: «Venerano la Madre degli dèi e come emblema di tale fede indossano le pelli di selvaggi cinghiali in guerra. I cinghiali rappresentano le loro armi e la protezione garantita al venerante che la dea conceda una tregua senza danni in mezzo ai nemici. (C. Quiles 2018)» Gli archeologi hanno trovato disseminate lungo gli 150 itinerari commerciali della Pianura Russa e nelle steppe, le nonnine d'oro (zolotye baby) alle quali era d'obbligo lasciare un obolo nella tazza che esse tenevano in grembo. È possibile che il rito dell'obolo risalga alla ben nota prostituzione sacra ossia alla scoperta per la femmina o per il maschio del piacere sessuale tramite cui era possibile invocare la Madre Umida Terra per l'aiuto o la protezione di luoghi e di cose ricorrendo al sacro coito. Attenzione però: I termini prostituta, meretrice et sim. nel passato non avevano il senso spregiativo di oggi. Mi consta che tale senso di disgusto o di biasimo sia stato acquisito/inventato nel Medioevo e non ha alcun senso chiamare il meretricio il più antico mestiere del mondo, come ho scritto nelle prime pagine del presente saggio. Assodato ciò, la vulva (vecchio russo kunà), per il fatto di essere l'accesso all'utero (peraltro cavità misteriosa e 151 magica) dove la Madre Umida Terra poneva il nuovo essere umano da formare usando spesso in qualche modo anche il seme maschile, era la porta che si apriva alla penetrazione. Se la donna non richiudeva la vulva subito dopo il coito, offriva l'accesso alle forze divine invisibili fra le quali non sempre c'era quella giusta che aiutasse a formare un nuovo individuo sano. Con la vulva chiusa, niente gravidanza! La deflorata vergine temeva perciò che la prima penetrazione potesse aver introdotto forze invisibili dannose nell'utero e di qui lo snoxačestvo o, se del caso, i riti pagani che riparavano tali inconvenienti, ma nessuna condanna o tragedia da parte della comunità a queste copule non tanto insolite. Basterà ricordare che fino ai giorni nostri resiste nel nordest al 26 dicembre la festa del Sacro Ventre della Madre di Dio detta nel mondo pagano Le Sagge Donne. Nell'antichità si celebrava il buon esito del primo parto (1) con la sopravvivenza della partoriente e del neonato e (2) la bravura e la competenza delle Sagge Donne (znaxarki o ved'my) col supporto delle due Rožanicy o dee del parto, presenti e invisibili a volte dette sorelle e a volte madre e figlia. Insomma dall'ordinato banchetto del Solstizio d'Inverno per la nascita di Cristo, si passava alla cena più sfrenata del giorno dopo poiché si paventava la prossima decadenza dell'universo preannunciata nel vedere la luce del sole continuare a sparire fino al culmine del Solstizio d'Inverno. Noi oggi sappiamo che il sole sembra aver abbandonato il firmamento per sempre nel nordest estremo, ma che invece, a causa dell'inclinazione dell'asse di rotazione 152 terrestre, sarà soltanto invisibile per qualche giorno o mese, ma non così la pensavano i nostri antenati nordici dove il fenomeno è accentuato. La sciagura era imminente e a scongiurarla si invitavano le donne che avevano concorso alle nascite in quell'anno a richiamare in vita il sole con l'(auto)erotismo più sfrenato il giorno seguente al natale cristiano. Per le concezioni cristiano-pagane tornando alla Maria vergine e alla sua funzione nell'aver generato Cristo pur restando illibata, essa rientrava nel detto rito. La stessa chiesa cristiana ebbe perplessità su questa verginità... almeno fino al 18 dicembre 1854! Sappiamo che: (1) prima del III sec. nessun padre della chiesa parla della verginità della madre di Cristo, (2) san Bernardo, Alberto Magno, san Tommaso d'Aquino e altri pensatori combatterono come un'eresia l'Immacolata Concezione di Maria e (3) fino al VI sec. nessuno seppe che fine il materno personaggio avesse fatto prima di annunciare il suo volo in cielo dormendo un 15 agosto... nel 1950! Sull'argomento ho seguito fin qui K.-H. Deschner (1980), ma voglio citare G. Pigazzo-Bernardi (2020) che informa da R. G. Capuano (111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo, 2013, p. 46) quanto segue: «In Isaia 7, 14 (Bibbia CEI) non è usata la parola “vergine”, si dice almàh cioè “giovane donna in età da marito”. Nella versione greca della Bibbia ebraica (considerata direttamente ispirata da Dio) almàh diventò parthenos, cioè “vergine”, da cui virgo in latino, in italiano “vergine”.» Aggiungo di mio qui che la vergine Maria con un figlio 153 avuto da un padre non coniugato con lei in sacro matrimonio oggi sarebbe chiamata prestatrice di utero e duramente condannata dal papato cattolico, prima di chiudere finalmente con K.-H. Deschner che scrive: «Era importante solo il fatto che tramite una superimmagine grandiosa e una ancor più grandiosa produzione letteraria e poetica si fosse creata una creatura senza sesso da presentare al mondo intero come ideale e non come concetto di essere vivente, ma come la distruzione totale dell'essere femminile.» Si deve perciò affrontare un altro quesito: Quale etica nuova poteva dettare nella vita intima dei catecumeni una tale madre? E ancora: La Vergine Maria e il suo culto cristiano che funzione ebbe mai nel nordest europeo? Lo ripeto, alla fine se ne tenne decisamente poco conto e, a dispetto di feste dedicate sfarzose pubbliche e frequenti, grandi successi non ve ne furono e la madre di Cristo dovette coesistere per l'intero Medioevo Russo (punto che rivisiterò) alla pari con le ipostasi della Madre Umida Terra nella venerazione popolare. Un vecchio detto russo “conciliatorio” (cito da J. Hubbs, 1988, la traduzione è mia) suonava in tempi recenti: «La tua prima madre è Maria [vergine]; la tua seconda madre è la Terra e la tua terza madre è quella che ti ha partorito.» E la donna in generale? Deve accontentarsi della miserevole conclusione di restare il soggetto passivo e la vittima designata dell'arbitrio di una chiesa misogina? Interessante è stato per me leggere la produzione letteraria orale e folcloristica slavo-russa a proposito di 154 questa lotta ideologica (S.A. Zenkovsky. I.S. Kon et al. v. bibl.) che alla fine, non senza un mucchio di compromessi su riti e costumi, vedrà formalmente il trionfo della misoginia, forte e violenta del cattolicesimo e quella meno cruenta dell'ortodossia che non premette troppo sulla verginità della madre di Cristo. Ed ecco altre testimonianze sui comportamenti della donna a casa o fuori casa nell'immensa Pianura Russa presso etnie slave non slave che sopravviveranno al periodo medievale. Dall'archivio Tenišev (XIX sec.) traggo (I.S. Kon, 1997): «La perdita della verginità non è ritenuta un delitto ed è considerata con estrema indifferenza. Su 10 giovanette 1 o 2 è ancora vergine [nella regione finno-ugrica di Vladimir-sul-Kljazma] … e lo si può persino non comunicare alla svaha. Con una giovane incinta [nubile] la gente si comporta con indulgenza se non addirittura con apprezzamento poiché la giovane pur accettando il peccato sopporta anche il peso della vergogna...» Dal francescano Guglielmo di Rubruck (XIII sec.) in viaggio verso la Mongolia e di passaggio nella regione oggi moscovita e allora occupata in maggioranza da ugrofinni, si apprende che le donne di quelle parti sono molto libere tanto che i loro consorti non mostrano alcuna gelosia se esse hanno rapporti sessuali con altri uomini. Né esse mostrano gelosia o fastidio se i loro consorti preferiscono comprarsi e tenersi in casa una schiava appena adolescente per far sesso. Un uso giustificato sotto ogni punto di vista è pure quello della donna di procurarsi un nuovo compagno, se 155 il vecchio parte per una campagna militare o per un lontano mercato. Addirittura è il consorte che la vende, come ho scritto che accadesse a G. Novgorod. Non solo, il nuovo coniuge nel caso che il vecchio ritornasse non è sempre detto che fosse liquidato o scacciato, ma che convivesse pure come secondo marito! illustrazione di E. Rantzi (XIX sec. acquarellista viennese ) di un testo popolare dedicato ai divertimenti notturni delle Mille e una notte 156 Se nel nord della Carelia fra i Lapponi (Saami) la moglie o la figlia è offerta all'ospite di riguardo, nel sud, nel Caucaso, Giosafat Barbaro (XV sec.) assiste a una scenetta per lui alquanto imbarazzante fra un suo conoscente genovese e la moglie del suo ospitante locale. Succede che (D. Balestracci, 2008) il detto tipo entra in casa della signora mentre il marito è assente e tranquillamente si mette a palpeggiarla fino a chiedere alla dama di mettergli le mani nelle brache per liberarlo dalle pulci e costei lo fa senza scomporsi. Aggiungo che come era stato nel VI-VIII sec. fra gli slavi Vendi e presso i Serbi fino al X sec. la vedova saliva sul rogo del marito quasi d'obbligo, benché effettivamente ciò avvenisse solo per quella vedova che tutte le donne di casa sapevano aver avuto il legame affettivo maggiore con l'uomo che stava per esser cremato nella poliginia imperante fra i pagani o fra gli eretici inclusi ebrei e musulmani. Al-Bakri, storico-geografo musulmano andaluso della prima metà del XI sec., descrive il rito suicida della appena diventata vedova fra i pagani: «... quando una di esse pretende di aver amato suo marito [defunto], passa [lei stessa] una corda [intorno a un ramo e ne fa un nodo scorsoio]. Poi monta su uno sgabello e si lega il cappio intorno al collo. Subito dopo le tolgono lo sgabello da sotto i piedi e lei rimane lì impiccata fino a morirne. Verrà poi bruciata e seppellita accanto al marito [tanto amato].» 157 158 Capitolo quinto I sessi non sono 2! Molti di noi avranno fatto l'esperienza di ammirare i corpicini nudi di due neonati notando subito come essi siano simili fra di loro in quasi ogni tratto fisico esterno salvo che nelle gonadi. L'uno mostra l'apparato genitale che noi siamo abituati a chiamare maschile mentre l'altro non mostra alcunché di simile salvo una fessurina verticale che dopo alcuni anni evolverà nella vulva adulta di configurazione alquanto più complicata, ma in grandissima parte celata all'interno del pube. Da questa constatazione visiva immediata si distingueva 1000 anni fa – e oggi pure – il maschio con le sue gonadi bene in vista dalla femmina che ne appariva invece priva. Ogni altra configurazione fisica era da considerare un prodigium in termini ecclesiali e un messaggio degli dèi nel paganesimo generico. Qui devo chiarire una volta per tutte che la ricerca antropologica moderna, condotta sia sperimentalmente sia in lavori demografici sia nell'osservazione delle culture del mondo, rifiuta il determinismo biologico dei 2 sessi istituzionali collegati alla riproduzione della specie e 159 va sostituito con il concetto di gender/genere con connotazione squisitamente culturale. In realtà a cominciare da Sigmund Freud la psicanalisi attuale pure respinge l'identità sessuale biologicamente determinata poiché non esiste nell'inconscio una specifica differenziazione tra maschile e femminile e la sessualità è legata non solo alla differenza anatomica, ma soprattutto a una rappresentazione sociale, mentale e soggettiva di se stessi. Freud si basò su tale sua esperienza medica per spiegare l'isteria, malanno malauguratissimo e spesso fittizio che per la chiesa era da curare con gli esorcismi. L'isteria si mostrava come disordine psichico dovuto al mancato soddisfacimento sessuale nelle dame della borghesia viennese per Freud, sebbene comparisse (non studiata medicalmente) anche nel mondo contadino quando una giovane da sposare veniva contrariata nei suoi desideri amorosi. In Puglia si diceva che la giovinetta fosse stata punta da un ragno, la tarantola (Lycosa tarentula), e che la tarantolata si potesse liberare dall'effetto del veleno dell'insetto con danze sfrenate dette tarantelle. Il clou dello spettacolo era il cadere della danzatrice esausta per terra e in quel momento esser capace di predire il futuro a chi la interrogasse. Lo stesso avveniva nell'antica Russia col cosiddetto kiklùšestvo in cui per di più si notava l'ostilità tenace verso i simboli cristiani icone, croci e preti. Quel che mi preme qui è mettere in evidenza i poteri magici e divinatori che si riconoscevano alla donna e che i preti invece dicevano essere il diavolo a parlare tramite la malata bocca femminile ed era sempre il diavolo a 160 suscitare in lei un intenso desiderio di copulare. Dal punto di vista (letterale!) pratico non c'erano 2 sessi, ma un sesso soltanto e individui senza sesso. E il maschio col suo sesso? Viveva, si può dire, nello sperma: un latte portentoso indispensabile per la sua potenza nutritizia (letterale!), benché s'ignorasse come e dove agisse una volta ingoiato in una fellatio o trattenuto nell'utero. La femmina peraltro non doveva che serbarlo in attesa di farne alimento interno per il feto prossimo. Nei miti indoeuropei diffusi in Europa e conservatisi meglio nella Pianura Russa, la figura della madre si realizza quando la donna chiede alla luna-dio-maschio, utilizzando l'intimo suo legame con l'astro notturno, di mandarle un embrione da nutrire. L'interruzione del mestruo sarà il segnale per capire se è stata esaudita e di qui comincerà la gestazione che durerà 9 mestrui. Solitamente la futura madre si ritirava dalla socialità, salvo che non ci fosse stato un previo accordo con uno dei maschi a far da padre putativo al nascituro che lei ormai aveva in grembo e perciò il di lui compito era in questo tempo di proteggerla, nutrirla etc. Devo dire che tale situazione della paternità incerta è durata a lungo in Europa e, benché la chiesa riconoscesse un “ruolo paterno” al maschio, ignorava allo stesso tempo come tale ruolo si espletasse nell'umana biologia. Ciò che contava (e conta fino ad oggi nella tradizione cattolica) era che il ruolo paterno fosse strettamente connesso con una superiorità maschile imposta perché il creatore aveva così deciso al momento della creazione cosmica. Soltanto con Leeuvenhoek e il suo mirabile nuovo 161 strumento ottico, il microscopio, si dissipò qualche nube sulle funzioni sessuali. Infatti nel 1677 questo strumento permise a uno studente di Danzica, L. Hamm, di osservare per la prima volta i mobilissimi spermatozoi in una goccia del suo sperma. Ne venne fuori la teoria che quegli animaletti contenessero nella testolina un intero essere umano maschio, in latino homunculus che già Paracelso aveva immaginato che esistesse nel suo sistema alchimistico. Gli homunculi – accolti e nutriti nell'utero – diventavano esseri umani veri e si confermava che l'unico sesso era quello maschile che generava questi uomini in fieri e che la povera donna ne fosse priva. Anzi, era un'incubatrice e basta! I figli non erano doni di dio, come si soleva proclamare, ma potevano ora dirsi doni del maschio-padre e dei suoi homunculi! Insomma si era finalmente quasi a metà strada per la verità scientifica del concepimento, mentre si allertavano le ideologie. La scienza ha progredito e oggi abbiamo individuato l'ovulo femminile, solo-soletto in attesa per 12 ore di essere fecondato nell'utero. Se uno spermatozoo non lo toccherà, l'ovulo sarà riassorbito e il velo membranoso che avrebbe dovuto accogliere il feto in formazione e che ci son voluti 27-29 giorni per crearlo, sarà espulso con l'emorragia detta mestruo. Relazioni col ciclo lunare che turba localmente la gravità terrestre? Forse sì, benché non ci sia finora prova di tali legami nella specie umana. Uno alla volta maturano gli ovuli, ma sono tantissimi (ca. 50 mila) che attendono il loro turno nelle ovaie. Non solo! Se si aggiungono le nuove e interessanti conoscenze su fecondazione e concepimento acquisite intorno agli 162 anni '60 del secolo scorso, non suscita forse meraviglia che nonostante tutto continuiamo nei primi decenni del XXI sec. a classificare gli esseri umani secondo due sessi distinguibili a vista e continuiamo a credere ai parti partenogenetici come quello del Cristo? Quanto ai ruoli genetici del maschio-padre e della donna-madre, essi sono in certa maniera equipollenti nel concepimento e dall'esame incrociato del DNA del genoma del concepito si può risalire ai genitori biologici senza ombra di dubbio (A.-M. Henning, 2019). Eppure, benché siano ormai noti genitali esteriori “ambigui” di qualche neonato perché difformi dai modelli anatomici classici, non si è ancora deciso di ampliare la gamma dei sessi nella società o addirittura di sopprimerli del tutto giuridicamente. Si insiste al contrario sulla bisessualità istituzionale (ripeto che intendo con questo termine sempre la situazione della società a due sessi distinguibili e separati) nella scia di desuete classifiche ideologiche e sarebbe ora di chiedersi: A che e a chi serviva nel Medioevo registrare il sesso del neonato? Non ho su questo punto risposte semplici e definitive da dare, ma mi piacerebbe sapere se dubbi simili abbiano mai sfiorato il mondo pagano di 1000 anni fa... Parto dalla sedentarietà derivata dalla prolungata sosta in un certo luogo e dalla necessità di costruirvi dimore da fabbricare con strumenti di lavoro nuovi e più sofisticati. In breve, essendo aumentato il tempo libero, si poteva scegliere di trasformare le risorse materiali della foresta in oggetti tecnicamente più utili e la selva per l'agricoltore diventava in primo luogo un indispensabile giacimento di 163 materie prime da trasformare. Ci toccherà pertanto risalire indietro nel tempo quando fu introdotta l'agricoltura e quando di conseguenza le fatiche della raccolta e della caccia gradualmente diminuirono e, sin da 4000-5000 anni fa, diventarono inutili, se spese solo per il sostentamento. le aree tratteggiate indicano l'ecosistema forestale mentre le bianche sono i ghiacci residui e BP – before present è la datazione 164 Fu un processo lento e graduale nella parte d'Europa dove lo spazio c'era, la gente era poca e giusto mentre impercettibilmente per l'uomo contemporaneo la foresta si espandeva col ritiro dei ghiacciai lasciando le fertili terre di confine argillose a disposizione di chi migrava seguendo la biocenosi che si estendeva verso nord. C'era però da implementare un salto culturale. La fornitura alimentare l'assicurava l'agricoltura e ciò migliorava la vita che a sua volta favoriva l'accrescimento demografico, richiedendo un impegno parentale sempre maggiore. L'uomo maschio, e l'ho già scritto, era escluso dalla cura della prole per i primi 5-6 anni almeno che ricadeva interamente sulle spalle della donna. Che fare allora? Evitando di trasformarsi in una figura laterale nella compagine collettiva, a lui si offrivano pochissime alternative, dd esempio assoggettarsi supinamente alla posizione femminile o – altra opzione – ingegnarsi a sottrarre alla femmina quante più incombenze nelle attività del coltivo e così, opzione finale, poteva offrirsi nella difesa dei depositi di cibo. Tale è il contesto del mito della suprema e divina virilità del maschio (C. Thomasset in G. Vigarello, 2011) che non solo partecipa al consumo del cibo, ma concorre a produrlo lui stesso e col suo fisico più potente e più resistente è pronto a difendere la donna-madre non appena un estraneo attenti alla “comune dispensa”. L'idea di lavoro. Secoli e secoli prima del Medioevo quando le invasioni 165 indoeuropee avevano già travolto quasi tutte le etnie del continente e delle storie relative a questi eventi si erano conservate, nei ricordi almeno, l'oralità popolare della Pianura Russa nella paganità paneuropea raccontava che gli antenati, a qualsiasi etnia appartenessero, avevano contemplato gli stessi problemi della vita e con l'aiuto delle potenze superiori celesti a cui ciascuna etnia dava un nome proprio avevano trovato le soluzioni ad hoc. Le potenze superiori continuavano ad abitare nel cielo e volentieri accoglievano gli antenati degli uomini nel regno dei morti e quando c'era la richiesta de vivi concedevano che si mantenessero i contatti utilizzando delle speciali devozioni con rituali appositi da praticare. Il cielo per quasi tutti i pagani del nordest europeo era il soffitto della casa-ecosistema con tanti piani abitativi. Di cui alcuni di esclusivo uso divino. Il cielo poggiava sulla solida terra (uno dei piani abitativi) per mezzo di un palo/albero altissimo. Siccome poi le forze vitali interne e esterne degli uomini venivano dagli dèi, gli stessi dèi potevano recedere dagli accordi presi con gli antenati a proprio arbitrio con funeste conseguenze inimmaginabili per gli uomini vivi: morte, carestie, terremoti etc. L'agricoltura stessa era un dono della Madre Umida Terra alle donne per il sostegno materiale della loro maternità, sebbene nel sistema di potere patrilineare questo dono fosse passato in gestione ai maschi con la loro funzione protettiva... Certo, anche al potere maschile si richiedevano periodiche dimostrazioni di fedeltà agli dèi e entrambi, uomini e donne, erano obbligati a eseguire sacrifici propiziatori. 166 Vivendo d'agricoltura e di piccolo allevamento, lavorare la terra restava l'attività faticosa maggiore sebbene a poco a poco si scoprisse l'equazione + fatica = + prodotto e, se a ciò s'aggiungeva la gioia di produrre il cibo con le proprie umane forze, la soddisfazione di aver conseguito la concessione degli dèi per utilizzare le risorse naturali con esito positivo era piena! Credo che esistesse un'inclinazione ecologica, magari innata, a mantenere uno stabile equilibrio fra uomo e biocenosi e alla fine: Quanto si sottraeva di troppo alla Gran Madre Terra facendo crescere i cereali o alle divinità della selva raccogliendo e cacciando? A questo stadio la fatica diventava l'esito di un'attività ripetitiva, ma rigidamente ritualizzata che permetteva di pianificare per il meglio il tempo di vita futura ossia diventava lavoro. Il lavoro tuttavia non era vendibile, come è oggi, ed era proibito esercitarlo fuori dalla verv, salvo l'ingaggio militare per la difesa del rod e del villaggio e, per usare un vecchio termine storico-tecnico, solo in questo ultimo caso si sarebbe accettato di pagare ad altri un tributo cioè in forma di una corvée. La verv è una comunità che percepisce se stessa come coesa e, insieme con le altre in un certo territorio dove è etnicamente definita intorno al rod costituisce il mir come scritto pagine fa. Né i mir sono da inquadrare esclusivamente nell'attività agricola giacché, malgrado ciò che si legge nella storiografia dei passati decenni per le diverse etnie della Pianura Russa, tutti sfruttavano il territorio in maniera mista 1. da agricoltori, 2. orticoltori, 3. cacciatori e 4. pastori-pescatori etc. e durante lo 167 scorrere delle stagioni ora intensificavano ora limitavano l'una o l'altra attività. E forse a causa di ciò, ve lo anticipo, se il maschio era il signore della famiglia nel sud, nel nord dominava la donna che comandava e gestiva l'economia della dispensa. È una tipicità, questa, accentuata presso i popoli del Circolo Polare Artico perché riti e abitudini davvero singolari si sono conservati a causa di gente emarginata dall'Impero moscovita in tempi ormai non più medievali (A.V. Golubnjòv, 1997, R.D. Goldina, 1999). D'altronde non è sufficiente avere un abitato stabile in un certo luogo con i campi tutt'intorno alle abitazioni e lungo le rive di corsi d'acqua affinché si produca quanto è indispensabile per vivere. Occorre adeguarsi al clima, alle stagioni e alla natura del suolo. I ritmi lavorativi circadiani raccontati nel folclore slavo-russo sono infatti cadenzati in maniera rigida dall'alba-tramonto e dal riposo di notte combinati con quelli stagionali che iniziano con le piogge di primavera e terminano con le messi di settembre e la trebbiatura alla festa cristiana della Vergine Protettrice (pokrov) al 1° ottobre. Chiaramente nel nord subartico predominano caccia e pesca su una misera orticoltura a causa della latitudine che oscura il sole per metà dell'anno e s'impongono ritmi differenti nell'attività lavorativa in quel ecosistema. Nel sud con migliaia di laghi e fiumi, compreso il più esteso lago del mondo, il Mar Caspio, e la presenza di correnti fluviali dalla portata a volte grossissima come il Volga o il Dnepr, se vi aggiungiamo la bassa pendenza del fondo basaltico, scopriamo il vantaggio geologico offerto al mondo agricolo da questa singolare regione. 168 È vero che, a causa della piattezza del suolo con dislivelli minimi, le acque superficiali fluiscono specie al nord (H. Küster, 2004) con notevole lentezza, ma è pur vero che d'inverno le correnti acquatiche lente in deflusso non sono molto profonde e ghiacciano in maniera repentina non appena i venti cominciano a soffiare gelidi dal polo nord senza ostacoli in direzione sud incanalati dalla catena dei Monti Urali. Il territorio è avvinto nel ghiaccio per mesi e l'unico rifugio dalle rigide temperature è sempre la fitta foresta (taigà) con le sue radure (bor) e le sue enormi paludi come il tipico Polesje kievano (malarico una volta e radioattivo oggi!). I villaggi hanno un'economia autarchica prevalente e, se non fosse per le migrazioni periodiche (ogni 8-10 anni nel Medioevo) dovute all'esaurimento della produttività del suolo a causa della primitività dei metodi e degli strumenti agricoli usati, i contadini vivrebbero senza contatto alcuno con gli altri gruppi coabitanti seppur non lontani, di qui, lo ripeto, le festività religiose esaltanti l'appartenenza al rod comune che radunavano un certo numero di villaggi nei santuari pagani. A sud ci sono le steppe originatesi sulle benedette Terre Nere (černozjòm) ossia una fascia di fertilissimo suolo argilloso agevole da coltivare detto loess. Si estendono da Kiev e da Černigov a sud e a est dalla confluenza del Volga col Kama dove sorge Bulgar-sulVolga al Mar Caspio. Oltre dal Centro Asia a nord delle diverse montagne fino all'Oceano Pacifico la geografia spiega bene le trasmigrazioni dei pastori nomadi. La Pianura Russa dove si svolgono le nostre storie e 169 dove conviene fare delle distinzioni sui tipi di produzione in cui i locali si impegnano, è piuttosto complicato. Oserei dire che in Europa è persino unico come tipo di paesaggio dopo la massiccia deforestazione dei Romani in Italia e oltralpe e dove agli abitanti è inconcepibile attribuire una storia medievale comune o simile a quella dell'Occidente. le fertilissime terre nere o černozjòm fra steppa e foresta Estremizzando, fra le attività antropiche del nordest europeo si può notare una produzione di sussistenza, un artigianato “industriale” per fabbricare strumenti e oggetti d'uso quotidiano e un'altra minore di produzione esclusiva femminile che dà prodotti vivi, gli schiavi, comprese le ragazze nubili da scambiare nei matrimonialleanze soliti o vendere in paesi lontani. Ciò modella il carattere della gente in parecchi aspetti nelle strutture del potere e sicuramente nei comportamenti sessuali. Se gli 170 uomini manovrano aratro, vanga etc. per ricavare i solchi in cui porre i semi delle granaglie a dimora e poi richiuderli in attesa dei germogli e delle messi, anche la raccolta del miele, materia prima importantissima e costosissima, è lavoro maschile come la caccia e la pesca e coinvolge, sì, i ragazzi, ma non le ragazze! Altro compito prettamente maschile è radunare gli animali cacciati con trappole e laccioli per non rovinarne le pellicce oltre a scegliere la carne da arrostire e consumare. Lo stesso è nel caso del pesce e dei sottoprodotti poiché è il maschio umano che sa parlare con questi animali in riti astrusi per chiedere loro di sacrificarsi. Alla donna compete invece rigovernare gli animali della stalla come pure galline e oche, proprio come fa con la sua prole, ma macellarli toccherà all'uomo insieme con la raccolta del foraggio mentre agli altri animali da cortile si lasciano i resti e i rifiuti della cucina o pastoni speciali. Di grande rilevanza è l'orto curato dalla donna perché lei coltiva insalate, piante odorose e erbe medicamentose insieme con arbusti fruttiferi e qualche albero, il melo specialmente oltre al prugno/susino. Compito esclusivo femminile è la coltivazione delle piante tessili (le tintorie si raccolgono spontanee nella foresta) e cioè in ordine di qualità delle fibre: il lino (Linum usitatissimum), la canapa (Cannabis sativa), l'ortica (Urtica dioica), la tifa (Typha latifolia) e qualche altra. Una volta fatte crescere le prime due abbastanza alte, i loro fusti non troppo legnosi sono messi a macerare e le fibre liberate sono filate e tessute. Le operazioni implicate fino al vestito confezionato non è mio compito 171 descriverle, se non ribadire che restano femminili. La trebbiatura e le altre operazioni concernenti la liberazione dei chicchi dalla spiga e dalla pula, la loro cernita etc. che in parte sono compiute da uomini e donne insieme, ma poi, siccome le granaglie sono la materia prima per la cucina, sono curate dalla donna le scelte di conservazione e distribuzione. L'attività culinaria, seppur meno sofisticata rispetto all'attuale nelle preparazioni e negli arnesi a disposizione quasi tutti di legno, ma ricca negli ingredienti, rimaneva in mani femminili. L'ho già detto: la donna domina la vita delle persone che nutre coi suoi cibi cucinati e sarebbe in grado di sbarazzarsi di chiunque avvelenandolo da commensale, se le garbasse, per cui invitare qualcuno a tavola con troppa enfasi suscitava grossi sospetti e chi poteva chiedeva il servizio di un assaggiatore. Insomma la famosa e infiocchettata cerimonia di benvenuto all'ospite, hlebosolie, andava sempre bene, ma era comunque rischioso affidarsi a una donna per nutrirsi... D'altro canto essere avvelenati è un pericolo quotidiano poiché spesso, se si è ammalati, ci si deve affidare alle cure della donna e occorre aver piena fiducia di guarire con gli intrugli-medicine che essa propina. Se l'arte culinaria è femminile, in sé e per sé resta il frutto ultimo del lavoro sia dell'uomo sia della donna e parte del cibo cotto è l'offerta sacrificale per ringraziare gli dèi e va nonostante offerta alla divinità protettrice della casa o domovòi. Ho fatto qualche conto sul tempo speso al lavoro durante l'anno e approssimativamente, come ho già scritto, il maschio disponeva di moltissimo tempo libero 172 in inverno fino a primavera in attesa che cadesse la pioggia o d'estate mentre le spighe crescevano. Al contrario la donna doveva rispettare le personali scadenze biologiche impossibili da evitare che a volte interrompevano le sue attività. Di qui la necessità di far gruppo a parte poiché nel gruppo c'era sempre qualcuna di loro che le rimpiazzava nei servizi sessuali. All'età di 13-15 anni di solito abbandonava il proprio villaggio e entrava nella verv di un altro villaggio come consorte-macchina per far figli. L'aspettativa di vita per lei non superava i 45 anni ossia moriva pochissimi anni dopo la menopausa che arrivava verso i 38-43 anni. Nell'intervallo di ca. 25 anni al massimo si snodava l'attività procreatrice. Se si calcola che fra gravidanza e cura della prole fino al primo parlare e al primo camminare servono almeno 4-5 anni di educazione materna, durante il suo periodo fertile eventualmente partorirà in totale 5 individui. Non solo! Con le malattie perinatali che a quei tempi erano davvero micidiali, i figli che arrivavano alla pubertà si riducevano a 2-3 e, se di questi uno era femmina, ecco che nella famiglia, rimaneva un solo figlio maschio nella stessa verv per tutta la vita. Ne seguiva la necessità della poligamia tradizionale col numero massimo di mogli presenti pari a 7 (numero magico) e l'accoglienza entusiastica in seno alla verv di orfani, servette e izgoi per i piaceri sessuali fuggevoli. Una conferma di quest'ultimo aspetto della questione credo d'averla trovata nella notizia data da N. Karamzin (1842 repr. 1994) allorché avverte che gli slavi non trattenevano a lungo i prigionieri di guerra, bensì 173 dopo qualche anno offrivano loro l'accoglienza nella verv o, aggiungo, li sacrificavano agli dèi. Vita contadina e vita cittadina. Nasce un bimbo... e che succede nella verv? La donna più anziana innanzitutto offre le sue gambe sulle cui cosce la partoriente si accomoda nella banja e la trattiene abbracciata durante il travaglio e non si dimentichi che anche questa era una posa rituale nel Nordest. Ci sono naturalmente le altre donne che fungono da assistenti presenti al parto. Una volta fuori il neonato è la più anziana che ne osserva attentamente il corpo e ne nota ogni segno o macchia o forma insolita. Si credeva che un neo o la forma della mano o l'occhio strabico etc. fosse un segno degli dèi che preannunciava il suo destino (dolja) particolare. Le famiglie abbienti cittadine addirittura mantenevano una maga di professione (ved'ma o znaxarka) alla quale era mostrato il maschietto affinché interpretasse i segni del corpo e lo munisse di talismani apotropaici oppure consigliasse l'alienazione (esposizione pubblica per la libera adozione) o la soppressione. Tutto ciò in regime cristiano sarà proibito, complicato o ridicolizzato. Al limite la donna potrà avvicinarsi meglio alla divinità e più libera dalle pulsioni impure di desiderare l'amore con altri uomini dopo uno o più figli ormai adulti... entrando in convento! Problema risolto? Credo proprio di no, se rammento che di frequente i conventi femminili erano dipendenti in certe rituali incombenze dai monaci. E di 174 ciò le byline più popolari (A. Afanasjev repr. 2008, B.N. Putilov 2000 et al.) si interessano moltissimo intrecciando amori e spiritualità fra monaci e monache e, perché no?, fra gente del popolo circostante e i membri dei conventi e senza distinzione di generi sessuali e di età. Ne riparlerò, mentre qui vorrei entrare accennando nella questione dell'amor filiale come lo intendevano nel passato pagano. È un argomento, questo, che non metterò a confronto con l'odierno modo di vedere, ma avverto subito che non si riteneva delittuoso abbandonare nella foresta un neonato deforme o un infante disabile. Le disabilità che mettevano “fuori gioco” senza appello una persona prima della pubertà erano tradizionalmente la cecità e lo zoppicare e perciò c'erano le divinità della selva preposte a provvedere al meschino. Ne ho già scritto, ma rivediamo meglio l'argomento insieme poiché questa è una topica di base nella gestione della sessualità del passato. Rammento anche che non esistendo un'anagrafe, finché la chiesa ortodossa non entrò nel mondo tutto femminile del parto, fu impossibile distinguere e legiferare su parto, aborto e infanticidio. Se dunque si era deciso di tenere il neonato in vita, era il padre putativo che dava il nome augurale in base agli usi della propria etnia, almeno fra gli slavi e i baltoslavi, e una volta che la religione cristiana dominò nella Pianura Russa gli appellativi diventarono due: l'uno etnico che “accontentava” le tradizioni e l'altro cristiano tratto dal santo al quale il bimbo era stato affidato in protezione contro il diavolo per il resto della vita. Non ho trovato testimonianze sicure, ma certamente 175 s'era intuito qualcosa sull'effetto dell'esposizione della pelle agli ultravioletti che stimolava la produzione della vitamina D antirachitica. Il che spiegherebbe meglio il tipo di vestito infantile estremamente corto e facilmente rimovibile e la frequentissima nudità dei ragazzi prepuberi in giro nel dvor (o nel detinec, il deposito dei minorenni, istituzione-novità cittadina a G. Novogorod). C'è però una differenza fra il nord e il sud della Pianura Russa abbastanza logica dal punto di vista profilattico ed è che, mentre la nudità era pienamente sollecitata in ogni occasione nel settentrione dove il sole batte solo per metà dell'anno, nel sud al contrario l'accento cadeva sul corpo nudo per la sua attrazione sessuale. Il regime cristiano col tipico atteggiamento anti-sessista attecchì meglio nel sud nel deprecare perversamente la nudità per cui i bimbi dovevano essere fasciati strettamente affinché non si potessero liberare da soli delle fasce e la nudità la si tollerò fra gli schiavi e fra i condannati alla tortura o fra i poveracci abbandonati a se stessi per varie vicissitudini. Il IX-X sec. è il tempo dei Rus. Sono svedesi che all'interno della taigà trovano le condizioni favorevoli per risiedere stabilmente e non hanno a che fare con i loro congeneri che si sono sistemati a Polozk fra i Kriviči sulla bassa Dvina. Questi ultimi vivono di commercio specie di pellicce pregiate ora che gli zibellini si sono estinti nella foresta scandinava e chissà che non siano stati proprio loro ad ambientarne un po' di coppie di questi animaletti nel Nordest attirando gli interessi dei Bulgari del Volga nel IX sec. Birka funzionante favorì la navigazione sul Mar Baltico 176 che appunto gli svedesi monopolizzarono lungo la riva nord, saltando il Golfo di Riga fino alla foce della Nevà. I Rus dovevano essere una specie di mafia che armava i natanti per andata e ritorno con scorta di giovani tuttofare. I loro punti di riferimento per manutenzione e riparazioni più noti erano Ladoga/Aldeigja delle saghe e Gnjòzdovo-Smolensk. Nei tempi morti finché possibile seguivano dilagando al sud e facendosi coinvolgere con vari esiti nelle imprese di Vladimiro e di suo figlio Jaroslav a Kiev e di Mstislav, figlio di Sfeng di Tmutorokan, a Černigov. Attirando altri svedesi, in pochi decenni con l'indipendenza di G. Novgorod, autonoma per suo conto e in concorrenza con Bulgar-sul-Volga, si sconvolse una situazione etnica che sembrava abbastanza cristallizzata e nel XII sec. col cristianesimo i Rus esistevano solo come élites armate con “sovrani legittimi” incoronati dalla chiesa nelle poche città slavo-russe e tutte “esigevano” tributi per mantenersi. Attiravano gente dai villaggi per rinnovarsi fisicamente offrendo un mestiere fra le numerose attività lavorative che l'architettura cittadina cristiana, basata sul mattone cotto e le pietre squadrate, stava usando per trasformare la città-fortezza, gorod, in fortezza-capitale, stolnyi gorod. L'esodo dalle campagne e dai villaggi verso l'inurbamento tuttavia è insignificante, ma la “fornitura” di donne in città popolate esclusivamente da maschi doveva essere notevole. Fra i servigi “femminili” offerti dalle contadine all'élite è notevole quello di balia bagnata affinché l'avvenenza delle madri nobili non fosse deturpata da mammelle troppo gonfie, ma è offerto anche 177 conforto alle donne che incinte vogliono ritornare nella loro terra. La chiesa kievana entra nel giro e attenta a non allontanarsi troppo dalle città fonda qualche convento qui e là. Poca cosa in verità che malgrado tutto sollecitano la curiosità e attirano i giovani a scoprire l'artigianato nell'oggettistica sacra e cristiana che può essere un modo innovativo di vivere fabbricando, scambiando e commerciando, cancellando lo stereotipo che il lavoro e la fatica è solo nei campi. Nei conventi si insegna a scrivere e far di conto e si accentua l'individualismo nei ragazzi e nelle ragazze contro una verv inerme di fronte alle meraviglie che si mostrano al contadino giovane e ingenuo. Dai villaggi intorno a Kiev è facile fare esperienza in città per poi tornare al mir e raccontare avventure mirabolanti o mostrare oggetti curiosi mai visti che vengono da paesi lontanissimi abitati da esseri umani strani e mostruosi. In altri termini ciò che attira non è il denaro che praticamente non circola ancora, ma le storie semplici che l'oralità di chi ha vissuto in città trasforma in fiction per il divertimento di grandi e bambini nelle lunghe serate d'inverno nel villaggio natìo.. Un caso a sé per la sua maggiore laicità è G. Novgorod dove addirittura ci sono scuole di falegnameria specialistica nel Quinto Cittadino (pjatìna) dei cantieri navali che soddisfa la domanda navale dell'intera regione (P.E. Sorokov, 1997). Sottolineo ciò giacché l'architettura nei villaggi al contrario è stata sempre un lavoro occasionale fra le mani dei falegnami più abili che usano 178 in prevalenza il legno. La ciotola, l'ascia tipica etc. in casa si usa, ma si presta allo scambio coi vicini sotto forma di prestito temporale e gesto d'amicizia. Nelle arti femminili le giovani ricamatrici e tessitrici si impegnano sodo e dietro compenso addobbano chiese e cappelle, vestono preti e monaci e si tengono in amicizia con la moglie del parroco, pronte a collaborare nelle opere di misericordia cosiddette e nei mercati domenicali che appaiono sempre più frequentemente qua e là. Grande Novgorod con le sue usad'by recintate In questi mutamenti impossibili da impedire o arrestare i vecchi vedevano corruzione e rovina per i loro costumi e non trovavano la forza per adattarsi alle innovazioni, se non insistendo sulla conservazione dei riti e dei credi e lodando il passato come il tempo migliore mai vissuto. 179 Non si accorgevano che stavano nascendo il prestatore d'opera e il datore di lavoro e che scompariva il concetto di legame reciproco parentale, età o sesso e con questo anche l'importanza rituale fra lavoro e lavoro. Non c'è ancora un contratto basato sul salario pagato in contante, ma esiste la “vendita del proprio corpo e della propria vita” a tempo determinato dietro la maschera ideologica cristiana del dovere forzato (bàrščina o pànščina) per gratitudine verso il datore di lavoro. Il dvor cittadino tende a trasformarsi in usad'ba ossia in una minifabbrica dove c'è la casa del padrone e della sua famiglia accanto alle case (più basse) dei suoi artigiani/operai con rispettive famiglie. C'è l'orto insieme con la stalla per animali da allevare e macellare curati dalle donne di servizio – spesso, come detto, facenti pure da balie – oltre a uno spazio coperto che funge da officina o deposito per gli uomini che fanno da palafrenieri per i cavalli del cocchio del signor padrone. Ho in mente l'esempio tipico delle usad'by di G. Novgorod dove il bojaro abitava (v. figura precedente). Lì si lavoravano le pellicce pregiate di diversa qualità e colore animale per animale scegliendo dorso e ventre, tagliando via le zampe e le unghie etc. Salate e impacchettate passavano alla vendita ai clienti stranieri che facevano sosta sulla Riva del Mercato, cantone vitale della città. Né si faceva soltanto questo nelle usad'by bojare perché vi si lavoravano pure altre materie prime come i metalli importati che consentivano all'oggettistica qui prodotta di mostrare quel non-so-che di esotico che attraeva il compratore e che ha lasciato traccia nei 180 documenti. Nella musulmana Bulgar-sul-Volga l'organizzazione cittadina era molto simile a G. Novgorod, ma più aperta alle visite dei mercanti stranieri intra moenia, su modello del Centro Asia. La particolarità di una civiltà musulmana consentiva l'esistenza di mercati spiccioli e c'erano infatti intere vie dedicate agli artigiani specialisti che operavano liberi da padroni e che contavano moltissimo sulle commesse femminili trattate persino fuori stagione commerciale. bellezza bulgara curvy del Volga in vesti invernali 181 Le dame a capo dei clan più abbienti della città che frequentavano la corte dell'emiro amavano investire i personali patrimoni per fare affari. Non solo! Erano le donne a commissionare, specchi, pettini, profumi in pratica tutto l'anno ed erano loro a pagare o a fornire in anticipo i costosi materiali da lavorare per farne gioielli: l'ambra baltica o l'argento degli Urali, ad esempio. Soprattutto senza dipendere dai loro consorti spendevano per adornarsi in tutti i modi nella cosmesi personale oltre a comprare orpelli da applicare sui vestiti e ogni specie di borchia, fermaglio, fibbia. 182 Capitolo sesto Bogomilismo e altre eresie Preoccupandomi di mettere a fuoco i comportamenti all'interno di tradizioni pagane preesistenti e i mezzi ideologici usati dal cristianesimo per affrontarli e ridimensionarli, tenterò adesso di disegnare a grandi linee presso i contadini le antiche credenze e qualche rito e festività prima dell'arrivo del nuovo ordine straniero. Benché la lotta per il rispetto della supremazia della donna nel nordest europeo dal Mar Baltico al Mar Nero non si fermasse, la vita nei villaggi fra il X e il XI sec. non mutò granché finché non si insediarono qui e là nella foresta dei parroci ortodossi. Il parroco con moglie e figli, oltre a esser visti come una rappresentanza occhiuta e reale del potere kievano, avrebbe dovuto far mostra ai parrocchiani del modello di vita felice e benedetta da emulare pur concedendo delle locali sfumature. Purtroppo la chiesa parrocchiale con gli annessi e i connessi fino al XIV sec. risultò essere un'isola culturale che all'improvviso sorgeva alla periferia degli abitati imposta ai locali e frequentata sì e no dai capetti stranieri. Ripeto con maggiori dettagli che nel VII-VIII sec. nella 183 Pianura Russa migranti scandinavi continuarono ad avvicendarsi in particolare alla ricerca della via per il sud. Cercavano la fortuna e quando l'età li metteva fuori ruolo, si sistemavano in maniera selvaggia e cruenta tentando di imporre il loro sistema patriarcale mafioso. Sceglievano i tragitti nella stagione propizia e sostavano per interi mesi nei villaggi che riuscivano a localizzare e perfino a occupare, i pogosti, con la scusa del commercio. Lo scopo però era altro e cioè detto in maniera cruda: essere mantenuti dalla gente lì insediata e riprendere alla prima occasione la strada dell'avventura. Raramente riuscivano a fondare un dominio e a viverci in maniera duratura e ciononostante è conseguenziale che i comportamenti stereotipi, sessuali e non, della loro Svezia incidessero sulla socialità delle comunità da loro oppresse e veicolate dalle donne che li frequentavano. Le loro città erano fortezze (gorod) lignee e minacciose da dove questa mafia varjaga organizzava prima dell'inverno ricognizioni nell'hinterland per razziare i villaggi e costringerli a cedere un tributo in cibo e donne. Costantinopoli, vista l'esigua consistenza delle bande di cui aveva notizia tutte disunite l'una contro l'altra, li vide alleati con i bulgari del Danubio e li considerò un pericolo passeggero attirandoli con i soliti doni aurei periodici. Poi comparve Svjatoslav, padre putativo di san Vladimiro, che fissò un paio di postazioni permanenti sul delta del Danubio, abbandonando Kiev al suo destino. Gli accordi precedenti fra Kiev e l'Impero furono messi da parte e soltanto dopo la morte di Svjatoslav (971) furono ripresi e se ne stipularono di nuovi e finalmente i varjaghi, dopo il 184 laborioso e forzoso battesimo di Kiev, trasmigrarono ormai diventati slavo-russi in varie famiglie delle élites cristiane europee (980-1010). I villaggi intanto andavano localizzati uno per uno nella foresta e subito dopo occorreva assoggettarne i capi. E come fare a imporre a interi rod un signore degno e venerabile, se poi costui scompariva rinchiuso per quasi tutto il tempo nel suo inaccessibile e irraggiungibile gorod? Bastava propagandare che col nuovo signore la vita sarebbe migliorata, senza riuscire a spiegarne il come? Il clero cristiano aveva la soluzione: Nelle città del X sec, in cui iniziò l'indottrinamento, l'ausilio materiale varjago richiesto dal clero fu la costrizione degli abitanti ancor pagani con la forza armata! Come di consueto, l'ostacolo più serio rimaneva: Come parlare alla gente, se non si conosce la loro lingua? Ne ho già scritto, ma occorre dire che il problema di una lingua veicolare unica per i dominati ha assillato ogni impero dal principio della storia scritta. Solitamente lo si superava con un colpo di mano autoritario. Basta documentarsi (N. Ostler, 2016) su come la Spagna nel XVI sec., affrontasse centinaia di lingue diverse e sconosciute nelle pagane Americhe. Madrid decise che gli amerindi, pena la morte, dovessero parlare castigliano! Alla fine gli esiti ottenuti apparentemente furono rapidi, seppur incerti e labili, ma la mafia varjaga ne uscì addirittura convinta che cristianizzare fosse la sua divina missione da espletare manu militari. Nel caso kievano mi consta che il personale ecclesiastico inviato da Costantinopoli per l'indottrinamento era 185 bulgaro danubiano nella stragrande maggioranza e di provenienza dalla città di Filippopoli (Plovdiv) appena riconquistata dall'Impero, ma in forte odore di eresia. C'era perciò il fastidio che la dottrina giunta a Kiev fosse sospetta d'essere intrisa di bogomilismo, l'eresia nata appunto in quegli anni della fine del X sec. piuttosto che la lingua da usare. Come nel resto dei Balcani questi bulgari parlavano oltre al turco originario la koiné slava comune o paleobulgaro e quindi i problemi comunicativi sembravano superati. Tuttavia per capire un po' meglio l'indottrinamento cristiano occorre descrivere come cambiasse il modo di vedere il mondo con l'arrivo di quel cristianesimo deviante. Pertanto riassumo per sommi capi le tesi del monaco-prete Bogomil che operò fra i monti dell'attuale Macedonia e quanto le sue idee abbiano lasciato di tracce riconoscibili nella cultura della Pianura Russa. L'universo per Bogomil era stato creato dall'incorporeo dio cristiano con i 4 elementi fuoco, aria, acqua e terra e diviso in una parte superiore, i sette cieli, riservata al dio e ai suoi angeli pure incorporei. Sotto il primo cielo coperta interamente dall'acqua c'era la terra. Un angelo altresì, Satanaele, si era ribellato al dio supremo e per punizione era stato esiliato sulla terra. Qui oppresso da solitudine Satanaele aveva creato il mondo come noi uomini lo vediamo. Divise cioè le acque di superficie da quelle sotterranee e sulla terra asciutta, lasciò che il tempo atmosferico, pur da lui creato salvo il sole che invece rimaneva oggetto divino del dio del cielo, 186 agisse e fecondasse il suolo. Satanaele creò piante e animali e in ultimo l'uomo e riuscì a dar vita a tutti questi esseri insufflando una parte della sua angelicità nei loro corpi. Di qui la natura dualistica dei viventi: angelica-buona e materialemalvagia. Il dio creatore affinché l'uomo capisse l'ambiguità bene-male aveva inviato degli angeli fra gli uomini, ma senza successo poiché gli uomini era rimasti sordi a ogni esortazione a cambiar vita. Alla fine aveva deciso di mandare Cristo facendolo uomo come gli altri attraverso il parto di Maria. Satanaele naturalmente lo combatté fino a farlo crocifiggere, ma dato che Cristo non poteva morire come gli altri dopo 3 giorni riapparve sulla Terra. Mise Satanaele in catene e lo relegò a vivere per sempre nell'inferno e dal suo nome tagliò via la sillaba -el cioè dio e di qui l'attuale nome di Satanà. Ad un certo punto Satanà è riuscito a liberarsi e oggi vaga sulla terra alla ricerca di alleati che lo aiutino a ripristinare l'antico suo dominio universale terrestre. E con chi si pone in contatto per conseguire tale fine? Con la donna, l'ambigua sposa dei potenti della terra! Il potere che consente all'uomo di sfruttare altri uomini a suo totale vantaggio è il male assoluto, sebbene si sappia travestire da missione divina che elargisce falsi beni materiali con l'aiuto della chiesa di Roma sul Bosforo corrotta proprio da Satanà. Di qui il proverbio russo: Муж и жена – одна сатана cioè Marito e moglie è un unico satana, insomma il matrimonio ha un esito negativo rispetto all'invito di 187 diventare una sola carne, secondo le parole di Cristo, e per colpa di chi? Della donna! L'ambizione dei bogomili era di costituire una propria chiesa e una propria dottrina purificata di fronte a quella ufficiale costantinopolitana e chi aderisse al bogomilismo doveva impegnarsi in tale compito affinché la nuova chiesa fosse costituita da gente semplice, diversa e in più opposta a quella al potere nell'Impero Romano d'Oriente (M. Erbstösser, 1984). I Varjaghi/Rus. Assodato ciò, devo però riconsiderare le persone che ne furono investite per prime: i Varjaghi. Da mafia organizzata dominante la navigazione nel Mar Baltico col distintivo del nome Rus, nella Pianura Russa vagavano senza interesse a circoscrivere né a sapere quanto esteso fosse il raggio delle loro attività predatorie e quali altri poteri si potessero incontrare da combattere o con cui eventualmente fraternizzare. Gli unici aspetti interessanti che ho potuto individuare nella loro storia erano i loro perenni sforzi tesi a dimostrare, allorché si presentava il caso, che da armati in perenne razzia sul territorio erano giovani e vogliosi di godimenti di qualsiasi tipo dalla copula all'abbuffata. Mi sono chiesto: Se in Scandinavia il costume negava che la donna fosse subordinata all'uomo e pertanto conservasse le sue prerogative di scegliere i partner sessuali che volesse, i varjaghi che decidessero di risiedere nel nordest non avrebbero forse applicato la stessa socialità delle loro 188 madri e sorelle per le donne locali? È da tener a mente ciò giacché è una delle chiavi interpretative nel conflitto fra i sessi nelle élites varjaghe al potere nel nordest medievale. Comunque sia i varjaghi con i locali imposero l'unica relazione di potere a loro nota favorevole: il ricorso al terrorismo con le razzie preventive di odore mafioso. Solitamente si trattava di stipulare con loro un patto di difesa del villaggio contro gli altri gruppi varjaghi dipinti a tinte fosche e terribili e mantenere così la pace, ma nel detto “accordo” si pretendevano donne e cibo dai capi locali. È logico che con gli ostaggi femminili si formassero legami famigliari e, se rammentiamo come funzionasse la verv, è facile immaginare come le madri-consorti a loro volta diventassero le protagoniste della spinta al cambiamento negli usi e nei costumi dei parenti d'origine con i quali esse mantenevano i contatti e come influissero volenti o nolenti nelle politiche del loro rod. Chiarisco qualche fraintendimento. È certo che la donna è geneticamente incline a stabilire reazioni interpersonali e ciò sta a fondamento non solo della creazione di gruppi umani, ma soprattutto per le cure parentali che lega madre e prole per quasi tutta la vita e che comunemente è definito amor filiale. La coppia in reciproco amore madre-figlio/a è il primo e minimo raggruppamento umano poiché la femmina umana non solo genera dentro il proprio corpo i figli, ma dopo il parto offre loro se stessa col suo latte come cibo primario e esclusivo. Dopodiché quando il latte non sarà più necessario e la sua secrezione cesserà, la madre masticherà nella bocca la miscela d'alimenti altrimenti 189 indigeribili per il suo bimbo che non ha la dentatura completa e ne farà una pappa da immettere nella bocca del figlio con un dolce e amoroso bacio con la lingua. Questa esperienza primordiale è decisiva per il rapporto futuro fra madre e prole e la sessualità dell'impubere! E i detti gesti non sono forse i rituali d'amore che si usano nella copula sia etero- che omosessuale adulta? Chi fa da partner femminile si comporterà da madre che coccola, stimola e diverte mentre chi fa da altro/a partner farà da figlio beato e gaudente delle carezze e delle attenzioni manipolatorie. Né quanto appena scritto deve far scandalo giacché recenti scoperte confermano che la sessualità funziona negli infanti dalla nascita seppure da stimolo secondario rispetto al bisogno fisico primario di nutrirsi e perciò nei primi anni di vita si rivolgono per l'appagamento al nutrimento, mentre crescendo alla pubertà saranno gradualmente educati alla normalità di soddisfare anche la spinta sessuale al coito dalla cultura dominante (E. Nagoski , R. Eisler et al.). Come ho scritto in precedenza, nel VII-VIII sec. ormai il sistema societario nella Pianura Russa e specialmente fra le etnie slave si è consolidato nella famiglia allargata o verv con una élite dominante in mano maschile. Niente di strano perciò che, quando il caso di maschio pubere si presenti, gli anziani si riuniscano per trovare per lui la buona consorte discutendone abbastanza a lungo. Certo, si aggiunge una nuova forza lavoro nello sfruttamento del territorio e c'è da fare bene i conti sull'investimento donna-consorte affinché non sia solo una concubina o 190 una schiava addirittura da destinare esclusivamente alla copula. Essa deve anche generare e quindi meritare il favore degli dèi con la sua fertilità. La sposa sappiamo che andava pagata ai suoi genitori, il veno in slavo-russo e il kalim in bulgaro-turco, e la somma era quasi sempre un bel conto salato in natura e lavori, dato che denaro non ne circolava. Un noto osservatore musulmano del X sec., al-Qazwini, scrive infatti: «Quando un capofamiglia ha 2 o 3 figlie [che è riuscito a allevare fino all'età da marito] esse sono la sua ricchezza. Il contrario accade se ha 2 figli maschi poiché causano il suo impoverimento.» Alla fine una bocca in più da sfamare si ripagava con vari servizi, salvo quando una volta ingravidata rallentava il carico nei lavori diretti a beneficio della comunità da essa sopportabile e aumentavano i suoi consumi di cibo. Sgravatasi le bocche da sfamare aumentavano in pratica e il lavoro della donna-madre da quel momento in poi per un 2-3 o più anni almeno era speso interamente per la prole da curare e da accudire. L'avvento del cristianesimo in minima misura alleggerì la donna-madre nella cura della prole allorché il parroco nei villaggi o il prete di famiglia nelle città reclutava per gran parte della giornata i bambini pochi mesi prima della pubertà preparandoli col catechismo alla conferma o cresima (in russo miro dal greco myron, l'unguento che per i cattolici è l'olio d'oliva benedetto). Insegnare a leggere e scrivere era un altro espediente per costringere ad abbandonare il paganesimo visto che si assimilava la spiegazione di come fosse avvenuta la creazione del 191 mondo, dell'uomo e della donna e qual era il destino finale dell'uomo rispetto alla donna di per sé impura. Gli argomenti erano raccontati in modo accessibile e favolistico-divertente per affascinare il catecumeno ignorante ricorrendo alla lettura ad alta voce, magari con un sottofondo musicale e con danze e gesti rituali. Notiamo che oltre ai 4 vangeli che Roma sul Tevere considerava già nei primi secoli insostituibili – canonici – a Roma sul Bosforo alcuni dei cosiddetti apocrifi erano permessi e circolavano abbastanza liberamente. In primo luogo la necessità stringente per ogni pagano o cristiano era comunicare con la divinità per richiederne il favore negli eventi personali. Nel Medioevo Russo a questo proposito sembra facile pensare che i sacerdoti cristiani sopperissero a queste esigenze e ne farebbero testimonianza quelle pagine piene di lodi e trionfi sull'organizzazione della chiesa ortodossa alla sua entrata nella Pianura Russa alla fine del X sec. in alcuni documenti ecclesiali. Nonostante ciò nell'assetto ideologico cristiano, senza ripetermi sul bogomilismo, rimaneva vivo il concetto paolino che occorre disprezzare il corpo, per sua natura malvagio, e che non ci si deve pertanto curare troppo delle sue pulsioni. Gli impegni, i legami, la vita del corpo compreso l'amore e il sesso andavano messi da parte perché diabolici e guidati dalla donna complice del demonio. Per vie dirette tramite i parroci e per vie indirette tramite le dicerie dei mercanti cristiani da sud a nord queste concezioni aliene e i relativi comportamenti si andavano spargendo nella Pianura Russa, lentamente 192 ma inesorabilmente e il paganesimo del nordest ne fu influenzato già nel XII sec. Nella regione di Rostov nel nord e di Lago Bianco per l'anno 1071 si legge nelle locali cronache che un certo Jan affermò di aver udito con le proprie orecchie le parole e le frasi smozzicate del volhv mentre esponeva le idee eretiche bogomile sulla donna, sulla creazione etc. da lui peraltro più o meno condivise. Ciò aiuta a disegnare meglio la società della Pianura Russa e non fa meraviglia che nella vita cittadina di Pskov, di G. Novgorod e fra i Bulgari del Volga e persino nell'area dove nascerà Mosca, il rispetto sociale per la donna restava di gran lunga maggiore che a Kiev. Se poi mi richiedessi se esistette mai la donna-volhv fuori dalla verv, mi risponderei in base agli episodi raccontati nelle CTP che sì, benché poco è noto del suo operare da sciamana e da sacerdotessa. D'altronde il volhv segnato dagli dèi nelle CTP ne abbiamo uno fra i discendenti di Roghneda: Vseslav, nato con una voglia sulla fronte talmente estesa e deturpante che dalla pubertà si abituò a indossare una berretta che la nascondesse. Gli fu appioppato il nomignolo di čarodei ovvero l'equivalente di mago e si dice che parlasse o chiamasse i lupi ululando nella notte. Ho già scritto che l'economia generale della verv fosse gestita dalla donna più anziana e non solo perché nella remotissima antichità la donna era stata la vera creatrice dell'economia contadina e la custode di tutta una serie di competenze tecniche, ma anche per ragioni pratiche nella divisione dei tempi di lavoro. Mi spiego meglio. Mentre all'alba gli uomini vanno al lavoro nei campi, nel dvor 193 resta lei, la baba, con le altre baby più giovani e i bambini e tocca a loro affrontare ogni evenienza e risolvere ogni contingenza o bisogno fisico. Quanto poi al potere del suo comando, era un principio fondamentale che i più giovani obbedissero agli ordini degli anziani perché questi da eredi e conservatori della tradizione erano fonti di saggezza. Anzi! Il potere del bol'šak, se invecchiato e costretto a passare gli ultimi anni della vita impedito dagli acciacchi, risultava incerto e non era raro che la consorte lo vedesse inutile nelle attività produttive solite e se ne liberasse costringendolo a una specie di suicidio forzato. Gli si costruiva una izbà in un angolo nascosto della foresta e lo si lasciava lì a vivere solo soletto fino alla morte. Naturalmente poteva capitare anche a lei un uguale destino... Come spesso accadeva tuttavia, era giusto la donna a sopravvivere al maschio capofamiglia e quindi per un bel po' alla bol'šuxa si obbediva con riverenza finché in una riunione di famiglia non si decidesse altrimenti. In seguito il cristianesimo costruirà conventi qui e là nel fitto della selva e i vecchi riconosciuti pesi inutili troveranno ricetto presso i monaci con un'ulteriore causa dello sbriciolamento della verv. Addirittura i reietti di famiglia abbiente prendevano volentieri i voti monacali e il convento evolveva a pensionato o a ospedale sui generis per lungodegenti, se non proprio a prigione come accadde con i Cavalieri Teutonici a Marienburg, la loro centrale operativa, e ad altri castelli nel XIV-XV sec. Alla fine del mio lungo excursus mi dovrebbe esser riuscito a inquadrare la donna nella pratica lavorativa nel 194 periodo X-XIV sec., benché gran parte delle notizie raccolte nelle CTP si riferiscano alle signore dell'élite e benché il periodo sia pieno di attenzioni critiche e ironiche sui ruoli femminili. L'esogamia tradizionale della verv sembra in parte obliterata man mano che passa a dominare il regime della famiglia mononucleare sotto la severa giurisdizione ecclesiastica. In certo qual modo a dire il vero si instaura il compromesso che introduce qualche miglioria per la donna finora trattata da ”pegno vivente” fra i mir. Dal punto di vista economico la coniuge, non schiava né in contratto di lavoro in una usad'ba, conserva la libertà di gestire la dote portata con sé nel matrimonio cristiano che ora è riconosciuta sotto la forma di una donazione e non più di veno. La si vede comprare e vendere da amministratrice ordinaria, pur se rammento che sono casi limitati alla nobiltà femminile. Appaiono le prime badesse al volgere del X sec. che intorno a sé raccolgono giovanette che hanno rinunciato alla copula obbligatoria eterosessuale fra cui lesbiche e giovani vedove. Tutto questo e altro è contenuto in maniera volutamente sbiadita nella Pravda Russkaja allorché si parla di attività lavorativa che conviene regolamentare senza far troppo conto del rango sociale acquisito tramite il maschio consorte. Qualcosa si ricava a conferma di certe mutazioni sociali percepite come fastidiose dalla tradizione, se nelle byline la figura femminile nobile non è un personaggio troppo amato quando rifiutando la verv ha cambiato e tradito. Siccome è donna, si sottolinea quanto sia scandaloso mettersi alla 195 pari col maschio dominante specie nel fisico e che una virago armata e vincente nelle prove di forza e dura di cuore non sia auspicabile. Sottolineo che ciò non vale nel mondo dei nomadi delle steppe dove la donna rimane circondata dall'alone delle Amazzoni... A parte la natura mitologica lunare dell'elemento femminile, la donna nobile vive separata dal consorte nel palazzo del knjaz (terem) e dorme con lui soltanto se questi la chiama! La sua facoltà di riuscire a trasformare ogni sostanza o miscela di sostanze in qualcosa di utilizzabile dal suo congiunto sia come cibo sia come stimolo amoroso sia come medicamento non è più in discussione, ma la sua economia domestica tanto popolare nella verv decade. Ciò è verificabile nell'esempio di un convito: A tavola rarissimamente le è permesso pur da padrona di casa di mangiare insieme con gli ospiti. Da nobildonna essa deve solo occuparsi della sua avvenenza. Tornando al mir e all'attività culinaria contadina, quali erano i suoi strumenti da cuoca? La domanda è pertinente perché gli archeologi hanno mostrato come tali oggetti trovati nelle tombe facessero parte del corredo personale con addirittura il nome della donna inciso come l'unica a poterne disporre. Non erano numerosi tuttavia e fra gli slavi spiccano un bel pentolone di coccio con tre piedini sul fondo e una lunga forca di metallo per immettere e tirar fuori la detta pentola. Da dove? Dalla monumentale stufa o peċka installata nell'angolo sinistro di ciascuna casa o izbà e che funge da forno-cucina oltre che da fonte di luce e di calore per l'ambiente altrimenti senza finestre. 196 reperti vari delle nobildonne kievane del X sec. Nel ċum dei nordici nomadi al posto della stufa c'è una piastra di metallo al centro di questo ambiente che è circolare di fronte all'izbà al contrario quadrangolare e su questa piastra in un cerchio di grossi ciottoli c'è il fuoco. L'attività culinaria è però sempre riservata alla donna, padrona di casa. Analoga è la sistemazione degli spazi nelle ger circolari dei nomadi delle steppe. Il calore/ardore di qualsiasi genere, secondo la mitologia slava dominante, proviene dal cielo dove governa Svarog ed è lui che agli albori della civiltà donò il fuoco agli uomini indicando loro dove trovare la pietra focaia per attizzarlo e affidandone la custodia a suo figlio Svarožič. Quest'ultimo è un provetto fabbro ferraio giovane, bello e muscoloso, ma di poche parole che i léttoni identificavano con Perkons (slavo-russo Perun), signore del fulmine. Si credeva che la cuoca di casa gli si 197 offrisse affinché ciò che lei preparava per qualsiasi suo commensale riuscisse gradito, almeno nella fragranza oltre che nel sapore. Evidentemente, vista la sua costante presenza presso la stufa, la voglia di fare all'amore della padrona di casa derivava proprio dal suo armeggiare col detto dio. Il fuoco della stufa una volta acceso era d'altronde tenuto vivo dallo spirito folletto chiamato Raràšek presso altri slavi che ogni tanto sbucava sotto forma di faville (iskry) fuori dalla bocca del forno e le faville si trasformavano in un vero e proprio uccello rapace dalle piume di fuoco. Era stata la donna, si raccontava, a farlo nascere ponendo un uovo nella stufa per 9 giorni e 9 notti e era stata sempre lei a permettergli di accomodarsi geloso sul tetto della casa. D'altronde un rito, non scomparso ancora nella campagna attuale e creduto semmai un'efficace cura medica associata alle appena citate divinità ardenti, è l'introduzione da parte della puerpera del suo appena partorito nella pečka per pochi secondi affinché ne venga fuori bello e libero da qualsiasi malanno. Qui ho riferito delle dicerie popolari residui del vecchio paganesimo slavo, ma tutti erano convinti 1000 anni fa e così al giorno d'oggi che la pečka fosse il centro vivo della magia domestica gestita al femminile. Oltre agli dèi e ai semidèi già nominati parecchie altre presenze divine erano ospitate dentro e nei pressi della stufa. Bastava riconoscerle dalle tracce visibili che lasciavano nella cenere, nel fumo e nelle faville per riuscire a mettersi con loro in contatto con gli appositi scongiuri e le adeguate offerte onde farsi specialmente aiutare nel produrre 198 pozioni di sicuri effetti curativi o magici. Prodotti afrodisiaci. In altri miei lavori ho scritto della cucina medievale russa e non mi ripeterò tranne qualche stralcio o qualche accenno. L'argomento che riservo a questa parte del saggio è l'uso speciale delle “piante magiche” o “piante degli dèi” create per risuscitare, mitigare, rafforzare, scompigliare etc. l'espressione sessuale di chiunque ne consumasse. E partiamo non da una pianta vera e propria come si definiscono in botanica oggi: i conosciuti e gustatissimi funghi. Raccolti in primavera erano seccati a costituire una derrata alimentare di riserva amatissima nella Pianura Russa e se ne raccoglievano davvero in gran quantità. Di solito la raccolta era un lavoro femminile in quanto circolava la diceria che le donne non indossando in quel lontano passato alcun indumento intimo con la loro vulva in vista eccitavano i geni-nanetti che pertanto venivano fuori della terra come dei funghi e si lasciavano cogliere. E non solo si consumavano come cibo, ma anche per usi medicali e psicotropi nei vari riti orgiastici. Nell'intera Europa un fungo era usato come afrodisiaco sia per aumentare la “resa sessuale” nella copula sia come allucinogeno e sto parlando di Amanita muscaria cioè del fungo che appare nella favola di Cappuccetto Rosso. R. Evans Schultes e G. Schön (1998) informano infatti che in particolare l'Amanita muscaria era arrivata nella Pianura Russa con le migrazioni ugro-finniche dalla 199 Siberia dove era usato da secoli dagli sciamani. Gli antichi indoeuropei che avevano invaso l'India ca. 3500 anni fa provenendo appunto dal Centro Asia con questo fungo riservato agli dèi ne facevano un infuso che solo i sacerdoti celebranti certi riti potevano bere e attraverso il loro corpo avvicinarsi alla divinità. Nelle mitologie indoeuropee troviamo il consumo di quel fungo sotto vari nomi: presso gli dèi dell'Olimpo greco è l'ambrosia, come cibo solido e dunque impastato, e il nettare, come bevanda-infuso; presso i persiani era la bevanda Haoma e nei Veda indiani era il Soma e infine fra i varjaghi si brindava con essa per la festa del bere o Sumbl (stessa radice di Soma/Haoma). Non solo! Nel Rig-Veda si dice che Parjania, dio della tempesta, era il padre del Soma e Parjania corrisponde al balto-slavo Perkunas/Perun anche per gli attributi divini pressoché uguali. Come agiva il fungo sulla pratica sessuale? Essiccato lo si macinava fino a ridurlo in polvere grossolana che si mescolava al cibo comune oppure dopo averlo inumidito con la saliva e masticato in piccolissimi pezzi, ma in quantità tale da non risultare letale, lo si riduceva a una minuscola polpettina da passare al partner con un bacio. A seconda della quantità usata gli effetti erano diversi. Con dosi minimali iniziava una concitazione e una voglia di muoversi e con dosi massime si arrivava fino all'ebbrezza allucinatoria o delirium tremens. Dunque la sposa che notava stanchezza nello sposo nella copula ricorreva all'infuso del fungo in piccole dosi oppure a una pietanza più elaborata a base del fungo stesso. Altri quattro funghi vanno menzionati perché 200 importanti per il nostro tema, l'uno da riconoscere e gli altri tre da consigliare di averne in riserva a casa: 1. Geastrum fimbriatum (russo zvezdovik bahromčatyi), 2. Saccharomyces cerevisiae (russo drožži ossia lievito di birra), 3. Piptoporus betulinus (russo berezovaja gubka o labbro di betulla) 4. Fomes fomentarius (russo trutovik), 5. Phallus impudicus Il Geastrum fimbriatum è particolare in quanto forma dei cerchi anche ampi di individui cresciuti da un fungo “padre” che compare al centro che le raccoglitrici chiamano “anello magico”. Il fungo padre infatti prima di estinguersi irradia i suoi miceli sottoterra a raggiera intorno a sé e da questi a distanze più o meno eguali nascono i funghi figli che la raccoglitrice vedrà e eviterà perché si giudicava pericoloso entrare nell'anello, se non si era iniziati in certi rituali. Il Saccharomyces cerevisiae non si riconosceva come fungo perché microscopico, ma come pasta madre o dežà usata sia per fare il pane di frumento che per fare la birra, bevanda comunissima bevuta specialmente dalle donne e meno cara dell'idromele o miele fermentato fino a 30-40 gradi percentuali d'alcol etilico riservato alle élites e ai riti, mentre la vodka distillata da materiale vegetale era in qualche maniera popolare fra i contadini. Devo qui aggiungere che la vodka si beveva nelle feste d'addio al celibato in cui l'ancora celibe veniva costretto dai suoi amici a bere fino all'ebbrezza. Ancor oggi il rito è 201 ripetuto e incita il malcapitato a bere fino in fondo al grido Gorka! Gorka! cioè: Brucia, brucia! Si intende non soltanto il forte grado alcolico (oggi significa amara) della bevanda che inebrierà la futura sposa, ma anche che non potrà scegliere un nuovo partner come in passato. Il Piptoporus betulinus aveva proprietà medicamentose particolari. Lo si trovava a far marcire la corteccia della betulla e si mostrava come un grosso labbro grigio appiccicato al tronco in basso. È famoso nella letteratura perché si è trovata un cordata di fungo secco nella sacca di Ötzi, il famoso uomo di 5300 anni fa in giro nelle Alpi. Perché lo ricordo? Perché è adatto a curare e disinfettare le ferite e a lenire il dolore nelle infezioni uretrali! Anche se ultimo nel mio elenco, non ho dimenticato che l'ipostasi vegetale – se è lecito chiamarla così – del dio Jarilo (e di Rod) è il famigerato fungo Phallus impudicus qui raffigurato (la foto è in Wikipedia). In russo è chiamato vesjòlka traducibile con strumento 202 di piacere e in limitate quantità non è velenoso, ma, oltre alle sue proprietà afrodisiache nell'ingerirlo, ha un odore talmente penetrante che – certi micologi russi assicurano – porta una donna all'orgasmo al solo inspirarlo. E infine il Fomes fomentarius. È un fungo molto apprezzato perché seccato e macinato con delicatezza contiene delle sostanze che favoriscono lo sprigionarsi di fosfina che prende fuoco quando lo si infrappone fra due legni secchi che si strofinano fra loro. Era prezioso alla festa dell'amore della Mezza estate dedicata a Kupalo, nella cultura slavo-russa e nell'Europa cristiana detta la Festa di san Giovanni o del solstizio d'estate (1000 anni fa ca. 24-25 giugno). In questa occasione ogni fuoco era spento e si allestiva lo spettacolo della riaccensione facendo ruotare un tronco ben secco verticale e appuntito, il maschio, ad angolo retto in un incavo di un altro tronco fissato al suolo, la femmina, che conteneva la polvere del detto fungo. Quando si vedevano finalmente le fiamme, si passava a accendere un grande falò e alla fine della festa ogni donna prendeva una parte della brace per riaccendere la propria pečka di casa. Il frutto simbolo dell'amore malgrado tutto è la mela. Nei racconti popolari col cristianesimo diventa il frutto che Eva staccò dall'albero del bene e del male e che divise con Adamo e tale racconto della Genesi ebraica è in ambiente cristianizzato la metafora del fatto che in realtà fra i progenitori dell'umanità ci fu la prima copula e si commise il cosiddetto peccato originale da scontare da allora in poi. Perché la mela e non un altro frutto? In primo luogo il melo era nel Medioevo in tutto il bacino 203 del Mar Mediterraneo e del Mar Nero fino al Mar Baltico l'albero più diffuso e più apprezzato come cibo di riserva per la resistenza dei frutti alla lunga conservazione (in fosse di sabbia, coperti d'argilla o nelle cantine sottostanti alle izbe nordiche, etc.). In secondo luogo perché nella mitologia pagana e pure greco-romana la mela era un frutto solare o il sole stesso come fra i léttoni, mela d'oro di Saule, dea del sole splendente, ad es. e persino l'oggetto di varie storie d'amore fra le divinità celesti. Quanto alla mela di Adamo e Eva la storica francese M. Toussaint-Samat (2009 v. bibl.) fornisce la sua spiegazione che tale frutto è scaturito probabilmente da un errore di traduzione dall'ebraico-aramaico in greco e poi in latino. In altri termini il testo della Genesi in latino, come era usato nelle parrocchie tradotto per i fedeli, chiama il frutto proibito col nome generico di pomum cioè nient'altro che frutto, ricordo come riferimento che la dea dei frutti si chiamava a Roma appunto Pomona. In seguito nei volgari neolatini dei primi convertiti che attesero alle letture delle Sacre Scritture ossia gli abitanti di GalliaFrancia e d'Italia, aborrendo il malaugurato nome latino della mela ossia malum che significa pure cattivo o diabolico, scelsero termini diversi nelle traduzioni ulteriori e la comunissima mela divenne in it. pomo (più tardi mela), in fr. pomme. Così il frutto andò a finire nella leggenda del peccato originale con un'intenzionale confusione col coito. La storica rincara la dose sul simbolismo della mela insistendo che fosse un simbolo del fare all'amore già a 204 vista. Se tagliamo il frutto a metà osserviamo che ci appare una riproduzione dell'apparato genitale femminile esterno ben noto nei tempi andati. Non solo! I semi appaiono sistemati in un pentagono stellare, rappresentazione magica pagana antica di luoghi misteriosi come la bocca dell'utero. Una spiegazione molto simile, ma stavolta basata sulla lingua italiana, la dà R.G. Capuano (v. bibl.). E che dire di re Artù che attende il suo destino disamorato nell'isola delle mele o Avalon dove aval è appunto la mela in celtico-gallese? E non è forse la mela il frutto di paragone per la bellezza dell'amata del Cantico dei Cantici nelle Sacre Scritture? E la mela d'oro delle Esperidi che Paride lancia a Elena non fa scoppiare la Guerra di Troia? E quella avvelenata offerta a Biancaneve non ci dice che con la magia di questo frutto si può infliggere la morte e più tardi far ritornare in vita il defunto con un bacio d'amore? Val la pena ricordare un incantesimo per stuzzicare o infastidire l'amato lontano che si fa con la mela in ambito slavo-russo. Eccolo (N.I. Kostomarov, repr. 2008): «La mela d'amore. Sono queste le mele con il cui aiuto si può sollecitare l'attenzione e l'amore di una certa persona. Si fa in modo molto semplice tagliando a metà una mela. Nel suo centro si mette il nome della persona scritta su un pezzettino di carta [nel passato: una parte del corpo come capelli, peli unghie etc.] e la si mette al sole. Avverrà che la mela seccherà e la persona amata soffrirà in qualche modo [avrà disturbi alla gola].» E chiudo ricordando che ogni dvor aveva all'entrata del 205 recinto di casa il melo piantato dall'eponimo fondatore i cui frutti offerti all'amato erano altrettanti inviti sessuali ben precisi! Coglierne i frutti per mangiarne era pure proibito e occorreva attendere che cadessero da soli. Infatti tirar giù una mela poteva provocare la caduta di un'adiratissima rusalka che aveva scelto quel melo per acquattarsi senza farsi notare. Logicamente non dobbiamo credere che con tutto il daffare in una casa rurale medievale della Pianura Russa le donne fossero occupate a preparare solamente filtri e pozioni. Al contrario! L'economia della dispensa era piuttosto complicata nello sfruttare al meglio le derrate a disposizione per cucinare. Nella dispensa infatti c'erano medicine e intrugli anche minerali che le donne anziane con più tempo libero e con maggiori conoscenze magiche e mediche accumulavano. la Ved'ma in un famoso quadro di Rerih del 1914 206 Le si vedeva spesso bighellonare lungo le rive dei fiumi o a chiacchierare con le vicine su questo e su quel caso amoroso risolto... con le loro erbe! Non sempre le donne rientravano tutte a casa al tramontar del sole giacché certe piante occorreva coglierle col fresco della sera o nel buio della notte e le fortissime paure del buio nella gente di quei tempi lasciavano credere che specialmente le donne anziane sapessero come consigliarsi con gli esseri magici della foresta e attardarsi con loro nel buio. In ogni villaggio quasi per forza doveva abitare una ved'ma (znaxarka, koldunja etc.) ossia colei che aveva il rimedio per ogni caso di infermità. Anzi si poteva diventare tali, frequentando i … serpenti e farsi toccare appunto dalla loro regina. Come? Andando a cogliere l'artemisia ossia in russo černòbyl o erba nera che si usava spargere sui falò di Kupalo perché emanasse il suo profumo sulle gonadi di ragazzi e ragazze che saltavano sulle fiamme. Una delicata bylina ucraina racconta appunto che una giovanetta caduta in una trappola per serpenti nel Polesje di Kiev, dopo varie peripezie riesce a ingraziarsi la regina dei serpenti ed è trasformata in ved'ma. Purtroppo distratta dall'amore per un giovane pronuncia černòbyl, parola per lei tabù, e perde i suoi poteri e l'amore perciò è ora irrecuperabile. La ved'ma per le sue frequentazioni è assimilabile alla strega nostrana, ma venerata in maniera positiva. Una guarigione alla fin fine non era solo un suo successo medico, ma anche la facoltà di aver saputo prevedere il futuro della vita del malato. Soltanto con il consolidarsi del potere moscovita la si vide come un'estranea che 207 viveva separata dai suoi e che potesse essere pericoloso mettersi con lei in contatto. La si accusava di aver venduto la sua anima al diavolo o a altro essere notturno demoniaco (bes) e la si portava in giudizio per poi torturarla o mandarla al rogo, ma ciò non fa parte della presente storia. Detto ciò già nel XII sec. la nipote di Vladimiro Monomaco, Eupraxia, si preoccupò di raccogliere in una specie di manuale intitolato Gli Unguenti ogni possibile informazione medicofarmacologica del mondo rurale, specie bielorusso. Non essendo la Pianura Russa sfiorata se non marginalmente e in ogni caso lungo le correnti dei fiumi dagli itinerari del commercio internazionale delle spezie, la cucina rurale possedeva una grandissima varietà di sapori piuttosto che di odori: il dolce dominava sul piccante, il pesce di fiume sulla carne, i frutti erano disponibili freschi nella bella stagione (la mela, le prugne, le nocciole dominavano) e disidratati e dunque dolcissimi e morbidi da assaporare nel freddo del lungo inverno. E tuttavia chi poteva saperlo, se in un gradevole sapore di una succulenta pietanza non si celasse un veleno o una sostanza psicotropa? Il cibo-re nel Medioevo era comunque il pane che si consumava in ogni giorno dell'anno. Nel passato pane o vita erano la stessa cosa e in russo si chiamavano appunto con lo stesso termine: žito (in italiano la radice latina del verbo vivere e del vitto è *vic-/vit-- omologa alla russa). E qui occorre però dare un'interessante informazione. Con l'avvento del cristianesimo si introdusse la comunione e il consumo del pane santo (prosfor) di 208 frumento da usare in chiesa nei riti ortodossi al posto delle ostie di pasta non lievitata dei cattolici. Si riservò grande attenzione a questo pane da santificare che cadde sotto regole abbastanza rigide per la preparazione e per chi lo preparava. La produttrice comunque restava la donna, non una qualsiasi, ma la proskurnica, come era chiamata. Costei era una vedova conosciuta per la purezza dei costumi e scelta apposta dal parroco per la bisogna. Essa doveva (1) aver contratto un solo matrimonio e non aver intenzione di risposarsi, (2) avere un'età di oltre 40 anni in maniera che le mestruazioni con l'impurezza che comportavano non profanassero il prodotto. Se invece la vedova scelta era giovane e mestruava regolarmente, allora doveva interrompere ogni volta la preparazione del pane per almeno 20 giorni. Dopodiché si sarebbe purificata nella banja e poteva ritornare a lavorare il pane santo. Logicamente colei che fosse sorpresa o vista o accusata di continuare a fare all'amore, veniva radiata quasi immediatamente dal cuocere il detto pane. Perché ho scritto quasi immediatamente? Il motivo è che dalle strutture famigliari esistenti di vedove con tali caratteristiche se ne trovavano forse una o due in un villaggio e quindi a volte il parroco chiudeva un occhio o si tappava le orecchie per le maldicenze su di lei. Il pane quotidiano era solitamente di segale, non lievitato e il suo impasto era del tipo che in Germania si chiama Pumpernickel (v. Wikipedia). Era preparato in semisferiche pagnotte piuttosto schiacciate dal sapore acidulo che di per sé rendeva difficile mascherare 209 ingredienti estranei come un veleno o un afrodisiaco. Era invece difficile da mascherare il sapore leggermente pungente del pericolosissimo fungo Claviceps purpurea o in italiano segale cornuta. In russo il suo nome sporinjà nella mitologia slava indicava l'abbondanza e si credeva che quando se ne trovasse durante il raccolto, anche un solo corno, voleva dire che la messe era andata bene con spighe abbondanti e grosse. I corni di segale cornuta si mettevano da parte poiché un po' della sua polvere (in realtà le spore) nel pane solito si diceva che promettesse una copula fortunata. Le levatrici conoscevano bene l'effetto ausiliario delle pozioni in cui mettevano la segale cornuta perché si accelerava il parto e si leniva la fatica e il dolore del travaglio. Nessuno immaginava intanto che consumare segale senza saperla ben mondare dal detto fungo provocasse l'ergotismo o fuoco di sant'Antonio a volte con veri episodi epidemici di questa patologia sia fra gli uomini sia fra gli animali da stalla ai quali ultimi appunto si dava biada con segale. Ignorando perciò che la segale cornuta stesse all'origine di quei malanni, la terribile gangrena che faceva cadere in pezzi le estremità necrotizzate non poteva che esser la fattura di una ved'ma incaricata di eseguire una vendetta per conto di un nemico del dvor o dell'intero villaggio. Se poi fra le sofferenze subentrava una specie di danza – le convulsioni – nel malato ubriaco di segale (russo ržepjanskii), il ballo era detto il passo contorto o crampo della ved'ma (rus. ved'mina korča) e in questo caso, data la concezione pagana del mondo dei morti, si credeva che il soggetto danzante fosse felice di essere in contatto con 210 gli dèi e lieto di ricongiungersi con gli antenati. Una pianta che nella letteratura popolare dell'Europa ha conservato qualcosa di misterioso e di magico fino a tutto il Medioevo, compreso quello russo, è intanto la mandragola o Mandragora officinarum. Con questa pianta (russo fiaccola del diavolo – sveča diavola – oppure fiore di ved'ma – cvetok ved'my) il cui rizoma ha spesso la forma di un corpo umano, a volte maschile e a volte femminile secondo la fantasia di chi la estrae dalla terra, si facevano amuleti d'amore. Si sceglieva la pianta del sesso dell'amato/a e vi si intagliavano dei tratti umani approssimativi. Tutto ciò si faceva in segreto e di notte mentre si mormoravano gli scongiuri appositi. L'intera procedura per fabbricare un amuleto efficace durava mesi con svariate e complicate operazioni (v. Wikipedia in russo su Yandex.ru). Alla ved'ma andavano dunque le richieste di unguenti spermicidi che essa preparava da varie essenze vegetali. Per questi preparati rimando il lettore alla letteratura del tipo Le Virtù attrattive delle Donne dove c'è un manuale apposito (v. mia bibl.). Una parola va detta sulle pratiche abortive dove l'intervento della ved'ma era indiretto, fornendo, lei, disinfettanti e unguenti. Devo aggiungere che l'aborto non risolveva granché il problema delle troppe bocche da sfamare dato che di figli ne morivano parecchi in tenera età per malattia. Piuttosto l'aborto spontaneo era visto come un segnale fisico negativo ossia, per come era creduta la natura femminile, era la donna ad aver cambiato idea sul dono divino dell'embrione e se ne liberava. Col cristianesimo il feto abortito doveva 211 essere benedetto e inumato perché, secondo Ildegarda di Bingen, l'anima creata dalla santa Trinità cala dal cielo come un palla di fuoco, entra dalla vagina e si situa nel cuore del feto e, se il corpo lo si restituisce alla terra, l'anima va restituita al creatore con i giusti riti. Ricordo invece come, secondo al-Bakri, le genti slave non sopportassero il calore ardente del sole poiché causava il cosiddetto male russo (morbillo) insieme con l'indebolimento nella pratica sessuale e come si ricorresse alla ved'ma prima che sopravvenisse la decadenza fisica. La cura? Gli antidoti? Non si sa se ce ne fossero efficaci fra le piante e fra i parecchi altri prodotti animali usati in cucina o dalla ved'ma a scopo terapeutico o psicotropo, ma mi pare che i cenni fin qui da me dati siano sufficienti a disegnare parte dei ruoli femminili in ambiti abbastanza tipici del Nordest europeo. Comunque il cristianesimo teneva sotto costante esame le ved'my. Anzi, l'andaluso musulmano del XIII sec. alGarnati ci informa che l'autorità kievana ogni volta che ne individuava una, ne prendeva nota e ogni 10 anni il gruppo censito era sottoposto al giudizio dell'acqua cosiddetto. In breve le ved'my sospette di collusione col diavolo erano gettate legate nella corrente del fiume e, se non andavano a fondo, riportate a riva erano comunque messe al rogo! Non c'è che dire e, a mio parere, tali processi sommari, rari in verità, altro non erano che l'importata funesta influenza occidentale dove da tempo imperversava il Malleus Maleficarum dell'Inquisizione. La cosa notevole è che il concetto di divinità negativa, malvagia ossia di demonio brutto e cattivo in sé e per sé 212 non esisteva nella visione olistica dei pagani di nordest e tutto si riduceva alla libera volontà di un dio di far male o bene agli esseri viventi sulla terra. Nel chiudere il capitolo mi corre l'obbligo di qualche riflessione in più poiché i confronti con le abitudini attuali li ho trovati quasi sempre sbagliati e anacronistici in parecchi testi. Ad esempio serve sottolineare che il gioco della seduzione basato su un latente e insoddisfatto desiderio di copula da stimolare per indurre ad accoppiarsi, 1000 anni fa non aveva grande effetto usare della nudità, visto quanto poco vestito era il Medioevo rispetto all'oggi. Di conseguenza gli sforzi seduttivi di ogni sesso per attrarre un partner alla copula erano un po' violenti e pure grossolani. Né mancava il linguaggio un po' criptico degli innamorati fra gli omosessuali come nella berjòsta novgorodese del XII sec. (Cat. NGB [8] 605 : Inchini da Efrem a mio fratello Isuci. Senza le prove ti sei arrabbiato [con me]. L'abate non mi lasciato benché l'abbia pregato. Mi ha mandato con Asaf a chiedere del miele dal posadnik [sindaco]. Siamo tornati solo quando ha suonato [le campane?] Perché sei così arrabbiato? Io sono sempre tuo. Mi hai offeso quando mi hai detto: Mi inchino a te, fratellino! Mi aspettavo che dicessi:Tu sei mio e io sono tuo. Insomma si può dire che prima dell'indottrinamento cristiano nella pratica il meretricio esisteva nel nordest europeo in funzione di semplice corso di educazione 213 sessuale con prova pratica all'interno o all'esterno della verv e senza distinzioni fra etero- e omosessualità o qualsiasi altro tipo di copula né tanto meno da considerarla un'attività spregiativa. 214 Capitolo settimo Maschi superbi Ma l'uomo, il maschio venuto d'oltremare che domina nella società medievale slavo-russa col nome di Rus, per unirsi con la donna che in quel momento gli piaceva, quali arti esercitava oltre alla più facile coercizione con le armi in mano o abbracciandola forte con la propria forza fisica “palestrata” o, magari, ubriacandola? E se invece di una donna avesse, lui, sedotto o si fosse fatto sedurre da un altro uomo, che ne era della sua mascolina superiorità nelle gerarchie della verv? E c'è pure un'altra domanda: Chi è un Rus? E in qual periodo del Medioevo Russo impone la sua figura eroica, a cui lui stesso peraltro si rifà, come tipo ideale per sedurre? Sfortunatamente rispondere esaurientemente a questi quesiti richiede non pagine, ma libri interi con una competenza vasta e varia e pertanto il mio lettore dovrà accontentarsi delle righe seguenti o rivolgersi alla bibliografia da me suggerita. Io invece partirò dal viso e dalla questione della barba maschile che nel 1700 Pietro I vietò durante il suo regno a qualsiasi laico vedendo in questo “onor del mento” un 215 segno di vecchiume e di sfacciata bigotteria di fronte alla modernizzazione posta da lui in atto. Innanzitutto nel periodo che mi interessa la prima peluria che apparisse sul labbro superiore del maschio pubere era la conferma della sua maturità per accedere ora al mondo degli adulti e quindi si poteva celebrare il rito del primo taglio di capelli (postrig). E per i figli glabri di natura? Lascio a voi immaginare quale serie di intrugli e pomate le donne di casa si ingegnassero a preparare. Dopodiché la barba non andava rasa, ma in qualche maniera serbata e curata e lasciata crescere affinché il maschio si distinguesse nettamente dalla femmina e, per il personale ecclesiastico cristiano, il monaco dalla monaca e il parroco dalla moglie (popad'jà). Sia come sia nella Pravda Russkaja, al tempo di Jaroslav e di cui ho già detto in precedenza, chi danneggiasse la barba strappandola o tirandola era punibile per offesa grave e soggetto a una multa di ben 12 grivne che non era poco davvero. D'altronde si vede nelle icone e nelle arti figurative (ad es. sculture lignee) etniche della Pianura Russa che l'artista è attentissimo a riprodurre un viso maschile “adulto” con una ricca barba in ottemperanza a quanto si era deciso nel Grande Scisma del 1054 fra ortodossi e cattolici anche sul caso specifico del clero monacale. Lamentava la Chiesa Russa: «E costoro [i cattolici] si rifiutano di fare attenzione a quanto dicono le Scritture. Nel Levitico (19, 27) si legge: Non tagliatevi i capelli in circolo e non guastare [tagliando] l'orlo della tua barba. In verità [i cattolici] così facendo non vogliono riconoscere che Dio 216 benevolente creò soltanto per le donne questo aspetto [glabro], non considerando che lo stesso aspetto si addicesse al maschio.» E fra i contadini semi-pagani? La bellezza maschile con o senza barba non mi è parso un fattore importante, forse perché per radere i peli sul corpo, sia per il maschio che per la femmina, mancavano gli arnesi adatti e radersi era una passiva e fastidiosa perdita di tempo nell'economia del lavoro della verv. Ricordo personalmente, quando frequentavo l'URSS negli anni '80, quale meraviglia suscitava in me vedere le gambe delle ragazze con i peli fin sulle cosce o in Armenia udire l'apprezzamento positivo dal punto di vista erotico espresso per le ragazze con le basette e una cortissima peluria scura sul labbro superiore! Quanto all'islam le regole erano più o meno quelle del cattolicesimo: Lasciare la barba maschile al suo posto! Naturalmente, visto l'antico uso degli egiziani di radersi e di usare barbe posticce come segno di alto rango sociale, l'islam restò più largo di vedute sull'argomento e in più, frequentando i mercati asiatici dove la barba maschile per natura (drift genetico) è abbastanza poco frequente, per i musulmani fu inutile imporre prescrizioni a riguardo con la religione... Almeno, se proprio radersi faceva comodo, si conservassero dei corti baffetti! Ciò detto, nell'Occidente europeo figure di eroi maschi da proporre e da imitare ne nacquero parecchie e specialmente nelle tradizioni germaniche e ognuna con una gran bella barba. I germani, i goti in particolare, avevano già rimodellato i 217 costumi propri col cristianesimo eretico di Ario e nelle loro migrazioni da veri modelli di virilità barbarica sparsero il loro seme in Europa dappertutto: dal Mar Nero al Mar Baltico e dai fiumi polacchi all'Atlantico dove in particolare sul lato ispanico già fra il VII e VIII sec. si scontrarono con l'islam di al-Andalus. Malgrado ciò il modello maschilista germanico diventò classico e dunque da emulare in ogni angolo della cristianità nel XIII sec. in una società piramidale con in cima una ristrettissima cricca di maschi che rivendicavano il diritto di dominare. Nel frattempo la società che oso in questo contesto chiamare cristiano-germanica, arriva nella Pianura Russa già nel X sec. e la si vorrebbe imporre nella compagine multietnica del Nordest. Schematicamente al vertice ci sono gli Oratores (in altre parole il clero germanico) incaricati di tenersi in contatto con la divinità creatrice per interpretare ed eseguire gli ordini immaginati provenire dal cielo. Secondo il modello germanico, mi sarei aspettato al vertice una élite armata e invece i Bellatores (i combattenti) si collocano nel gradino inferiore successivo agli Oratores. Gli Oratores tuttavia sono una classe interessata in misura autolimitata alla sessualità e da tale posizione celibataria teorizza e divide l'umanità in 2 classi sessualmente contrapposte in cui il maschio rappresenta la perfezione e la femmina la fisica incompletezza, salvo essere l'unica generatrice di nuovi esseri umani per mandato divino indiscutibile. Appartengono perciò agli Oratores i monaci (e le monache) tagliati fuori da ogni amplesso amoroso e che pertanto sfogano le urgenze 218 nell'amor di Dio riconosciuto come un tipo di coito metafisico. In seguito, al tempo delle crociate, i monaci di alcuni ordini saranno autorizzati dalla chiesa papale a armarsi e a cancellare ogni differenza di ruolo con i Bellatores, salvo continuare a ritenere il voto di castità. Quanto poi concerne la base della piramide societaria, essa costituisce il “resto” del collettivo cristiano e cioè una classe larghissima definita Laboratores ovvero i faticanti. L'attività preminente di queste persone è il lavoro e la qualità più apprezzata di comportamento è l'obbedienza agli ordini che provengono dai vertici, in particolare quando si comanda loro di versare regolare e congruo tributo materiale affinché il sistema resti a lungo in piedi. Eppure tale ordine di poteri era stato introdotto molto probabilmente nel nordest con altre nomenclature già con le invasioni indoeuropee a spese dell'antico precedente matriarcato. Dunque niente di nuovo nelle attività delle 3 classi medievali citate in Europa Occidentale, eccetto suggerire che all'impatto cristiano del X sec. con la società agricola pagana e multietnica prevalente nella Pianura Russa si intravvede un qualche larvato progresso positivo per la posizione delle femmine nella nuova società purché… battezzate! Infatti, se le prime 2 classi dirigenti del sistema appaiono intoccabili dalla sessualità, l'auspicio del potere cristiano è in ogni caso che i faticanti abbiano numerosi numerosa figliolanza e che le generatrici abbiano tutto il tempo oltre per generare per le cure di inabili e di bambini. In verità inizia così l'introduzione di tratti culturali atti a sgretolare la verv e il rod tradizionali e a 219 creare il ruolo femminile ancora presente attualmente in quasi tutta l'Europa. L'importanza della comunità. Le notizie sulla composizione delle tre o quattro società “tipiche etniche” presenti fra il IX e il XIII sec. sono poche per poter essere sicuri di poterne scrivere con scioltezza e classificarle e i tratti che descriverò, lo ricordo una volta di più, sono dedotti in buona misura dalle byline della tradizione orale e dai lavori etnografici sovietici. Ci sono poi le osservazioni dei mercanti che visitavano la regione senza interruzione che confermano molti punti che io metterò in evidenza poiché nelle loro note sono raccolte le dicerie dei locali. In breve se per i mercanti esse erano notizie utilissime per migliorare gli scambi, per me sono preziosissime oggi per sapere qualcosa di più sugli antenati del nordest. Il lavoro nei campi più lo sfruttamento dei prodotti della selva assicurano la sussistenza e questo lo sappiamo per averlo scritto e riscritto, ma non può essere imposto da un vertice estraneo alla realtà della verv come l'ideale delle attività di vita. La tradizione spinge ognuno a conoscere e esplorare in grado ben profondo l'ecosistema con le regole che gli dèi hanno fissato, ma addentrarsi nel territorio in modo spavaldo e violento non è concesso allo straniero né tanto meno al visitatore mercante. Serve dunque creare una relazione strettissima con i locali. Se nella foresta l'offerta di risorse è molto varia e eternamente ricca, così non è nella tundra (foresta ad 220 arbusti che vanno in quiescenza d'inverno), nella regione più nordica e sulle rive del Mar Glaciale Artico e dei numerosi e enormi laghi lasciati dai ghiacci del lontano passato. Qui il maschio è affaccendato soprattutto nella pesca e nella caccia in una frenetica corsa con la stagione buia di mezzo anno senza sole a sufficienza per un'attività agricola. Qui raccontano che il maschio seduce la donna e non l'inverso. Le offrirà oltre al cibo prodotto dalle sue prede macellate, anche le pellicce delle prede stesse per farne capi di vestiario e cosmetici o, con le monete che vengono dal sud, collane da appendere intorno alla fronte come si usa nella regione preuralica. Nell'ambiente forestale o taigà (la foresta boreale europea in grandissima parte composta di specie arboree latifoglie viventi e sopravvissute dal 12000 a.C. fra Polonia e Russia europea), si vive di agricoltura con tecniche primitive in verità nelle radure (lug, lužaika) e di piccolo allevamento. Si allevano mammiferi di taglia minore come il porco e volatili stanziali o da cortile. Non si trascura la raccolta di frutti nel fitto degli alberi. Se i lavori agricoli più ripetitivi sono affidati all'uomo e la raccolta alle donne, l'uomo è una figura abbastanza scolorita dove l'avvenenza maggiore resta la giovinezza, la vigoria e, solo tardivamente, XIV-XV sec., avrà un certo peso anche la sua ricchezza materiale. Le byline lo descrivono romantico e un tantino geloso e focoso nel fare all'amore oltre ad amare la festa, la crapula e il bere smodato. Ci sono poi le steppe. Il nomade che le abita e le scorre a cavallo ama la libertà personale e per la maggior parte del 221 tempo vive in solitudine per cui la copula con la donna o con un altro uomo è certamente desiderata, ma, se non c'è altro di meglio, sopperisce al desiderio accoppiandosi con una femmina degli animali che alleva. L'uomo pastore ideale è focoso, un cavallerizzo in continuo movimento che porta al suo amore in attesa meravigliosi oggetti procuratisi o con la razzia o ottenuti dai mercanti coi quali si incontra spesso. È apprezzatissimo il suo racconto di avventure vissute personalmente sia di eventi sia di personaggi mostruosi ispirati pure ai racconti esotici dei mercanti. Nei periodi di quiescenza allorché torna in seno al suo clan gli staranno tutti intorno per ascoltarlo e per discutere con lui nelle jurte (ger) o intorno al fuoco e sono le donne a volerlo al coito. Altro e diverso è il maschio nelle città, tenendo presente che città vere e proprie se ne possono contare sulle dita di una sola mano fino al XIII sec. La città slavo-russa è la sede del potere circondata e omaggiata da servitori e collaboratori. Gli incontri amorosi, forse standardizzati più rigidamente dai vari fattori che regolano la vita cittadina, non sono affatto rari. Un coito è sempre possibile per persone di passaggio nelle locande e nei bagni pubblici frequentatissimi. Partecipare ai riti pagani non è impedito al cittadino purché ci si munisca di croci e un evento festoso come un matrimonio è concesso gestirlo in modo tradizionale giacché il parroco (vi partecipa!) tollera che si indulga nel bere e nel mangiare. Quanto invece alla vita sessuale degli artigiani che sono nel numero demografico la vera maggioranza della 222 popolazione residente, essi sono rinchiusi nelle usad'by al lavoro e il sesso è l'unico divertimento a cui ci si dedica alla fine della giornata. Raramente al maschio o alla sua donna è permesso uscire, salvo che non serva per accompagnare la consorte del padrone. È il padrone che ha trovato all'artigiano che lavora per lui una moglie e, se la coppia genererà una figlia, sarà un onore essere deflorata dal padrone. A G. Novogorod cristianizzata e a Bulgar-sul-Volga islamizzata le donne conservavano una grande libertà sessuale, persino enorme, se appartenevano alla classe oligarchica dei mercanti direttamente o per matrimonio. Esse apprezzavano nell'uomo che tentava di sedurle non solo l'avvenenza fisica, ma anche la cultura espressa nei contenuti del suo parlare, nell'eleganza del vestire e godevano dei curiosi racconti di esperienze galanti nei viaggi esotici intrapresi per commerciare o nei pellegrinaggi in terre lontane e straniere (a Gerusalemme o a Kiev o alla Mecca). Quando erano arrivati i Rus in gran numero sulle coste baltiche, si erano insediati in fortezze da loro stessi costruite e con le frequenti scorrerie nella bella stagione mettevano in allarme la gente dei dintorni. Che li guardassero le donne! Maschi scelti per la loro prestanza fisica che vanno soddisfatti sessualmente senza remore religiose o d'altra maniera! Di solito nello stesso posto non rimaneva a lungo la stessa squadra e perciò non c'erano legami amorosi permanenti. Tuttavia nei loro viaggi verso Costantinopoli o Baghdad i Rus non sempre riuscivano a raggiungere le 223 mete prefisse e allora si attestavano lungo i fiumi e magari si creavano piccoli domini adattati ai loro sogni di una bella vita in ozio e trasformandosi così in altezzosi predoni. A parte ciò ricordo che i loro costumi sessuali scandinavi erano fissati nella loro mitologia in cui la dea dell'amore, Freyja, era famosa per la sua insaziabilità e il suo consorte e fratello, Freyr, si curava poco del fatto che essa copulasse con altri dèi. D'altro canto la repressione sessuale sugli uomini era considerata errata poiché fare all'amore è spendere energia e che essa è dono degli dèi che, se accumulata, diventa pericolosa e potrebbe causare seri guai al portatore e a chi è vicino a lui. L'immagine fisica di questi armigeri è stereotipa, ma inevitabile, se si pensa che in Svezia erano scelti prima di imbarcarsi proprio per queste qualità fisiche: maschi alti ben fatti con capelli riccioluti e occhi freddi, ma soprattutto sessualmente enormemente dotati. Va a cavallo e non ha paura di mostri o di avversari magici coi quali volentieri si scontra e spesso vince e conquista l'amore di una donna. Lo strano è che nei dipinti del '700 o del '900 gli eroi delle byline sono sì! grandi e grossi, ma spesso neri di occhi e di capelli! Significa ciò forse che le bionde slavo-russe avevano come modello di bellezza maschile il maschio moro? Non sono in grado di dirlo. In un famoso quadro di V. Vasnecov (XIX sec. v. Wikipedia) sono rappresentati i tre maschi ideali che popolano le byline più popolari: Ilija Muromec, Dobrynja Nikitič e Aljòša Popovič. Sono i bogatyri (dal persiano baghapur o figli di dio), eroi straordinari coinvolti nelle imprese più impossibili. Sono tre tipi di 224 maschio idealizzato dal popolo contadino, ma in verità non sembrano essere molto differenti nei tratti fisici salvo l'accenno alle rispettive origini deducibili dai loro “cognomi”. Essi ispirarono nel XVI sec. i cosiddetti Cosacchi del Don e persino l'atamano Stepan Razin, famoso “sciupa-femmine”... presenza dei pagani baltoslavi nel X-XIV sec. Il paese delle donne. Se allora i Rus partivano per l'avventura nel sud ad ogni buona stagione, in Svezia logicamente restavano gruppi di sole donne, sorelle o amanti in attesa del ritorno di questi giovani ed è verosimile che in tali circostanze rientri una questione delle amazzoni. C'entra però l'antico mito greco nell'approccio sessuale alla storia medievale russa? Il fatto è che Ibrahim ibn-Ya'qub di Tortosa (Spagna, 225 allora al-Andalus) fra il 960 e il 965 fa un lungo viaggio nella regione che oggi chiamiamo Mitteleuropa per far visita all'imperatore Ottone I. Lascia le sue attente note su quanto vede e raccoglie notizie geografiche talmente importanti che altri geografi dopo di lui useranno per parlare dei popoli che vivevano in queste regioni con i loro usi e costumi. Raccoglie pertanto una leggenda su una città abitata unicamente da donne e il fatto che sia Ottone stesso ad avergliela trasmessa, rimanda, è vero, alle Amazzoni di Erodoto di più di mille anni prima, ma le localizza in area baltica a ovest dell'antica Prussia! E al-Qazwini addirittura la descrive così: «Il Paese delle Donne è una grande città situata su un'isola del Mare Occidentale (sic). La popolazione è costituita da donne che non riconoscono alcuna autorità mascolina su di loro. Esse cavalcano e vanno in guerra e sono molto coraggiose nei combattimenti. Hanno degli schiavi maschi che cambiano di padrona ogni notte. [Lo schiavo] prende posto [nel letto di una di loro] alla sera e senza farsi riconoscere la lascia al sorger del sole. Se una di loro è incinta e dà alla luce un maschietto, lei stessa l'uccide all'istante, ma se invece è una femminuccia allora la tiene [in vita].» Dello stesso tenore è la segnalazione di Paolo Diacono nella sua Storia dei Longobardi che scrive più di un secolo prima di al-Qazwini e dice di averne sentito parlare e che gli fosse stata indicata una regione addirittura nel centro della Germania romana. Persino Adamo di Brema nel XI sec. scrivendo del Vescovado di Amburgo-Brema parla dell'esistenza, stavolta sul Mar 226 Baltico, di una terra delle donne. Per lui in una delle tante isole lungo le rive ce n'è una che si chiama Terra delle Femmine. Scrive: «Raccontano alcuni che esse concepiscono con una sorsata d'acqua, altri invece che esse si accoppiano con i mercanti che passano da quelle parti o di maschi che esse detengono in prigionia [pronti a far sesso. E persino si accoppiano] con mostri... e noi crediamo che [queste dicerie] siano degne di fede.» Chi guarda ora una carta delle coste baltiche può vedere che l'isola grande situata all'entrata del Golfo di Riga e che fa parte oggi dell'Estonia porta il nome di Saaremaa cioè Terra delle Donne... È forse qui che si radunavano le ultime amazzoni ugro-finniche? Al-Idrisi, geografo di corte di Ruggero II di Sicilia, raccoglie anche lui una notizia analoga e con una certa logica immagina che ci sia, adiacente a quella delle donne, un'isola degli uomini. Questi per un mese si riuniscono qui al principio della bella stagione e si lasciano invitare in un continuo viavai con l'isola delle donne dove copulano con esse e finalmente ripartono per i loro affari mercantili. A parte le illazioni che posso fare in più partendo dalle suddette note, una cosa è abbastanza chiara a mio avviso e cioè che l'impiego massiccio di giovani maschi per le avventurose campagne esplorative di varia natura dirette a sud nella Pianura Russa, privava certe aree per davvero di giovani maschi. In casi di emigrazione maschile definitiva facilmente folti gruppi di donne restavano raggruppate in certi porti/scali ad affrontare da sole ogni 227 vicissitudine in attesa di altri uomini e di altri amanti. E ciò mi conferma una volta ancora lo status differente delle donne nelle società dell'estremo nordest di fronte alle colleghe che si misuravano col maschio tipico delle comunità più a sud nella Pianura Russa. Da Ibn-Fadhlan sappiamo che i varjaghi Rus, se hanno con sé la consorte o la schiava preferita, con i pezzi d'argento guadagnati perché gli affari vanno bene ne fanno spirali (grivna) da mettere intorno al loro collo in segno di stima. Contando le spirali si può apprezzare la ricchezza del consorte e il di lei rango per saper fare all'amore meglio di un'altra. Una nota fisica di questo autore è la seguente: «Io ho visto i Rus arrivare per far mercato e accamparsi lungo le rive dell'Itil (Volga). Non ho mai visto dei fisici più perfetti dei loro. Erano diritti come palme. Erano biondi e rossi.» E non è l'unico. L'andaluso al-Garnati racconta di aver ammirato a Bulgar-sul-Volga un gruppo di gente nordica forse ugro-finnica: «... erano rossi [di pelle o di capelli] con degli occhi azzurri e dei capelli [lisci] come il lino tendenti al bianco...» Qualche decina di anni dopo presso un altro viaggiatore musulmano, anche lui ben conosciuto, Ibn-Battuta (XIV sec.), il giudizio sui russi è ribaltato: Sono biondi e con gli occhi azzurri, ma sono brutti e cattivi! Tali apprezzamenti pur soggettivi hanno sollevato la mia curiosità. Ammesso che gli osservatori consultati da me possano essere considerati dei portatori di modelli estetici musulmani della bellezza maschile fra il XI e il 228 XIV sec., che male ci sarebbe a immaginare che i maschi circolanti nella Pianura Russa si sentivano in grado di pavoneggiarsi nelle loro attrattive fisiche sulle donne che capitavano loro a tiro? Sarebbe ingenuo pensare che in tutti i casi le donne fossero prelevate con la coercizione pura e costrette a far da compagne (umykanie) e mai col loro assenso e invece, almeno per il senso di novità e di vita migliore che costoro facevano sognare con le loro millanterie, erano le donne locali aperte all'avventura. Nei villaggi non dobbiamo trascurare che esistevano svariate gare fra maschi per attirare le giovani che poi si sarebbero messe a disposizione del vincitore. Nominerò qui la gara-gioco svedese kubb certamente riprodotto in similitudine nel russo gorodki con birilli da abbattere e bastoni lanciati da lontano. C'era la gara di chi pesca il pesce più grosso (nella famosissima bylina novgorodese di Sadkò Sitinič il pesce pescato è persino d'oro) o il tiro alternato alla fune per accendere il fuoco nella festa di Kupalo (vecchio russo zažženie ognja kupalova) fino al pugilato con una mano sola mentre l'altra trattiene l'avversario per la cintola. Insomma c'erano tantissime occasioni durante l'anno per mostrare alle ragazze la propria forza fisica, la gagliardia etc. e come tutto si concludesse nel massimo piacere di fare all'amore coi vincitori delle gare. Le CTP non hanno dubbi e elevano a ideale maschile fra i nobili il figlio di Olga e di Igor, il primo vero sovrano della Rus di Kiev a nome Svjatoslav. Il monaco che scrive del personaggio detto cocciuto pagano, ammira in pieno la sua foga di essere in perenne campagna militare alla 229 conquista di terre e di uomini e scrive: «... Nelle sue imprese non portava con sé né carri né pentole giacché non cuoceva alcunché [per cibarsi], neppure la carne, ma si tagliava bistecche di cavallo e di animali selvaggi … e le arrostiva sulla brace e così le consumava. Non tirava su tende perché dormiva all'aperto avendo per guanciale la sella e così facevano anche i suoi uomini. Prima di attaccare eserciti e città mandava uno dei suoi per avvertire l'avversario delle sue intenzioni e del suo prossimo arrivo.» accensione del fuoco per la festa di Kupalo in un disegno tardo-antico di questi forzuti giovani... vestiti dalla censura religiosa! A mio modo di vedere il monaco bulgaro amanuense vede in lui un bogatyr della steppa e rammenta quanto i suoi genitori gli hanno raccontato dei suoi antenati turcofoni tanto più che, aggiungo io abbracciando l'ipotesi di S. Cvetkov (2016), la madre di Svjatoslav, Olga, è anche lei bulgara nata a Pliska. Questa però è un'altra storia. Ritornando al 971 in occasione di una 230 discussione per una tregua sul delta del Danubio con l'imperatore Giovanni Tzimisce, eccolo Svjatoslav nella descrizione del reporter imperiale Leone Diacono: «... era arrivato [al posto convenuto] su uno scafo. Sedeva al posto di rematore e remava insieme con i suoi accoliti ed era quasi impossibile distinguerlo dagli altri [che l'accompagnavano]. Ed ecco il suo aspetto fisico: statura media: non troppo alto né troppo basso, con sopracciglia cespugliose e occhi azzurri chiarissimi, naso camuso. Non portava la barba, ma un bel paio di baffi molto lunghi a partire dal labbro superiore. La sua testa era completamente rasata salvo da un lato dove gli pendeva un ciuffo di lunghi capelli, segno d'appartenenza alla schiatta nobile. Collo forte, largo petto e ogni altra parte del corpo assolutamente proporzionata ... da un orecchio pendeva un orecchino d'oro con un carbonchio affiancato da due perle. Il vestito era bianco e non diverso da quello degli altri eccetto la maggiore pulizia.» Nel famoso Cantare della Schiera di Igor, poema epico russo del XII sec., si narra dei varjaghi Rus con a capo il knjaz Igor (altro Igor e non il padre di Svjatoslav) e la sua družina mentre attaccano i perfidi nomadi cumani (turcofoni delle steppe). I varjaghi sono battuti e Igor è fatto prigioniero e solo anni dopo sarà riscattato e tornerà fra le braccia dell'amata Jaroslavna che lo ha atteso per tutto il tempo avendo temuto per la sua sorte. «Jaroslavna di mattina piange sul bastione di Putivl, dicendo: Splendido e tre volte splendido sole! Per tutti sei caldo e bello. Perché, signore, perché scagliasti 231 l'ardente tuo raggio sul mio caro, nel campo io ardo con l'arsura [e tu] i loro archi irrigidisti, in angoscia le loro faretre rinserrasti?» A parte la poesia e la lirica, il quadro disegnato è proprio quello dei soliti poemi cavallereschi e se Igor in realtà è perdente, è un eroe che si è sacrificato per la sua terra e Jaroslavna (secondo l'autore del poema, Bojan) lo vede come il suo modello di maschio e mi permetto di aggiungere che le parole nell'estratto si leggono in russo con un doppio senso in ogni caso... Sessualità in evoluzione culturale. Nella Pianura Russa sempre più penetrata da idee dall'Occidente dopo il XIII sec. è pacifico che un legame a 2 una volta cristiani si faccia sempre più strada e si tenda a formare una famiglia mononucleare. Non occorre tuttavia che tale legame sia eterno, se si vuole che il rod si perpetui all'interno della verv eliminando la poligamia, ma si lasci la poliginia (concubinaggio). Al contrario in ambito pagano si concede che il legame binario duri finché è possibile poiché avere figli dipende dalla benevolenza degli dèi e non dalla fisiologia e dalla biologia della copula, ma allevarli compete alla verv, a condizione che non si distrugga completamente il suo tessuto. Ne consegue che, se il maschio era accolto dai genitori della sposa sulla base di valori di scambio economici, politici e simili contro una figlia, d'ora in poi – col regime matrimoniale cristiano in atto dal XI sec. – si darà più peso all'attrazione fisica... perché santificata dal 232 creatore che cancella col battesimo il peccato originale e benedice la coppia eterosessuale! A causa della piccolezza del mir la scelta fra ragazzi e ragazze restava limitata, ma che importava? Gli incontri nelle occasioni di rituali festivi c'erano, benché iniziassero ad esser guardati in maniera affatto diversa dal passato. Ci si cominciò a chiedere che criteri vigessero nei paesi lontani fra consorti-genitori e se la bellezza fisica potesse essere più importante delle decisioni degli anziani. Ad esempio, quando gli incaricati dei mercanti di schiavi venivano a prelevare nei villaggi i ragazzi in vendita in soprannumero che criteri usavano per fissare il prezzo da nord a sud, a Bulgar-sul-Volga o a Turov? Di certo le voci circolavano e si venne a sapere che nel gruppo dei ragazzi acquistati un certo numero veniva poi evirato perché aumentava il loro valore. La cosa non faceva grande scandalo o orrore, ma il dubbio rimaneva: Che ne era della sessualità e della superiorità maschile? Invece di sprecare prezioso liquido spermatico donandolo a femmine straniere bramose e ottenere posti prestigiosi di comando come accadeva ad esempio agli eunuchi in al-Andalus o a Costantinopoli o in Persia, non era preferibile restare fisicamente integri e continuare a vantare la propria potenza fallica? Una questione di lana caprina, dico io, poiché eunuchi o potenti non sarebbero ritornati mai più nel mir di nascita per raccontare le proprie avventure da evirati che col passar del tempo sarebbero diventate in patria nell'oralità popolare altrettante favole fantastiche. È legittimo pure pensare che qualche genitore, avido e 233 ambizioso allo stesso tempo, saputa la storia, eseguisse “a casa” la castrazione per chiedere un più alto prezzo alla vendita, salvo l'esito letale per il bambino per infezioni e emorragie che però non importava granché al genitore né tanto meno al mercante. A Verdun, la “fabbrica dei castrati” nell'Europa medievale, si pretendeva che gli slavi-schiavi maschi arrivassero integri nelle gonadi quasi come marchio di qualità. Ci avrebbero pensato i “medici “ locali a evirarli e alzarne il prezzo nelle rivendite a Cordova. Se tutto andava bene, apriva la porta alla fama al figlio venduto fra la gente d'élite. Altro che bocca in soprannumero! I dati statistici di C. Ryan & C. Jethá (2010) qui sopra si riferiscono all'autoerotismo dei Primati compreso l'uomo: nero intenso per il maschio e grigio per la femmina D'altronde la castrazione non è in uso fra gli slavo-russi in patria fino al XVIII sec. quando nella setta cristiana dei Vecchi Credenti gli skopcy, ad imitazione dei costumi 234 monacali bizantini e in opposizione alle riforme del patriarca Nicone, appunto si mutilano in ogni parte del corpo se imputata di eccitare sessualmente. Sia come sia, Homo sapiens sapiens è un primate che non sbriga la copula con un orgasmo in pochi secondi. Si richiede un rituale che inizia con un preludio fatto di sguardi e di cenni, di toccamenti e di gesti di invito finché si arriva alla penetrazione o ad altra eccitante attività manipolatoria capace di portare all'orgasmo il maschio e poi la femmina. Orbene ca. XIII sec. nell'Europa Occidentale a questi rituali più comuni, si aggiunse la cosiddetta “corte” ossia tutta una serie di gesti artefatti e di doni materiali fra cui lettere appassionate e poesie da parte del maschio intesi ad attirare l'attenzione della possibile amante. Ciò sfocerà nel cosiddetto amor cortese e con qualche modifica nel seguito diventerà amore romantico che, strano a dirsi, come procedure non sempre si concludono nella copula completa. Sono maniere consolatorie per circoscrivere e limitare il libero amplesso nelle città dove il cristianesimo e la chiesa avevano introdotto seri veti e molti limiti. Ne riparlerò, ma a questo punto non posso dire con certezza che fra le genti della Pianura Russa si sapesse molto di tali pratiche amorose prolungate ossia della cosiddetta corte all'amata dato che le città erano pochissime dove teorizzare o creare un amore e le corti altrettante e ciò che il poeta fa dire a Jaroslavna nel Cantare di Igor è già fantasia cristiana. L'Occidente (analogamente in al-Andalus) si diletterà con la storia travagliata degli amori di Abelardo e Eloisa 235 in cui appunto l'amore romantico domina la scena dei sentimenti contrastati dall'etica cattolica. E nella Pianura Russa? L'unica storia d'amore struggente che conosciamo meglio è quella di Pietro e Fevronia, del principe che si innamora della contadina che l'ha guarito da una deturpante malattia. Non la racconterò qui, ma il mio lettore può leggersela sui molti siti in internet (Yandex.ru) che la propongono. In conclusione, se un ragazzo si innamorava di una ragazza incontrata in una festa del rod, non c'era verso: era obbligato con l'amata a seguire le regole della tradizione sull'amore improvvisamente nato ma non “consumato”. Il legame a lungo termine era immaginabile soltanto se serviva a stipulare un patto di cooperazione fra mir e verv diversi! Lo stesso era per la ragazza che addirittura conservava il diritto di scegliere direttamente entrando nel dvor del ragazzo e prendendolo per mano lo tirava a sé. Eppure le mode erano tante e cambiarono se le stesse procedure prescritte per i matrimoni addirittura si sdoppiarono per far collimare i riti pagani con quelli cristiani. In particolare per esempio la procedura dell'ispezione prematrimoniale a vista, gli smotriny, della promessa sposa da parte dei mediatori di matrimonio, svat+svaha, acquistava un diverso valore. Incaricati dalla famiglia del promesso gli intimi smotriny avevano luogo nella di lei banja e l'esito favorevole preludeva all'accettazione fisica della ragazza da parte del ragazzo. Lo stesso avveniva in intimo parallelo con la famiglia di lei sul promesso. Dopodiché i rispettivi genitori (che peraltro vi avevano in ogni caso partecipato) decidevano. 236 Questi riti sono sopravvissuti seppur in parte modificati, ma suggeriscono che ci fossero degli standard di bellezza che svat+svaha in ogni caso avevano in mente e che corrispondevano in qualche misura alle mode e alle descrizioni femminili delle byline. C'erano peraltro molti problemi da risolvere con l'avvento del viver cristiano nell'obbligo della famiglia mononucleare. Al costituirsi col sacro e cristiano vincolo del matrimonio di una nuova famiglia, un po' alla volta la verv scompariva e la questione della produzione e della sussistenza mutava nell'assetto economico e nel ruolo produttivo del maschio in modo abbastanza netto. Non solo! Il cristianesimo misogino favorì l'evoluzione verso un artigianato di classe del lavoro femminile specialmente fra le giovani e di sicuro col fine di impedire l'esogamia e la poligamia. Una spinta massiccia venne dalla chiesa parrocchiale che richiedeva lavori di ricamo e di tessitura per abbellire la casa del dio cristiano o i paramenti che il prete indossa durante le funzioni e tutto quasi sempre in regime di gratuità col nome di offerta a dio. Nessuno intravvide e previde che l'abilità personale di una donna potesse diventare un mezzo per sfociare in un'indipendenza femminile economica e sociale persino maggiore dal maschio finché non nacque il lavoro salariato. Addirittura, a parte qualche contributo per le materie prime, i prodotti dell'artigiana tessitrice erano definiti come donati alla casa di dio e la ricompensa le sarebbe arrivata dopo la morte. Alla fine pur riassunto qui il processo evolutivo della condizione femminile è veramente complicato, se solo si 237 pensa quali invidie suscitasse nella verv piuttosto che ammirazione, e quindi l'artigiana a tempo pieno continuò ad essere disprezzata nel suo mir come una serva (holop) costretta a cedere a estranei i prodotti del suo lavoro... privandone la verv! Con l'insediamento dei Tataro-mongoli in vari siti ai margini della steppa e lungo il Volga l'artigiano col suo lavoro autonomo andò diffondendosi sempre più nel XIII-XIV sec. per il semplice motivo che, essendosi distrutti i legami personali con le deportazioni forzate dei giovani, maschi e femmine, dai villaggi, ecco che in ambiente tataro-musulmano cittadino un'artigiana o un artigiano, esclusi i pochi lavori tecnici prettamente femminili o maschili, potevano esistere e acquisire fama e ricchezza con la loro abilità tecnologica. Rammento che fin sotto le rive dei grandi laghi nordici l'islam fino al XIII sec. era più noto del cristianesimo, supportato in special modo dai Bulgari del Volga entrati nell'Umma musulmana già nel 921. Val la pena a questo punto riportare una leggenda raccolta da Giovanni Malala, storico già citato in precedenza, che lega le origini della superiorità maschile sulla femmina addirittura nell'artigianato del fabbro-ferraio di forti tradizioni turche (G. Pigozzi-Bernardi 2020): «Cadde dal cielo una pinza di ferro, per cui la gente incominciò a fabbricare armi di metallo al posto delle antiche pietre e bastoni; dopodiché le donne, finora vissute sessualmente libere, furono costrette a sposare un solo uomo, portandogli la propria dote.» 238 Capitolo ottavo Ripartiamo dall'amore? Occorre che io metta in chiaro finalmente un fatto. Parlo di poligamia da un bel po', ma il termine non descrive la situazione reale nel mondo pagano del Medioevo Russo. Poligamia indica molte mogli o in termini cristiani molti matrimoni e, a ricordare quanto ho scritto della verv, il maschio scelto per un'alleanza sposava la ragazza anche lei scelta allo stesso scopo in un altro mir e per lui i matrimoni erano finiti. Anzi! Se gli fosse premorta la sposa, si sarebbe pensato a sostituirla con una sorella o altra parente di posizione equipollente nella verv alleata affinché il patto d'alleanza non scadesse. Se invece lui fosse premorto, era la vedova a passare al cognato come moglie aggiuntiva. In altre parole si tratta di poliginia dove il maschio dispone di parecchie donne nel letto, ma di una sola moglie se è il caso. Nella realtà cristiana ciò era peccaminoso e targato di concubinaggio eversivo dell'ordine voluto da dio (è bene ripeterlo). Pure l'espediente adottato fino al XV sec. più o meno dalla Chiesa di Kiev, obtorto collo dal vescovo coinvolto, fu di concedere il divorzio e il secondo e il terzo matrimonio 239 purché le spose non abitassero insieme e eventualmente fossero libere, le divorziate, di trovare altre sistemazioni o, perché no?, di ritirarsi in convento con le loro doti o quanto restava di esse da offrire a dio insieme al corpo. E il santificato amore coniugale, se realmente esisteva, che fine faceva? Non si riesce facilmente nelle testimonianze disponibili a riscontrare in qual misura, seppur non conoscendola nei suoi meccanismi biologici e fisiologici, l'uomo ha usato la sessualità sua e quella degli altri per tessere relazioni, intrighi, vendette etc. pro o contro i suoi simili prossimi e lontani nelle occasioni diverse di 1000 anni fa. Non vorrei ripetermi, ma probabilmente per moltissimo tempo ancora non potrà fare a meno di amare e fare all'amore... con gli intenti più vari! Visto però che oggi si è scoperto come l'amore funziona per alcuni suoi tratti genetici e cerebrali, pur con una maggiore consapevolezza scientifica il modo di gestire il sesso e legarlo alle “sensazioni amorose” non riflette altro alla fin fine che la tradizione millenaria di conquistare, affermare o difendere la pretesa dell'uomo maschio di sfruttare le attività femminili a proprio personale vantaggio. La strada è ancora lunga per far diventare la copula “come bere un caffè”, usando le parole della pornostar Valentina Nappi, e cioè che per i copulanti sia un sano divertimento fra corpi liberi da vincoli. Ciò non vuol dire nel mio discorso che percepisco una lotta fra i sessi senza incertezze e dubbi ieri peggiorata oggi o perfino viceversa, ma che l'eredità medievale europea confluisce fin dentro l'educazione odierna della prole con elementi 240 che aprono impensati orizzonti di dibattito per un'educazione sessuale sistematica e strutturale alternativa tesa alla ricerca della felicità fisica e psicologica e, soprattutto, liberando una costellazione di sensazioni oltremodo piacevoli e individuali da veti e pregiudizi. Amore è, sì!, legato alla sessualità, ma in sé e per sé, e lo ribadisco, resta un concetto storico generatosi, almeno per la tradizione europea, nella pratica di vita medievale. È arduo da definire nella categoria dei sentimenti come invece appassionatamente è di solito descritto da poeti e cantanti, giusto perché tali sentimenti (scientificamente da definire!) sono in continua e turbinosa evoluzione col tempo e con la cultura. Eppure la cultura di radici medievali l'abbiamo talmente bene assimilata ormai che siamo educati a pensare che essa sia universale e da perpetuare, compresa l'idea di amore coniugale con la benedizione religiosa. L'amore non è inteso allo stesso modo in ogni angolo del nostro continente e – difficile da convincersene! – e nemmeno in tutto il pianeta proprio perché è un concetto storico connesso col personale passato etnico, famigliare et sim. e costituisce oggi un gravame inutile di concezioni e pregiudizi ormai enorme. Né è affatto eterno come a volte si millanta e non è neppure naturale nella corte, nei preludi, nella gestualità, nell'innamoramento e in varie altre espressioni corporali, ma indicano l'esistenza di un'ampia gamma di sensazioni abbastanza profonde persino graduate nell'intensità (R. Eisler & D. P. Fry, 2019, E. Nagoski 2017, I. Consolo 2017, J. Sédat 2014 et al.). Ciò malgrado non si è scritto abbastanza sui 241 contenuti della cultura amorosa europea né tanto meno sull'evoluzione del fare all'amore in particolare in Italia. Anzi, in generale nelle chiacchiere fra amici ho sentito esprimere nozioni immaginifiche tratte da sentiti-dire stereotipi o discuterne in internet con una profonda e insulsa venatura religiosa mediata dai numerosi siti dedicati, a parte poi le nuove voghe che il poliamore recentissimo (2020) pretende di suggerire a un pubblico giovane ancora non libero in campo sessuale. Al momento vorrei tentare di definire e confrontare un supposto amore moderno con un altrettanto supposto amore medievale antico! Tradirei altrimenti le differenti culture della Pianura Russa, se non tenessi conto nel confronto delle differenze ecologiche che potrebbero aver influenzato l'amore e il coito talmente da non saper più distinguere l'antico dal moderno... Scrive (2017) D. Fusaro, filosofo contemporaneo italiano: «L’amore è sempre amore per il nome proprio: che non si lascia universalizzare, né ridurre a cosa. Da una diversa prospettiva – in antitesi con il regno delle merci, ove prevalente è la quantità degli essenti disponibili e serialmente sostituibili – nella dimensione dell’amore trionfa la qualità della persona unica e ad altro incommensurabile. Esso spezza il fatale incantesimo della standardizzazione mercificata e mercificante, dell’universale sostituibilità seriale, e fa irrompere l’esperienza dell’unico insostituibile, del nome proprio autentico e a null’altro rapportabile: che non può essere comprato né scambiato, venduto né ceduto.» Senza nulla togliere alle opinioni piuttosto contorte del 242 filosofo, il riportato è l'esito di secoli di insegnamenti, abitudini, veti, consigli, etc. riversati da parte cristiana nella cultura giudaico-cattolica in cui viviamo adesso in Italia e che devono almeno essere riveduti. Di definizioni amorose ce ne sono numerose, ma nessuna è pienamente attinente a descrivere l'amore. Noi europei in generale siamo stati educati e istruiti a incanalare le urgenze e le pulsioni sessuali e ogni altro tipo di “ardore fisico con tratti amorosi” nell'alveo stretto e inutile del pudore e della decenza con l'imposizione di comportamenti e norme di nessuna utilità e siamo impelagati nostro malgrado in “sentimenti” favolistici e romanzati che ci assalgono con la pubblicità commerciale da ogni lato (W. Reinhard 2014). Qui però mi arresto perché l'interesse del mio saggio è l'amore nel passato e non nel presente. Né oso impegolarmi in una storia dell'amore, dell'eros o dell'affetto e rimando chi voglia approfondire ai lavori di R. Eisler (2012, 2019) e di N.M. Filippini (2017) in particolare. Concludo invece affermando che, secondo le più recenti ricerche, amore e far all'amore non sono “procedure” che la natura ci ha imposto affinché si riproduca la specie, ma è lo stato di benessere e di godimento che si raggiunge nella sessualità. In altri termini, una volta convinti che da soli o in compagnia siamo sicuri dell'assenza di pericoli che ci possano danneggiare, lasciamo che altri manipolino il nostro corpo in ogni maniera possibile stimolandoci a raggiungere il godimento orgasmico, senza pulsioni di base volte alla riproduzione della specie. Per quanto mi riguarda ingloberò la questione amorosa 243 (al momento non so definirla altrimenti) in due termini contrapposti ideologicamente, ma non biologicamente come già sappiamo: amor pagano e amor cristiano. Dal mio punto di vista infatti è primario individuare dei tratti tipici nel primo “tipo” di amore che servano da paragone contrapposti al secondo. Magari il “tipo” di amor cristiano è l'amor pagano con qualche fronzolo in più oppure l'amor cristiano nel Medioevo Russo è qualcosa di nuovo e l'amor pagano è stato messo da parte forse per sempre dalle pratiche cristiane? Logicamente devo partire dalla Rus di Kiev con la sua élite al potere armata e la decisione da prendere nel IX-X sec. per integrarsi col resto d'Europa come stato con tutti i crismi necessari. Integrarsi vuol dire possedere una Weltanschauung (rus. mirovozzrenie) religioso-politica che favorisca alleanze, scambi economici e culturali su numerosi fronti e la più nota e prossima di cui i varjaghi avevano conoscenza era la religione cristiano-ortodossa emanante da Costantinopoli. Un punto di svolta per la scelta dall'élite kievana alla fine del X sec. lo si può individuare quando Kiev si trovò ad affrontare tali e tanti problemi organizzativi che fu gioco-forza appoggiarsi all'opera pratica, riservata eppure incomprensibile ai rozzi varjaghi e al loro capo Vladimiro, della chiesa portata “a casa”. Si trattava – lo si spiegò al sovrano – di impegnarsi con energia a ribaltare concezioni, tradizioni e costumi secondo i canoni cristiani che rinforzavano la sudditanza all'élite benedetta dal creatore delle etnie assoggettate o ancora da soggiogare. C'erano degli altri termini ancora da puntualizzare. Kiev 244 è lo stato, Vladimiro è il sovrano, ma purtroppo non si sa bene chi siano i suoi sudditi e quali siano i confini del suo dominio. Vladimiro peraltro avrebbe coperto le spese della chiesa implicata a risolvere quei problemi coi suoi predicatori e aveva pertanto promesso la decima delle sue entrate senza prevedere che, così facendo, chiesa e stato sarebbero stati legati l'una all'altro in reciproco e guardingo amore divino (posso dirlo?). Tutto qui? In realtà le famigerate entrate vladimiriane erano il frutto di razzie periodiche, chiamate poljudie, dall'Imperatore Costantino VII che i Rus facevano in inverno nella Pianura Russa al nord e quando tornavano a Kiev alla primavera col bottino raccolto da vendere. Oso aggiungere che quel -ljudie o persone si riferisce a una vacanza con le ragazze del posto prima di comprarle e portarsele schiave al sud. Ciò creava ostilità e fuga nel fitto degli alberi coi Rus e frustrava in pieno l'impeto dottrinario della chiesa di convertire alla fratellanza genti seppur diverse per credenze e culture, se poi si era destinati alla sudditanza. Tanto peggio per loro! Si sarebbero forse messi i villaggi a ferro e a fuoco, se non cedevano? Non era la soluzione più opportuna poiché chi avrebbe sostituito i morti, recuperato i fuggitivi e pagato il tributo? Insomma occorreva decidere per regolari e commisurati tributi da far gravare sui contadini pagani e destinati a non opporsi al cristianesimo... Venne fuori subito la necessità di fissare il mir al suo suolo coltivato evitando le periodiche migrazioni alla ricerca di nuovo suolo fertile nella selva e i vescovi assicurarono Vladimiro che i parroci costruendo cappelle 245 al posto dei templi pagani avrebbero costretto i sudditi a non lasciare il territorio avito. Niente paura. Il sovrano, scelto per loro dal vero dio creatore, avrebbe trovato i mezzi per ottemperare alla bisogna. Tramite la catechesi ci si sarebbe liberati dai peccati e la terra avrebbe continuato a dare i suoi frutti. D'altronde la chiesa millantava un'esperienza secolare nell'affrontare i “barbari/pagani” poiché proponeva non solo predicatori a suo dire esperti, ma pure indiceva festività frequenti del tutto nuove e consolatorie insieme con lo spettacolo di benedizioni dei campi, dei fiumi e delle persone a protezione da ogni maleficio e ciò attirava e divertiva e inebriava i neofiti (J. Heers 1990). Era possibile aspettarsi degli esiti gradevoli nella misura calcolata dalla Chiesa appena insediatasi a Kiev e prima della morte di Vladimiro? E il mir costretto a ripianificare la produzione agricola e artigianale finora autarchica ce l'avrebbe fatta a coprire le spese senza ribellioni e sabotaggi? Il primo interlocutore da affascinare? Le donne di casa! Ho già scritto della verv e dell'economia domestica nelle mani delle adulte capeggiate dalle più anziane. Purtroppo mancando i documenti sulla realtà evolutiva delle comunità slavo-russe del X-XI sec. devo ricorrere a qualche congettura che comunque si può fare solo con un po' di empatia in più per i nostri antenati assediati dai milites Christi. Posso immaginare così che, attente al numero di braccia necessarie ai lavori produttivi, le sagge donne avrebbero dovuto rivedere l'equilibrio demografico finora a loro affidato in primo luogo. Era quasi impossibile produrre il 246 tributo per mantenere la chiesa e liberarsi dalle minacce di inutili rappresaglie cruente altrimenti. Con tali ragionamenti, da me auspicati nella testa degli antenati dopo la cristianizzazione ufficiale, è certo che nelle terre kievane mutarono le abitudini sessuali. Quanto a frequenza di amplessi, il tempo libero diminuì e la fatica al lavoro aumentò e il tributo a Kiev ciononostante sembrò assicurato.... almeno secondo il racconto delle CTP per il XII sec. in poi. Eppure qualcosa non funzionò a dovere. La dipendenza kievana di comprare derrate alimentari dai Bulgari del Volga e di litigare per gli approvvigionamenti con G. Novgorod non si spezzò e, sebbene le nuove restrizioni negli usi e nei costumi sessuali che la chiesa per primi attaccò, la servitù femminile al maschio s'accentuò. Sincretismo culturale nell'eros. Gli slavi si erano sempre notati come alacri e caparbi agricoltori, seppure gli aratri di metallo e il sistema dei 3 campi (2 a coltivo e 1 a maggese cioè a riposo in rotazione) comparissero in uso tardivamente. L'aratro con versoio inoltre fu evitato a lungo con timore religioso perché si temeva di far del male alla Gran Madre Terra. Di conseguenza all'impoverimento graduale del suolo senza concimi, seguiva la continua ricerca di terra vergine e i mir erano portati a sparpagliarsi nella taigà in un semi-nomadismo oscillante e periodico. Ciò non accadeva tanto di frequente come si potrebbe immaginare, ma portava a volte all'invasione di territori 247 altrui e all'adozione di altri metodi di sussistenza nel meticciato fra genti allogene. Nella leggenda della Chiamata di Rjurik ciò che le CTP fanno dire ai locali sul disordine che regna fra le loro genti, non è la realtà. Né fa meraviglia che i varjaghi Rus nella citata leggenda pongano la loro prima sede a G. Novgorod (prima metà del IX sec.) giacché non è il luogo agricolo ideale. Qui comunque non molto prima del 930 d.C. risiederanno e diventeranno un gruppo slavizzato con gli altri slavi, Vendi, forse arrivati dal Danubio (!!) e si arrogheranno il diritto di gruppo fondatore della città. Si riserveranno un quartiere (cantone, rus. konec) Slavnja sulla riva destra del Volhov, il fiume che attraversa l'emporio nordico repubblicano in questione, e si dichiareranno diversi etnicamente dagli svedesi di Ladoga Vecchia o di Rjurikovo Gorodišče (Fortezza di Rjurik nella nuova toponomastica introdotta dopo la conquista moscovita del 1478) sulla riva sinistra del fiume Msta, affluente di destra del citato Volhov. La convivenza fra allogeni nell'esperienza novgorodese, non influenzò in negativo l'adattamento e la multietnica compartecipazione nei miti cosmici somiglianti delle mitologie locali che pure rispecchiavano antichissime storie. È interessante perciò leggere nel sincretismo culturale del nordest le avventure risalenti alle diverse ondate invasive degli indo-europei portatori del sistema patriarcale. Da pastori esasperati per i cambiamenti climatici, penso io, gli indoeuropei erano migrati a gruppi dalle steppe centro-asiatiche verso occidente e si erano scontrati con le comunità matriarcali esistenti dei ugro248 finni e, vittoriosi, avevano imposto l'ordine fallocratico loro fino alle rive del Mar Baltico. Non mi addentroin questa parte di “storia indo-europea”, ma è notevole (non mi stancherò di ripeterlo) che una visione al femminile dominante dello stare-insieme esclusivamente per mezzo del coito/amore sussiste oggi nel nord a prova di un passato che gli indoeuropei evidentemente non sono riusciti a mutare in chiave maschilista pur meticciandosi. Cesare stesso informa della profondamente arcaica consuetudine dei germani baltici in base alla quale l'accertamento della volontà degli dèi era affidato alle anziane matrone (matres familiae). È una testimonianza, seppur flebile, di quanto tenace fosse il matriarcato anteriormente all'epoca medievale e mai scomparso del tutto. D'altronde presso i lettoni baltoslavi e gli ugro-finni l'olimpo pagano era femminile a stragrande maggioranza. Altrove ho scritto che i visitatori musulmani del tempo insistono sull'esistenza di “regni femminili” baltici e volentieri li combinano con gli usi caucasici di dominanza femminile di ascendenza amazzone di scitica memoria. Vediamo un po' meglio. È ben noto che il primo desiderio dell'essere umano è quello di nutrirsi e, se al principio della vita è la madre col suo latte a soddisfare tal bisogno, il neonato, non appena sarà in grado di muoversi egregiamente senza l'altrui aiuto, comincerà ad esplorare l'ambiente alla ricerca di cibo, portando ogni cosa alla bocca. Imparerà con l'aiuto della madre a riconoscere quanto c'è di commestibile nella sua biocenosi e eviterà o eliminerà gli ostacoli che gliene impediscono l'accesso. I sensi che lo muovono? 249 Soprattutto il tatto che offre sensazioni immediate al contrario della vista che deve non soltanto vedere, ma imparare a percepire. Poi cresce e giunge il momento della scoperta di se stesso come corpo da governare e usare mantenendolo indenne in tutte le sue parti di cui alfine percepisce l'esistenza e il funzionamento, ma che, senza specchi, non riesce a vedere per intero. Sappiamo che la sessualità è presente nel bambino sin dalla nascita come sensazione di benessere, ma solo all'inizio della pubertà comincerà a toccarsi sempre di più, a palparsi e a manipolarsi. Ciò serve a definire le differenze (e le somiglianze) fra se stesso e gli altri essere simili a lui o creduti dissimili. Ai riflessi sessuali l'impubere risponde meccanicamente (in maniera pavloviana), mentre il pubere non appena inizia la produzione degli ormoni “sessuali” si accorgerà che alcune aree del corpo producono sensazioni di piacere particolarmente intense manipolandole con un certo ritmo. L'adolescente (ripeto: intervallo d'età sconosciuto nell'epoca medievale ove i puberi fra i 10 e i 13 anni erano detti adulti) imparerà ad apprezzare gli stimoli visivi che vengono dalla nudità parziale o totale, dal contatto, dall'odore, dai suoni e dalle movenze corporee del diverso da lui (al di là del sesso istituzionale) che provocheranno “urgenze” e “desideri” da scaricare e soddisfare. Le armi fisiche che possiede nella sfera sessuale non sono però automaticamente collegate con la copula che non conosce ancora e ci vorrà insegnamento e tirocinio per imparare a fare all'amore. Una realtà che scombussola la maniera di considerare l'omosessualità strana, patologica o “contro natura” 250 rispetto all'eterosessualità e che fa cadere le teorizzazioni astruse sulla copula quando si vuol mettere da parte il godimento e il benessere di essere accarezzati e coccolati da chiunque a prescindere dal sesso. La classificazione del nuovo arrivato, il pubere (ma non la pubere), nel circolo degli adulti era fondamentale per decidere i metodi didattici da applicare alla sua educazione. Chiaramente in ambiente patriarcale il sesso apparente dava il valore sociale e pratico all'individuo maschio, mentre il comportamento sessuale, il gender, era al contrario un aspetto affatto secondario. Piuttosto c'è da notare che se i bambini sopravvissuti al parto fossero stati in numero troppo grande da puberi per le risorse disponibili, allora si sopprimevano senza imbarazzo nell'infanticidio rituale (sacrificio agli dèi) o con l'esposizione in dono a chi volesse prendersi il neonato ancora in vita. Se poi si era in contatto con i mercanti di schiavi, allora sì che li si lasciavano crescere fino all'età utile per la vendita e con le spese relative comprese nel prezzo pattuito. Le decisioni in proposito erano logicamente della madre, specie se si trattava di neonate. Comunque sia generare o allevare la prole erano processi in cui per gran parte della fatica la donna era coinvolta da sola e, se necessario, contava sull'aiuto delle altre donne del gruppo. La faccenda gravidanza aveva inizio col rapporto personale fra la donna, generatrice divina e umana allo stesso tempo di tutti gli uomini viventi, e le divinità del cielo. In alcune versioni mitologiche è la Madre Umida Terra che su preghiera della futura madre inviava 251 nell'utero un embrione da sviluppare, mentre in altre versioni l'invio era sacralizzato con l'intervento sessuale diretto del dio-luna. La copula infatti è sempre stata la maniera sacrale per sentirsi parte integrante del cosmo e così era il piacere che la futura madre offriva (e si offriva) agli dèi in cambio di un figlio-dono in assoluta indipendenza dal contributo spermatico del maschio, L'ho ripetuto qui spesso: la paternità non risvegliava alcun interesse poiché non la si intendeva come al giorno d'oggi. L'amore pagano pertanto accoglieva l'insieme delle sensazioni che prevedevano, sì!, l'amplesso finale, ma che questo, una volta conclusosi, non lasciava alcuna impronta particolare in grado eventualmente di essere usato per rafforzare i rapporti futuri fra i partners. Non solo! Si sa dal folclore e dai racconti erotici bielorussi e da quelli raccolti da A. Afanasjev ancora nel secolo scorso che un preludio simile al corteggiamento vero e proprio non esisteva e che l'adescamento e l'invito erano espliciti e immediati. Insomma l'intenzione promessa e riservata fra due o più persone di preferirsi l'un l'altro per tutta la vita era assente nell'amore pagano e di conseguenza niente gelosia, almeno come la viviamo da europei oggi. Sia come sia il cristianesimo in maniera assurda tentò persino di introdurre la novità di vietare il sorriso e la risata perché gesto di seduzione. Ridere diventava un elemento di indecenza da non mostrare mai e, se finora l'allegria, lo scherzo, l'ironia erano stati parte integrante del piacere fisico in particolare mentre si copulava o ci si accingeva, con Cristo diventavano segni diabolici che il buon cristiano evitava. Di qui l'uso comune per le 252 cristiane di coprirsi la bocca, se venisse loro da ridere. Un'altra questione era il tempo e i luoghi dove appartarsi per l'amplesso. Il Medioevo era un mondo minacciato dalla fame e dove il lavoro nei campi o nella selva a pesca e a caccia o alla raccolta iniziava all'alba e finiva al tramonto con un breve intervallo di riposo a metà giornata e un'unica cena alla sera. La fatica era grande ed era sentita al ritorno a casa come un dono della divinità che con la stanchezza dava modo al lavoratore di risparmiare il proprio fisico per il giorno dopo. In altri termini la divinità, stancandolo, lo ringraziava per aver compiuto il proprio dovere e, se nel meritato riposo il maschio cercava la copula, la donna di casa (qualsiasi) era lì a disposizione. E ciò valeva anche viceversa, donna verso uomo. L'educazione inculcata ai giovani era l'obbedienza assoluta ai maggiori d'età e una forte amicizia fra non coetanei poteva rappresentare l'unico legame amoroso conosciuto. Ripensando alla struttura della verv in cui i coetanei sono fratelli e fratellastri e sorelle e sorellastre, per via dell'impossibilità di far amicizie fuori del mir a causa delle difficili comunicazioni dell'epoca, di sicuro si sfociava in rapporti sessuali casuali incestuosi e divertenti e senza neppure varcare la porta di casa. Niente di male... D'altra parte la sessualità umana è fondata sul piacere fisico e sul gioco piacevole (in russo lad) fra due o più persone che si manipolano l'un l'altra sul corpo in tutti i modi possibili e racchiuderla nello schema cristiano di attività procreatrice era a dir poco insensato visto che ancora non si sapeva come funzionasse esattamente la 253 cosiddetta procreazione. Ho parlato della Gran Madre Terra nel concepimento la cui presenza con la sua divinità diffusa nella natura era evidente a tutti, non c'era magari un dio pagano che si occupasse della questione amorosa? Per i paganesimi del nordest europeo, seppure con molti e contrastanti aspetti, non c'è un dio o una dea fisicamente separati come uomo e donna etc. La divinità è ovunque, penetra l'intera realtà, vivente e (apparentemente!) non vivente, e l'universo così fatto non è stato creato né è destinato necessariamente a perire, bensì avviluppa l'uomo offrendogli ospitalità, non particolare e non specifica, in un continuo interscambio di riti di ringraziamento sacrificali anche cruenti. La divinità non ha perciò nome né sesso, ma tanti nomi e tanti sessi quanti ne servano per dialogare quando essa appare materialmente fra gli umani. Si mostra spesso e volentieri attraverso effetti tangibili derivanti dalle sue azioni, le più disparate e inaspettate e, a seconda degli effetti piacevoli o spiacevoli, è definita dall'uomo favorevole o sfavorevole sotto forma di energia da spandere, in russo rispettivamente čistaja sila o nečistaja sila. Come si fa o come non si fa allora per mantenere i contatti fra uomo e divinità senza pericolo? La risposta è: Le formule e i riti che gli antenati hanno fissato nella tradizione pagana. A questo punto devo abbandonare le velleità di riuscire a riconoscere e descrivere in particolare un apposito dio dell'amore. Fra i pochi nomi di dèi che leggo nelle CTP o che ritrovo nelle varie cronache “occidentali” del XIII sec. non ci sono che i nomi locali di apparizioni inspiegabili e 254 a ciascuna è legata un'invocazione o un'imprecazione e perciò senza chiare informazioni sul pensiero religioso pagano di nordest e sull'argomento amoroso per il momento andrò a tentoni sullo sfondo di Rùsskaja Zemljà di S. Cvetkov (2016). Come si sa, cambiar vita solo perché te la raccontano migliore della tua, non ha mai dato immediatamente grandi frutti, salvo che le nuove abitudini non vengano imposte con la forza o col ricatto. E, lo ribadisco, fu la forza delle armi o l'equivalente terrore di un intervento distruttivo ad essere usati nel Medioevo Russo per abbattere la resistenza dei pagani villaggio per villaggio. A quell'epoca, ca. X sec., il matriarcato era quasi dimenticato (non estinto!), ma non si fermavano le azioni ostili per sopprimerne resti e tracce condotte nella cristianità occidentale esclusivamente dai maschi al potere che sanciscono una volta per tutte l'istituto dei due sessi opposti giacché così li ha creati il dio cristiano. Non solo, il potere che proviene dal dio creatore è nelle mani della dinastia imperiale che risiede a Costantinopoli e resta facoltà dell'imperatore universale (in greco ecumenico) di elargirne a altri uomini giudicati da lui degni. Di conseguenza, se si fa parte dell'élite al potere in uno stato cristiano, fra chi comanda e chi subisce l'unica naturale differenza da considerare è il sesso esterno e occorre che tale differenza sia sempre in vista quando si appare in pubblico o nei tribunali nelle vesti e nei gesti. E qui ricordo ancora una volta Liutprando da Cremona in visita alla corte imperiale sul Bosforo. Nel rapporto al papa denuncia il cattivo esempio della nobiltà, compresa 255 la coppia imperiale, che ha delle abitudini esecrande soprattutto nell'abbigliarsi per le cerimonie solenni, secondo lui un esempio deleterio per la gente comune che vi assiste. I nobili, compreso l'imperatore, si radono, adornano il viso con gioielli e pendagli, fanno crescere i loro capelli come le loro donne per tacere poi della cosmesi personale con unguenti e profumi e delle vesti piene di orpelli! Era uno scandalo non riuscire a distinguere l'uomo che il dio creatore aveva posto a capo dell'umanità dalla pur sottomessa consorte! C'è da dire che nella Rus di Kiev dopo la morte di Vladimiro (ca. 1015) l'iconografia ufficiale, e come esempio c'è la famiglia di Jaroslav in un affresco della cattedrale di Santa Sofia di Kiev, non seguiva la moda imperiale integralmente e la barba e una maggiore moderazione nel vestire riappaiono, benché fosse proibito aggirarsi nudi in città e men che meno in chiesa, salvo che alla conferma dei battesimi che l'ortodossia eseguiva sugli adulti: maschi e femmine almeno di 10-14 anni. Se guardiamo le icone russe (XIV sec.) si notano subito due aspetti: 1. le donne sono poco rappresentate e le loro vesti poco appariscenti. La vergine Maria, con i capelli accuratamente raccolti e coperti, indossa palandrane che cadono giù fino ai piedi severe e di colore uniforme prevalentemente 2. gli uomini invece sono sempre impaludati in abiti sfarzosi o comunque più ornati (E. Smirnova, 2002). A parte le questioni che si presentavano presso le famiglie dell'élite, laiche e religiose, il mio interesse adesso si volge al parto cioè all'evento che presso nobili e 256 plebei metteva tutti in attesa: Si sarebbe accresciuto il popolo dei maschi o il popolo delle femmine? Il parto pertanto risultava importante dal punto di vista dottrinario cristiano. Certamente è un'incombenza femminile, misteriosa e impenetrabile all'occhio dei preti, ma pure una manifestazione esiziale dell'impurezza femminile. E nelle poche cittadine fondate da Vladimiro ci furono pesanti scontri e incomprensioni coi parroci slavo-russi sul periodo troppo lungo fissato dalla chiesa – 40 giorni – affinché la donna ritornasse dopo il parto a vivere attivamente nella verv. L'autorità religiosa cristiana era pure attentissima a definire entrambi i genitori del neonato e sul legame di parentela che li univa eventualmente poiché si sapeva bene quanto fosse difficile discutere di incesto in ambiente paganeggiante per condannarlo quale peccato orribile e aborrendo. Nei giochi erotici degli adolescenti che imitavano gli adulti la pratica copulatoria fra fratello e sorella era comune come pure a mo' di tirocinio fra madre e figlio. In primo luogo si intervenne nella frequenza degli amplessi prescrivendo ammessi pochi e striminziti giorni per settimana (e nell'anno) e mai più d'un amplesso per notte. J. Flandrin (v. bibl.) ha calcolato ben 266 giorni all'anno di giorni proibiti! Non solo! Le posizioni e i tipi di pratiche sessuali furono discriminate fra pie e empie perché, si spiegò, il dio cristiano aveva creato l'universonatura e vi aveva posto l'uomo a far da re purché l'atto sessuale fosse eseguito entro canoni ben precisi e non si ricorresse a inutili stimolazioni per il piacere o così pure 257 al coitus interruptus. Fare all'amore era il famigerato peccato originale a cui l'uomo dopo il battesimo rispondeva con una vita da condurre secondo i comandamenti del dio cristiano. Ogni aberranza o deroga ai dettami divini erano azioni contro natura (natura in Occidente giunse a significare vulva!) e offendevano la divinità che per ripicca avrebbe punito l'offensore colpendolo in vita con malattie e sciagure e gettandolo nel fuoco eterno dopo la morte. Dante Alighieri docet... Ho ricostruito sulla base delle CTP e dei racconti popolari come Vladimiro era incerto sull'adesione al cristianesimo o all'islam o all'ebraismo parlando di fare all'amore. I monaci cristiani furono i suoi consulenti, in greco filosofi, che gli ventilarono come il sesso orale fosse pericoloso per la fama delle donne musulmane di farlo volentieri col pericolo che la stessa amante con un morso avrebbe potuto evirarlo per sempre! La circoncisione semplice gli fu dipinta parimenti come insicura. Un segno del patto col creatore dicevano gli ebrei? San Paolo non lo richiedeva. L'operazione al contrario era sospetta perché eseguita da abili medici ebrei e costoro, espertissimi nel “produrre” eunuchi (genere di schiavo che i mercanti vendevano a prezzo altissimo), per odio religioso o per illecito guadagno potevano far “scivolare la mano” e al posto di recidergli il prepuzio, gli avrebbero escisso i testicoli o troncato il pene. Guai poi se avesse saputo della metzizah b'peh dove il sangue dell'operazione degli infanti era succhiato dal medico esecutore ebreo stesso! Se proprio occorreva fare all'amore in modo canonico, Vladimiro chiese che si insegnasse a lui e ai suoi varjaghi 258 le varianti ammesse... purché – era sottinteso – procurasse lo stesso piacere come quello provato finora in vesti pagane. Era mai possibile che Cristo da vero dio e vero uomo-maschio non l'avesse mai provato? Non aveva nel suo seguito di discepoli anche delle donne? Quella Maria Maddalena che Cristo aveva difeso contro l'accusa di meretricio e che per prima aveva annunciato la risurrezione, non era stata la sua amante? Certe tradizioni cristiane, pur respinte come eretiche o blasfeme, e mi riferisco ai vangeli detti apocrifi, lo affermano. A parte questo gossip del primo sec. d.C., fare all'amore con gli ostaggi femminili o maschili delle etnie assoggettate era un obbligo per suggellare i patti e Cristo doveva adattarsi alle tradizioni vigenti. Alla fine vinsero i monaci cristiani e Vladimiro e discendenti in nome di Cristo dominarono la Rus di Kiev senza più allegria come si vede bene nelle icone, ma soprattutto copulando di meno. Di sicuro però nella campagna e fra i dominati le cose non andarono come prescritto dal dio cristiano e molte superstizioni di sapore pagano sono sopravvissute fino a questo momento... A parte le speculazioni osservo che nel periodo IX-XXIII sec. l'Europa dagli Urali all'Atlantico e dall'Artico al Mediterraneo si divide in tre grandi blocchi culturali dominati da religioni diverse. Se sul lato estremooccidentale atlantico domina l'islam il cui dominio è, in termini odierni, Spagna e Portogallo e aree del sud della Francia e dell'Italia e Cordova è il suo fulgido centro politico-religioso, al cristianesimo tocca l'area centrale che principalmente ingloba, sempre in termini odierni, 259 Francia, Germania e Italia peninsulare. Verso l'est domina la foresta boreale europea che caratterizza il terzo blocco culturale dove vivono slavi, baltoslavi, turcofoni e ugro-finni le cui tradizionali religioni furono dipinte sempre in modo tenebroso e demoniaco dal cristianesimo che ci ha insegnato a chiamarle idolatria, politeismo, paganesimo e simili e tutti termini “tecnici” spregiativi. Eppure sono questi, IX-X sec. gli anni in cui si cominciò a teorizzare letteralmente che cosa fosse o dovesse essere l'amore in Europa. La parola stessa amor per le lingue romanze compare per la prima volta nel Giuramento di Strasburgo nel 842! L'amore romantico ideale di vita. Con le sue definizioni Aristotele, il più noto dei filosofi greci antichi, arriverà attraverso la Persia musulmana in Europa nel XII-XII sec. e Platone, almeno attraverso Plotino alessandrino, sarà in circolazione nel mondo mediterraneo già per il buon servizio che rende alle idee delle comunità ebraiche. Così più o meno sono presenti le teorie di Galeno e Ippocrate sull'argomento. E qui ho da fare delle differenze. Per gli antichi “medici” l'interesse maggiore era per l'organo sessuale maschile perché l'unico in evidenza nel corpo umano nel suo uso per fare all'amore e dunque dal punto di vista dell'igiene non solo fisica ma soprattutto religiosa. Diventava di conseguenza perciò basilare la scelta della partner femminile, considerando la donna 260 senza organo sessuale uno strumento per sopire l'urgenza di desiderio del momento senza alcun sentimento amoroso sconvolgente. Quando qui scrivo fare all'amore e copula tali termini e altri simili non indicano nella loro semantica passata la stessa cosa che oggi si intende. Non era infatti prevista un'acme dell'evento copulatorio obbligatoriamente con penetrazione vaginale o anale e eiaculazione che invece erano atti riservati dall'aspetto sacro, ma s'intendeva quello che volgarmente in italiano è pomiciare ossia scambiarsi baci e carezze intime. Fra i sapienti si chiamava amore il turbamento che nasceva ancor prima di ogni manipolazione corporea sessuale reciproca con un'altra persona e si arrivava perciò a discutere oltre la copula eterosessuale o omosessuale che invece si coltivava nelle consorterie maschili di vario tipo dove le donne non erano ammesse (in J. Mossuz Lavau 2014). Lì si formavano vere coppie che dividevano e costruivano una vita insieme con tutta una serie di intimità reciproche fatte di sguardi, di ammiccamenti e di baci e carezze insieme con progetti comuni futuri su un piano di estrema parità ed esclusività nel fare all'amore. Questo era il vero amore... almeno finché pederastia e omosessualità resistettero nei costumi della tradizione greco-romana! Quanto al Medioevo, il più antico autore europeo che osi affrontare l'argomento amore sui vari piani del comportamento sessuale, è Abu Muhammad Ibn-Hazm, musulmano di Cordova (994-1064), che nel suo famoso Collare della Colomba teorizza in particolare come la 261 copula eterosessuale possa avere l'esito felice di complessi processi analoghi a quelli che producono amori e copule omosessuali. In entrambi i casi non v'è alcunché di peccaminoso di fronte al dio creatore. Ed ecco la sua definizione, peraltro ben sperimentata dall'autore stesso, dell'amore ideale: «Circa l'essenza dell'amore, si è discusso con varie opinioni e a lungo. Il mio parere è che si tratti un'unione tra le parti delle anime, divise in questo mondo creato entro il comune loro alto elemento fondamentale […] Noi sappiamo che il segreto del mescolarsi e rifuggirsi delle creature sta nei principi dell'unione e della separazione, che il simile cerca sempre il suo simile e in esso si adagia, che l'affinità di genere ha un'efficacia sensibile e una constatata influenza che l'inconciliabilità degli opposti, l'armonia degli uguali e il tendere l'un verso l'altro dei simili sono cose che hanno luogo fra noi. (dal Collare della Colomba o in arabo Tawq al-Hamama v. in bibl. testo italiano 2006)» Di qui, leggendo bene, inizia una cultura amorosa europea del tutto incerta sui legami che potrebbero seguire ad una copula più piacevole di altre e che suscita i cosiddetti sentimenti d'amore. Anzi, si continuerà a teorizzare e si culminerà nel cosiddetto amore cortese o romantico in auge oggi e che, pur senza le modifiche concettuali apportate dalla Rivoluzione Francese (1789) che predicò l'amore libero come un modernismo per tutto il mondo, fu esportato e imposto dai colonialisti europei in ogni angolo del pianeta. Scrive infatti lo storico dell'amore J.-P. Poly (2003): 262 «L'amor cortese non liberava le donne dell'Occidente, [ma] era un compromesso storico, l'impronta della loro antica [femminile] dominanza sulla loro novella dipendenza. Questa dipendenza, grazie ad esso [amor cortese] sotto la forma totale in cui con 3-4 secoli d'anticipo i più maschilisti degli uomini avevano voluto instaurarla; [con l'espediente: niente coito immediato, ma solo dopo la dovuta corte] sarebbe finita per restare incompiuta.» Andrebbero fissati termini e definizioni, ma odio tale espediente perché fermerebbe nel tempo realtà che non sono esattamente note e prive perciò di concretezza. Il mito dell'amore eterno che gli antropologi preferiscono chiamare amore romantico fu corretto e standardizzato alla fine del Medioevo e fu collocato comunque nella nuova ondata dei costumi cavallereschi adottati dai nobili e dai potenti locali dell'Europa cattolica. Nell'Occidente sedicente cristianizzato l'idea era che fra gli amori di vario genere c'era quello che prescindeva dalla copula immediata da quella obbligatoria e indispensabile per sigillare il patto di far figli! In breve, se la copula o amore carnale era un atto peccaminoso, si poteva soprassedere ad essa e amare la donna come oggetto-premio idealizzato da conquistare, struggendosi per lei e soffrendo di non vederla e di non poterla avere vicina a vista. Occorrerà un paio di secoli (fine del 1200) perché si verifichi la spontanea volontà della donna a concedersi all'amante. Ciò tuttavia sarebbe la fine dell'amor cortese che per poetica definizione non si dovrebbe invece mai esaurire nel grande amore (fin' amor). 263 Espressioni d'amore cortese? Doni e parole piacevoli e accattivanti allorché trionfante lui porgeva i trofei vinti nei tornei per lei! Persino tramite abili servitori prezzolati il cavaliere dimostrava la sua passione indirizzando all'amata poesie, canzoni e missive appassionate. Il coito come premio auspicato, non era preteso, ma concesso pur col rischio di peccare di lussuria o di adulterio. Sono questi già tratti più avanzati dell'amore romantico giacché, come dicevo righe fa, l'analisi particolareggiata di Ibn-Hazm farà breccia nella vicina Terra d'Oc (Provenza) a lungo. Qui il duca d'Aquitania, Guglielmo IX, si sentirà incoraggiato a circondarsi di pensatori e poeti che sanno come incantare il sesso femminile e si affermerà che la donna è incline a concedere i favori del corpo in maniera ottimale... se la si sa corteggiare. La chiesa cattolica dapprima fu assai critica su tali tipi di sollecitazioni influenzate dai costumi sessuali musulmani e che avrebbe voluto invece controllare interamente nell'ambito della “famiglia monogamica naturale”, ma col tempo vi si adeguò. Ammise l'amore romantico purché si concludesse con il “santo matrimonio” nell'ambito della famiglia cristiana con tutti gli ammennicoli prescritti fra cui, punto importantissimo, fissare il luogo di lavoro per il resto della vita in coppia e pagare l'obolo a san Pietro. Questo bagaglio di cultura amorosa fu esportato come modello universale di pratica sessuale, come ho dianzi scritto, durante il colonialismo inaugurato in grande stile dalla Spagna nel XV sec. dopo aver cacciato via i musulmani. Seguita nella politica imperialistica da altri 264 imperi cristiani: francese e inglese, proclamò a gran voce nel mondo che la famiglia cristiana era per legge divina la base naturale della civiltà superiore europea. Forse tutto questo non arrivò nelle terre russe nel Medioevo giacché qui un cavaliere non esistette come in Occidente, ma solo in parte esternamente simile ai cavalieri crociati. Qui c'è il muž. Per quanto riguarda il rapporto di costui e le donne, dai documenti si riesce a capire che una donna non può né deve sottrarsi all’accoppiamento con lui, quasi in una ierogamia, ma l’amore non è permesso: Esso è debolezza perché significa sottomettersi alla donna e ciò è scandaloso. Certo! Alla fine della battaglia vittoriosa un’orgia non è peccato, ma il muž deve cercare di esser moderato in tutte le sue azioni, poiché il cappellano cristiano (pop) sarà sempre lì a controllarlo. Non dovremmo quindi vederlo frequentare taverne e bagni pubblici a Kiev (o peggio che mai a G. Novgorod). Possiamo immaginarlo condurre quasi una vita monacale, se non fosse per le frequenti campagne militari impostegli dal suo ruolo di guerriero del knjaz in cui talvolta deve sopraffare le donne, se sono quelle del nemico, ma difenderle, se sono quelle della propria gente. In seguito si sposerà, ma solo con colei che il knjaz gli ha indicato e i figli saranno presentati al knjaz prima che a qualsiasi altro affinché siano accolti nella družina! Non vive per accumulare ricchezza, ma gli piace pavoneggiarsi nella sua uniforme davanti alle donne, sempre attento ai sortilegi che da queste possono venire. Nella Rus’ di Kiev la poesia o la lirica esaltante l’amor cortese non esistette e la donna veniva sempre tenuta da 265 parte nella società russa patriarcale, ma questo non significa che la donna non avesse un ruolo importante nella vita del muž. Nella letteratura russa antica è esaltato il dolore e la lirica lamentazione dell’amata per il muž che non è più tornato e tuttavia, lo ripeto, la donna è percepita come un essere misterioso e fondamentalmente pericoloso. Contro i di lei incantesimi il muž perciò si fornisce di amuleti e croci e evita così il malocchio o l’amore non voluto e si astiene da contatti sessuali prima di ogni campagna. Non sono eccezionali o giudicati troppo male neppure i suoi rapporti omosessuali… Questo è il quadro nelle corti slavo-russe per l'armata personale principesca. A proposito poi della famiglia monogamica naturale va aggiunto che nelle società fortemente maschiliste (e forse meglio misogine come quella cristiana) alla donna non è riconosciuta alcuna parità col maschio di sentimenti amorosi sofisticati data la sua natura “mentale” inferiore e peggio che mai le si doveva permettere di condividere o discutere i piani e le idee del maschio consorte. L'autorevole sant'Agostino affermava, con i suoi trascorsi in questioni di donne: «Non vedo a che scopo il creatore ha formato la donna se non a quello di procreare […] un aiuto, ma quale? Se l'uomo avesse avuto bisogno d'un sostegno [per lavorare o per consigliarsi], sarebbe stato più utile un altro uomo. Lo stesso possiamo dire per una compagnia nella solitudine. Quanto è molto più gradevole la coabitazione di due amici rispetto a quella di un uomo con una donna...» 266 Con queste parole la conclusione unica possibile era che, se era impossibile vietare e proibire la copula, almeno che servisse a tenere insieme due persone occupate nell'attività primaria della loro vita: a. per la genitrice di accrescere il numero dei credenti e b. per il genitore di educare i bambini maschi a difendere la sua famiglia cristiana. E non aveva detto più o meno la stessa cosa il teorico massimo cristiano dell'amor di coppia, Clemente alessandrino, qualche secolo prima di sant'Agostino? Certo, per la famiglia cristiana, i cosiddetti sentimenti amorosi fondamentali da rispettare erano la promessa di vivere insieme e di copulare come e quando prescritto abbandonando ogni amore peccaminoso come l'adulterio o l'incesto. La filosofia cristiana è chiara: I gruppi umani non sono sanciti dalla chiesa se vanno oltre la coppia perché gruppi con un numero maggiore di membri maschi favoriscono e nascondono accordi per rivolte e sedizioni contro il potere sovrano concesso dal creatore! La famiglia cosiddetta naturale è costituita, lo ripeto, da due consorti ed è il massimo raggruppamento ammissibile alla benedizione divina nella chiesa. Non solo! Ai due partners è prescritto il reciproco piacere nell'uso dei rispettivi corpi (non in tutte le manipolazioni e fantasie, ma con assurde limitazioni) perché diventano una sola persona – una sola carne! – e per la società cristiana è il consorte maschio a proclamarlo, data l'inferiorità sociale e mentale della femmina. Spiegare ciò alla gente pagana fu un compito ingrato e la conclusione fu che il dio cristiano benedicesse la copula 267 solo se i due partners ne godevano contemporaneamente entrambi. Anzi, leggendo E. Le Roy Ladurie (1998) nella sua Storia di un paese, Montaillou ossia dai protocolli dell'Inquisizone del XIII sec. in Francia, la rea di adulterio, Grazide, non si sentiva in colpa né in peccato a copulare col parroco locale poiché costui con lei godeva e Grazide pure. Al contrario quando copulava col consorte legittimo il godimento per lei era nullo. Altrettanto avveniva spesso nei villaggi pagani della Pianura Russa, ma in nessuna relazione con un reato/colpa per adulterio, visto anche che di adulterio se ne parla pochissimo nelle fonti cristiane del luogo. La verv e il mir e forse anche il rod in ogni caso vanno negati e che trionfi l'individualismo nei comportamenti del maschio. Persino le assemblee popolari ossia la vece slavo-russa che serviva da organo di governo a G. Novgorod e altrove nella Pianura Russa non devono più esistere, se le decisioni finali non sono “benedette” (= presiedute!) da un prelato cristiano in nome del dio creatore. Guai poi se ci sono troppe donne a interloquire perché a volte si fanno scegliere per posti come quello di posadnik o sindaco della città. Memorabile fu il caso di Marta Borezkaja eletta posadnica di G. Novgorod prima che la repubblica cadesse in mano moscovita nel 1478. Il discorso sull'individualismo che ancora oggi ci governa negli atteggiamenti personali e collettivi sulla topica sessuale è complicato e non mi compete sceverarla qui salvo confermare che durante il Medioevo Russo le opposizioni all'individualismo furono tanto forti da frenare lo sviluppo capitalistico fino ai tempi di Pietro I 268 (1672-1725) e oltre col collettivismo sovietico. Un aspetto stravagante dei miti dell'amore inaccettabile per i contadini del nordest e che occorre menzionare come alieno fu l'estrema privatezza che il cristianesimo prevedeva per l'atto sessuale bollato di illecito e di lurido, se fuori della famiglia, e che soltanto la buia notte medievale fosse il tempo fissato da dio per gli amanti consorti. Era un'assurdità che i due “vergognandosi della reciproca nudità” si sarebbero dovuti chiudere in luogo appartato e dedicato, se poi durante l'anno tante volte si erano visti e eccitati svestiti nella banja. E Cristo, secondo il vangelo dell'apostolo Tommaso (apocrifo per i cattolici), non aveva in maniera chiara detto riguardo alla nudità fra coniugi: «Quando ti denudi senza vergognarti prendi i tuoi vestiti e calpestali come fanno i bimbi piccoli, vedrai [finalmente te stesso cioè] il figlio bambino dell'uomo. E non ne avrai paura.»? Fare all'amore è incluso nelle poche attività corporali che l'uomo compie indifeso come l'evacuare il corpo o il dormire e quindi ha bisogno di sicurezza contro le intrusioni altrui e, guarda caso, i costumi e le abitudini nella Pianura Russa su tali questioni sono diversi e divergenti di regione in regione, fra cui certi sono davvero singolari. Visto inoltre che parlo di attività fisiologiche importanti, val la pena rammentare che per evacuare si è conservato il costume “militare” di farlo di notte ed essere preferibilmente in tre. Così, mentre uno sta in piedi di guardia, gli altri due sono accovacciati a concimare con i propri escrementi il campo. E per fare all'amore? La tradizione pagana non indicava la notte, ma il meriggio. 269 Abitudine logica quest'ultima quando le fatiche a metà giornata si interrompono per rifocillarsi e nel tempo che avanza ci si apparta per una bella copula sotto lo sguardo benevolo dello “spirito pagano del meriggio” Poludnik. D'altronde momenti d'intimità per l'amore come noi oggi pretendiamo invocando la decenza o la privacy non sono concessi dalle condizioni materiali d'abitazione o di ricovero dell'epoca. Nel Medioevo nel mondo rurale dell'intera Europa lo spazio per dormire è il pavimento con su distese delle pellicce d'animali o una pedana leggermente elevata in camere o in tende con uno spazio di 9-10 m². Anche per i più abbienti la camera da letto non supera di molto tali dimensioni. In ogni caso si dorme insieme: genitori e figli, fratelli e sorelle, ospiti eventuali etc. etc. Nudi tutti a contatto pelle con pelle perché serve scaldarsi e, se capita di scambiarsi effusioni amorose, perché no? Il vicino non avrà niente da dire. D'altronde anche nudo il diabolico essere femminile nasconde “per natura” nascosto nell'oscurità delle cosce il suo monte di Venere con il resto perché il dio creatore lo vuole là e in ogni misura le coppie facoltose cattoliche disponevano addirittura di coperte separate per coniuge e quella della donna con un foro all'altezza giusta affinché il maschio potesse darsi da fare (G. Dmitrieva, 2019). Pudore? Decenza? Non sono ancora veicolati in una regola comune nel XII sec. che comincia timidamente ad apparire presso i monaci nei conventi (W. Reinhard 2014). Basta leggersi le prescrizioni di Ildegarda di Bingen, badessa benedettina, quando si rivolge ai monaci a proposito del saio e impone di non toglierlo neppure a 270 letto: «[Che si cingano ben stretti sulle reni] affinché la veste con cui dormono, non si apra e non appaiano nudi.» L'indicazione «sulle reni» si riferisce alla credenza comune che così facendo si impediva al pene di inturgidirsi, quasi contraddicendosi, dato che è la santa badessa a riconoscere che la sessualità è cosa sacra e che il pene eretto è un fiore innalzato in onore del creatore (A. Ballhaus, 2009). E in questo scenario per il contadino pagano del Nordest che di queste ordinanze cristiane non gli viene detto nulla, ma gli viene imposto di onorare i vecchi costumi purché liberati da ogni superstizione secondo i dettami cristiani. Un costume non permesso è quello di appostarsi per avere un contatto con la riva opposta del fiume dove già di primo mattino le donne nude lavano i panni. Come fare a desistere dall'invitarne una? Se poi c'è subito un certo feeling con qualcuna di loro, ci si può dare più d'un appuntamento nella stagione buona. Col cristianesimo un appuntamento amoroso è pari all'adescamento che è proibito alla donna in qualsiasi circostanza. A riguardo si imposero come “sante virtù femminili” le appena inventate vergogna della propria nudità e pudicizia nel non rispondere agli inviti maschili. Con la stessa logica al cristiano si vietava l'offerta di doni che inducessero alla copula (e aggiungerei perché sottinteso: con chiunque di qualsiasi orientamento sessuale) o a mostrarsi discinti e col pene eretto. Eppure il maschio ne trovava di espedienti, quando la fregola lo sollecitava. Le byline son piene di ragazzi e ragazze che si incontrano a “provare come si fa”. 271 Addirittura in città ci si può comprare o farsi regalare uno schiavo o una schiava da tenere in casa per tale tirocinio! A questo punto penso di essermi fornito di bastanti elementi sulle diversità fin qui evidenziate per concludere e confrontare amor cristiano con amor pagano. L'unico neo è che non sono stato esaudito su quale tipo d'informazione passasse nelle campagne missionarie del IX-X sec. condotte fra i barbari pagani di Nordest sulle questioni dette. Eppure il blocco cristiano occidentale dominava la scena in gran parte delle regioni occupate dagli slavi Vendi e fin nelle plaghe meridionali (coste del Mar Nero) della Pianura Russa. Tramite la centrale “cattolica” del convento di san Maurizio di Magdeburgo, sorta nella prima metà del X sec. nella feracissima area una volta popolata dagli slavi e dai baltoslavi (prussiani) fra Germania e Polonia odierne, potrebbero esser penetrati quindi i miti sull'amore romantico visto l'andirivieni vivace e consistente dei contadini e dei missionari cristiani fra il Reno, l'Elba e i grandi fiumi russi, senza contare gli stretti contatti degli imperatori germanici con l'imperatore ecumenico di Costantinopoli, occupati in frenetiche attività guerresche tese alla conversione di pagani e eretici delle coste baltiche in special modo. Nel 1054 ci sarà lo scisma unilaterale dei “cattolici” dagli “ortodossi” giusto mentre il cristianesimo inizia a consolidarsi in alcune realtà politiche della Pianura Russa come Kiev e G. Novgorod. Due mondi, cattolico e ortodosso, si divideranno misurandosi fra interessi economici e prestigio di potere 272 e si guarderanno in cagnesco, grazie a patriarchi e vescovi arditi che non smettono mai di contrastarsi l'un l'altro con insulti e anatemi. I cattolici inoltre agli inizi del XIII sec. arriveranno in massa, frati e cappellani specialmente, via terra nella Pianura Russa dai Monti Carpazi sulle rive baltiche causando violente crisi nel mondo contadino che coinvolgeranno ordini monastici non armati: cistercensi, francescani e domenicani insieme con quelli crociati vecchi e nuovi e senz'altro armati. Numerosi matrimoni dinastici “misti” (fra il XII e il XVI sec.) si celebreranno fra nobili appartenenti alle 2 confessioni ora ostili per scopi economici e politici e i rispettivi prelati nelle trattative prematrimoniali insinueranno accuse reciproche d'eresia con tutte le loro contraddizioni svelando un imbarazzante stato di affari privati e di relazioni del potere laico con quello ecclesiale di cui risentirà l'intero Medioevo Russo addirittura dai Balcani al Volga. Non posso che concludere con le parole di un notissimo filosofo francese contemporaneo, Michel Onfray, che ha dedicato un intero libro all'amore umano (Théorie du corps amoureux v. bibl.). Commentando sant'Agostino di Ippona che domina ancora la tradizi0ne cattolica in materia di famiglia e di amore coniugale in coppia etero irripetibile dopo il sacramentale primo e unico matrimonio cattolico, il filosofo scrive: «La libera sessualità, la libido libertaria, il piacere zingaro restano i nemici prioritari sotto i termini cristianissimi di adulterio, fornicazione, lussuria e concupiscenza. Malgrado tali termini siano diventati 273 caduchi e invitino oggi al sorriso, le idee e le rappresentazioni [ad essi] associate non cessano di travagliare l'Occidente e di imporgli una potente marchiatura. [...] Oggi non si dice più fornicare, ma si inganna [l'altro/a], non si commette più un peccato di lussuria, ma si tradisce. Le parole cambiano e spariscono ma non ciò che esse fustigano o significano. Noi viviamo sotto un ordine mascherato nell'ambito dei concetti, ma riattivato [in realtà] del giudeocristianesimo che [ormai] si avvia verso la fine.» 274 Capitolo nono Kiev apre a Cristo Dal VII sec. si va diffondendo nell'area fra Polozk e Pskov fino a Ladoga) l'etnonimo Rus che resterà attaccato all'entità statale più celebre del Medioevo Russo o Rus di Kiev. Da Rus deriva l'it. Russia e russo e così pure Rossija nel caso di Mosca ancora nel XV sec. Ma chi sono questi Rus? Uno dei primi visitatori musulmani a frequentarli è IbnFadhlan che li incontra in vesti di mercanti a Bulgar-sulVolga. Il nostro autore risiederà per quasi un anno, 920921 d.C., qui e riporta pertanto nel suo Rapporto (risala in arabo) al Califfo al-Muqtadir che l'aveva mandato in missione nel nord, parecchi episodi sui loro comportamenti sessuali credibilmente da testimone oculare. Scrive (trad. mia dall'ingl.): «Ognuno di loro ha il suo posto a sedere su una mensola [della casa dove vivono insieme] e con loro ci sono delle belle schiave che hanno portato qui per venderle ai mercanti. Ogni Rus fa sesso con una schiava [seduto?] mentre i compagni stanno a guardare e certe 275 volte un intero gruppo di loro fanno all'amore insieme in vista l'uno dell'altro. Se arriva un mercante per comprare una schiava mentre il Rus è occupato a far sesso, [il Rus] non s'interrompe finché non ha soddisfatto il suo desiderio.» E ancora (trad. mia): «Quando muore un capo i famigliari chiedono agli schiavi e alle schiave chi di loro sia disposto a immolarsi per il funerale del padrone. … Di solito sono le schiave a farsi avanti. … [Dopo i vari preparativi per i riti, io vidi infatti] ... la schiava destinata al sacrificio entrare e uscire dalle varie tende allestite per gli ospiti presenti per i funerali per far sesso con ciascuno di loro e facendo sapere che fa ciò in onore del defunto.» Essendo capitato a Ibn-Fadhlan di assistere al sacrificio funebre e sessuale di una schiava, sfortunatamente per la mia ricerca, non so che tipo di trattamento sarebbe toccato a uno schiavo maschio in caso funebre analogo. I Rus sembrano essere quel gruppo speciale di varjaghi che da mercanti armati – normale per un viaggiatore in quei tempi – frequentano le rive dei grandi fiumi russi come li presentati più volte nelle pagine precedenti. Costruiscono delle città fortificate o gorod poco discoste dagli approdi allorché decidono di metter su un dominio piccolo ma stabile e qui si rinchiudono durante l'inverno coi fiumi gelati. Il gorod è abbastanza semplice e si ripete senza varianti notevoli: pianta rotonda possibilmente ricavata sulla lingua di terra di una confluenza di due fiumi (holm in russo e in norreno-svedese e baštu in bulgaro-turco). Al centro c'è l'abitazione del capobanda e dei suoi armati munita di un'invalicabile staccionata. 276 Nel gorod sono rinchiusi non soltanto i figli/ostaggi dei capi dei villaggi intorno assoggettati, ma anche i ragazzi razziati o acquistati per la vendita ulteriore. Questi ultimi, giovanette e giovanetti, col destino già segnato sono un capitale preziosissimo da mantenere in buona salute e in bell'aspetto giacché si spuntano prezzi altissimi solo se sono ben fatti e sani nel corpo. Al mio lettore parrà logico e immaginabile che qui vigesse la nudità come prassi, dato che i mercanti così constatavano de visu la fisica costituzione dei giovani in tutti i punti del corpo. A parte ciò, quale altro divertimento c'era a quei tempi se non passare con loro sfrenatezze amorose? Il nome più in auge nel nord di questa locazione interna del gorod ne tradisce la funzione: detinec, più o meno da tradurre deposito dei ragazzi (deti, i minori in russo). Parecchi gorod saranno abbandonati e altri ne saranno costruiti spesso presso o al posto di santuari pagani e la denominazione antica di deposito di ragazzi ostaggi sarà sostituita da quella più neutra di cremlino (da krom, kerman voce turca per fortezza o recinto sorvegliato). Perché tale cambiamento di termine? Probabilmente per opportunità poiché nel cremlino (kreml') delle città trovò posto la cattedrale che faceva un po' a pugni con i costumi sessuali imposti dal cristianesimo. Gorod cambierà nome in mesto (termine slavo per città, residenza) nelle aree dove si afferma il cristianesimo latino, mentre non si conserva in russo con la stessa accezione e Detinec invece di Cremlino resterà in uso nel nord della Pianura Russa per un po' di tempo ancora. Io lo interpreto col fatto che il commercio degli schiavi col cristianesimo era traffico 277 legittimo e che continuò e crebbe in mano al sovrano kievano da cespite d'entrate importante. Probabilmente i mercanti l'avevano constatato in assenza di un'anagrafe che si trattava i giovanissimi e che nella società pagana eliminarli uccidendoli o abbandonandoli nella foresta non c'era un grande strazio e che la chiesa avallava la loro compravendita evitando il rito dell'alienazione pagano il quadro che viene fuori è abbastanza chiaro e evidente: La compravendita degli schiavi slavi fu l'affare d'argento (d'oro non ne circolava altrettanto) più lucroso del Medioevo. Inoltre, se il sovrano ne ricavava in cambio merci preziose e denaro e la chiesa ne ricavava lavoro e servizi gratuiti, seppure fra i monaci del Monastero delle Grotte suscitava fastidio e imbarazzo, ad esempio la gestione di bimbi maschi destinati alla castrazione, e i ragazzi elusi alla vendita erano avviato al monachesimo. È vero: Ciò li salvava dalla morte, ma che ne era della loro vita sessuale? Sarebbe stata soffocata? Tale circostanza è confermata dalle CTP per l'anno 988 d.C. che racconta: «Mandò [Vladimiro il primo santo sovrano kievano] a prelevare i figli minori delle persone più in vista affinché [si disse che questo era il suo desiderio] imparassero a leggere i libri [presso gli ecclesiastici celibi e sospetti perciò di urgenze sessuali da soddisfare magari con l'esercizio della forza]. Le madri però [non sapendo bene che cosa significasse imparare a leggere e a scrivere] ne piansero...[immaginandone] quasi la morte [andare schiavi valeva morire infatti].» E qui, a parte il commercio degli schiavi, s'immette il discorso delle fratellanze o gemellaggi omosessuali 278 (pobratimstvo) ben studiati da J. Boswell (1995) nelle comunità ecclesiali o d'altro tipo pseudo-militari o affatto militari nella Rus di Kiev. La chiesa kievana e la družina del knjaz (armata personale) erano organizzate militarmente entrambe e di tanto in tanto dovevano rimpiazzare i loro membri morti o ormai inabili comprando giovani (otroki). I sentimenti camerateschi fra queste matricole e chi invece era immatricolato da tempo erano naturalmente favoriti e perciò niente di male se si creavano coppie di commilitoni/monaci legate da amicizia collaborativa e di altri sentimenti amorosi che duravano fino alla morte! La chiesa era pronta a benedire queste coppie con riti matrimoniali speciali creati ad hoc nascondendo l'amore omosessuale. Poneva le coppie sotto la protezione di santi militari leggendari pure omosessuali come i ss. Teodoro Stratilata & Teodoro il Soldato o i ss. Sergio & Bacco (la cui chiesa a Costantinopoli era importante e nota come Santa Sofia Minore) e, come J. Boswell scrive (trad. mia): «... [Le genti] del Medioevo Cristiano avevano molte ragioni per biasimare le sistemazioni eterosessuali [giacché erano] viste come una convenienza o un vantaggio terreni e allo stesso tempo [invece per] ammirare la passione e le unioni [di coppie] omosessuali: Il culto residuo di una mascolinità con un'altra mascolinità da collegare ai tanti esempi di martiri militari uniti nella morte dalla devozione per Dio e dell'uno per l'altro.» Assodato ciò come elemento di base per l'assimilazione etnica, fra i knjaz (sovrani) della Rus di Kiev seppur 279 ormai sfocati nella leggenda sono due che adesso i interessano: Vladimiro il santo e suo figlio Jaroslav il letterato (quest'ultimo aveva un soprannome più popolare: lo zoppo – in russo xromec – a causa di una frattura alla tibia durante la caccia). Con essi infatti nel X-XI sec. si realizza, secondo le CTP, il tentativo di costituire un grande stato unitario slavo-russo. Breve storia di san Vladimiro. Vladimiro è il supposto nipote di due Rus: Igor e Olga che un mitico Oleg nel 893 d.C. coniugò (non oso dire sposò poiché non se ne sa granché). Il gruppetto spodestando i capi locali occupò Kiev che al momento era un posto di osservazione sotto il dominio dei càzari e dei bulgari (entrambi turcofoni) e non aveva un'importanza geopolitica. Occorrerà attendere la metà del X sec. per vedere Olga, vedova di Igor, col figlio Svjatoslav, padre di Vladimiro, recarsi sul Bosforo per stipulare accordi economici con l'imperatore Costantino VII Porfirogenito dichiarandosi sovrana dei kievani. La visita di Olga a Costantinopoli durò a lungo e ebbe un suo successo politico come fra poco dirò, ma risvegliò la misoginia dei cronachisti delle CTP che ne scrissero di tutti i colori su affari e amore. Ed ecco di seguito il testo incriminato: «Anno 955. Partì Olga per Costantinopoli ... e giunse in presenza dell'imperatore. Costui vide che era bella e intelligente e le disse: Saresti degna di governare con me nella mia capitale. Olga, capita l'intenzione dell'imperatore, rispose: Io sono pagana e devo essere 280 battezzata, ma mi devi battezzare tu stesso … [Passa il tempo da catecumena fino alla cresima ed ecco che Costantino le ricorda la promessa:] Ti voglio come moglie [modo di dire voglio far sesso con te]… [Rispose Olga] Come fai a chiedermi ciò, se tu sei il mio padrino di battesimo? Non si può fra cristiani... [e l'imperatore, pur colmandola di regali, le dice da maschio offeso] Mi hai preso in giro Olga.» Insieme con Olga c'erano altre 8 donne, evidentemente sue pari visto l'Imperatore attribuì loro lo stesso titolo di arhontissa (capogruppo), ma di quali città o gruppo etnico non è detto. A Costantinopoli si sapeva che i mercanti arrivavano in udienza a corte in compagnia di belle e giovani ragazze disposte a far sesso quando c'erano in ballo grossi affari. Se tutto andava per il giusto verso, le ragazze riuscivano a entrare da concubine nel giro del cliente straniero e ricevevano dai loro mercantipadrini una ricca dote con tanti ringraziamenti per l'affare concluso. Insomma un vecchio modo di fare che oggi diremmo di escorting applicabile pure a Olga. Non basta! Nel 962 Olga è in procinto di avere una simile disavventura a Kiev stavolta col giovane abate, Adalberto di Weissemburg. Qui addirittura, l'affare andò male e il vescovo fu rimandato a casa, anzi, si tentò di farlo fuori, se non fosse appena uscito dal dominio di Olga. Si tratta infatti di un vescovo che quando le CTP furono scritte era diventato un odiato eretico latino (le CTP furono stese nel periodo in cui infuriava la lotta fra il Bosforo e il Tevere per la supremazia). Il punto però era puramente politico. Un vescovo latino non era solo il capo 281 di una diocesi, ma era equiparato con licenza papale a un principe laico (H. Wolf, 2015) e Olga, probabilmente venutolo a sapere, immaginò che costui l'avrebbe scavalcata come capopopolo dei Rus e, magari, avrebbe chiesto la sua mano. Pertanto, se ne liberò. Queste storie sarebbero vere, se ci fossero dei riscontri certi... che però mancano e anche questa storia risulta inquinata. Le CTP, in quanto scritti edificanti, devono raccontare come la vita pregressa di una donna d'alto rango cambi in meglio col battesimo e proprio in ambito sessuale, dato che essa è fonte di lussuria. È quasi logico che l'amanuense ricorra a due argomenti in aspra contesa nel XI sec.: (1) la facilità con cui le donne dei barbari risolvono ogni questione con gli uomini seducendoli col sesso e (2) l'incesto, nella fattispecie fra padrino e figlioccia, peccato orrendo e ignominioso, ma comune. Lode a Olga che seppe dimostrare come da cristiani tutto cambia, purché non si toccasse l'ordine fissato dal sistema di potere che in ogni caso discende dal creatore? Insomma Olga ha superato elegantemente le prove e può essere santificata! Anzi, col riconoscimento di “capo dei Rus” da parte del Bosforo, cominciano a Kiev le manovre per confermare suo figlio Svjatoslav ancora minore al potere assoluto dei Rus. Anni dopo la morte di quest'ultimo, appare Vladimiro, personaggio che le CTP non esitano a proclamare ravneapostol'nyi e cioè pari agli apostoli per aver finalmente battezzato la Rus di Kiev. Opportunamente nasce da Svjatoslav e da Maluša, ostaggio-schiava (figlia del sovrano dei vicini drevljani) al servizio di Olga da 282 dispensiera (ključnica). Tali credenziali materne lo fanno entrare pur figlio-di-schiava nella compagine dell'élite kievana finché suo padre comanda e rendono il giovane privo di peso politico in confronto coi fratelli più anziani. Dovrà lottare e intrigare per prendere il potere e riuscirà, specialmente in modo cruento, a mettere da parte i tre fratelli, Svjatopolk, Oleg e Sfeng e a sedersi alla fine sul trono. Da questa posizione cerca il consolidamento del potere personale e l'allargamento del dominio e stringe numerose alleanze con i diversi capi locali vicini. Le alleanze si suggellano con i matrimoni e con la cessione di ostaggi, a seconda del grado di dominanza di un alleato sull'altro, e alla fine Vladimiro si circonderà di giovani donne fra cerimonie orgiastiche e sacri bagordi... Nelle CTP ho letto che prima del battesimo: «Vladimiro era sopraffatto dall'attrazione muliebre. Aveva mogli e aveva ragazze-ostaggi … 300 a Višgorod, 300 a Belgorod e 200 a Berjòstovo… e con esse amoreggiava. … era un donnaiolo come Salomone.» Fin qui il quadro è abbastanza normale per un sovrano che sogna di essere potente e ricco e usa la poligamia, la poliginia e il concubinaggio per stringere e mantenere alleanze e sudditanze oltre al piacere fallocratico personale. È pure ammissibile che nel 986 ai bulgari musulmani che volevano convertirlo all'islam si vantasse riferendosi allusivamente con spocchia ai suoi frequenti banchetti con libagioni e copule: «A noi Rus piace bere e non possiamo vivere senza!» La frase nelle CTP sembra venire da un alcolista, ma in realtà essa dice che lui beve solo bevande simili a quelle degli dèi cioè l'idromele 283 (mjod) e perciò, con tale bevanda in corpo, è lecito essere un sovrano e copulare durante un banchetto. C'è da notare che, a parte i numeri irreali e esagerati di mogli e concubine, il giudizio morale cristiano di Titmaro, vescovo monaco cattolico di Merseburgo che gli fa visita è negativo. Lascia detto che la cintura di Vladimiro era una “cintura di Venere”, fatta apposta per mettere in bella evidenza gli attributi sessuali e pronta a slacciarsi ogni momento. La situazione all'epoca di questa visita, ca. 1010, è però ambigua poiché a Kiev al fianco di Vladimiro dovrebbe esserci Anna, la sorella dell'imperatore Basilio II Bulgaroctono ceduta come unica moglie cristianamente legittima alla data del battesimo kievano, ca. 988-990. Le CTP stranamente neppure pongono Anna di fronte a Roghneda di Polozk, la primaria consorte pagana di Vladimiro col figlio Izjaslav. Essa è ancora in vita a Kiev. Né lascia la città per ancora qualche anno perché a quel figlio, Izjaslav, ne seguono almeno altri 5 mentre di Anna con Vladimiro e di una di lei eventuale gravidanza non se ne sa nulla. A parte le incongruenze delle CTP, che sarebbe accaduto se Vladimiro avesse rimandato Roghneda e le concubineostaggio alle rispettive famiglie? Le alleanze si sarebbero sciolte e la Rus di Kiev si sarebbe sfasciata subito! La chiesa la soluzione a questo inconveniente ce l'ha. Basterà che non si parli troppo delle concubine e che Roghneda col figlio che succederà dopo la morte a Vladimiro, sia rimandata alla sua Polozk e rinchiusa in un convento fondato apposta in quel di Minsk dove sarà badessa. Altra 284 storia impastata di leggenda... La vita di Vladimiro che la chiesa russa dipinge prima del battesimo insomma è quella di un sovrano libertino e perciò dedito a eccessi sessuali. In realtà però tace, a mio avviso, su un problema reale. Il nostro sa benissimo che il sistema demografico prevalente, verv e mir con eponimo del rod a sovrano massimo, non gli permette di tenere saldamente insieme delle mini-repubbliche in un unico dominio, pur essendosi accordato con i tanti capifamiglia dei territori limitrofi e pur avendo onorato gli ostaggi ricevuti con il sacro sigillo della copula sacrale. Un'organizzazione che vada casa per casa a sponsorizzare il suo potere invece gli sarebbe utilissima. Così, non appena Cristo bussa alla sua porta, è pronto ad accoglierlo con tutto l'apparato ideologico e burocratico cristiano. Anzi, è ben disposto a far penitenza per i suoi trascorsi fino alla morte (1015 forse per infarto) purché lo trasformino in un amato sovrano modello da venerare. Va da sé che sotto la pressione dell'apparato monacale della nuova chiesa kievana che da lui dipendeva economicamente, la sua vita cambiasse e non v'è dubbio perciò che i primi contatti con l'autorità ecclesiastica gli provocassero sinceri pentimenti e rinunce non appena gli vennero descritte le pene dell'inferno che l'aspettavano se avesse continuato nel suo errore sessuale pagano. Né v'è dubbio che i peccati maggiori imputatigli erano giusto i suoi comportamenti verso le donne e perciò che limitasse e impedisse orgie e bagordi. E ciò avverrà e qualche anno dopo nelle CTP lo vediamo affannato a alleviare le difficoltà dei poveri correndo per le strade di Kiev a 285 distribuire pane e generi di vestiario... Purtroppo le CTP per gli anni fra il 973-980 e il 1000 sono lacunose e le vicende di Vladimiro da pagano in Scandinavia dove certamente pianificò la conquista del sud della Pianura Russa, sono oscure. Malgrado ciò dal nord partì alla conquista di Kiev appoggiato dall'oligarchia novgorodese. Dapprima si dirige verso l'odierno Golfo di Riga dove lungo la Dvinà/Dàugava il suo obiettivo è neutralizzare il gorod di Palteska/Polozk in mano svedese che fa concorrenza a G. Novgorod. Coi suoi armigeri tenta un'alleanza incruenta chiedendo la figlia del signore locale Raghnvald (Rogvolod), Raghnhild (Roghneda) in sposa-ostaggio. Costei lo rifiuta con decisione autonoma, com'è costume svedese. Non c'è più scelta. Roghneda viene copulata in pubblico e suo malgrado si deve accodare agli accoliti del nuovo capo Vladimiro diretto al sud mentre il di lei padre e i due fratelli sono uccisi e Polozk è assoggettata. Il coito in pubblico rientra nei riti sessuali più soliti di un conquistatore e fosse anche un'abituale rito dei Bulgari come turchi Oghuz. Infatti da tale atto il nostro eroe celebra e proclama (1) la decisione di passare dalla fase di condottiero mercenario a sovrano stabile e residente in una capitale (2) la presa in possesso del territorio di Polozk e dintorni e (3) l'assenso della dea Madre Umida Terra rappresentata da Roghneda supina sul nudo suolo a far l'amore nella posizione del missionario con Vladimiro, maschio dominante sopra di lei (russo na koné cioè a cavallo). Tutti gli astanti battono le mani o le armi in segno di giubilo e la conquista è 286 sancita per l'avvenire. Vladimiro in un convito molto castigato (quadro di I. Karazin, XIX sec.) Nel caso di occupazione forzata di una parte di territorio già occupato da altri, si sarebbe invece usato il ratto della donna consorte del signore vinto e ucciso (e altre donne in più per il resto dell'armata) in maniera analoga al famoso Ratto delle Sabine per la città di Roma. Questo rito era detto umykanie in uso presso gli slavi Dregoviči, Drevljani, Severiani e Kriviči. A Kiev Vladimiro elimina due dei fratellastri, Jaropolk e Oleg, non potendosi occupare del terzo, Sfeng, che è al momento sulla foce del Don a Tmutorokan (TamatarkaPanticapea) irraggiungibile padrone di quel campo. A Roghneda affianca una seconda moglie, quella di Jaropolk, incinta, sperando che il nascituro sia maschio per nominarlo chissà suo successore. Stavolta Vladimiro 287 ricorrerebbe al levirato classico perché sposa la vedova del fratello, costume, questo, condannato dal cristianesimo come peccato di incesto, ma perdonato se ci si “risposa” secondo il rito cristiano e qui le CTP non confermano l'evento con chiarezza. Quanto al nascituro basterà copulare per conferma con la predetta vedova e tutto sarà legittimo. Fondamentale è ora assicurarsi la sussistenza della capitale Kiev perché la popolazione è prevista aumentare a breve. L'agricoltura non è possibile a nordovest di Kiev per la presenza delle paludi del fiume Pripjat (le più grandi forse del mondo) e si deve perciò guardare a sud. Siamo nell'area delle fertilissime Terre Nere dove però mancano i villaggi e i contadini. Che fare? Si favorirà l'immigrazione di Mordvini e di Udmurti e si dovranno convincere i turcofoni della steppa ucraina ad abbandonare il nomadismo e passare con Kiev da contadini. La difesa del territorio è garantita poiché si sta già procedendo a tale scopo alla fondazione di una serie di villaggi e città-fortezze lungo il famoso Vallo Serpentino eretto contro le minacce della steppa. Queste circostanze significano che dal nordest e dalla steppa giungono nuovi costumi e nuovi atteggiamenti culturali fra gli slavi presenti nella regione kievana finora sotto l'influenza dell'islam e dei càzari ebrei, etnie dominanti insieme con i Magiari nella città e nei dintorni. Non appena il cristianesimo diventerà maggiormente attivo, avverrà ciò che tecnicamente è il sincretismo che nella definizione classica di I. Eibl-Eibesfeldt (2004) è più o meno la convergenza di elementi ideologici già 288 inconciliabili, attuata in vista di esigenze pratiche di carattere culturale, filosofico o religioso, appartenenti a due o più culture o dottrine diverse. Insomma l'operazione ideologica condotta dagli ecclesiastici cristiani fra i “barbari” per amalgamare queste persone fu la solita predicazione che presentò la dottrina cristiana come diversa, migliore e santa. Non si gettavano via del tutto gli dèi pagani e le credenze affinché per precauzione si potessero invocare con i riti tradizionali. Gli dèi cambiavano solo di nome e li si travestiva da santi cristiani con riti aggiuntivi detti più efficaci. Per stabilizzare il potere, era questa un'accortezza fondamentale, in special modo perché occorreva imporre a gente lontana da Kiev l'idea di vivere in un dominio di un sovrano che non avrebbero mai visto, ma che avrebbero dovuto immaginare accetto ai loro dèi pagani e quindi obbedire e venerare. Nella stessa nordica Ladoga è stato possibile negli scavi di qualche decina di anni fa datare ancora al X-XI sec. un santuario dedicato alla Gran Madre con una statua di legno (in figura) il cui stile non si discosta da quello delle babki zolotye con tutta la serie di ossa di animali ad essa sacrificati. Benché Vladimiro sembrasse collaborare con la politica sincretistica dei prelati cristiani di Costantinopoli al posto di una netta intolleranza a lui più consona, l'incertezza e l'insicurezza nelle nuove terre colonizzate nel Basso Dnepr non si dissipò. Il timore che la protezione armata del neo-battezzato sovrano per il personale ecclesiastico fosse insufficiente era reale. Il 289 primo scaglione di prelati e preti al seguito destinati a Kiev, temendo non solo Vladimiro e la sua fama di sanguinario, ma anche i nomadi; restarono a Perejaslavldel-sud in trepida attesa. statuetta di legno “portatile” degli scavi di Ladoga da una cartolina museale Solo quando parte del Vallo Serpentino fu portata a termine e quando ci fu una chiesa di pietra e un alloggio sicuro e inespugnabile i preti si insediarono a Kiev e l'avvertirono che non c'era più tempo per espiare le sue gravi colpe del passato poiché il creatore adirato l'avrebbe fatto morire da un momento all'altro con la minaccia di finire nell'inferno di fuoco cristiano. In breve doveva essere disposto a fare qualsiasi 290 sacrificio che la chiesa gli avesse indicato. I prelati del Bosforo sfruttarono quelle minacce per consolidare le loro posizioni poiché temevano una cattiva sorte per loro stessi da parte dei selvaggi varjaghi, se non fossero riusciti nell'intento di portarli nella cristianità. A prova di tali intrighi ci sono certi episodi raccontati nella sua Vita dove Vladimiro viene indotto agli atti più pazzi. Così invece di condannare al taglio della testa o alla mutilazione i briganti che battevano e uccidevano lungo i fiumi, una volta catturati li giudicava sommariamente per lasciarli tosto liberi di ritornare ai loro villaggi dopo un dichiarato religioso pentimento e un bel battesimo. Alla critica del vescovo per lo strano agire, il nostro si scusò rispondendo che da cristiano provava orrore a dover uccidere o mutilare un proprio simile. Vladimiro, i suoi e la sua legislazione. Per la chiesa le pene capitali e le torture erano consentite per certi reati e gli si spiegò che non toccava a lui apprezzarle o rifiutarle, ma soltanto eseguirle: Dio guida il giudice che esprimerà un giudizio in seguito a un'indagine sul reato secondo il diritto canonico e il tribunale ecclesiastico comminerà la pena giusta… Il punto da non trascurare era l'aspetto economico dei processi che andavano spesati e le multe erano da spartire fra chiesa e knjaz come era fissato nell'accordo fra la novella chiesa russa e Vladimiro. E a proposito di giudici e giudizi, un particolare tipo di delitto interessa qui più di altri: le violenze sessuali sulla 291 popolazione femminile da parte degli armigeri della družina di Vladimiro (forse più di 800 varjaghi) finora fuori controllo in una vita cittadina che adesso si vorrebbe più tranquilla e più ordinata. Le soperchierie commesse a G. Novgorod da costoro avevano fatto grande scalpore nelle CTP quando Vladimiro si trovava da quelle parti e perciò la tradizionale sessuofobia cristiana partorì un abbozzo giuridico non tanto incisivo o Ustav da usare contro quel genere di delitti, peraltro non ben identificati, e con ciò la questione fu conclusa. Soltanto nel XI sec. sotto il figlio e successore Jaroslav si concretizza e si perfeziona la Pravda Russkaja in un corpus di leggi da usare nel sistema giudiziario di tribunali gestiti dai monaci in cui alla sessualità è dedicata speciale attenzione. Per le origini e le frequentazioni di Jaroslav: madre e padre varjaghi, moglie pure svedese; è logico che la Pravda risulti “inquinata” di elementi “germanici”. La base antico-slava e genericamente quella germanica, aborrono dalle torture e dalle mutilazioni o dalle esecuzioni cruente comuni nei giudizi dei tribunali cristiani. La pena più pesante per un membro della verv è il bando che cacciando fuori dal mir rende il reo izgoi cioè un morto civile. Se vuol continuare a vivere deve fuggire dal luogo del suo misfatto quanto più lontano possibile. Dovrà potersi trovare insomma un nuovo rod, se riesce a essere accolto in un altro mir. Non solo, con le evitazioni sessuali è escluso dall'avere una propria discendenza nel vecchio rod e diventa davvero un nuovo Caino segnato affinché gli altri non lo uccidano! La chiesa russa nel seguito della sua storia si occuperà 292 dei vaganti maschi (kalekì proxozie) alla ricerca di un ricettacolo. Aprirà loro le porte dei conventi e a volte, benché non di frequente, li dirà pazzi di dio e li lascerà vivere d'elemosina presso i templi cristiani. Dunque niente pene mutilanti o decapitazioni, ma multe da pagare in lavoro gratuito forzato per il knjaz e una quota parte prevista per la chiesa. Per di più si continuerà a amministrare la giustizia usando la tradizione. Nel caso che il giudizio o composizione avvenga nel mir non è detto conclusivo poiché occorrerà sempre rispettare i canoni cristiani e recarsi nelle città per il terzo giudice. La società cittadina indirettamente descritta nel codice distingue in maniera netta l'uomo libero dallo schiavo, il membro della družina dagli altri notabili locali e persino la donna libera dalla figlia-damaritare sebbene sempre sotto l'autorità paterna. Aleggia ovunque la misoginia cristiana che considera l'essere femminile un'incarnazione del demonio e perciò priva di raziocinio: i giudizi con interrogatori sono descritti quasi sempre nel caso di imputati maschi. La donna invece deve solo ascoltare le testimonianze e tacere... Dalla Pravda Russkaja si evince che le offese contro il genere femminile erano numerose e tutte spregevoli e le cause da cui le offese scaturivano descritte in maniera ben dettagliata e logicamente insite nella immaginaria natura del sesso femminile, voglioso e eccessivo. I delitti maggiori? L'umykanie e la copula violenta nel senso da far male fisicamente e non a causa di un rifiuto. In ultimo ho notato come delitto il matrimonio celebrato senza il reciproco sì! dei nubendi. Al contrario non si 293 prevedono pene da comminare in casi dell'adescamento o della nudità in pubblico né si nominano le feste orgiastiche solo che dovrebbero essere scomparse in teoria. Quanto allo stupro sopra detto occorre confessare che sussiste così come lo si descrive oggi, anche perché è conseguenza dell'educazione sessuale imposta dal cristianesimo. Se la copula fosse un semplice piacevole momento per passare il tempo, ecco che la richiesta di coito da parte femminile o maschile o omosessuale o altro non richiederebbe sopraffazione né alcun attaccamento amoroso o possesso-schiavitù per il futuro. Ho dedotto da vari elementi nella letteratura consultata che questa è in genere la situazione comportamentale del paganesimo dove il concetto stesso di stupro semplicemente non c'è. A mo' d'esempio riporto qui il primo articolo della Pravda Russkaja che introduce il quadro concettuale in cui il giudice si dovrebbe muovere adeguandosi ai costumi locali. Jaroslav sui comportamenti sessuali ricorre all'espediente più semplice che gli permette di evitare interventi inopportuni nei costumi della realtà a lui soggetta multietnica e pagana e lascia il tutto al savoirfaire del locale personale giudicante cristiano, mentre lui presiederà da semplice presidente uditore. Ciò è dichiarato quasi apertamente nel codice in un preambolo: «Ecco, io Velikii Knjaz [principe più anziano] … dopo essermi consultato col Metropolita di Kiev e di tutta la Rus, Ilarione, [riconosco che] non ho giurisdizione sui casi di divorzio…» che, però e già lo si sa, era superfluo in un mondo poligamo o poliginico in cui una coppia eterna non era neppure immaginabile. 294 Parimenti troviamo contemplati i casi di rapimento della donna, il già accennato umykanie, sia se seguiti da successivo matrimonio sia per semplice divertimento sessuale, facendo distinzione fra figlie o mogli di notabili e donne di rango inferiore. Si menzionano ripudi arbitrari distinguendo le donne nel loro ruolo di simboli-pegni di alleanza fra i rod, si trasformano i riti orgiastici in stupri violenti collettivi e si vieta l'adulterio seppure con blandizie lasciando il giudizio finale al Metropolita che giudicherà e rinvierà il “reo” al knjaz per l'adeguata punizione, destinando la donna in convento ove sia necessario. È prevista e logicamente proibita la copula fra novizie e visitatori di conventi. Chi volesse rinunciare ai voti e volesse tornare al secolo per essere di nuovo libera nel fare sesso, la multa da pagare al vescovo è veramente enorme: 40 grivne … pari a quella da pagare per aver ucciso un personaggio di alto rango! Infine il detto codice oltre a menzionare che: «Se una giovane pur non essendo ancora andata in sposa oppure è vedova e copula o è ingravidata [N.B. non si intenda nel senso moderno di fecondata] dal proprio padre … sia rinchiusa in convento [!].» segue una lunga lista dei diversi casi che la chiesa giudica peccati di incesto. Chiudo qui sull'ossessione incesto nel cristianesimo medievale citando la Bibbia, la Genesi, che spiega bene come a volte la copula fra padre e figlia costretti da circostanze fosse ammessa senza condanne. Lo leggiamo al cap. 19, vers. 30-38 dove le due figlie di Lot, dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra, affinché la loro stirpe non si estinguesse ubriacano il genitore e copulano con 295 lui. Hanno ciascuna un figlio e diventano le madricapostipiti rispettivamente dei Moabiti e degli Ammoniti. Quasi con disprezzo è ricordato e condannato il rito pagano nelle steppe di suggellare una promessa di matrimonio tagliando un pezzo di formaggio e offrendolo da mangiare alla sposa futura... perché abbasserebbe il potere maschile nella coppia. In realtà si riconosce un mondo ove la nudità è frequentissima e non è un modo di attrarre un uomo per innamorarlo di una donna. Il rito pertanto è il simbolo che consacra una commensalità fra due partner che rappresenta un segno di fiducia reciproca indispensabile. A tutt'oggi il matrimonio nella Pianura Russa lo si celebra e lo si suggella col pane e col sale. Le cause di divorzio (meglio: ripudio) ammesse dalla chiesa e incluse nel detto codice sono: 1. Partecipare a congiure contro il knjaz da parte di uno dei coniugi, pur con le dovute esitazioni che si possono constatare nel processo intentato ai congiurati che avevano soppresso il knjaz Andrea Bogoljubskii nel 1174 nel feudo poi moscovita 2. Adulterio occasionale della moglie (l'adulterio dell'uomo è ignorato eccetto che l'adultero abbia dei figli da considerare adulterini) in casa da lei 3. Attentato della moglie alla vita del marito con veleno, sicari etc. 4. Eccessiva libertà di una moglie nel divertirsi con altri in assenza del marito, compresa la partecipazione alle feste pagane 5. Aiutare dei malfattori ad agire contro il proprio marito. 296 In un articolo della Pravda è ammesso persino il diritto di battere la propria moglie, se il marito la sorprende a rubargli qualcosa! Al contrario, se fosse la moglie a battere il marito o se il marito battesse una moglie non sua, la multa per lei è raddoppiata (3 grivne nel caso precedente) perché è sua la colpa in ogni caso e quindi la punizione. Né si deve mai dimenticare che l'adulterio come reato fra i pagani di nordest (scandinavi, slavi, ugro-finni etc.) non era comprensibile perché alla fin fine lo sperma era solo un dono nutritizio per un feto già insediato e, al limite avrebbe comportato, se la futura madre l'avesse serbato dentro di sé, l'accettazione della paternità del nascituro. Né v'era alcunché di illecito in ciò. fustigazione in pubblico di un'adultera sorpresa in casa E se capitasse che un figlio alzasse le mani sui suoi genitori? La punizione è di far penitenza in un convento. C'è una berjòsta (N° 415 del Cat. Bibl. di G. Novgorod) 297 dove leggiamo a questo proposito: Saluti da Fevronija a Felice e con tante lacrime. Il mio figliastro me le ha date di santa ragione e poi mi ha cacciato dalla casa di campagna. Mi raccomandi di andare in città? O vieni tu stesso qui? Sono davvero in fin di vita! E chissà come andò a finire... A parte ciò, rammentando che i preti ortodossi sono ammogliati, le multe per loro non variano, ma vi si aggiunge una penitenza fisica extra nella misura decisa dal loro vescovo. Curiosamente al prete e alla moglie si perdona l'ubriachezza... salvo che durante la Quaresima! Bere del sacro liquido usato per la messa, il vino, da parte della consorte del parroco poteva essere interpretato come un eccesso di zelo giacché lei ne controllava la qualità, secondo i doveri ascrittile di gestire i cibi. Il vino poi dava allegria e se preparava alla santità ciò che toccava un marito, perché non doveva avere lo stesso effetto sulla moglie al di fuori della messa? In realtà non si può negare che costei potesse indulgere nel berne perché importato dal sud ha ottimo nel sapore ed è a portata di mano persino da offrire alle amiche, quando si è stufe della solita birra (braga o kvas). Naturalmente questa non è solo una ludica aggiunta.... 298 Capitolo decimo Paganesimo vs. cristianesimo Secondo il racconto biblico assorbito nella dottrina cristiana, Eva fu creata per far coppia con Adamo e accompagnare nella vita i loro discendenti. Con le conoscenze che ci sono oggi sul funzionamento della copula umana, presumibilmente non solo Adamo è un padre degli uomini, ma anche Caino lo è in regime di incesto con Eva e successivamente i fratelli e le sorelle nelle tornate riproduttive seguenti come è facile dedurre nella lunghissima vita dei personaggi coinvolti per chi crede al favoloso racconto biblico, peraltro con traduzioni incerte dalle lingue antiche in cui fu scritto. Se però si riflette che si ignorava come avvenisse la fecondazione dell'ovulo femminile – ripeto: totalmente sconosciuto – con lo sperma maschile, i figli erano giustamente creduti doni di dio. L'incomprensibile è l'obbligo futuro che scaturisce dalle Sacre Scritture di non imitare il modello della coppia originaria per quanto concerne il coito appena inventato nell'Eden (ne ho già parlato lezioni fa). Non solo! Il creatore non aveva nemmeno accennato al 299 piacere fisico che si poteva godere nella copula né aveva obbiettato, se essa si mutasse in un'attività che servisse esclusivamente a chetare i bollenti spiriti del maschio o le voglie smodate della femmina, come si diceva e si dice nelle comunità maschiliste cristiane. I pensatori ebrei al contrario ironizzano e si augurano sull'intera questione che il maschio senza troppe chiacchiere sentisse dentro di sé un sentimento d'amore (stima? rispetto?) nell'accingersi al coito con un'altra persona, ma sapesse che con la consorte non era altro che uno sforzo di accomodamento onde attraversare le vicissitudini della vita in due senza troppi attriti! Non c'era posto per amori complicati, si avvertiva sornioni, giacché il maschio e la femmina dovevano cercare di aumentare il numero di esseri umani e la vita era breve per entrambi. Inoltre la facoltà fisica di generare era stata data alla femmina in esclusiva, al maschio toccava l'alto e difficile incarico di difenderla e nutrirla e guidarla affinché si prendesse cura dei figli educandoli al rispetto dei comandamenti di Mosé. Con pignoleria il Midrash ammette che: «...nessun essere umano può essere concepito [il verbo in ebraico è uguale a immaginato, riconosciuto] da un uomo senza donna o da una donna senza uomo né dai due senza la presenza del creatore.» In conclusione la donna nella Pianura Russa per i cristiani è in combutta col demonio e per i pagani in connubio col dio della luna, ma resta l'unica macchina per produrre neonati, mentre nessuna facoltà le è concessa di educare la prole al ruolo assegnato nella verv: Eva generatrice e nutrice, ma non educatrice... 300 Il compito primario umano di porre solide fondamenta alle antichissime tradizioni nel dare corporeità alla volontà imposta dagli dèi del cielo, esisteva soltanto con lei da unica mediatrice. Secondo la mitologia slavo-russa dominante la donna conosceva i grumetti/ciottoli di materia magica (grudy) che il dio slavo minore Rod abitante a metà strada fra firmamento e terra lasciava cadere qui e là nella foresta. Lei ne raccoglieva qualcuno e lo infilava nella vagina e di lì scaturiva la gravidanza, se tutto andava per il verso giusto. L'uomo al contrario era quasi tutto il tempo fuori di casa per le varie attività produttive e per la difesa armata della dispensa, ma non per procreare, amministrare o educare i minori. Era il collettivo delle donne a gestire questi aspetti dell'economia domestica, basilare per ottemperare al compito dell'istruzione della prole fino alla pubertà in lingua, sessualità, obbedienza agli anziani e qualche altro obbligo minore che rendeva i bimbi adulti. Propagandare un'impostazione dove il ruolo di donna educatrice toccasse alla chiesa e ai suoi ministri rappresentanti del dio creatore, fu un madornale errore ideologico poiché nella realtà pagana significava svilire la sua sacralità di madre e di dominante amministratrice in lega con le altre donne nella verv. In breve quando il cristianesimo si instaurò stabilmente in quel lontano X sec. e in quel Nordest in realtà la chiesa russa ortodossa con la sua monotona propaganda misoginica non aveva ancora messo bene a punto una strategia educativa per pretendere di riformare o di rimpiazzare il ruolo femminile. Il battesimo per le donne 301 che orbitavano intorno alle città è vero che un po' alla volta e poi sempre più rapidamente diventa popolare fra le adulte, ma ci furono numerose esitazioni per la cerimonia del miro o conferma che seguiva tempo dopo. Le donne defezionavano e mostrarsi cristiane finì per essere una maschera da indossare all'esterno del dom così come farsi il segno della croce incontrando e salutando così il prete al mercato o il monaco per strada. Gli anziani del mir avevano aggregato il nuovo dio cristiano coi suoi santi agli altri dèi, senza però che nessuna delle divinità pagane perdesse di potenza cosmica e di popolarità. Ogni divinità continuava ad essere invocata per la sua specificità allorché ce ne fosse stato il bisogno o sbeffeggiata, come racconta IbnFadhlan, quando essa non rispondeva ai riti soliti. Da cristiani magari sarebbe stato il segno della croce a rafforzare la richiesta. Non so per certo quali fossero i pensieri che passavano per la mente degli anziani e delle donne della verv, ma credo che timorosi di passare per vecchi zotici e ignoranti, tutto ciò fosse il succo di cui si nutrivano vivendo la doppia fede o dvoeverie della storiografia classica. Ad esempio non piaceva ai vescovi che le solennità delle grandi feste di popolo finissero di nascosto nel fitto della foresta in sfrenatezze e alla fine l'ultima soluzione fu di conservare le festività pagane tali e quali, mettendovi a garanzia della “non-paganità”, un santo qualsiasi (se non la vergine Maria) che le presiedesse e un prete a benedire prima di inaugurare. In verità l'esaltato monoteismo con i numerosi santi protettori introdotti dalla chiesa per ogni 302 giorno dell'anno, è un evidente politeismo ed era logico che i contadini ad ogni santo attribuissero il governo specifico di una forza della natura da loro conosciuta con altro nome divino e che pertanto vi si rivolgessero con i riti pagani appropriati che gli antenati avevano prescritto invece che rivolgersi al prete. Sia chiaro che la rivoluzione che il cristianesimo proclamava di voler imporre nel mir trovò un terreno estremamente sdrucciolevole e ci volle parecchio tempo perché si realizzasse un modus vivendi che assecondasse i canoni cristiani e nel contempo non offendesse la tradizione. D'altronde fu un modo di fare comune in tutta l'Europa e non vedo perché nella Pianura Russa potesse essere altrimenti. La dea dell'amore. Non si possono seguire, per intenderci nel Medioevo Russo, gli schemi della mitologia classica greco-romana per la sessualità e individuare un dio o una dea dell'amore assimilabile a Venere o a Afrodite o agli dèi del piacere come Priapo o Pan e in più raccontare di eroi dalla straordinaria potenza maschile tipo Eracle/Ercole. Anzi, è bene dire che una “teologia” del tipo grecoromano non esisteva e per quanto riguarda il sesso l'antica parola russa per amore, ljubov, è praticamente assente. Non basta a descrivere i legami di coppia eterosessuale così come non esiste vljubljònnost, parola russa per innamoramento, che apparve nel '800 nella lingua di corte a detta di N. Karamzin (1766-1826), 303 storico classico dell'impero russo. Nelle CTP nel cosiddetto Olimpo vladimiriano l'unica divinità femminile menzionata è Mokoša, la quale, non tenendo conto delle innumerevoli e riconosciute sue funzioni, si può in effetti identificare nella dea dell'amore pagano associandola con la Gran Madre Terra. Il suo nome ha una vaga assonanza ugro-finnica, ma ciò dice pochissimo sul suo culto che, a parte i riscontri fra le varie etnie della Pianura Russa, doveva essere comunque ben radicato e diffuso. La chiesa russa fu costretta a identificarla con la popolare santa Parasceva (in russo Praskovija) o la Santa del Venerdì nata in quel giorno della settimana a Roma nel II sec. d.C. per annunciare la preparazione (in greco paraskeve) al trionfo del creatore. E che dire se la Madre Umida Terra, la vergine Maria e madre di dio, Prascovia e Mokoša sono tutte divinità collegate all'acqua e alle sorgenti dispensatrici di benessere materiale di cui la Pianura Russa è dotata in maniera esagerata? I pozzi, le sorgenti diventeranno altrettante cappelle e saranno frequentate per le qualità curatrici soltanto da donne. Il tempio di Mokoša però resta la casa contadina dove, benché col battesimo troneggi l'icona cristiana nell'angolo opposto alla stufa (pečka), la dea pagana non s'è mai mossa da dove risiede invisibile cioè dalla trave traversa portante del tetto, in russo matìca cioè mammina. Di là essa irradia la sua protezione sulla famiglia, attenta affinché la vita della verv si svolga secondo le regole antiche. Interessante è l'annotazione di B.N. Putilov (2000) che associa Mokoša col verbo lituano makstyti 304 ovvero intrecciare, cucire mettendo in evidenza una funzione prettamente femminile nel Medioevo ovunque in Europa ossia l'industria casalinga del vestire. Mokoša, dea dell'amore, presiede però anche al parto. La futura gestante, una volta scelto il padre fra i partners da lei preferiti, avrebbe pregato Mokoša in segreto affinché l'assistesse durante lo sviluppo del feto nel proprio utero. Nelle eventuali copule sarebbe toccato al “latte” del maschio, lo sperma, rilasciato durante la penetrazione vaginale a cominciare a nutrire il feto che la donna cresceva nel suo grembo, come ho più volte scritto. Devo confessare che ho esitato nella ricerca se attribuire quest'ultima idea della funzione spermatica ai pagani del nordest in generale, giacché ne circolava pure un'altra e cioè che lo sperma rappresentasse l'intenzione autonoma del maschio, trasmessa in segreto al suo liquido magico, di far generare in una donna da lui prescelta un bimbo a lui somigliante… sempre che gli dèi mandassero il feto giusto! Questo lo si dimostrava nei giochi amorosi – si diceva – allorché il partner evitava ogni inutile erotismo che permetteva che l'eiaculato andasse a finire in altre cavità della partner se non nell'utero. In altri termini non più fellatio, cunnilingus e penetrazione anale o altre tecniche! Lo sperma maschile andava accolto dalla donna e, secondo le credenze dell'epoca, con l'orgasmo lo avrebbe risucchiato dentro di sé. Per di più si credeva che l'orgasmo, maschile stavolta e non quello femminile, fosse il segnale atteso dal maschio occupato nella ierogamìa dei riti di fertilità onde interrompere la penetrazione vaginale prescritta ed eiaculare sulla nuda 305 terra assicurando che la Gran Madre Terra se ne servisse per il bene dell'ecosistema abitato dalla comunità umana. Insomma queste spiegazioni che noi oggi sappiamo essere scientificamente infondate, nelle fiabe popolari europee e in quelle del nordest si coglie che se il neonato non fosse stato maschio, la donna ne avrebbe ricevuto l'intero biasimo per aver manipolato il feto ingannando l'aspirante padre. È un modo di vedere paleo-scientifico deducibile dall'archeolinguistica che può essere apparso addirittura nel 9000 a.C. (durò tenacemente fino a ca. 1850) ossia alla probabile data in cui il matriarcato subì il tracollo con l'invasione indoeuropea (C. Quiles 2019). C'è un posto dove la copula si realizza appieno secondo le aspettative tradizionali? Sì. Nei luoghi che Mokoša frequenta di più come è appunto la casa. E il parto? Nella banja dove la partoriente sarà assistita dalle donne e dalle servette invisibili di Mokoša, le ròžanicy. La dea dirige l'intera operazione a partire dall'annuncio dell'inizio del travaglio. Per questo era chiamata anche Porà cioè colei che fissa il momento... del parto. Dopodiché il neonato/a è trasferito/a di lì in casa e depositato al momento nella culla appesa alla matìca perché goda di un destino (dolja) fortunato. Se il destino risulta disgraziato o nedolja si dirà che le Sagge Donne di casa non sono state attente oppure, apriti cielo, qualcuna di loro ha fatto un incantesimo e allora sì che son guai. Di fatto la vita umana era un gomitolo di filo che scorreva fra le dita delle tre Rožanicy partendo dal bandolo di partenza fino al bandolo della fine. Di qui era la stessa Mokoša che accompagnava l'individuo nel 306 mondo dei morti a ricongiungersi con gli antenati, salvo che costui/costei non avesse infranto gravemente le regole. In tal caso Mokoša lasciava che il cadavere continuasse a vivere senza pace vagando sotto forma di vampiro (upir o vurdalak/volkadlak in russo) che non avendo più un corpo, da essere immondo doveva nutrirsi per vivere suggendo sangue umano. Mokoša in una bella allegoria di Valerii Makarov (My-Slavjane! v. bibl.) Mokoša in tempi remoti aveva insegnato alla donna in maniera riservata durante il matriarcato l'arte della sartoria a cominciare dalla coltivazione delle piante tessili e passando attraverso la filatura delle fibre ottenute e fino 307 al telaio dove si tesseva, dopo la pettinatura. Era sempre la donna a cucire, ricamare e intrecciare e a proporre modelli per le vesti. La sua abilità era raccolta nella conocchia (prjalka) considerato uno strumento magico capace di sopraffare qualsiasi maschio ardito che avesse osato disturbare una filatrice o una tessitrice al lavoro. Puntandogli contro la conocchia, una donna riusciva persino a castrarlo (M. Dashu 2018)! In breve l'unica fornitrice di vestiti della verv è impegnata a seguire le direttive di Mokoša anche perché ricordo che il vestito è un oggetto importantissimo dal punto di vista sociale. Non ci si copre nel freddo, ma si indossa una veste in modo che da essa si riconosca a vista il rango della persona e la quantità di rispetto ad essa dovuta... come sapeva bene il nostro Dante Alighieri. Nel mondo slavo-russo la dea protegge quelle attività prettamente femminili e prescrive che filare e tessere s'interrompano il venerdì in suo onore per essere riprese il giorno dopo. Né si può lavorare con filo e telaio di notte poiché sarebbe uno sgarbo alla dea e lei renderebbe i fili pieni di nodi, ingarbugliati e i tessuti inutilizzabili. Eppure si apprezza ancor di più questa produzione artigianale femminile perché è capace non solo di abbellire e esaltare gli uomini e le donne nei vestiti, ma anche di addobbare i luoghi con sfarzo e colori come l'uso cristiano spesso ne richiedeva nelle sue chiese. Il bagaglio di usi e riti pagani alla base di una produzione artigianale così importante non mi risulta peraltro cancellato o distrutto del tutto dal cristianesimo che accettò la solidità delle pratiche contadine per la sartoria e il ricamo, salvo 308 che nei simbolismi pagani. Molto più tardi (XVI sec.) la tessitura divenne un artigianato accessibile a chiunque e fu ammessa fra i monaci, almeno per usi interni al convento e senza abbellimenti o ricami e in questo caso Mokoša di sicuro la si sostituì con Santi artigiani. Vasljanica, un capo d'abbigliamento prodotto dai monaci per i monaci Accenno qui che fra i nomadi delle steppe, a parte il cotone e la seta che si scambiava coi mercanti della Via della Seta, il materiale per vestire era in prevalenza la lana e il feltro oltre che le pelli conciate e, fatto notevole, la produzione comunque restava in mano alle donne con la magica conocchia. Non solo, ricorderò ancora una volta che donna delle steppe era sopratutto una cavallerizza che montava a cavallo a cavalcioni come i maschi senza 309 un'adeguata protezione, i gambali di morbido cuoio, del proprio pube e del proprio perineo che addirittura radeva. Addirittura l'imperatore bulgaro del Danubio Boris I battezzato Michele era incerto se dovesse proibire alle bulgare di indossare i pantaloni e tirar d'arco ancora nel X sec. giacché la questione aleggiò come costume pagano non ancora sparito. Io leggo in questo episodio però una vittoria della misoginia cristiana sulla parità umo-donna vigente nell'universo delle steppe turcofone. Il vestito tuttavia è destinato a diventare un articolo di seduzione femminile man mano che s'allunga per la pudicizia inventata dai cristiani che reprime la nudità muliebre mai imposta prima nella Pianura Russa. La pudica nudità. A parte alcune solennità collegate con l'amor pagano e con Mokoša conservatesi fino ad oggi, l'introduzione di nuove categorie riguardo all'aspetto fisico nudo o vestito di donne e di uomini il cristianesimo aggiunse negli usi un fastidioso senso della vergogna. Si ricorse a una rigida educazione che tendesse a un pudore istituzionale dove l'esibizione del corpo nudo o il coito in pubblico (pornografia) diventavano peccati sessuali talmente gravi da dover espiare poi con flessioni e digiuni numerosi, se non in alcuni frangenti con la morte. La nudità – delle donne nella stragrande maggioranza dei casi – fu classificata più o meno indecente in base alla misura di spazio di pelle esposta e negativamente aborrita dal clero cristiano. Di qui sai e camicioni sino 310 alle caviglie di diaconi e diaconesse... Non solo! La bellezza muliebre in primo luogo affinché si combini bene con la giovinezza che naturalmente va dall'età di 15 ai 40 anni e per il maschio anche oltre, nella pubblicità moderna con varie operazioni cosmetiche viene esaltata, corretta e rifatta purché non offenda i termini molto incerti della pubblica decenza... un lavoraccio! In altre parole il periodo in cui la società considerava i propri membri giovani o vecchi è molto cambiato a causa dell'allungamento della vita attiva. Dalle ricerche archeologiche e demografiche fatte in necropoli medievali in ambiente culturale germanico, il neonato per il 65-70 % raggiungeva i 14 anni. Nei tempi andati si era “maschi” adulti a 9-10 anni e di conseguenza in grado di far da capofamiglia con cognizione di causa. Era diffuso il concetto giuridico che l'essere umano maschio “nascesse nella vita pratica giusto alla pubertà” e che prima di quell'età fosse qualcosa di vivo benché privo di valore sociale. Mancava dunque l'età che chiamiamo adolescenza e che prevede l'adulto a 18 anni come ho già accennato in altri passi precedenti. Per le femmine non era tanto diverso giacché il menarca appariva a 11-13 anni. Che cosa suggeriscono questi dati genericamente applicati all'ambiente multietnico del nordest? Che nel confronto del presente col Medioevo quando la durata media della vita era 35-40 anni con un'alimentazione incompleta e precaria e una medicina praticamente inesistente, in Europa esisteva nel passato la peculiarità che era rarissimo incontrare la bruttezza fisica 311 dell'invecchiamento! E di qui una certa indifferenza rispetto alla nudità e pertanto la massima libertà e frequenza delle manipolazioni corporee reciproche fra persone che suscitassero piacere senza un coito completo. Gran Madre Terra in un ricamo museale di tradizione bielorussa È evidente malgrado tutto che chi dei maschi superasse la soglia dei 40 anni aveva perso ormai ogni probabilità di arrivare ai vertici del potere perché vecchio e fuori dal giro! Non era però la stessa cosa nel Caucaso dove gli Abkhazi hanno ancora oggi fama di longevità. Per questa gente i maschi dovevano curarsi di sesso intenso solo in età oltre la pubertà e sarebbero rimasti attivi ben oltre i 70. Per le donne per converso passati i 40 anni e dunque vicine alla menopausa, se continuavano a vivere acquisivano una posizione di saggezza, qualità preclusa ai 312 maschi e da questi pertanto ritenuta inutile da conseguire con l'esperimento o lo studio. Non solo! Non prevedendo più gravidanze, dai racconti popolari si evince che le donne slave (!) in questi momenti della loro vita si sfrenassero sessualmente e non facessero troppa differenza di sesso fra i partners. Dai resoconti dei mercanti che compravano schiavi nella Pianura Russa, l'offerta “slava” era altamente apprezzata per la “qualità del prodotto” poiché implicava pochissimi scarti nella scelta finale della compravendita e i ricavi invece restavano altissimi. Il mercante stesso tuttavia giudicava il prodotto umano non tanto basandosi sulla bellezza data per scontata dalla giovanissima età quanto sullo stato di salute e sulle eventuali deformità nascoste. Prova ne sia che SLAVO e SCHIAVO nelle lingue europee, dal VIII sec. in poi, malgrado le minime differenze grafiche o di pronuncia, indicava non più un'ipotetica appartenenza etnica, ma un “marchio di qualità” di servitori e di ancelle dalle piacevoli attrattive fisiche e, perché no?, di ottima resa di godimento negli amplessi. Si tenga presente che in quei lontani tempi pochissime donne avevano la possibilità di contemplare il proprio viso e perciò fare il maquillage più idoneo ricorrendo a specialisti cosmetici costava moltissimo... Gli specchi? I pochi che circolavano fra i più abbienti erano di ottone lucidato e comunque malvisti dal punto di vista pagano perché “osavano” riflettere la luce del sole o della luna. I profumi? Intoccabili per i costi. Non voglio dire con ciò che nel mir non esistessero degli standard specifici per l'avvenenza fisica femminile, ma solo che non avevano il 313 gran peso di oggi. Prima però di giungere a una qualsiasi conclusione, osserviamo la statuetta trovata nei monumenti megalitici di Malta, con 4000-5000 anni di età, di una cosiddetta Venere di pietra. In questo reperto archeologico (non l'unico, naturalmente) si possono ammirare gli standard di bellezza muliebre più diffusi probabilmente nell'intera area europea anche nei millenni successivi a quanto mi risulta dalla tradizione orale e che, non sono mutati molto rispetto a quelli di oggi detti curvy. Pure i visitatori stranieri del XV-XVI sec. affermavano che i russi stessi lamentavano prima di tutto nelle loro donne mammelle poco sviluppate e una fastidiosa pelosità delle gambe. Sono giudizi facili da dare perché in realtà, non appena col cristianesimo si instaurò la cosiddetta “decenza” nel vestire delle donne, toccò celare il pube, ma non le mammelle! 314 Riguardo alla pelosità della donna sulle labbra, sulle gote o sulle gambe, era una qualità accettata che lasciava immaginare un certo fascino mascolino nell'eventuale copula e ciò normalmente non era cosa da scartare. D'altronde perché radersi, se il corpo umano era fatto in quel modo? Ho già parlato della barba maschile e qui sottolineo che nelle byline solo le vily e gli altri esseri femminili della foresta erano totalmente glabre! Quanto alle mammelle era noto l'uso di serrare con fasce quelle appena in boccio delle ragazze puberi, forse importato dalle alane (ossete) del Caucaso che usavano una specie di cinghia che con sette giri appiattiva il seno fino alla notte di nozze quando lo sposo la scioglieva e la conservava fra gli oggetti cari di famiglia. L'uso alano si spiegava col fastidio per le donne 315 abituate a cavalcare e avere le mammelle dondolanti mentre si era in sella (A. Mayor 2014). Sono giudizi che contraddicono gli apprezzamenti delle corti musulmane e cristiane per le “belle slave” in particolare e per i robusti slavi che in gran numero i veneziani importavano dai Balcani e mettevano in vendita sul mercato della Riva degli Schiavoni (nome classico in antico italiano per slavi). Anzi, mi occorre dirlo, il punto di vista dei persiani era che una pelle troppo chiara (slavata!) indicasse debolezza e malattie nascoste. I musulmani sottolineavano invece l'indipendenza estrema delle donne europee del Nordest senza eccezione. Ecco quanto viene riferito direttamente all'ambasciatore arabo al-Ghazal (845 d.C. da B. Lewis, 1983) dalla moglie di un re vichingo al riguardo: «...non sappiamo che cosa sia la gelosia. Le nostre donne stanno con i nostri uomini solo se lo desiderano. Una donna sta con suo marito fintantoché ne ha voglia e lo lascia quando non ne ha più voglia.» 316 un mercato di schiavi (pittura rinascimentale da internet) idealizzato Un aspetto strano che qui sottolineo è che nell'islam del Centro Asia si vociferava che la ragazze slave fossero sterili e che quindi non ci si preoccupasse tanto in quest'ambito. Eppure nell'altro islam di al-Andalus non c'era un personaggio pubblico che non avesse madre slava comprata schiava al mercato! E alla fine del Medioevo spagnolo alcune di esse ebbero un ruolo importante politico diretto in qualche regno Taifa. Se ciò non bastasse a confermare i comportamenti che vado descrivendo fin qui, non dovrebbe neppure stupire quanto qui di seguito scriverò sulle collusioni slavoceltiche visto che le due etnie, al di là delle affinità culturali indoeuropee scontate, germani, slavi e celti 317 vissero per secoli a stretto contatto e lungo le rive del Baltico e nella Mitteleuropa (J. Markale 2012) e con i turchi nel Centro Asia (P.B. Golden 2011). S. Cvetkov (2008) menziona un interessante e notevole documento prussiano di fortissima risonanza celtica in circolazione prima dell'eliminazione dell'etnia baltoslava prussiana nel XII sec. e il cui autore è del V-VI sec. a nome Vaidevut. Il documento in questione si intitola I 17 comandamenti per mio fratello Krive-Kriveito di Balga per aiutarlo a tenere unito il popolo e ci dà un'idea dei costumi sessuali intrisi di mitologia pagana comune con gli altri baltoslavi dato che Krive-Kriveito lo si trova venerato fino al XIV sec. in Lituania. La torre di questa autorità religiosa pagana ancor oggi è ammirabile a Vilnius come un pseudo-campanile davanti alla cattedrale cattolica della città. Ecco di seguito i comandamenti da me più o meno riadattati linguisticamente che rendono possibile rivedere i comportamenti della gente baltoslava e, probabilmente, anche di quella slavo-russa: 1. Nessuno osi mai rivolgersi agli dèi del cielo al posto di Krive-Kriveito né osi portare nuovi dèi alla venerazione dei prussiani poiché i veri dèi sono Potrimpos, Perkunos e Pikolos dai quali questa terra è stata a noi concessa 2. Grazie a loro dobbiamo riconoscere in KriveKriveito il nostro sommo sacerdote.... 3. Dobbiamo venerare e temere questi dèi perché hanno dato la vita alle nostre belle donne, ai molti figli, 318 un buon cibo, bevande dolci, per la bella stagione abiti candidi e per la cattiva abiti caldi... 4. I nostri vicini se venerano i nostri dèi saranno ben accolti altrimenti saranno da noi uccisi col fuoco e col bastone 5. L'uomo può avere tre consorti legali. La prima deve appartenere alla schiatta degli antenati che vennero per primi in questa terra, mentre le altre possono essere di schiatta locale 6. Se un uomo si trova circondato da consorti, figli, servi, fratelli affetti da malattie inguaribili dovrà decidere di dar fuoco agli infettati e se lui stesso si trova nelle medesime condizioni, uccidersi nello stesso modo... 7. Se una persona sana per una qualsiasi ragione vuole sacrificare agli dèi un servo o un figlio bruciandoli vivi, nessuno l'impedisca giacché il sacrificio nel fuoco rende santi e degni di stare a fianco degli dèi 8. Se un uomo o una donna perde l'onore [s'intende in atti non leciti e non sessuali], dovrà sopprimersi nel fuoco davanti agli dèi 9. Se una donna si rifiuta di dare il proprio corpo alle voglie del consorte è degna di essere bruciata nel fuoco insieme alle sue sorelle poiché vuol dire che tutte insieme non hanno recepito l'obbligo imposto dagli dèi di assoggettarsi all'uomo 10. Se un uomo circuisce una ragazza o la consorte di un altro uomo per un amplesso forzato dovrà essere punito col fuoco 11. Chi deflora una ragazza è pure obbligato a prenderla per consorte 319 Chi uccide un sacerdote che avrebbe sostenuto (in giudizio) un assassino e i di lui amici, dovrà subire la vendetta di questi ultimi 13. Il ladro scoperto la prima volta lo si bastonerà [...] la terza e ultima volta sarà dato in pasto ai cani 14. Nessuno può costringere un altro a lavorare per lui... 15. Sarà considerato onorevole chi è rapido nell'agire meglio di altri... 16. Se un uomo è fortemente addolorato per la perdita della consorte, affinché non stia in pena giorno e notte occorrerà che si trovi al più presto una fidanzata con la quale consolarsi sessualmente. 17. Se poi ne sarà soddisfatto nel corpo con lei completamente, dovrà assicurarsi che anche lei sia soddisfatta nella stessa misura. Se ciò ha esito positivo, si sacrificheranno agli dèi un gallo e dei pulcini in ringraziamento. 18. Se un uomo muore e lascia da sola la sua consorte in vita e senza figli, è obbligo dei suoi amici scapoli tentare di sollecitare sessualmente la vedova a produrre figli. Tuttavia se essa preferisce restare vedova e senza figli, dovrà mettersi sotto la protezione dei suoi stretti parenti fino alla fine dei suoi giorni. A parte le evidenti e logiche somiglianze celtico/slave che riecheggiamo le radici comuni indoeuropee, i pagani del nordest come si interfacciavano con il divino nel fare all'amore? In primo luogo credevano che copulando si potessero trasformare in esseri divini ed è ovvio che tale credo non avrebbe avuto grosse difficoltà ad accettare 12. 320 nella sfera sessuale i canoni provenienti dall'Occidente perché anche i cristiani millantavano che gli uomini erano fatti a immagine e somiglianza del dio creatore. Paganesimi e teologie nelle parole dell'amore. Partirò da un evento importante per l'attività agricola: la pioggia. Queste gocce erano null'altro che lo sperma del dio del cielo che fecondava la dea terra... Il processo avveniva per volere e con la partecipazione diretta delle due forze divine e quindi auspicabile per l'agricoltura, mentre la copula umana non poteva sortire alcun effetto simile, salvo che non fosse sacralizzata con una ierogamìa pubblica. È l'interpretazione di alcune mie fonti storiografiche e che noi oggi condivideremmo per un mondo pagano di cui sappiamo quasi nulla. l 1000 anni fa era ammissibile che la Gran Made Terra e il Cielo in connubio facessero funzionare il cosmo benché non fosse noto il ruolo biologico che ha lo sperma. Sia come sia, non starò a arzigogolare troppo sulle parole fecondare, fertilità o sterilità et sim. per il semplice motivo che tali concetti sono moderni, mentre nella tradizione pagana è possibile per gli esseri umani e non umani trasformarsi in divinità persino animali, almeno per breve tempo tout-court e avere poteri mirabolanti. Nella tradizione slavo-russa sono noti esseri divini che fungono da referenti magici dell'attività sessuale umana e ne nominerò qualcuno benché con l'intimo sospetto che i nomi tramandati comprendano divinità non sempre slave, ma recepite nei contatti interetnici. Dare un nome 321 agli dèi cioè alle forze della natura significa entrare nella logica classica greco-romana e poi cristiana di un sistema di pensiero totalizzante che presso il paganesimo multietnico del nordest non esisteva. In altri termini la venerazione dei fenomeni naturali ha lasciato tracce indelebili nella tradizione orale pagana negli eroi e nei loro nomi e in questi i missionari cristiani hanno voluto rivedere in modo semplicistico uno schema di religione presunta ostile popolata di demoni. Della tradizione sincretica che esamino qui non vanno trascurati 2 aspetti: 1. l'omologia che tiene insieme livelli di esistenza seppure differenziati: l'uomo e la divinità legati da solidarietà antica perché entrambi parti di cicli storici come il circadiano, la vita umana dalla nascita fino ad essere in grado di fare all'amore e 2. la capacità di sapere astrarre e simbolizzare usando schemi di conoscenza e immagini favolistiche come il carro del sole, le tenebre stagionali etc. perché adatte alla trasmissione sotto forma di insegnamento da genitore a prole. Prova è che non si ha a che fare con qualcosa di vago e di primordiale, ma si ha davanti agli occhi una volontà passata, per così dire nazionale, non scritta perché non serviva in tale forma, che vuole sfruttare al meglio le esperienze passate e le soluzioni adottate dai predecessori per superare gli ostacoli e evitare i pericoli tramite una religiosità mutevole piuttosto che una religione. Spero che sia chiaro pertanto che non mi riferisco nel seguito a un Olimpo divino slavo o ugro-finnico o altro, 322 ma al contrario tento di ricostruire un “pensiero pagano” di nordest con i suoi ammennicoli, non ancora fagocitati dalla cristianizzazione. corna di uro per il sacro simposio (da una cartolina museale) Un dio indoeuropeo conservatosi nei paganesimi europei è il Dio-padre-cielo presente con questo stesso nome ovunque, più o meno storpiato dalle vicissitudini linguistiche del tempo, e gli fa da paredra, sottomessa, la Gran Madre Terra. Nel cosmo teologico pagano-slavo è il russo Svarog che governa dal cielo. Sovrasta e domina Madre Umida Terra (Mat Syra Zemlja), la detta dea femmina. Si legittima l'esito della vecchissima lotta per il potere e della vittoria maschile che vede nella donna l'essere più debole per lui indispensabile e ovviamene la destina al perenne sfruttamento, ma non più che da paredra. Le ipostasi animali della coppia cosmica divina sono nella tradizione slava (e indoeuropea in generale) il toro e la vacca. Il toro è quello selvaggio o uro (zubr) vagante nella selva e i cui possenti muggiti terrorizzano i viventi, mentre la vacca è quieta al riparo in attesa di 323 essere montata. Il toro è immaginato di mole enorme specie negli attributi sessuali come le sue enormi e sacre corna che, inargentate e scolpite, sono usate nei simposi degli uomini di potere per bere la bevanda inebriante che stabilisce il contatto uomo-dio e riafferma il dominio concesso all'uomo-sovrano. Nelle festività solenni alla fine dell'estate al toro (in russo tur) si sacrificavano dei buoi e se ne donava il sangue al Dio-padre (cristallizzato forse nel più noto Perun). La carne invece si consumava in un'orgia di appetiti di cibo insoddisfatti che combinavano la carne, fresca e abbondante una volta nell'anno, con la copula libera dei partecipanti seguita dallo spargimento dello sperma. Gli anziani vi partecipavano indossando maschere di cuoio col muso di toro e aprivano le cerimonie inneggiando alla divinità con canti e danze, ma da autorità e in ruolo di testimoni della giustezza rituale. Un santuario dedicato al dio-toro esisteva nei pressi della cittadina bielorussa di Turov, appunto Città di Tur. E nel Podil di Kiev (città bassa) a Veles/Volos era dedicato il palo (kumir) innalzato in piena piazza del mercato e scolpito con corna e col muso taurino. Inoltre, poiché i bovini (allora non erano più grossi di cani sanbernardo) rappresentavano la ricchezza di cibo nei momenti di fame, e Veles lo paragonerei al dio Plutone romano. Il suo omologo baltoslavo era Vels che si batteva contro Perkunas, per il governo del cosmo. In realtà il nome Volos, Veles, Vels è collegato con la radice indoeuropea *vor- che significa copertura di pelo, pelliccia (cfr. lat. (v)lana e villus/villosus come anche slv. 324 volna o lana e volos o capello e ancora vorš o pelo ritorto etc.). Veles antropomorfizzato era un pastore avviluppato nella sua burka di lana feltrita a pascolare mandrie. E se ben rileggo dei racconti del passato, Veles ai tempi primordiali quando imperavano le donne, doveva essere l'unica persona di sesso maschile con cui esse avevano contatti per gli scambi e a Veles qualcuna scelta a sorte si concedeva a mo' di pagamento per la compravendita. Veles inoltre corrisponde al celtico Belenos cioè Belin dei bielorussi che a volte si identifica persino con l'orso. Con questi miti si intreccia la leggenda del Vello d'oro e degli Argonauti, di Giasone e Medea, appunto in area caucasica. Insomma avveniva da sempre nelle razzie dei nomadi delle steppe che i villaggi cedessero le loro giovani e, anzi, così accadeva pure nel cosiddetto poludie, citato da Costantino VII Porfirogenito quando racconta che i Rus (Rhos) lasciano Kiev d'inverno e si recano al nord a raccogliere tributo e qui rimangono fino al ritorno del bel tempo. L'Imperatore ha preso per vera una favola giacché il poljudie non era altro che le razzie sistematiche condotte dai Rus sugli spartiacque (volok) dei fiumi maggiori contro i villaggi che lì facevano servizio di trasbordo e che cedevano loro quanto trasportavano di valore, compresi i giovani che lì lavoravano. Un altro dio importantissimo era Jaro o Jarilo, il cui nome risale all'indoeuropeo *jar- che significa luce che nasce, chiarore, ardore giovanile e persino ira, sforzo. Dopo il freddo inverno, il dio annunciava e apriva la semina dei campi finora quiescenti. Era Jaro che con un gesto di forza maschia metteva in moto la ruota del 325 tempo. Anche i latini (con la variante in -n) veneravano una divinità simile, Janus dai due volti, a simbolo del passaggio dall'anno agricolo vecchio a quello nuovo, fresco e giovane. Jarilo è dunque l'aspetto primaverile del dio Rod accostabile al prussiano Pikolos e all'estone Peko, entrambi dèi della fertilità con riti simili. Non solo! A Jarilo seguiva nei giorni successivi la celebrazione di Perun, padrone del fulmine e delle nubi cariche di pioggia fertilizzante. C'è un'assonanza strana, ma accettabilissima dal punto di vista del sincretismo in atto nel nordest fra etnie a contatto, con la massima divinità ugro-finnica del cielo Jumala in cui tolta la particella sostantivante -la resta Jum- facilmente assimilabile a jan-/jar- e persino al dio lettone Jumis. E non vorrei speculare oltre assimilando tale radice con juvenis, junyi, jung etc. che indica il giovane che ha forza e che può aiutare cfr. anche lat. ad-juv-are e la dea paredra di Giove, Juno (Giunone). Nei riti in onore di Jarilo fra i ragazzi del mir si sceglieva il più aitante come momentaneo rappresentante del dio che sarebbe andato in giro col fallo eretto da accarezzare e baciare durante le feste e alle ragazze e alle vedove regalava falli di legno da appendere al collo a protezione contro ogni nečistaja sila. Avrebbe poi compiuto la copula della fertilità sulla nuda terra di un campo vergine con una giovinetta mai toccata dal maschio. Dopo la copula sacra, c'era il solito grande potlatch dove con la crapula, si amoreggiava di regola in modo promiscuo. J.D. Petuhov (1998) riporta un inno a Jarilo che le 326 ragazze intonavano prima di lanciarsi nei horovdy (danze circolari) e che qui di seguito riproduco nella mia traduzione. Jarilo, Jarilo, grande Jarilo Tue siamo noi Mettici in ardore Subito. Il cavallo già scalpita e il knjaz-signore anche lui Monta! Monta e prendi fra noi quella che vuoi. Jarilo, Jarilo Sono ardente Jarilo, Jarilo Sono tua Bruciami, bruciami Con gli occhi tuoi di fuoco. Strano a dirsi, per l'odio per il sesso della chiesa cristiana, il Cantico dei Cantici della Bibbia non è dello stesso tenore – la tradizione lo vuole composto dal re Salomone addirittura – ma non fu neppure lasciato leggere volentieri ai nuovi cristiani né mai cantato al posto del sopraddetto inno pagano. Ed eccone un estratto per un confronto: LUI: ...perché l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata, i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato….... 327 ...Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia….... ...mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole LEI: ...il mio innamorato mi appartiene e io a lui; …...ritorna, sii come il camoscio o come il cerbiatto negli spazi delle montagne... Nel lavoro dell'antropologa I.V. Ržepjanskaja (2010) alcune riflessioni sulla sessualità del passato nella regione kievana dimostrano che erano le donne ad offrirsi ai maschi solleticate dalla voglia di fare all'amore. Alcuni riti “femminili” sono perciò eseguiti in presenza del serpente che la donna poi taglierà a pezzi e arrostirà in onore degli dèi, ma soltanto dopo una copula che il serpente, simbolo fallico pure nella mitologia slava, presto favorirà con un uomo che le faccia da compagno-protettore. Il sincretismo pagano-cristiano serpente-donna-MariaVergine appare chiaro nel horovod del Jaš, antichissimo rito pagano di fare all'amore sotto l'egida del serpente. Il rettile è strettamente collegato al mondo sotterraneo e con la morte fisica e, in più, odia l'immobilità della donna nella copula. È un essere d'acqua poiché gli animali serpeggianti nella biocenosi del nordest vivono di solito nei laghi e nelle 328 correnti ed è qui che incontra la donna, principale frequentatrice nelle sue svariate incombenze delle sorgenti e degli ambienti acquatici. Jaš o Jašerica (oggi indica più propriamente la lucertola e nelle favole diventa il drago) e in ucraino Jašei è il nome dato alla figura del ragazzo al centro del circolo delle ragazze che gli vorticano intorno esaltando la forza del suo pene. Parafraso il testo cantato all'occasione: Resta seduto o serpente sotto l'arbusto di nocciolo, scrocchia coi denti il frutto del nocciolo, il dono gentile che ti sei procurato. Ciok-ciok cinque-dita, serpente ingenuo! Dov'è la ragazza per te? E come è vestita? Come si chiama? E da dove è giunta fin qui da te? ----Voglio fare all'amore, dicevi? E perché indugi? Prenditi una signorina, quella che vuoi... Quella che più ti piace.... e vai! In particolare le ragazze baltoslave lettoni erano ben note per la loro avvenenza, ma piuttosto per la loro abilità molteplice nel “far all'amore”. Alcune canzoni cantate durante il lavoro del lavare i panni presso un fontanile dove era scontata la nudità della lavandaia, sono fino a oggi sopravvissute e indicano che c'erano i posti dove le ragazze si radunavano e di là facevano l'occhiolino ai ragazzi mentre cantavano. Eccone i versi di qualcuna per 329 confronto con le precedenti (E. Shorter, 1988), ma altre se ne trovano abbastanza più sconce in M. Dikarev (repr. 2020): Le ragazze dicono facendo il bucato: Ci toccano soltanto i pantaloni però vuoti. Come ci piacerebbe avere quegli affari Che stan dentro i pantaloni. Faccio girar la mazza del bucato Più in alto della testa Mentre lavo i pantaloni di un ragazzo Altro non vorrei che quella mazza Che sta dentro i pantaloni. C'è anche un giudizio sulla rozzezza dei partner amorosi contadini: Per amore morivo di voglia Di baciare il mio Gianni Ma ogni volta che offrivo le labbra Trovavo i pidocchi di Gianni. Pazienza per i dannati pidocchi, Ma il moccolo non mi andava giù. Nel Medioevo Russo una festa citata spesso nei “rimproveri ecclesiali” per la sua “fattura diabolica” è nota col nome generico di Rusalii. Essa prendeva corpo attivo nei due solstizi e cioè alla fine di giugno e alla fine di dicembre. Ne ho parlato sotto il nome con cui i rituali si sono standardizzati nel XII-XIII sec. ossia Kupalo col 330 magico falò e rispettivamente le Sagge Donne subito dopo il Natale cristiano (26 dic.), salvo l'errore delle date astronomiche senza la correzione gregoriana. Le Rusalii (o Rusalki) restarono delle feste orgiastiche periodiche in cui le donne avevano la preminenza e ne gestivano gli eccessi come la crapula, l'ubriachezza, la copula selvaggia e i travestimenti come elementi che dovevano confermare festosità e allegria collettiva. Lo scopo? Rinnovare l'amore olistico delle generatrici di uomini usando bene le tradizioni degli antenati che esse stesse perpetuavano (v. Wikipedia, русальные дни) orgogliosamente usando il proprio corpo nel pieno delle sue funzioni sessuali prima della decadenza dei 40 anni. Accusate queste cerimonie di amore collettivo come spettacoli pornografici o di prostituzione mascherata oltre che di esibizionismo inutile e dannoso dall'autorità ecclesiastica ortodossa quasi in sordina sebbene con fermezza, val la pena ricordare qui che l'amore libero fu la bandiera della libertà femminile in tutti i campi quando si trattò di legiferare nella prima URSS nel 1917. Capitolo undicesimo 331 Riverberi culturali Ho pubblicato anni fa il Libro delle Attrattive delle Donne (v. bibl. ACM) con i miei commenti sull'argomento sessualità perché il trattatello, redatto in persiano-farsi originariamente e influenzato da costumi vedico-indiani, era il più diffuso e il più famoso (D. L. Newman, 2014) dell'epoca (X-XII sec.) e rientrava nei miei studi di igiene sessuale nel Medioevo. Lo cito poiché nella prima metà del XIII sec. la chiesa ortodossa dové subire una pesante crisi della Roma d'Oriente finita nelle mani dei latini nel 1204 e durata per oltre 50 anni. Non solo! Dall'ambiente musulmano della Persia indiana in quello stesso tempo giungevano nella Pianura Russa e fino in Occidente i Tataro-mongoli con il progetto di stabilirvisi per sempre lungo i grandi fiumi del Nordest. Nell'insieme tutto ciò non risultò negativo perché con la protezione dell'autorità tatara le centrali ortodosse di Kiev e di Vladimir-sul-Kljazma riuscirono a fondare nuove diocesi e nuove parrocchie nell'hinterland di nuove città con sistemi complicati di soggezione sulle comunità contadine. Invitando i contadini più arditi nelle nuove comunità cittadine si spinse soprattutto a dimenticare la poligamia e la promiscuità e adottare una visione cristiana della famiglia mononucleare creando un mondo nuovo che andava plasmato. L'obbligo imposto al credente di scegliersi un'unica donna come consorte per tutta la vita induceva a scegliere 332 una partner con criteri diversi basati sulla bellezza che finora erano sfuggiti a canoni classificatori dell'aspetto fisico ben definiti. Se però si doveva scegliere fra le più belle, l'atteggiamento maschile della disponibilità all'amplesso senza limiti doveva pure cambiare e ciò si riscontra nel lavoro dei mediatori di matrimonio svat+svaha che abbiamo già incontrato in una loro maggiore attenzione nei famosi smotriny. Intanto tramite i traffici dei bulgari del Volga nei racconti dei viaggiatori, negli apprezzamenti dei mercanti di schiavi arrivano nella Pianura Russa gli elementi di paragone in ambito sessuale diffusi da secoli nel Centro Asia dall'esperienza cittadina molto antica. Nel trattatello poc'anzi citato infatti le donne vengono classificate con una scala che implica 4 tipi di fattezze fisiche femminili riscontrabili nella realtà umana, secondo gli studi indopersiani. Il nubendo o l'amante deve scegliere fra questi. Anzi, una volta fatta la scelta si consiglia di trovare un bel ragazzo e di allestire un porno-show con pochi intimi per vedere come la donna scelta si comporta nel fare all'amore. Soltanto dopo si deciderà. Tutto ciò a conferma delle relazioni interpersonali che iniziano a cambiare nella verv benché, per le ragioni di comunicazione difficili di cui ho scritto altrove, con estrema lentezza. Sono riconoscibili persino nella nuova lingua slava che va nascendo, il russo moscovita, dove dei vecchi termini mutano di significato giusto a causa di quanto detto fin qui. Un esempio? L'aggettivo krasnyi da gradevole alla vista passa a significare rosso quasi a sollecitare un esame più attento del corpo femminile che 333 non si fermi ai soli capelli color paglia di segale. Inoltre, ammesso una volta di più che queste aree non hanno mai cessato di interagire culturalmente per secoli, devo rammaricarmi per il fatto che le autorità politiche della Mitteleuropa e del Nordest utilizzarono pochissimo del progresso scientifico e pratico che arrivava da questi nuovi orizzonti centro-asiatici. È sicuro che le molte epidemie che assalirono i popoli europei decimandoli, furono favorite dai traffici internazionali, ma in generale si sarebbero potute contenere meglio, se per pregiudizio religioso non si fosse rinunciato ad adottare le scoperte e le misure tecnico-medicali offerte dal mondo persiano più illuminato (S.F. Starr, 2013) in campo di profilassi. Non si capirono e si ignorarono i controlli sanitari e le strutture relative: ospedali, acquedotti e scarichi delle acque luride che da tempo avevano migliorato la vita nelle città e nei centri di sosta delle carovane commerciali lungo le Vie della Seta. E tutto semplicemente per un cieco antagonismo religioso! Il presente saggio ha il cristianesimo come colonna portante per il semplice motivo che, in cerca di documenti sulla sessualità, il più prolifico dei monoteismi europei nella produzione di scritti sull'argomento è esattamente il cristianesimo. Arrivato dall'Oriente nel continente europeo come rielaborazione elitaria di credenze e teorie sin dal principio scritte e diffuse nei circoli ebraici, si concentrò (ca. IV sec.) nella lotta contro ogni altra religione presente con ogni mezzo, ivi compreso l'uso della prestidigitazione da piazza del mercato come lamenta il Concilio di Salisburgo ancora 334 nel 1310. Si dedicò intensamente alla teorizzazione della cosiddetta servitù volontaria come oggi è chiamata dagli antropologi la rinuncia alla propria libertà – fino al suicidio, si badi bene! – per affidarsi a un'élite avida di governo cleptocratico che promette migliorie in ogni ambito e garantisce ogni difesa da supposti e futuri nemici. Dopo gli exploit dell'islam, la cristianità si ridusse alle genti che abitavano un territorio più ridotto rispetto a quello dell'Impero Romano e si rinchiuse in se stessa. I dati utilizzabili da me trovati sono ridottissimi nei contenuti e non solo per l'ignoranza scientifica di quei tempi, ma perché era presente una rigida autocensura in chi scriveva occupandosi del coito quale espressione pagana pubblica e privata. Le fonti pertanto sono ambigue e indirette e le più feconde restano i Penitenziali che a partire da prima del IX sec. circolavano in Occidente. Ne ho accennato altrove, ma val la pena ritornare su alcuni punti. I manuali servivano prima di tutto a sollecitare le confessioni sulle pratiche sessuali e a individuare con precisione il tipo di atto peccaminoso da punire. Il più famoso si trova in un'opera maggiore di diritto canonico del vescovo Burcardo di Worms (sec. XI) dove il testo elenca le domande da porre descrivendo nei minimi dettagli l'atto sessuale e le sue tecniche peccaminose. L'utilità dei Penitenziali per conoscere usi e costumi sessuali pagani è perciò evidente, ma resta il dubbio: Furono usati nell'intera Pianura Russa? Visto che gli slavi Vendi nella Mitteleuropa e nell'area baltoslava erano sotto il torchio cristiano-cattolico con gli stessi metodi, i detti Penitenziali si usarono certamente 335 in quelle regioni, mentre nel Nordest materiali analoghi mancano, seppure in qualche racconto popolare se ne accenni. Fra cazari ebrei e nomadi musulmani. Concludendo diventa logico capire le posizioni negative della nuova religione verso la sessualità e se esse rispondessero ai modi noti di gestirla ad esempio nel mondo giudaico, visto che gli ebrei convivevano con i cristiani sparsi qui e là in comunità circoscritte minoritarie e separate, anche nella Pianura Russa. Uno stato ebraico sorto dopo la cacciata dalla Palestina e durato a lungo abbastanza da essere riconosciuto nelle fonti non esistette, finché intorno al VI-VII sec. nelle steppe ucraine i cazari turcofoni non si insediarono e fondarono il loro impero durato per ben 4 secoli! Ed ecco la singolarità del Medioevo Russo: Aver avuto in quello che possiamo chiamare il territorio slavo-russo tradizionale ossia la steppa e i bacini meridionali dei grandi fiumi, l'Impero dei Cazari, stato di netta impronta ebraica a partire dall'800 d.C. Mi chiedo: Mentre l'Impero Cazaro fioriva in prestigio, cultura e ricchezza materiale e il cristianesimo faceva i primi passi nella steppa con una dottrina ben standardizzata per le azioni missionarie, è possibile trovare influenze allo stesso tempo turcofone e giudaiche di derivazione cazara fra i contadini del nordest europeo e i loro comportamenti in ambito sessuale? Una risposta assoluta non l'ho trovata, sebbene 336 nell'Anticaucaso alani, ceceni e ingusci e altre genti del Daghestan abbiano serbato reminiscenze di propaganda cristiana dalla Georgia fino a Derbent, sulla strada litorale occidentale caspica in parallelo con evidenti presenze ebraiche (cazare?) e solo dopo il 700 d.C. con infiltrazioni musulmane. Esiste insomma un sincretismo religioso davvero unico nella Pianura Russa dove usi e riti cristiani si mescolano a usi e riti giudaico-islamici su uno sfondo pagano più antico (M. Tsaroieva, 2011). E i cazari? Arrivarono da queste parti quando ormai il citato sincretismo religioso era in fase di consolidamento e perciò si percepiscono come sovrapposizioni culturali nel loro primo stato nel bacino del fiume Terek, affluente del Mar Caspio nella parte orientale dell'Anticaucaso. Soltanto una limitatissima élite dello stato càzaro si riconosceva di religione ebraica, almeno in teoria, e i suoi membri sensibilissimi all'endogamia intraspecifica rigorosa che imponeva la purezza razziale di popolo eletto, escludevano i contatti diretti, intimi e sessuali con i dominati. D'altronde non dimenticherò che i càzariebrei per adattarsi alla cultura dell'ecosistema dominato dalle montagne avevano abbandonato in grande misura la loro poliginia ossia ad avere una moglie e tante concubine, ma non più tardi dell'anno 1000 d.C. Ciò spiega bene l'endogamia gelosa a cui il kaghan (sovrano) e la katun (sovrana) dovevano attenersi per poter apparire esseri divini in cui il creatore si personifica e qui, in uno stato teocratico, ci sono tutti i presupposti per una decadenza demografica a partire appunto dal X sec. capace di far crollare la struttura da un momento all'altro. 337 L'Impero Cazaro d'altro canto non produceva alcunché per l'export e mancava dunque della linfa culturale dello scambio. Questo è importante notarlo, ma non solo. La “gelosia religiosa” costringeva ad appaltare quasi tutti i servizi statali come, ad esempio, la riscossione dei tributi che era effettuata da funzionari prezzolati non ebrei così come si assoldavano armigeri pure non ebrei, per le forze armate. L'élite cazara con i suoi correligionari ossequianti e con i suoi simpatizzanti funzionava bene solitamente in ambiente cittadino benché per la sussistenza le città dipendessero dalle derrate trasferite da aree lontane. Con un inurbamento della gente comune quali artigiani, lavoranti e simili – fino al XIV sec. nella Pianura Russa al contrario tale fenomeno è quasi nullo – le città cazare restarono attive e frenetiche di fronte alla silente vita dell'entroterra delle zone contadine dominate. È facile intravvedere nella disposizione dei quartieri separati per religione nella capitale Itil l'isolazionismo orgoglioso della classe superiore turco-ebraica. Non mi consta che gli Slavi siano mai venuti nel nordest a contatto intimo e massiccio con i Càzari, tranne qualche scontro peraltro di misura minore sul Volga o nel Mar Nero, e malgrado la presenza a Kiev di una comunità israelitica di antica data. A G. Novgorod per esempio dei veri riscontri ebreo-cazari mancano. Eppure bulgari e cazari al momento del loro primo muovere verso ovest dagli Altai erano due grossi clan dei turchi Oghuz e, prima che i bulgari si slavizzassero nella conca del Danubio (totalmente), erano nomadi pastori turcofoni che usufruivano del pascolo nella steppa e che 338 non se la passavano meglio dei non-nomadi che vivevano un po' più a nord. I nomadi nel X sec. si addestravano volentieri nell'attività militare con arco e cavallo per poi offrirsi come mercenari o schiavi specializzati piuttosto che dedicarsi all'allevamento. Un giro del genere finiva per vedere usati i giovani cavallerizzi come squadracce deterrenti proprio contro i contadini slavofoni che dovevano mettere in conto con la razzia, ossia il metodo dello scambio forzato, oltre all'incursione lungo i fiumi sulle attività commerciali e sulle Vie della Seta classiche per l'esazione di esose gabelle. Se i nomadi non trovavano da saccheggiare, catturavano giovani donne e giovani uomini nei villaggi che trovavano e, visto che la richiesta di schiavi era in aumento (per tutto il Medioevo!), gli affari con i mercanti di schiavi davano loro grossi ricavi. Ai nomadi invasioni o conquiste di territori non facevano per niente gola giacché non amavano gli stati con potere centralizzato e sedentario che gestissero terre e abitanti. La steppa non apparteneva a nessuno e nessuno la difendeva in nome di una proprietà personale! Chi volesse organizzare un dominio con foresta e steppa unite insieme avrebbe dovuto garantire ai dominandi la proibizione del nomadismo e un'efficace protezione delle vie mercantili. Nel frattempo, X sec., l'islam si era espanso fin nelle oasi del Centro Asia e dall'altra parte del continente nella Spagna seguendo l'auspicio di Maometto (hadith da alMaqqari, storico del XVI sec.): «Ho visto coi miei occhi l'Oriente e l'Occidente e ogni loro regione deve essere assoggettata alla mia gente.» Attenzione però! Non è 339 un'esortazione alla guerra di conquista questa, ma chi comanda in nome di dio, deve incoraggiare e proteggere il viaggiatore/straniero/migrante aiutandolo a superare gli stenti della vita e accogliendolo come istruttore nella propria dimora e nella propria città per godere ogni giorno della sua opera di errante maestro di vita. Sono queste le idee espresse più tardi da Ibn-Battuta nella sua Muqaddima... Se Baghdad, nuova residenza del califfo dell'islam, giunge ad avere quasi un milione di abitanti a pochi anni dalla fondazione, non da meno sono le grandi città più antiche del Centro Asia come Samarcanda e Bukharà. Anzi, esse serviranno da modello dove la città non è un dormitorio né un mercato, ma un luogo dove si studia e si riflette per promuovere una migliore vita del credente musulmano. E qui hanno sede istituzioni universitarie attrezzate dove, studiando sui testi degli autori greci, latini e indiani antichi, si sperimenta e si formano scienziati di ampia competenza. Sono costoro che hanno il dovere di viaggiare e insegnare nei luoghi dove fanno sosta. La scienza viene da dio, ma è patrimonio di tutti e i sapienti incoraggiano gli studenti a far ricerca in ogni campo ossia pure sull'amore come sensazione di piacere supremo e pratica sperimentale aperta a piacevoli stimoli. Si pubblicavano libri di ricette afrodisiache e testi d'igiene sessuale poiché l'interesse per la sessualità per una vita sana e serena era fondamentale. Nell'Umma o mondo musulmano l'amore fisico col piacere che esso dà è l'anticipo della vita che il credente godrà nel paradiso dopo la morte. Non è un peccato la 340 copula né c'è un giudizio finale da attendere, ma è la gioia che dio concede all'uomo sulla terra e che continua dopo la morte ad elargire. La gelosia ad esempio, sentimento composto fra coniugi e amanti per i loro rapporti amorosi, sta alla base dell'armonia in casa, in famiglia e fra le famiglie purché non distrugga la pace comune. La modestia nel vestire inoltre valeva sia per l'uomo che per la donna, salvo definire che cosa essa significasse nell'islam dato che in questo stesso periodo si andava creando nelle società cristiane e musulmane il concetto di vergogna e di pudore. C'è notizia che al mercato di Baghdad le donne musulmane, sorprese da un estraneo col volto scoperto, tirassero su bruscamente lo hijab per coprirsi il volto e così facendo scoprissero il pube. E che dire delle Mille e una Notte se non gustare l'umorismo musulmano nei dialoghi allusivi e pieni di sottintesi riferentisi alle esperienze amorose? Mentre i cristiani si preoccupavano di coprire il corpo femminile, i musulmani si dilettavano nelle trasparenze delle vesti e indossare i veli era un'arte muliebre raffinata. La Sura II della Giovenca dedicata alla donna e al suo comportamento fra i suoi innumerevoli versetti il 223.mo recita (G. Mandel, 1994): «Le vostre mogli sono per voi come un giardino e coltivatelo come volete.» In pratica: Pensate a fare all'amore gestendo la donna senza limiti nel corpo a vostro piacimento! Un hadith di Maometto avverte che però lei sia consenziente e ne goda. Non è però tutto rose e fiori per la donna nel Corano poiché la Sura IV della Donna al versetto 34 recita: «Gli uomini sono preposti alle donne a causa della 341 preferenza che Dio concede agli uni rispetto alle altre […] Ammonite quelle di cui temete l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele.» Per i beduini che vivevano in piccoli gruppi nel deserto da nomadi pastori fare all'amore era l'unico grande piacere orgasmico e non facevano troppa distinzione fra coiti etero- e omosessuali, pederastici, anali o persino bestiali e giochi erotici d'ogni tipo, pur di poterne godere appena se ne presentasse l'occasione. Aderire all'islam per loro significò viaggiare per il mondo sia da guerrieri sia da mercanti oltremodo privilegiati e allargare il loro panorama culturale secondo l'ideale del jihad che implicava l'eliminazione dell'infedele, ma stimolava e consentiva l'appropriazione dei suoi averi inclusi mogli e figli. Il guerriero vittorioso per volontà di dio aveva così a disposizione i suoi schiavi sessuali. È l'atteggiamento assunto dai guerrieri berbero-marocchini che Tariq si tirò dietro alla conquista della Spagna visigota poi divenuta il califfato omayyade di al-Andalus. Includo qui l'imposizione della vergogna culturale poiché l'islam tenterà partendo dalla cosiddetta decenza pubblica una riforma dei costumi sessuali fra i nomadi della steppa quasi di pari passo col cristianesimo. E difatti nel X sec. l'inviato del califfo al-Muqtadir a Bulgarsul-Volga, Ibn-Fadhlan, durante il viaggio verso il nord si ferma presso i turchi oghuz del Centro Asia e annota il comportamento delle loro donne. Scrive: «Le loro donne non si coprono di fronte agli uomini, siano essi i loro congiunti o degli stranieri. Allo stesso modo non si coprono nessuna parte del loro corpo 342 [ad es. i genitali].» e vive un episodio presso di loro che racconta con sorpresa: «Un giorno visitammo in casa uno dei capi... la cui moglie era con noi. Mentre stavamo discutendo, la signora scoprì il pube e si grattò mentre noi la guardavamo. Noi ci coprimmo gli occhi con le mani esclamando: Il Signore Dio ci perdoni! Al che il nostro ospite cominciò a ridere e rivolto al nostro interprete disse: Dì ai tuoi che se la mia donna ha scoperto le sue intimità di fronte a estranei, ciò non significa che permetterà chi la guarda di avvicinarsi [con desiderio di copularla]. Dunque è meglio del coprire e poi aprirsi all'amante.»La stessa indifferenza per la nudità Ibn-Fadhlan la nota fra i Bulgari musulmani del Volga di cui scrive ancora: «Uomini e donne vanno a bagnarsi nel fiume completamente nudi e nessuno si copre sotto gli sguardi degli altri. [Comunque] non sono spinti [da ciò] a fare all'amore.» Faccio notare a questo punto il modo di vedere la sessualità nella differenza sostanziale fra la cultura degli arabi musulmani e quella degli europei cristiani del IXXII sec. descritta più efficacemente dall'islamista E. K. Rowson (v. Google books 1991): «Riguardo alla condotta sessuale [la società musulmana del Vicino Oriente] in marcato contrasto con la nostra società [europea] definiva la mascolinità non in termini di chi sceglieva l'oggetto sessuale [donna, uomo, trans etc.], ma nella realtà dell'atto sessuale. Nella … [società europea]... è il maschio che crea le relazioni sessuali di qualsiasi sorta [ad esempio] con altri maschi che non sono dei “veri uomini” [e scegliere 343 con chi farlo da soggetto attivo, invece] nel IX sec. a Baghdad erano i maschi che [invitavano e] acconsentivano ad essere penetrati analmente [e che noi diremmo non essere]... veri maschi. Le donne (in entrambe le società) anch'esse non sono “veri maschi” … [ma possono essere scelte per divertimenti sessuali travestendosi e senza far offesa a dio].» Bulgari del Volga mentre si bagnano (illustr. del XVI sec. a Ibn-Fadhlan) Convertirsi all'islam era di gran lunga più semplice che non essere accolti nel cristianesimo, per tacere poi dell'impossibilità teorica nel caso di entrare a far parte del popolo eletto dell'ebraismo ortodosso. Nell'islam una volta pronunciata davanti a testimoni la prima Sura coranica, non solo il maschio subiva la 344 circoncisione come conferma dell'accoglienza fra i maschi uomini cioè l'operazione di mettere a nudo il glande tagliando via il prepuzio senza ulteriori conseguenze per la potenza coitale, ma d'ora in avanti gli era concesso di circuire la femmina affinché copulasse con lui (Y. Olfa v. in J. Mossuz-Lavau 2o14). Per la femmina era ben vista l'analoga infibulazione della vulva d'altronde legale e onorevole in al-Andalus. L'infibulazione secondo la cosiddetta Šarija malikita non era obbligatoria e di certo (D. Fernández-Morera 2018) imitava la cintura di castità forse mai esistita, ma tanto decantata nelle discussioni alla moda in terra cristiana perché rendeva il coito dolorosissimo per la donna oltre a grossi fastidi per le deiezioni. Sfortunatamente mancano le prove che l'operazione di asportare con la cauterizzazione il clitoride, le piccole labbra e parte delle grandi labbra vaginali (arabo khifad) lasciando aperto solo un foro per la fuoriuscita dell'urina e del mestruo fosse eseguita fra le musulmane presenti a Kiev o fra le donne bulgare del Volga, ma di certo le schiave importate a Cordova dalla Pianura Russa la subivano e restava il peggiore dei 3 tipi di infibulazione. Un altro costume, il meretricio, considerato dai cristiani una specie di piaga sociale ormai verso il XIII sec. in verità nell'islam non esisteva in sé e per sé e nei posti dove il musulmano era costretto a soste più o meno a lunghe era in uso sposare una giovinetta locale per un periodo concordato pari a quello della sosta. Il costume inoltre raccomandava nel rapporto di evitare il coitus interruptus che faceva orrore anche ai preti cristiani per 345 lo spreco di sperma e in ogni caso il mercante-ex-marito lasciava una pingue dote alla ex consorte (khadima in arabo andaluso) prima di riprendere il viaggio di rimpatrio da solo. I figli erano riconosciuti come legittimi ossia in pari dignità di altri preesistenti e qualcuno di essi avrebbe accompagnato pure il padre per esser presentato alla “prima” moglie in patria. E qui aggiungo che, se un musulmano aveva un figlio o una figlia dalla sua schiava, alla nascita del bimbo la madre passava automaticamente secondo la legge a donna libera con i figli altrettanto liberi come appena detto. Il progetto politico musulmano più grandioso nella Pianura Russa fra il X e il XIII sec. è ad ogni modo Bulgar-sul-Volga, uno stato-città che col suo ingrandirsi allargò il dominio e esigette una nuova capitale che costruì arretrando rispetto al Volga nella Nuova Bulgar sul fiume Čeremšan. Chiaramente si arricchì nella pratica erotica mentre assorbiva e assimilava la cultura dal Centro Asia e in parte ne trasmise agli ugro-finni associati/assoggettati pre-uralici. Lo svelano assai bene i termini coranici fissatisi nelle lingue märi e ciuvascia per certe celebrazioni e per alcune cariche di comando. Di certo nei palazzi dell'emiro bulgaro e dei suoi dignitari si svolgevano quei famosi festini in cui davano spettacolo i giovanissimi gulam turchi educati alle armi e a cavalcare sin dalla pubertà e che, ahimé, ignoravano ogni tecnica amatoria. Orbene, pur ammessa l'introduzione di tecniche nuove e di modi diversi di gestire l'amore e il sesso nella Pianura Russa, non si può dire che il campione finale del 346 sincretismo culturale fosse proprio Vladimiro battezzato e cristiano, allorché leggiamo la descrizione fattane da Titmaro di Merseburgo che gli fece visita ca. 1010 a Kiev. vie di commercio della Pianura Russa secc. X-XIII d.C. Le prime volte che le CTP nominano Vladimiro è in coppia col sedicente zio Dobrynja il quale ultimo fa in modo di ottenere delle credenziali da Svjatoslav, padre putativo del “ragazzo” Vladimiro, per portarlo con lui in un viaggio d'affari a G. Novgorod. La coppia è legata dal patto fra anziano protettore (opekun) e pubere protetto (otrok) secondo le già accennate regole del pobratimstvo, 347 e si sistema nella repubblica del nord con l'appoggio di bojari al momento conniventi. Il fine è di trasformare la repubblica in un regno a sé con Vladimiro e Dobrynja al potere e fare affari con Costantinopoli direttamente, relegando Kiev in secondo piano. A causa dell'ardore amoroso del giovane con le donne dei bojari che provoca tafferugli, zio e nipote devono abbandonare G. Novgorod fuggendo in Svezia. Di lì torneranno, ma le vecchie amicizie si sono inaridite e, a parte l'avventura svedese che ha procurato una buona družìna di volenterosi armigeri, Vladimiro si trova contro l'intera casta degli oligarchi bojari novgorodesi. Costoro fondamentalmente pagani non condividono con lui alcuna possibilità di essere inglobati in un regime statale unico. Dunque: Che Vladimiro e i suoi migrino al più presto al sud verso Kiev e vi si sistemino eliminando i fratellastri che adesso vi comandano. Una volta che il trono kievano è sentito saldo e così pure l'alleanza con G. Novgorod garantita da Dobrynja che è rimasto lì come ostaggio, Vladimiro invita gente dal nord a popolare il suo nuovo regno. Fra paludi e steppe intorno, Kiev ha bisogno di immigrati e si inaugura così una grande mescolanza di turcofoni, slavofoni, baltoslavi e ugrofinni. Le CTP si affrettano a scrivere intanto che sia Bulgarsul-Volga sia l'Impero Càzaro erano stati messi fuori gioco da Svjatoslav nel 950 d.C. e che perciò da quel lato non c'è più nulla da temere, ma ciò non corrisponde a verità giacché Kiev dipenderà a lungo dai flussi mercantili che càzari e bulgari garantiscono lungo il Volga e molto meno lungo il Dnepr. 348 A questo punto il quadro mi pare chiaro almeno per il X-XI sec. sulla generale situazione economico-politica della Pianura Russa nel vecchio modo di raccontare il Medioevo nell'Europa occidentale dove si trascura l'islam che da vera onda anomala culturale ha invaso la Spagna, la Sicilia, Creta e sta avanzando in Anatolia. Il cristianesimo sembra col suo raccontare coprire quasi tutta l'Europa sin dal X-XI sec. e crederlo serve da progetto di conquista universale in fase di realizzazione a Roma sul Tevere inclusa Costantinopoli ortodossa. L'Impero Romano d'Oriente invece conosce molto meglio costumi e usanze musulmane giacché direttamente li contempla nelle steppe appena a nord del Mar Nero e sa trattare con loro traendone vantaggi maggiori e danni minori persino nelle conversioni. Un aspetto della civiltà costantinopolitana tipico e opposto a quanto vigeva in Occidente sui sessi e, secondo me, mutuato dai contatti con musulmani e popolazioni slave dei Balcani, era la posizione imperiale più articolata di fronte alla bisessualità istituzionale. Nei documenti del X sec. i sessi legalmente classificati nel genere umano sono comunque due e, secondo Simone lo Stilita, per il dio creatore il maschio sta in cima e la femmina è da questi comandata. Dopodiché ci sono gli eunuchi ai quali, per il fatto di non essere più preda del desiderio sessuale, possono essere affidate altissime cariche politiche e religiose. E che mai impedisce che cariche analoghe siano affidate alle donne nate già castrate dalla natura come racconta la Genesi? Purtroppo con Jaroslav e con suo figlio, Vladimiro 349 Monomaco educato alla corte imperiale sul Bosforo, non c'è traccia di espressioni chiare a riguardo né c'è traccia certa di eunuchi forse perché una burocrazia come quella era ancora in fieri nella Rus di Kiev. Il cristianesimo in genere era costretto a riconoscere alla pari il giudaismo con la circolazione della “sua” Bibbia (Tanakh o Pentateuco) in cui si descriveva una società con individui sessuati o maschi o femmina come l'unica possibile. L'ho già scritto: l'amore e la sessualità hanno un peso grandissimo in questo antichissimo credo figlio di civiltà mesopotamiche anteriori. Nella coppia eterosessuale fare all'amore è un obbligo ma mai senza il consenso della donna, soprattutto. La sessualità è un dialogo permanente fra uomo e dio giacché l'unione carnale rappresenta l'unità della creazione e dunque non è immorale né sporca. È un'attività piacevole separata dalla procreazione e perciò la sterilità, la menopausa, la gravidanza in corso non impediscono il coito. La famiglia ebraica ideale nasce e si basa proprio sulla passione immessa nella copula onde produrre figliolanza con l'intervento divino. Il coito prima e fuori del matrimonio promesso non è permesso e la coppia benedetta deve fare all'amore in luogo chiuso, di notte e possibilmente in silenzio affinché entrambi i partner siano concentrati sul fare all'amore e l'unico testimone deve essere e restare lo spirito divino. Il dio di Abramo ha promesso di riscattare l'offesa originaria che ha causato la dispersione degli ebrei per il mondo senza più una terra propria e può aver deciso di far nascere l'atteso messia proprio dalla coppia occupata a fare all'amore, purché 350 entrambi rispettino le regole. Nel Talmùd (v. il Sabato) si legge: «Nel momento in cui il serpente si mescolò con Eva, gettò dentro di lei una sporcizia che continua a infettare i figli da lei generati.» per cui, se si agisce con buona volontà e pulizia fisica e psicologica, la sposa potrebbe esser degna di esser visitata dal creatore e generare il Salvatore. carovana di ebrei rahdaniti sulla via della seta diretta in Cazaria L'influenza giudaica non andava oltre Kiev nelle steppe o fra i varjaghi in giro per il nord, sebbene il kahal kievano fosse antico e ben radicato nel podil della città dove aveva un quartiere riservato in cui si accedeva per la “Porta dei Càzari”. Eppure secondo me il meticciato presente in una comunità come Kiev o G. Novgorod accolse bene la maggiore liberalità e libertà sessuali che il giudaismo ammetteva rispetto al cristianesimo coi suoi numerosi veti. Nel Medioevo Russo comunque l'ebraismo non costituì un gran nemico ideologico da combattere per l'ortodossia poiché non faceva di regola proselitismo e 351 perciò era poco o per nulla conosciuto tranne il fatto di essere la religione dei dominanti càzari e di dipendere dai loro mercanti e artigiani per il commercio a grande raggio che prometteva sempre degli enormi ricavi al piccolo mediatore slavo di villaggio o nel budget di una città-stato e del suo knjaz. L'unica generatrice di uomini. Naturalmente il discorso fatto da me fin qui orbita intorno alla donna generatrice e si sa benissimo che la storia senza l'essere umano non si può scrivere poiché è lui stesso che si ingegna e si sforza di fissare gli eventi in una storia e questa si esaurirebbe quando l'umanità si dissolvesse in una specie Homo differente dall'attuale. Per questo motivo l'idea di tempo lineare che scorre in un solo senso verso una fine del mondo era impensabile nel paganesimo convinto di eventi ciclici senza fine inclusa la vita dell'uomo. Inoltre, benché la Bibbia ebraica sia la più antica delle Sacre Scritture monoteistiche note in Europa e che il Corano riconosca in essa la sue radici come fa il cristianesimo, la società che in essa appare è fortemente patriarcale e la poliginia è la regola e sull'argomento procreazione e fenomeni collegati governa l'ignoranza. La prima coppia umana, Adamo e Eva, scopre la sessualità e celebra il primo amplesso. Eva è colpevole di aver sedotto Adamo e averlo indotto a disobbedire agli ordini del creatore, mangiando il frutto dell'albero vietato. Per evitare infine che Adamo e Eva completino la loro deificazione mangiando altri frutti (??) dell'albero 352 della vita e della morte che li renderebbero immortali, il creatore li scaccia dall'Eden e la vita umana d'ora in poi terminerà con la morte ineluttabile e irrevocabile! Eva per tutto ciò è punita dal dio offeso che al cap. 3, vers. 16 della Genesi le annuncia: «Ti moltiplicherò grandemente il dolore e la concezione [del nuovo essere vivente dentro di te] e nel dolore tu partorirai.» La punizione di Adamo per la disobbedienza è enormemente più blanda: Lavorerà da capofamiglia per mantenere Eva e la prole. Quanto in particolare concerne il creare nuovi esseri viventi, la presenza del maschio non è richiesta esplicitamente se non con le dette incombenze poiché il creatore ignora il ruolo biologico dei 2 partner. La Bibbia purtroppo, scritta da mano maschile, non ha molta “curiosità” a sapere che cosa realmente accada alla nascita né “misura” il travaglio del parto con i suoi terribili e lunghi dolori fisici. Il maschio autore preferisce non indagare sulla pesantissima fatica assegnata alla femmina per far nascere un nuovo essere umano e considera l'alta mortalità della puerpera e del neonato come un'avventura esclusiva femminile che a volte finisce male. Le stesse mammane non sanno e non devono intervenire per lenire le sofferenze della partoriente e salvarla dalla morte col suo frutto, se dio non vuole. Non solo! Sull'argomento partorire alcuni punti nella Bibbia sono vaghi. Se la donna conosce lo spavento del primo sanguinare del suo corpo e i periodici dolori mestruali e da madre conosce il dolore fisico intenso e quasi ininterrotto del parto, il maschio al contrario attribuisce un qualsiasi dolore o problema fisico a magie e 353 sortilegi operati dalle donne su di lui e quando proverà individualmente un dolore per la prima volta, ne sarà terrorizzato e cadrà nella disperazione più nera (non dimentichiamo che parliamo di circostanze di 1000 anni fa). Così, non avendo imparato a sopportarli, implorerà la donna, incantatrice o ved'ma affinché gliene liberi. Oggi è diverso, l'ostetricia moderna riesce a ridurre il dolore al minimo e quasi sempre salva madre e nascituro. Non solo un maschio dottore assiste durante il parto, ma preserva nel periodo perinatale dalle infezioni e dalle malattie con vaccini e medicamenti. Nel passato ancora nel XIX sec. il parto era davvero una lotta per la vita e, a leggere le statistiche calcolate dagli storici, nel Medioevo mieteva un gran numero di vittime malgrado la presenza e gli aiuti di levatrici di esperienza nei villaggi. Per il Medioevo Russo informazioni dello stesso genere non ce ne sono né si riesce a trarre granché nemmeno dalla cultura orale. Tuttavia, presumendo condizioni fisiche e ambientali simili a quelle d'Occidente per il periodo X-XII sec., si può pensare a una situazione sanitaria non diversa per le partorienti del nordest seppur circondate dal mistero e dagli scongiuri sempre per timore di una nečistaja sila in perenne agguato. La conferma è proprio la funzione della dea Mokoša che presiedeva al parto e che, se da un canto nelle mentite spoglie di santa Parasceva imponeva di fermare la tessitura una settimana inesorabilmente per i dolori e i travagli che la madre di Cristo soffriva per la prossim a nascita cioè il Natale, d'altro canto era altrettanto pronta a accompagnare puerpera e neonato nel lunghissimo 354 viaggio verso il mondo pagano dei morti senza adeguate asepsi e profilassi. È una situazione che giustifica pienamente la poligamia, benché complichi ulteriormente la scala di accesso dell'anzianità al potere nella verv per i maschi, quando appunto accade che più figli nascono e sopravvivono nello stesso periodo da più mogli, riconosciuti da un solo padre. In casi del genere un comprensibilissimo e curioso uso slavo-orientale ha resistito fino al XV sec.: Si attribuisce ai bambini sopravvissuti all'infanzia un nome proprio accompagnato da >figlio/a di< e il nome della madre mentre al contrario è comunissimo oggi fra gli slavo-russi accompagnarlo col nome del padre. In breve un residuo dell'anteriore matriarcato e un segno della lotta maschile in atto per esautorare la donna. Non ho raccolto sufficienti informazioni sulla levatrice slavo-russa del X sec., ma posso immaginarla come la “nonna” della verv ormai in menopausa coadiuvata dalle altre donne di casa, tutte disponibili vuoi esperte vuoi inesperte pronte ad imparare. Non essendo in grado di addentrarmi oltre in campo ostetrico, sottolineo da incompetente che il parto non è così semplice come sembrerebbe. Ha delle fasi scomode e dolorose che si susseguono senza interruzione dalle prime spinte fino all'espulsione del neonato. Detto in modo semplice: (1) le doglie ossia quei dolori crescenti di intensità nella zona del bacino che annunciano gli sforzi coi quali l'utero sta preparandosi a svuotarsi (2) rottura del sacco in cui il feto si è sviluppato e fuoriuscita dalla vagina del liquido amniotico (3) movimenti vari, 355 rotazioni etc. che dovrebbero mettere in posizione a testa in giù il feto (4) dilatazione della vagina e apparizione della testa del nascituro (5) espulsione rapida del neonato (6) annodamento e taglio a monte, lato madre, e a valle, lato figlio, del cordone ombelicale (7) espulsione della placenta e anche qui con i tagli e gli annodamenti del resto del cordone ombelicale. La puerpera deve ora riposare giacché il travaglio oltre ai dolori forti e intensi è durato più di un'ora (a volte dura giorni) e la madre deve “a breve” allattare. A parte varie altre operazioni esterne al corpo della puerpera eseguite dalla levatrice, la placenta che le femmine dei mammiferi di solito divorano qui era pensata come il resto del segno lasciato dalla divinità per il concepimento. Rappresentava cioè nella forma rotonda piena di sangue vitale una parte dell'albero della vita e le anziane la ponevano a seccare perché, macinata, sarebbe servita a curare tanti malanni. Non sono riuscito a sapere se ne facessero qualche intruglio da dar da mangiare contro la sterilità o altro come più o meno alla stessa epoca faceva il movimento olandese delle beghine. Queste signore infatuate di fede e di sesso mescolavano e pestavano placente e sperma umano, mestruo con miele e farina per farne dolcetti (M. Onfray 2006). Detto ciò il travaglio e il resto si svolgevano nella banja, esclusivamente con gli uomini rigorosamente esclusi! Se visibili sono le donne della verv nel parto, invisibili sono invece le cosiddette rožanicy mandate dagli dèi per concorrere alla riuscita: 2 in prima battuta e la terza che avrebbe fissato la durata della vita del nuovo nato per 356 ultima. Il neonato passato in loro mano si credeva che ognuna lo toccasse qua e là nel corpicino infondendo al neonato/a nella parte toccata una qualità. I racconti popolari raccontano che si notava la loro presenza fisica perché lasciavano strane macchie sulla pelle nell'assegnare il destino o dolja e nelle pieghe delle mani e delle gambe fissavano la fine della vita ossia il giorno in cui Mara o Marena, Mora cioè la morte, si sarebbe presentata per il lungo viaggio nel mondo degli antenati. È chiaro che gli dèi avessero ascoltato le preghiere della una nuova madre e ne vigilassero l'esito nel parto, ma per la ferrea ciclicità degli eventi in natura un giorno l'essere umano sarebbe stato privato di forza vitale. Questa era la ragione di dare al neonato dopo i prescritti 7 o 9 giorni dalla nascita il nome: per i maschi il nome era composto di due elementi lessicali che auguravano imprese, vittorie etc. e per le donne nomi di fiori e di piante. Presso certe etnie nordiche si dava il nome di un antenato e nel chiamarlo con quel nome ad alta voce vedere la reazione del neonato, se per caso rammentasse la vita precedente e quanto essa era durata. Notevole è il mito dell'orso o l'eponimo dei popoli del nord e in particolare dei Rus'. Si crede ancor oggi che ci siano persone nate dagli orsi in una copula bestiale e che perciò vanno trattate con deferenza. A parte ciò l'orso è l'antenato dei Rus' e non va mai nominato invano (A. Leont'ev & M. Leont'eva 2017). In tutta questa rete di credenze, che accadeva dei parti di nati morti o degli aborti? Non è una questione minore 357 perché fa conto dei contadini del Medioevo Russo e delle relazioni madre-figlio, genitore-genitrice, comunitànascita e nascita-morte. Ciò che oggi chiameremmo amor filiale era un comportamento mal definito nei paganesimi di nordest e a seconda dell'etnia i bambini nati deformi o deceduti prima di essere accolti nella comunità o erano considerati un rifiuto vero e proprio (in lettone strunts) e perciò abbandonati nella foresta, se non proprio sacrificati agli dèi nelle feste solenni quasi a scusarsi con la Gran Madre Terra di una trascuratezza di non esser riuscita a portare a termine la gravidanza nel modo dovuto. I nati riscontrati malati o disabili erano ritenuti dei tentativi di una nečistaja sila di impadronirsi dell'essere umano per cui erano da sopprimere col loro maleficio. Forse aborti o feti deformi erano i grudy di Rod che solitamente diventavano gli esseri che i contadini raccontavano volentieri di aver visto sugli alberi, nei laghetti o udito cantare di notte fra i tanti rumori che si odono nel fitto degli alberi. Fra le etnie nordiche, nella tundra non così fitta come la selva a sud (taigà), i resti del genere detto sopra erano bruciati insieme alle placente e le ceneri sparse al vento, se non piuttosto raccolti con cura e posti nelle caverne dei Monti Urali dove reliquie di quegli antichissimi riti le hanno ritrovate gli archeologi allo stato fossile... Va messo in evidenza che (1) per i musulmani la vita del feto inizia nel ventre della madre con la concezione cioè, lo ripeto, che ci sia stato l'invio da parte di dio della materia vivente, ma il feto diventa essere umano soltanto se il neonato sopravvive fino al 120° giorno dopo la 358 nascita e (2) per gli ebrei nel Talmùd è scritto che fino al 40° giorno di gravidanza (calcolato dalla scomparsa del mestruo) l'embrione non è che qualcosa simile all'acqua e finché non viene fuori vivo dal ventre di sua madre non esiste come essere umano ed è possibile liberarsene senza pensarci troppo. Nel paganesimo slavo-russo non si trova un'unisona descrizione della forza vitale simile a quella cristiana del soffio divino o anima della Genesi! Pare che gli dèi concedessero la possibilità alla generatrice tramite un'invocazione appropriata al chiaro della luna piena di costruire nuovi esseri umani aventi un cuore che produce il sangue cioè la forza vitale, ma per l'appunto doveva essere la donna a desiderarlo nel feto che avrebbe ricevuto. Poiché nel paganesimo del nordest non si concepisce la dicotomia corpo-spirito e il corpo fisico è la persona stessa, perdere sangue è perdere forze vitali e ciò spiega la debolezza della donna dopo il parto e tanto peggio dopo il mestruo. Non spiega malgrado tutto come mai la donna non ne muoia tanto spesso, specialmente dopo il mestruo quando invece con una tale emorragia quasi certamente un uomo ferito ne morrebbe. Il sangue mestruale è perciò temuto come liquido misterioso e magico e comunque sacro e la donna considerata l'eterna malata Siccome Cristo è l'ultimo ad arrivare nella Pianura Russa (fra i lituani arriva nel XIV-XV sec.!), deve affrontare i differenti modi di vedere bambini, madri e nascite che funzionano bene o male da tempo fra le etnie che coabitano nella biocenosi di nordest. Non pare che 359 col cristianesimo le cose cambiassero molto. Cristo, ad esempio, si adattò a farsi circoncidere perché non voleva essere diverso dai suoi correligionari ebrei e l'uomo è il signore delegato dal creatore sugli esseri viventi tutti, specie sulle donne e perciò non dovrebbe trasformare il corpo vivente con interventi chirurgici! La donna però deve ammettere la sua soggezione all'uomo e deve conservare il sesso per lui soltanto. Per il pensiero cristiano definire il sesso è importante e inevitabile poiché ciò che viene fuori dall'utero di una donna fatto di carne deve essere battezzato in ogni caso. E se il feto vien fuori senza vita in un aborto procurato e non spontaneo? È comunque un corpo umano carico del peccato originale con un'anima da ritornare al creatore. Quanto al parto, esso passerà tardivamente in tempi post-medievali sotto il controllo della chiesa ossia quando i preti, maschi per definizione e non per vocazione, non si fideranno più del personale femminile. Le mammane sono donne di malaffare e potrebbero eseguire operazioni chirurgiche deturpanti sui neonati o – scandalo! – aborti. Peraltro accoppiarsi durante la gestazione non era desiderabile poiché poteva disturbare la crescita regolare del feto e la gestante doveva rinunciare a ogni contatto maschile compresa la copula e presso certe comunità la futura madre era rimandata alla verv di provenienza a partorire. E come si fa a controllare ciò? Tramite la confessione obbligatoria al parroco magari dopo il parto. E il maschio? Per un bel po' di tempo “dimenticava” la consorte e già la rimpiazzava! Di sicuro manteneva l'impegno di proteggere la madre, ma finché il neonato 360 maschio restava affidato alle di lei cure, se ne disinteressava di madre e neonato. Sarebbe intervenuto nell'educazione post-natale non appena il bimbo alla pubertà fosse considerato degno di essere un nuovo membro del Rod. Un confronto di piani educativi paterni slavo-russi con quanto avveniva in area scandinava è abbastanza curioso. Si pensava che l'educando sottoponendosi ai riti dal coito intracrurale alla fellatio, imparasse che da maschio per il resto della vita non si dovesse trovare mai come una femminuccia nella parte umiliante di partner passivo. E se il neonato era una femmina? Rifacendomi a quanto raccontato sin qui, è chiaro che fossero le anziane di casa a decidere che farne in quasi assoluta autonomia! La sterilità? Si credeva di risolverla prima che si notasse frequentando sorgenti e luoghi sacri di ogni genere per riuscire ad avere figli. Ci si recava, appunto solo femmine, con offerte quali cibi speciali, nastrini colorati da legare ai rami degli alberi sacri o statuette poste nei luoghi appropriati o si correva alle fonti magiche per irrorarsi la vulva con acqua santa etc. In conclusione, eccetto i riti orgiastici, col cristianesimo tutto ciò rimase e niente di diverso da quei rituali pagani fu instaurato nell'implorare l'intervento delle divinità. Solo le forze divine pagane della natura furono ora rimpiazzate da diversi santi patroni cristiani che elargivano i benefici di fertilità. E se la puerpera muore? Se ne farà il funerale col rito cristiano, mentre l'eventuale neonato rimasto in vita rimarrà affidato alle donne di casa o si cercherà nel vicinato chi potesse allattarlo finché non si deciderà 361 altrimenti. In ambito pagano il concetto di vedovanza era mal compreso e l'opzione per il maschio, pagano e poi cristiano, era procurarsi un'altra consorte persino senza matrimonio canonico, senza curarsi granché del bimbo che oggi affideremmo al vedovo. La chiesa in un tale legame vedovo-donna di comodo marchia col disprezzo la concubina seppure la tolleri dietro pagamento della corrispondente dispensa vescovile. D'altronde neppure il cristianesimo è definitivo sul numero di mogli da poter sposare durante una vita, benché il divorzio sia respinto. A leggere Matteo (19, 5) uomo e donna diventano una carne mentre Paolo nell'epistola ai Corinzi (1 Cor. 2, 26) scrive che è meglio non sposarsi. E la vedova? Dati non pervenuti nelle CTP! Questi però sono costrutti culturali ripercorribili con gran difficoltà per la scarsità dei documenti e si intuisce che fossero legati all'economia dei riti a pagamento della chiesa russa e che nel Nordest si agganciavano agli usi tradizionali senza la mediazione dei parroci. 362 Capitolo dodicesimo 363 Il nuovo ordine Se Costantinopoli nel Medioevo era creduta la cittàmodello cristiana sia per l'architettura sia per la vita quotidiana che vi si conduceva, non lo era affatto in ambito sessuale in cui il modello cristiano di castità e senza peccato, almeno fra la nobiltà non era per niente emulato. I Patriarchi, personaggi solitamente abbastanza laici, se ne lamentavano sebbene vi partecipassero... Le regole e i veti di comportamento che il cristianesimo ci ha tramandato nella letteratura cosiddetta edificante sulla coppia, sull'adulterio, sull'incesto e sui divertimenti amorosi erano ampiamente ignorati sul Bosforo e se ne faceva oggetto di satira. E il cittadino costantinopolitano comune quanto si discostava dai nobili in ambito sessuale? E la gente delle regioni limitrofe lungo i confini imperiali quanto percepiva di questi costumi? E come li giudicava? Mi è sembrato importante fare una breve ricognizione nella situazione intorno al X-XI sec. dato che il cristianesimo nella Rus di Kiev – come ho scritto e detto – giunse dal Mar Nero via Crimea con un bagaglio abbastanza massiccio di usi e costumi sedicenti migliori da imporre alla gente pagana e selvaggia di Nordest. Secondo alcuni storici post-sovietici il cristianesimo che arrivò a Kiev era in certa misura aberrante e quasi eretico di “colore” bulgaro e che nella sessualità non fosse composto di rituali molto diversi da quelli pagani che 364 prevedeva di combattere. In ogni caso a me serve puntare il dito sul fatto che il X-XI sec. è un periodo di crisi per il cristianesimo e per la sua organizzazione missionaria e che nella Pianura Russa i primi parroci e i diaconi di sicuro erano gruppetti di gente del popolo dell'etnia bulgara danubiana unici col vantaggio linguistico di padroneggiare allo stesso tempo un dialetto slavo e un dialetto turco. Erano predicatori più che parroci con famiglia mandati allo sbaraglio a ricrearsi una vita in terra straniera finché, essi stessi paganeggianti, non riuscivano con vari espedienti a coinvolgere i locali ad accettarli dopo averli sommariamente istruiti nel giro del lavoro parrocchiale. I compiti erano chiaramente distinti: da una parte i parroci con le prediche, i giochi di prestigio e dall'altra i locali a far da claque e da servizio d'ordine, ma soprattutto a raccogliere le offerte dagli astanti. I giovani parroci nell'insediarsi nella sede loro assegnata dovevano star bene attenti a non infastidire le ragazze barbare per non inquinare così l'esempio che il parroco stesso impersonava col suo lavoro del vivere cristiano monogamico. Ne ho già parlato e per ora non mi ripeto... Quel che mi interessa invece è la crisi del sistema Impero Romano cristiano, militarmente incalzato senza tregua dall'islam. La nuova religione monoteistica ha invaso l'Europa (Spagna in particolare) già nel VIII sec. mentre i paganesimi coprono con le loro mitologie oltre i ¾ del continente senza che i patriarcati interessati abbiano i mezzi sufficienti per sgominarli. In breve l'Impero Romano, potenza dominatrice dall'Atlantico ai confini con la Cina e dai mari settentrionali fino al 365 deserto del Sahara e all'Oceano Indiano, in ben 6 secoli col cristianesimo, religione dello stato, e all'unisono con le azioni militari aveva rafforzato la sua presenza in questi enormi territori. L'espansione costata molto cara, dopo un evidente seppur parziale trionfo simboleggiato dall'inaugurazione del tempio cristiano più grande del mondo, la cattedrale dedicata alla sapienza del creatore o Santa Sofia, gran parte di ciò che aveva costruito in chiave imperiale nel Vicino Oriente stava crollando ora distrutto dalla ventata iconoclasta dell'islam. La nuova religione “del deserto arabico” nel VII sec. aveva già fagocitato il nord Africa e islamizzato il Mediterraneo tanto che nel X sec. si può dire che il controllo dei traffici marittimi fosse in mano musulmana. Alcuni Patriarchi, ognuno con i propri gelosi collaboratori, avevano visto i territori una volta ben delimitati (almeno sulla carta) rimpicciolirsi col nuovo ordine islamico. Le sedi di maggior prestigio cioè Roma sul Tevere e Roma sul Bosforo, quasi felici che i patriarcati minori fossero stati messi fuori gioco, si battevano opportunisticamente per il primato e facevano la voce grossa. Col grande scisma del 1054 le due Rome diventeranno aspre nemiche perché la prima non è più a capo di un impero universale, mentre invece la seconda ne rivendica uno che durerà per quasi 1000 anni ancora. Alla fine del XIII sec. la scissione del cristianesimo in occidentale cattolico-romano e orientale ortodosso sarà sancita per sempre dal proclama di Innocenzo III il quale papa conferma di essere lui stesso l'unico rappresentante di Cristo (e del dio creatore) sulla Terra con le parole: 366 «Nostro Signor Gesù Cristo ha posto una sola persona come suo vicario universale a reggere tutte le cose e ogni autorità deve obbedire a questo vicario poiché ci sarà un solo gregge e un solo pastore.» In tale contesto si informano due politiche dottrinarie cristiane diverse e sedicenti universali in contrasti reciproci spessissimo cruenti per l'intero Medioevo. Malgrado ciò, la politica di Costantinopoli è contingente alla sua geografia ed è per la creazione tutt'intorno alla città capitale di stati-satelliti, evitando di incorporare popoli alieni se è possibile e contando invece di trasferire ogni spesa di conquista o di difesa sulle spalle dei nuovi cristianizzati che la sua organizzazione religiosa riesce a fare. Invasioni, attacchi che Roma intraprendeva di frequente nel passato diminuiscono e verso il IX-X sec. si ricorre frequentemente agli accordi, alle donazioni e ai contributi annuali per mantenere la pace con i barbari sui confini ondeggianti. È centrale per l'ideologia in tali frangenti che la quotidianità dei nuovi credenti a casa loro debba esser riadattata per entrare nei prevedibili modelli di controllo imperiali ben collaudati. Il personale ecclesiastico curerà questo aspetto nella missione e si preoccuperà in altri termini di “istruire” le élites barbare che governano (senza saperlo in nome di Costantinopoli) affinché le loro “inclinazioni religiose pagane” siano definitivamente abbandonate e possano meglio “edificare” i costumi cristiani fra i “governati” i quali di solito accettano nuove regole solo se sono appunto promulgate dalle loro élites. Sessualità e riproduzione, relazioni fra coloro che procreano e loro figli sono gli 367 obbiettivi primari da riformare soprattutto sfruttando quello che la chiesa sa far meglio nelle comunicazioni di massa: lo spettacolo dei suoi riti in pubblico! D'altronde Basilio di Cesarea (IV sec.), il più famoso dei padri della chiesa ortodossa insieme con Giovanni Crisostomo nel suo Esamerone (Hexameron) aveva fissato riti e liturgie e ne aveva indicato i teatri: Le chiese, le strade e le piazze nelle città. Erano luoghi da riorganizzare cristianamente mentre nelle campagne le cappelle andavano moltiplicate o le grotte, ricettacoli di peccatori e di diavolerie, anch'esse erano da santificare trasformandole in chiese o conventi! Mi sono allora domandato: Che sa la chiesa dei barbari e cioè se fare all'amore è la stessa cosa in ambienti cristiani e in ambienti pagani? E perché mai Cristo nel VIII sec. aveva abbandonato il suo gregge nel nord Africa e nel Vicino Oriente all'islam che in una manciata di decenni era riuscito a cancellare i costumi e le obbedienze di migliaia di battezzati? È un'atmosfera di rammarico maschile poiché l'appena nominato Innocenzo III lascerà persino scritto: «Creato è l'uomo da un seme schifoso, concepito è nella foga della carne, nel fuoco della lussuria.» E rammento che lussuria – dal lat. luxuria rad. *lup-/lub- – vuol dire semplicemente fare all'amore (A. Ballhaus, 2009). E la donna? Peggio che mai per lei e per la sua genìa! È un maschio incompleto perché nata priva di sesso e il suo ruolo è risparmiare al maschio le fatiche della gestazione, i dolori del parto e il lavoro educativo dei figli almeno per il tempo occorrente a insegnare a muoversi e a parlare 368 giacché, una volta svezzati e indipendenti nel corpo, i bambini dovranno passare sotto la dura pedagogia a cui è deputato il padre (per i figli delle élites la delicata incombenza sarà intrapresa dal prete) che includeva l'obbedienza assoluta al maschio maggiore d'età. Comunque lungo il Volga, dalle rive del Mar Caspio e dalle steppe, l'islam fa le sue incursioni sui popoli della Pianura Russa e, siccome sulla sessualità l'islam la pensa in modo diverso dai cristiani, nei mercati dove i musulmani trafficano come ad esempio sul Bosforo Cimmerio a Kerč-Panticapea o a Bulgar-sul-Volga, si continua a accogliere con curiosità le idee sul concubinaggio a termine, sulla schiavitù, sugli eunuchi, sull'omosessualità etc. che indirettamente gli stessi mercanti-viaggiatori musulmani trasferiscono poi in Occidente con i commerci che in pratica non sono mai cessati. Non solo! Nei porti italiani e francesi si viene a sapere che la sessualità in area musulmano-persiana è da tempo studiata dal lato igienico-sanitario sulla base di sperimentazioni e che si producono trattati medicospecialistici per la pratica medico-igienica. Sfortunatamente per me che faccio ricerca, storica gli argomenti d'indole sessuale sono tabù “letterario” nella Roma sul Bosforo e la produzione di epigrammi e di romanzetti pornografici che invece ho riscontrato, sono i testi clandestini dei gruppi elitari che possono disporne, leggerne e discuterne in esclusiva, ma che non possono propagare o usare a scopo pedagogico. Le operette descrivono una “paganità” nell'Impero Romano d'Oriente imperante quasi intatta persino nelle aree ufficialmente 369 cristianizzate e appare nelle agiografie come etichetta per indicare i dettagli di una vita licenziosa precedente al santo di cui si narra la vita. Al lettore se ne fa conoscere ogni aspetto pratico poiché le attività sessuali sono descritte nel modo il più possibile accurato, seppur bollate come impure e vietate. I testi si concludono col ravvedimento del santo che condanna ogni copula del suo passato e che perciò, rinsavito, per il resto della sua vita si dedicherà all'ascesi celibataria! Col monopolio dello scrivere nelle mani dalla chiesa e con la ridottissima conoscenza dell'entroterra kievano e delle sue tradizioni, il lettorato o un'udienza popolare in realtà manca a chi insegna il catechismo. Ammesso e non concesso che i parroci conoscessero e diffondessero gli scritti adatti, i penitenziali, tutto si riduce nella Rus di Kiev a un dialogo approssimativo fra parroci e parrocchiani sui peccati, salvo il mercanteggio delle penitenze distribuite su basi improprie e approssimative. Né ciò che raccontavano i contadini nella sfera della loro sessualità era ascoltabile fuori dal contesto della confessione, poiché in ogni caso il barbaro stava subendo una sua soggezione al demonio e, se perseverava nelle pratiche sessuali perverse, si stava preparando all'inferno dopo la morte. E quale parroco sarebbe stato in grado di domandare, ad esempio, informazioni sulle feste che “i contadini” in solennità celebravano nella copula orgiastica che la chiesa proibiva? Informare il parroco e a che pro? Dava un ”pruriginoso fastidio” agli ecclesiastici più giovani pur sposati sapere troppo sulle pratiche amorose pagane e di conseguenza si rischiava l'intensa 370 eccitazione seguita dal desiderare di applicarle loro stessi magari con la propria consorte. Costumi barbari da osteggiare. Di certo i festival pagani erano orge (jobki) dette dissolute e tali da infamare qualsiasi battezzato che ne avesse soltanto accennato nei discorsi per sentito dire. Qualche parroco più accorto ne aveva scritto al proprio vescovo e meno di quanto ne avesse visto coi propri occhi... affinché non sorgesse il sospetto di avervi partecipato di persona o addirittura con la famiglia! Occorreva che le loro consorti non frequentassero le “colleghe” contadine per timore che poi fossero infettate da desideri di piaceri illeciti. Dai racconti popolari sappiamo che il parroco le giudicasse discinte e volgari, le ragazze barbare, e ricordasse a tutti i parrocchiani che Cristo era pronto a punirle ogni volta che esse indulgevano in maniera terribile nel corpo e nell'anima di chi con loro amoreggiava. La salvezza? Frenare ogni impulso con donne straniere e, a seguire, pentimento e penitenza onde ottenere dal creatore il nuovissimo assurdo perdono e dimenticare liti e vendette. Eppure orgia, la tanto deprecata parola della copula sfrenata, è altresì un termine tecnico greco-latino riferito all'offerta di sacrifici alle divinità nelle diverse solennità del paganesimo classico, compresa la copula rituale (ierogamìa) in onore di Cibele, Bacco, Iside etc. Orgia deriva dal verbo greco όργάω (orgào) che 371 significa divento turgido come un frutto maturo da cogliere ossia, traslato, ardo dal desiderio. La radice indoeuropea *org- di orgào ha la variante *erg- che significa eseguire un lavoro preparato alla fatica coi muscoli gonfi. Nella metafora sessuale e sacra orgia si riferisce al ruolo sacrificale del fallo (lat. virga dalla stessa radice e in italiano verga) che inturgidisce dal desiderio urgente di copula (lat. urgeo dalla stessa radice significa spingo o sono stimolato intensamente pronto a assalire o il verbo ergo che si riduce a andare in cerchio). Grandissima era la paura nel maschio per la potenza magica della vulva, caverna morbida e calda in cui il suo fallo, simbolo di potere, si adagiava in onore degli dèi. Benché ne traesse piacere e fosse gradito alla divinità, quando il fallo esce dalla vagina e s'affloscia, il maschio deve riposare. Ecco, tutto ciò restava pur sempre un mistero temibile, nel caso che non si fosse ripetuto. A parte le etiche moderne che in ogni caso non possono negare la bellezza di questa realtà “pornografica” umana, nel mondo pagano lo spettacolo più esaltante pieno di sensazioni e di piacere fisico restava la copula di due o più giovani corpi ben fatti con tutta la serie di manipolazioni reciproche fino all'eiaculazione di sperma da spargere sul luogo consacrato. Né si deve dimenticare che allo spettacolo ierogamico gli astanti partecipavano nudi e eccitati e con urli di incoraggiamento o gufate parteggiavano per l'uno o per l'altro partner con battute di mani etc. in un'atmosfera di festa intensa e allegra. 372 metopa sheela-na-gig nella chiesa di santa Maria e san Davide nell'Hertfordshire in Inghilterra Chiudo queste annotazioni e confermo che le copule orgiastiche non terminavano con l'eiaculazione in vagina, ma al contrario lo sperma doveva cadere sul suolo e alla donna non era permesso conservarne dentro di sé senza compire un sacrilegio (skorb, merzost). Aggiungo che nell'Edda islandese il norreno argr è il maschio che si fa copulare come una donna riferendosi al rito scandinavo omosessuale (T. Vanggaard, 1971) contro un pericolo che incombe. Pertanto era ben noto ai varjaghi Rus in viaggio e non sempre con donne al fianco, ma soprattutto non era considerato scandaloso perché compiuto in onore degli dèi. L'argomento però è più vasto, ma siccome concerne prettamente gli scandinavi non mi dilungo oltre e rimando alla M. Dashu (2018). Queste considerazioni di archeologia linguistica ciò 373 malgrado consentono di inquadrare meglio le feste orgiastiche che si ripetevano da secoli per mantenere l'ordine nel mondo. L'ossessione di combattere i paganesimi sotto qualsiasi forma, specie se implicava amplessi, non permetteva alla chiesa russa di tener conto della strettissima connessione fra agricoltura e lo scopo dell'orgia stessa che era tesa piuttosto che alla goduria, a rendere meno spiacevoli le dure vicissitudini climatiche nel lavoro dei campi e attenuare il timore di dover vivere un domani senza cibo a sufficienza (anche per pagare l'obolo di san Pietro). Insomma osteggiata dal cristianesimo e non potendosi eliminare sic et simpliciter la copula orgiastica e i festival con essa collegati, alla fine ci si accontentò di assimilare le festività pagane ai riti della chiesa dove però al centro c'era un maschio, Cristo o un equipollente divinità, ricorrendo alle sagre dei santi e alle processioni per strada... ma senza ierogamìa! La chiesa non capì bene che la primitività degli strumenti e la tecnica di coltivazione usata costituivano le cause di una precarietà della vita rurale perennemente esposta a carestie e a morie di animali nella stalla, senza parlare delle malattie dovute alla cattiva nutrizione. Riconobbe invece che finché l'unica energia (forza interna) da sfruttare erano i muscoli umani, specialmente quelli del maschio, l'unico sistema di potere possibile per tenere insieme un gruppo era quello al cui vertice vi fosse il maschio e il suo fallo attivo, giustificando appieno le facoltà del capofamiglia. Alla fine fu concessa una sola festa sfrenata nell'anno 374 del calendario cristiano imposto nella Pianura Russa: Il Carnevale. Fissata in inverno prima che iniziassero i lavori agricoli, ne fu ammesso lo svolgimento rituale libero e così il Carnevale risultò del tutto assimilato alla Maslenica, analogo festival pagano che permetteva il contrario di ogni normalità per un'intera settimana, almeno entro ristretti limiti e proibizioni su cibi e vestiti. Lavoro agricolo, religione e sessualità. Le attività produttive umane sono interconnesse con la vita della biocenosi in cui l'individuo vive e perciò in qualche tratto permettono di distinguere in maniera netta il meridione dal settentrione della Pianura Russa. È importante giacché per chi abita in una o nell'altra area nell'epoca medievale pur con ridottissimi scambi si creano aspettative, desideri e intenzioni a volte diversi a causa della geografia e dell'insieme climatico. Non è un modo di descrivere semplicistico popoli e paesaggi, ma si tratta di vedere gli effetti negativi di qualcuno dei numerosi eventi che l'uomo percepisce con i suoi stessi occhi allorché disturbano e minano il quotidiano. Eventi e quali effetti? La durata eccessiva dei solstizi! Per gli uomini di quei tempi quando questi eventi si verificano, la necessità di blandire le forze provocatrici divine esige inventare i riti atti a ottenere una “risposta” divina favorevole. La durata eccessiva dei solstizi è una caratteristica che non poteva non segnare il paganesimo del nordest europeo e persino profondamente. Lo vediamo nei tratti peculiari del sistema delle forze divine 375 immaginate in azione in quei momenti dell'anno. Di conseguenza nessuna di quelle divinità pagane nordiche che tali eventi governavano poteva esser sostituita da qualsiasi altra che non avesse poteri divini almeno maggiori... come invece pretendevano i cristiani. Ordunque, nel solstizio estivo (approssimativamente 23-24 giugno ancora 1000 anni fa) il sole restava a picco sui campi per tutta la giornata e quasi tutta la nottata con una temperatura raggiunta fino a ca. 40 °C e per qualche settimana sotto l'elevato ardore i campi seccavano e il vento soffiava via la superficie secca e pulverulenta, ma fertile. Soltanto le Terre Nere (černozjòm) riuscivano a trattenere l'umidità nel loro suolo argilloso e purtroppo gran parte dei contadini non abitava nelle Terre Nere... Nel solstizio invernale (23-25 dicembre c. s.) il buio era totale per la lunga durata della notte e la temperatura, analogamente in discesa già da qualche settimana, toccava picchi negativi fino a -38/-39 °C. Il terreno gelava coprendosi di uno strato di ghiaccio che cominciava a sciogliersi soltanto verso maggio a sud del Circolo Polare trascinando con fiumi di fanghiglia cioè parte della preziosa superficie coltivabile. A nord del Circolo Polare Artico occorreva aspettare con lunghi mesi di quiescenza che le rive del mare Artico e le superfici dei grandi laghi si liberassero dal ghiaccio e si potesse tornare a pescare e a cacciare, avendo esaurito le riserve di cibo invernali. Ibn-Fadhlan nell'anno della sua permanenza a Bulgarsul-Volga – 921-922 – visse queste e altre stranezze ambientali mai immaginate nel vissuto precedente nella sua natia Baghdad e le descrisse con sorpresa e 376 meraviglia servendosi logicamente delle sue conoscenze scientifiche. Alcune spiegazioni dei locali le accettava e le riportò, altre invece le ha lasciate come curiosità delle mitologie regionali non discreditandole, ma ascrivendole comunque alla grandezza del dio di Abramo. Di certo i costumi sessuali dei bulgari del Volga, ad esempio, risentivano delle condizioni ambientali, ma il nostro autore ce ne dice molto poco perché probabilmente li assimilava alla normalità dei costumi vigenti presso i nomadi turchi e senza tante contraddizioni con le prescrizioni coraniche in generale. Incuriosisce invece quel che racconta dei Rus i quali, è da precisare, fino alla costituzione dello stato Rus di Kiev non sembrano un'etnia a sé, ma erano degli svedesi mercenari che andavano e venivano nella Pianura Russa. Gli slavi il nostro autore li conosce col nome di saqaliba e l'emiro dei bulgari del Volga se ne dichiara il malik ovvero, dico io, il padrino mafioso. L'emiro stesso viene da Kiev ed è figlio del “governatore” (illetver/baltavar in turcobulgaro) di quella città in quel momento storico (X sec.) sotto dominio càzaro e dove dei Rus si accasermeranno e in seguito si fonderanno con gli slavi. Ho scritto del meticciato etnico quasi perenne nella Pianura Russa, ma il termine appare alquanto impreciso perché può far intendere che la copula riproduttiva fra due membri allogeni producesse nelle fattezze corporali della prole rimarcabili sconvolgimenti e ciò non è. Fino al XVI secolo, a quanto sembra dalle informazioni lasciate dai viaggiatori stranieri che visitarono la Pianura Russa, il fenotipo umano slavo-russo era abbastanza omogeneo e 377 le differenze etniche si basavano prima di tutto sulle lingue parlate da ciascuno. Le classifiche “razziali” certamente rispondevano alle teorie fisico-mediche tramandate dalla ricerca scientifica greco-romana antica che, ben studiate nell'islam centroasiatico, circolavano, pur in maniera minimale, a Kiev e a G. Novgorod veicolate, secondo me, dai bulgari del Volga (G. Heng 2018). Noi qui ne rammenteremo qualcuna dato che nel Medioevo in base all'aspetto fisico si credeva di poter prevedere persino il comportamento sessuale di una persona e di qui... la validità del maschio nel prendersi certi incarichi. Parto da Ibn al-Faqih (prima decade del X sec.) il quale esalta la perfezione fisica dei centro-asiatici iracheni facendo notare la loro differenza in positivo con gli slavi in negativo. «[Gli iracheni] non vengono alla luce con un colore che va dal biondo, al marrone, allo slavato, al lebbroso come i neonati usciti dall'utero delle donne degli slavi...» Ancora un musulmano, stavolta dalla Spagna (Toledo), Sa'id al-Andalusi (XI sec.) descrive per sentito-dire le genti del nord europeo e scrive: «Nel caso di coloro che vivono più lontani nel nord, tra l'ultimo dei 7 climi e i limiti del mondo abitato, la distanza eccessiva del sole in rapporto alla linea dello zenit rende l'aria gelida e l'atmosfera densa. Il loro comportamento è di conseguenza frigido, i loro umori sono grezzi, il loro ventre sporgente, il colore della pelle pallido, i capelli lunghi e lisci. Pertanto difettano di acutezza di comprensione e di chiarezza d'intelligenza e 378 vengono sopraffatti dall'ignoranza e dalla stupidità, dall'assenza di discernimento e dall'ottusità. Così sono gli slavi, i bulgari e i loro vicini.» Infine Nasir al-Tusi (XIII sec.) scrive nel suo Trattato sulle pozioni che stimolano il sesso: «Per quanto riguarda chi ha la pelle bianca, essi si dividono in due categorie e cioè 1. chi ha un colore chiaro [della pelle] e begli occhi e 2. chi ha un colore [della pelle] che tende al giallo con capelli [pure] gialli. Il gruppo della seconda categoria posseggono un'alta libido. Quelli che invece sono bianchi di pelle, ma con temperamento flemmatico hanno membra flaccide né sono forti abbastanza da poter sostenere la copula. Se copulassero eccessivamente potrebbero anche morire e quindi è consigliabile che stiano molto attenti quando si impegnano in un coito.» E a proposito di igiene sessuale nel XIII sec. comincia a circolare in Occidente l'opera De Coitu di Maimonide, giudeo spagnolo, mentre a Montecassino Costantino Africano, converso ex musulmano, arriva portando con sé in ambiente ecclesiastico cristiano e traducendoli in latino parecchi testi in arabo dove si tocca la sfera sessuale e l'igiene relativa come lavarsi prima e dopo. Un testo dei suoi diventerà un altro De Coitu che la Scuola Medica di Salerno userà a piene mani tanto da poter leggere testualmente (1200 trad. mia) nelle Quaestiones Salernitanae : «Di tutto ciò che è naturale, nulla è rivoltante!». Frase rivoluzionaria per un cristiano dato che la zona genitale era considerata impura e così lavarsi non altro che un rito di purificazione diabolico fino al 379 XV-XVI sec. E sempre in ambito salernitano alla stessa epoca chissà se giunse nel nordest la “ricetta” di Trota, la prima medichessa europea, per evitare gravidanze (la riduzione del testo è mia da L. Kang & N. Pedersen 2019). «Catturate una donnola maschio. Recidete i testicoli dell'animale e rilasciate in libertà. I testicoli siano avvolti in un sacchetto di pelle d'oca e che la donna li porti appesi in mezzo ai seni. Così si impedirà la gravidanza dopo ogni coito.» La ricetta suona di origine certa dal Centro Asia (poco probabile trovar donnole nel Salernitano!), eppure, malgrado gli scritti scientifici che in qualche modo erano trascinati in Occidente, le autorità cristiane tenaci si aggrapperanno alla loro teologia e nulla farà loro cambiare idea sia sul Tevere sia sul Bosforo (questa più influente della prima fino al XIII sec.). L'attività sessuale resterà definita nel dogma del matrimonio cristiano (dopo il Concilio di Trento, XVI sec., diventerà “un sacramento”, un “remedium concupiscentiae” cioè un rimedio alla schifosa libidine), mentre fuori dalla coppia consacrata, persino se nel matrimonio non si prevede uno scopo procreativo, fare all'amore è certamente peccato giacché si scivola nella bieca passione animale. In breve le fonti dei musulmani nei cortili delle moschee e la banja slava erano luoghi di perdizione! E pensare che lavarsi poteva considerarsi l'unico contatto del corpo non peccaminoso con l'acqua visto che anche per i cristiani era obbligatorio il bagno nudi nella fonte battesimale prima che s'abolisse questo spettacolo ritenuto impudico! Attenzione però! Si userà la parola procreare in latino 380 per la posizione della madre umana al posto del creatore perché, benché sembri che ciò avvenga, essa non crea un essere umano nuovo, ma fa nascere ciò che dio le manda. La femmina diventa madre perché è stata consacrata e benedetta tale dal santo matrimonio con quel consorte determinato e non perché si sappia come funziona il concepimento. Al maschio-padre infatti putativo, il creatore ha affidato altri “superiori e onorifici” ruoli che non una volgare cavalcata sul corpo della moglie. Atteggiamenti del genere nel nordest resteranno alieni, sconosciuti e inspiegabili. La gente pagana, cittadina o rurale, continuava a vedere la copula come l'espediente preferibile per entrare in comunicazione con le potenze divine in modo immediato sia nei casi di richiesta di privata intercessione sia nel caso più allargato ricorrendo alle celebrazioni orgiastiche. Quando poi scrivevo del rapporto dei Rus con le divinità pagane secondo il racconto di Ibn-Fadhlan, accennavo alla tipica connotazione “mercantile” nel chiedere un aiuto a un dio che l'autore arabo aveva notato. Da tal genere di approccio è facile dedurre che far entrare una nuova divinità nel mondo pagano senza la “prova della sua potenza” era impossibile e che nessuno osasse imporre un monoteismo incomprensibile e caparbio. Ritornando ai solstizi, la loro origine cosmica resta confusa fra le varie versioni magico-fantastiche che circolavano e, essendo arduo farne una sintesi o una selezione, diciamo che la credenza, almeno nel caso invernale, era l'eterna lotta fra la Luce e le Tenebre di derivazione zoroastriana-manichea. 381 La Luce è quasi logicamente tutto ciò che distribuisce il dio del cielo col suo carro del sole sorgente dalle acque al mondo inferiore e nel mondo slavo il dio è Svarog (o forse anche Perun con un po' di mescolanza sulle attribuzioni) che si batte con la Tenebra del dio-serpente Veles/Volos. Quest'ultimo, si racconta, è stato derubato di una parte delle sue vacche e lui per rappresaglia ha rapito la sposa del dio del cielo e l'ha portata con sé sotterra. Alla difficile ricerca della divina sposa Svarog/Perun lascia che Veles occupi il cielo e ostacoli il percorso del carro del sole ogni giorno. Le Tenebre perciò avanzano e l'uomo vede allungarsi la notte con la paura che il sole non ritorni e tutto: piante, animali e uomini, muoiano. Più si sale in latitudine e più si accentua il fenomeno solstiziale e nessuno ha la certezza che il sole ritorni. Che fare? Gli antenati che avevano vissuto quelle paure avevano lasciato una speranza nel celebrare grandi lamentazioni e dei riti propiziatori affinché la Luce prevalesse sulla Tenebra.... entro 7 giorni! La paura che tutto finisse in una catastrofe cominciava ai Koljady quando ufficialmente i sacerdoti indicevano preghiere agli antenati per l'intercessione. Si cominciava col mettersi in vedetta sull'altura del Rod incaricando un sacerdote di rimanere desto, attento e pronto a avvisare del corso della battaglia celeste e dell'esito finale... misurando l'illuminazione. Ibn-Fadhlan credette di esser stato testimone della detta lotta celeste per aver osservato un'aurora boreale e scrisse: «... vidi l'orizzonte diventare rosso brillante e nell'aria al di sopra [della mia testa] clamore e tumulti. Alzai la 382 testa per guardare e vidi una nebbia rosso-fuoco che si avvicinava diretta verso di me... da essa venivano il clamore e i tumulti. … [in essa c'erano] ombre a forma di uomini armati con lance e spade. All'improvviso un'altra nube con uomini armati simile alla prima si lanciò verso la prima. Fu come uno scontro fra due cavallerie. Noi eravamo terrorizzati e ci mettemmo faccia a terra a pregare Dio perché ci risparmiasse la vita mentre i locali meravigliati del comportamento nostro ridevano di noi ... Dopo circa un'ora tutto scomparve ... e il re spiegò che gli antenati pensavano [che questi eventi fossero dovuti] a spiriti divini che si combattevano da sempre e che avrebbero continuato a farlo [anche in futuro].» Intanto sulla collina i sacerdoti hanno montato un primitivo osservatorio astronomico con un paio di lastre di pietra sacra che attraverso la fessura orizzontale lasciata libera nella loro sovrapposizione faranno passare il primo raggio di sole... se gli dèi lo vorranno! Prima di annunciare la vittoria della Luce ci si assicurerà che il sole sia ritornato per davvero e che sia rientrato nel ciclo circadiano abituale con una verificaveglia di ben 7 giorni. A quel punto aveva luogo il solenne ringraziamento con sacrifici di animali maschi sgozzati e il loro sangue, elemento vivificante, versato in terra. Le carcasse macellate erano arrostite lasciando che salissero verso il cielo gli effluvi dell'arrosto affinché gli dèi partecipassero all'orgia in corso in loro onore. La carne finalmente era consumata da tutti i convenuti con grandi bevute di birra e di idromele. Dopodiché 383 copulando senza regole finché era possibile e prima di crollare sfiniti e ebbri al suolo, gli uomini e le donne festeggiavano la contentezza generale perché un altro anno di vita era stato loro concesso. Religiosità della biocenosi. Il paganesimo contadino ancora una volta da evidenziare è fondato sui cicli della natura e il suo calendario segue passo passo le operazioni agricole con le loro scadenze come la seminagione, la mietitura etc. che sono presiedute da divinità particolari. Per il contadino questi sono anche i suoi ritmi di vita nei quali vanno interpolati gli eventi umani come nascite, morti, sponsali etc. pure ciclici, ma con scadenze diverse e impreviste. Se per una qualche ragione ignota e perciò magica pure i cicli chissà per voleri e arbitri divini variavano o, addirittura quando sembravano interrompersi, suscitava uno spavento generale e occorreva pertanto ricorrere a un intervento rituale straordinario che spesso includeva un sacrificio umano. Soltanto così si credeva ripristinare correttamente la vita nell'hinterland delle poche città sedicenti slavo-russe. Il ciclo vitale della biocenosi forestale come lo descrivono contadini e raccoglitori-cacciatori aveva inizio tardi con l'equinozio di primavera e terminava poco prima dell'equinozio autunnale dopodiché c'era la lunga quiescenza invernale. Sia come sia le date precise dei cicli di 1000 anni fa non le conosciamo bene perché sono variati e perché non corrispondono le rispettive 384 nomenclature alle odierne e malgrado la Riforma gregoriana eseguita per ragioni astronomiche la Chiesa Russa nemmeno la recepì perché eretica. Tanto che le feste cristiane dovettero adattarsi a quelle pagane che avrebbero dovuto essere soppresse e sostituite. D'altronde la posizione geografica della Pianura Russa richiedeva non un calendario per l'agricoltura, ma forse 2 o 3 e le modifiche (dette in russo “vecchio stile”) astronomiche furono introdotte da Pietro I nel 1700 solamente per gli atti civili (v. in Wikipedia e in Istorija krest'janstva SSSR, 1987). Comunque non mi compete qui andare oltre nella questione e voglio solo sottolineare che nell'intera Pianura Russa da nord a sud non si notano 4 stagioni, ma piuttosto 2: Una buona e corta e una cattiva e lunga. Né esistono riposi e fermate settimanali, ma solo ritmi circadiani basati sulla presenza e sull'assenza del sole. Le cerimonie del ciclo annuale erano più o meno simili a quelle che si facevano per festeggiare Mitra, il dio del sole, nell'Iran avestico sul fondo comune indoeuropeo. Il cristianesimo le aveva viste a Roma sul Tevere e sul Bosforo, ma poi, diventato religione ufficiale dell'Impero, aveva travestito quelle festività in messe speciali notturne di ringraziamento per il Natale di Cristo, occultando ogni troppo appariscente “indecenza” pagana soprattutto le crapule, l'ubriachezza e l'orgia. 385 ricostruzione museale di un trasbordo su uno spartiacque Richiamo qui Mitra poiché è un luogo comune leggere che Cristo nasce come il dio ariano in una grotta da una vergine, Maria, che partorisce in un rifugio di pastori. Per me è notevole pure che ciò lega il Natale alla sacralità delle grotte considerate nel paganesimo come le vulve della Gran Madre Terra e Maria d'allora in poi appare quasi sempre all'interno di grotte o di arcate di tale forma ossia in perenne collegamento con gli esseri divini del sottosuolo di solito associati con gli antenati morti. A causa di quelle presenze divine (per i cristiani diaboliche) nelle grotte, in esse scelgono e vivono la vita i monaci in ascesi come nel Sinai e sul monte Athos ossia tormentati da continue visioni erotiche emananti dal mondo sotterraneo che mette a dura prova la loro fede. Il Monastero delle Grotte è l'esempio smagliante del culto della caverna sopravvissuto nel cristianesimo slavo-russo 386 e sarà in seguito chiamato persino Nuova Gerusalemme. Detto ciò, il solstizio d'estate era speciale fra gli slavi meticciati per tutta una serie di ragioni. Ritornando sulla festa di Kupalo do qui l'informazione aggiuntiva che era in realtà il trionfo dell'amore in assoluto. L'unico documento superstite che ne parla con variegatissimi particolari è la lettera del superiore del monastero di sant'Eleazaro di Pskov, l'egumeno Pamfilo (ca.1530) che conclude con queste parole astiose: «Tutto questo succede nel giorno di san Giovanni Battista con preghiere empie e sataniche secondo gli usi del diavolo.» Ed ecco in breve le fasi dello svolgimento. • Si celebrava più o meno quando il grano era pronto a essere mietuto e tirare le somme su come era andata l'annata. Se non fosse andata bene, comunque del raccolto ce ne sarebbe stato in qualche misura per tutti e quindi andava festeggiato mentre il terreno era lasciato a riposare prima di trebbiare. • Era il momento di fare piani per il futuro ponendo nuove basi per nuovi insediamenti nella foresta e quindi era importante formare le nuove coppie di futuri coniugi e Kupalo, il dio della gioventù in amore e della fertilità, era pronto a dare una mano indicando le persone giuste con la lettura dei legni sacri mescolati e poi lasciati cadere sul suolo a formare disegni da interpretare. Nel primo atto del rito ci si doveva prima bagnare nel fiume e poi purificare i genitali saltando nudi sui fuochi ormai brace dei falò. Si saltava in coppia e se si riusciva a saltare sempre tenendosi per mano... era fatta! • Se poi sembra che ci sia una certa quiescenza con 387 l'avanzare dell'età nel fare all'amore, la festa di Kupalo offriva spazio agli anziani di dare la caccia alle giovanette che alla fine dovevano cedere secondo gli usi e lo stesso accadeva per le anziane che si sceglievano un baldanzoso giovanotto. • Kupalo appariva insieme a sua sorella che era stata il suo primo amore e ora la sua consorte e i due erano simboleggiati rispettivamente dall'acqua e dal fuoco mentre il frutto del loro connubio era il fiorire della Viola tricolor sp. o Viola del pensiero simbolo popolare dei sentimenti amorosi ben rappresentati dai due colori in contrasto nella corolla del fiore. In una variante del mito Kupalo vuole sacrificare sua sorella e lei gli chiede di piantar la Viola del pensiero sulla sua tomba. • In alcune aree si confezionavano persino due pupazzi di paglia chiamati fratello-e-sorella che alla fine della festa erano dati alle fiamme (vince la donna) o “annegati” o gettati nella corrente del fiume (vince l'uomo). L'incesto fratello-sorella ispirava l'intera celebrazione in ricordo del sacrificio cruento di una coppia umana eseguito nel passato per impetrare dagli dèi fertilità e che pertanto ancora nel XII sec. tale rito suscitava le lamentele della chiesa. • È pure importante l'analogia che si nota di Kupalo con le Targhelie di Apollo che davano il nome al mese greco (maggio-giugno) targhelione. Seguivano più o meno lo stesso andamento e la straordinaria assonanza con Cupavon figlio di Cygnus nell'Eneide di Virgilio e considerato re dei Liguri è singolare. Per Kupalo il folclore non solo russo ma slavo in 388 generale ha creato parecchie altre leggende e racconti che però poco si occupano di spiegare il fenomeno solstiziale almeno con la mitologia. Forse una ragione è che, finiti i lavori nei campi e tirate le somme, adesso si doveva lasciare i campi a riposare e dedicarsi finalmente a attività spensierate e piene di godimento come i giochi d'amore. E che c'entrava san Giovanni in tutto questo, secondo la chiesa cristiana? Sembra che si riferisca per i fuochi a un detto di Cristo che avrebbe chiamato san Giovanni Battista “luce bruciante e accecante” senza risvolti impudichi (S. Hodorowicz Knab, 1993). Indicativamente riproduco il Calendario Slavo in appendice con le date riadattate al calendario stagionale moderno (2021) che comprende logicamente la riforma gregoriana. Si tenga peraltro presente che alle feste popolari spessissimo fu cambiato il nome e l'abbinamento con la divinità pagana e quest'ultima fu sostituita con una figura santa cristiana. Addirittura ove un santo apposito non si trovasse, la chiesa ne inventava uno provvisorio che in seguito l'autorità ecclesiastica avrebbe in ogni caso consacrato. Per queste ragioni le date del Calendario Slavo non sono mai ultime e definitive nei vari autori da me consultati. 389 Capitolo tredicesimo Questioni da rispolverare Le CTP insistentemente lamentano – fino al XIV sec. inoltrato, non dimentichiamolo! – pesanti ostilità da parte della gente comune verso il pensiero-dottrina cristiano già a partire dall'essere etichettati con l'epiteto spregiativo di pagani, di persone barbare e intristite, ma soprattutto di essere compresi fra “quelli che non capiscono la giusta lingua di Cristo” e di far parte di lingue profane o in russo Jazyčestvo. Si accusa così la gente di respingere l'amore del dio creatore verso le sue creature e di non saper accogliere la salvezza dalle pene quotidiane che il cristianesimo offre. Le CTP, l'ho già scritto, iniziarono ad esser compilate a Kiev con Jaroslav e a G. Novgorod con Vladimiro Monomaco, educato a Costantinopoli e sposo di Ghita, figlia di Aroldo, il re anglosassone caduto nella battaglia di Hastings (1066) contro l'ex vichingo Guglielmo il Conquistatore. Di conseguenza il Monomaco da sovrano varjago-svedese era abbastanza internazionalizzato da non poter ignorare la situazione religiosa esistente nel dominio kievano al battesimo del X sec. poiché i varjaghi erano stati in realtà i pochi battezzati di Kiev, benché – sfortunatamente per loro – aderenti all'eresia di Ario. Il suo omonimo nonno, Vladimiro il santo, aveva concesso 390 il primato religioso all'ortodossia di Costantinopoli e le cose a Kiev erano alquanto cambiate. Rammento che Kiev nasce come un governatorato militare càzaro-bulgaro in cui islam, ebraismo e cristianesimo convivevano fra pochi fedeli senza inutili scontri da anni ed era giunta l'ora che quei rapporti mutassero rafforzando la chiesa russa. La politica del Monomaco su sollecitazioni di prelati alloglotti e sospettosi avrebbe dovuto coincidere con una gradualità dell'azione politica ingiuntiva verso chiunque non fosse cristiano ortodosso e non pagasse tributo, evitando maniere brusche manu militari. Per di più i commerci andavano “alla grande” in quei secoli e eventuali contrasti e battaglie religiose avrebbero avuto solo effetti negativi a Kiev fra le diverse comunità mercantili. È chiaro che sto leggendo nelle CTP eventi storici che non coprono bene la regione circumkievana, ma che si svolgono all'interno delle mura kievane e dove i contadini vantati come fedeli sudditi al contrario sono assenti come attori politici. Le CTP tralasciano dal novero delle religioni presenti nelle due grandi città, Kiev e G. Novgorod, proprio quelle maggiori e cioè i vari paganesimi etnici, ancora fortemente radicati nell'hinterland. Quell'unico termine: paganesimo (russo jazyčestvo) risponde alla concezione di mitologia religiosa sincretistica del Nordest dove puntigliosamente i pagani restavano relegati nel XI-XII sec. in aree linguistiche di porzioni di foreste poco conosciute o ai margini di estese paludi pochissimo frequentate e risultavano pertanto ignorati e assenti nella vita di 391 relazione della limitatissima popolazione cittadina. Nell'élite al potere pertanto si cominciarono a far meglio i conti con la demografia e l'interesse a governare di persona le fonti di sussistenza per Kiev (G. Novgorod e i Bulgar-sul-Volga se la vedevano ciascuna in proprio comperando e producendo) s'accresce enormemente. A questo punto la chiesa cristiana con i suoi preti e i suoi diaconi e parroci si deve sguinzagliare per identificare più accuratamente la realtà contadina da mettere sotto tributo cioè, per farla breve, rendersi conto finalmente dell'esistenza di una buona massa di popolo ancora da assoggettare. E inizia così per davvero la battaglia dura e secolare fra credenze cristiane e credenze pagane “diaboliche” a più livelli, soprattutto per la posizione ancora solidissima nell'economia dei mir della donna amministratrice e la misoginia della chiesa. I preti si lanciano a costituire conventi nei posti più sperduti del territorio costruendo chiese e refettori. È il fuoco divino del XII-XIII sec. che investe il personale ecclesiastico e i laici compresi gli izgoi... È strano per me 1000 anni dopo, constatare che la questione maggiore su cui si articolò la propaganda cristiana fu l'incesto... facile da condannare, se già avvenuto, ma difficile da prevenire, se ancora non attuato. Ne ho scritto in precedenza, ma val la pena aggiungere altre informazioni e capire perché l'incesto sia un peccato orrido per i cristiani e poco importante per l'islam (Sura IV, La Donna, vers. 19-23), mentre era un normale accaduto di educazione sessuale per i pagani. L'apologeta cristiano Tertulliano scrive consolandosi 392 (ca. III sec.): «Se c'è un'etnia completamente libera dal coito e dalle urgenze del sesso e dell'età, per tacere dei piaceri della carne e del lusso, è proprio quella in cui si consente all'incesto.» Un giro di parole per dire che l'amore incestuoso oscurava ogni altro tipo di sessualità ed era perciò realistico intervenire per arginarlo nel tessuto familiare dove si svolge la vita umana in maniera santa e non fra animali e mettendo la copula in secondo piano. È la verv che deve esser presa di mira di cui la comunità pagana era gelosissima. E non era assurdo vietare l'incesto fra parentele fino alla 7.ma generazione? Nella verv per quanto possibile di generazioni se ne allogavano 4 al massimo e se si scivolava a fare all'amore fra parenti stretti, era forse male? Una regolamentazione sessuale restrittiva in questo ambito avrebbe in pratica destinato le comunità all'estinzione, non essendo in grado di praticare un'esogamia a largo raggio e quindi nel cercare e nel trovare persone non parenti in distanze accessibili al di là dell'ignoranza della fisiologia sessuale. La stessa chiesa riparerà alla stupida prescrizione secoli dopo (Concilio di Trento, XVI sec.) ammettendo l'incesto purché non auspicato intenzionalmente e purché seguito sempre da matrimonio canonico con speciale dispensa. In conclusione sull'incesto e sull'idea sbandierata che implicasse persino un l'uso malvagio per generare mostri o deboli di mente, la chiesa cristiana s'accorse presto di aver pochissime armi convincenti. Anzi! Negli antichi miti riflessi nei costumi con l'incesto e la poliginia i figli da esso derivati erano integrati al resto della prole senza 393 discriminazioni. La madre precocemente vedova, ad esempio, vedeva nel figlio i tratti fisici del consorte defunto e così egualmente il padre rispettivamente nella figlia e nasceva naturalmente il desiderio amoroso. Nel caso di fratello e sorella l'incesto invece, poteva dare l'esito di un tirocinio o di giochi sessuali divertenti. E perché allora inventarsi e caricare un pesante senso di colpa su quei costumi sessuali che i pagani stimavano un'eredità intoccabile passata dagli antenati? E perché dire che un figlio incestuoso nasceva malformato, morto o dai tratti mostruosi o persino destinato a vagare senza meta nelle sembianze di morto-non-morto (upir)? Se un bimbo veniva al mondo male, ciò era sicuramente frutto di incantesimi malvagi, senza contare (aggiungo!) la mortalità perinatale che eliminava gli esemplari umani pur leggermente difettosi, ma l'incesto non c'entrava per nulla né c'erano prove che così non fosse! Se le donne non sapevano di possedere uova da fecondare, i maschi credevano che lo sperma fosse un nutrimento essenziale da accogliere nell'utero già gravido durante la gestazione e, perché no?, anche in tutti gli altri casi quando l'utero era per così dire vuoto. Mi pare pure di capire dai contenuti di certi proverbi russi che il coitus interruptus da usarsi per non incorrere nell'incesto fosse una decisione esclusiva maschile, ma poteva esser ritenuto un'offesa dalla partner che si sentiva magari rifiutata e meglio disposta a ingollare lo sperma in una fellatio invece di buttarlo via. E bocca e vagina non erano entrambe orifizi sacri del corpo femminile? Altro che le peccaminose porte del demonio dei cristiani. 394 Le conoscenze “scientifiche” dei “padri della chiesa” sull'argomento concepimento risalivano per la gran parte ai sentiti dire di Aristotele (IV sec. a.C.) e di Galeno (II sec. d.C.) che si erano pronunciati sul ruolo dello sperma. Il primo considerava una partecipazione organica dello sperma al concepimento e ne attribuiva la presenza soltanto al maschio, l'unico a produrne. Galeno invece riconosceva la presenza di sperma anche nella femmina che coagulandosi (insufficiente intuizione) con quello del maschio provocava il concepimento. Testi del genere tradotti dall'arabo giunsero tardivamente nel nordest e la chiesa russa nell'epoca rimase a vagare in una fantasiosa ignoranza sul sesso e su come esso funzionasse. Quel che non sono riuscito a sapere con sicurezza è se nel passato pagano slavo-russo ci si è mai preoccupati di interrompere la gravidanza e perché farlo e se era in uso il preservativo. Ancora sul matrimonio. Ad onor del vero chi prima dell'osservazione al microscopio avrebbe mai immaginato che anche la donna avesse uova da fecondare nel suo utero e che il maschio possedesse gli spermatozoi nel suo liquido spermatico per ottemperare alla bisogna? Ogni religione ebbe carta bianca fino ad alcuni decenni fa nel descrivere il sesso nei modi più improbabili e fantasiosi e travestirlo di misteri religiosi e/o di segreti di ideologia politica. L'interesse della chiesa era chiaro: tramite la polemica sull'incesto si presentava la “famiglia cristiana” come 395 l'unità santa e mai ribelle che arricchisce la vita in comune. Non solo! Tenendo a mente che la donna amministrava l'economia del dvor. definire chi ereditava la proprietà materiale alla morte del maschio consorte era la giurisdizione primaria per non frammentare il contributo dovuto al sovrano e non diminuirne perciò l'ammontare da versare. I primi scontri col paganesimo si focalizzarono perciò sul matrimonio affinché tale rito apparisse collegato strettamente ai costumi sessuali piuttosto che a un mucchio di questioni prettamente economiche. La tattica d'attacco fu quella solita: proporre un modello da emulare. Quale? Costruire un tempio cristiano nel cuore del mir e assegnarlo in gestione a un parroco e alla sua famiglia dove il ruolo imprescindibile del prete era di percepire le prebende dovute al suo vescovo e proporsi come modello di comportamento cristiano contro incesto e poligamia. Si predicò che Cristo non permettesse l'esistenza di amanti fossero o no sposati e registrati dal parroco! Una riforma del genere andava contro ogni uso e costume slavo-russo giacché per l'unione di un uomo e una donna con pretese di esclusività sull'atto coitale non era previsto. Tanto meno era prevista l'esigenza di un rito religioso a proposito. Erigere templi e santuari per celebrare questi eventi, a parte il fatto che tali costruzioni erano previste fuori dai villaggi in posti speciali e isolati in cima a un'altura nel fitto, risultava un'oscena sfida alla tradizione. Eppure la chiesa cristiana era dura su questi punti e il papa Nicola I scrisse ai bulgari del Danubio nel 866 una 396 lunga lettera sull'intera questione parrocchiale e sul matrimonio. I contenuti della stessa serviranno nel XII sec. a elaborare una vera dottrina per i promessi sposi finché il matrimonio non diventerà un sacramento standardizzato. A Roma sul Tevere seguirà più avanti nel tempo persino l'introduzione del celibato per l'intero corpo ecclesiastico mentre a Roma sul Bosforo con una visione più pratica si imporrà l'obbligo del celibato solo ai monaci ai quali però restarono riservate le cariche ideologicamente più importanti nel sistema chiesa. Il parroco (e con lui il diacono) pertanto avrà una sua famiglia rispettando le regole e i principi di cui Nicola I scrive e che qui di seguito sommariamente enuncio: (1) la coppia nubenda deve essere eterosessuale (2) occorre verificare il grado di parentela biologica (!) e istituzionale fra i due partner per evitare l'ignominioso incesto (3) i partner devono essere reciprocamente consenzienti a dover vivere insieme l'intera vita e, se uno di loro dovesse mancare, a rispettare la vedovanza fino alla morte (4) permesso il matrimonio dall'autorità vescovile, esso deve essere pubblico, ma nel chiuso di una chiesa consacrata e l'atto dovrà essere celebrato dal ministro del dio cristiano (5) finalmente la nuova famiglia è costituita ufficialmente e la coppia si può separare dai suoi per concludere il rito con la copula legittima (6) la donna deve essere munita dai suoi genitori di una dote congrua allo scopo di evitare la sua compravendita come avviene presso gli slavi pagando il veno o presso i bulgari non battezzati e i loro affini turcofoni della steppa e sul Volga che pagano il qalim/kalim alla famiglia di lei. 397 E fare all'amore? Lo scopo è di rafforzare i legami maritali e la chiesa raccomanda pure la postura coitale detta laterale o alla pigra in cui i partner giacciono sulla schiena uno accanto all'altro e girandosi l'uno sul fianco sinistro e l'altro sul destro copulano guardandosi negli occhi! Il compito del parroco, della sua consorte e dei loro figli fu di dimostrare con i loro comportamenti soprattutto sessuali come il matrimonio cristiano funzionasse e ne ricevesse la divina benevolenza. I volhvy pagani al contrario restavano celibi o nubili, a seconda del sesso loro attribuito e avevano le loro avventure amorose quando volevano che non costituivano una minaccia all'armonia del mir e delle verv pagani. Diventava incomprensibile persino lo scopo dell'alleanza fra la famiglia del parroco con quella della sua consorte nel caso che entrambi o uno/a dei due fosse locale, se sposati in modo cristiano. Il parroco non era che uno straniero nel villaggio, ma non per questo superiore agli altri capifamiglia che invece vantavano lo stesso eponimo. Un padre con più figli e figlie in generale per l'etica cristiana suscitava sospetti di incesto o di adulterio, ma altrettanto accadeva per il mir se si impediva che tali situazioni ci fossero perché si vedevano trascurate le alleanze matrimoniali e attentava in più al potere tradizionale del pater familias. Che scopo c'era, se non oppressivo, nel prescrivere (e non soltanto per il parroco) che la copula non avvenisse troppo spesso né prima di certe liturgie né durante alcuni periodi festivi e, orribile a dirsi e a farsi, che si evitasse di 398 ricorrere all'atto sessuale per raffreddare le eventuali ardenti spinte proprie e della consorte? In breve sorsero ostacoli e contraddizioni enormi che non consentivano di accettare passivamente o con entusiasmo l'ordine matrimoniale cristiano con i suoi strani veti sessuali. La Chiesa Russa del XI-XII sec., serva politica del principe di Kiev e del Patriarcato di Costantinopoli, tenterà di introdurre il suo modello fra le diverse etnie che riesce a localizzare e ad affrontare. Chiaramente dopo una stratificazione di secoli di culture in evoluzione, nel racconto orale o nei proverbi si riscontra l'autocensura evidente nell'indicare le tradizioni sulle relazioni amorose come eretiche e peccaminose e da metter da parte per sempre. Neppure gli sponsali costituivano un argomento di cui parlar spesso nel mir giacché le eventuali coppie (di qualsiasi tipo!) innamorate si formavano e si scioglievano spontaneamente e tutto finiva lì, magari con una bella mangiata e una buona bevuta e un lieto scambio di regali e alla stessa stregua non aveva ragion d'essere una coppia in eterno amore. Allo stesso tempo tuttavia si indulgeva ironizzando sul parroco e sulle sue debolezze sessuali ovviate con avventure extra matrimoniali, omosessuali e quant'altro di peccaminoso. Un discorso a parte si faceva sul trasferimento di una donna da un mir all'altro poiché in tal caso era lo scambio di un pegno su un capitale di enorme valore: la fertile genitrice. Ciò costituiva per la famiglia di lei una perdita di forza lavoro nella figliolanza a venire e allora sì che un'alleanza fra famiglie in caso di scompensi di produzione di cibo, minaccia frequente nei tempi andati, 399 andava organizzata con cura e impegni precisi di “vicinato”. Nel passare al cristianesimo nessuna autorità osò pertanto intervenire nell'intera sequela rituale di questo tipo di matrimonio in misura tale da cancellare gli usi pagani antichi. Prima di arrivare agli sponsali che descriverò più avanti, ci sono altri “riti di passaggio” che l'individuo subisce durante la vita nella società slavo-russa del X-XIV sec. La gravidanza ad esempio andrebbe considerata il passaggio della donna a madre col suo frutto offerto alla società già esistente. Eppure non solo questo rito di passaggio manca, ma – lo rammento ancora una volta – il parto, la nascita, la morte perinatale etc. vagano nella penombra degli eventi in generale ignorati. E così se il neonato è maschio, è un conto e, se è femmina, corre il rischio di essere eliminata fisicamente o alienata in qualche modo con l'esogamia o venduta schiava appena pubere. E non basta. Siccome appare nella credenza popolare che la donna fosse libera di generare senza l'ausilio maschile, ancora oggi si crede nel nordest che atti inconsulti a parte il coito possano indurre una gravidanza non desiderata o influire sul processo generativo. Un esempio? I piselli sono detti legumi che “portano la gravidanza” poiché pieni di amido che “gonfiano il ventre” e quindi si evita di mangiarne! Pure l'acqua che sgorga da certe fonti ha lo stesso effetto e le russe di oggi leggono e rileggono con attenzione l'etichetta dell'acqua minerale acquistata nei ristoranti e, senza saper l'antico perché, nel dubbio preferiscono sorbire volentieri i succhi di frutta. 400 Seguendo il fil rouge del maschio unico membro della verv al quale i riti di passaggio si celebrano con maggiore solennità, comincio col dire che dopo la nascita il neonato maschio fino alla pubertà in pratica non esiste per l'intera verv. Ed è appunto la pubertà il primo rito di passaggio che matura con le prime polluzioni spermatiche verso gli 8-9 anni e che viene celebrato fra i 10 e i 14 anni sotto forma di postrig ovvero di prima tonsura dei capelli, mentre non si tocca la peluria sulle labbra che pure appare. Il rito rappresenta il culmine nello sviluppo fisico raggiunto dal ragazzo per accedere all'azione pedagogica (paideia) dell'autorità adulta di sesso maschile cioè del padre putativo. Da lui imparerà l'assoluta obbedienza al più anziano e passerà alla gestione autonoma delle proprie abilità fisiche comprese le attività sessuali. Di solito il postrig è un rito collettivo nel mir poiché non esiste l'adolescenza né un registro anagrafico e le verv del villaggio mettono insieme una parata di giovanetti abbastanza mista quanto a età e parentela in una festa di allegria orgiastica. E siccome si tratta di un rito iniziatico maschile, essa è assimilata nei Balcani di ascendenza latina ai Lupercalia romani ed è la festa dei Koljady o, in rumeno, dei Colinde (I. Ghinoiu, 2001) in cui i ragazzi ancora celibi, nudi e armati di falli di legno invadono strade e piazze assaltando e battendo le donne e fingendo di copulare con esse col fallo sempre eretto ben in vista. La bambina? Non subisce il postrig perché i capelli lunghi o in treccia raccolta sulla nuca da sempre sono la caratteristica sessualmente distintiva e seduttiva della donna nordica europea. Nel caso i capelli tagliati per la 401 prima volta sono la conferma del matrimonio prossimo ossia di un passaggio di proprietà o una grave punizione. Il segnale di raggiunta pubertà per lei è naturalmente il menarca che appare chiaramente intorno ai 12-13 anni in media nella Pianura Russa di 1000 anni fa. I suoi giocattoli? Il fuso e il telaio. Non c'è alcun rito di passaggio collettivo e pubblico per lei, ma la nuova condizione fisica si evidenzia in casa, quasi di nascosto con il cristianesimo, abituandola ai tanti pregiudizi che circondano il mestruo sempre vivi. Un rito speciale dedicato all'entrata di bambine scelte prima che abbiano avuto il menarca, ma già quasi puberi, è sotto forma di essere selezionate e sfilare vestite da spose del knjaz. Addirittura se accadeva che il menarca irrompesse durante il rito, la bimba coinvolta con una certa delusione perdeva gli aspetti magici che il rito le attribuiva come un grande onore da vantare nelle solennità. Non solo! Ritenendo giustamente che fosse importante saper ben gestire la copula, le bambine puberi sarebbero state educate in alcune regioni a perdere prima d'ogni altra cosa la verginità imparando a copulare affinché da spose fossero in grado di far godere il partner. Siccome poi l'orgasmo femminile è più elaborato e più lento da raggiungere di quello maschile, l'unico modo per goderne in tranquillità era la masturbazione solitaria o in coppia o in gruppo di tipo lesbico e in quest'ultimo caso una delle ragazze appariva acconciata da uomo cioè con capelli molto corti e gesti marcatamente maschili (mužeskaja žena). D'altronde i racconti popolari ci hanno trasmesso molte 402 cerimonie simili per monache e converse prima di prendere i voti nei primi conventi sorti nella Pianura Russa. In parecchie byline l'eroe non si sposa con la bella che ha liberato, come accade nei racconti edificanti della letteratura controllata dalla chiesa, ma conquista per lei quanto basta in gioielli e stoffe preziose per meritare, lui, una festosa accoglienza nel mir e poi partire via per sempre. In generale il folclore non dipinge la donna come essere inaffidabile e demoniaco, ma come persona libera di scegliere fondamentalmente l'amato e di battersi persino con successo contro gli eroi maschi. Addirittura, travestita con la pelle di un animale sfugge ai matrimoni indesiderati facendosi volentieri rapire dall'animale maschio corrispondente alla pelle che indossa e copulerà con lui nel fitto della foresta. In altre fonti si legge che erano le donne a scegliere il partner... guardando e toccando i loro testicoli! Ed ecco quanto scrivono con obbrobrio e rassegnazione le CTP: «...il matrimonio [fra i contadini] non esiste; c'erano invece dei giochi [riti sacri o igry] che si celebravano fra un villaggio e l'altro. [I giovani] tutti vi partecipavano, ballavano e si divertivano in maniera diabolica e ciascuno si appartava con la femmina scelta e c'era chi si appartava persino con due o tre...» Malgrado tutto la donna ormai allo stadio considerato adulto, ma non ancora sottomessa, riceve dal consorte il titolo piuttosto lesivo suggerito dal cristianesimo di piccola anima in russo maloduha o in altre parole di 403 stupidina... nomignolo che si dà volentieri agli animali femmina o quello più volgare di skotìna ossia animale da vendere! D'altronde un accostamento del genere lat. mulier cioè donna, moglie con mollior cioè più debole era corrente pure in latino. Gli scossoni ideologici che il cristianesimo tenta di infliggere alle antiche norme sulle relazioni intime non sono solo parole e termini nuovi, ma dure regole da rispettare collegate che danneggiano pesantemente la verv sensibilissima all'entrata e all'uscita dei suoi componenti, specialmente femminili, il capitale vivo da sfruttare al meglio. 404 Bibbia di Velislav (XI sec.), ragazza in età da sposare L'unico tipo di matrimonio riconosciuto e intoccabile come solenne festa collettiva è il patto di alleanza fra due verv o fra due mir o brak. Val la pena a questo punto di scrivere qualcosa in più sui passi da compiere a partire dalle occasioni per fare accordi fra gli anziani di mir diversi e i capi-famiglia con le giovanette da sposare. Pur con la limitata disponibilità a viaggiare, durante l'intero anno ci si incontrava di sicuro nelle solennità del rod, anziani e giovani, donne e bambini. Ci si informava gli uni degli altri sulla salute, sui risultati degli esperimenti fatti in campo agricolo e tecnico in generale o su come aver ottenuto con la selezione animali da stalla o da cortile migliori o dei semi che davano rese maggiori 405 etc. In più una buona amicizia la si faceva sfociare in una parentela o meglio vicinato e così nei casi di stress quali carestie, morie, guerre, razzie etc. potersi appoggiare o aiutare l'un l'altro. La volontà di allearsi fra mir con gli standard contrattuali che prevedevano un legame stretto tramite l'impegno sessuale-matrimoniale di due giovani epigoni liberi, ciascuno appartenente alla verv e al mir rispettivo interessato. Il rituale pre-cristiano iniziava col rivolgersi di solito a una coppia residente in uno dei mir che avesse una buona nomea nel rod e la si incaricava di trovare e “apprezzare” i previsti sposi. La coppia di esperti, svat+svaha, cominciava i suoi giri visitando le case dove c'erano figli da sposare, esaminava i candidati nelle condizioni fisiche e allo stesso tempo si rendeva conto della situazione economica nelle relative famiglie. Con una ghirlanda di nomi e di descrizioni finalmente quei mediatori di matrimonio facevano le proposte dei partner possibili rilevando soprattutto i risvolti economici in cui l'amore c'entrava poco o nulla. I candidati prima del sì/no finale dovevano sottostare all'esame dell'una e dell'altra verv coinvolta per cui si procedeva ai cosiddetti smotriny (esame visivo) con lo scambio di reciproche visite dei rispettivi genitori. La visita comportava sempre un bagno purificatore nella banja dell'ospitante e in quel momento gli smotriny erano effettivi e efficaci almeno dal punto di vista visivo per la decisione “corporale”. Alla conclusione del primo passo si stabiliva lo svatovstvò (promessa di matrimonio) con il tacito impegno di astinenza sessuale 406 di ciascun partner fino al rito del legame matrimoniale. Spesso, specie nel nord della Pianura Russa, si lasciava che il promesso fosse ospite della verv della promessa durante la quiescenza della stagione invernale affinché i due in ogni maniera familiarizzassero sebbene sotto gli sguardi di tutti. Era fuori luogo il contrario cioè la promessa a casa del promesso giacché la donna era alla fin fine il pegno vivente e non poteva “uscir di casa” se non intatta cioè vergine di quel momento. Ad ogni modo il periodo di prova, ben noto e praticato in tutta l'Europa, assicurava un più convinto accordo dei nubendi. Nell'estremo nord infatti l'esogamia era rispettata in modo più rigido che nel sud poiché per i nomadi cacciatori ugro-finni della tundra non esistevano villaggi stabili, ma solo posti sacri di ritrovo periodico e per ogni tenda (čum) la famiglia che vi abitava contava al massimo una decina di persone. L'aumento dei membri famigliari metteva subito in crisi l'assicurarsi cibo sufficiente con la caccia o l'allevamento delle renne e le indispensabili derrate alimentari agricole che completavano il menù costavano care. Inoltre, se l'incesto si esercitava,senza il biasimo altrui ciò – si sperava – non doveva portare troppo spesso a gravidanze gravanti demograficamente altrimenti il ricorso all'aborto era inevitabile. Una figlia era da dare in moglie fuori del čum al più presto e concettualmente era impensabile nel caso che essa fosse nata da un incesto! 407 408 svat+svaha alla scelta della sposa Se un padre aveva più figlie da maritare, i mediatori avrebbero trovato dei partner per le sorelle della promessa in altri mir purché si rispettasse la priorità allo svatovstvò della sorella di maggiore età e vi fosse l'interesse di famiglie a legarsi in contratto. Le persone-chiave fra gli slavo-russi per ottemperare alle esigenze restavano comunque svat+svaha che non erano soltanto noti per serietà ma (1) conoscevano bene i riti e i loro svolgimenti canonici e (2) erano in contatto fiduciario con gli antenati (vivi e defunti) che avrebbero avallato ogni loro scelta. D'altronde, visto che si trattava di mir appartenenti allo 409 stesso rod, gli antenati navi o dedy, erano in ogni caso gli stessi e i promessi andavano loro presentati in qualche modo e, dato che i luoghi sacri che gli dèi frequentavano erano di solito le alture non coltivate, ci si recava di mercoledì accompagnati da un sacerdote e si celebrava il rito detto della collina bella (krasnaja gorka). Qui si immaginava di poter incontrare il dio della tempesta Perun che di solito risiedeva nelle querce, ma incuriosito ne sarebbe venuto fuori a guardare. Gli ugro-finni avevano più o meno le stesse credenze e la famosa esogamia praticata dagli slavi alla fine non era che una endogamia allargata alla maniera simile degli ugro-finni e, anzi, molto allargata, poiché l'adozionealienazione rendeva membri della verv orfani e trovatelli e, se dobbiamo credere a ciò che raccontava il vescovo goto Jordanes (Jordnand) del VI sec., agli schiavi affrancati dopo un certo periodo era concessa l'opzione di entrare nella verv dell'ex padrone appunto da adottati. E che fare se il “legame matrimoniale” non stava più in piedi sulla questione del fare all'amore? In realtà non potevano esistere casi del genere teoricamente per tutto quello che ho scritto fin qui. Per il cristianesimo invece erano tradimenti i casi di adulterio. Sia come sia le conseguenze sul legame matrimoniale con le nuove leggi cristiane ebbero pochissima incidenza giacché sui comportamenti “extraconiugali” esisteva nella tradizione slava un diritto all'adulterio. La necessità di ricorrere alla copula con un altro consorte per dare un padre a un figlio già in utero, ma rifiutato per qualche ragione, si procedeva a una specie di ricerca del maschio disposto a 410 convivere fino all'evidente compimento della gravidanza con la moglie altrui. Mir nel polesje kievano, ricostruzione museale Ciò portò nel passato gli storici a parlare di poliandria slava e che noi oggi conosciamo come utero in prestito o acquisto di sperma e fecondazione eterologa. Insomma il problema dell'adulterio esistette nelle città e presso i più abbienti che ne erano maggiormente toccati. Se nel XIII sec. iniziò l'invasione dei cavalieri crociati sulle rive del Mar Baltico e nuovi trattamenti giudiziari sulla sessualità trapelarono dall'Occidente, i vecchi costumi pagani nel fitto della foresta russa restarono in vigore ben oltre il XV sec. e svat+svaha con gli aiutanti da loro selezionati continuarono il loro lavoro. Col 411 cristianesimo queste persone diventarono naturalmente servi del demonio e con gli anni furono costrette a ritirarsi marchiati di maghi e diffusori di eresie. E il divorzio o il ripudio? Per i cristiani non esisteranno, sebbene la chiesa ammettesse degli opportuni espedienti per sciogliere un matrimonio deteriorato, sempre per chi potesse permettere di pagare la dispensa vescovile. Un'interessante testimonianza tarda, XVII sec., di un famoso viaggiatore tedesco, Adamo Oleario, colta nei dintorni di Mosca (J.S. Rjabcev 1998) serve a vedere che i costumi non erano cambiati 5 secoli dopo la il battesimo, mentre in Occidente fervevano i tentativi, protestanti in prima fila, di emancipare la donna e la società. «Ai giovani maschi e alle giovani donne non è permesso far conoscenza l'uno con l'altra da soli e ancor meno parlare di eventuale loro matrimonio [...]. Al contrario quel genitore che ha figli adulti e che desidera maritarli, nella maggioranza padri di giovani donne, si reca da chi, secondo lui, può essere degno delle sue figlie, ne parla o direttamente o con i rispettivi genitori e amici e fa sapere della sua disponibilità, del suo desiderio e della sua opinione riguardo al matrimonio dei suoi figli […]. Solitamente tutti i nobili e quasi nobili istruiscono le proprie figlie tenendole rinchiuse in stanza [lontane] dagli sguardi della gente e il promesso vedrà la promessa non prima di essere insieme nella camera da letto nuziale. [Capita così che] invece di una bella ragazza gliene dà una brutta e malata, talvolta neppure sua figlia giacché [nel letto] vi mette una di lei amica o una servetta.» 412 Capitolo quattordicesimo Corpo e anima Prima di presentarsi nella 413 Pianura Russa il cristianesimo aveva già elaborato a proposito dell'essere umano l'assurda dicotomia fra l'esistente fisico ossia il corpo umano e l'altro esistente metafisico ossia lo spirito o anima che il dio creatore insufflava alla nascita dopo aver giudicato il nuovo essere degno di vivere. Lo spiritoanima è dichiaratamente la parte più nobile dell'uomo e è quella che la chiesa di Cristo cura di più. Lo spirito-anima è eterno e guida il corpo nelle azioni in vita e, mentre il corpo morirà, lo spirito-anima aspetterà il giudizio finale per riprendersi il corpo e accedere al paradiso o lasciarlo cadere nell'inferno. Il mito della resurrezione è notissimo nei paganesimi della Pianura Russa, ma non in maniera circostanziata e precisa come il cristianesimo l'offriva al suo credente. La posta della scommessa cristiana è più allettante, se è vero che si ritorna belli e in forze! Insomma è meglio non correre rischi. Cristo afferma che c'è uno spirito dentro di noi? C'è poco da fare: crediamogli e affidiamoci ai consigli di quello spirito per condurre una vita sino alla fine seguendo i dettami del dio creatore altrimenti, altro che resurrezione: c'è l'inferno coi tormenti di fuoco! C'è nell'opera di Aristotele un'affermazione interessante tramandata da Averroé: «Quod felicitas habetur in ista vita, non in alia.» ossia in italiano che si abbia la felicità in questa vita, non nell'altra. Tale idea mediata dai musulmani di al-Andalus e chissà da quelli di Bulgar-sulVolga nel X-XII sec. circolava nel Nordest e, se era popolare e ben accetta nell'islam, in qual misura era condannata dai cristiani, se metteva in dubbio la realtà del premio o della pena dopo la morte? 414 Quanto prescritto dai comandamenti di Mosè non è così ostico, salvo le regole sui comportamenti sessuali! Fare all'amore è peccaminoso? Niente paura, nella pratica si può negoziare con una commisurata penitenza e il gioco è fatto. Il corpo muore? Sì, ma poi ci viene restituito. Questi sono i punti salienti che ho letto ripetutamente nella tradizione dell'Europa cristiana in giro su internet e fino ad oggi paganeggiante! Quanto alla morte naturale (cioè non violenta) nel mondo pagano di 1000 anni fa essa non era l'esaurimento definitivo delle forze vitali del fisico, ma un evento provocato dagli incantesimi che, per effetto di una forza maligna (nečistaja sila) sollecitata da una fattura magica, agivano sull'indebolimento fisico. Faccio qui una premessa, se si vuol capire il contrasto ideologico fra paganesimo e cristianità e l'odio di base per il sesso femminile. Le cosiddette invasioni barbariche e il crollo dell’impero romano d'Occidente aprirono un lungo periodo di oscurantismo per la ricerca scientifica in generale e per la medicina in particolare, col diffondersi del Cristianesimo, si trasse dai vangeli una concezione del dolore e della morte del tutto nuova. Il dolore era detto dai cristiani conseguenza di un disordine – ecco il peccato – fatto dall’uomo nell’ordine cosmico del creatore. La chiesa indicava il dolore fisico quale strumento attraverso la cui sopportazione il credente arrivava alla salvezza dell’anima sua e rendeva così la sua morte un momento esaltante di passaggio alla vera vita eterna senza più dolore! Tale valore salvifico della sofferenza dominerà per i secoli a venire il mondo cristiano occidentale ove 415 pressoché scompare l’uso e in primo luogo il commercio lungo le Vie della Seta di erbe e di pozioni che leniscono il dolore. Si preme presso il popolo per la devozione di alcuni santi protettori specializzati da venerare e da implorare contro il dolore e chissà rimandare il tempo della morte. La figura della donna curatrice viene perciò sostituita da quella del monaco del convento indaffarato alla coltivazione di qualche pianta medicinale fra le altre dell'orto, ma soprattutto che consola con la sua dottrina e senza sventolare compensazioni sessuali nell'Aldilà. Oggi sappiamo pronosticare la morte per una malattia o con vari espedienti tecnico-medicali persino rimandarla, ma poi occorrerà certificarla. La nostra moderna medicina non guarisce, ma riduce il dolore ai minimi sopportabili e continuare a vivere più o meno bene (D.E. Lieberman 2018). Nel passato al contrario si assisteva raramente alla morte naturale di un individuo e, quando ciò accadeva, le spiegazioni che ho raccolto sono piuttosto vaghe. In breve ci si convinceva prima del decesso che la nečistaja sila era troppo forte per essere sconfitta e perciò il ricorso a erbe curative o all'intervento dello sciamano era inutile e il malcapitato sofferente non era più recuperabile alla vita attiva. Ciò non prevedeva la morte e l'attesa in agonia e non appena la degenza in malattia superava un certo limite (7 giorni?), si costruiva nel fitto della foresta un capanno rifornito con un po' di cibo e il malato era lì abbandonato. Ci avrebbero pensato le divinità della foresta al suo destino compresa l'eventuale guarigione. Medesima procedura era prevista per l'anziano disabile o demente che nella foresta sarebbe 416 andato incontro agli antenati e con loro avrebbe continuato a mediare con le divinità del cosmo per il benessere dei discendenti. Demenza, disabilità e malanni vari erano impegni troppo intensi per la richiesta di un intervento nei contatti con gli dèi e non era immaginabile mantenere in casa una persona in decadimento fisico irreversibile. Costui/costei è degno/a di tornare fra gli avi! avrebbe dichiarato qualsiasi persona sapiente (znaxar/znaxarka) del Medioevo Russo. Cristo aveva fatto miracoli sugli altri e su se stesso, ma era il figlio del creatore. E l'uomo? I preti assicuravano che un miracolo risolutivo per un malanno o per evitare una morte prematura, era sempre possibile ma c'erano delle condizioni molto dure per il caso di richiederlo personalmente. Peraltro il discorso era poco interessante per i pagani o gli ex-pagani giacché non ne capivano la necessità davanti alla morte o al dolore, come avremo immaginato da quanto scritto da me finora. Anche un viaggio per lidi lontani era una specie di morte si direbbe oggi, sebbene in tali casi la verv si preparasse in ogni anniversario della partenza all'accoglienza del ritorno. Chi partiva affinché lo riconoscessero appunto al ritorno lasciava presso i suoi un capo d'abbigliamento che avrebbe poi usato per farsi riconoscere quasi la scarpa di un paio come quella di Cenerentola. Era noto il suicidio e l'uccisione rituale, ma tali eventi non erano classificati in ogni caso come tipi di morte. Altro ancora era la morte violenta in guerra, in lite o in duello che richiedeva un giudizio terzo per decidere se ricongiungere la vittima con gli antenati. 417 Logicamente tali punti di vista non escludevano la pena e il dolore dei congiunti o degli amanti né il periodico “festeggiamento” all'anniversario della scomparsa e si immaginava di ritrovare il defunto “a tavola” presente, seppur invisibile. Ci si comportava altrimenti alla morte di un personaggio d'alto rango giacché si riconosceva la necessità dello spettacolo funebre per una folla che accompagnasse l'egregia salma a una tomba speciale. Ecco come Ghedimino, granduca di Lituania, ucciso nel 1341 in uno scontro coi Cavalieri Teutonici viene sepolto a Vilnius con un rituale pagano grandioso (ACM, 2019): «Il cadavere fu portato in processione sugli scudi dei suoi fino al Castello Superiore dove era stata preparata una pira di legno resinoso grandiosa su cui sarebbe stato cremato senza puzzo di carne bruciata. Vestito dei suoi abiti più sfarzosi che in vita aveva indossato nelle cerimonie importanti, Ghedimino fu adagiato sul legname impilato. Vicino a lui fu posta la sua sciabola e il suo corno da caccia. Gli animali più belli furono sgozzati in suo onore, specialmente il suo cavallo con la sella nuova e furono posti accanto al suo cadavere. Anche i suoi servi più devoti, inebriati affinché non sentissero dolore, furono immolati e legati al suo cadavere per servirlo nell’aldilà. Persino tre prigionieri tedeschi appena catturati furono sgozzati a conferma dell'ostilità dei Cavalieri Teutonici le cui armi lo avevano ucciso.» Un po' diversa era l'esperienza della morte del nord preuralico. Gli sciamani ugro-finnici affermavano che un 418 sonno troppo prolungato indebolisse il fisico e ciò che appariva come un corpo immoto di un morto era un dormiente che si sarebbe risvegliato magari non nello stesso luogo dove si era addormentato e nemmeno nel medesimo corpo. Ciò una volta di più giustificava l'abbandono del “dormiente” in un luogo ben conosciuto per il caso che si risvegliasse. Gli stessi sciamani sperimentavano tali stati ipnotici risvegliandosi altrove, ma avevano imparato dagli animali che cadevano in letargo come l'orso a trovare la via del ritorno in vita e a dirigersi verso casa “leggendo le indicazioni”. Lo sciamano assicurava di saper rintracciare la forza vitale di un parente vagante nello spazio e a parlarle per informarsi su chi o che cosa le impediva di tornare. Le lamentazioni funebri rituali lo aiutavano giacché chiedevano proprio questo al corpo immoto e lo impetravano affinché si risvegliasse e tornasse fra i suoi. Aggiungevano che la forza vitale che abitava nel corpo del defunto era momentaneamente volata via e, avendo perso la strada ad opera di forze ostili, non potevano talvolta impedire che il corpo immoto e inerme fosse cibo per carnivori affamati. Questo, sì, era la morte! Presso gli slavi il cadavere era passato fuori dalla casa non per la soglia giacché la porta era riservata soltanto ai vivi, ma da una finestra ritagliata giusto per quel momento e traslato con i piedi verso l'esterno e con la testa verso casa. La meta della salma non era la fossa né la palude, ma la pira. L'incinerazione persistette per decenni dopo l'introduzione del cristianesimo, specie nel nord fra i Kriviči bielorussi e i Balto-slavi (per tacere 419 degli ugro-finni) prima che prevalesse l'inumazione col cristianesimo. Le ceneri erano poste in un'urna che veniva interrata lungo la strada nel folto con un palo che ne indicava la presenza e su cui appendere voti e saluti. Se il defunto era il capofamiglia, le sue cose passavano a chi l'avrebbe sostituito (di solito suo fratello minore) eccetto qualche oggetto più amato degli altri che restava col defunto: la spada, l'accetta oppure un anello, un peso del fuso per filare o il fuso stesso se la salma apparteneva a una donna di rango.... In certe località l'inumazione fu accolta senza remore perché già di routine nei costumi, ma restò un obbligo religioso per le persone importanti i cui cadaveri erano collocati in tumuli (i citati sopki) nelle radure disabitate e a volte inumati insieme ai necrofori. Il fastidio per l'inumazione nascondeva il timore che il defunto potesse ritornare e scompigliare l'ordine ereditario. Ibn-Fadhlan assistette a un rito funerario a Bulgar-sulVolga per la morte di un capo varjago. Quando chiese come mai il corpo del defunto invece di seppellirlo lo bruciassero, gli fu risposto che il fumo della pira, esalato dal cadavere, restituiva rapidamente agli dèi lo spirito. Se invece lo avessero seppellito, ci sarebbe voluto più tempo per il suo viaggio al cielo. In realtà il concetto di spirito o anima come ho scritto non era parte del pensiero pagano e Ibn-Fadhlan ne dà una sua generica interpretazione. Quel che mi preme qui però è far notare che sulla pira brucia insieme al capo varjago la consorte da lui favorita secondo l'antico rito vedico-indoeuropeo del satti vietato in India solo decenni fa. Né risulta l'inverso ossia che il 420 consorte si sacrificasse sulla pira della consorte morta. Tuttavia che una donna potesse suicidarsi per amore del consorte morto era ammissibile, ma rarissimo nei racconti popolari perché considerato un atto sacrificale non richiesto dagli dèi e suggerisce, si noti bene, quanto poco importante potesse essere l'amore sentimentale! Ritornando all'anima cristiana insufflata dal creatore alla nascita affinché il corpo vivesse, l'idea pagana era che il corpo è vivo se è in movimento e si muove perché ospita in sé la forza vitale che gli viene dalla terra dal momento quando appena nato è stato adagiato per qualche minuto sul suolo con il cordone ombelicale ancora non reciso... altro che anima invisibile e divina! La forza della vita è il sangue che fluido e caldo muove i muscoli. Il sangue è un dono del corpo della madre quando gli dèi esaudirono il di lei desiderio di far nascere un nuovo essere. È per questo che scompare il mestruo per i mesi di gestazione e il sangue in più sarà espulso nella placenta al parto. Un'altra lettura avvertiva che la forza vitale cadeva nel corpo materno subito dopo il parto da una stella nel cielo accesa dagli dèi che avevano approvato la nascita! E che accadeva quando una persona moriva? Occorreva dissanguarla come si faceva con gli animali macellati e spargerne il sangue sulla terra? E come mai – all'unisono cristianesimo e paganesimo lo ammettevano – il defunto indugiava nei dintorni di casa per molti giorni in forma invisibile? Era forse in attesa che si trovasse per lui una sistemazione adatta nel mondo dei morti e quindi non ancora interamente morto? Per i pagani slavo-russi era finalmente Mokoša o Mara, 421 Marena a decidere il da farsi per accompagnare il defunto nel viaggio verso gli antenati che lo aspettavano. Il mito raccontava che il paese dei morti, in russo chiamato Irii, era dove abitava Svarog e dove faceva sosta il carro del sole durante la notte. Si trovava in Occidente al di là dell'oceano che circondava la terra abitata. Fra camminate a piedi e navi da prendere per attraversare mari, fiumi e laghi, il tempo occorrente era veramente tantissimo e per arrivarci c'erano dei turni da rispettare. E ritornare? Non era pensabile! Nello scrivere di questi miti si cade nella trappola dell'idea – e io ci son caduto – che essi si riferiscano a costumi esotici e non europei. Ebbene non è così. Mi son lamentato di non aver trovato le voci, i detti, i dibattiti dei sacerdoti pagani del nordest che ho conglobato nel termine volhv, ma in realtà lo sciamanesimo “siberiano” non è altro che il paganesimo di cui la cristianità medievale si crucciava e cercava di spingere fuori dai propri confini culturali. Il volhv (come il prete cristiano) è una persona, donna preferibilmente, che crede di “saper viaggiare fra i veri due mondi esistenti” cioè il mondo dei vivi e quello dei morti. Nel primo si arriva appena nati e nell'altro qualche tempo dopo esser morti. La collettività accetta lo sciamano o il prete non per semplice imposizione o arbitrio del potere, ma per paura. Sì! Per paura che costui/costei possa evocare e spingere le forze ignote celate nell'ecosistema ad agire contro di noi! Gli dèi pagani in generale sono indifferenti di fronte all'agire umano finché l'uomo segue bene e ripete i rituali di venerazione e di soggezione periodicamente prescritti. 422 Non appena però si compia un atto che disturba l'ecosistema, ecco che a seconda della gravità dell'atto, gli dèi si adirano e, se non interviene lo sciamano o il prete, siamo perduti tutti! Se è questo ruolo che l'anziana spessissimo assume e spiega perché le donne vivessero in media degli anni di più dell'uomo, per i cristiani c'era il dubbio che le donne non avessero un'anima o, se l'avessero, Satana l'aveva carpita alla nascita presso di sé. E qui ci sono dei curiosi costumi sessuali da annotare. Col cristianesimo e con l'inumazione, alla morte dell'unica moglie ammessa, la di lei salma doveva esser deposta accanto al marito premorto nella stessa tomba. E le prescrizioni di un concilio del IV sec. avevano imposto che il cadavere femminile in tal caso dovesse disfarsi nei prescritti 40 giorni dalla morte completamente di tutta la carne affinché non risvegliasse i bollenti spiriti necrofili nel cadavere maschile (F. Valitutti & D. Verdegiglio, 2001) del consorte. Era credenza che il maschio defunto finché ci fosse un po' carne attaccata alle sue ossa poteva comunque risvegliarsi eccitato sessualmente e sotto forma di upir o vampiro lasciare la tomba e tornandovi a suo piacere violentare le donne. Le CTP s'interessano poco della morte di donne e nel caso di dame altolocate non descrivono neppure la cerimonia funebre e non sono riuscito a sapere a quali obblighi rituali si ottemperasse. Negli scavi nella chiesa della Decima a Kiev, secondo gli archeologi che vi hanno lavorato, si trova il sarcofago di pietra dove furono traslati i resti di Olga di Kiev quando 423 la chiesa fu costruita dal di lei nipote san Vladimiro. Leggiamo nelle CTP in ambiente ancora pagano: «Nell'anno 6477 (969 d.C.)... Olga morì e la piansero con gran dolore e suo figlio e i suoi nipoti e tutta la gente e la portarono e la seppellirono all'aperto.» È da notare qui che non si parla di una festa funeraria, la trizna, incentrata sul bere smodato che Olga da battezzata avrebbe rifiutato per la sua morte. Se il suo cadavere è stato recuperato, manca quello del consorte (leggendario) Igor squartato tempo prima nella faida coi Drevljani e sarei curioso di sapere che soluzione si sarebbe adottata, se i due avessero dovuto giacere da morti l'una affianco dell'altro. Non vado tanto oltre nelle notizie funerarie e faccio notare che un giudizio finale con il rito della richiesta di perdono al creatore tramite l'estrema unzione nel paganesimo non era previsto. Caratteristico e ne riferisco pensando che sia la parodia di un rituale importato dal Centro Asia, era l'uso di consegnare alla salma una letterina che ricordasse al creatore ciò che il defunto aveva fatto di buono da vivo per i suoi e che questi suoi avrebbero pregato per lui invocando il perdono per gli errori commessi. Nelle CTP gli annunci funerari sono pochissimi e estremamente laconici come quando nel 1000 d.C. si registra che morisse una non ben identificata Malfrida o alla morte della prima consorte di Vladimiro, Roghneda di Polozk. Niente si sa che ne fu dei loro resti, molto probabilmente inumati. Di Anna, sorella dell'Imperatore Basilio II l'Ammazzabulgari (in greco il Bulgaroctono) si ignora che ne accadesse da viva e da morta. 424 pominki Al defunto comunque era riservato il posto nel turno della distribuzione del cibo nella cena quotidiana (užin) per lungo tempo, come o accennato prima. Pensate che oggi dove la sepoltura è per legge nei cimiteri, si rispetta in Ucraina e in Bielorussia la presenza del morto (benché invisibile) durante i cosiddetti pominki o rimembranze funerarie. Si pranza tutti insieme nel cimitero sulla tomba dei coniugi nonni ad esempio, e ci si mette in contatto con loro brindando alla loro vita nell'Aldilà e auspicando la loro protezione per i discendenti. È un uso ben diffuso fra gli slavi ortodossi dal Mar Nero all'Adriatico e dal Caspio al Mar Glaciale Artico e ciò ne garantisce l'antichità. Per di più i pominki sono in una decina di festività sparse durante l'anno e, secondo certe tradizioni locali, in maniera “privata” devono ripetersi dopo 15 giorni, poi dopo 6 settimane e un 1 anno dopo, 425 dalla data della morte e vanno mantenuti per ben 7 anni! Se si trascurassero, il compianto tornerebbe irritato e vendicativo in vita mutato in upir. Alla fine pur avendo trascurato parecchi rituali minori, per me un punto è restato oscuro: Il parroco e la chiesa intera una volta insediatisi nel cuore del mir, che ricavavano materialmente da queste cerimonie? E quando il mir diventò parte di un dominio con una capitale e un sovrano che cosa dové in più a quest'ultimo la verv del defunto? Le mie domande si fondano sul fatto che la morte col cristianesimo restò il prete incaricato di constatarla e che la proclamava e comunicava agli astanti. Anzi! Diventava qualcosa di spaventoso e terribile senza un prete benedicente accanto all'agonizzante e per il morituro significava la perdita sicura del promesso paradiso... come da polizza sulla vita eterna sottoscritta al battesimo (v. in Sacred Trust, 1996). Non solo! Il rito funebre era stato sempre un evento pubblico del mir e adesso invece era gestito quasi di nascosto fra gli intimi. Sia come sia la salma sempre col prete accanto era traslata in un'area recintata nel folto o nel sagrato retrostante al tempio cristiano dove il cadavere era finalmente inumato. E ciò costava e di sicuro un prezzario esisteva, magari sotto forma di contributi in lavoro o di cessione di derrate alimentari al naturale o cucinate che andavano alla chiesa e al suo parroco con famiglia. La fine del mondo. 426 C'è un altro aspetto in questa mia corsa raccogliticcia di dati storici sulla morte che va coniugato col resto del cosmo pagano ossia: Anche il mondo poteva un giorno perire? Cristo l'aveva annunciato e la minaccia di un'immane catastrofe incombeva minacciosa ogni momento. Di questo mito si era nutrito il Millenarismo cosiddetto. Era così accaduto che uno studioso della corte franca nel 727 d.C. prima che Carlomagno fosse incoronato imperatore nel 800 d.C. affermò che il mondo stava completando con la fine del X sec. il settemillesimo anno di età cioè dalla creazione, calcolata da lui nel 5928 a.C. (la chiesa ortodossa, come ho già scritto, la fissava invece per l'anno 5509 a.C.), e pertanto a breve sarebbe comparso l'Anticristo e subito dopo sarebbe tornato Cristo in persona per il successivo e finale Giudizio Universale! Roma sul Tevere si affrettò a smentire tutto, ma il personale ecclesiastico minore diffuse quelle paure relative alle catastrofi in arrivo allo scopo forse inconscio di facilitarsi il lavoro di propaganda nelle aree ancora da riscattare al paganesimo! Il Millenarismo si era poi esaurito sul punto che passato l'anno 1000 tutto era continuato come prima e non era arrivata dal cielo nessuna salvezza per l'umanità sofferente. Chi non aveva sperato in una vita nella gioia eterna del paradiso? E invece lo sfruttato restava alla mercé dello sfruttatore, i guai restavano quelli di prima e la fame, la malattia e la morte imperversavano. E il dio-padre salvatore e consolatore dov'era finito? L'ho appena scritto: La chiesa ufficiale non aveva previsto la fine del mondo per quella data e affrontò le rivolte e le proteste 427 che seguirono alle false paure tentando lo scaricabarile di riversare sugli eretici e sugli infedeli le ire e la sete di vendetta dei delusi. I primi eretici a subire le ostilità delle crociate sessiste della chiesa (i peccati sessuali soprattutto disturbavano il cosmo) furono i Bogomili bulgari del Danubio e a seguire i musulmani. A questi ultimi le crociate furono dirette in Terra Santa, ma poi continuarono sul Mar Baltico fino al XV sec. contro i popoli della Pianura Russa sia pagani sia ortodossi! Gli eretici maggiori in assoluto per il Patriarcato di s. Pietro erano il Patriarcato di s. Andrea sul Bosforo e i suoi prelati con la loro dottrina ancora piena di apocrifi e di riti estranei. Ricordo che dopo lo scisma unilaterale del 1054 l'odio eterno fra i 2 mondi cattolico romano e ortodosso costantinopolitano toccherà il culmine nel 1204 quando Roma Secunda sarà profanata dai cattolici “in crociata” e le sue chiese saccheggiate di ori e di preziosi manoscritti mentre il patriarca ortodosso era scacciato e sostituito da uno cattolico (il veneziano Morosini) che la chiesa russa e le chiese suffraganee naturalmente non riconobbero. A parte ciò col diventare il cristianesimo religione dell'Impero Romano tanto da veder comparire spesso la sua etica nella legislazione ordinaria, la chiesa ai fatti in tempi anteriori si trovò a dover definire un suo ruolo pratico di alleato religioso dello stato e definì se stessa un santo servizio missionario il cui fine istituzionale primario era di vanificare le minacce dei barbari sui confini per mezzo del lavoro di spionaggio dei suoi preti. 428 Un compito improbo perché significò intrufolarsi nella vita di persone sconosciute e parlanti incomprensibili linguaggi per convincerle a un'amicizia improbabile con l'Impero Romano, famoso stato conquistatore spietato e orgoglioso. Fra i primi teorizzatori della santa missione non può mancare la voce del berbero di Tagaste, sant'Agostino, già da me nominato ai confini africani dell'Impero. Nel V sec. d.C. dopo una lunga vita vissuta in ogni maniera possibile fra eretici e ortodossi, fra amori “leciti” e “illeciti”, lo vediamo farsi vescovo con la scelta del celibato per quel che gli resta da vivere. Forse per l'età avanzata, ma con lo scopo preciso di dichiararsi giudice “a-sessuato” super partes e quindi ormai privo di pregiudizi sui ruoli di maschi e di non-maschi, nella sua produzione letteraria indica ciò che la chiesa deve fare per tenere insieme le compagini etniche vecchie e nuove dell'Impero. Si rammarica per la decadenza di Roma sul Tevere sotto i colpi dei vandali che hanno sconvolto per prima Ippona (medievale Bona e oggi Annaba in Algeria) dove lui si trova. Ormai il Tevere conta poco di fronte a Costantinopoli sui problemi dei contatti con i barbari e occorre invece ripensare le politiche, magari partendo dalle esperienze fatte sulle poche conversioni attuate. Queste questioni lo affascinano e lo inducono a teorizzare piani pubblicitari, diremmo oggi, più incisivi, affinché il prodotto battesimo sia percepito come un alito di vita nuova necessario fra i selvaggi pagani. Ai suoi tempi la quasi totalità dei sudditi dell'Impero non era indottrinata e il cristianesimo appariva ancora una setta ebraica con 429 limitati e riservati consensi. Si può dire che è stato sant'Agostino a inventare una specie di slogan incentrato sugli aspetti sessuali della società affermando in De bono coniugali che fare all'amore per il solo gusto del godimento fosse una pratica che deturpava e sconvolgeva la vita di chiunque, credente o pagano. Scrive che se si vuol migliorare non c'è che il battesimo e spiega che i sentimenti amorosi possono essere o (1) rivolti alla divinità (caritas) o (2) a un altro essere umano (cupiditas). Mentre con 1. si tende alla purezza della carne e dello spirito, al contrario con 2. c'è impurità e perversione o in termini religiosi il peccato come è stata la prima copula di Adamo con Eva detta perciò peccato originale (con tardiva opportunità si dirà che il peccato era la disobbedienza al creatore per aver mangiato dei frutti proibiti!). È pericoloso dipendere dalla copula poiché ogni facoltà maschile – lo dice perfino Aristotele – verrebbe succhiata dalla donna nel piacere dell'amplesso e l'uomo decadrebbe. E non è forse qui il pericolo che la sessualità sia usata dalla donna per divorare il maschio che la penetra? E le streghe conosciute in Occidente, non celebrano forse il cannibalismo rituale? Di qui l'equazione popolare: Femmina = Strega malefica con il seguito dell'infame storia dell'Inquisizione. Ne accenno seppur avvertendo il mio lettore che una persecuzione simile delle donne come streghe nel Medioevo Russo non ci fu mai e la ved'ma restò una vecchia magari stramba, ma utilissima e apprezzatissima... perfino dal parroco. Nelle Sacre Scritture molti punti di questi argomenti sono peraltro oscuri. Basti pensare al fatto in sé 430 stranissimo dove la perpetuazione della specie umana sia stata affidata dal creatore a Eva col parto, malgrado sia stata lei, alleatasi col demonio-serpente, a indurre Adamo al peccato originale. Col coito e col parto dio non crea più gli uomini impastando terra, ma lascia che il robotdonna da lui fabbricato con la costola di Adamo produca esseri umani in cui insufflerà l'anima. E che cosa mette in moto il robot-donna per trovarsi nell'utero un corpo estraneo da nutrire fino a espellerlo eventualmente come essere vivente? Il vecchio adagio che afferma: I figli sono doni di dio! è credibile poiché in maniera indiretta avverte che è inutile stare a scervellarsi sul come il concepimento avvenga: È opera divina e non umana e – insistono i cristiani fino al 1968 con Paolo VI e l'enciclica Humanae Vitae – non può esser sottoposta a indagine scientifica senza compiere sacrilegio. Si legge ancora in Genesi cap. 4 vers. 1: «E Adamo conobbe [copulò con] Eva e Caino fu partorito. E Adamo disse: Ho avuto un uomo [nuovo] dal Signore.» Il che sembra dare all'uomo una partecipazione oltremodo blanda nel processo riproduttivo, ma tutto è lì. Addirittura sembra concedere la possibilità di parti virginei di fatto ben conosciuti nelle realtà pagana e cristiana medievali. E allorché si parla della copula fra i figli della coppia primordiale per continuare la genia umana, ecco l'altro topos natural-religioso da immettere nella propaganda cristiana d'assalto: l'incesto, indicato come ignominioso e da aborrire. Ne ho parlato e riparlato, ma sia chiaro che questo aspetto culturale rientrante nella gamma dei rapporti possibili fra due 431 membri della verv che ignora l'idea di parentela come la vede il cristianesimo, ad ogni buon conto se prevenuto, proibito o nascosto non mette in alcun modo in crisi la struttura della comunità pagana. I fulmini di Cristo su questa pratica sessuale non spaventano i contadini. I cristiani sostengono una società a dominanza maschile anch'essi, ma insieme con un'esogamia la più larga possibile. I moventi cristiani? Una consorte non apparentata assicura l'allargamento dei domini e del potere di un sovrano, senza impegnarsi in incerte guerre di conquista. Anzi! I vantaggi sono molti e di qualità persino maggiore: La consorte proveniente dal “di-fuori” non perde la sua cultura e la sua lingua nel nuovo dom ed è perciò diventa una mediatrice linguistica insostituibile per i contatti interetnici, diremmo oggi. Malgrado ciò, siccome il potere è concesso dal creatore per intercessione della chiesa solo ai maschi, associarvi la donna è un problema poiché la chiesa fa da garante per una corretta gestione di questo potere e non vuole donne fra i piedi. Una consorte-mediatrice che intervenisse in affari di stato suscita l'ira del creatore che può essere terribile e devastante. Per converso Cristo è maschio, ma non ha avuto (così si dice) una consorte “intrigante” e si è trattenuto spesso nell'esercitare l'immenso potere che la sua condizione di figlio-di-dio gli offriva sin dalla nascita, persino di ascoltare sua madre. E qui ritorno a Maria, madre e educatrice di Cristo nella gestione del potere pur non avendo, come pare, alcuna esperienza di rapporto con maschi dominatori. Fondamentalmente restava incomprensibile per la 432 mentalità pagana (ricordate lo snoxačestvo?) esaltare la verginità come qualità suprema femminile e per lo meno risultò contraddittorio proporre come modello sessuale da imitare non Eva per aver fatto per prima all'amore, ma la Vergine Maria che restò illibata. E che dire piuttosto di Maria, consapevole di aver dato alla luce Cristo e che dopo averne sofferto per la morte e esultato per la risurrezione, sia più o meno sparita nei tantissimi scritti lasciati ai posteri dagli apostoli che si presume l'avessero ben conosciuta? Non aveva Cristo affidato sua madre a Giovanni prima di morire crocifisso? Al leggere quel che si scrive sui miracoli e sulle sue apparizioni si nota che gradualmente, ma rapidamente, Maria perde la sua funzione femminile di madre e il suo corpo e la sua sessualità scompaiono nei paludamenti del vestito azzurro cupo fino ai piedi dell'iconografia costantinopolitana. Di lei si dipingono solo viso e mani e a comprova del di lei parto si pone il bimbo Cristo fra le sue braccia, anche lui paludato di panneggi improbabili. Sono i primi successi pittorici della campagna contro la nudità che, salvo il viso e le mani, per altre zone del corpo è vietata. In realtà nel X sec. la vergine Maria che viene fuori nella pittura e nella letteratura edificante in occidente è ormai una signora altolocata vestita come si deve che con condiscendenza guarda i suoi sudditi nudi. Le si deve attribuire il titolo di Madonna o Nostra Signora poiché la modesta giovanetta di Nazareth pur di discendenza nobile dalla stirpe di Re Davide non è più accettabile. E non si dimentichi che nel mito mariano anche Anna, sua madre, l'ha generata nell'ambito di 433 un'Immacolata Concezione. Lentamente Maria si va assimilando come figura di alta autorità dottrinaria all'élite ecclesiastica fatta di papi, patriarchi, vescovi e abati che mantengono corti e cortigiane addirittura con grande sfarzo ostentando così il potere che Cristo ha loro concesso. La chiesa da alleata dei pochi eletti uomini di potere fra il X e il XII sec. con la spinta al culto mariano riesce a trasformare Cristo e le sante di genere femminile in altrettante divinità, pur secondarie rispetto alla vergine Maria, ma ugualmente potenti nella pratica miracolistica. In breve il corpo ecclesiale maschile pensante decide col ricorso al celibato di diventare, si può dire, per quanto possibile simile a Maria e fonda una vera e propria corporation composta di maschi sotto la presidenza di una donna, appunto Maria (le donne suore non hanno voce in capitolo). La Vergine naturalmente da brava divinità sarà assunta in cielo e quindi non sarà presente fisicamente, ma col suo spirito in mezzo a loro. Maria vergine diventa la nuova Eva, la rigeneratrice dell'intera umanità che si avvia sulla strada della verità attraverso i corpi femminili battezzati di tutte le donne. La chiesa è custode dei segreti di un'insolita aggregazione di atti e concetti imperniati sulla donna-madre e non sulla donna-amante e assume l'etichetta di Santa Madre Chiesa trasformandosi in potere assoluto tout-court di sapore ambiguamente femminile. Non solo, alla vergine Maria si addice il giglio, simbolo sessuale di donna mai toccata da membro virile, e di questo fiore, come d'altronde anche della viola che riproduce abbastanza 434 chiaramente la parte esterna dei genitali femminili la pittura sacra cristiana d'Occidente sarà inondata... Altro accade nel nordest. Gli sforzi indipendentisti dei pochi stati che sorgono nella Pianura Russa tendono all'autonomia religiosa che il patriarca costantinopolitano a volte è costretto eccezionalmente a concedere. Maria in questo contesto acquista un aspetto consono all'idea di una divinità separata e antagonista del dio trino cristiano e cioè della Gran Madre Terra riconsacrata dalla chiesa. E che dire dell'altra ossessione cristiana medievale se san Paolo nel I sec. vedeva intorno a sé i costumi spregevoli dell'omosessualità maschile e femminile? A questo proposito nella Bibbia in Lettera ai Romani 1, vers. 21 e segg., scrive: «...Quando lo hanno conosciuto [il creatore] lo hanno glorificato non come dio né lo hanno ringraziato [...] Proclamando di essere loro i saggi e diventando [invece] i folli [...] hanno cambiato la gloria divina in un'immagine fatta simile all'uomo corruttibile [...] per cui dio li ha abbandonati all'impurità [che traggono] tramite i piaceri dei loro cuori, per disonorare i loro propri corpi fra loro stessi. […] A causa di ciò [dio] li ha consegnati agli affetti vili giacché anche le donne hanno cambiato l'uso naturale [dei loro corpi] in quelli contro natura. E così anche gli uomini dopo aver lasciato l'uso naturale delle donne bruciano di passione l'uno per l'altro...» In queste parole è altresì riassunto l'insuccesso finale delle battaglie cristiane contro questo tipo di sessualità poiché, pur riuscendo a promuovere la produzione di 435 leggi imperiali ad hoc 4 secoli dopo san Paolo, le autorità dei primi cristiani liberi fra pratiche maschili e pratiche femminili inserirono un grado di peccaminosità con relativo peso diverso nella concessione del perdono sessuato e riconosciuto a seconda del rango sociale. Vediamo la questione un po' meglio. Richiamandosi al modello sessuato della società ebraica e alla superiorità del maschio sancita dal creatore in quanto la femmina era stata “fabbricata” con pezzi del maschio senza gli attributi genitali, nella copula la donna è soggetto passivo e deve stare supina sotto il maschio attivo. Questa però è la versione della creazione meno nota. Nel X sec. appare un'altra versione in cui maschio e femmina sono creati nello stesso momento (A. Le BrasChopard 2014 in J. Mossuz-Lavau v. bibl.). Nella leggenda talmudica Lilith si lamenta cin Adamo: «Perché devo giacere sotto di te? Io pure sono fatta di polvere come te e perciò sono eguale a te!» Adamo le risponde di essere superiore a lei in ogni cosa, ma Lilith non ci sta e lascia il giardino dell'Eden. Richiamata, rifiuta di tornare e resta col nuovo amante Samaele, capo dei demoni, e da questa sua nuova posizione odierà Eva. Non solo! La letteratura anti-omosessualista del '800 la trasformerà in un'insaziabile ninfomane che non disdegna neanche l'amore lesbico in cui Lilith fa la parte del maschio. Fra l'altro se si considera la copula omosessuale una “sordida” parodia di quella etero, allora chi dei partner subisce l'azione del fallo è da marchiare spregiativamente come passivo rispetto all'altro. Di qui segue che l'uomo che ha parte passiva si degrada e trascura che dio gli ha 436 concesso l'apparato genitale maschile. Viceversa fra le lesbiche è la donna attiva che si arroga contro la sua natura un attributo maschile che non possiede: il fallo. chiesa di Paion-Montméridien del XIII sec. L'allegoria scolpita nel capitello in figura di una chiesa francese denuncia chiaramente col serpente in cima che la copula di Adamo e Eva è peccato. L'etica ebraica è abbastanza chiara e schematicamente considera sporco e impuro ciò che sta in basso verso la terra e ciò che si trova in alto verso il cielo puro e glorioso e dunque santo e senza peccato di fronte al creatore. Per questo motivo è evidente che l'apparato sessuale vuoi il fallo maschile vuoi la sua mancanza nella donna che il creatore ha situato in basso nel corpo umano vuoi insomma l'uso di questa parte bassa per le deiezioni 437 corporee (compreso l'eiaculato maschile e le pratiche copulatorie) è per natura macchiata di peccato. la Gran Madre Terra coi serpenti in chiesa a Bamberga Un esempio pratico sull'uso fazioso del grado di peccaminosità si nota quando, vietando agli omosessuali maschi di rango di esporsi al pubblico nelle città. A seconda dei casi li si costringeva a prendere gli abiti monacali o a pagare una congrua multa e mettere a tacere il “reato” per sempre... Niente coming-out! Delle lesbiche invece non ci si occuperà giacché per le donne non sono previste altrettanto frequenti apparizioni in pubblico. E di casi in questo ambito se ne riscontrano nel tardo Medioevo Russo. Insomma si conferma il simbolismo del potere fallocratico ai suoi primi passi che 438 penetrerà nella Pianura Russa con l'ortodossia erede sedicente dell'ebraismo e contro la posizione ebraica non tanto critica sull'omosessualità. Ancora nel XII sec. si scrivevano a G. Novgorod due amanti: Naturalmente è giocoforza che i cristiani si distinguano dagli ebrei nei casi in cui riescono a farlo nettamente con dottrine specifiche e infatti il patriarca di Alessandria, Cirillo, apparso dopo sant'Agostino, con le sue “attività antisemite” in tutti i modi insisterà affinché chi aderisca all'ebraismo di Cristo debba accettare e condividere la condanna delle pratiche amorose denominate “contro natura” come è indicato nella Bibbia di Adamo + Eva. Concludendo, si deve respingere ogni collusione, confronto o discussione su tale oggetto, il lesbismo, con le comunità ebraiche sparse nell'Impero e fuori di esso... ad es. con i Cazari a partire dal 800 d.C. sulle sponde del Mar Nero, salvo sposarne qualche loro figlia e battezzarla per porla sul trono costantinopolitano senza dubitare della sua femminilità! E la posizione pagana sull'argomento “sesso sporco”? In altre parole è lecito accettare veti su fellatio, cunnilingus, penetrazione anale e quant'altro? In tali questioni le byline erotiche, specie quelle pubblicate in Svizzera da A. Afanas'ev, i sopraddetti problemi dottrinari di educazione sessuale ai giovani almeno fino al XV-XVI sec. sono sottaciuti forse ignorati o dati per scontati: L'importante nella pratica sessuale, comunque e con chiunque si realizzi l'erotismo, come ultima ricompensa per il maschilista stressato dalla vita 439 è il godimento personale e individuale! 440 Capitolo quindicesimo La verv e la sua mitologia 441 Nella Pianura Russa ci sono altresì questioni di una gelosissima etnicità e del fatto che stati veri e propri nel IX sec., malgrado la presenza cristiana fra gli slavi di nordest, non se ne vedono. E, se nel X sec. la chiesa russa è negli anni del suo radicamento a Kiev, a G. Novgorod (XI sec.), a Polozk (XI sec.) e nell'area del fiume Okà dove oggi si trova Mosca (XII sec.), essa non può che adottare la strategia di procedere all'appiattimento delle differenze etniche con ogni mezzo per farsi strada fra difficoltà ecologiche notevoli. Traspare senza eccezioni dalla tradizione dei popoli del nord il fatto che le “aberranze” sessuali sono numerose nei villaggi e nelle campagne e, benché si richieda alla missione cristiana di concedere indulgenze, alla fine si nota un'esigua attività ecclesiale per mancanza di personale preparato e in primo luogo per insufficiente ricognizione dei territori. Per di più i locali fanno sempre il confronto fra i propri sacerdoti pagani e i preti cristiani. Ne ho ripetutamente accennato nel mio testo, ma credo che valga la pena rivederne ancora qualche aspetto particolare. Si parte dal sentito-dire che si trovano sacerdotesse pagane dai poteri “magici” molto forti e molto stimate dalla gente. Che misure prendere? Forse è meglio per i preti cristiani non incontrarle per non incorrere in figure meschine per questi maschi celibi. Ad esempio gli Ingusci dell'Anticaucaso da pagani eleggevano i propri sacerdoti fra gli adulti nei villaggi e, ripeto, non escluse le donne (M. Tsaroieva 2011). Generalizzando – leggo che in altri luoghi della Pianura Russa era spesso la stessa cosa 442 presso altre etnie – si richiedeva loro una vita onorevole e un'intuizione pronta e superiore nel carpire i segreti utili nella natura delle cose, di interpretare i sogni etc. Importante era prevedere il futuro, dominare la comunicazione in lingue diverse e possedere una buona facoltà oratoria. In aggiunta guarire, ritrovare un'arnese smarrito, pacificare liti d'ogni tipo e roba simile erano i loro compiti quasi quotidiani, benché li sapesse svolgere pure qualsiasi capofamiglia con una minore sacralità. Se accadeva loro di sbagliare, si era subito revocati ed era vietato loro l'accesso ai santuari per almeno 3 anni. Soprattutto quando gli effetti dell'errore causava grossi danni alla comunità, il sacerdote era a volte strangolato. Al volhv – lo chiamo così qui per analogia – tocca tenersi buoni gli dèi e, se si vuole il favore del cielo, occorre saper donare e scegliere l'offerta giusta poiché agli dèi si offrono in primo luogo esseri viventi. L'offerta, compresi bimbi o adulti, è in slavo treba, drapa per i germani e tropaeum per i latini etc. e non erano un tropeum/trofeo i genitali del capo nemico vinto recisi e conservati? A caccia, riproduzione della guerra fra uomini con insidie e quant'altro, era uso per i grossi mammiferi sopraffatti che le femmine fossero risparmiate e i maschi emasculati e i loro genitali consegnati al signore-capocaccia! Non solo. Le monete d'oro di san Vladimiro e dei suoi discendenti (i cosiddetti rjurikidi) hanno sul recto il ritratto del sovrano e sul verso uno strano simbolo che può sembrare le 3 punte di un tridente o un falco in picchiata. A mio avviso invece potrebbero essere gli 443 attributi genitali del diavolo come simbolo della vittoria di Cristo con il battesimo di Kiev al volgere del X sec. Come ho più volte scritto, la sessualità per i pagani era un dono degli dèi e perciò una copula era pari a un sacrificio, se offerta e sacralizzata dal volhv in certe cerimonie. Infatti fare all'amore in pubblico copriva un amplissimo campo di applicazioni culturali e religiose e quindi, in casi di insuccesso nel lavoro di conversione, i cristiani pensavano di lasciare i pagani ai loro costumi diabolici perché si mettono da soli sulla via che li condurrà diritti all'inferno... Diciamo la verità: Nell'insistenza tipica missionaria, se Cristo voleva entrare nel cuore della società pagana, occorreva colpire nel luogo giusto. Dove o meglio chi colpire? La risposta era immediata: la donna! La misoginia è pertanto concentrata qui cioè avvilire quanto più possibile la donna in qualunque ruolo anche sacro riconducendola a corpo-macchina, mantenendo la ferrea 444 soggezione all'uomo e espandendo il potere di quest'ultimo in modo che volhv femmine non ce ne fossero più. In altri termini una specie di caccia alle streghe bella e buona che, come ho già scritto, non ci fu per la semplice ragione che la donna-volhv non va eliminata sic et simpliciter, ma va messa in ridicolo per aver abbandonato i suoi compiti tradizionali. Ed è quello che a volte leggo nelle CTP. Nei paganesimi di nordest la donna è collocata nella verv dove, come già sappiamo, gestisce la famiglia allargata prima di tutto come un'unità vivente economica di produzione di derrate alimentari, pur conservando come ogni membro la natura cooperativa della sua attività più o meno con una certa parità di diritti e di doveri ed è perciò non soltanto l'anziana che veste e nutre, ma contemporaneamente socia e operaia, volendo usare termini moderni. La verv produce quel che consuma e, finché non interviene un potere esterno a imporre un tributo, il surplus prodotto in parte si deposita per i momenti duri e per le semine seguenti e in parte si ridistribuisce nel mir. La terra e il coltivo appartengono alla comunità per concessione a tempo degli dèi e nessuno può pretendere dai suoi frutti più di quel che gli tocca in base alla disponibilità del momento. Ogni occasione è sfruttata contro lo spreco di cibo, ma accade persino di esaurire i depositi in un potlatch in onore degli dèi quando occorre affrontare le non rare epidemie e carestie. L'unica produzione che si può dire “personale” o “individuale” quasi intoccabile è ciò che si ricava dall'orto o dagli alberi 445 da frutto nel giardino-orto di ogni dom. Sono proprietà nella stessa ultima maniera del gruppo delle donne econome (ključnicy) le piante tessili: canapa, lino, tifa e qualche altra che sono lavorate in comune e convertite in filo da tessere pure in comune. Lo stesso è per gli animali da cortile e da stalla che in numero limitato e di piccola taglia non hanno eccessivo peso nell'economia, visto quanto costa farli crescere in casa prima di macellarli. Si sa bene dai contati con i pastori nomadi che per l'allevamento in grande si tratta di un'economia che non dà ricavi immediati, ma in periodi lunghi e persino lunghissimi. Chi fa girare le ruote della verv conosce per eredità culturale e per esperienza queste topiche e deve disporre quando occorre di correre qualche rischio e non avere un ritorno della somma del valore delle risorse impiegate più il costo della fatica in uno scambio andato male. Relazioni interpersonali. Assodato l'aspetto macroeconomico, il sistema nella verv delle relazioni interpersonali non è statico e lo scambio di persone nello stesso mir e con altri mir è intenso e proficuo allo stesso tempo, se però rispetta le sacre regole tramandate dagli antenati. Si sa che la relazione interpersonale primissima è proprio quella fra madre e figlio/a dove la donna si cura di tenere in vita la prole appunto fino alla pubertà. Ed è proprio nell'amor filiale dove il cristianesimo colpirà, benché – si sa oggi a posteriori – con pochissimo successo. Istituirà malgrado 446 difficoltà e incomprensione una primitiva anagrafe presso la chiesa del villaggio imponendo ai parrocchiani di non indicare il nome della madre vicino a quello del bimbo da battezzare, ma il nome del padre. uomini che arano un campo nella foresta russa nel X sec. e gli strumenti, aratro e puntale per seminare, sono di legno (Prižok v Prošloe v. bibl.) L'educazione inculcata ai maschi onde abituarli al comando era chiara, salvo che la casa grande, dom, del capofamiglia era gestita, ordinata e governata sempre dalle donne. I maschi all'alba, compreso il capofamigilia ancora in forze, sciamavano fuori per il lavoro nei campi e non sarebbero tornati che al tramonto. Le donne, lo ripeto, si occupavano del cibo, dei bambini, degli animali, dell'orto, della tessitura e dei vestiti in generale, della cura dei malati, della raccolta nella foresta di legna da ardere e ancora altro. Non solo, disponevano liberamente della propria dote (il veno pagato ai di lei genitori dal marito, ma devoluto dai genitori di lei dopo i 447 dovuti conti e prima di lasciare la casa avita), ma la sposa prima (più anziana delle altre) manteneva un utile scambio con i vicini: semi, panni, conserve. La donna dopo la menopausa utilizzava il vantaggio di essere magari sopravvissuta allo sposo e diventava il nuovo capo della verv, benché nei contatti con l'esterno apparisse tale il figlio maggiore o il cognato-fratello di maggiore età del defunto. Eppure non c'era un unico modello di educazione femminile da impartire alle ragazze russe nel passato giacché lo storico S.M. Solovjov (2005 repr.) ha trasmesso un quadro alternativo dove la ragazza slava riceveva l'educazione nel mostrare la forza fisica esattamente come e insieme con i coetanei maschi. Imparando a mettere a disposizione della comunità le sue facoltà sviluppate col tirocinio delle armi contro l'eventuale nemico, spesso partecipava alle missioni militari coi coetanei e non come donna di piacere o da cuciniera, ma da vera e propria guerriera. Specialmente le figlie e le madri delle élites di città erano pronte ad armarsi, sapendo bene dove procurarsi un pugnale in ogni momento per togliersi di torno un fastidioso maschio. Titmaro di Merseburgo (sec. XI) scrive della moglie slava di un re ungherese che ha incontrato: «Essa beveva smodatamente, andava a cavallo come un qualunque cavallerizzo e [mi hanno raccontato che] una volta in un accesso d'ira furiosa avesse ucciso un uomo.» Anche le byline ci hanno tramandato figure femminili militaresche di ugual fatta e con un alto grado di astuzia 448 per circuire il nemico e vincere. Ancora nel XVII sec. fu raccontato al missionario italiano Arcangelo Alberti in visita in Russia che i Mingreli, cristiani del Caucaso georgiano, addirittura erano certi che donne guerriere esistessero ancora sul monte Elbrus (in Alania/Ossezia del nord oggi) fin dall'antichità, forse rammentando le leggendarie Amazzoni. Dobbiamo allora ricrederci sulla posizione della donna nella verv? In realtà l'antico matriarcato non era mai interamente scomparso nel mondo pagano e nel nordest sopravviveva, ma poi è inutile girarci intorno: la prima sfruttata nella verv è malgrado tutto la donna! E siccome ci si riferisce allo sfruttamento fisico in ogni suo aspetto misurato e in qualche modo ricompensato o difeso, lo sfruttatore non può essere che il maschio pur sempre entro regole ideate ad hoc dove appunto il gradino sociale della donna è posto in basso. E qui c'entrerebbe un inciso cioè l'argomento prostitute gestite dal prosseneta e cioè di un uomo che vive con i ricavi di tale femminile attività, ma non esercitata da lui di persona! Evidentemente con quanto abbiamo scritto tale “servizio sessuale” non esisteva nei termini in cui in occidente fino al XV-XVI si era classificato e legiferato in proposito da parte del papato che gestiva specialmente i bordelli romani. Certo, ovunque durante le feste c'erano ragazze che indulgevano al coito più volentieri di altre e magari ricevevano doni dall'amante casuale, ma ciò era per l'appunto casuale. A G. Novgorod le inservienti dei bagni sulla Riva del Mercato includevano nelle loro attività il divertimento di ballare, spogliarsi, ubriacarsi e 449 copulare con i mercanti, ma, lo ripeto, non era un lavoro. Nel Medioevo Russo al concludersi del grande exploit di san Vladimiro alla fine del X sec. Kiev è dominata dai gruppi militari varjaghi, ma la stragrande maggioranza dei dominati – l'ho detto e ridetto – è disseminata in villaggi davvero minuscoli, se li guardiamo con l'occhio moderno, sparsi in un'area enorme e nel fitto difficilmente accessibili. Non sono realtà stabili nel lungo termine giacché, appena il terreno si esaurisce dopo 8-10 anni, gli abitanti migrano altrove e gli insediamenti abbandonati a volte si dissolvono interamente. I legami fra persone sono precari (né servono legami tenaci in ogni caso) ed è comprensibile che a voler fondare uno stato-dominio, se non si riesce a legare il contadino alla terra che coltiva, l'impresa è inutile poiché dal prodotto dei dominati dipende la sussistenza dei dominanti e, se i dominati devono pagare un tributo devono cambiare i loro ritmi lavorativi e la maniera di affrontare la penuria di cibo che si verrà a creare non potendo più mettere da parte una riserva. Insomma Vladimiro doveva essere un gran sognatore piuttosto che un pari agli apostoli come nelle CTP è soprannominato, russo ravneapostolnyi. Ciononostante la novella chiesa russa da lui materialmente sostenuta inventerà per lui il mito della Rus di Kiev e cioè un'avventura storica piena di illusioni di gloria, ma senza esito duraturo. Crollata nella prima metà del XIII sec. sotto lo tsunami tataro-mongolo e con i lituani al potere a Kiev nel XIV sec. la Rus e i suoi ex-sudditi ritorneranno tranquillamente alle superstizioni pagane. 450 In questa cornice leggo l'episodio seppur biasimevole dal punto di vista militare del 1071 a G. Novgorod come lo raccontano le CTP. «Un certo volhv comparve [quando era il comandante] Gleb a Novgorod. Arringò la gente […] e in città ci furono disordini e tutti credevano alle sue parole e volevano uccidere il vescovo. [Quest'ultimo non avendo altra scelta] prese la croce [e] disse: Chi crede al volhv [e al suo paganesimo] che lo segua e chi crede al dio [cristiano] venga verso la croce. [Intanto dalla caserma arrivò anche Gleb coi suoi armati] che fecero gruppo col vescovo. […] Liti furiose ci furono fra i due gruppi e Gleb con l'ascia nascosta sotto il mantello affrontò il volhv. Gli chiese: Tu [… che affermi di sapere il futuro] sai che ti accadrà oggi? Grandi miracoli che io farò. Rispose [il volhv]. Gleb [allora] sguainò l'ascia e colpì e uccise il volhv che cadde senza vita. La gente [temendo il peggio] si ritirò. Così il volhv morì nel corpo e lasciò l'anima al diavolo.» Succede ciò nella grande città, ma è certo che di episodi simili se ne verificassero a volte nei villaggi e in tali situazioni per non essere uccisi era scontato che ci si facesse battezzare di corsa. Quando si dovettero organizzare gli immigrati turcofoni a sudovest e quelli venuti dell'estremo nord a sudest di Kiev si riprodussero situazioni simili al 1071 e la chiesa evitando l'uso delle armi accettò la verv slavo-russa e i clan nomadi così come erano riservandosi di riformarli usando le solite minacce dell'inferno non appena opportuno. C'è un acuirsi dell'attenzione alla peculiarità slavo-russa 451 e alla necessità di studiarla riguardo ai costumi sessuali poiché i mezzo-bulgari di Kiev costituiscono l'enorme maggioranza dei nuovi catecumeni. E tramite questa parentela etnica la misoginia fondamentale cristiana da Costantinopoli approda nella Pianura Russa all'acme dell'asprezza. Infatti, se si guarda quanto accadeva in Occidente nel XI sec., si notano subito dei timidi aggiustamenti dottrinari a favore del sesso femminile mentre sullo stesso atteggiamento nulla si legge nello scritto di Ilarione, primo metropolita non greco all'epoca di Jaroslav, Sermone sulla Legge e sulla Grazia (Slovo o Zakone i Blagodati). Scrive costui dopo aver spiegato che la Legge di Mosè era impura perché rivolta a un popolo schiavo e che Cristo l'aveva superata: «...come Abramo, sin dalla giovinezza, ebbe in moglie Sara, moglie libera e non schiava [l'evidenziamento è mio], anche Iddio sin dal primo tempo volle e pensò d'inviare nel mondo il Figlio suo e di rivelare in Lui la grazia [cioè l'autorizzazione divina a fare concessioni parziali di potere]...» Troppo poco per attribuire a questo intellettuale della chiesa russa l'intenzione di suggerire misure a favore della donna. Anche Vladimiro Monomaco, succeduto al potere kievano a Jaroslav, nel suo Insegnamento (Poučenie 1096) ha le idee molto chiare sulla posizione giuridica della donna e ai figli raccomanda: «Amate la vostra sposa, ma non datele potere su di voi.» benché in un altro punto raccomandi di rispettare e difendere le vedove... poiché sa troppo bene la grande influenza decisionale che le anziane hanno nella verv! 452 L'inconsistente famiglia cristiana È vero! Ho citato personaggi che vivono in ambienti elitari e cittadini profondamente distaccati dalla realtà della gente comune e non fanno troppo testo. Purtroppo le sottigliezze dottrinarie evidenziate e che evidenzierò non potevano neppure essere discusse col contadino o con qualunque altra persona del popolo poiché non era concesso tempo per le spiegazioni nelle predicazioni e mancava evidentemente la preparazione dottrinaria da parte cristiana e da parte pagana per qualsiasi dibattito. A Roma sul Tevere, a Costantinopoli o a Alessandria era facile arringare la gente nei mercati e nelle piazze e disquisire su vari argomenti con udienze di centinaia di persone fra residenti e visitatori che si alternavano nelle piazze. In più erano zone dove il bel tempo prevaleva mentre lo stesso non era a Kiev o a G. Novgorod alla medesima scala di grandezza. Eppure un asso la chiesa russa aveva ancora in serbo nella manica per attirare i sudditi che invece sfuggivano la sua presenza e correvano a nascondersi. Era il ben congegnato matrimonio cristiano! Ne ho già scritto in precedenza, ma va precisato ancora qualche punto. In Occidente il modello stava avendo successo poiché a tale cerimonia sacra seguiva la costituzione della nuova famiglia cristiana, istituto etico molto più adatto a controllare persone e loro movimenti tramite il maschio capofamiglia, atto a pianificare con maggior sicurezza produzione e risorse economiche su cui imporre tributo. 453 Al credente tale tipo di famiglia individualistica era “venduto” come un percorso educativo da compiere nella vita sulla terra per prepararsi al paradiso. Dato che matrimonio e famiglia mononucleare cristiana sono in vigore più o meno senza grosse varianti nelle società di stampo giudaico-cristiane ancora oggi e esportati in tutto il mondo, vuol dire che tali strutture hanno avuto un notevole consenso (con appropriati adattamenti “locali”) nelle società diffuse come superiori dall'imperialismo europeo insieme col cristianesimo. Scrivo tutto ciò ritornando sull'argomento famiglia giacché un confronto della verv slava in un suo aspetto apparentemente diverso dai canoni familiari cristiani, risulta al contrario in strabiliante similitudine con l'istituto famigliare celtico o fine. Questo mi conforta poiché l'etnia slava (e le etnie balto-slave) e quella celtica appartengono allo stesso ceppo indoeuropeo e, se la verv risulta quasi coincidente nella struttura di base, ciò vuol dire che l'istituto fine/verv è antichissimo e che la lotta della donna per difendere tale istituto in un modo o nell'altro è rimasta ben radicata fra le tradizioni degli invasori indoeuropei tanto da conservarsi invariata nel nordest fino all'arrivo del cristianesimo. Celti e Slavi e Baltoslavi di sicuro vissero a contatto nel nordest europeo già con queste distinzioni linguistiche o forse in un'unica superetnia nell'area carpatica e quando si separarono (3000-2500 a.C.) non esisteva alcun motivo pratico che giustificasse mutamenti profondi nel modo dello stare insieme e della posizione sociale della donna. 454 Il padre? Mi ripeto, ma è bene riscriverlo. Vista l'ignoranza del ruolo biologico-sessuale, il genitore continuava a significare forza fisica, decisioni rapide, atteggiamento severo affinché i figli puberi imparassero a comandare e a ubbidire al capo riconosciuto già a partire dal fratello maggiore e dal capofamiglia. La madre o le donne? Un paio di racconti proibiti russi avvertono i ragazzi di guardar bene le pieghe della vulva poiché ne potrebbero trarre utili indicazioni sulla loro debolezza. Anzi, visto che la nudità era comunissima, il tacito consiglio paterno era di osservarne colore e dimensioni delle labbra, grandezza del clitoride, pelosità etc. come T. Laqueur (1992), ma pure A. Afanasjev (v. bibl.) docunt, prima di scegliere un'eventuale consorte. Il cristianesimo accantonava insomma ogni mistero biologico o fisiologico nell'amore con un modello del vivere insieme in cui era fissata la coppia etero e per principio divino anche la paternità che automaticamente legittimava il ruolo di capofamiglia alla pari con gli attributi soliti della tradizionale verv cioè: Tanti maschi coniugati = Altrettanti capifamiglia! Ciò era accettabile nel sistema pre-capitalistico cristiano perché in tale maniera passavano in eredità al figlio primogenito le proprietà materiali di valore e l'unica sicurezza che tutto andasse nelle mani dell'erede giusto era nella certezza della paternità. Ho ragione di credere che nella promiscuità della verv i bambini fossero assegnati a caso a un padre-tutore e cioè in qualche misura la paternità era collettiva. E nel caso di un matrimonio istituzionale la verginità della sposa fino 455 al primo parto dava la certezza allo sposo di essere considerato il padre-nutritizio vero e la di lei fedeltà in coppia fino alla morte assicurava il detto ruolo paterno nel caso di ulteriori maternità. Da una situazione del genere scaturisce una pletora enormemente complessa di concetti, di usi e di costumi intrecciati fra loro che fino al XVI sec. nella Pianura Russa si trovarono a combattere contro la tradizione orale favolistica usata per l'educazione sessuale. Rivediamo un momento il cosiddetto amor filiale. Se osserviamo le manipolazioni e la tattilità generica con le odorazioni reciproche pressoché continue fra madre e figlio/a, non solo le paragoneremmo con il cosiddetto grooming degli scimpanzé o dei primati bonobo del Congo che oggi sappiamo essere un puro godimento fra individui a prescindere dal sesso, ma scopriremmo che Homo sapiens sapiens ha la stessa sensibilità e le stesse sensazioni di appagato piacere dei cugini primati nel solletico, nelle carezze, nel leccare e nel baciare etc. E non basta! Alle osservazioni fatte su madre e figli in diversi gruppi umani in località diversissime del pianeta, la gestualità e le manipolazioni con un'amplissima gamma di variabilità e di intensità corrispondono alla gestualità e alle manipolazioni del coito o in altri termini il coito nelle sue attività erotiche in genere equivale giusto dall'amor filiale! Se aggiungo che osservazioni, pure recenti, hanno riconosciuto la presenza delle reazioni erotiche degli adulti nell'infante sin dalla nascita, tutto cambia nella sessualità umana (ma anche dei Primati e probabilmente di altre specie animali) che spazza d'un 456 colpo ogni teoria sui sessi e sulle loro funzioni tese solo alla riproduzione della specie. Sono odierne conclusioni antropologiche ignorate nel Medioevo, ma sicuramente danno un'idea di come gli argomenti amore e religiosità siano dei veri campi minati nella ricerca attuale. Ciò assodato, allora come spiegare 1000 anni fa che si credesse senza obiezioni che una donna potesse generare da vergine? Dunque occorre ritornare sulla questione femminile che nel contesto della nuova famiglia cristiana coinvolge Maria vergine e l'immacolata concezione di Cristo. Maria vergine e la Gran Madre Terra. Nell'educazione pagana l'idea di partenogenesi non risulta essere affatto tanto peregrina e risulta persino favoleggiata in un racconto popolare ucraino dove la nascita di Cristo da Maria vergine è spiegata, senza esitazioni direi, come segue (M. Dragomannov & L. Dragomannova repr. Lingva 2014) : «Un giorno Maria si recò in chiesa con suo fratello Giordano e mentre si avvicinavano alla chiesa a quest'ultimo venne l'idea che l'avrebbero preso in giro quando l'avessero visto con la sorella ancora giovanetta illibata, ma incinta [… e così...] impugnò la lancia e ferì sua sorella al petto. Lei con le proprie mani estrasse la lancia [...e la restituì al fratello, dopo averla tersa del sangue....] Dalla ferita inferta […] venne al mondo Gesù Cristo insufflato [dell'anima] e Maria restò vergine.» 457 È importante questo stralcio dal racconto popolare della Creazione del Mondo che circolava da secoli nell'oralità contadina fin nel XIX sec. contro il senso del miracolo che invece il mito cristiano voleva suscitare nel credente. Maria vergine entrava in scena tutta tesa a costruirsi una popolarità che ancora non possedeva, benché alla fine nessuno capiva bene il racconto dei predicatori del suo connubio con Giuseppe, specie quando quest'ultimo si reca a registrare (secondo il vangelo di Luca 2, 1-2 al censimento indetto da Quirinio) un figlio altrui che non aveva nemmeno adottato. C'erano troppe stranezze e andava bene come fiction, ma imitare tale modello familiare era davvero insensato. Al contrario a questo proposito ebbe un gran peso l'esistenza di una storia che nel Medioevo Russo era diventata talmente popolare da esser letta e raccontata di villaggio in villaggio più e più volte. E circolava non solo nella Rus di Kiev, ma era nota dai Balcani al Mar Baltico (R. Picchio, 1993). È la cosiddetta Andata di Maria all'Inferno (Sošestvie Bogorodicy vo Ad), un testo apocrifo che descrive come Maria vergine, in compagnia dell'arcangelo Michele, fa visita ai dannati dell'inferno. Sono descritte le pene a cui sono sottoposti le anime perdute più o meno secondo il contrappasso dantesco e soprattutto Maria rammaricata s'attarda fra i pagani, condannati per aver continuato a adorare gli dèi slavorussi fra i quali i già ricordati Veles e Perun. Se queste storie erano così amate dall'udienza slavofona, vuol dire che la venerazione per la Gran Madre Terra non era mai scomparsa nel XII sec. 458 nell'ambito etnico dai Balcani all'Artico e di conseguenza il discorso sulla giustezza degli argomenti usati per innestare transizioni culturali come quelli annunciati dai predicatori cristiani usando solo la parola e contemporaneamente tenere “sveglia e attenta” l'udienza da catechizzare senza l'ausilio di abilissimi oratori e di spettacoli visivi era veramente difficile. Le processioni di strada si facevano, ma dipendevano dal tempo atmosferico e non attiravano molto di più degli sfrenati riti orgiastici pagani mentre i disegni e i quadri dipinti ossia le icone si potevano mostrare in ogni momento, vista l'impressione che suscitavano esposte nell'iconostasi delle chiese ortodosse. Rappresentarono una novità nel mondo contadino di 1000 anni fa e bastava vuoi produrle vuoi procurarsele a Costantinopoli. E c'è poco da fare: il quadro, la statua e oggetti simili erano oggetti magici e facevano presa sui pagani. Se poi si millantava che le icone fossero miracolose, chi non voleva toccarle e baciarle? Portatili, senza le dimensioni ingombranti delle composizioni figurative d'Occidente a profusione le vediamo usate nelle attività missionarie dell'Impero Romano d'Oriente. Eppure nell'Esodo al cap. 20 vers. 1-6 si legge: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore 459 fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.» A Costantinopoli c'era già stata un'ondata di distruzione delle icone o iconoclastia, ma dopo, una volta superata la crisi appunto nel X sec., si permise a questi strumenti didattici di tornare a circolare. E qui si dovette far finta di non sapere da parte dell'autorità religiosa che le icone dipinte su legno riproducevano spesso le fattezze dell'imperatore in qualità di santo padrino per il battesimo o per la cresima e si vendevano al posto di santi e madonne. Restava il timore che con una domanda crescente gli artisti greci sarebbero ricaduti nello scandalo della nudità e del realismo dell'arte pagana antica, specie su argomenti amorosi e affettuosi come madre e figlio. Ricordo a proposito del nudo che il battesimo fino al IXX sec. tranquillamente si continuò a concentrarlo in certe festività annuali (Pasqua o Natale) nelle chiese latine con battistero con vere lunghe file di infanti, ma pure di adulti completamente svestiti. Non solo! Una miniatura del XV sec. francese mostra sette uomini che si arrampicano l'uno sull'altro per cercare di contemplare attraverso la toppa della serratura di un battistero il corpo nudo di Maria Maddalena mentre è battezzata appunto da adulta da san Giovanni Battista (J.-C. Bologne 1986). Sia come sia il problema più grosso si presentò nel caso della vergine Maria poiché la sua figura nell'icona rischiava di scivolare in particolari femminili scabrosi per dimostrarne la maternità e ciò non era ammesso dalla tradizionale misoginia cristiana e perciò niente nudità. 460 Ad ogni buon conto non mi è giunta notizia dell'esistenza di icone slavo-russe che rappresentino Maria col pancione o con i seni nudi mentre allatta il bimbo Cristo prima dell'era moscovita. Alla fine per le icone, da oggetti sacri quali erano, l'arte e la tecnica per produrle furono affidate all'opera dei monaci e la prima icona apparsa nella Pianura Russa è della vergine Maria. Essa è detta achiropita o in greco non fatta da mano umana perché, come credevano i cristiani ortodossi, le icone sono dipinte con la mano guidata dal creatore. Non m'impelagherò in una storia delle icone russe, ma, secondo me, la prima riproduzione della “madre di dio” (bogorodica) non è un piccolo dipinto su legno, bensì è il grandioso mosaico dell'abside maggiore nella chiesa di Santa Sofia di Kiev. Maria vi appare con ambe le mani alzate (per questo è detta Oranta cioè in preghiera con un latinismo grecizzato) mentre Cristo Onnipotente (Pantokrator) la sovrasta. Peraltro l'Oranta che avvolge il visitatore è la funzione di Maria ben chiara negli apocrifi: Assicura la protezione dei credenti sotto il suo magico velo-mantello (pokrov). La gente “russa” era sensibilissima al calore di una madre divina che proteggesse dalla fame, dalla siccità e dalle continue campagne militari fra i principi russi a causa delle loro sanguinose rivalità, se non proprio dall'invasione tataro-mongola del XII-XIII sec. e dalle angherie che costoro ebbero fama storiografica di imporre a loro proprio arbitrio. 461 Persino la paganeggiante G. Novgorod farà dell'icona di Maria vergine un'insegna municipale, attribuendo ad essa la salvezza della repubblica specialmente nelle occasioni di conflitti fino al XV sec. Intanto fra il VI-VII e il X-XI sec. si va raffinando la tecnica consolatoria che la chiesa cristiana ha messo a punto per spiegare ogni evento all'interno e all'esterno del corpo umano. Il creatore interviene sull'individuo dove, quando e come vuole per metterlo alla prova nel corpo: sarà premiato (!!) se è pio e punito se invece è empio! Nello schema pio-empio ci si premunisce per il meglio seguendo i dettami della chiesa, unica capace di impetrare il perdono (concetto allora misconosciuto) dal creatore e somministrare l'indulto al peccatore. E così piaccia o non piaccia l'etica cristiana, sedicente eterna e immutabile e “spurgata” d'ogni influenza femminile, deve essere rispettata proprio a partire dalla venerazione della vergine Maria, esempio unico di purezza femminile. Se la chiesa russa mantenne un'assurda cautela nel fomentare il culto mariano nel nordest, a mio parere fu perché paventava orribilmente la riapparizione del culto della Gran Madre Terra e del potere matriarcale! Posso dire che la Gran Madre Terra, comunque la si voglia accogliere dal punto di vista cristiano o pagano, resisteva nelle mitologie della Pianura Russa e trionfava adesso travestita da vergine Maria imposta dal credo cristiano. In verità la natura suggerisce di per sé un ordine matriarcale in una società agricola e sedentaria con i maschi ordinati in ranghi inferiori. Con le sue forze scatenate in eventi stagionali vistosi a cui le comunità del 462 passato assistevano atterrite, la terra fecondata dalla pioggia cadente dal cielo in tempesta e colpita dal fulmine ma poi riscaldata dal sole, si concedeva agli esseri umani offrendo senza cessa i suoi prodotti nella biocenosi che essa manteneva nutrendola del suo corpo. Attraverso la donna unico essere umano e quasi altrettanto fruttifero, la Gran Madre Terra sottolineava che nessuna attività umana si potesse svolgere staccati da lei ossia librati nell'aria, se non con appropriate arti magiche! Gli dèi concorrevano a mantenere in vita il cosmo, ma abitavano lontani nel mondo superiore e si interessavano poco o niente delle vicissitudini umane e, benché contattabili esclusivamente tramite gli antenati, era meglio non disturbarli. Altri dèi minori invece aleggiavano nella biocenosi terrestre in compagnia degli esseri umani e degli altri animali. Questi, sì!, direttamente accessibili e sempre occupati a intervenire nelle faccende umane attinenti alla sessualità. Abitavano nella selva dove alcuni di essi erano persino sospesi nell'aria o accovacciati sugli alberi o immersi nelle acque dei fiumi. Nel Medioevo Russo quel che conta è la realtà vivissima di queste credenze riflessa negli usi e nei costumi con etiche e riti sotto l'egida dell'antico matriarcato e persino nella storia dell'Ordine dei Cavalieri Teutonici, nella loro ufficiale Narrazione delle Origini dell'Ordine, questi Cavalieri di Santa Maria dei Tedeschi cioè monaci armati, una volta conquistato in pratica il Mar Baltico coi suoi popoli slavi e ugro-finnici, governeranno fino al XVII sec. proprio usando quel certo parallelismo di funzioni 463 divine appena dette non riuscendo a obliterare le tradizioni e le credenze pagane sulla Gran Madre. Scrive L. Rangoni (2005), studiosa accurata del mito: «La Dea [Gran Madre Terra] assomma in sé gli opposti: il buono e il cattivo, la vita e la morte, la creazione e la distruzione che si sono via via incorporati in figure mitiche di dee da Gea alla vergine Maria, da Iside a Medea e così via. Come la madre reale anche alcune dee assommano in sé caratteri ambivalenti: Kali, Artemide, Hera, Morrigan sono ad un tempo buone o cattive, generose ma anche ferocemente vendicative.» E infatti la mitologia sincretistica ugro-finnica, baltica e slava “sparsa” fra i vari popoli dalle rive dell'Artico fino al Mar Nero ha conservato i nomi e le analogie della Gran Madre Terra come lo slavo Mat Syra Zemljà, il prussiano Ausca ossia la dea della terra fertile e il lituano Zemina e pure Aušteja con prerogative simili alle donne nel fare all'amore, Madder Akka presso i saami, Mastor Ave degli udmurti etc. Inoltre, se si pensa che il cristianesimo come dottrina religiosa è nato proprio nelle menti di pensatori alessandrini, come si fa a non vedere nell'iconografia mariana Iside che tiene sulle ginocchia il figlio Horus da difendere contro il dio Set, il malefico serpente? E non è nell'atmosfera di questi miti che la civiltà occidentale oggi persiste nel crogiolarsi (N. MacGregor 2018)? In conclusione alla diffusione del matrimonio cristiano si assegnò con una tipica illusione storica il culto mariano e il suo inutile quadretto famigliare! Si tentò in verità di cancellare i ricordi di antichissimi scontri fra invasori 464 patriarcali e donne al potere matriarcale del Grande Nord e probabilmente ciò si cela nella parola semjà che in russo si è conservata e, sebbene oggi indichi la famiglia di tipo cristiano, il suo significato primario resta forza generatrice. Anzi, la parola omofona, ma con accento e declinazione differente, sèmja, significa seme nel senso agricolo ossia di chicco capace di riprodursi purché nutrito dalla Gran Madre Terra in un mito che i latini di certo riconoscevano nei Semones o dèi della semina. Tipico in questa chiave è il racconto lituano di Aušriné e Tarnaitis conservatosi fino al XV sec. I due esseri divini dopo essersi scambiati la formula di esclusività coitale: io sono tua e tu sei mio, vivranno insieme. Aušriné, la bellissima regina dei mari e cioè l'Aurora che annuncia il sorgere del sole, Saule, e che esce nel cielo sempre per prima, mentre Tarnaitis rimarrà dietro di lei da buon servitore. Se questo ordine dovesse mutare, i contadini lituani temono di sicuro qualche catastrofe celeste. Il cristianesimo di cultura semitica arrivò 2-3 millenni dopo gli indoeuropei Baltoslavi sulle rive baltiche e alla stessa stregua nell'antica Irlanda e nella altrettanto antica Francia-Gasllia poté fare pochissimo con la sua dottrina per rivoluzionare o abolire legami e rapporti famigliari ormai ben radicati nel mito della Gran Madre Terra. Devo ripetere per chiarezza che documenti di sicuro affidamento riproducenti per filo e per segno i sopraddetti processi non ne ho trovati poiché fare sesso era un argomento di pochissimo interesse nel gossip pagano e perciò le informazioni che concorrono a dipingere il quadro da me proposto sono sparse in altri 465 termini in miriadi di cenni e di sottintesi negli scritti ecclesiastici e nelle byline. A questo punto il mio excursus non può che concludersi con un piccolo estratto dagli scritti della defunta grande storica e archeologa lituana Marija Gimbutas i cui testi mi hanno confortato nella ricerca. La traduzione qui di seguito è parte della pag. xvii dell'Introduzione di I linguaggi della Dea (v. bibl.) riferentesi al materiale scavato dall'autrice e da altri archeologi in Europa, in Anatolia e in Centro Asia. «Le credenze dei popoli agricoltori per quanto riguarda fertilità e sterilità [inconvenienze riconosciute esclusivamente alle donne fino a un secolo fa!], la fragilità della vita e la minaccia costante di distruzione [materiale] e la periodica necessità di rinnovare i processi generativi della natura sono le più dure a morire. Vivono ancora al presente come pure vivono gli aspetti molto arcaici della Dea contro il processo di erosione continuativo nell'era storica [scritta]. Trasmesse dalle nonne e dalle madri della famiglia europea le antiche credenze hanno sopravvissuto le sovrapposizioni del mito indoeuropeo e di quello cristiano. La religione incentrata sulla Dea è esistita per un troppo lungo tempo, molto più lungo della[religione] indoeuropea e [di quella] cristiana (che rappresentano un periodo relativamente breve della storia dell'uomo) e ha lasciato un'impronta indelebile nella psiche occidentale. [Quelle] ... antiche credenze registrate in tempi storici o quelle che ancora resistono nelle aree rurali o periferiche d'Europa messe vie dalle turbolenze 466 della storia europea – in particolare presso i Baschi, i Brettoni, i Gallesi, gli Irlandesi, gli Scozzesi e gli Scandinavi o dove il cristianesimo fu introdotto molto più tardi come in Lituania (ufficialmente nel 1387 ma in realtà non prima del XVI sec.) – sono essenziali per capire i simboli preistorici nei contesti rituali e mitologici da quando queste versioni più tardive[dei simboli] sono a noi note [ossia i reperti archeologici].» Amorose conclusioni Soffermarsi a lungo sulla situazione culturale europea occidentale può alimentare il pregiudizio che alla fin fine 467 nel nordest europeo in ambito sessuale ci sia stata una storia se non analoga, estremamente simile al resto del continente tanto da poterne sovrapporre o scambiare cronologicamente le relative evoluzioni e perciò evitare di esaminarne le diversità che con tale logica sarebbero da considerare quasi impercettibili. Ebbene non è così. Ci sono cause vuoi demografiche vuoi geografico-ecologiche, ma soprattutto storiche, che mettono il Medioevo Russo in una posizione peculiare unica sin dal VIII sec. sulle questioni degli usi e costumi tradizionali, compresi gli atteggiamenti rispetto al sesso e al fare all'amore. A questo stadio credo comunque che sia ormai abbastanza chiaro a chi mi ha letto fin qui nella presente ricerca che i dubbi e i pregiudizi sulla singolarità culturale del Nordest vanno accantonati e dissipati, se e quanto è possibile. Il Medioevo in Occidente è il periodo in cui si costruivano stati e comunità governate da un sovrano più o meno assoluto a tutto andare sulla base di esperienze politiche antiche per quanto conosciute allora e ciò accadeva perché la chiesa latina aveva deciso di superare il vecchio concetto di Costantino che aveva decretato il primato della sua Roma sul Bosforo e del patriarcato di sant'Andrea a spese della Roma sul Tevere e del patriarcato di san Pietro, capo degli apostoli. Con la famigerata truffa De falso credita et ementita Constantini donatione confutata da Lorenzo Valla nel XV sec. e resa nota solo nel 1517 Roma sul Tevere legittimava il potere temporale della sua Chiesa e perciò nella teorizzazione cristiana comune del papa non potevano esistere pertanto altri stati e altri imperatori che non 468 fossero consacrati appunto dal papa stesso. Ciò era in netto contrasto con la volontà del dio creatore che aveva già assegnato in esclusiva alla Roma di Costantino la missione ecumenica di conquistare a Cristo l'intera umanità e all'imperatore l'incarico di gestire il periodo di transizione fino al ritorno di Cristo sulla terra. Altri sedicenti capi-popolo o capi-nazione erano da considerare impostori e illegittimi e, se supportati da religioni monoteistiche altrettanto o più antiche del cristianesimo, erano comunque obbligati a riconoscere il primato di Roma sul Bosforo e del suo sovrano. Qui nel nordest, regione che mai aveva conosciuto la presenza culturale massiccia del mondo classico grecoromano fino al XIV-XV sec., queste beghe erano incomprensibili, ammesso che riuscissero ad avere un eco presso delle élites che possedessero i requisiti e i riferimenti filosofici necessari. Tali élites mancavano e non esistevano perché non necessarie nell'universo multietnico del Nordest nelle quasi perenni migrazioni di piccoli gruppi gelosi delle uniche conoscenze che custodivano e cioè principalmente le tradizioni delle conoscenze pratiche e religioso-favolistiche della selva. Il concetto di stato e di sovrano neppure esisteva in maniera chiara: Non erano istituti indispensabili alla vita! 469 Pieve di Corsignano – Maria o la Gran Madre Terra nella chiesa maggiore Dunque l'ideale di un'organizzazione di più persone restava multicentrica e pluralista dove il vicino quantunque distante era legato con alleanze fra famiglie e pur sempre facente parte di un rod! Il resto del mondo restava nei sentiti-dire, com'è logico per le limitatissime possibilità di comunicare. Eppure uno stato era apparso nel VI-VII sec. nelle steppe ucraine: la Magna Bulgaria sotto il dominio del khan Kubrat e con probabile capitale a Poltava. In questo caso però la realtà bulgara era stata fagocitata da Costantinopoli e allogata oltre il Danubio verso il sudest 470 con echi quasi nulli nella Pianura Russa. La spinta espansionistica dei cazari, turcofoni congeneri dei bulgari e possessori di cultura ebraica già millenaria, e l'arrivo dell'islam in gran forza sul basso Volga, rese possibile sulla confluenza del grande fiume col fiume uralico Kama ad alcuni clan bulgari, sempre in accordo con i cazari, creare un emirato che in sé e per sé fu un tipo di stato sui generis inedito persino per l'antica Europa. Perché ritorno qui sull'argomento “bulgari”? Il motivo è che le due città degli inizi del Medioevo Russo, Kiev e G. Novgorod, sono dominate dal mito bulgaro e dai bulgari e addirittura la carica di corte che nel XV sec. apparirà nella lista dei titoli nobiliari di Mosca, sono appunto i “bulgari novgorodesi” o bojari (russo boljarin/bojarin) deportati in massa da G. Novgorod, i quali, secondo la tradizione, a piedi lungo la riva sinistra del Volga compirono una sorta di pellegrinaggio in direzione sud. E chi era a capo di questa triste processione? Una donna, l'attivissima capo-città (posadnica) Marta Boreckaja, che, per aver respinto la sovranità maschilista moscovita, come punizione non arriverà mai a Mosca e sarà ibernata in un convento sconosciuto non molto lontano dalla nuova capitale, scomparendo dalla storia! Ciò detto, non si deve dimenticare che nella parte occidentale del continente a proposito di ideologie dominanti non era solo il cristianesimo combinato con l'imperialismo greco-romano a persistere, ma anche l'islam che prevaleva nel Mar Mediterraneo, nelle steppe ucraine e oltre i Pirenei fin nell'Atlantico. Ebbene giusto nel Nordest, con ideologie etniche pagane debolissime dal 471 punto di vista politico, i detti monoteismi nel Medioevo Russo si trovavano a combattersi l'uno contro l'altro, ciascuno offrendo una teoria del potere differente in uno stato rispettivamente proclamato il migliore possibile. A questo punto occuparmi con quale canale ideologicoreligioso fu veicolata la teoria dello stare insieme nel Nordest e quale delle tre, significherebbe investigare sul come maturasse l'illusione nella mente di parecchi piccoli avventurieri stranieri, una volta accordatisi con uno dei monoteismi detti, che fosse facile fondare un regno, un impero purchessia da dove gestire le grandi ricchezze che il territorio offriva e vivere nell'agiatezza. Seppure complicata ho seguito fin qui questa falsa riga, benché sappia che non si spiegano del tutto così le ultime trasmigrazioni che aumentarono “silenziosamente” dopo il VI sec. e fissarono delle identità etniche che noi oggi possiamo etichettare: Germani, Slavi, Goti, Peceneghi, Ungheresi, Cazari, Bulgari e non ultimi gli svedesi Varjaghi e Vichinghi e persino Lituani e Karaiti della Crimea. Se il Nordest è un melting pot di etnie, si deve aggiungere in particolare che germani-svedesi-varjaghi insieme con baltoslavi-ugro-finni-turchi si rimescolarono e si rinominarono più intimamente di altre etnie oggi sparite quali i Prussiani. È vero che gli esiti tramandati sono nel racconto di battaglie e di personaggi maschi famosi, ma per me è ovvio che la donna, pegno e ostaggio di matrimoni dinastici, reggente in alcuni casi e santa cristiana in altri, pur accettando di rimanere dietro le quinte, fu la produttrice letteralmente fisica di questi eventi l'un con l'altro susseguenti. 472 Quel che fa scalpore è che una specie di società per azioni chiamata Chiesa Cristiana sia riuscita alla fine a nascondere il ruolo femminile e abbia conseguito i propri scopi antisessisti e misogini per mezzo di appropriate manipolazioni documentarie. Al vertice del sistema imperiale santificato dal papa di Roma sul Tevere gli stati europei d'Occidente già da qualche secolo non si combattevano fra loro tanto per il primato quanto invece, magari senza accorgersene, agivano da veri mercenari al soldo della chiesa nella nuova ideologia del colonialismo universale cattolico. Lo schema da rispettare a tutti i costi è: un territorio con una comunità produttiva e con un sovrano, con una lingua (preferibilmente il latino) e con una religione (certamente cattolica) cioè espresso nel motto latino cuius regio, eius religio. In breve la chiesa latina distribuirà titoli sovrani da re a imperatore a piene mani all'unico scopo di smantellare l'idea dell'impero ecumenico di Costantinopoli... e io ex post so che ci riuscirà nel 1492 (ACM 2019) con la scoperta delle Nuove Indie. Passando nella Pianura Russa col battesimo di Kiev l'attore storico è allora la Chiesa Russa e non l'élite mafiosa varjaga che pure la sostiene materialmente e nel Nordest posso dire che il clero si occupa meticolosamente della nascita dello “stato” kievano e lo lancia nelle battaglie ideologiche dei predicatori. Occorre non distruggere il nemico pagano, ma assoggettarlo in modo da poter controllare le risorse della selva. Sono vecchie questioni storiche arcinote nell'ortodossia 473 costantinopolitana di cui la Chiesa Russa di Kiev è figlia e mi pare che valga la pena delineare in maniera sommaria il ruolo giocato dall'Impero d'Oriente al volgere del XI sec. in una fase di decadenza ideologica. 474 santuario-rifugio slavo al centro di un lago con un lungo ponte d'accesso Notevolmente ridotto di territorio e di risorse, avendo perduto le coste mediterranee e l'Anatolia ora sotto il dominio dell'islam, l'Impero era cambiato radicalmente nel suo quadro antropico. La presenza slava era aumentata vertiginosamente nella compagine demografica balcanica tanto che nella seconda città imperiale, Tessalonica o, com'era popolarmente chiamata, Salonicco/Solùn, si parlavano lingue slave molto e greco poco. Persino nella stessa Costantinopoli gli inni al creatore si poteva udirli in lingue diverse dal greco e dal latino nelle chiese. Non solo! La sedicente ecumenica missione di pace cristiana si era ormai trasformata in un'aspra e cruenta lotta contro chiunque osasse avvicinarsi troppo al sacro 475 trono costantinopolitano. Il clero col suo peso da secoli intimamente inserito nella gestione dello stato disponeva di un proprio esercito non armato col ferro, ma al comando diretto di un'armata di preti e predicatori “sedicenti votati al martirio” che costavano molto meno dei soldati professionisti ed erano più efficaci perché più durevole la loro azione. Non basta! Il contributo periodico che Kiev pagava al patriarca diventò un po' alla volta l'unico sostegno materiale che consentiva al prelato costantinopolitano di proseguire a svolgere le sue attività propagandistiche ora deprezzate e di conseguenza portò alla graduale scomparsa di un patriarcato ortodosso autorevole nel 1204. A questo punto per la Rus di Kiev, rimasta la sola autorità guida nell'immaginario collettivo delle élites slavo-russe, giustificò la necessità di rifondare la storia cristiana nella Pianura Russa multietnica, battezzata e quanto ne restava da battezzare. E, lo dico convinto, l'Ortodossia lasciò che fosse il papa cattolico ad imbarcarsi nelle famigerate crociate con ecclesiastici e monaci-cavalieri in armi quando nel 1204 il papa occupò e saccheggiò la prestigiosa Costantinopoli e sostituì il patriarca greco con un vescovo latino, il veneziano Morosini. Fu lo svilimento totale dell'Impero con gran disdoro per la Chiesa Russa in qualche modo decapitata! Orbene, mentre in Occidente il Medioevo termina convenzionalmente con la scoperta delle Americhe, qui nel nordest tale limite temporale addirittura non c'è. Nel 1236 infatti mentre Costantinopoli è ancora in mano al papato cattolico gli invasori tataro-mongoli sferrano un 476 colpo durissimo alla Rus di Kiev, illusoriamente avviata sulla strada del divenire l'unica erede dell'ideologia politica ortodossa. Kiev è rasa al suolo e solo la cattedrale e il Monastero delle Grotte rimangono in piedi! E l'élite slavo-varjago-russa? Annientata! L'evento è irreversibile e alla fine del XIII sec. ciò che resta del sogno kievano è la magica parola Rus che il monaco amanuense gelosamente continuerà ad apporre negli scriptoria che i despoti locali mettono a disposizione in ogni dominio governato con la tacita richiesta-obbligo di esser glorificati nello scritto epigoni di Vladimiro il santo e nella realtà col permesso dei Tataro-mongoli. Mi sono chiesto a questo punto con un tantino di ingenuità: Forse questi eventi arrestano una qualche fase della lotta fra maschio e femmina per il potere nel Medioevo Russo? E nella Rus di Kiev che parte fu affidata alla donna dalla Chiesa Russa nella favola del grande stato ora in rovine? Qui la letteratura russa tace. Kiev è abbandonata al suo destino e la storia russa si sposta gradualmente su Mosca. Nel XIV-XV sec. infatti appare la Zadonščina, poema ispirato dalle lamentazioni di Eudocia e delle sue donne per i caduti sul Don contro il khan tataro Mamai (1380) che consacra l'eredità storica moscovita pur decimata già dalla Morte Nera nel 1351. I cadaveri sono ben allineati nella Piazza Rossa davanti a Demetrio, vincitore di quella battaglia finale e marito di Eudocia. La vittoria sui Tatari, passata alla leggenda col nome di Battaglia di Pian delle Beccacce (Kulikovo Pole), rappresentava il sigillo finale 477 della nuova Rus moscovita che si scuoteva di dosso il “giogo” tataro-mongolo… anche a costo di sacrifici per salvare il resto dell'Europa. Avverto che allora (XIV sec.) il ruolo sociale della cosiddetta nobiltà, parecchio ridotta nel numero di membri dopo la falcidia della sunnominata peste, era più simbolico che reale, dato che ogni “alta” politica era condotta dai Tataro-mongoli e Eudocia, benché faccia parte della nobiltà, dà il quadro tipico di esempiomodello del ruolo femminile nel Medioevo Russo. Data in sposa all'apparire del menarca: 12-13 anni al quindicenne Demetrio di Mosca, non ci fu amore fra i due in poco più di 20 anni, sebbene lei fedele pegno matrimoniale lo accompagnasse fin sul Don! Tutto orbitò sul fare figli! Eudocia generò ben 8 figli e 4 figlie e l'incorporazione di una bella fetta della riva sinistra del Volga nel dominio del nuovo stato moscovita fu realizzata – si può ben dire – grazie a lei. Io assumo la svolta, seppur verso il gradino basso sociale, come prova che la lotta fra i sessi (istituzionali e non) non era cambiata di tono malgrado l'accumularsi di esperienze culturali nuove. Infatti l'auspicato santo stato slavo-russo, comunque lo si chiami, restò guidato nei costumi e nelle politiche da un clero maschile e soltanto per il resto fu gestito da sovrani militari pure maschili. Il famigerato Ivan il Terribile (Giovanni IV) addirittura proclamò (e siamo nel XVI sec.) di aver riunito tutte le Rus – usando il termine collettivo Rossija – nella sua Mosca o Terza Roma sul sacro fiume Moscova (russo Moskvà) e spinse affinché la chiesa russa diventasse una 478 chiesa moscovita e reggesse così il confronto con la Prima Roma sul Tevere e con la Seconda Roma-Costantinopoli. Eppure nell'affresco appena disegnato il fattore che domina sin dal IX-XI sec. è – non mi stanco di ripeterlo – il rimescolamento etnico. Difatti le invasioni tatare aumentarono la mobilità della gente ossia chi poteva rifuggiva agli armati a cavallo, abbandonando i villaggi troppo esposti e ritirandosi nella selva più fitta senza tuttavia grandi impatti demografici. I gruppi in movimento erano in ogni caso esigui nel numero dei membri componenti e il luogo che si abbandonava e dal quale si partiva quasi sempre era destinato allo sfacelo entro brevissimo tempo. Non mi ripeterò qui su migrazioni e deportazioni, ma mi serve sottolineare che in un casuale conflitto solitamente il vincitore catturava donne e bambini dei vinti, il cosiddetto bottino vivo! Gli oggetti materiali, salvo che non fossero armi, erano ingombro passivo per una campagna militare in continuo movimento. Lo sapevano bene i tataro-mongoli che nella loro storia asiatica prima di avventurarsi alla conquista del nord con Batu Khan preferivano non distruggere i centri abitati, ma cercare di conquistarli colonizzandoli dal di dentro del loro tessuto sociale. Ne diventavano così con i loro giovani che legavano con le donne locali la maggior componente antropica. Nella Pianura Russa guidati da Gazi Baraġ, bulgaro del Volga e informatore prezioso, dopo non moltissimi km nella foresta che appariva praticamente deserta e dopo aver aggirato G. Novgorod e Polozk, ripiegarono dall'hinterland baltico verso la conca del 479 Danubio per poter attraversare le aree più ricche di derrate alimentari e di bottino vivo. Il vincitore avrebbe immesso le persone nella propria compagine umana e si sarebbe assicurata una retrovia di “parenti ubbidienti” più alcuni servizi lungo le marce compresi i servizi sessuali. Avrebbero assimilato elementi culturali allogeni dalle giovanette con le quali i vincitori copulavano o adottavano come figlie o concubine, ma i contatti con i nativi sarebbero stati di sicuro più scorrevoli. D'altronde il costume vigente prevedeva pure che al primo mercato il bottino vivo si sarebbe potuto vendere o, nel peggiore dei casi, lasciato in gruppetti al suo destino lungo il percorso. Tale intreccio storico-culturale denuncia la dura realtà di una vita precaria fatta perlopiù di legami effimeri, di improvvisi abbandoni e violenze, di minaccia e di paura e dove innamoramento e amore alla fin fine non trovavano posto neppure nelle byline, a parte il richiamo a qualche esoticità di costume o di tratto fisico (epigenetico) che ebbero il tempo di spargersi persino in Occidente da essere tuttora geneticamente riconoscibile (J. Manco, 2014). Per il verso economico il XIII sec. invece è un periodo propizio per accumulare risorse e ricchezze materiali con una maggiore sedentarizzazione e per creare nuovi miti da parte cristiana contro il paganesimo e l'islam, additati – è in gran voga e fa grande effetto nella cristianità europea – come opere di Satana e segni inconfondibili di selvatichezza femminile nordica! E ne sono convinti i visitatori occidentali del XV sec. che, non potendo viaggiare comodamente, incolpano i locali di meschinità 480 d'ogni tipo, salvo approfittare dell'ospitalità povera, sì, nel mangiare e nel dormire, ma ricchissima nei giochi d'amore delle donne. In quei secoli la cristianità guardava avidamente alla possibilità di colonizzare le terre di Nordest e, siccome colonizzare per l'apparato ecclesiastico cristiano era l'equivalente di evangelizzare, si colse ogni sentito-dire sulla fastidiosa presenza di gente pagana da quelle parti in modo da essere nel giusto a intervenire per riscattare un'umanità altrimenti perduta per Cristo. Per riuscire a occuparne i territori i vescovi più attivi a sguinzagliare predicatori fra gli slavi prima di altri furono quelli della cosiddetta Mitteleuropa. Pronti ad allearsi con avventurieri di ogni risma in grado di organizzare carovane di pionieri, le corti vescovili fra il basso Reno e il medio Elba pertanto istigavano con le loro omelie agli scontri purché inducessero alla trionfante conquista e niente discussioni o dibattiti fra i ministri del dio creatore e alieni sedicenti sacerdoti pagani. Nei posti dove oggi è Polonia e Germania Orientale l'insediamento medievale fu marcato dalla chiesa vescovile e dalle sue massicce mura di difesa contro gli “assalti” dei nativi. In polacco infatti la chiesa cristiana si chiama kościół, corruzione di castellum o postazione armata, che faceva paura a nord dei Carpazi, per esempio, quando da lontano appariva la guglia di un campanile poiché lì si annidavano i feroci armati latini. Le azioni cruente sui nativi dalla tortura fisica alle mutilazioni corporee più orrende per chi non accettava la croce, non si contavano e alcuni popoli allogeni stremati 481 dalle campagne distruttive cristiane scompariranno alla fine nell'oblio: i prussiani, fra gli altri, pur rimanendo nel genoma di chi aveva cambiato solo di lingua. In realtà la chiesa sin dai tempi dell'imperatore Giustiniano (V-VI sec.) aveva carta bianca sui modi e sugli strumenti per contrastare i paganesimi oltreconfine e non si era mai fermata nel distruggere templi e statue o nell'uccidere sacerdoti/sciamani di divinità pagane specie se di sesso femminile. Si oltrepassò la misura del sessismo misogino quando il papa romano istituì la persecuzione sistematica della donna con la Santa Inquisizione (fine del XIII sec.). Nell'Impero Romano d'Oriente era altra musica. Il problema primario per secoli era sembrato essere quello delle immigrazioni barbariche attraverso il sesso femminile poiché le donne passavano le dogane in piccoli gruppi da schiave, meretrici e concubine. L'efficiente rete di spionaggio gestito appunto dai chierici nelle aree confinarie preveniva i movimenti di persone dirette verso il Bosforo e funzionava meglio dopo le trasmigrazioni del IV-V sec., ma raramente toccava le donne e in particolare quelle che accompagnavano i grossi funzionari o i grandi mercanti. Rammento qui che a detta dei mercanti di schiavi genovesi che operavano nei porti della Crimea e alla foce del Don con l'aiuto di mediatori e mediatricimadri locali dislocati nel sud della Pianura Russa, le ragazze costavano di meno e si rivendevano a altissimo prezzo nei mercati “arabi”. Nella Pianura Russa occorre notare ancora una volta che le comunicazioni difficoltose furono l'unica difesa 482 naturale contro chi si accingesse a razziare i villaggi, benché i campi subissero le devastazioni delle soldataglie. Quando capitava, si fuggiva nel folto lungo una corrente e l'archeologia ha scoperto molti rifugi “slavi” costruiti su isole artificiali in mezzo agli innumerevoli laghi e laghetti. I santuari-rifugi non erano però degli stati. Ci si rinchiudeva e si aspettava che l'assalto finisse per poi tornare ai propri villaggi. La soluzione per l'ecosistema forestale era ottimale poiché l'assalitore non in grado di assediare dalle correnti fluviali non poteva correre il rischio che il gelo sopraggiungesse e quindi arrivava a parlamentare. A questo punto gli assaliti offrivano le giovanette come ostaggi per la pace e l'assedio si interrompeva e gli equilibri sessuati delle verv dei villaggi risultavano in pratica rispettati. La statalità (VIII-IX sec.) che l'archeologia ha ricostruito per le etnie slave antiche è perlopiù costituita da capitanati (chiefdoms-chefferies) limitati nel territorio e nel governo di abitati nella foresta purché, conditio sine qua non, raggiungibili a piedi esclusivamente con un'esperta guida o con una non lunga gita in barca. 483 484 gli ortodossi di Nordest al tempo di Jaroslav L'esempio più clamoroso ricordato nelle CTP è Iskorosten' dei drevljani sull'affluente del Dnepr, il fiume Už (G. Schramm, 2002). È un contesto che la cancelleria imperiale di Costantino VII Porfirogenito nella seconda metà del X sec. conosceva bene. Dagli scritti di questo imperatore si sa che lo stadio di autocrate armato (knjaz) con territorio e dominio non eliminava del tutto i capi anziani (starosta) del circondario, ma li assimilava 485 alla nobiltà minore con compiti di generico controllo e dell'esazione dei tributi. I predecessori di Costantino VII avevano già sperimentato il fatto che i rapporti fra dominanti e dominati barbari si stabilivano sfruttando esclusivamente la magica potenza delle religioni anche pagane e Costantinopoli era riuscita bene o male a costituire la Magna Bulgaria di Kubrat, primo stato cristiano “ponte fra i nomadi delle steppe e i contadini della conca del Danubio”. La Bulgaria danubiana del IX-X sec. è senz'altro la chiave che apre il cammino alla storia russa delle origini perché è sul delta del Danubio che gli interessi economici kievani in competizione fra Occidente e Oriente saranno numerosi. Ricordo alcuni fatti su cui oggi poco si discute: Olga di Kiev era nativa probabilmente di Pliska e non dei dintorni di Pleskov/Pskov e Svjatoslav, suo figlio, aveva costituito un caposaldo sul delta del Danubio detto appunto Rus del Danubio con una città chiamata Kievec ossia Piccola Kiev più qualche altro particolare che qui tralascio. Ho accennato a queste cose perché nel XIX-XX sec. in questo ambito corse la famosa diatriba fra i cosiddetti normannisti che negavano qualunque cultura agli slavi considerati in strettissima parentela con i vandali e con i goti e i cosiddetti anti-normannisti russi (H. Schröcke, 2007) che volevano gli Slavi autoctoni, sebbene forse un po' intrisi di sangue tataro come invece si indicavano mezzo tatari gli ugro-finni. Ho usato qui l'etnonimo varjaghi per gli scandinavi, senz'altro letterario e più tardivo, ma in certo qual modo 486 non inquinato dalla detta polemica. E non mi tocca perciò che un tipico varjago slavizzato, Vladimiro (nome d'etimo slavo impegnativo cioè padrone del mondo piuttosto che dal norreno Valdemar cioè uomo di fama gloriosa), aprisse al cristianesimo come politica da adottare per la “sua” Rus di Kiev alla ricerca di una dignità regale allora tanto alla moda. Una prova? La parola per capo, comandante che si affermò in tutto il territorio è knjaz ed è derivata dal norreno kuningas o nobile. Per di più dato che il Bosforo vedeva al limite questi personaggi dei semplici luogotenenti battezzati, non si sentirà mai nella Pianura Russa la parola per re, ma solo quella di arhon cioè knjaz e velikii knjaz cioè knjaz anziano. Ho soltanto da far notare che comunque Vladimiro non ricevette i regalia che il papa invece elargì con magnanimità al suo discendente carpatico Romano di Galič. I popoli slavi fino al IX sec. occupavano quasi tutta la foresta boreale europea (allora non tanto devastata) dall'est, il fiume Volga, fino al Reno e risentivano dei litigi fra i massimi poteri europei e delle conseguenze politiche e pratiche che ne riverberavano fin nei loro territori. Né stupisce che a Vladimiro succeda suo figlio Jaroslav, secondo nome norreno Harald, perché è plausibile che sua madre, Ragnheid (russo Roghneda) figlia dello svedese Ragnvald (russo Rogvolod), signore di Polozk (norreno Palteska), abbia voluto confermare l'ambientazione svedese della dinastia vladimiriana contro la rivalità (fantomatica in verità) degli eventuali figli di Anna di Costantinopoli. Se poi riscontriamo nei costumi degli slavi occidentali, i 487 Vendi, una dominanza abbastanza consistente di regole e di usi germanici, ciò non può meravigliare perché ho tenuto conto dell'Appello di Magdeburgo che nel 1108 apparve con Vladimiro ancora in vita. L'Appello con la scusa di difendere i cristiani del nordest da poco battezzati o da battezzare, invitava proprio i principi germanici a una crociata contro gli slavi Vendi e i loro congeneri presenti sulla riva destra del Reno dichiarando che: «Questi pagani sono gente pessima, ma la loro terra dà ottima carne, miele, farina … È per questo o Sassoni, Franchi, Lotaringi e Frisoni, notissimi dominatori del mondo, che potrete sia salvare le vostre anime, sia – se vorrete – acquisire ottima terra per abitarci.» Con questa bolla detta Divini Dispensatione il papa Eugenio III dichiarava la terra baltica sacra a Maria Vergine e nel 1147 s'inaugurava la crociata (E. Christiansen 1997) che apriva la strada all'occupazione militare delle sponde baltiche da parte dell'Ordine Teutonico, monaci armati sconfitti in Terra Santa e poi scacciati dall'Ungheria per le loro soperchierie e i loro debiti non saldati. Dopo aver eliminato nel sangue i prussiani, l'Ordine Teutonico (nel Mar Baltico ne appariranno tanti di ordini monastici armati, come eserciti privati di vescovi con fini puramente colonialistici) sconvolgerà fino al XVI sec. la vita dei balto-slavi, degli slavi vendi e slavo-russi e degli ugrofinni (ACM 2019). La tradizione lituana e bielorussa ne risentirà nella riorganizzazione della famiglia allargata sbattuta fra le 488 spinte ortodosse che giungono dal sud e quelle cattoliche più prossime che provengono dai monaci armati del nord baltico. Molte consuetudini marchiate di paganesimo andranno in gran parte perse: in primis la poliginia (non il concubinaggio!) e in secundis il costume dei mariti di battere le mogli spesso a mo' di dimostrare il loro amore verso di loro! Il frustino (nagaika) con cui lo sposo batteva la sposa alla cerimonia matrimoniale, un rito tataro molto diffuso e a volte sostituito dallo schiaffo, sarà uno strumento responsabile di molti delitti puniti dal Diritto di Magdeburgo introdotto ca. XV sec. nei tribunali ecclesiastici della Pianura Russa. A ben guardare una prima significativa svolta culturale di sapore cattolico nel Medioevo Russo si era già avuta negli anni in cui Andrea, figlio di Giorgio Lungamano (ACM v. bibl.), aveva dedotto dalle annose liti con i suoi stretti parenti che la Rus di Kiev non funzionava più. Andrea preferì lasciare la regione circumkievana dove risiedeva nella cittadina di Vyšgorod e si trasferì (XII sec,) a 1000 km di distanza sul fiume Nerl nei dintorni della città fondata sul fiume Kljazma da suo nonno Vladimiro Monomaco che appunto consacrò col proprio nome. Non solo! Suo padre in qualche modo aveva assimilato il concetto cristiano di proprietà privata della terra e con un colpo di mano si era appropriato dell'area collinare dove oggi c'è il cremlino moscovita. In realtà l'aveva strappata a un certo Kučko, capo locale turcofono occupante di diritto, uccidendolo. Se Andrea riuscirà a districarsi e a uscirne indenne nelle ingarbugliate lotte per il potere a Kiev e nelle città collegate per mezzo della chiesa russa 489 fra gli anziani per così dire della “sua” famiglia slavorussa, qui nel nord dovrà lottare per assoggettare gli ugro-finni col suo potenziale armato di principe, la družìna. Tenterà, senza riuscirci, di avere un arcivescovo metropolitano da lui consacrato per gestire ogni questione politica e culturale nelle alleanze e nelle sudditanze. Educato dalla madre Ajepa, nobile pecenega turcofona pagana e battezzata al momento del matrimonio, Andrea aveva sposato Ulita, figlia del predetto Kučko, a garanzia per i locali ed evitare la vendetta della stirpe dei Kučko. Andrea è una persona che darà fastidio a parecchi suoi parenti e così, malgrado le precauzioni, una congiura in cui furono coinvolti anche i Kučko lo ucciderà e Vladimir-sul-Kljazma resterà a lungo la capitale di una nuova Rus. Nel processo ai congiurati istruito una decina di anni dopo da suo fratello Vsevolod, il defunto Andrea sarà calunniato in tutti i modi: sarà accusato di impotenza, di avere una moglie che faceva all'amore col proprio fratello e altre accuse sessuali. Intanto nubi tempestose si accumulano all'orizzonte orientale al di là del Volga. Si tratta dei Tataro-mongoli che si sono affacciati nella Pianura Russa! Al principio del XIII sec. i mongoli delle steppe dell'Altai aggregatisi con i turchi kipciaki formano un aggregato imperiale semi-nomade con a capo Temügin, soprannominato con la metafora appropriata per gente che non aveva mai visto il mare: Sovrano Oceanico ossia Cinghiz Khan per le sue grandi voglie di creare un impero che abbracciasse il mondo intero (P.B. Golden 2011). Considerando la 490 possibilità di attaccare Costantinopoli dopo aver annientato la Persia, c'erano state parecchie ricognizioni degli itinerari da seguire con le armate per entrare nelle steppe ucraine dal sud superato il Caucaso. La Rus di Kiev ne aveva avuto notizia, ma non le aveva prese troppo sul serio, mentre i Bulgari del Volga al contrario, dalle informazioni che i mercanti fornivano dal Centro Asia, avevano previsto facilmente quali fossero i piani degli invasori riguardo la Pianura Russa e si erano premuniti alla resistenza.. Se nelle steppe ucraine i Tataro-mongoli potevano disporre di parziale e forzata collaborazione dei nomadi 491 locali lungo le rive del Mar Nero, per le rive del Volga la situazione come ho scritto dianzi era più complessa. Si dové incorporare Bulgar-sul-Volga e la nuova BulgarBiljar saccheggiandole e subito dopo puntare al nord. D'altro canto le campagne condotte a cavallo con le macchine da guerra cinesi e persiane per espugnare città fortificate sarebbero abortite, se si fosse indugiato troppo a lungo nelle trattative e senza dei piani immediati. Fu pertanto facile immaginare che cosa era in procinto di accadere e G. Novgorod, non sentendosi troppo sicura nella propria situazione geografica decentrata, concordò un riscatto una tantum. Sicuramente quindi pagò con l'ausilio dei Bulgari del Volga e restò intatta, anche perché i Tataro-mongoli sapevano bene dai collaboratori bulgari l'importanza economica dei contatti che la repubblica manteneva con l'Occidente. E non erano soltanto i Tataro-mongoli che stavano battendo il nord giacché più o meno nello stesso periodo era cominciata la conquista della regione baltica e dell'estremo nordest con diverse campagne crociate di monaci cattolici armati, come ho scritto in altri miei saggi (v. bibl. ACM). La presenza dei monaci celibi per vocazione ha alcunché di contraddittorio nelle politiche del papato contro gli eretici ortodossi e i cosiddetti pagani nordici perché si predicava la dottrina matrimoniale cattolica fra i popoli vinti e subito battezzati, ma poi, tranne eccezioni, non si dimostrava con l'esempio personale quali fossero effettivamente i comportamenti sessuali leciti per i nuovi cristiani. E tanti cavalieri mantenevano non troppo di 492 nascosto amanti e concubine locali... La lotta maschio-femmina però non si interrompe. Continua a far storia stavolta cambiando gli antagonisti: da un lato la donna abitualmente alloglotta e di cultura assai variegata e quasi sempre ibrida epigeneticamente (V. Tucci 2019) e dall'altro lato la macchina ideologica maschile del clero cristiano cioè l'intrusa a forza con i canonici veti e limitazioni in amore. Né a contrapporsi sono solo i sessi istituzionalizzati dalla chiesa poiché è la sessualità in sé che è detta peccaminosa e di conseguenza deve essere o repressa o celata. In conclusione posso affermare che il paganesimo inteso come ideologia liberatoria dal totalizzante cristianesimo in ambito sessuale continuò a sussistere oltre il Medioevo fino ai giorni nostri nel nordest europeo senza troppi vincoli e pregiudizi religiosi. Non molto diversamente dal resto d'Europa d'altronde che conserva antichissime superstizioni ricristianizzate tutte per quanto possibile ed è corretto dire che nelle diverse comunità cristiane europee, compreso il Nordest, la lotta fra maschio e femmina e contro ogni altro sesso possibile prosegue senza interruzione... sotto l'egida cattolica ancora oggi. E chi dimentica Aleksandra Mihailovna Domontovič Kollontai (morta nel 1952) e i suoi numerosi amori? In primo luogo nel suo odio per la famiglia tradizionale cristiana scriveva fra l'altro che il matrimonio “opprime le donne d'ogni classe sociale”. Fare all'amore – diceva e scriveva ancora – deve essere tanto comune quanto bersi un bicchiere d'acqua. E Lenin e Klara Zetkin che non 493 condividevano questa sua teoria del bicchiere d'acqua? E non ho già citato lo stesso punto di vista della famosa pornostar sedicente comunista Valentina Nappi? La chicca più saporita sull'amore nei ricordi della Rivoluzione d'Ottobre comunque di colore maschilista appare nel 1918 quando il Soviet (municipio) di Vladimirsul-Kljazma approva una disposizione locale in cui ogni giovanetta di almeno 18 anni si doveva registrare all'Ufficio dell'Amore Libero dell'Assessorato per la salute pubblica. Dopodiché i maschi fra 19 e i 50 anni, di stato libero, potevano scegliere una di esse da sposare. Il consenso delle nubende non era necessario e i figli erano figli dello stato! Ciò non escludeva l'uso del divorzio e dell'aborto volontario su richiesta separata di uno dei coniugi. Naturalmente con Stalin tutto decadde... 494 **** Calendario liturgico slavo-russo-pagano ricostruito ◦ 22 dic. Inizio della battaglia cosmica Luce-Tenebre per la notte più lunga dell'anno e paura per lo spegnimento perpetuo del sole al servizio del dio del cielo illuminato Svarog ◦ 26 dic. Festa delle Savie Donne vietata ai maschi o eventualmente ammessane la presenza, ma con gli occhi bendati per sbeffeggiarlo fino all'ubriacatura finale ◦ 31 dic. Fine della battaglia cosmica fra Perun e Veles e attesa trepidante che Svarog rimetta il sole al suo posto sul mondo ◦ 6 gen. Svjatki o le Luci. Annuncio finale dei sacerdoti che Tur il toro cosmico del carro del sole è di nuovo in tiro e che l'anno nuovo è cominciato ◦ 28 gen. Kudesy. Giorno delle forze divine protettrici ◦ 1 feb. Gromnica, paredra tonante di Perun, che con i primi tuoni annuncia le piogge fecondanti i campi ◦ 2-3 feb. Fine del letargo dell'orso (spjačka). Gli uomini si coprono di peli l'intero corpo e in viso indossano maschere zannute. Rapiscono le giovani donne e si accoppiano con esse in pubblico, come si credeva facessero gli orsi. Un'etimologia un po' troppo ardita ammette che l'etnonimo Rus derivi da un'epopea in cui appunto il capostipite eponimo è l'orso. ◦ 11 feb. Giorno di Veles dio supremo dei mercanti a G. Novgorod e il diavolo per i cristiani ◦ 2 mar. Zaklički. Venerazione orgiastica della betulla che col cambio di colore della corteccia annuncia la primavera nel tremolio delle foglie al vento ◦ 24-25 mar. Komojedica. Giorno dedicato all'orso femmina che conferma con i suoi piccoli in raccolta di frutti e di miele, l'arrivo della primavera e con lo strano rituale in cui uomini distesi per terra si dimenano come, appunto, si risvegliassero da un lungo sonno ◦ 25 mar. Giorno di Živa. Il grande riposo è finito e ci si prepara al lavoro nei campi da iniziare, ritualmente, entro l'alba del 26 mar. ◦ 23 apr. Jarilo. Festa orgiastica con copula sacra direttamente sulla terra da dissodare ◦ 30 apr. Radunica. Festa degli antenati 495 ◦ 10 mag. Festa orgiastica per la Gran Madre Terra ◦ 31 mag.-6 giu. Settimana delle Rusalki ◦ 23-24 giu. Festa orgiastica per Kupalo ◦ 14 lug. Festa orgiastica per Stribog ◦ 20 lug. Festa orgiastica per Perun ◦ 31 ago. Postrig. Festa dell'iniziazione dei bimbi maschi col primo taglio dei capelli coincidente coi Koljady del principio dell'anno che nel passato pagano iniziava a settembre ◦ 28 ott. Mokoša/Matuška Praskovija. Festa delle donne nell'area baltica interdetta agli uomini. Nell'area slavo-russa la festa aveva anche qui una nota sessuale poiché le donne cantavano invocando la Vergine cristiana con le parole: “Matuška Praskovja, coprimi presto!” intendendo con “coprimi” trovami un amante! ◦ 1° nov. Kuzminki. Festa dei lavori femminili, forse assimilabile alla precedente, ma stavolta orgiastica con presenza maschile. Qui c'è una curiosità. La festa è sotto il patronato dei santi Cosma e Damiano considerati pari a Mokoša perché presiedono il filare, il cucire e il ricamare, tutte operazioni previste per il corredo delle giovanette da usare quando fossero andate in sposa. *** calendario contadino con tacche e incisioni su un bastone a sezione esagonale 496 Bibliografia essenziale Steppe e Centro Asia J. L. Abu-Lughod – Before European Hegemony, Oxford 1989 G. Barbujani – L'invenzione delle razze, capire la biodiversità umana, Firenze 2018 A. Bell-Fialkoff (ed.) – The Role of Migration in the History of the Eurasian Steppe, London 2000 L.A. Borovkova – Narody Srednei Azii III-VI vekov, Moskva 2008 B. Brentjes – Mittelasien, Leipzig 1977 J. Burjakov/A. Gričina – Mawarennahr na velikom šelkovom puti, Samarkand 2006 V.P. Darkevič – Argonavty Srednevekov'ja, Moskva 2005 V. De Angelis – Amazzoni, Mito e storia delle donne guerriere, Casal Monferrato 1998 J.-P. 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Qui ha conosciuto e sposato la madre dei suoi 4 figli e sua prima moglie. Non è nato come storico, ma la sua passione per la storia medievale e la conoscenza sempre rinnovata della realtà slavo-russa (la sua seconda moglie era bielorussa) lo ha portato a specializzarsi nello studio del Medioevo Russo. La grande occasione gli è stata offerta dal prof. ord, di Storia Medievale e Curatore dell'Istituto di Studi Normanno Svevi dell'Univ. di Bari, Raffaele Licinio, che dopo un esame approfondito lo ha consacrato ufficialmente storico e gli ha messo a disposizione la sezione Medioevo Russo sul sito www.mondimedievali.net. Ogni articolo pubblicato è stato sempre riletto e rimarginato dal prof. R. Licinio fino alla sua morte nel 2018. Il sito è ancora aperto, ma manca attualmente un coordinatore scientifico. Dopo la prima tesi ciclostilata “Lettura e crisi capitalistica della stampa, 1976-1977”, il suo primo lavoro pubblicato a stampa è stato: “Olga la russa”, dedicato alla sua seconda moglie. La sua produzione sull'argomento Medioevo Russo è così cominciata: 507 “Andrea deve morire”, “L’ultimo amore di Novgorod” (un romanzo storico), “L’ombra dei tartari” (un libro per i ragazzi ovvero la saga dialogata di Alessandro Nevskii), “La badessa delle paludi” (encomiato da S.S. Filarete, defunto Esarca della Bielorussia), “Cristo e la mafia dei Rus’ “, “Mescekh, il paese degli ebrei dimenticati”, “Storie di cavalieri e di lituani”, “Pian delle beccacce” (elogiato da S.S. Alessio II, defunto Patriarca di tutta la Russia), “Rasdrablenie”, “Vita di Smierd”, “Mai più una quarta Roma” (dedicato all'anniversario dello stato russo del 2012), “È caduta la repubblica”, “È tramontato un sole sulla terra russa”, “Il cavaliere russo”, “L’oro di Novgorod”, “Arcivescovi o mercanti”, “Quella campana non suonerà più”, “Introduzione al paganesimo russo”, ”Nell'anno 6494”, “I Signori del grande fiume” “Vestirsi, Svestirsi, Travestirsi – abbigliamento e costumi nel Medioevo Russo” e in lingua russa “Когда Волга-река была болгарской”. L'editore TRIGLAV di Volin (Polonia) lo ha accolto col libro in polacco “Slowanska Rus, Poganstwo i Kobiety” Il suo primo e.book è stato con Liberiter di La Spezia “Storia e cucina nel Medioevo Russo” a cui sono seguiti con GRIN Verlag di Monaco di Baviera e su Kindle “Scorrono le acque dell'Itil...”, “La Rus di Kiev fra mafie e colpi di stato”, “Le montagne russe” 508 “Gli Iperborei Ebrei”, “Casa Russa” “Scorrono le acque del fiume Itil...” Con Lulu.com (USA-UK) ha pubblicato “Missione Lungamano” “La Rus' di Kiev?” “Càzari e Russi, un'avventura ebraica medievale” “La selva, l'Europa e il Medioevo Russo” “Le Virtù attrattive delle Donne” con M. Hasanov e H. Bababekov “Guerra e Pace nella Rus' di Kiev” “Il delitto a Mosca e il castigo a Kiev” “Vivere il Medioevo Russo nella foresta” “Sessualità e Medioevo Russo – PRIMA PARTE” “Sessualità e Medioevo Russo – SECONDA PARTE” Con Createspace, USA ha pubblicato “Storie cattoliche e Medioevo Russo” Con Kindle Publishing (Amazon) ha continuato a pubblicare “Fare all'amore nel Medioevo Russo” “Colonialismo cattolico e Medioevo Russo” “Le origini baltiche del colonialismo cattolico” “ДОСТИЖЕНИЯ ЛЮБВИ В РУССКОМ СРЕДНЕВЕКОВЬЕ” Con Ilona Marturano “Un racconto per Natale 2020 - LA BYLINA DI SADKÒ I suoi libri sono in vendita nelle tradizionali librerie e su quelle on.line. Lo ospitano: www.homolaicus.com www.academia.edu.com www.researchgate.com www.amazon.com È collaboratore di Wikipedia e insegnava Medioevo Russo e argomenti affini presso l'Università 2000 di Cassina de' Pecchi (MI). È membro corrispondente di E S S A - Early Slavic Studies Association Naturalmente è su Facebook e su Google e su Yandex.ru 509