UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
Dottorato di ricerca in Digital Humanities
Tecnologie digitali, arti, lingue, culture e comunicazione
Curriculum di lingue e letterature straniere, linguistica e onomastica
Indirizzo lingue e letterature straniere
XXXI ciclo
TESI DI DOTTORATO
Così lontano così vicino.
Una proposta di lettura “a media distanza”
dell’opera poetica di Lucian Blaga
Candidata: Barbara Pavetto
Tutor: Roberto Merlo
A. A. 2020/2021
Settore scientifico-disciplinare di afferenza: L-LIN/17
pag. 1
SOMMARIO
SOMMARIO
2
INTRODUZIONE
5
PARTE PRIMA
9
CAPITOLO 1 SVOLTE DIGITALI E LETTURE A DISTANZE VARIABILI
1. La svolta digitale degli studi umanistici
10
10
1.1. Stilistica e strumenti digitali
1.2. L’avvento del corpus
1.2.1. Il corpus
1.2.2. Linguistica dei corpora
1.2.3. Stilistica dei corpora
11
14
14
15
17
2. Close reading, la letteratura vista da vicino: il cartografo
20
3. Distant reading, la letteratura vista da lontano: il satellite
21
4. Una lettura “a metà strada”: il drone
24
5. Strumenti della stilistica dei corpora: Sketch Engine e le sue criticità
27
CAPITOLO 2 LO STATO DELL’ARTE: LA CRITICA BLAGHIANA E LE DIGITAL HUMANITIES
IN ROMANIA
32
1. La critica blaghiana in Romania
32
1.1. I contributi di Alexandra Indrieș, Titus Bărbulescu e Corin Braga
38
1.2. La ricezione dell’opera blaghiana in Italia
47
2. Le Digital Humanities in Romania
57
PARTE II
63
INTRODUZIONE: COSTITUZIONE E PREPARAZIONE DEL CORPUS
64
1. L’edizione critica utilizzata
64
2. La preparazione del corpus
65
CAPITOLO 1 IL VERBO: I CASI DI A VEDEA E A PRIVI
1. Il lavoro di Alexandra Indrieș: orizzonti semi-condivisi
1.1. Studio dei verbi più frequenti all’interno del corpus
68
68
68
2. Premesse sul lavoro
73
2.1. Misura
2.2. Interpretazione
74
75
3. Direzione e tipo di sguardo
77
3.1. Misura
78
pag. 2
3.2. Interpretazione
79
4. Modi, tempi e persone dei verbi
88
4.1. Il modo
4.1.1. I modi di a vedea - misura
4.1.2. I modi di a vedea – interpretazione
4.1.3. I modi di a privi - misura
4.1.4. I modi di a privi – interpretazione
4.2. Il tempo – misura
4.2.1. Il tempo – interpretazione
4.2. Il presente
4.2.3. Perfect compus e passato remoto
4.2.4. L’imperfetto e il futuro
4.3. La persona
4.3.1. La persona – misura
4.3.2. La persona – interpretazione
89
89
90
91
91
92
93
94
96
98
100
100
100
5. Il campo semantico della vista
105
5.1. Misura
5.2. Interpretazione
106
106
6. Uno sguardo ai verbi più frequenti.
110
6.1. Movimento e stasi
6.1.1. Misura
6.1.2. Interpretazione
6.1.3. Persone e tempi verbali dei verbi a veni e a sta – misura e interpretazione
6.1.4. Referenti animati e referenti inanimati
6.1.5. Campo semantico del movimento – misura e interpretazione
6.2. Chi sa di non sapere
6.2.1. A ști ˗ misura e interpretazione
6.2.2. Persone e tempi verbali – misura e interpretazione
6.2.3. Agenti animati e agenti inanimati
6.2.4. Sfumature semantiche
6.3. Altri verbi di percezione: a auzi e a simți
6.3.1. A auzi e a simți ˗ misura e interpretazione
6.3.2. Persone e tempi verbali – misura e interpretazione
6.3.3. Agenti animati e agenti inanimati
CAPITOLO 2 LA NEGAZIONE
110
111
111
113
116
116
118
118
119
121
121
124
125
126
129
130
1. Il potere tellurico della negazione
130
2. Il nu all’interno del corpus poetico blaghiano
134
2.1. Misura
2.2. Interpretazione
135
139
3. Una prima griglia interpretativa
140
3.1. Misura
3.2. Interpretazione
142
143
4. Il caso di decât
145
5. Una seconda griglia interpretativa
147
5.1. Misura
147
pag. 3
4.2. Interpretazione
153
6. Una terza griglia interpretativa
157
6.1. Misura
6.2. Interpretazione
157
160
7. Una quarta griglia interpretativa
162
7.1. Misura
7.2. Interpretazione
162
163
8. Le “grandi negazioni programmatiche”
165
CAPITOLO 3 LE FUNCTION WORDS: COMPARAZIONE E DEITTICI
170
1. Panoramica sullo stato dell’arte
170
2. La comparazione
175
3. Perché la comparazione?
179
4. La comparazione nella poesia di Lucian Blaga
183
4.1. Misura
4.2. Interpretazione
184
187
5. La comparazione senza ca
188
5.1. Misura
5.2. Interpretazione
189
191
6. Una diversa griglia interpretativa
192
6.1. Misura
6.2. Interpretazione
194
197
7. Comparativi di maggioranza e minoranza, superlativo relativo
7.1. Misura
7.2. Interpretazione
199
199
200
8. Un rapido sguardo a altfel
201
9. Deissi spaziale e deissi temporale
205
9.1. La deissi spaziale
9.1.1. Misura
9.1.2. Interpretazione
9.2. La deissi temporale
9.2.1. Misura
9.2.2. Interpretazione
205
206
211
220
221
227
CONCLUSIONI
239
BIBLIOGRAFIA
241
Fonti primarie
241
Fonti secondarie
241
RINGRAZIAMENTI
250
pag. 4
INTRODUZIONE
Gli aspetti per noi più importanti delle cose sono nascosti dalla
loro semplicità e quotidianità. (Non ce ne possiamo accorgere –
perché li abbiamo sempre sotto gli occhi). […] ciò che, una
volta visto, è il più appariscente, e il più forte, questo non ci
colpisce1
Questo studio nasce con l’obiettivo di applicare metodologie e strumenti d’analisi
innovativi, mutuati dalla Corpus Stylistics, allo studio dell’opera poetica di Lucian Blaga
(1895-1961), poeta, filosofo e drammaturgo della prima metà del Novecento di
straordinaria importanza, al quale tuttavia negli ultimi decenni la critica ha dedicato
scarsa attenzione. L’obiettivo della ricerca è proporre un approccio inedito, finora mai
adottato (e scarsamente impiegato nello studio della letteratura romena in generale), al
corpus poetico blaghiano, che combini l’estrazione automatica di dati con
l’interpretazione umana in una lettura digitale “a media distanza” volta a rilevare alcune
particolarità del linguaggio poetico di Blaga e della sua evoluzione diacronica.
La parte “digitale”, ovvero la messe di dati relativi al corpus poetico cronologicamente
strutturato ottenuta da query formulate con uno strumento specifico – il software per
indagini linguistiche quantitative Sketch Engine (https://www.sketchengine.eu/) – è stata
infatti interpretata in parte in modo “analogico”. Si è cercato un fertile compromesso, per
utilizzare le categorie utilizzate da Franco Moretti, tra l’approccio di tipo distant reading
– basato su moli immense di dati estratti da migliaia e milioni di testi, privati così di una
propria individualità – e la tradizionale interpretazione in stile close reading – ovvero di
orientamento microstilistico, focalizzato sui dettagli del singolo testo – in direzione di
quello che negli ultimi anni si sta configurando come un approccio “a distanza variabile”,
ovvero “a media distanza” (mid-distance reading), che permetta di analizzare i dati “da
lontano”, come se ci trovassimo ad osservare il territorio sottostante da un aereo, ma
anche “da vicino”, come se scendessimo di quota per osservare più nel dettaglio quelle
parti di testo che si sono dimostrate particolarmente rilevanti. Implicito è il quesito
relativo all’opportunità e alla fattibilità di simili studi applicati alla poesia e alla letteratura
1
Ludwig Wittgenstein, 1974, Ricerche filosofiche [1936-1946; 1946-1949], Torino, Einaudi, 1974, p. 129.
pag. 5
romena in genere allo stadio attuale dello sviluppo degli strumenti e delle metodologie
d’analisi.
Il lavoro è suddiviso in due parti: una prima parte, di stampo storico e
metodologico, suddivisa in due capitoli, e una seconda parte, di analisi applicate,
costituita da tre capitoli.
Nella prima parte, il primo capitolo ripercorre per sommi capi l’emergere e lo
sviluppo di quelle che oggi vengono definite Digital Humanities, branca degli studi
umanistici multidisciplinare che vede la collaborazione di specialisti non solo in ambito
linguistico, letterario ecc, ma anche informatico e tecnologico. Il capitolo si concentra poi
sulla succinta illustrazione del concetto di corpus e sullo sviluppo di Corpus Linguistic e
Corpus Stylistics, per poi discutere i concetti di close reading, la lettura “a distanza
ravvicinata”, e di distant reading, la lettura “a grande distanza”, dai quali si parte per
illustrare, in conclusione, la possibilità e l’opportunità di un mid-distance reading, ovvero
di una lettura “a distanza variabile” o “a media distanza”. Tale metodo d’analisi sarà
applicato al corpus della poesia di Lucian Blaga nella seconda parte del lavoro.
Il secondo capitolo si apre con la rassegna delle diverse “ondate” della ricezione
critica dell’opera poetica blaghiana (soprattutto in Romania, ma con un occhio anche alla
situazione italiana), senza dimenticare il cosiddetto “silenzio della critica” che segue
l’interdizione del poeta dalla scena accademica e culturale romena da parte del primo
regime postbellico e che si protrae fino alla riabilitazione dell’inizio degli anni ’60, poco
prima della morte del poeta. In questo capitolo si evidenzia come in ogni epoca i vari
commentatori, pur con alle spalle un profilo di orientamento critico (e politico) molto
eterogeneo, si siano concentrati su alcuni precisi aspetti dell’opera di Blaga, diversi a
seconda del momento storico, e come in certi periodi la critica si sia mossa in determinate
direzioni per perseguire determinati scopi (nel periodo della riabilitazione del poeta, ad
es., obiettivo dei critici era quello di ristabilire “l’immagine” di Blaga rendendolo più
accettabile dal contesto socio-politico di quegli anni, mentre più tardi, dopo la caduta del
regime, la critica pare concentrarsi maggiormente sugli aspetti biografici e quasi
psicanalitici dell’opera, allo scopo di individuare nessi tra l’opera e la vita personale di
Blaga). Più in dettaglio sono discussi alcuni studi monografici dedicati all’opera
pag. 6
blaghiana – due di Alexandra Indrieș, uno di Titus Bărbulescu e uno di Corin Braga – i
quali, per diverse ragioni, presentano una qualche affinità con i metodi e gli obiettivi della
presente ricerca.
Il capitolo si conclude con una panoramica, da un lato, sulla situazione dello studio
della letteratura romena effettuato con approcci digitali, presentando i lavori e i progetti
di studiosi quali Roxana Patraș e Andrei Terian, e, dall’altro lato, sull’applicazione
all’opera di Lucian Blaga di metodologie quantitative, rilevando come le risorse siano di
fatto poche e datate e confermando la necessità di ricerche e studi orientati
all’implementazione degli strumenti e delle tecniche digitali.
La seconda parte del presente lavoro è dedicata al mid-distance reading del corpus
poetico blaghiano ed è suddivisa in tre capitoli, ciascuno focalizzato su un diverso e
specifico elemento/categoria del linguaggio poetico di Blaga.
Il primo capitolo si concentra in primo luogo sui verbi legati alla vista, nello
specifico a vedea ‘vedere’ e a privi ‘guardare’, perché sulla base delle analisi rese
possibili dal software Sketch Engine a vedea è risultato essere il verbo più utilizzato
all’interno dell’intero corpus. I dati ricavati dall’interrogazione del corpus – e i dati
successivamente ricavati da analisi più minuziose, ad es. lo studio di tempi, persone e
modi dei verbi più frequenti – sono stati trasformati in percentuali e grafici di rapida
consultazione. In questo capitolo si è stabilita una linea metodologica che consiste nel
fornire i dati con gli strumenti digitali sotto forma di percentuali e grafici (la “misura”),
che consentano una lettura – o meglio, una visione – del testo “da lontano”, facendolo
seguire da una disamina critica di tali dati, con un sensibile “riavvicinamento” al testo da
cui essi sono stati estratti (l’“interpretazione”), seguendo il principio di una “lettura a
distanza variabile” discusso nel primo capitolo. Questo primo capitolo prosegue con
l’analisi, secondo il modello “misura” e “interpretazione”, del campo semantico della
vista (ochi, lacrimă, zare, privire e nevăzut) e, infine, di altri verbi frequenti nel corpus
(a veni, a sta, a ști, a auzi, a simți).
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi dell’utilizzo, all’interno del corpus
poetico blaghiano, della negazione sintattica espressa tramite nu, particolarmente
interessante poiché la negazione è un atto linguistico che pur negando un contenuto
specifico all’interno di un enunciato, di fatto ne sottolinea la presenza (in una frase
negativa, l’elemento negato compare comunque in seguito al nu, e l’idea dell’elemento
pag. 7
negato è dunque presente nella mente del lettore – e dello scrittore). La negazione,
pertanto, si rivela essere un elemento semanticamente e simbolicamente carico di un
grande potere comunicativo. Sempre seguendo il modello “misura” e “interpretazione”, i
dati desunti dalle query effettuate tramite Sketch Engine sono commentati e inseriti in
una cornice ermeneutica di più ampio respiro. Viene poi ulteriormente osservato
l’utilizzo, sempre all’interno del corpus della poesia blaghiana, di decât, e anche quali
siano i lemmi più frequentemente associati alla negazione.
Il terzo capitolo, infine, si concentra sullo studio dell’utilizzo, all’interno delle
opere poetiche blaghiane, della comparazione e di alcuni deittici avverbiali. Il capitolo si
apre con un paragrafo introduttivo che illustra come, grazie agli strumenti e alle
metodologie digitali, le cosiddette function words (ovvero tutti quegli elementi lessicali
non portatori di significato semantico, e dunque pronomi, articoli, preposizioni ecc) siano
state di recente oggetto di analisi soprattutto da parte di studiosi che si occupano di
authorship attribution: proprio in virtù del fatto che l’utilizzo delle function words tende
ad essere meno ponderato e più automatico ed istintivo, queste rappresentano una sorta
di “impronta digitale” di ogni autore. Tenendo a mente che Blaga stesso considerava la
metafora quale essenziale prerogativa dell’essere umano, si è quindi analizzato l’utilizzo
all’interno del corpus poetico della comparazione costruita con la particella ca. Segue
un’analisi (questa volta non digitale ma prettamente “analogica”) della comparazione
“implicita” ovvero semanticamente intesa senza l’utilizzo della particella ca, seguita a
sua volta dall’analisi dell’utilizzo di comparativo di maggioranza, comparativo di
minoranza e superlativo relativo all’interno del corpus. Il capitolo continua poi con
l’analisi dei principali deittici spaziali e temporali, ovvero aici, acolo, acum e atunci (e
relative varianti).
Concludono la ricerca una serie di osservazioni che mirano a rispondere al quesito
implicito in essa, tracciando alcune riflessioni su quali siano stati gli ostacoli principali in
corso d’opera ma anche quali siano le promettenti aperture che l’approccio utilizzato ha
consentito.
pag. 8
PARTE PRIMA
pag. 9
CAPITOLO 1
SVOLTE DIGITALI E LETTURE A DISTANZE VARIABILI
La tecnica dell’elettricità è però in mezzo a noi, e noi siamo
storditi, sordi, ciechi e muti di fronte alla sua collisione con la
tecnica di Gutenberg2.
1. La svolta digitale degli studi umanistici
Negli ultimi decenni, negli studi umanistici interviene con sempre maggiore
frequenza, spesso con forti e dichiarati intenti programmativi, l’uso di strumenti digitali.
Quelle che sono oggi conosciute come Digital Humanities si sono costituite come un
nuovo e diverso ambito di studi, dal carattere collaborativo e poliedrico, nel quale
confluiscono esperti in settori umanistici che possiedono competenze informatiche e
viceversa, caratterizzato da approcci estremamente eclettici accomunati tuttavia
dall’utilizzo di strumenti digitali e automatici di raccolta e analisi dei dati. Gli orizzonti
di ricerca si sono così ampliati enormemente, e sempre più università nel mondo e in Italia
offrono ai propri studenti percorsi di formazione orientati alle DH.
In quanto segue intendo fare un excursus sul tema della tecnologia applicata alla
ricerca in ambito umanistico e in particolare allo studio del linguaggio letterario, a partire
dall’affermazione della stilistica come disciplina autonoma attorno agli anni ‘60 del
secolo scorso, quando si impose una corrente di analisi e di critica letteraria oggettiva,
basata su metodologie scientifiche. Il progresso scientifico e il fatto che il computer sia
diventato uno strumento sempre più accessibile e sempre più facilmente manovrabile
hanno contribuito in modo decisivo allo sviluppo di ambiti e metodi di ricerca
strettamente legati alla possibilità di creare e interrogare vasti corpora di varianti di
lingua, tra cui quelle letterarie. È in questo contesto che nascono e si sviluppano la
linguistica e la stilistica dei corpora.
L’analisi letteraria integra il tradizionale approccio intuitivo e qualitativo con le
possibilità offerte dall’analisi quantitativa che si avvale di strumenti elettronici, che con
2
Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, Harmondsworth, Penguin, 1964, pp.
17-18.
pag. 10
lo sviluppo vertiginoso della tecnologia diventano in grado di rendere disponibili in
formato digitale e di gestire moli sempre maggiori di dati. Al close reading (CR) si
affianca finalmente il distant reading (DR), ovvero un nuovo percorso di ricerca che
abbandona il classico approccio ravvicinato a un unico testo o parte di testo, da sviscerare
in tutte le sue dimensioni (formali e contenutistiche, linguistiche ed extralinguistiche,
testuali e intertestuali ecc.), per collocarsi in una prospettiva “distanziata” che, invece che
focalizzarsi sulle minuzie del singolo testo, offre una visione globale della letteratura
come fenomeno, rete ricchissima e multilivello di testi, autori, correnti, tendenze, date e
luoghi di pubblicazione, idee in circolazione ecc. e di combinazioni di questi fattori.
Laddove non rinunci più o meno radicalmente ad avvicinarsi ai singoli “testi” per
operare con milioni e miliardi di essi come unità di dati, il digitale può andare a
coadiuvare metodologie più “tradizionali”, come nel caso di ricerche su corpora di
dimensioni più contenute costituite dall’intera opera di uno stesso autore o del raffronto
tra serie di opere di autori coevi, o addirittura da un’opera individuale. Ecco dunque che
si configura implicitamente una serie di livelli di lettura intermedi, che negli ultimi anni
hanno ricevuto una embrionale formalizzazione teorica sotto etichette riconducibili
all’idea di mid-distance reading (MDR) o mid-range reading3, i quali permettono di fare
ricerca sfruttando i metodi quantitativi propri dello studio dei corpora senza però perdere
di vista, tramite il ravvicinamento caratteristico della critica intuitiva e qualitativa, le
specificità dei singoli testi presi in esame.
1.1. Stilistica e strumenti digitali
La stilistica (ri)nasce come disciplina autonoma negli anni ‘60, separandosi da
altri approcci metodologici ai quali all’epoca era ancorata, in particolare grazie a istanze
provenienti dalla Russia e dall’Europa orientale, così come dalla Francia e dalla Germania
ma anche dal Regno Unito e dagli USA4. Secondo S. Chatman, le cinque direzioni
fondamentali della “nuova” stilistica letteraria erano: la scuola russa di stampo formalistaJakobsoniano, lo strutturalismo francese, la scuola britannica influenzata da Firth, la
3
Per il concetto di mid-range reading, Alison Booth, Mid-range reading: not a Manifesto, in “PMLA”
132.3, pp. 620-627.
4
Katie Wales, Stylistics, in Keith Brown, Encyclopedia of Language and Linguistics, Oxford, Elsevier,
2005, pp. 213-217.
pag. 11
scuola americana influenzata dal New Criticism e da Bloomfield e la scuola
“continentale” influenzata da Spitzer5. E proprio quest’ultimo, ancorché alcuni aspetti del
suo lavoro vengano criticati – ad es. l’aspetto psicologico – trova ampio consenso,
essendo spesso considerato “il padre della New Stylistics”6 in particolare per l’approccio
che prevede di partire da un’ipotesi critica per poi attuare un’analisi oggettiva utilizzando
specifiche griglie interpretative.
Utilizzare metodi coerenti e oggettivi da applicare alla critica letteraria: è proprio
a partire da tale proposito che prende le mosse il rinnovamento della stilistica come
disciplina. Verso la metà del secolo scorso, anche sulla scorta dell’entusiasmo delle prime
applicazioni delle analisi elettroniche del linguaggio, si afferma l’esigenza di ancorare
l’analisi e la critica letteraria a una dimensione più “scientifica”, più “oggettiva”, tramite
l’adozione di metodologie e approcci mirati, allo scopo di conferire un nuovo e più attuale
senso di “credibilità” e “scientificità” a una disciplina che, da sempre, si era basata
eminentemente (e orgogliosamente) sulla “intuizione” e sul “gusto” del singolo studioso.
All’inizio degli anni ’80 Stanley Fish descriveva tale ricerca di “oggettività” nei seguenti
termini:
Stylistics was born of a reaction to the subjectivity and imprecision of literary studies. For the
appreciative raptures of the impressionistic critic, stylisticians purport to substitute precise and
rigorous linguistic descriptions and to proceed from these descriptions to interpretations for which
they can claim a measure of objectivity. Stylistics, in short, is an attempt to put criticism on a
scientific basis7.
Già prima di Fish, Louis Milic aveva sottolineato come l’utilizzo di un metodo
quantitativo applicato alla stilistica non fosse altro che un modo per ovviare all’inevitabile
soggettività della critica letteraria e alla difficoltà del lettore nell’individuare le
caratteristiche più sottili dello stile di un dato autore8.
Nonostante i tentativi di rinnovarla su basi “oggettive” e dotarla di metodi formali
propri, la stilistica, al confine con discipline quali la linguistica e la critica letteraria, forti
5
Seymour Chatman, S., Literary Style: A Symposium, Oxford, Oxford University Press, 1972, p. IX.
David Lodge, The Language of Fiction, London and New York, Routledge and Kegan Paul, 1966, p. 56.
7
Stanley Fish, What is Stylistics and Why Are They Saying Such Terrible Things About It?, in Fish S., Is
There a Text in This Class? The Authority of Interpretive Communities, Cambridge, Massachusetts,
Harvard University Press, 1966, pp. 69-70.
8
Louis Tonko Milic, A Quantitative approach to the style of Jonathan Swift, The Hague, Paris, Mouton &
Co, 1967.
6
pag. 12
di tradizioni e metodologie lungamente affermate e consolidate, è potuta apparire – nelle
parole di R.D. Cureton – una disciplina relativamente negletta, ma con buone possibilità
di ripresa: “At present, relations between stylistics and its neighbouring disciplines are
tentative at best. To most linguists, stylistics is a peripheral sort of applied analysis; to
most literary critics, it is a laborious dwelling on irrelevances9.
La stilistica letteraria contemporanea parte dal presupposto che ogni testo sia
caratterizzato da peculiarità e specificità, che possono variare anche da un testo all’altro
dello stesso autore10, le quali si manifestano essenzialmente e primariamente attraverso il
linguaggio: lo stile è infatti “distintivo” in quanto riflette peculiarità linguistiche, a loro
volta espresse attraverso i diversi registri e generi11. In quanto studio di opere letterarie
praticato con strumenti e metodi presi a prestito dalla linguistica, essa – come nota Short12
– si configura necessariamente come “interfaccia” tra linguistica e critica letteraria, una
sorta di ponte di collegamento tra le due discipline.
Eppure ciò, dalla prospettiva disciplinare specifica dei più consolidati ambiti attigui della
linguistica e degli studi letterari, è spesso stato visto come un punto debole della stilistica,
ovvero il suo carattere in un certo qual modo “ibrido”, è oggi rivendicato dai suoi
rappresentanti, sull’onda del crescente apprezzamento per gli approcci transdisciplinari,
come un punto di forza e di originalità di questo ambito di studi, considerato in grado –
come recita il titolo di un recente contributo di M. Mahlberg – di “colmare il divario tra
linguistica e studi letterari” 13,
Considerata da un lato – soprattutto nelle vesti di strumento della critica letteraria
più tradizionale – impressionistica ed eccessivamente soggettiva, dall’altro – in
particolare nelle ipostasi formaliste di più chiaro impianto linguistico – eccessivamente
meccanica e riduttiva, la stilistica resta quindi, come oggi orgogliosamente si reclama,
una disciplina “di confine”, fortemente legata nella prassi e nelle premesse metodologiche
alla linguistica. Proprio questo suo legame intrinseco con la linguistica ha fatto sì che
9
Richard D. Cureton, Linguistics and Literature: Stylistic, in William J. Frawley, International
Encyclopedia of Linguistics, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 470-471.
10
Geoffrey M. Leech, Mick Short, Style in Fiction. A Linguistic Introduction to English Fictional Prose,
London, Longman, 1981, p. 74.
11
K. Wales, A dictionary of Stylistics, Harlow, Longman, 2001, p. 372.
12
M. Short, Exploring the language of poems, plays and prose, London, Longman, 1996, p. 1.
13
Michaela Mahlberg, Corpus Stylistics: bridging the gap between linguistic and literary studies, in Hoey,
M., Mahlberg, Michael Stubbs, Wolfgang Teubert, Text, Discourse and Corpora. Theory and Analysis,
London, Continuum, 2007, p. 222.
pag. 13
l’avvento dei corpora e lo sviluppo della Corpus Linguistics avessero un forte impatto
anche sulla stilistica, orientandola verso nuovi orizzonti.
1.2. L’avvento del corpus
È stato inizialmente con il nuovo approccio di Noam Chomsky allo studio del
linguaggio che Corpus Linguistics e Corpus Stylistics hanno iniziato a svilupparsi: la
“rivoluzione” chomskiana è stata l’input per la fondazione dell’analisi basata su corpora,
un nuovo metodo che offriva agli studiosi nuove e ampie prospettive grazie all’utilizzo
della tecnologia14.
1.2.1. Il corpus
Nel senso proprio originale, di ambito bibliografico, il termine corpus indica fin
dall’antichità una raccolta strutturata ed esaustiva dei testi attribuiti a uno o più autori (es.
Corpus Hermeticum, Corpus Hippocraticum) ovvero intorno a determinati argomenti o
materie (es. Corpus Iuris Civilis). Nel senso più recente e proprio di discipline quali la
linguistica (e la stilistica), un corpus è una raccolta di testi rappresentativi di una o più
lingue, ovvero di una o più varianti di una o più lingue, oggi in genere disponibile e
consultabile in formato elettronico, strutturata e organizzata in modo tale da poter essere
impiegata, oggi prevalentemente tramite l’uso di specifici software di interrogazione,
come base documentaria di analisi statistiche e test di verifica di ipotesi. In tale senso,
l’uso di corpora come oggetto e strumento di ricerca è focalizzato primariamente non più
sul contenuto dei testi raccolti (che diventa uno dei vari parametri di selezione e
organizzazione), come è invece proprio del tradizionale corpus bibliografico, bensì sulla
loro forma, in primo luogo sulla lingua, connotandosi decisamente come corpus
linguistico.
Quando si parla di corpora, infatti, si intendono oggi implicitamente i corpora
linguistici, sempre più numerosi e sempre più specializzati. Ma è importante sottolineare
che è in crescita anche il numero di corpora che si connotano specificamente come
letterari, raccogliendo le opere di un determinato autore o quelli di un gruppo di autori
14
Alessandro Lenci, Simonetta Montemagni, Vito Pirrelli, Testo e computer. Elementi di linguistica
computazionale, Roma, Carocci editore, 2016, p. 15.
pag. 14
coevi allo scopo non solo di praticare analisi di tipo prettamente linguistico ma anche di
discernere in essi “tendencies, intertextual relationships, or reflection of social and
cultural contexts […]”15. Da un punto di vista stilistico, un corpus può essere definito
come una serie di “collections of computer-readable texts which often have several
million words. For example, works of a specific author or of groups of authors can be
compared statistically with texts by other authors which offer the possibility of isolating
authorial ‘fingerprints’16.
Cosa contraddistingue quindi un corpus letterario contemporaneo dal corpus
bibliografico tradizionale o da un semplice archivio di testi? Il fatto che il corpus letterario
– come quello linguistico – è reso interrogabile da strumenti elettronici tramite
“annotazione” (“annotare” un corpus significa codificarne gli elementi componenti,
primariamente linguistici ma non solo) con specifiche “etichette” (tag) e secondo
specifici criteri allo scopo di ricavare specifiche informazioni. Da un corpus annotato, ad
es., è possibile ricavare in modo automatico concordanze, liste di frequenze, parole
chiave, ma anche analisi più complesse di contesti sintattici e semantici, tesauri
sinonimici ecc.
Un corpus, linguistico o letterario, non è quindi la semplice “somma” dei testi che
lo compongono, e, a differenza del testo, il corpus non è fatto per essere “letto” in senso
tradizionale, ma per essere analizzato e interrogato, per ragioni molteplici e in modi
diversi. Nelle parole di E. Tognini Bonelli, mentre il testo è generalmente letto in modo
“orizzontale” il corpus è predisposto per una lettura “verticale”; in questo senso – in
riferimento ai noti concetti saussuriani – il testo è un fatto di parole, mentre il corpus è
orientato alla langue17.
1.2.2. Linguistica dei corpora
15
Mahlberg, Corpus Stylistics, cit. p. 222.
Anonymous, Language and Literature. A Corpus Stylistic Approach to Charles Dickens, Munich, GRIN
Verlag, http://www.grin.com/en/ebook/213427, 2010, p. 2; l’autore osserva anche che “this method has
been under-used by many styliticians”.
17
Elena Tognini Bonelli, Theoretical overview of the evolution of Corpus Linguistics, in The Routledge
Handbook of Corpus Linguistics, a cura di Anne O’ Keffe e Michael McCarthy, Londra e New York,
Routledge, 2010, pp. 19-20.
16
pag. 15
La linguistica dei corpora si presta ai più svariati utilizzi, in particolare allo studio del
linguaggio e delle sue declinazioni in ambiti specifici (ad es. il linguaggio giuridico,
medico, letterario ecc.) in virtù del fatto che l’analisi quantitativa studia in particolare la
sintassi e il lessico di concreti atti comunicativi (scritti o orali) per identificare pattern
d’uso. In altre parole, essa è generalmente definibile come “the empirical study of
language relying on computer-assisted techniques to analyse large, principled databases
of naturally occurring language”18. Più in dettaglio, la linguistica dei corpora
[…] is a research approach that facilitates empirical descriptions of language use. Corpus
Linguistics research is based on analyses of a ‘corpus’: a large and principled collection of texts
stored on a computer. A corpus provides the best way to represent a textual domain, and corpus
analysis is the most powerful empirical approach for analising the patterns of language use in that
domain19.
In quanto tale, essa opera con “some set of machine-readable texts which is deemed
an appropriate basis on which to study a specific set of research questions”20. Uno
strumento “empirico”, dunque, estremamente potente, che però i linguisti “teorici” hanno
non di rado tacciato vuoi di sterilità o di inutilità. Noam Chomsky, ad es., in un’intervista,
ha paragonato la linguistica dei corpora alla “collezione di farfalle”21. L’intervistatore B.
Aarts, pur con alcune riflessioni critiche sullo statuto dei dati ottenibili dai corpora,
opponeva giustamente a tale approccio riduttivo e caricaturale la rilevanza che la
linguistica dei corpora ha come metodologia applicabile a diversi ambiti dello studio del
linguaggio22. La linguistica dei corpora, dunque, invece di rappresentare una finalità in sé
stessa, come considerano molti studiosi, rappresenta piuttosto un mezzo, una metodologia
empirica applicabile allo studio del linguaggio. In quanto tale, essa presenta numerosi
vantaggi23:
18
Susan Conrad, Will Corpus Linguistics Revolutionize Grammar Teaching in the 21st Century?, in
“TESOL Quarterly”, 34(3), 2000, pp. 548-50
19
Douglas Biber, Corpus Linguistics and the study of literature. Back to the future?, Amsterdam, John
Benjamins Publishing Company, 2011, p. 16.
20
Tony McEnery, Andrew Wilson, Corpus Linguistics. Cambridge, Cambridge University Press, 2012,
p.1.
21
Bas Aarts, Corpus Linguistics, Chomsky and Fuzzy Tree Fragments, in W. Teubert e R. Khrisnamurthy,
Corpus Linguistics and linguistic theory, London, Routledge, 2007, p. 6-7.
22
Ibidem, p. 8.
23
Yufang Ho, Corpus Stylistics in Principles and Practice. A Stylistic Exploration of John Fowles’ The
Magus, London, Continuum, 2011, pp. 6-7.
pag. 16
-
i corpora elettronici possono essere processati, manipolati e interrogati in modo
rapido ed efficiente e, se utilizzati in maniera corretta, forniscono risultati molto
accurati;
-
le tecniche della linguistica dei corpora sono un valido strumento di precisione
che permette agli studiosi di identificare e dunque analizzare caratteristiche di un
testo che non sarebbe possibile evidenziare con un’analisi intuitiva e analogica,
per quanto approfondita: solo grazie allo studio e all’organizzazione di grandi
quantità di dati è effettivamente possibile rilevare certi pattern linguistici;
-
grazie allo studio di grandi quantità di dati e al successivo studio delle evidenze
linguistiche prodotte, l’approccio analitico della linguistica dei corpora riesce (nei
limiti del possibile) a evitare che lo studioso impegnato nell’analisi cada nel
preconcetto personale, rendendo in questo modo l’analisi più affidabile;
-
i corpora elettronici non sono “finiti” e non hanno limiti prestabiliti e precisi:
possono essere rimaneggiati, arricchiti e utilizzati per nuove ricerche.
In questa visione della linguistica dei corpora il fattore chiave pare essere
l’innovazione tecnologica in ambiti quali l’informatica o le tecnologie dell’informazione
piuttosto che le diverse evoluzioni teoriche della linguistica stessa: è l’avanzamento
tecnologico che offre alla disciplina le proprie potenzialità. Come mezzo e non come fine,
la linguistica dei corpora è dunque uno strumento versatile e potente, che consente di
praticare analisi di ampio respiro e ottenere risultati rilevanti per svariati ambiti di
indagine, che vanno dalla didattica delle lingue alla discourse analysis, dall’analisi di
linguaggi settoriali alla sociolinguistica e alla pragmatica ecc., nonché – come si vedrà –
della stilistica letteraria.
1.2.3. Stilistica dei corpora
A metà strada tra la letteratura e la linguistica dei corpora si colloca la Corpus
Stylistics, ovvero la stilistica dei corpora, conseguenza naturale e ovvia della già ricordata
e ormai annosa volontà degli specialisti di letteratura di aggiungere una dimensione
“oggettiva” e “scientifica” all’analisi letteraria in generale e in particolare allo studio dello
stile. In linea con l’orientamento della linguistica verso metodi quantitativi, anche la
stilistica, nella misura in cui opera primariamente tramite l’analisi di fenomeni linguistici,
pag. 17
ha adottato i metodi della linguistica dei corpora, aprendosi a percorsi di ricerca
impossibili o estremamente laboriosi da praticare con metodi “analogici”, ad es. lo studio
dell’intero lessico di una certa opera di un certo autore rispetto a quello di opere e autori
coevi ovvero rispetto all’opera integrale del medesimo autore, in prospettiva tanto
sincronica quanto diacronica, particolarmente importante per gli studi di studi di
authorship attribution, ecc.
Secondo Michaela Mahlberg, uno degli alfieri della contemporanea stilistica dei
corpora, l’analisi ad es. di un romanzo inizia dallo stilare una lista di parole-chiave24. Nel
suo lavoro di analisi su Orgoglio e pregiudizio, Mahlberg e C. Smith hanno estratto le
parole-chiave del romanzo di Jane Austen e le hanno confrontate con le parole-chiave
ottenute interrogando un corpus di romanzi scritti nella stessa epoca, con l’obiettivo di
aggiungere un plus di oggettività alla critica letteraria applicata all’opera di Jane Austen,
lasciandosi alle spalle il metodo puramente intuitivo per appoggiarsi invece ad analisi
linguistiche su base scientifica.
Tuttavia, così come in linguistica l’analisi quantitativa è un metodo e non un fine,
dovendo sempre essere integrata con le competenze ermenutiche del linguista, così anche
nella stilistica dei corpora non è possibile prescindere completamente dalle competenze
interpretative dello studioso di letteratura. In un altro studio, la stessa Mahlberg sottolinea
l’importanza per gli studi letterari di combinare l’analisi quantitativa con quella
qualitativa25. La prima rappresenta sicuramente un valido strumento e un approccio
innovativo, il quale, per essere efficace, non può essere però praticato in totale autonomia
rispetto alla seconda: non è (ancora?) possibile produrre un’analisi di un testo letterario
sostenibile senza integrare i dati digitali, ovvero la lettura “verticale” del corpus, con
quelli “analogici”, ovvero con la lettura “orizzontale” del testo (esula quindi da questo
ambito il distant reading in senso proprio, che per sua natura esclude la lettura orizzontale
dei testi). La stilistica dei corpora, dunque, è l’analisi di testi letterari che si avvale dei
metodi e degli strumenti di indagine del testo sviluppati nell’ambito della linguistica dei
24
M. Mahlberg, Corpus Linguistics and the Study of Nineteenth-Century Fiction in “Journal of Victorian
Culture”, Vol. 15, No. 2, 2010, pp- 292-298.
25
M. Mahlberg, Dan McIntyre, A case for Corpus Stylistics, Ian Fleming’s Casino Royale, in “English Text
Construction” 4(2), 2011, pp. 204-227.
pag. 18
corpora. Secondo Wynne, si tratta di una “[…] stylistics enquiry into literary language”26,
e, di nuovo secondo Mahlberg, “[…] a way of bringing the study of language and
literature closer together”27.
Laddove entrambe le componenti, “analogica” e “digitale”, “qualitativa” e
“quantitativa”, “uomo” e “macchina”, sono necessariamente presenti, è naturale porsi il
problema del contributo di ciascuna al risultato finale. A tale proposito, a riguardo del
proprio lavoro di analisi sul romanzo Cuore di tenebra di Conrad, M. Stubbs afferma a
chiare lettere: “I am claiming not that quantitative corpus methods produce entirely new
insights into the text, but that they describe more accurately the range of lexicogrammatical patterns which Conrad uses28.
Secondo Stubbs, infatti, se certamente può portare alla luce strutture e caratteristiche
di un testo che sarebbero altrimenti impossibili da rilevare, l’analisi digitale ha però
innanzitutto il pregio di documentare in modo oggettivo le intuizioni pregresse dei
ricercatori, ovvero di fungere da strumento per effettuare dei test di verifica di ipotesi, e
rappresenta il valore aggiunto dello studio che utilizza i metodi quantitativi oltre a quelli
qualitativi. Un elemento di “oggettività” a supporto di intuizioni inevitabilmente (e
felicemente!) “soggettive”: “[…] the aim is to say systematically and explicitly what
something is: and that is where empirical, observational analysis can contribute. It is not
possible (or desirable) to avoid subjectivity, but observational data can provide more
systematic evidence for unavoidable subjective interpretation29.
Dello stesso avviso è anche R. Carter, il quale sottolinea come, in un lavoro di critica
letteraria basato sull’analisi quantitativa, non sia auspicabile trascurare l’analisi
qualitativa e intuitiva:
[C]orpus stylistics analysis is an essentially quantitative procedure and involves an assessment of
significance drawn statistically from a corpus informed count. The actual application of Corpus
Stylistics to texts necessarily involves … qualitative decisions and interpretive acts made by the
analyst in the light of and to some degree in advance of the results from the assembled data-bank.
26
Martin Wynne, Stylistics: Corpus Approaches, in K. Brown, Encyclopedia of Language and Linguistics,
Oxford, Elsevier, 2006, p. 224.
27
Mahlberg, Corpus Stylistics, cit., p. 219.
28
M. Stubbs, Conrad in the computer: examples of quantitative stylistic methods. Language and Literature,
in “Language and Literature: International Journal of Stylistics”, 14(1), 2005, p. 19.
29
Ibidem, p. 22.
pag. 19
Corpus stylistic analysis is a relatively objective methodological procedure that at its best is guided
by a relatively subjective process of interpretation30.
Anche in questo caso, come per la linguistica, è possibile affermare che la stilistica
dei corpora non è un fine, ma un mezzo, non una teoria, ma un complesso di approcci
empirici, applicati a diversi ambiti d’indagine, il cui comune denominatore consta
nell’utilizzo di strumenti digitali. Nelle parole di Leslie Moss,
Corpus Stylistics is not a theory but rather a methodology which is capable of different
applications. In fact, it would be truer to say that Corpus Stylistics involves a number of different
methodologies, linked through the use of computers and quantitative analysis but quite diverse
both in their practice, aims and results31.
2. Close reading, la letteratura vista da vicino: il cartografo
L’approccio classico alla critica letteraria è definibile con il sintagma già
precedentemente incontrato “close reading”, lettura “da vicino” o “ravvicinata”. Tale
pratica interpretativa si afferma in ambito britannico negli anni Venti del Novecento, con
I.A. Richards, quale tentativo di rimpiazzare le osservazioni impressionistiche della
“critica del gusto” con giudizi fondati su dati concreti dell’opera quali forma e linguaggio,
ma assurge a metodologia con valore programmatico di affermazione dell’autonomia
fondamentale del testo rispetto a ogni considerazione di natura intertestuale e
extratestuale (in particolare la biografia e persino le possibili intenzioni dell’autore, ma
anche il contesto culturale di produzione e di ricezione) negli USA degli anni Trenta e
Quaranta, rappresentando “il sine qua non del New Criticism”32. Ormai istituzionalizzato,
nei decenni successivi il close reading si converte però in molti casi, in particolare in
ambito didattico, in uno strumento rutinario “di comodo” tanto per i docenti quanto per
gli studenti di letteratura33.
30
Ronald Carter, Methodologies for Stylistic Analysis: Practices and Pedagogies, in D. McIntyre, B. Busse,
Language and Style, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2010, pp. 66-67.
31
Lesley Moss, Corpus Stylistics and Henry James’ Syntax, tesi di dottorato sostenuta presso Department
of English Language and Literature, UCL, 2014, p.30.
32
Matt Erlyn, Lynne Tatlock, Distant readings. Topologies of German culture in the long Nineteenth
century, New York, Rochester, Camden House, 2014, p. 8.
33
Gerald Graff, Professing Literature: An Institutional History (1987), Twentieth Anniversary Edition,
Chicago and London, The University Of Chicago Press, 2007, pp. 177-179.
pag. 20
Come pratica del testo, il close reading precede una lettura puntuale e analitica del
testo in ogni sua parte, escludendo (o tentando di escludere) qualsiasi informazione
proveniente dall’esterno (e dunque prendendo in considerazione solamente le
informazioni intrinseche al testo letterario preso in esame34) e prestando particolare
attenzione a strutture linguistiche e formali, a motivi, temi ecc. Quando si parla di close
reading si intende un rapporto uno a uno tra critico e testo in esame, e, per ovvie ragioni,
l’analisi che ne deriva è di tipo qualitativo. Qualità e non quantità, dunque. Il critico deve
pertanto fare esperienza diretta di ogni brano, arrivando ad analizzare ogni dettaglio
formale, stilistico, lessicale, semantico del testo che ha di fronte, che potrà essere un
componimento in versi, un brano tratto da uno scritto di una certa lunghezza, una novella.
L’idea è quella di trovare il focus del testo. Dati i naturali limiti umani, non sarà possibile
prendere in esame un gran numero di testi nel loro complesso. Si tratta di un approccio
che, per sua natura, prende in esame porzioni brevi di testo una alla volta e dà gran risalto
ai dettagli in esso contenuti, alle singole parole, alle idee espresse dall’autore. È anche un
tipo di lettura che segue un ordine cronologico e rispetta l’ordine delle pagine, l’analisi
segue lo svolgersi della narrazione.
Per utilizzare una metafora, il lavoro di chi fa analisi della letteratura da vicino (CR)
può essere paragonato al lavoro di un cartografo ottocentesco che si occupa di esplorare
a piedi il territorio per poterlo mappare.
3. Distant reading, la letteratura vista da lontano: il satellite
Negli ultimi decenni, però, l’attenzione sempre più ineludibile al contesto di
produzione e di fruizione dell’opera letteraria e la necessità di sperimentare nuovi metodi
per ridare linfa non solo alla critica letteraria ma agli studi umanistici in generale hanno
aperto nuove direzioni d’indagine, e l’avvento delle nuove tecnologie non ha fatto che
ampliare enormemente gli orizzonti di ricerca ed espandere le possibilità di applicazioni
transdisciplinari. La critica letteraria, in particolare, sposta il suo focus sul testo nella
lettura ravvicinata a porzioni sempre più ampie del testo, del fenomeno letterario e della
società nel suo complesso.
34
Graff, Professing Literature, cit. pp. 190-192.
pag. 21
In questo contesto, la focalizzazione estrema del close reading “does not adequately
answer questions about the production and circulation of books, taste formation, or even
necessarily about the relative position of texts in the literary field”35. A queste domande
si propone di dare risposta, invece, una visione “da lontano”, che non si concentri più sui
micro-fenomeni interni al singolo testo, ma sui macro-fenomeni, sulla paraletteratura, su
tutto quello che ha a che fare con la circolazione del libro anche come bene materiale,
dalla produzione alla circolazione. Dall’approccio qualitativo del close reading si passa
a un approccio quantitativo, basato su milioni e miliardi di testi digitalizzati e non sui dati
del testo ma sui suoi metadati.
L’utilizzo del sintagma “distant reading” applicato a questo tipo di approccio è legato
al nome di Franco Moretti, che nel suo saggio del 2000 Conjectures on world literature
ha messo in risalto i fallimenti della letteratura comparata praticata con i metodi
“tradizionali”36. Secondo Moretti, infatti, la sfida posta dalla lettura di una quantità
enorme di romanzi e testi è diventata ormai semplicemente insormontabile, e nessuno
studioso è in grado di farvi fronte in modo accettabile. La comprensione del fenomeno
letterario, secondo il critico, non può più passare solo attraverso il semplice aumento delle
letture: piuttosto, è necessario introdurre nuovi metodi e nuovi oggetti di studio. Il
concetto che sta alla base del distant reading non è certo nuovo, e ha come predecessori
i cataloghi delle biblioteche, i dizionari di titoli, i registri della censura ecc. Quel che c’è
in essa di fondamentalmente nuovo è l’utilizzo della tecnologia e la possibilità di lavorare
su centinaia di migliaia di opere, che porta a una diversa dimensione epistemologica dello
studio della letteratura.
Distant reading significa dunque allontanarsi, perdere di vista il particolare e
dedicarsi invece a movimenti più grandi, impossibili da studiare con l’analisi ravvicinata,
senza però perdere di credibilità, perché “la distanza non è […] un ostacolo alla
conoscenza, bensì una sua forma specifica. La distanza fa vedere meno dettagli, vero: ma
fa capire meglio i rapporti, i pattern, le forme”37. E ancora, Moretti parla di un “processo
di deliberata riduzione e astrazione – insomma: un allontanamento – rispetto al testo nella
sua concretezza”38. Si tratta di un cambiamento di paradigma: l’occhio dello studioso va
35
Erlyn, Distant reading, cit., p. 9.
in “New Left Review”, I, 2000.
37
Franco Moretti, La letteratura vista da lontano, Torino, Einaudi, 2005, p. 3.
38
Ibidem, p. 3.
36
pag. 22
dal particolare al generale per iniziare a trovare un ordine macroscopico. Il distant reading
rende palesi dati che, a una lettura individuale e analogica, per quanto attenta, non
potrebbero essere colti.
Quali sono dunque gli oggetti di studio di questa letteratura da lontano? Appare
chiaro che il critico che si approccia alla letteratura in quest’ottica non lavorerà più con
l’oggetto fisico “libro” né con il singolo testo, quale che sia il suo formato. Non sarà
impegnato a leggere “orizzontalmente” un testo alla volta per analizzarlo in dettaglio, ma
sposterà la sua attenzione al piano complessivo, ovvero praticherà la lettura “verticale”
caratteristica del corpus, utilizzando appunto corpora, concordanze, tavole di frequenza,
liste, classificazioni, collocazioni, ma anche geolocalizzazioni, taggature semantiche ecc.
I desiderata del distant reading, così come condensati da Erlin e Tatlock nel
programmatico Distant readings, sono
to shift the focus of interpretation away from an exhaustive explication of individual works and
towards a reconsideration of broader categories and larger corpora in order to pose questions about
the functioning of the literary fields as a whole (reception, circulation, influence)39.
e
to recast, even to depersonalize, the encounter between scholar and text, specifically by adopting
and adapting the quantitative methods and computationally assisted analytical techniques of
disciplines such as statistics, computational science, and the quantitative social sciences40.
Si tratta insomma di rivedere radicalmente le priorità di ricerca nel campo degli
studi letterari e il ruolo stesso dello studioso: da un lato, spostare il focus su quello che
Margaret Cohen ha chiamato “the great unread”41, ciò che, con gli strumenti analogici
precedenti sarebbe stato inevitabilmente destinato a finire nell’oblio e sparire per sempre
e che oggi, con l’avvento dell’era digitale, può farsi oggetto di studio. Dall’altro, sostituire
il ruolo fortemente personalizzato di interprete e mediatore del testo tradizionalmente
attribuito allo studioso di letteratura con quello, più impersonale e – ancora una volta –
“oggettivo” di analista di un fenomeno. Per riprendere il filone della metafora del
cartografo, il lavoro di chi fa analisi della letteratura da lontano (DR) è paragonabile
39
Ibid., pp. 3-4.
Ibid., p. 4.
41
Margaret Cohen, The sentimental education of the novel, Princeton, Princeton UP, 1999, p. 23.
40
pag. 23
invece all’attività di un satellite che riesce a cogliere i grandi fenomeni che da vicino
perdono di coesione.
4. Una lettura “a metà strada”: il drone
“Da vicino” e “da lontano” sono dunque due visioni della letteratura e due
prospettive sul testo destinate a restare inesorabilmente agli antipodi e/o a scalzarsi a
vicenda? Probabilmente no, perché close e distant reading sono in realtà due facce della
stessa medaglia, operano in ambiti e con metodi sostanzialmente diversi, e l’uno non
esclude l’altro. È possibile un metodo di lettura a metà tra il distant e il close reading e
che potrebbe essere paragonato allo zoom di una fotocamera: “leggere” un testo passando
dal distant al close reading per poi tornare indietro ogni volta che l’occasione lo richiede.
Si tratta di applicare come metodo questo passaggio dal micro al macro e viceversa, per
potersi occupare allo stesso tempo di analisi di generi e tendenze così come di analisi di
brani nel dettaglio. Il distant reading può dunque effettivamente rappresentare un valido
alleato anche per chi ha un approccio più tradizionale allo studio del testo letterario, in
grado di espandere le prospettive e fornire un contesto più ampio agli studi “da vicino”.
Un’altra via per mediare tra “lontano” e “vicino”, alternativa allo “scalare”
dall’uno all’altro e viceversa, è collocare la lettura programmaticamente a media distanza,
praticando quello che è stato chiamato mid-distance reading. Una lettura “a media
distanza” si colloca rispetto al testo non tanto lontano da perderne completamente di vista
i dettagli e da nullificare la possibilità di intervento ermeneutico dello studioso-interprete
propria della lettura ravvicinata ma nemmeno tanto vicino da non vederlo nella sua
interezza e rendere inefficace l’impiego di strumenti automatici di estrazione dei dati
specifici dell’approccio a distanza. Si tratta di una modalità di lettura applicabile a corpora
letterari di dimensioni contenute e dai contorni ben definiti: non il magma indifferenziato
preso in esame dal distant reading, né la frammentazione intratestuale congeniale al close
reading, bensì un corpus “[…] still small enough for our individual reading competences,
but also big enough so that statistical analyses are possible and meaningful”42.
42
Katharina Herget, Thomas Weitin, Falcon Topics, Konstanz, LitLab Pamphlet #4, 2016, p. 4.
pag. 24
Il presente lavoro di analisi ha l’obiettivo di inserirsi all’interno del filone di
ricerca che si occupa dello studio del testo letterario con metodi digitali nello spirito di
una lettura – appunto – “a media distanza”, in quanto ritenuta appropriata al caso qui
discusso: il corpus poetico blaghiano, che, come vedremo nei capitoli seguenti, è
costituito di 471 testi per un totale di 43019 token. Un corpus di dimensioni contenute,
per cui l’intervento dell’interprete è ancora rilevante, ma abbastanza esteso da consentire
di praticare analisi quantitative in grado di rilevare macro-fenomeni significativi
(soprattutto a livello diacronico).
Se diamo credito all’affermazione di Marshall McLuhan secondo il quale “il
medium è il messaggio”43, lo strumento utilizzato per condurre un’analisi ci dice già di
per sé qualcosa di importante sulle premesse a priori che il ricercatore si pone. Se ne
deduce inoltre che un’analisi della letteratura a distanza (DR) non può esistere in quanto
tale in forma pura: anche l’analisi digitale, infatti, alle attuali condizioni, non può attuarsi
senza l’input iniziale del ragionamento umano. Il ricercatore sceglie già a priori in quali
direzioni orientare le proprie query, e di fatto i risultati che riesce o meno a ottenere grazie
all’ausilio delle proprie estensioni digitali sono espressione di una sua precedente
intuizione, che sta di fatto alla base di tutta la ricerca. Proprio in questa prospettiva, e
avendo già delle domande a cui cercare una risposta, ci si è orientati nella scelta di un
approccio che tenesse conto sia dello studio “a distanza” e che potesse fornire indicazioni,
tendenze e informazioni che difficilmente si riescono a cogliere osservando i testi con la
lente d’ingrandimento, ma che al contempo offrisse la possibilità di utilizzare lo zoom:
una volta individuata la tendenza generale, infatti, era nel nostro interesse avvicinarci
quanto più possibile a livello di micro-testo e osservare l’applicazione a livello testuale
di suddetta tendenza.
Scrive il fisico Carlo Rovelli:
In alta montagna guardiamo una valle coperta di nuvole bianche. La superficie delle nuvole riluce
candida. Ci incamminiamo verso valle. L’aria si fa più umida, poi velata, il cielo non è più azzurro,
ci ritroviamo in una rada nebbia. Dov’è andata la netta superficie delle nubi? Sparita. Il passaggio
è graduale, non c’è alcuna superficie che separi la nebbia dall’aria tersa delle altezze. Era illusione?
No, era visione da lontano44.
43
44
McLuhan, Understanding, cit. p. 7.
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Milano, Adelphi, 2017, p. 116.
pag. 25
L’approccio dello studioso descrive bene quello utilizzato per la presente analisi.
Come l’escursionista che comincia a salire in montagna possedendo una certa idea del
panorama che lo circonda, così si è partiti da alcune domande alle quali cercare una
risposta allontanandoci dai singoli testi, ovvero salendo sulla montagna. Dalla cima il
paesaggio si rivela nella sua interezza, ma è necessario, dopo essersi fatti un’idea della
geografia locale vista dall’alto, tornare a valle per potersi recare in quei luoghi di cui
dall’alto ci si è fatti un’idea: la mappa non è il territorio.
Per tornare alle già utilizzate metafore del cartografo e del satellite, c’è infine un terzo
livello, che è quello rappresentato dal drone. Il drone (che, è bene notarlo, non può agire
da solo ma deve necessariamente essere manovrato da un essere umano!) può sorvolare
il territorio e osservarlo dall’alto, cogliendo macro-fenomeni che il cartografo non ha
modo di cogliere, ma può anche scegliere di avvicinarsi al terreno, sorvolandolo a vari
livelli di altezza, e cogliendo dettagli minimi che risulterebbero del tutto invisibili alla
visione satellitare da grandi altezze.
D’altra parte, è l’insieme dei piccoli fenomeni a determinare la geografia generale di un
paesaggio o di una situazione, come scrive anche Franco Moretti: “[…] è così che lavora
la forma: con procedimenti che sono spesso microscopici, e riescono a produrre piacere
senza che sappiamo davvero cosa stia succedendo”45. Proprio per preservare quel piacere
di cui parla Moretti si è privilegiata la modalità di analisi da vicino, ovvero il racconto,
per dirla con il filosofo sud-coreano Byung-Chul Han, che afferma “la parola ‘digitale’
rimanda al dito (digitus), che – soprattutto – conta. La cultura digitale si basa sul dito che
conta: la storia, invece, è un racconto”46.
Dunque, la presente analisi, seppur virando maggiormente verso il micro, anche a
causa della natura intrinseca e delle dimensioni del corpus di riferimento, si basa
essenzialmente sul costante tentativo di abbinare l’interpretazione “analogica”, quella del
close reading, il “racconto”, alla misurazione dei valori statistici, ovvero alla dimensione
della “conta” propria del distant reading. Pur rimanendo circoscritta all’interno del corpus
poetico blaghiano e delle metodologie della critica tradizionale, l’analisi rivolgerà il
proprio sguardo a una dimensione di eccezionalità, e a ogni misurazione tecnica seguirà
45
46
F. Moretti, Un paese lontano. Cinque lezioni sulla cultura americana, Torino, Einaudi, 2019, p. 37.
Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Bologna, Nottetempo, 2015, p. 51.
pag. 26
un’interpretazione umana, considerata necessaria in quanto, sempre utilizzando le parole
di Han:
Il sapere non è semplicemente dato: non si trova facilmente quanto l’informazione. Spesso, il
sapere è preceduto da una lunga esperienza: esso possiede tutt’altra temporalità rispetto
all’informazione, che è estremamente breve e fugace. L’informazione è esplicita, mentre il sapere
assume una forma implicita47.
5. Strumenti della stilistica dei corpora: Sketch Engine e le sue criticità
La stilistica dei corpora si avvale di strumenti digitali mirati all’analisi linguistica
automatica dei testi, le cui funzionalità essenziali sono, sotto diverse forme: la creazione
di concordanze e di liste di frequenze di parole, l’estrazione di parole-chiave, la
visualizzazione e possibilmente la comparazione di contesti d’uso. Tra i più noti,
possiamo ricordare WMatrix, un software sviluppato nel 2009 da Paul Rayson della
Lancaster University, il quale permette di stilare liste di parole-chiave, effettuare analisi
e paragoni su corpora, creare concordanze ecc., oppure il popolarissimo WordSmith
Tools, sviluppato da Mike Scott della University of Liverpool nell’ormai lontano 1996,
spesso citato e utilizzato da coloro che praticano la stilistica dei corpora.
In seguito a una attenta valutazione degli strumenti digitali disponibili e che
offrono
funzioni
simili,
la
preferenza
è
andata
a
Skecth
Engine
(https://www.sketchengine.eu/), software e corpus manager sviluppato da Lexical
Computing Limited a partire dal 2003 e usato nella presente ricerca (v. Cap. 2 per ulteriori
dettagli), oggi tra gli strumenti più conosciuti e utilizzati in studi sui corpora. Ad esempio,
oltre a offrire funzionalità classiche come la creazione di concordanze e liste di parole,
tra le sue particolarità SE offre le funzioni “Word sketch” e “Word sketch difference”, le
quali producono, sotto forma di elenchi organizzati di combinazioni, il profilo
collocazionale di forme o lemmi e ne consentono la comparazione. Qui sotto un esempio
di “Word sketch”, basato sul corpus di lingua romena Romanian Web 2016 (roTenTen16)
integrato in SE, del lemma adânc ‘profondo’ in posizione di attributo di sostantivo, nella
47
Ibidem, pp. 56-57.
pag. 27
modalità di visualizzazione lista (Fig. 1.a) e in quella grafica (Fig. 1.b), il quale illustra
quali siano i sostantivi con cui questo lemma appare più frequentemente in combinazione:
Fig. 1.a
Fig. 1.b
E un esempio di “Word sketch difference”, basato sul medesimo corpus, dei lemmi
adânc ‘profondo’ e profund ‘idem’, sempre nella sola posizione di attributo di sostantivo,
in modalità lista (Fig. 2.a) e grafica (Fig. 2.b), il quale mostra i diversi contesti
collocazionali dei due sinonimi:
pag. 28
Fig. 2.a
Fig. 2.b
Sketch Engine spicca per il buon equilibrio tra potenza, flessibilità e accessibilità
dell’interfaccia, e nonostante le ancora numerose criticità di utilizzo per indagini sulla
lingua romena (v. sotto) si è rivelato lo strumento migliore tra quelli disponibili, in quanto
altri programmi che supportano il romeno presentavano problematiche ancora maggiori.
Pur essendo una delle lingue supportate dal software, infatti, non sono abilitate tutte le
funzioni offerte per altre lingue più diffuse e studiate, come le concordanze parallele.
Altre funzionalità (ad es. il Thesaurus) sono state implementate solo di recente e non
pag. 29
sembrano rispondere ancora in maniera ottimale alle interrogazioni, limitando quindi il
ventaglio di strumenti potenzialmente utili.
Ma il problema reale sono gli errori e le inconseguenze dell’algoritmo di taggatura,
che rendono le ricerche inaccurate e in continua necessità di una verifica da parte
dell’operatore umano. Ad es., non sempre le diverse parti del discorso sono etichettate
con la corretta categoria grammaticale e il risultato è che il software rischia di non essere
molto preciso nei risultati delle interrogazioni, problema che per l’inglese invece non si
pone. Ciò rende più accidentato il percorso di ricerca. Un esempio eclatante, tra i molti
possibili di tag errati, può essere quello di mare aggettivo ‘grande’, che compare sempre
ai primi posti nelle Wordlist per aggettivi, nelle cui occorrenze vengono però spesso
incluse anche quelle del sostantivo femminile mare ‘mare’, creando confusione e
richiedendo un intervento umano; o ancora il fatto che, sempre nelle Wordlist, alcune
forme dei pronomi personali di terza persona non siano disambiguate, essendo quindi
contate insieme sia per genere che per numero, cosa che ad es. rende assi problematica e
laboriosa un’analisi del genere. Per questo motivo nel corso della ricerca si è reso non di
rado necessario un intervento “analogico” che, per ovvi motivi, è soggetto a errore umano
e a tempistiche decisamente superiori.
Durante i primi tentativi di interrogazione del corpus si sono presentati altri piccoli
imprevisti che hanno rallentato i lavori e che hanno richiesto un ulteriore
rimaneggiamento del corpus caricato. Un esempio per tutti è dato dal fatto che, nel creare
le liste di parole più frequenti, non è possibile esaminare contemporaneamente più
sottocorpora. Il software permette infatti di analizzare un solo sottocorpus alla volta,
rendendo necessaria una ulteriore e non prevista modifica del corpus di base per
aggiungere altri tag identificativi che permettano di suddividere il testo e poterne prendere
in considerazione solo una o più parti durante il lavoro, ad es. per separare le poesie
antume (termine che adotto dal romeno per indicare le opere pubblicate in vita) dalle
postume o per raggruppare alcune opere secondo precise logiche di interpretazione
critica.
Sketch Engine e altri strumenti affini si sono rivelati essere, in sostanza, dei meri
strumenti di calcolo. Si tratta di basi oggettive dalle quali partire per poter costruire
riflessioni critiche soggettive, ed è importante sottolineare che, allo stato attuale delle
cose e per questo specifico tipo di ricerca, gli strumenti digitali possono di fatto solamente
pag. 30
rappresentare un punto di partenza da completare necessariamente con riflessioni
“analogiche” e di stampo tradizionale. Tuttavia, i risultati ottenuti sono promettenti, e i
lati positivi riscontrati superano di gran lunga le eventuali criticità dovute
all’imprecisione degli strumenti. In particolare, il presente lavoro può servire a segnalare
agli interessati che occorre ancora lavorare in direzione della creazione di strumenti
calibrati sulla lingua romena per poter effettuare lavori di questo tipo, anche in vista di
un eventuale accresciuto interesse volto a migliorare la qualità e la quantità di risorse
digitali disponibili, e, in seconda battuta, può certamente offrire un punto di vista inedito
che si giova di una tecnologia ad oggi non applicata sulla poesia di un autore quale Lucian
Blaga.
pag. 31
CAPITOLO 2
LO STATO DELL’ARTE:
LA CRITICA BLAGHIANA E LE DIGITAL HUMANITIES IN ROMANIA
Nu cerul e promisiunea ce mi s-a făcut, ci creația48
1. La critica blaghiana in Romania
L’opera poetica blaghiana vanta una storia di ricezione critica piuttosto articolata
e complessa, spaccata – come del resto la vita stessa del poeta49 – in due grandi periodi o
“ondate” a causa soprattutto della situazione politica contingente: la prima “ondata” è
quella che coincide con il debutto poetico in volume di Lucian Blaga nel 1919 e giunge
fino al 1947, anno dell’interdizione del poeta e della sua rimozione da tutti gli incarichi
pubblici50. Da quel momento non gli fu permesso pubblicare, se non a un certo punto
come traduttore, e si assiste a un sostanziale “silenzio dei critici”, i quali, negli anni
dell’interdizione, ignorano la precedente produzione artistica del poeta.
Scrive Manolescu:
Tra il 1948 e il 1961 non è stata pubblicata una sola riga sulla poesia di Lucian Blaga. L’ultimo
riferimento era stato quello su Poezia realelor di G. Călinescu, e la prima – 13 anni più tardi –
sempre di Călinescu su Contemporanul, se non prendiamo in considerazione la protesta di un certo
Nistor Ignat che, negli anni ’50, era scandalizzato alla prospettiva della ripresa di una “tradizione”
decadente o i necrologi pronunciati da Ion Agârbiceanu e Aurel Rău al funerale del poeta 51.
48
Lucian Blaga, Elanul insulei, Cluj-Napoca, Editura Dacia, 1977, p. 205 [Non è il cielo la promessa che
mi è stata fatta, bensì la creazione].
49
Per una panoramica sulla persecuzione politica nei confronti di Lucian Blaga, si rimanda a Dorli Blaga,
Tatăl meu supravegheat de Securitate, in Tatăl meu, Lucian Blaga, București, Humanitas, 2015, pp. 191228.
50
Al nuovo regime socialista, in particolare, era invisa tanto la formazione di stampo germanico del poeta
(Blaga aveva frequentato già in giovane età scuole in lingua tedesca e aveva conseguito il dottorato a
Vienna) quanto il fatto che la destra romena avesse individuato nel Blaga filosofo una fonte di ispirazione
ideologica, non cogliendo appieno e anzi speso travisando la portata del suo pensiero. Inoltre, i suoi testi
poetici e letterari erano invisi all’ideologia del socialismo realista a causa del “misticismo” del quale erano
ritenuti – erroneamente – intrisi.
51
Nicolae Manolescu, Istoria critică a literaturii române. 5 secole de literatură, Pitești, Editura Paralela
45, 2008, pp. 680-681. “Între 1948 şi 1961, nu s-a publicat niciun rând despre poezia lui Blaga. Ultima
referinţă este a lui G. Călinescu din Poezia realelor, prima, după 13 ani, tot a lui Călinescu din
Contemporanul, dacă nu punem la socoteală protestul unui Nestor Ignat, scandalizat prin anii ’50 de
eventualitatea reluării «tradiţiei» decadente, ori necrologurile rostite de Ion Agârbiceanu şi de Aurel Rău la
înmormântarea poetului”.
pag. 32
La seconda “ondata”, invece, inizia con la riabilitazione di Blaga a ridosso della
sua morte (avvenuta nel ‛61), in seguito alla quale il poeta conoscerà una notevole fortuna
in particolare tra i giovani neomodernisti “metafisicizzanti” della generazione della “lotta
contro l’inerzia” (Marin Sorescu, Nichita Stănescu, Ioan Alexandru, Ana Blandiana
ecc.)52 e continua – con alterne fortune – fino ad oggi.
La prima “ondata” di ricezione critica si distingue da subito per l’unanime
apprezzamento dell’opera poetica blaghiana da parte di studiosi e critici di orientamenti
anche decisamente opposti, come nel caso del seminatorista Nicolae Iorga e del
modernista-simbolista Ovid Densusianu. L’opera di Blaga venne precocemente lodata da
numerosi critici e scrittori, tra i quali ricordiamo Sextil Pușcariu (che fu il primo ad
attirare l’attenzione pubblica sul giovane Blaga), Ion Barbu, George Călinescu,
Alexandru Philippide, Eugen Lovinescu ecc.
Proprio Eugen Lovinescu è tra i primi a cercare di identificare i meccanismi stilistici
che determinano la natura lirica della poesia blaghiana, e ne definisce lo stile come
“espressionismo poetico”53. È poi ancora Lovinescu il primo a individuare nell’uso della
metafora un esercizio stilistico tipico di Blaga, la fonte delle sue immagini così vivide e
plastiche. Da questo momento i critici successivi passano a lodare la natura
“immaginistica” della poesia blaghiana e del panteismo implicito nella sua opera. Come
scrive George Călinescu: “già dal principio il poeta si rivela un panteista bucolico […]”54
e ancora “il suo panteismo, o, per meglio dire, panismo, si concretizza attraverso mezzi
artistici superiori”55. È insomma già durante la prima “ondata” critica che vengono
individuati alcuni elementi chiave dell’interpretazione della poesia blaghiana quali il
lirismo, lo stile evocativo, la vividezza delle immagini e il panteismo-panismo che
pervade la sua visione poetica.
Benché alcuni infruttuosi tentativi di riabilitazione di Blaga si siano già avuti verso la
metà degli anni ’50, da parte ad es. di George Călinescu, che, durante una seduta al
Della generazione della lotta contro l’inerzia parla Marco Cugno, La poesia romena del Novecento,
Alessandria. Edizioni dell’Orso, 1996, pp. LVII-LXIV.
53
“Expresionism poetic”, Eugen Lovinescu, Istoria literaturii române contemporane, Chișinau, Editura
Litera, 1989, p. 89.
54
George Călinescu, Lucian Blaga, in Revista Fundațiilor regale, anul VII, nr. 2, 1940, p. 366. “De la
începutul poetul se revelă un panteist bucolic [...]”.
55
Ibid. cit. p. 367. “Panteismul sau, mai bine zis, panismul, se înfăptuiește cu mijloace artistice superioare”.
52
pag. 33
Ministero della Cultura del 1954, aveva tentato di perorarne la causa, o che nel 1955 si
era adoperato – invano – affinché l’Accademia accogliesse nuovamente al suo interno
Lucian Blaga56, è solo dopo la morte del poeta che la sua opera viene riabilitata e
reintrodotta nel circuito letterario e, in parallelo, nel canone della letteratura romena del
Novecento. Tra i primi a scrivere di Blaga sarà Ovid S. Crohmălniceanu, il quale aveva
caldeggiato già negli anni ’50 la riabilitazione dell’opera del poeta e che, nel 1963,
pubblica una breve monografia blaghiana57. Tale monografia è passata alla storia
soprattutto per essere un palese tentativo di reinterpretazione guidata in direzione
dell’ideologia del periodo, per cui alcuni elementi delle poesie di Blaga sono estrapolati
dal contesto e interpretati in una luce favorevole ai dettami del socialismo. Un esempio
per tutti può essere il seguente passaggio:
Il villaggio perde completamente qualsiasi realtà storico-sociale e diventa una pura costruzione
metafisica. Blaga concepisce una sorta di universo rurale atemporale, immobile ed eterno, un luogo
simbolico e immaginario dell’animo infantile primario. Questa rappresentazione si traduce da un
lato nella mancanza di fiducia nella possibilità del mondo borghese di continuare a mantenere
l’ordine esistente, e il sentimento che proprio dagli elementi della società capitalista (la grande
produzione industriale, il progresso tecnico-scientifico, il macchinismo) inevitabilmente si
generano le forze che minacciano di distruggere gli insediamenti tradizionali, e, dall’altro lato, il
timore di scosse rivoluzionarie, il rifugio in una zona concepita come refrattaria al rovesciamento
totale dell’ordine tradizionale (le classi dirigenti del nostro paese per lungo tempo si sono nutrite
con l’illusione della strutturale non-aderenza del contadino romeno a qualsiasi forma di
collettivizzazione)58.
La monografia di Crohmălniceanu si pone molto limpidamente l’obiettivo di
riabilitare la persona e l’opera di Blaga dimostrando come il poeta avesse abbracciato
l’ideologia del nuovo regime: “negli ultimi anni, il poeta, entusiasmato dalle realizzazioni
Ștefan Baghiu, Recuperarea Operei lui Lucian Blaga în anii Șaizeci. O evaluare a absenței și a
condițiilor recuperării, in “Cultura”, 2013, nr. 446.
57
Ovid S. Crohmălniceanu, Lucian Blaga, București, Editura pentru Literatură, 1963.
58
Ibidem, p. 31. “Satul îşi pierde complet orice realitate istorico-socială şi devine o pură construcţie
metafizică. Blaga concepe un soi de univers rural atemporal, imobil şi etern, un lăcaş simbolic imaginar, al
sufletului copilăresc primar. Această reprezentare traduce, pe de o parte, neîncrederea în posibilitatea lumii
burgheze de a mai menţine ordinea existentă, sentimentul că din chiar elementele societăţii capitaliste
(marea producţie industrială, progresul tehnico-ştiinţific, maşinismul) se nasc inevitabil forţele care
ameninţă să distrugă vechile aşezări, pe de altă parte, teama de zguduiri revoluţionare, refugiul într-o zonă
închipuită ca refractară total răsturnării aşezărilor tradiţionale (clasele stăpânitoare de la noi s-au hrănit
multă vreme cu iluzia neaderenţei structurale a ţăranului român la orice formă de colectivism”.
56
pag. 34
del regime democratico-popolare, ha espresso pubblicamente la sua adesione all’opera
costruttiva del socialismo”59 e ancora:
Su Steaua e Contemporanul (riviste letterarie, ndA) sono state pubblicate diverse poesie che,
insieme alla pièce Anton Pann, mostravano già i segni di un nuovo orientamento. Una malattia
grave, però, ha sfortunatamente interrotto, nel 1961, questa evoluzione spirituale ricca di promesse
e identificabile molto chiaramente nel volume di versi pubblicati dopo la sua morte 60.
A partire dalla riabilitazione dei primi anni ‘60, che passa anche attraverso questo
dazio pagato alla censura ideale e concreta del tempo e all’ideologia del regime, gli
intellettuali possono finalmente tornare a discutere pubblicamente dell’opera blaghiana.
Moltissimi critici tornano a occuparsene61, non tanto concentrandosi (almeno
inizialmente) sul commento puntuale dell’opera poetica quanto piuttosto sullo studio
della poetica e sulla categorizzazione delle idee filosofiche del poeta, allo scopo di
riabilitarlo definitivamente. Scrive Nicolae Manolescu, a tal proposito:
Le analisi vere e proprie mancheranno fino a un secondo momento. Al contrario, verranno
discusse, e in maniera anche piuttosto rebarbativa, l’orfismo (N. Balotă), il misticismo rilkeano (S.
Ciocolescu) e tutti quegli altri aspetti più concettuali che letterari. Il merito di queste critiche, meno
sicure di sé rispetto a quelle precedenti la guerra, sarà tuttavia quello di riportare Blaga nel
pantheon della poesia romena62.
Scrive poi Pavel Bellu nella prefazione della sua monografia del 1970: “L’interesse
per l’opera e la vita di Lucian Blaga cresce”63. Sono infatti, gli anni ’70, anni intensi per
la critica all’opera blaghiana, che esplora in lungo e in largo (per quanto consentito dal
Ibid. p. 21. “În ultimii ani, poetul, entuziasmat de realizările regimului democrat-popular, și-a exprimat
public adeziunea la opera constructivă a socialismului”.
60
Ibid. pp. 21-22. “În Steaua și Contemporanul i-au apărut numeroase poezii, care, împreaună cu piesa
Anton Pann, aduceau semnele unei noi orientări. O boală neiertătoare a întrerupt însă, din nefericire, în
1961, această evoluție spirituală plină de făgăduinți identificabilă foarte clar în volumul de versuri tipărit
după moartea sa”.
61
Per citare alcuni degli studiosi che hanno scritto di Blaga nel corso degli anni, oltre a quelli già citati nel
presente paragrafo: Nicolae Balotă (1969), Dumitru Micu (1970), Mariana Șora (1970), Mircea Vaida
(1975), Ștefan August Doinaș (1980), Ion Pop (1981), Emil Văsilescu (1981), Eugen Todoran (1981),
Alexandru Teodorescu (1983), Ghișe (1987), Angela Botez (1996), George Popescu (1997), Vasile Fanache
(2007), Lăcrămioara Solomon (2008), Ion Oprișan (2015).
62
Manolescu, cit. p. 681. “Analizele propriu-zise vor lipsi până mai târziu. Vor fi în schimb discutate, și
încă într-o maniera destul de rebarbativa, orfismul (N. Balota), misticismul rilkean (S. Cioculescu) și
celelalte aspecte mai degrabă conceptuale decât literare. Meritul acestei critici, nu la fel de sigure pe ea
precum aceea dinainte de război, va fi totuși de a-l reașeza pe Blaga în panteonul poeziei românești”.
63
Pavel Bellu, În marea trecere, București, Editura Eminescu, 1970, p. 5 “Interesul pentru opera și viața
lui Lucian Blaga sporește”.
59
pag. 35
regime) la vita e le opere dell’autore, anche alla luce della pubblicazione, nel 1965, del
romanzo autobiografico Hronicul și cântecul vârstelor64. Continua ancora Bellu: “Gli
elementi biografici inediti, con il loro fascino, aumentano la bellezza dell’opera –
formando un tutt’uno con significati inaspettati”65. In seguito all’opera di “ripristino
ideologico” di Lucian Blaga si comincia a lavorare anche sull’analisi stilistica vera e
propria della sua poesia, spesso però, come denuncia negli anni ’90 George Popescu,
cercando di interpretare la poesia di Blaga come un mero riflesso della sua filosofia66.
In questo contesto fa figura a parte la monografia di Melania Livadă, pubblicata
ufficialmente nel 1974 ma scritta nel corso degli anni ’4067. Si tratta di un caso più unico
che raro in quanto Lucian Blaga stesso aveva seguito e approvato personalmente la stesura
del saggio, come testimonia il carteggio tra l’autrice e il poeta riportato in apertura del
volume. Il poeta definisce il lavoro di Livadă uno “splendido studio critico”68, e
all’interno di esso troviamo già qualche tentativo di analisi del linguaggio poetico in
chiave quantitativa, seppur solamente abbozzata e non strutturata. Scrive infatti Livadă:
“a parte Eminescu, sono pochi i poeti che hanno utilizzato tanto spesso, all’interno dei
loro versi, la parola «anima» [...]”69. Sarà però solo con uno studio di Alexandra Indrieș
degli anni ’70, che commenteremo più dettagliatamente nel prossimo paragrafo, che il
corpus poetico blaghiano verrà analizzato minuziosamente in chiave stilistica.
Dopo il 1989, finalmente, gli studiosi non hanno più bisogno di sotterfugi e scuse per
esplorare l’opera blaghiana anche alla luce dei fatti biografici dell’autore, che vengono
finalmente e apertamente commentati70, dando il via a una produzione critica concentrata
non tanto sull’analisi stilistica e linguistica quanto su quella documentarista, che ha il suo
apice nel pregnante lavoro di Corin Braga, che sarà trattato più avanti. In generale,
L. Blaga, Hronicul și cântecul vârstelor, București, Editura Tineretului, 1965.
Ibidem, p. 5, “Elementele biografice inedite, cu farmecul lor, sporesc frumusețea operei – alcătuind un
tot cu neașteptate semnificații”.
66
George Popescu, Tensiunea esențială. Metaforă și revelație în opera lui Lucian Blaga, Constanța, Editura
Pontica, 1997, pp. 14-15.
67
Melania Livadă, Inițiere în poezia lui Lucian Blaga, București, Editura Cartea Românească, 1974.
68
Ibidem, p. 10. “[…] splendidul studiu critic”.
69
Ibid. p. 78. “În afară de Eminescu, puțini sînt poeții care au rostit atît de des, în versurile lor, cuvîntul
«suflet» [...]”.
70
Dagli anni ’90 in poi, innanzitutto, i documenti della Securitate divengono accessibili. Inoltre, nel corso
degli anni, compaiono le testimonianze della moglie (cfr. Cornelia Blaga-Brediceanu, Jurnale. 1919. 19361939. 1939-1940. 1959-1960, București, Humanitas, 2016) e della figlia del poeta (cfr. D. Blaga, Tatăl
meu, cit.) così come vere e proprie biografie (cfr. Ion Bălu, Viața lui Lucian Blaga, 4 voll., București,
Fundația Culturală Libra, 1999).
64
65
pag. 36
tuttavia, l’interesse per la poesia di Blaga sembra scemare intorno agli anni 2000, a partire
dai quali si registrano pochi e isolati contributi critici71. Una chiave di lettura del
disinteresse per Blaga da parte delle generazioni creative che si affermano a partire dagli
anni ’80 la dà uno dei suoi stessi protagonisti, Mircea Cărtărescu, in Postmodernismul
românesc. Relativamente al recupero dei poeti del periodo interbellico – “il centro di
gravità incontestato della poesia romena moderna” [“centrul de greutate necontestat al
poeziei române moderne”] – da parte delle generazioni postbelliche, laddove per i
“sessantisti” “i modelli riscoperti con godimento e perseguiti in modo frenetico”
[“modele[le] descoperite cu încîntare și urmate cu frenezie”] erano stati Blaga e Barbu72,
nel caso dei poeti “ottantisti” Cărtărescu ricorda che
[N]on vengono più selezionati come modelli poeti modernisti puri come Ion Barbu o Lucian Blaga
(quest’ultimo è anzi detestato dai giovani poeti, diventando per loro un vero e proprio
antimodello), ma Arghezi e Bacovia, la cui appartenenza al modernismo è discutibile, almeno per
una parte della loro opera73.
Per i giovani alfieri di una poetica dell’oralità, del quotidiano, dell’antimetafisica, la
magniloquenza poetica blaghiana, così come il suo afflato metafisico, la tonalità
meditativa e la poetica incentrata sul “mistero” dovevano inevitabilmente apparire come
l’incarnazione di una modalità poetica revoluta. Da qui, la scarsa influenza di Blaga nella
poesia posteriore agli anni ’60-’70 e la generale indifferenza dei critici delle generazioni
’80-’90 nei confronti della sua opera.
Della folta critica blaghiana, per gli scopi di questa ricerca sono particolarmente
rilevanti alcuni contributi critici di Alexandra Indrieș e Titus Bărbulescu, ma anche, in
parte, un contributo Corin Braga, sui quali mi soffermerò in quanto segue.
71
Tra questi si possono menzionare quelli di Mircea Itu, dedicati all’analisi delle influenze esercitate
sull’opera di Lucian Blaga dalle filosofie orientali, alle quali il poeta aveva iniziato a interessarsi già in
giovane età, in part. Itu, 1996, Indianismul lui Blaga, Brașov, Editura Orientul Latin, ma v. anche Itu, 2002,
Lucian Blaga despre Buddhism. De la saṃāra la nirvāṇa, in Analele Universității Spiru Haret nr. 4,
București, Editura Fundației România de Mâine; Itu, 2008, Blaga and Ṡankara, in Alma Mater vol. I, nr. 1,
Sibiu, Editura Alma Mater.
72
Mircea Cărtărescu, Postmodernismul românesc (1999), Humanitas, București, ed. elettronica, Partea a
patra: Postmodernismul, cap. Postmodernismul subteran. Anii ’45–’70, 2010.
73
Cărtărescu, Postmodernismul, cit., Partea a treia: Către un postmodernism românesc, cap. Către
postmodernism. Generația ’80. “[N]u mai sînt selectați ca modele poeți pur moderniști ca Ion Barbu sau
Lucian Blaga (acesta din urmă e mai cu seamă detestat de tinerii poeți, devenind un adevărat antimodel
pentru ei), ci Arghezi și Bacovia, a căror apartenență la modernism e discutabilă, cel puțin pentru o parte a
operei lor”.
pag. 37
1.1. I contributi di Alexandra Indrieș, Titus Bărbulescu e Corin Braga
Tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 il panorama culturale
romeno, che, grazie all’azione combinata della destalinizzazione e dell’avvento al potere
di Nicolae Ceaușescu, vive un periodo di relativa “liberalizzazione” rispetto agli anni
precedenti (nonché, purtroppo, rispetto all’immediato futuro), vede un fiorire di studi
dedicati alla stilistica. Apripista di questo nuovo interesse, e capofila dell’applicazione
delle idee strutturaliste, è certamente Tudor Vianu, che nel 1968 pubblica il volume Studii
de stilistică74. Seguono poi, pochi anni dopo, tra gli altri, i volumi di Ion Coteanu 75, che
presenta la “stilistica funzionale”, la cui unità di base è il messaggio, ovvero la forma
concreta dello stile76, e di Ștefan Munteanu77, che illustra una “teoria dell’espressività”
secondo la quale, tra le altre cose, il linguaggio poetico non è un linguaggio maggiormente
curato e ricercato ma piuttosto un linguaggio maggiormente espressivo78, entrambi
fortemente influenzati dalle idee strutturaliste. Già qualche anno prima, nel 1967, il
volume Structuralismul di Virgil Nemoianu79 aveva chiaramente confermato l’interesse
dei critici romeni per questa modalità di approccio al testo letterario: per gli studiosi
romeni, in particolare, l’approccio altamente formale dello strutturalismo applicato alla
critica letteraria poteva contribuire a circoscrivere una zona di relativa libertà all’interno
della quale potersi muovere senza la minaccia della censura. Scrive Alexandru Matei, in
un interessante saggio sulla ricezione delle teorie strutturaliste nella Romania socialista80,
ricordando la risposta di Nemoianu all’inchiesta “Cos’è lo stutturalismo?” promossa
dall’importante quotidiano Scânteia Tineterului, di netta impronta ideologica, nel giugno
del 1968:
“[W]hat pleasantly distinguishes structuralism from other past philosophical trends is the fact that
it does not oppose anything and anyone. Structuralism is, in fact, a calm and modest movement
Tudor Vianu, Studii de stilistică, București, Editura Didactică și Pedagogică, 1968.
Ion Coteanu, Stilistica funcțională a limbii române, București, Editura Academiei, 1973.
76
Georgeta Corniță, Manual de stilistică, Baia Mare, Editura Umbria, 1995, p. 55.
77
Ștefan Munteanu, Stil și expresivitate poetică, București, Editura Științifică, 1972.
78
Corniță, Manual, p. 58.
79
Vasile Nemoianu, Structuralismul, București, Editura pentru Literatură Universală, 1967.
80
Alexandru Matei, Roland Barthes and the reception of French Structuralism in Socialist Romania, in
“Ekphrasis. Images, Cinema, Theory, Media”, 19. 66-80. 10.24193/ekphrasis.19.5, 2018.
74
75
pag. 38
which goes its way without looking too much aside, neither on the left nor on the right” (Nemoianu
1968, 3)81
La funzione di “rifugio” intellettuale e pratico svolta dal formalismo di impianto
strutturalista per la critica letteraria sottoposta alle pressioni dell’ideologia del
totalitarismo risulta in tutta la sua pregnanza nelle esplicite dichiarazioni rilasciate da
questo stesso studioso dopo la caduta del regime, nel 1994. Ricorda Nemoianu:
“The structuralist episode was a form of auto-defense, fleeing in a protected area, relatively
autonomous. It was for me part of some dilettante but benevolent attempts to find a rational idiom
through which I could communicate my traditional-sentimental values” (Nemoianu 1994, 328)
L’aspetto più rilevante è quindi che il formalismo strutturalista poteva mettere a
disposizione della critica romena, sottoposta al controllo e alla censura dell’ideologia,
delle forme di “linguaggio” ideologicamente neutro. Come osserva Al. Matei, infatti, in
Romania lo strutturalismo subisce un chiaro processo di “depoliticizzazione”, l’aspetto
della corrente accolto con maggiore interesse essendo invece l’avocata natura
“scientifica” dell’approccio strutturalista, che doveva apparire particolarmente gradita a
un regime che promuoveva il mito del “socialismo scientifico”. Praticando in Romania
una simile versione anideologica e altamente formalista dello strutturalismo di
importazione “occidentale”, “an intellectual […] would not be suspected of “subversive”
behavior by the political authorities of the regime”82.
È in questo clima culturale che si colloca la pubblicazione da parte di Alexandra
Indrieș, nel 1975, del saggio Corola de minunii a lumii, interpretare stilistică a sistemului
poetic a lui Lucian Blaga83, uno studio di stilistica di impianto formalista in cui,
pazientemente e meticolosamente, la studiosa pone le basi per una interpretazione a base
linguistica dello stile poetico blaghiano. Lo studio si apre con una considerazione sul
campo semantico che, secondo Indrieș, è in grado di assumere significati personali che
appartengono esclusivamente all’universo poetico di un autore. A suffragio del suo
intento di estrapolare interpretazioni da uno studio rigoroso dell’utilizzo del linguaggio,
la studiosa paragona il campo semantico a un “campo magnetico”84 all’interno del quale
81
Ibidem, p. 68.
Ibid., pp. 74-75.
83
Alexandra Indrieș, Corola de minuni a lumii, interpretare stilistică a sistemului poetic a lui Lucian Blaga,
Timișoara, Editura Facla, 1975.
84
Ibidem, p. 6.
82
pag. 39
ogni parola, oltre a possedere i “normali” sensi denotativi, può “attirare” continuamente
a sé nuove connotazioni e sfumature di senso, il valore estetico della parola (e quindi il
suo ruolo stilistico) essendo così “direttamente legato alla ricchezza, all’originalità e al
carattere sistematico delle connotazioni di un termine”85.
Il linguaggio poetico, dunque, è un linguaggio che ha acquisito all’interno del suo
“campo magnetico” determinate connotazioni e che è in questo modo riconoscibile da
tutti i facenti parte di un dato paradigma culturale86. Allo stesso tempo, secondo Indrieș,
il campo semantico di un determinato poeta tende ad “accumularsi” nel tempo: secondo
la studiosa, infatti, chi leggeva Poemele luminii nel 1919, l’anno della loro prima
apparizione, disponeva di un campo semantico molto più povero rispetto a quello di cui
dispone chi si appresta a leggerlo oggi: la sincronia del campo semantico è, di fatto, un
effetto della sua accumulazione diacronica87. Solo con uno sguardo “da lontano”, dunque,
parafrasando, è possibile avere un quadro completo dell’idiostile di un autore (e questo è
il motivo per cui, spesso, i primi critici di un poeta prendono degli abbagli, in quanto il
campo semantico di quello specifico poeta non ha ancora “attirato” a sé tutte le
connotazioni osservabili solo una volta che l’opera si è conclusa e la sua conoscenza è
diventata collettiva: ad es. nel linguaggio poetico romeno postblaghiano la parola mister
‘mistero’ è saldamente ancorata, a livello connotativo, alla poesia e alla poetica
blaghiana). Inoltre, secondo Indrieș, un poeta che non voglia semplicemente essere un
epigono ma che voglia modificare il campo semantico del linguaggio che usa deve
compiere uno sforzo concreto, utilizzando diverse tecniche, di “poetizzazione” di termini
che normalmente non sono percepiti come “poetici”88.
Nel caso di Blaga, tuttavia, la specificità del lessico e del suo “campo magnetico”
non proviene unicamente dai termini utilizzati, ma anche dall’atteggiamento specifico
che, all’interno del testo, il poeta ha nei confronti di tali termini. Ad es., a proposito dei
versi “Tâlcul flăcării nu-i fumul,/ Tâlcul vetrei nu e scrumul” [“Il senso della fiamma non
è il fumo/ il senso del focolare non è la cenere”] (Nebănuitele trepte, 1943), Indrieș
osserva:
85
Ibid. p. 6. “Valoarea estetică este direct legată de bogăția, originalitatea și caracterul sistematic al
conotațiilor unui termen”.
86
Ibid. p. 8.
87
Ibid. p. 10.
88
Ibid. p. 11.
pag. 40
I versi sono essenziali per la decodificazione dei simboli cinerei e dei termini attinenti e sinonimi
[…]. In Blaga la noosfera è costituita non dalla descrizione e dalla presentazione emblematica dei
simboli in quanto tali – simboli che stanno alla base, oltretutto, della poesia e della mitologia
europea – ma piuttosto dal giudizio, dall’enunciato che li accompagna. L’atto effettuato
metaforicamente da questi simboli e l’attitudine del poeta chiaramente espressa in codice sono
essenziali. Solo in e attraverso questa dinamica dell’azione e dei valori attribuiti, i simboli esistono
e acquisiscono le note semantiche che li contraddistinguono, la loro impronta individuale 89.
Nel suo studio Indrieș si occupa primariamente di simboli (come il fumo e la
cenere appena visti) e di motivi (il dor, la morte ecc), i quali, secondo la studiosa,
rappresentano dei campi semantici più grandi90, dei macro-campi semantici, che
rappresentano “i principali costituenti del codice blaghiano”91. Date queste premesse, la
studiosa analizza in dettaglio alcuni emblematici micro-testi poetici blaghiani allo scopo
di fornire una lettura inedita delle “connotazioni” specifiche dell’idiostile blaghiano e
trovare così, osservando da vicino le strutture linguistiche e le procedure stilistiche
utilizzate dal poeta, nuovi significati che, con i metodi della critica letteraria tradizionale,
non erano emersi.
Nella seconda parte del lavoro, Indrieș si concentra poi su elementi quali i grafemi,
gli spazi bianchi all’interno dei singoli testi e le opposizioni, che secondo lei afferiscono
al macro-tema blaghiano dell’opposizione identità vs alterità: aici vs acolo, acum vs
atunci ecc. Le conclusioni dell’indagine di Indrieș sono che lo studio ravvicinato della
regia testuale blaghiana evidenzia come la già citata opposizione “identità-alterità” sia
quella che più afferma la creatività del poeta92, e che a determinare lo stile blaghiano non
è solo l’utilizzo di elementi linguistici ma anche la specifica scelta di elementi
paralinguistici quali la lunghezza plastica dei versi e l’utilizzo degli spazi bianchi.
Dunque, l’aspetto grafico, in Blaga, secondo Indrieș, va a potenziare l’effetto estetico del
linguaggio.
Ibid. p. 18. “Un exemplu: “Tîlcul flăcării nu-i fumul/ tîlcul vetrei nu-i scrumul”. Versurile sînt esențiale
în decodarea simbolurilor cenușii și ai termenilor încevinați și sinonimi [...] nu trebuie să pierdem din
vedere că la Blaga noosfera se constituie nu din descrierea, din prezentarea emblematică pur și simplu a
simbolurilor – simboluri de bază, dealtfel, ale poeziei și mitologiei europene – ci din judecata, din predicația
asupra lor. Actul efectuat metaforic de aceste simboluri și atitudinea poetului clar explicată în cod sînt
esențiale. Numai în și prin această dinamică a acțiunii și valorii atribuite, simbolurile există și își primesc
notele semantice distinctive, amprenta individuală”.
90
Ibid. p. 20.
91
Ibid. p. 20. “principalii contituenți ai codului blagian”.
92
Ibid., p. 242.
89
pag. 41
Corola de minuni a lumii risulta quindi essere uno studio particolarmente
interessante che si propone, a partire dall’assunto del campo semantico allargato dalla
dimensione diacronica, di poter formulare nuove interpretazioni critiche ai versi blaghiani
proprio grazie all’utilizzo di strumenti mutuati dalla stilistica di ispirazione strutturalista.
L’osservazione ravvicinata delle strutture testuali e paratestuali permette a Indrieș di
implementare le analisi effettuate secondo i metodi classici del close reading.
Nel 1981, presso l’Editura Minerva di Bucarest, Indrieș pubblica Sporind a lumii
taină. Verbul in poezia lui Lucian Blaga93, che continua e idealmente completa il
precedente concentrandosi specificamente sull’utilizzo e sulla funzione del verbo
nell’opera del poeta94. Partendo dall’assunto che per consolidata tradizione i linguisti
accordano una minore importanza al verbo in favore del sostantivo95, Indrieș sottolinea
come, di fatto, attraverso la mera analisi dei sostantivi “non si possa attraversare quella
soglia miracolosa oltre la quale il mutare dei segni che compongono un testo si trasforma
effettivamente in poesia, intendendo con poesia non un momento di incanto passeggero,
bensì un sistema a sé stante che permetta di cogliere il senso del mondo” 96, in quanto il
verbo – afferma Indrieș – “svolge un ruolo coesivo di prim’ordine, sfumando al contempo
esteticamente l’espressione poetica”97.
In questo volume la studiosa implementa decisamente metodi di analisi
quantitativa, redigendo una statistica delle frequenze verbali, per poi concentrarsi su
alcuni verbi da lei ritenuti particolarmente significativi, quindi non necessariamente i più
frequenti. Indrieș commenta infatti anche verbi poco frequenti ma ritenuti fondamentali
quali chiavi interpretative dell’opera blaghiana, come ad es. a spori ‘accrescere,
Indrieș, A., 1981, Sporind a lumii taină. Verbul în poezia lui Lucian Blaga, București, Editura Minerva.
Pochi anni prima dell’uscita del secondo lavoro di Indrieș il poeta Ion Caraion pubblica uno studio
dedicato a George Bacovia, Bacovia. Sfîrșitul continuu (1977) che va in direzione di una integrazione
dell’approccio quantitativo in una interpretazione che resta, essenzialmente, qualitativa: Caraion indica
quante parole (oggi diremmo token) il poeta utilizza all’interno del suo corpus poetico, così come quanti
sono i verbi utilizzati dal poeta e quanto spesso (243 utilizzati in totale 385 volte; Caraion 1979, p. 31). In
seguito a queste analisi quantitative, Caraion osserva che 1/5 del lessico bacoviano è composto di verbi, a
indicare l’inalterato valore nel tempo della sua lirica: la presenza così forte del verbo rappresenterebbe
infatti una sorta di struttura in “cemento armato” che rende la poesia bacoviana praticamente indistruttibile
(Caraion 1979, p. 32).
95
Ibid. p. 7.
96
A. Indrieș, Sporind a lumii taină. Verbul in poezia lui Lucian Blaga, București, Editura Minerva, 1981,
p. 7. “[…] nu se poate pătrunde peste acel prag miraculos, de pe care mutația semnelor dintr-un text se
transformă cu adevărăt în poezie, înțelegînd prin poezie nu un moment de trecătoare încîntare, ci un sistem
aparte de a pătrunde sensu lumii”.
97
Ibidem, p. 19, “[...] verbul joacă un rol coeziv de prim ordin, nuanțînd totodată estetic expresia poetică”.
93
94
pag. 42
aumentare’, che conta una manciata di occorrenze ma che “appare nelle fasi essenziali
della creazione attraversando l’universo poetico blaghiano e unificandone momenti vari
[…]”98. L’autrice passa quindi a suddividere in tre macrocategorie i verbi meritori di una
indagine e un’osservazione particolarmente attente, vagliandoli con l’ausilio di una
griglia interpretativa appositamente approntata99.
Indrieș conclude che è possibile individuare una tipologia poetica, che include sei
tipi diversi di poesia, determinata della correlazione fra tempo e modo verbale100.
Secondo la studiosa, l’osservazione puntuale dei diversi aspetti verbali contribuisce a
determinare la realtà viva del testo e ad articolare la noosfera della poetica blaghiana.
Quello che si propone di fare è “studiare gli elementi lessicali quali termini di una cifra,
di un codice”101. Le analisi di Indrieș, pur partendo da metodi quantitativi (applicati senza
alcun ausilio di tipo tecnologico) si rivelano essere di fatto una lettura che possiamo
spingerci a definire “estremamente da vicino”, in quanto si spinge non solo
all’osservazione del testo, ma all’osservazione minuziosa e dettagliata degli elementi che
strutturano il testo, dei micro-testi, e al contempo l’osservazione dell’atteggiamento che,
all’interno stesso dei testi, l’autore ha nei confronti degli elementi che decide di utilizzare.
Si tratta quasi di una lettura con la lente d’ingrandimento, che, al pari della lettura da
lontano, diventa talmente specifica da risultare (in certi suoi aspetti) altamente tecnica.
Per il tentativo di coniugare quantitativo e qualitativo nello studio della poesia
blaghiana il lavoro di Alexandra Indrieș rappresenta un precedente delle analisi presentate
nella seconda parte del presente lavoro. Sebbene l’aspetto quantitativo costituisca più che
altro un “fondale” relativamente inerte sul quale si proietta un’analisi qualitativa che
resta, in ultima istanza, di stampo fortemente “intuitivo”, Indrieș è certamente la prima
studiosa dell’opera blaghiana a introdurre in modo sistematico e organico elementi di
analisi quantitativa nel proprio percorso critico.
98
Ibid., pp. 105-106, “[…] apărînd în faze esențiale de creație, traversează universul poetic blagian,
unificînd momente variate ale acestuia [...]”.
99
V. p. 53, ibid.
100
Ibid., p. 111.
101
Ibid., p. 246. “a studia elementele lexicale ale poeziei ca termenii unui cifru, ai unui cod”.
pag. 43
Di stampo linguistico è anche lo studio di Titus Bărbulescu, pubblicato nel 1997,
Lucian Blaga. Teme și tipare fundamentale102. Si tratta di un brevissimo studio linguistico
concentrato in particolar modo sul vocabolario, comprendente anche uno spoglio non
quantitativamente puntuale – nel senso che lo studioso non ci fornisce dei dati e dei
numeri precisi – delle figure di stile presenti nella poesia di Blaga. Lo studio non si
concentra esclusivamente sul linguaggio poetico, ma, nella seconda parte, analizza anche
le sue opere teatrali. Lo studio è tuttavia caratterizzato dalla brevità e da una mancanza di
approfondimenti dettagliati, e dunque alcune questioni (come ad es. l’analisi quantitativa
della frequenza di certi termini) vengono di fatto solamente accennate o presentate molto
sinteticamente.
Anche Bărbulescu, pur con metodi analogici e senza riportare cifre puntuali,
rimanda alle frequenze e si colloca dunque nel filone di critica letteraria che fa riferimento
anche a dati quantitativi, pur mantenendosi principalmente lungo il côté del close reading.
Il suo obiettivo è però quello di ricercare le “parole-tema”, ovvero parole intorno alle
quali il poeta “organizza” il proprio pensiero103, ad es. “campana”, “silenzio”, “luce”,
“buio”, “seme” ecc., e le “parole-chiave”104, ossia parole che all’interno del corpus
poetico blaghiano ricorrono con frequenza anomala rispetto alla frequenza che hanno
nell’utilizzo corrente, ad es. “arcobaleno”, “fanciulla”, “seme”, “nulla”105 ecc. Si potrebbe
certamente definire l’analisi di Bărbulescu un grande elogio della parola e del linguaggio
blaghiano, che, secondo lo studioso, nella loro plasticità, ricordano l’opera Pasărea
Măiastra di Brâncuși106: “se non esistesse il linguaggio, non esisterebbe nemmeno la
poesia”107, e ancora “la lingua costituisce la sostanza dell’opera”108 e “l’opera poetica di
Lucian Blaga celebra l’avventura della parola”109. Pur senza citare il lavoro di Indrieș,
Bărbulescu riprende idealmente il concetto – pur espresso in termini molto diversi –
secondo il quale il poeta ha di fatto creato un suo proprio linguaggio, che alla
Titus Bărbulescu, Lucian Blaga. Teme și tipare fundamentale, București, Editura Saeculum, 1997.
Ibidem, 27.
104
Ibid., pp. 27-28.
105
Ibid., p. 28.
106
Ibid., p. 23.
107
Ibid., p. 8, “Dacă nu ar fi existat limbaj, nu ar fi fost nici poezie”.
108
Ibid., p. 45, “Limba constituie substanța operei”.
109
Ibid., p. 115, “Opera poetică a lui Lucian Blaga celebrează aventura cuvîntului”.
102
103
pag. 44
connotazione “tradizionale” attira a sé, come il campo magnetico descritto da Indrieș,
sfumature del tutto nuove e peculiari:
Il poeta utilizza un altro linguaggio, un linguaggio secondo. Possiamo applicare a Lucian Blaga
quel che Paul Valéry affermava a proposito di Charles Baudelaire: “Il poeta si consacra e si sforza
per definire e costruire un linguaggio all’interno del linguaggio.” Blaga stesso si definisce fonte e
creatore di linguaggio […]110.
Ciò che Bărbulescu si propone di fare è affrontare lo studio sull’opera poetica
blaghiana lavorando su due diversi livelli: quello del “contenuto” (conținutul), ovvero
tutto quanto concerne i temi e i motivi letterari, e che tratta anche spesso materie astratte
e irrazionali, e quello della “scrittura” (scriitura), che concerne invece la forma, le
strutture lessicali ecc.111 Anche qui, dunque, assistiamo a un’opera di mediazione tra
lavoro statistico e quantitativo e analisi interpretativa e qualitativa. Se però l’analisi di
Indrieș era molto rigorosa e approfondita, quella di Bărbulescu, pur partendo spesso da
indagini stilistiche, si concede soprattutto toni narrativi e lirici.
Preme notare come, fino a questo momento, nessuno studioso dell’opera poetica
blaghiana abbia adottato una prospettiva strettamente cronologica e diacronica per
approcciare l’analisi linguistica del corpus, operazione che sarebbe stata impossibile o
perlomeno estremamente laboriosa (dovendo risalire alle pubblicazioni originali in rivista
e alle editio princeps) almeno fino alla metà degli anni ’70, quando, presso l’Editura
Minerva di Bucarest comincia la pubblicazione dell’edizione critica definitiva delle opere
di Blaga, uscita in 12 volumi pubblicati tra il 1974 e il 1995. L’opera poetica è contenuta
nei primi due volumi (1974, 1976), a cura della figlia del poeta, Dorli Blaga, in cui sono
indicate le date di prima pubblicazione o di prima stesura delle poesie postume o espunte
da Blaga stesso dai volumi pubblicati prima della sua interdizione, nel 1947. Anche dopo
la pubblicazione dell’opera critica non si è praticata molto la variantistica blaghiana, la
sua poesia essendo trattata come una monade atemporale, probabilmente anche sotto
l’influenza dell’atteggiamento di Blaga stesso, che tendeva a guardare più al trascendente
che all’immanente, e della volontà autoriale restituita nell’edizione Minerva.
110
Ibid., p. 9 “Poetul folosește un al doilea limbaj, un limbaj secund. Putem aplica la Lucian Blaga ceea ce
Paul Valéry zicea despre Charles Baudelaire: «Poetul se consacră și se mistuie deci să definească și să
construiască un limbaj în limbaj». Blaga însuși se definea ca fântânar și făuritor de limbaj [...]”.
111
Ibid., p. 10.
pag. 45
Un primo tentativo di approccio diacronico, in chiave però non linguistica e
stilistica ma biografica e “psicocritica”, è quello di Corin Braga, il quale, nel suo lavoro
ermeneutico del 1998 Lucian Blaga. Geneza lumilor imaginare112 – che non tratta
esclusivamente della poesia ma dell’intera opera blaghiana – ricerca negli episodi
biografici del poeta (in particolare gli episodi infantili) le fonti delle sue teorie. Braga va
difatti cercando nell’esperienza stessa di Blaga le chiavi interpretative dell’opera:
“secondo il principio dell’autoconsistenza, la via più diretta verso una visione
immaginaria deve partire dall’interno del sistema”113. La domanda che Braga si pone, e
alla quale cerca di rispondere con la propria analisi, è: “Blaga può essere osservato con i
suoi stessi occhi? Si può ricostituire la sua Weltanschauung a partire dalla teoria della
conoscenza e della creazione ideate da lui stesso?”114. L’approccio di Braga – che, nelle
parole di Călin Teutișan ha “un incontestabile valore di novità all’interno del panorama
culturale e di analisi letteraria romena”115 ha lo scopo di osservare il divenire poetico di
Blaga, e non ha interesse ad analizzarlo dal punto di vista stilistico. Braga, in sostanza, si
concentra in particolare sulla poetica blaghiana intesa come Weltanschauung e non sulla
poetica intesa quale presa di posizione sull’arte, né sui concreti riflessi stilistici di tale
visione del mondo.
Secondo Braga il punto di partenza della costruzione della Weltanschauug
blaghiana è rappresentato da un episodio particolarmente drammatico accaduto due mesi
prima della sua nascita, ovvero la morte della sorella Lelia, che avrebbe influenzato
pesantemente la sua biografia in quanto, sempre secondo Braga, dall’osservazione
puntuale del pensiero blaghiano emergerebbero elementi rapportabili a un “complesso del
bambino indesiderato”116 e a una identificazione con la sorella morta117. Nella premessa
di Teutișan leggiamo che, appunto:
L’intera biografia del filosofo sarà drammaticamente segnata, spesso in maniera brutale, da questo
avvenimento che precede la sua stessa venuta al mondo. Corin Braga spiega il mutismo autistico
durato fino ai quattro anni attraverso l’identificazione del bambino con la sorella morta. Il rifiuto
Corin Braga, Lucian Blaga. Geneza lumilor imaginare, București, Editura Tracus Arte, 2013.
Ibidem, p. 48, “Conform principiului de autoconsistență, calea cea mai directă spre o visiune imaginară
trebuie să pornească din interiorul sistemului”.
114
Ibid., p. 49, “Poate fi Blaga privit prin proprii săi ochi? Se poatereconstitui Weltanschauungul său
pornind de la teoria cunoașterii și a creației elaborate de el?”.
115
Ibid., p. 6, “Are o incontestabilă valoare de noutate în câmpul culturii și analizei literare românești”.
116
Ibid., p. 77.
117
Ibid., p. 90.
112
113
pag. 46
della parola sarà, in questo modo, un rifiuto di farsi essere vivente, percepito come annullamento
colpevole del doppio tanatico118.
Secondo Braga, dunque, a partire da questo drammatico episodio e dalle
conseguenze di tipo emotivo e psicologico che il poeta ne avrebbe ricavato si costruisce
l’intero universo psichico blaghiano, dal quale scaturiscono sia la sua tendenza alla
creazione (che avrebbe a che fare con una strutturale mancanza di fiducia in sé stesso e
con il conseguente bisogno di dimostrare il proprio valore)119 sia la forma del suo
pensiero.
Si tratta dunque di uno studio fortemente innovativo soprattutto per l’approccio
esplicitamente psicoanalitico, teso a motivare la genesi delle teorie filosofiche di Blaga
non osservandole (esclusivamente) quali prodotti culturali del proprio tempo ma (anche)
quali proiezioni di vissuti personali. L’approccio diacronico di Braga consiste in una
esplorazione della biografia blaghiana più che dell’opera stessa, e non è dunque il
medesimo che verrà adottato nel presente studio, il cui focus saranno alcuni mutamenti
osservabili “da lontano” nel divenire diacronico del linguaggio ovvero dello stile poetico
di Blaga.
1.2. La ricezione dell’opera blaghiana in Italia
Secondo quanto riportato da Pasquale Buonincontro120 nel suo studio sulla
presenza della cultura romena in Italia tra il 1900 e il 1980, le prime poesie di Blaga
tradotte in italiano risalgono agli anni ’30: il poeta viene infatti tradotto una prima volta
nel 1932 insieme ad A. Maniu e A. Cotruș121, e ancora nel 1938 di nuovo insieme ad altri
autori di stretta attualità (T. Arghezi, V. Gheorghiu, A. Maniu, I. Minulescu, I. Pillat, V.
Ibid., p. 7, “Întreagă biografie a poetului și filosofului urmează a fi marcată dramatic, uneori chiar brutal,
de acest eveniment care îi precede îi-ființarea. Corin Braga explică muțenia autistă de până la patru ani prin
identificarea copilului cu sora moartă. Refuzul cuvântului va fi, astfel, refuzul intrării în ființă, percepută
ca anulare vinovată a dublului thanatic”.
119
Ibid., p. 7.
120
Pasquale Buonincontro, La presenza della Romania in Italia nel secolo XX. Contributo bibliografico
1900-1980, Napoli, De Simone Editore, 1988.
121
Ibidem, p. 81.
118
pag. 47
Voiculescu)122. In un articolo che esplora la storia delle traduzioni italiane di opere
romene, R. Merlo ricorda anche le prime traduzioni di poesia blaghiana presenti in
contesti antologici, rispettivamente nel 1941 e nel 1946123. Nel 1956, poi, compare la
prima traduzione in volume di una delle opere filosofiche di Lucian Blaga, Orizont și stil
(1936)124.
Nel 1941 Ramiro Ortiz, nel suo volume Letteratura romena125, segnala Lucian
Blaga tra i “più importanti rappresentanti della poesia romena d’avanguardia”126 insieme,
tra gli altri, a G. Bacovia, A. Maniu, I. Voronca ecc. La parte trattatistica del volume è
accompagnata da una breve selezione antologica, senza ulteriori commenti se non la
sintetica dicitura “poeta e filosofo”127, nella quale ritroviamo in traduzione italiana e
senza testo a fronte le poesie Crepuscolo autunnale (Amurg de toamna), Aratri (Pluguri)
e Il cieco (Orbul)128. Sempre nello stesso volume, Blaga viene inserito tra i modernisti129,
almeno per quanto riguarda la sua produzione teatrale, citando Maestro Manole (Meșterul
Manole), del quale segue la traduzione di un brano130.
Nel 1953 è il turno di Giacomo Prampolini, che, nel paragrafo sugli autori romeni
del Novecento nella sua vasta storia della letteratura mondiale131, dedica a Blaga qualche
riga definendolo “nietzschiano cantore della vita gioiosa nel volume Pasii profetului”132,
per poi passare a descrivere la sua evoluzione poetica in direzione di una “metafisica
tristezza”. L’autore passa infine in rassegna le opere teatrali di Lucian Blaga e accenna ai
suoi lavori filosofici. Nel 1958 G. Caragață inserisce il poeta “Luciano” Blaga all’interno
del capitolo dedicato alla letteratura romena nella Storia delle letterature moderne
d’Europa e d’America dell’editore Vallardi133, inquadrandolo tra gli “ortodossisti”134 e
122
Ibid., p. 94.
Roberto Merlo, Un secolo frammentario: breve storia delle traduzioni di poesia romena in italiano nel
Novecento, in “Philologica Jassyensia”, An I, nr. 1-2, 2005, pp. 197-246, p. 212.
124
L. Blaga, Orizzonte e stile, a cura di A. Banfi, Milano, A. Minuziano Editore, 1946..
125
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, Roma, Angelo Signorelli Editore, 1941.
126
Ibidem, p. 221.
127
Ibid., p. 234.
128
Ibid., pp. 234-236.
129
Ibid., p. 245.
130
Ibid., pp. 249-251.
131
Giacomo Prampolini, Storia Universale della Letteratura, Vol. VII, Letterature Ibero-Americane, Slave,
dell’Europa Orientale, Indigene, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1953.
132
Ibidem, p. 704.
133
George Caragața, Letteratura romena, estratto dalla Storia delle letterature moderne d’Europa e
d’America, Milano, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, 1958.
134
Ibidem, pp. 328-329.
123
pag. 48
dando una lettura in chiave fortemente “spirituale” della poesia blaghiana. Pur
ammettendo, in particolare per la produzione giovanile, la forte influenza
dall’espressionismo tedesco, l’autore afferma a proposito della produzione successiva a
Pașii profetului (1921) che
[I]l peccato consumato da Eva tende le sue insidie all’uomo che solo ora comincia a compenetrarsi
del suo significato mistico. Pan e il Cristo, come simboli di vita spirituale diversa, generano i lati
opposti del suo lirismo, fino a che insensibilmente la luce interiore risplenderà solo dell’immagine
mistica del Verbo135.
Nel 1955 esce la prima edizione della storia della letteratura di Gino Lupi,
ripubblicata nel 1968 in una nuova edizione dal titolo La letteratura romena136, nella
quale l’autore dedica a Blaga una pagina all’interno del capitolo sul periodo interbellico
e in particolare all’interno del sotto-capitolo dedicato ai tradizionalisti, inscrivendosi nella
scia inaugurata da Nicolae Iorga e poi da Eugen Lovinescu, che, nel 1937, aveva collocato
l’opera di Lucian Blaga nel panorama della poesia tradizionalista 137. Lupi apre il suo
paragrafo su Blaga illustrandone molto brevemente le teorie filosofiche per passare poi
ad accennare alle raccolte poetiche fino a Lauda somnului, affermando però che “l’opera
poetica è legata alla filosofica, pur essa essenzialmente lirica”138, e perpetrando dunque
quella tradizione critica che vedeva la lirica blaghiana come una sorta di appendice
artistica della più grande opera filosofica. Con i contributi di Caragață e Prampolini, tra i
pochi in Italia a parlare del poeta durante il lungo periodo di interdizione, si interrompono
per qualche anno i riferimenti e le traduzioni, che riprenderanno solo dopo la morte del
poeta. È infatti sull’onda della sua risonante riscoperta in Romania che l’opera di Blaga
ricomincia a suscitare interesse anche in Italia. Scrive Merlo:
Solo all’inizio degli anni ’60, precedendo di poco il lento e attentamente programmato recupero
della poesia di Blaga operato in Romania, che culminerà solo dopo la caduta del ceauscismo (con
la pubblicazione del romanzo di ispirazione autobiografica Luntrea lui Caron [La barca di
Caronte], nel 1990), e in concomitanza con la candidatura al Nobel, abbiamo una prima
«restituzione» italiana del teatro (Mititelu 1960) e alcune, timide presenze poetiche (Mariano 1961,
De Micheli/Vrânceanu 1961). Una reale mediazione dell’opera blaghiana in Italia avverrà solo in
seguito al primo, cauto «sdoganamento» della poesia di Blaga in Romania (1962), con le 10 poesie
trad. da Marcello Camillucci in “Persona”, IV (1963), 3, p. 10-11, seguita dalla presenza in De
135
Ibid., p. 344.
Gino Lupi, La letteratura romena, Milano, Sansoni-Accademia, 1968.
137
Marco Cugno, La poesia romena del Novecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, p. XXVIII
138
Lupi, La letteratura, 1968, p. 343.
136
pag. 49
Micheli 1967 (che recupera parzialmente lo squilibrio tra caratura degli autori e presenza
antologica evidente in De Micheli/Vrânceanu 1961) e dalle «restituzioni» di Popescu 1969 e
1970b139.
Nel 1970 compare poi l’antologia di Mircea Popescu140, sopra ricordata da R.
Merlo. In un breve passaggio, Popescu definisce Lucian Blaga come “filosofo originale,
con una visione tutta romena dell'essere, dell'arte e della cultura, drammaturgo lirico e di
idee, poeta virgiliano in principio, che a mano a mano si spiritualizza, fino ad approdare
a una tristezza metafisica molto simile al popolare”141. E dunque, notiamo, anche Popescu
sottolinea in prima istanza la natura di filosofo di Lucian Blaga, per poi passare a parlare
della sua attività di drammaturgo e soltanto infine di poeta. Poco più avanti, poi, anche
Popescu si rifà allo spiritualismo di Blaga: “insieme con l'archeologo Vasile Pârvan
(1882-1927) e ai già ricordati Blaga e Nae Ionescu, C. Rădulescu-Motru (1868-1957),
critico del pensiero kantiano, imposta filosoficamente il fenomeno spirituale romeno”142.
L’anno successivo Ioan Guția pubblica la sua Introduzione alla letteratura
romena143, che oltre a una prima parte teorica contiene anche un’antologia di testi non
tradotti in italiano. Guția dedica a Lucian Blaga quattro pagine, collocandolo nel capitolo
dedicato al tradizionalismo (inserito a sua volta nella sezione dedicata al Novecento).
Addirittura, secondo Guția, Blaga è “il maggiore poeta tradizionalista”144 e le pagine a lui
dedicate si aprono con una descrizione della “partecipazione mistica che spiritualizza le
cose cui conferisce una vera realtà ontologica”145. A differenza dei predecessori e forte
ormai di un ventennio circa di riscoperta e rilettura dell’opera di Blaga poeta, Guția si
dedica principalmente alle raccolte poetiche – toccando solo marginalmente le opere
teatrali e filosofiche – citando tutte le raccolte antume (termine adottato dal romeno, per
indicare le opere pubblicate in vita) e le postume pubblicate nel 1962, che, secondo
l’autore, rappresenterebbero “una continuazione della poesia di prima”146.
139
Merlo, Un secolo frammentario, cit. p. 213.
Mircea Popescu, Antologia della Letteratura Romena, in Letteratura Universale, a cura di Santucci, L.,
XXXIV, Antologie del sud-est europeo, Milano, Fabbri Editore, 1970, pp. 105-204.
141
Ibidem, p. 66.
142
Ibid., p. 69.
143
Ion Guția, Introduzione alla letteratura romena, Roma, Bulzoni Editore, 1971.
144
Ibidem, p. 85.
145
Ibid., p. 85.
146
Ibid., p. 88.
140
pag. 50
Rifacendosi alla critica blaghiana romena affrontata nel paragrafo precedente,
anche la critica di Guția inizia parlando dell’espressionismo della poesia blaghiana, che
vira poi, secondo il critico, verso il panteismo di Pașii profetului147 per poi virare
nuovamente verso una dimensione maggiormente filosofica nelle raccolte “centrali” (În
marea trecere, Lauda somnului, La cumpăna apelor), all’interno delle quali, nelle parole
di Guția “il motivo principale è la speculazione metafisica: registrazione di stati d’animo
suscitati dal contatto con i segni del mistero”148. Infine, nell’analisi di Guția, le ultime due
raccolte antume (La curțile dorului e Nebănuitele trepte) sono rispettivamente dedicate
alla “ricerca del pittoresco, del colore, della musicalità e un maggiore uso della rima” 149
nel caso della penultima raccolta e “centrato sull’avvicinarsi della morte, intesa come
discesa negli elementi primordiali”150 nel caso dell’ultima. Usando le parole dello
studioso, “nella poesia di Blaga riscontriamo l’aspirazione alla fusione col divino e, nello
stesso tempo, l’impossibilità da parte dell’uomo di realizzarla”151, la sua poesia seguendo
in sostanza un percorso che porta in direzione di una caratteristica “tristezza metafisica”.
Nella parte antologica sono presenti le poesie Eu nu strivesc corola de minuni a lumii,
Somn, Boală e Din adânc152.
Negli anni successivi alla pubblicazione del volume di Guția sono stati pubblicati
anche tre volumi di traduzioni, spesso preceduti dalla pubblicazione in rivista di una parte
delle poesie tradotte153.
Il primo volume d’autore dedicato alla poesia di Blaga è quello di Rosa Del Conte,
pubblicato nel 1971154, che conta la traduzione di novantaquattro poesie con testo a fronte,
147
Ibid., p. 86.
Ibid., p. 87.
149
Ibid., p. 88.
150
Ibid., p. 88.
151
Ibid., p. 87.
152
Ibid., pp. 155-156.
153
Inoltre, scrive Merlo: “I due decenni successivi segnano il passo, con 12 poesie trad. di Mariano Baffi
(già trad. di Blaga 1971b) per l’Annuario dell’Accademia di Romania in Roma (“Columna”, 1972, p. 156163), la trad. di Meşterul Manole, 1927 (Blaga 1974), una scelta di 4 poesie trad. da Marco Cugno su
“L’Europa letteraria”, I (1975), 2, p. 30-32 (prestigiosa rivista che di lì a poco avrebbe ospitato la prima
antologia italiana dell’avanguardia romena, firmata dallo stesso curatore) seguite da un decennio di silenzio
(a parte la presenza in antologie di minore rilevanza, come Baffi/Gligora 1981 e Mitescu 1984), che si
chiude però con una terza antologia (Blaga 1989 – 112 poesie), pubblicata da una nota casa editrice
milanese. Nel periodo postdecembrista si segnala soprattutto la pubblicazione di due opere filosofiche,
Spaţiul mioritic, 1936 (Blaga 1994) e Artă şi valoare, 1939 (Blaga 1996)”. Merlo, Un secolo frammentario,
cit. p. 213.
154
Rosa Del Conte, La lirica di Lucian Blaga, Roma, Lerici Editore, 1971.
148
pag. 51
tutte tratte dalle raccolte antume (tranne che per Cânele din Pompei). Da ogni volume è
stata tradotta una selezione che va dalle tredici alle sedici poesie, con l’eccezione di Pașii
profetului, raccolta dalla quale Del Conte traduce solo sei testi. Le traduzioni sono
precedute da una prefazione di una trentina di pagine, da una tavola biografica
cronologica e da una nota bibliografica.
Del Conte individua nel “mistero” il nucleo a partire dal quale si sviluppa tutta la
creatività del poeta: “il «mistero» non sarà soltanto per il Blaga una vera e propria
categoria esistenziale, ma rappresenterà la ‛conditio sine qua non’ per qualsiasi creazione
culturale”155. Nella puntuale analisi della poesia giovanile di Lucian Blaga, Del Conte
commenta, quasi parafrasando i versi di Eu nu strivesc corola de minuni a lumii: “la
poesia del Blaga tende ad essere rivelazione del mondo, in quanto non ne uccide e
distrugge, ma ne approfondisce il mistero, arricchendo di nuova magia l’incanto
dell’impenetrabile”156. Il mistero, dunque, inteso come meraviglia, come atteggiamento
di stupore nei confronti della vita, un atteggiamento puramente filosofico che Del Conte
riscontra anche nel portamento fisico di Blaga, che conosceva personalmente, e che
ritroviamo nella sua descrizione degli occhi del poeta: “e quel che di statico ed assente è
in tutta la sua persona, pur così classicamente statuaria, s’illuminava come di una
rivelazione improvvisa, quando tu incontravi i suoi occhi, assorti e chiari occhi, aperti
sulle cose – gioia e dolore del mondo – come in un ininterrotto stupore”157.
Del Conte percepisce nell’opera giovanile del poeta quel “brivido gioioso”158 di
chi è capace di meravigliarsi:
Questo poeta [...] sa dire con una parola che può farsi pacata, e distendersi in un respiro melodico
ampio e grave, la vasta bellezza del mondo, lo splendore dell’azzurro che trascorre, come un fiume,
sulle stoppie abbaglianti e, insieme, le inattese comunicazioni del nostro io profondo con le cose,
in una ritrovata unità159.
Prosegue poi descrivendo le successive raccolte poetiche, sempre cogliendo in
maniera puntuale e delicata le caratteristiche dell’opera più profondamente allacciate alla
personalità del poeta – “è sofferenza, per il poeta, sentire la materia troppo angusta
155
Ibidem, p. 9.
Ibid., p. 12.
157
Ibid., p. 11.
158
Ibid., p. 12.
159
Ibid., p. 13.
156
pag. 52
rispetto all’illimite slancio di cui è capace l’anima”160 – per documentare infine l’evidente
passaggio di toni e temi che avviene già in parte in Pașii profetului, ma che si fa
definitivamente evidente a partire da În marea trecere e Lauda somnului:
Alle domande che cercano di spezzare la compatta volta di cristalli del cielo, con il segreto
sgomento, diresti, che questa volta possa veramente offrire uno spiraglio allo sguardo umano,
viene sostituendosi un appagamento conoscitivo d’ordine ‛paradisiaco’, e perciò inerte e passivo.
All’ansia che denunzia la nostra vocazione rivelatrice, segue la pausa della contemplazione pacata;
all’invocazione al cielo fa eco la lode della terra buona161.
e ancora:
Il progresso [dell’attività poetica di Blaga, ndA] infatti è confermato dalla forma, che non è più
descrittiva, né imaginifica sino al decorativismo barocco, né faticosamente interrogativa, sino
all’enfasi. Di raccolta in raccolta il poeta è venuto approfondendo la sua ispirazione assecondando
l’autenticità del nisus formativo sino a rifiutarsi ogni sovrastruttura artificiosa 162.
Del Conte passa poi a commentare le ultime raccolte antume. A proposito di La
cumpăna apelor scrive:
La raccolta [...] conferma l’immagine che ci siamo venuti facendo del mondo ideale del poeta. Ma
in essa lascia la sua traccia la malinconia tutta umana delle stagioni che passano; recandoci il senso
di una esistenza, la nostra, tradita o delusa; la tristezza degli amori perduti e rimpianti, la gioia
delle improvvise rinascite che sono della natura e dell’uomo163.
A proposito di Nebănuitele trepte, invece, Del Conte nota, tra le altre cose, “lo
stesso sentimento di gioiosa sorpresa con cui egli aveva accolto il ridestarsi
dell’ispirazione”164 sottolineato anche, secondo la studiosa, dal “raffinarsi del sentimento
musicale”165 all’interno dell’ultimo volume di poesie antume. La dettagliata prefazione
ala ricca antologia si chiude con un breve cenno all’interdizione del poeta, il “Pasternak
rumeno”166 e alla sua morte che “ha avuto un’eco profonda di commozione, specie nel
cuore dei giovani”167.
160
Ibid., p. 15.
Ibid., p. 19.
162
Ibid., p. 26.
163
Ibid., p. 31.
164
Ibid., p. 32.
165
Ibid., p. 33.
166
Ibid., p. 36.
167
Ibid., p. 36.
161
pag. 53
Sempre nel 1971 escono, presso l’editura Minerva di Bucarest, novanta poesie
blaghiane tradotte da Mariano Baffi e accompagnate da una prefazione di Edgar Papu168.
Anche in questo caso le traduzioni provengono prevalentemente dai volumi antumi, con
l’eccezione di diciassette testi postumi tratti dal volume pubblicato nel 1962. L’intero
volume è bilingue, non solo nella parte antologica ma anche la prefazione e la nota del
traduttore compaiono sia in romeno che in italiano. Nella sua prefazione, Papu,
distaccandosi dalla posizione di tutti quei critici che vedevano la poesia blaghiana quale
riflesso o appendice delle sue idee filosofiche, afferma “l’espressione [...] più ampia ed
essenziale della sua creazione rimane la lirica [...]”169. Scrive Papu, commentando la lirica
blaghiana:
Qui non ci interessano più le soluzioni, come nella filosofia, ma il fatto in sé, l’irrequietezza che
le precede – come anche la zona profonda dell’essere da dove si alza questa irrequietudine.
L’agnosticismo filosofico diventa meraviglia lirica di fronte ai misteri dell’esistenza [...] Perciò,
la lirica di Blaga riesce effettivamente problematica, ma non intellettualistica, come venne
considerata ad un certo momento, soltanto in base alla concomitanza in lui del filosofo e del
poeta170.
e continua: “Blaga deve essere collocato all’antipode dei poeti cerebrali, i quali,
come Vàlery, mirano a chiarire i loro tormenti senza uscire dalle categorie accettate. Un
tale chiarire distruggerebbe la sostanza stessa della sua lirica, che è la meraviglia”171.
Infine, nel 1989 viene pubblicata una terza antologia monografica, curata da
Marin Mincu e con le traduzioni di Sauro Albisani172, che raccoglie centododici poesie
tradotte (di cui dieci provenienti dai volumi postumi). Il volume presenta anche una
corposa prefazione a cura di Marin Mincu, una tavola cronologica e una postfazione a
cura di Albisani. La prefazione di Mincu si apre così: “Anticiperemo le conclusioni,
dichiarando subito che Lucian Blaga è stato il primo, grande poeta romeno che abbia
saputo coniugare le forme poetiche della tradizione romena con quelle delle avanguardie
europee”173, e continua: “Lucian Blaga rimane il poeta più rappresentativo per quanto
L. Blaga, Nouăzeci de poezii. Novanta liriche, a cura di Mariano Baffi e Edgar Papu, București, Editura
Minerva, 1971.
169
Ibidem, p. 32.
170
Ibid., pp. 32-33.
171
Ibid., p. 33.
172
L. Blaga, I poemi della luce, a cura di Marin Mincu, Sauro Albisani, Milano, Garzanti, 1989.
173
Ibidem, p. 5.
168
pag. 54
riguarda il manifestarsi, in uno spazio strettamente autoctono, di una fra le più notevoli
tendenze rivoluzionarie: la tendenza poetica espressionista”.
La prefazione prosegue con un accurato excursus sul panorama della letteratura
romena aggiornato al 1919, anno del debutto poetico di Lucian Blaga. Mincu sottolinea
quanto le tendenze letterarie europee (l’espressionismo innanzitutto) abbiano dato un
contributo fondamentale alla stilistica di Poemele luminilor174. Citando un passo
autobiografico tratto da Hronicul și cântecul vârstelor, nel quale il poeta ricorda il suo
primissimo impatto con un manifesto espressionista mostratogli da un conoscente a
Vienna, Mincu prosegue nel sottolineare quanto l’influenza dell’espressionismo di
matrice europea e tedesca in particolare avesse contribuito alla “riscoperta organica della
propria ricerca artistica”175. Di fatto l’intero saggio di Mincu si basa sulla premessa che
la critica precedente non avesse accordato sufficiente attenzione al peso dell’influenza
dell’espressionismo sulla poetica blaghiana176 e passa a commentare l’evoluzione
artistica del poeta alla luce di un’analisi che tenga invece conto della centralità di tale
fondamentale influenza: “l’allontanamento totale dal concreto, la spiritualizzazione
estrema del paesaggio, plasticizzato in modo vangoghiano: ecco le coordinate secondo le
quali Blaga aderisce all’espressionismo”177 e continua, commentando il manifesto
mutarsi di tono che, come già si è detto, è percepibile a partire da Pașii profetului per farsi
via via più evidente nei volumi cosiddetti “centrali”:
Partendo inizialmente da una breve fase espressionista, Blaga indossa per di più le ali metafisiche
che nessun poeta espressionista europeo ha avuto; con notevole esemplarità, sia teorica che pratica,
il poeta romeno realizzerà la ‛blaghianizzazione dell’espressionismo’. Essa si configura tramite
l’allontanamento definitivo dal reale; il poeta costruisce un universo immaginario nel quale i
motivi e le figure espressionisti si possono ancora intercettare come delle calamite nascoste,
intorno alle quali si è condensata una materia tangibile, seppure di identità blaghiana, che ha la
funzione di velare e di oscurare la materia iniziale178.
E ancora: “la coscienza poetica e filosofica blaghiana dà un senso nuovo al mondo,
all’esistenza, e alle forme poetiche; il sistema di Blaga rappresenta proprio la
manifestazione dell’espressionismo in una esperienza culturale e artistica massima”179.
174
Ibid., p. 6.
Ibid., p. 11.
176
Ibid., p. 6.
177
Ibid., p. 21.
178
Ibid., p. 25.
179
Ibid., p. 26.
175
pag. 55
Nel 1996 M. Cugno pubblica la ricchissima antologia La poesia romena del
Novecento che include, oltre a un profilo biobibliografico di Lucian Blaga180, ben
ventidue poesie tradotte dallo stesso Cugno con testo a fronte181. In particolare, Cugno
esplora le categorizzazioni che sono state assegnate alla poesia blaghiana nel corso della
ricezione critica della sua opera, sostenendo che “la definizione che Lovinescu aveva dato
del modernismo appare restrittiva se riferita a Blaga, il cui modernismo, di matrice
espressionista, non poteva rientrare, a rigor di termini, in tale corrente”182, per poi
sottolineare che lo stesso Lovinescu, infine, aveva optato per “una collocazione
[dell’opera di Blaga, ndA] nell’ambito della «poesia tradizionalista»”183. Cugno riporta
poi le parole dello stesso Blaga, che, in un’intervista concessa a I. Valerian nel 1926184
sosteneva che non fosse possibile eludere il modernismo in quanto fenomeno tipico di
quell’epoca: “il modernismo non è un fenomeno locale, ma una caratteristica della nostra
epoca, del ritmo contemporaneo della vita. In questo concerto ogni poeta ha portato
qualcosa di suo”185. Il breve – ma molto denso – paragrafo prosegue con una piccola
panoramica in senso diacronico dell’evoluzione e della maturazione della poetica
blaghiana:
In concomitanza con il distacco dall’esperienza compiuta nelle prime due raccolte (che Blaga
tendeva a considerare meno importanti rispetto alla fase successiva rappresentata da Nel grande
passaggio e Lode del sonno), la visione di Blaga, caratterizzata inizialmente da un dionisiaco
vitalismo nietzschiano-espressionista pervaso di cosmicità e di assoluto, va ora modellandosi su
nuove coordinate, recuperando uno spazio ancestrale, mitico, pervaso anch’esso di cosmicità e di
assoluto, ma, si potrebbe dire, di segno opposto: è quella che il poeta definirà «la metafisica del
villaggio»186.
Di tutte le antologie citate, quella di Cugno, che appare più di due decenni dopo
quella di Guția, è l’antologia che esplora in maniera più approfondita (seppur brevemente,
data la sua stessa natura di antologia) l’evoluzione della poetica blaghiana. Gli anni
180
Cugno, La poesia romena, cit. pp. 474-476.
Eu nu strivesc corola de minuni a lumii, Lumina, Noi și pământul, Liniște, Pan, Înfrigurare, În lan,
Strigăt în pustie, Moartea lui Pan, Către cititori, Călugărul bătrân îmi șoptește din prag, Sufletul satului,
Noi, cântareții leproși, Amintire, Biografie, Peisaj transcendent, Perspectivă, Încheiere, Rune, Epitaf,
Vârsta de fier, ibidem, pp. 119-147.
182
Ibid., p. XXVIII.
183
Ibid., p. XXVIII.
184
Ibid., pp. XXVIII-XXIX.
185
Ibid., p. XXIX.
186
Ibid., p. XXIX.
181
pag. 56
successivi alla pubblicazione dell’antologia di Cugno hanno, purtroppo, rilevato, in Italia,
un minore interesse nei confronti dell’opera di Lucian Blaga, e non si segnalano ulteriori
contributi rilevanti.
2. Le Digital Humanities in Romania
Come abbiamo già avuto modo di vedere nel primo capitolo (cfr. pp. 10-19), i
lavori di Corpus stylistics soprattutto in ambito accademico anglosassone abbondano già
da diversi decenni e gli specialisti hanno individuato e perseguito svariate direzioni di
ricerca.
Da un lato, infatti, abbiamo il lavoro di Franco Moretti e del suo gruppo dello
Stanford Literary Lab, che, come leggiamo sul sito ufficiale, è “a research collective that
applies computational criticism, in all its forms, to the study of literature” 187. Il distant
reading così come concepito da Moretti va a considerare, come già si è detto, moli
impressionanti di dati che sarebbero impossibili da osservare per un singolo interprete
umano. Si tratta di un vero e proprio studio dei big data, in quanto l’oggetto della critica
morettiana (e di tutti quegli studiosi che lavorano seguendo e ulteriormente sviluppando
il suo esempio) è la paraletteratura, ovvero tutto quanto può avere a che fare con generi,
tendenze, ondate, ricezione critica, span vitale di un determinato stile/genere ecc. Si tratta
di ricerche effettuate a un altissimo livello di astrazione.
Dall’altro lato abbiamo invece lavori di analisi linguistico-stilistica dei corpora
che si occupano di studiare, con l’ausilio degli strumenti digitali, un corpus più ristretto
o addirittura all’interno di un singolo testo, e che quindi prendono in considerazione
quantità di dati decisamente più accessibili a un osservatore umano. Un esempio per tutti
può essere il lavoro di Bettina Fischer-Starcke del 2009, dedicato all’analisi quantitativa
delle parole chiave all’interno del romanzo Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen,
mirante a individuare precisi pattern stilistici associati, in particolare, ai campi semantici
collegati allo spettro delle emozioni.
187
Cfr. https://litlab.stanford.edu/.
pag. 57
Secondo l’autrice “Corpus linguistic analyses reveal meanings and structural
features of data, that cannot be detected intuitively […] fiction texts have only rarely been
analysed by corpus linguistic techniques188” e ancora “corpus stylistics analyses reveal
literary meanings of the data that are left undetected by the intuitive analyses of literary
criticism”189. Il suo lavoro, dunque, nasce dall’unione della linguistica dei corpora e della
stilistica, allo scopo di identificare “linguistic patterns which encode the text’s poetic
function and those literary meanings of the text which are intuitively imperceptible”190.
Il lavoro di Fischer-Starcke è solo uno dei più rappresentativi all’interno di una pletora di
lavori che sono nati con premesse simili (cfr. Cap. I), in particolare – forti anche della
presenza di numerosi strumenti di analisi progettati per la lingua inglese – in area
anglofona.
Diverso il discorso per quanto riguarda la stilistica dei corpora applicata a
letterature in lingue diverse dall’inglese, tra cui quella romena, nostro specifico ambito di
interesse. Attualmente, l’approccio digitale allo studio della letteratura romena è ancora
assai poco praticato, anche a causa della mancanza di solidi strumenti digitali di analisi
linguistica. Della questione si occupano Roxana Patraș e il suo team, che, in un articolo
esaustivo sull’argomento, scrivono “we could spot 2014 as a moment of emergence for
Romanian DH studies, more notably, in the field of literary studies”191. Le effettive
difficoltà di chi si occupa di studi letterari di stampo quantitativo-digitale in territorio
romeno sono da ricercare, secondo il team di Patraș, innanzitutto nella sostanziale
mancanza di risorse letterarie digitalizzate e nel costo proibitivo di software che possano
coadiuvare alla creazione di corpora di riferimento192. Con l’eccezione del corpus romeno
CoRoLa, infatti, che comprende anche contributi di natura letteraria, gli altri corpora
romeni (ROCO, ROMBAC ecc.) sono adatti a indagini di carattere linguistico e non
letterario193.
Bettina Fischer-Starcke, Keywords and frequent phrases of Jane Austen’s Pride and Prejudice. A
corpus-stylistics analysis, in “International Journal of Corpus Linguistics”, 14:4, 2009,p. 492.
189
Ibidem, p. 492.
190
Ibid., p. 493.
191
Roxana Patraș, Ioana Galleron, Camelia Grădinaru, Ioana Lionte, Lucreția Pascaru, The Splendors and
Mist(eries) of Romanian Digital Literary Studies: A State-of-Art just before Horizons 2020 closes off, in
“Hermeneia”, 23/2019, p. 209.
192
Ibidem, pp. 214-220.
193
R. Patraș, Hajduk Novels in the Nineteenth-Century Romanian Fiction: Notes on a Sub-Genre, in
“Swedish Journal of Romanian Studies”, Vol. 2 nr. 1, p. 29, 2019.
188
pag. 58
D’altra parte, come ha rilevato Mihaela Ursa, “maybe the first difficulty in
implementing intermedial study in Romania is the traditional lack of approval, within
academic and scholarly media, of both theory and method”194. Secondo Patraș, dallo
studio di Ursa emerge una diagnosi precisa della difficile ricezione in ambito romeno
delle metodologie legate alle DH: “giving a very exact diagnosis, Ursa remarks that DH
advent occurred in a moment when the Romanian culture and implicitly Romanian studies
have not done with old feuds”195. Gli studi in campo DH, in sostanza, vengono di
preferenza svolti in squadre – spesso di carattere multidisciplinare – caratteristica che
contrasta con l’abitudine al lavoro individuale. “In other words”, continua Patraș,
“Romanian researchers tend to prefer to be lone wolves”196. Conclude infine la studiosa:
In a nutshell, DH‘s emergence in the Romanian academic discourse is streamlined mainly via
literary studies and fashions itself from a discursive polemical-theoretical angle rather than as an
actual field of study. Truth is that recent developments of DH come with a high cost for those who
decide to undertake research projects that involve data analysis. Most certainly, engaging in DH
is not a profitable career choice, considering the amount of unrewarded preparatory work it asks
for. To put it in a simple way, much effort and patience appears to be needed before being able to
start producing interesting results, to such an extent that some may wonder if the entire endeavor
is worthwhile, and if we are not finally moving mountains to give birth just to a small mouse 197.
Nonostante le difficoltà tecniche e gli ostacoli già elencati, tuttavia, in Romania
sono già ben avviati studi orientati verso l’approccio quantitativo già delineato da Franco
Moretti198, che osservano, più che il singolo testo, i grandi fenomeni paraletterari. È il
caso del lavoro di Andrei Terian, che, in uno studio del 2019199 propone un’analisi
quantitativa dello sviluppo del romanzo in Romania (nel suo studio, Terian specifica che
con “Romania” intende esclusivamente il territorio compreso fra i confini attuali)200.
Degni di nota sono anche gli studi relativi al nuovissimo (è stato istituito nel 2019) HAI-
194
Mihaela Ursa, Is Romanian Culture ready for the digital turn?, in “Metacritic Journal for Comparative
Studies and Theory” 1 (1), 2015, p. 89.
195
Patraș, The splendors, cit. p. 2014.
196
Ibidem, p. 2014.
197
Ibid., p. 2014.
198
Si tratta tuttavia di corpora meno estesi rispetto a quelli utilizzati da Franco Moretti.
199
Andrei Terian, Big Numbers. A quantitative Analysis of the Development of the Novel in Romania, in
“Transylvanian Review”, Vol. XXVIII, nr. 1, 2019.
200
L’analisi di Terian considera sia i romanzi “autoctoni” che quelli tradotti in lingua romena e tiene conto
solo dell’effettiva data di pubblicazione, anche nel caso di romanzi postumi o pubblicati molti anni dopo la
stesura. Allo stesso modo, Terian prende in considerazione soltanto le prime edizioni. Lo studioso poi
confronta, grazie a dei grafici, l’andamento delle due “linee” oggetto di studio, ovvero l’andamento del
romanzo autoctono e l’andamento del romanzo tradotto, giungendo a conclusioni decisamente interessanti.
pag. 59
RO project201, coordinati dalla già nominata squadra di Roxana Patraș presso l’Università
„A.I. Cuza” di Iași, che si occupano di analisi quantitative ispirate ai concetti morettiani
su un corpus di romanzi di avventura dedicati agli haiduci202 e che comprende opere
pubblicate tra il 1850 e il 1950203.
Latitano ancora, tuttavia, studi di stampo digitale e quantitativo che, come il
presente lavoro, si concentrino su corpora di dimensioni contenute, su un solo autore o
addirittura su una sola opera, utilizzando non tanto i metodi del distant reading quanto un
approccio “a media distanza” o “a distanza variabile”, integrando i dati quantitativi con
sostanziali analisi di stampo qualitativo ad opera dell’interprete umano. Il tipo di lavoro
che si affronta in questa sede è quindi, almeno nell’ambito della letteratura romena,
inedito, non potendo giovarsi dei risultati di esperienze similari (a parte quelle, ancora
“analogiche” e parziali, ricordate nel cap. 2 paragrafo 1.1) e pionieristico, nel senso che
si basa sull’uso di strumenti tecnologici atti a coadiuvare ricerche di questo tipo che
ancora non sono ideali per le necessità di chi lavora su testi in lingua romena.
Per quanto riguarda gli studi specifici sulla poesia di Blaga, non esistono ancora
né concordanze complete né studi basati su tali o analoghi strumenti di sistematizzazione
e analisi del testo letterario. Esiste al momento soltanto il primo di quella che intendeva
essere una serie di dizionari linguistici dedicati a ciascuna delle raccolte poetiche di
Blaga. Il dizionario esistente, basato solo sulla prima raccolta poetica dell’autore
(Poemele luminii, 1919), è stato pubblicato nel 2004 da Mihail Zissu204 alla fine – secondo
quanto dice dall’autore – di diciotto anni di lavoro. Scrive Zissu nella nota introduttiva:
[…] abbiamo deciso di presentare ogni lessema innanzitutto con alcune precisazioni di ordine
grammaticale di modo che l’analisi semantica possa basarsi su una solida e precisa comprensione
logica. Allo stesso modo, ci siamo sforzati di far sì che ogni parola presente all’interno del
dizionario sia inclusa in un microtesto dal quale risultino le nostre considerazioni senza che si
renda necessaria l’immediata consultazione del volume e della poesia alla quale il microtesto si
riferisce205.
201
Vedi https://proiectulbrancusihairo.wordpress.com/
Fuorilegge che tradizionalmente si nascondono nella foresta e che, come Robin Hood, rubano ai ricchi
per dare ai poveri.
203
Patraș, The splendors, cit. pp. 213-214.
204
Mihai Zissu, Dicționarul Limbii Poetice a lui Lucian Blaga. Poemele luminii, Constanța, Editura
Europolis, 2004.
205
Ibidem, p. 3. “[...] am convenit să prezentăm fiecare lexem mai întâi cu precizări de ordin gramatical
pentru ca analiza semantică să pornească de la o foarte exactă și solidă înțelegere logică. Ne-am străduit,
de asemenea, ca fiecare cuvânt din dicționar să fie inclus într-un microtext din care să rezulte considerațiile
202
pag. 60
Il dizionario, come si vede dalla Fig. 1, che ne mostra la pagina 508, si presenta come un
inventario di forme e contesti che poco contribuiscono a stimolare nuove prospettive di
analisi (né tanto meno collocarsi nel campo delle DH).
Fig. 1
Al momento solo pochi autori di grande rilevanza dispongono di concordanze206:
apripista e modello per le poche opere analoghe successive è il dizionario della lingua
poetica di Mihai Eminescu207, elaborato da Tudor Vianu nel 1968 con metodi
“tradizionali”, cui si è andato ad affiancare molto più recentemente il dizionario del
ce le facem, fără a fi nevoie de consultarea imediată a volumului, a poemului, către care microtextul face
trimitere”.
206
Pur non trattandosi di vera e propria analisi quantitativa né di un volume di concordanze vale qui la pena
nominare anche il lavoro del matematico e criptologo Ilie Torsan, che ha applicato le sequenze di Fibonacci
alle poesie di alcuni autori romeni e ha analizzato i loro versi da un punto di vista statistico. V. I. Torsan,
Mihai Eminescu, G. Coșbuc, V. Alecsandri, T. Arghezi, I. Barbu, A. Păunescu, G. Bacovia, R. Gyr.
Comparații statistico-informaționale, București, Editura Universitară, 2009.
207
T. Vianu, Dicționarul limbii poetice a lui Eminescu, București, Editura Academiei R. S. R, 1968.
pag. 61
poemetto Luceafărul208, preparato da R. Marian e V. Șerban nel 2007 con l’ausilio di
strumenti informatici. Tra i pochi altri strumenti esistenti, il volume di pubblicazione più
recente (ma frutto di un progetto in corso da vari anni) è il dizionario del linguaggio
poetico di Octavian Goga (2013)209, di elaborazione e formato tradizionale, preceduto dai
primi due volumi di un dizionario del lessico argheziano (2004)210 e dalle concordanze
dell’opera poetica di George Bacovia (1999)211 e delle poesie romene di Beniamin
Fundoianu/Benjamin Fondane (1999) elaborate e pubblicate alla fine degli anni Novanta
da un collettivo dell’Università di Cluj-Napoca212.
Questi due volumi di concordanze, ispirati alla tradizione italiana della stilistica
del testo, rappresentano il primo segnale di un interesse collettivo e non individuale
rivolto a studi di stampo quantitativo e svolti grazie all’ausilio di strumenti tecnologici e
digitali. Tuttavia, la strada aperta dal centro di Cluj condotto da Papahagi sembra non
essere stata ulteriormente battuta da altri studiosi, e, dopo un gap di una quindicina d’anni,
in Romania l’interesse per l’analisi digitale è tornato a farsi sentire, come afferma Patraș,
solamente a partire dal 2014. In maniera forse naturale, poi, gli studi più recenti di critica
e storia letteraria tendono, almeno in questa fase iniziale, ad aderire maggiormente al
trend del distant reading di ascendenza morettiana. Attualmente, invece, le analisi di tipo
stilistico operate con strumenti digitali che prendano in considerazione un connubio tra
dati quantitativi ed interpretazione qualitativa, soprattutto applicate a corpora di
dimensioni contenute o riferiti a un solo autore (o ancora, corpora di dimensioni contenute
che mettano a confronto pochi autori che spartiscono caratteristiche in comune, come
potrebbero essere Lucian Blaga e George Bacovia, che condividono il periodo di debutto
e di attività poetica) sembrano essere ancora assenti anche, come si è visto, a causa di una
mancanza di strumenti di supporto sufficientemente raffinati per le analisi sulla lingua
romena.
Rodica Marian, Felicia Șerban, Dicționarul Luceafărului Eminescian, București, Editura Ideea
Europeană, 2007.
209
Gheorghe C. Moldoveanu, Dicționarul limbajului poetic al lui Octavian Goga, București, Editura
Academiei Române, 2013.
210
Simona Constantinovici, Dicționar de termeni arghezieni, Brașov, Aula Magna, 2004.
211
Marian Papahagi, Concordanța poeziilor lui George Bacovia, Cluj-Napoca, Editura Echinox, 1999.
212
M. Papahagi, S. Cherata, E. Tămăianu, T. Vușcan, Concordanța poeziilor lui B. Fundoianu, ClujNapoca, Editura Echinox, 1999.
208
pag. 62
PARTE II
pag. 63
INTRODUZIONE:
COSTITUZIONE E PREPARAZIONE DEL CORPUS
1. L’edizione critica utilizzata
L’edizione utilizzata come base di partenza per la creazione del corpus analizzato
con Sketch Engine è l’edizione Minerva nel 1974 curata da Dorli Blaga (v. sopra). Nello
specifico sono stati utilizzati i primi due volumi, che contengono il I le poesie cosiddette
antume (ovvero pubblicate in vita), la cui raccolta e ordinamento rispettano la volontà
ultima espressa dal poeta ancora in vita, e il II le poesie postume. Questa edizione mira
esplicitamente a restituire al lettore la visione complessiva – e quindi in un certo senso
“sincronica”, o meglio, “atemporale” – che Blaga stesso aveva della propria opera poetica
osservandola retrospettivamente nel momento dell’approssimarsi della sua conclusione,
rispettando rigorosamente l’organizzazione che questi ne aveva dato negli ultimi anni,
espungendo alcuni testi o mutandone l’ordine rispetto ai sommari originali delle raccolte
antume ovvero introducendo modifiche o varianti rispetto ai testi originalmente
pubblicati.
La curatrice ha restituito al pubblico nella sua interezza anche la seconda parte
dell’attività poetica del padre, quella “sommersa” degli anni dell’interdizione,
pubblicando nel II volume una serie di testi inediti selezionati e organizzati da Blaga
stesso, in vista di una eventuale pubblicazione, in cicli “definitivi”, intitolati Vârsta de
fier (L’eta di ferro), Corabii cu cenușa (Vascelli di cenere), Cântecul focului (Il canto del
fuoco) e Ce aude unicornul (Ciò che ode l’unicorno), ai quali si aggiungono numerosi
altri testi „sciolti” ritrovati negli archivi del poeta, raccolti dalla curatrice nel ciclo
Mirabila sămânță (La mirabile semente; titolo scelto della curatrice) e in una Addenda
miscellanea, contenente poesie incompiute e/o prive di data213. Quindi, come nel caso
delle poesie antume, come la stessa Dorli Blaga esplicita nella nota introduttiva al II
volume, anche per i cicli postumi l’organizzazione dei testi non rispetta l’ordine di
scrittura: “la successione dei cicli non è cronologica, poiché il raggruppamento delle
213
Blaga, L., 1974, Opere. Vol. II, a cura di Blaga, D., București, Editura Minerva, cfr. Pp. V-VI.
pag. 64
poesie è stato fatto dall’autore per tutti e quattro i cicli contemporaneamente. Nemmeno
l’ordine delle poesie all’interno di ognuno dei cicli è cronologico, appartenendo ancora
all’autore”214.
2. La preparazione del corpus
In prima battuta, il testo dell’edizione cartacea Minerva è stato digitalizzato
tramite scannerizzazione, quindi trasformato in testo in formato digitale attraverso uno
strumento di analisi e riconoscimento ottico dei caratteri (OCR - Optical Character
Recognition), il quale è stato corretto manualmente e adattato al formato richiesto da
Sketch Engine per essere operabile.
Poiché l’edizione Minerva non rispetta la cronologia originale dei testi, per
rendere il corpus adatto allo studio delle variazioni stilistiche nella poesia di Blaga anche
a livello diacronico si è resa necessaria la ricostruzione della cronologica dei testi,
supportata dalla lista delle date di prima pubblicazione e/o stesura di quasi tutte le
postume fornita da Dorli Blaga in appendice al II volume delle poesie. Dunque, le
postume sono state raggruppate in tre grandi corpora: quelle scritte nel corso degli anni
’40 (36 testi), quelle scritte a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 (47 testi) e infine quelle scritte
a cavallo degli anni ’50 e ’60, e che rappresentano il sottocorpus più esteso in assoluto
con 158 testi. Ci sono poi 15 testi privi di data e spesso lasciati incompiuti, che sono stati
appunto raggruppati in un sottocorpus sotto il titolo di “Postume senza data”. Per lo tesso
motivo si è proceduto a ripristinare nell’ambito cronologico originale dei volumi antumi
le poesie pubblicate postume ma scritte durante la stesura di questi volumi così come
quelle effettivamente pubblicate in volume ma poi espunte dall’organizzazione definitiva
progettata da Blaga poeta. Questa operazione “eretica” rispetto alla volontà autoriale di
Blaga è giustificata dalla necessità di poter osservare con un taglio diacronico preciso il
farsi e il divenire dello stile blaghiano, in parte offuscato dall’opera di sistemazione a
posteriori operata da Blaga stesso.
214
Ibid., cit. p. VII. “Succesunea ciclurilor nu este cronologică, deoarece gruparea poeziilor s-a făcut de
către autor concomitent pentru toate patru ciclurile. Ordonarea poeziilor în fiecare ciclu în parte, aparținînd
tot autorului, nu este nici ea cronologică”.
pag. 65
In questo modo, a Poemele luminii sono state aggiunti sette testi (Pe țărm, Noapte,
Odă unui rând de haine nouă, Ecce homo!, Fata Morgana, Cerul e Și totuși), a Pașii
profetului ne sono stati aggiunti quindici (Flăcări, Lume!, Pe ruina unui templu, Zorile,
Isus și Magdalena, Ursitoarea mea, Luceafărul, Fluturii de noapte, Luna, Zalmoxe,
Ecourile, Resignare, Copii, Lacrima și raza e Pașii profetului), a În marea trecere ne
sono stati aggiunti cinque (Corni vechi se scutură de rod, Vară nouă, Mă odihnesc lângă
o piatră de hotar, Munca e Piatra vorbește) e infine, a Lauda somnului ne sono state
aggiunti quattro (Cântare pentru trecut, În mănâstire de munte, Lot e Făgăduinți prin
flăcări).
Il corpus dell’intera opera poetica di Blaga così riorganizzato è stato infine
caricato su Sketch Engine, come insieme e come sottocorpora progressivamente più
specifici: un sottocorpus di poesie antume e uno di poesie postume, e poi un sottocorpora
individuale per ciascuno dei volumi antumi e dei cicli postumi, ricostruiti come detto
sopra. Occorre precisare che i sottocorpora delle antume sono in genere di dimensioni più
contenute (in particolare i volumi centrali) rispetto a quelli delle postume (in particolare
quello delle poesie scritte negli anni ’50-’60).
Qui di seguito la consistenza del corpus complessivo e quella dei vari
sottocorpora, con indicazione del numero di testi e numero di token da cui sono composti:
Opera completa: 471 testi, 43019 token;
Corpus antumo: 215 testi, 21625 token;
Corpus postumo: 256 testi, 21394 token;
Poemele luminii (1919): 46 testi, 3641 token;
Pașii profetului (1921): 32 testi, 4513 token;
În marea trecere (1924): 32 testi, 3506 token;
Lauda somnului (1929): 29 testi, 3237 token;
La cumpăna apelor (1933): 23 testi, 1801 token;
La curțile dorului (1938): 26 testi; 2054 token;
Nebănuitele trepte (1943): 27 testi, 2873 token;
Postume anni ‛40: 36 testi, 2847 token;
Postume anni ‛40 e ‛50: 47 testi, 4294 token;
Postume anni ‛50 e ‛60: 158 testi, 13123 token;
Postume senza data: 15 testi, 1130 token.
pag. 66
Si precisa infine che si è scelto, nelle note esplicative, di riportare i testi poetici
citati utilizzando in prima istanza le traduzioni di Rosa Del Conte 215, considerate le
traduzioni in italiano più aderenti al testo in romeno e che possono meglio aiutare il lettore
a scorgere le originali intenzioni del poeta. In mancanza di testi di Del Conte, verranno
utilizzate le traduzioni di Marco Cugno216, Sauro Albisani217 e Mariano Baffi218. In
mancanza di traduzioni in italiano dei testi citati (frequente nel caso delle postume) le
traduzioni sono dell’autrice del presente lavoro e inserite tra parentesi quadre.
215
Del Conte, R., 1971, La lirica di Lucian Blaga, Roma, Lerici editori.
Cugno, M., 1996, La poesia romena del Novecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
217
Blaga, L., 1989, I poemi della luce, a cura di Mincu, M., e Albisani, S., Milano, Garzanti.
218
Blaga, L., 1971, Nouăzeci de poezii. Novanta liriche, a cura di Baffi, M., București, Editura Minerva.
216
pag. 67
CAPITOLO 1
IL VERBO: I CASI DI A VEDEA E A PRIVI
Și nimeni nu te vede astfel cum te văd eu?219
1. Il lavoro di Alexandra Indrieș: orizzonti semi-condivisi
Il già citato lavoro svolto da Alexandra Indrieș220 è, come si è detto, preciso e
meticoloso, soprattutto se si considera che la studiosa ha effettuato manualmente i calcoli
che oggi, pur con alcune oggettive difficoltà e rallentamenti dovuti alle imperfezioni degli
strumenti digitali attualmente a disposizione e che talvolta rallentano non di poco lo
svolgimento del lavoro, rendendolo più accidentato e meno fluido, possiamo affidare
all’intelligenza elettronica. Quello di Indrieș è un lavoro che ha costituito un’ottima base
di partenza per le presenti riflessioni sulla questione della funzione e dell’utilizzo del
verbo nell’opera blaghiana. L’obiettivo della nostra ricerca è infatti quello di approcciare
il corpus poetico blaghiano con modalità se non del tutto inesplorate, almeno originali e
che offrano come risultato nuovi spunti di riflessione. Indrieș si era concentrata
esclusivamente sulla componente verbale del corpus, ottenendo un lavoro esaustivo ma
anche di mole non indifferente, e battendo la stessa via si sarebbe ottenuto un risultato
non meno imponente, che avrebbe tuttavia ridotto lo spazio e le risorse a nostra
disposizione. Si è dunque scelto un case study specifico da esaurire per poi passare oltre,
concentrando gli sforzi su altre questioni.
1.1. Studio dei verbi più frequenti all’interno del corpus
Sketch Engine permette di effettuare diversi tipi di interrogazione al corpus o ai
sottocorpora in esame. Tra questi strumenti figura quello delle Wordlist, ovvero le liste
di frequenza, che permettono immediatamente di osservare quali (in questo specifico
Mihai Eminescu, [Când te-am văzut, copilă, treceai așa frumoasă…], in Versuri din Manuscrise, a cura
di Both, I., e Cioaba, C., București, Humanitas, 2015, p. 82.
220
A. Indrieș, Sporind a lumii taina, di cui si è parlato a pp. 42.
219
pag. 68
caso) verbi vengano utilizzati più frequentemente nell’intero corpus o in sottocorpora
specifici. La prima cosa da fare è stata quella di escludere dalla ricerca (per ovvie ragioni)
i verbi ausiliari a avea (avere) e a fi (essere), che costituivano già da soli la stragrande
maggioranza delle occorrenze verbali e comparivano in cima alle liste di frequenza di
ogni corpus. Si è altresì scelto di escludere il verbo a vrea (volere), in quanto in lingua
romena viene utilizzato per la formazione del futuro letterario (soggetto+verbo
volere+infinito) e dunque le numerose occorrenze (che quasi sempre nelle liste di
frequenza compaiono al terzo posto immediatamente dopo a avea e a fi) non avrebbero
rappresentato un elemento sufficientemente affidabile a meno di non essere vagliate una
a una per distinguere l’accezione specifica di ogni occorrenza (cosa che il software non è
in grado di fare autonomamente).
Si è poi proseguita l’analisi chiedendo al software di trovare le liste di frequenza
di tutti i verbi (esclusi i tre succitati) dell’intero corpus poetico che avessero almeno 5
occorrenze, e dai risultati ottenuti sono stati ulteriormente selezionati i 5 verbi più
frequenti:
Fig.1
A VEDEA
(VEDERE)
INTERO CORPUS 128
A VENI
(VENIRE)
101
A STA
(STARE)
97
A ȘTI
(SAPERE)
A CĂDEA
(CADERE)
94
82
In fig. 1 vediamo i 5 verbi più frequenti all’interno del corpus, esclusi i verbi ausiliari e il
verbo a vrea.
pag. 69
Risulta che il verbo più frequente nel corpus poetico di Lucian Blaga è a vedea
(vedere) con 128 occorrenze totali221, suddivise in 51 occorrenze antume e 77 occorrenze
postume, seguito da a veni (venire), a sta (stare), a ști (sapere) e a cădea (cadere),
esattamente come rilevato da Alexandra Indrieș.
Si è poi effettuato lo stesso tipo di interrogazione sui singoli sottocorpora
rappresentanti i diversi volumi pubblicati in vita e sui sottocorpora rappresentanti i gruppi
di poesie postume re-organizzate in ordine cronologico, ma, questa volta, date le
dimensioni ridotte dei sottocorpora, è stato eliminato il filtro che prevedeva di mostrare
solo i verbi che avevano più di 5 occorrenze.
Fig. 2
Fig. 3
PP
PL
A VEDEA
(VEDERE)
18
A SIMȚI
(SENTIRE)
14
A ȘTI
(SAPERE)
A VENI
(VENIRE)
A PUTEA
(POTERE)
13
A AUZI
(UDIRE)
13
A AUZI
(UDIRE)
10
A CĂDEA
(CADERE)
A STRIGA
(URLARE)
10
A PRIVI
(GUARDARE)
Fig. 4
18
11
10
9
Fig. 5
ÎMT
A VENI
(VENIRE)
14
A TĂCEA
(TACERE)
10
A CĂDEA
(CADERE)
LS
A UMBLA
(CAMMINARE)
18
A VEDEA
(VEDERE)
8
A FACE
(FARE)
8
8
9
A ȘTI
(SAPERE)
8
A TRECE
(PASSARE)
A TRECE
(PASSARE)
8
A DESCHIDE
(APRIRE)
221
7
Il corpus è di dimensioni troppo modeste per avere un reale discrimine tra i numeri di rango del verbo,
dunque tale valore non potrà essere preso in considerazione nella nostra ricerca.
pag. 70
Fig. 6
Fig. 7
LCA
A CĂUTA
(CERCARE)
LCD
A CĂDEA
(CADERE)
13
A STA
(STARE)
A UITA
(DIMENTICARE/GUAR…
10
A DA
(DARE)
6
6
A PUTEA
(POTERE)
5
5
A PURTA
(PORTARE)
5
A AȘTEPTA
(ASPETTARE)
A INCHIDE
(CHIUDERE)
5
A SCUTURA
(SCUOTERE)
Fig. 8
6
4
Fig. 9
NT
P40
A ȘTI
(SAPERE)
11
A VEDEA
(VEDERE)
15
A VEDEA
(VEDERE)
6
A PUTEA
(POTERE)
10
A STA
(STARE)
6
A STA
(STARE)
10
A ARDE
(BRUCIARE)
6
A IEȘI
(USCIRE)
A UITA
(DIMENTICARE/GUAR…
A LĂSA
(LASCIARE)
5
Fig. 10
5
Fig. 11
P4050
A VEDEA
(VEDERE)
15
A ȘTI
(SAPERE)
A DUCE
(CONDURRE)
6
13
11
P5060
A VEDEA
(VEDERE)
43
A FACE
(FARE)
36
A VENI
(VENIRE)
32
31
A CĂDEA
(CADERE)
10
A STA
(STARE)
A VENI
(VENIRE)
10
A TRECE
(PASSARE)
pag. 71
29
Fig. 12
PSD
A SPUNE
(DIRE)
8
A ȘTI
(SAPERE)
7
A STA
(STARE)
6
A FACE
(FARE)
A LOCUI
(ABITARE)
4
3
Come ben si evince dai grafici (dalla figura 2 alla 12), a vedea (evidenziato in
rosso scuro per permettere un più agevole colpo d’occhio), pur essendo il verbo in
assoluto più frequente nel corpus intero, non sempre è presente tra i cinque verbi più
frequenti nei diversi sottocorpora. A vedea è al primo posto in Poemele luminii per poi
“sparire” dai restanti grafici dei cinque verbi più frequenti nei volumi di poesie antume e
ricomparire nelle prime posizioni dei sottocorpora di poesie postume, segnando un
andamento che, come vedremo in seguito, caratterizza anche altri aspetti legati al verbo
a vedea che prenderemo successivamente in considerazione.
In base ai risultati ottenuti si è ristretto il campo di analisi solamente al verbo a
vedea, per poi ampliare nuovamente ˗ in parte ˗ l’orizzonte solo per includere, dopo
attenta riflessione, anche un altro verbo legato alla vista (a privi, guardare, che conta 45
occorrenze nell’intero volume, suddivise in 24 occorrenze antume e 21 postume) e il
relativo campo semantico, costituito non solo da verbi ma anche da aggettivi e sostantivi.
pag. 72
2. Premesse sul lavoro
Una volta individuato l’obiettivo sul quale concentrare gli sforzi, si è cercato di
dare alla ricerca più oggettività possibile, seguendo in parte il filo rosso del pensiero di
Indrieș, che sottolinea come lo “studiare gli elementi lessicali significa studiare i termini
di una cifra, di un codice […]”222. Senza la pretesa di voler donare alla poesia una
scientificità (e, se vogliamo, anche un po’ di asetticità) assoluta, e tenendo sempre bene
a mente il fatto che il presente lavoro è pur sempre destinato a essere accompagnato da
una riflessione intuitiva di stampo umanistico “alla vecchia maniera”, si sono convertite
le occorrenze di a vedea e di a privi in percentuali che potessero rendere maggiormente
eloquenti i risultati delle interrogazioni del corpus.
Una volta ottenuti i dati “ripuliti” dagli errori e dalle occorrenze verbali da non tenere in
considerazione, si è effettuato il calcolo e si è ottenuto un grafico che mostra la presenza
percentuale dei due verbi presi in esame in senso diacronico. In seconda battuta si è
ulteriormente deciso di utilizzare come valore di riferimento il numero di poesie (invece
di altri dati come potrebbe essere ad es. il numero di caratteri o di lemmi) di ogni singolo
volume, allorché non sembra esserci una variazione media significativa (in senso
diacronico) della lunghezza dei testi: si tratta di un valore che non subisce variazioni
importanti o rappresentative in senso cronologico. Dunque, il secondo calcolo percentuale
si è questa volta concentrato sul verificare in quante poesie compaiono i due verbi in
esame in rapporto al numero di poesie contenute in ogni singolo corpus. Da qui in poi ci
riferiremo al primo tipo di percentuale chiamandola “occorrenza verticale” (in quanto
tiene conto di ogni singola occorrenza di un determinato item, anche se quest’ultimo
compare più volte all’interno di un testo) e al secondo tipo di percentuale chiamandola
“occorrenza orizzontale” (in quanto se un determinato item compare più di una volta
all’interno di un testo viene conteggiato come uno).
Ibidem, pp. 16-17, “A studia elementele lexicale inseamnă a studia termenii unui cifru, ai unui cod”, A.
Indrieș, Sporind a lumii taină.
222
pag. 73
2.1. Misura
Fig. 13
Lineare (A VEDEA)
Lineare (A PRIVI)
1,39
0,69
0,91
1,84
1,64
1,64
0
0,25
0,86
0,86
0,88
0,66
1,37
1,77
0,99
2,88
2,95
A PRIVI
2,53
A VEDEA
0,59
3,59
4,57
PERCENTUALE OCCORRENZE RISPETTO ALLE
OCCORRENZE TOTALI DI OGNI VERBO
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
PSD
In fig. 13 vediamo la percentuale di occorrenza in senso diacronico dei verbi a vedea e a
privi e le rispettive linee di tendenza223.
Fig. 14
PERCENTUALE DI UTILIZZO
(NUMERO DI POESIE IN CUI COMPAIONO)
A privi
Lineare (A vedea)
Lineare (A privi)
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
NT
22,15
P40
P4050
P5060
6,66
6,69
13,33
19,14
8,33
LCD
6,38
18,51
8,69
4,34
3,44
8,69
12,12
9,09
15,38
15,38
20,68
19,35
22,58
30,43
30,55
A vedea
PSD
La fig. 14 ci mostra la percentuale di poesie all’interno delle quali compaiono almeno
una volta a vedea e/o a privi, e le rispettive linee di tendenza.
La linea di tendenza (o trendline) è una retta che, all’interno di un grafico, unisce due o più punti di
massimo o di minimo ed è utilizzata per mettere in evidenza la direzione generale di una data tendenza.
In questa nostra analisi la linea di tendenza è utile per osservare come i dei due verbi siano stati utilizzati
in senso diacronico.
223
pag. 74
2.2. Interpretazione
Osservando il grafico in fig. 13 scopriamo innanzitutto che le occorrenze di a
vedea rappresentino il 2,46% delle occorrenze verbali totali nel corpus, mentre le
occorrenze di a privi corrispondano allo 0,86%.
Osservando il grafico in fig. 14 invece scopriamo che a vedea compare nel 20,80% delle
poesie che costituiscono il corpus, mentre a privi è rappresentato nell’8,28% dei testi, con
significative variazioni per entrambi i verbi in senso diacronico.
Dal grafico in fig. 13 è inoltre ben visibile il fatto che le occorrenze di a vedea
superano – in termini di quantità – quelle di a privi, in particolare in Poemele luminii, per
poi diminuire in favore del secondo verbo fino a Lauda Somnului. Da questo volume in
poi, infatti, il verbo a vedea sale nuovamente come numero di occorrenze per ritrovarsi
in netto vantaggio nei cicli di poesie postume (come è visibile anche dalle linee di
tendenza), segnando un andamento che, come vedremo, sarà abbastanza tipico: Poemele
luminii ha alcune evidenti affinità strutturali con le poesie postume e si discosta spesso
nettamente dagli altri cicli antumi, in particolare da quelli centrali: În marea trecere, La
cumpăna apelor e La curțile dorului.
Soltanto nei volumi La cumpăna apelor e La curțile dorului è visibile (in questo
grafico in particolare) una corrispondenza tra le occorrenze a privi e a vedea, che
compaiono lo stesso numero di volte totali.
Nel secondo grafico (fig. 14) notiamo uno scarto simile a quello del grafico in
figura 13 tra i verbi a vedea e a privi, soprattutto nei cicli di poesie antume.
Anche qui notiamo chiaramente come nelle postume, e in particolar modo le postume la
cui stesura risale agli anni ‘40, le percentuali riprendano e quasi rispecchino quelle di
Poemele luminii. I dati sembrano, potendoli osservare in grafici che prendono in
considerazione l’aspetto diacronico, particolarmente significativi. Poemele luminii e le
poesie postume (soprattutto quelle scritte negli anni ‘40) possono essere visti idealmente
come due diversi “inizi” speculari, inizi che sembrano, almeno per quel riguarda la ridotta
prospettiva sulle strutture sintattiche blaghiane offertaci da queste prime indagini,
riprendersi e rincorrersi.
Il verbo a privi sembra (in entrambi i grafici) comparire più di a vedea solamente
nel secondo volume di poesie antume, Pașii profetului, e tanto più significativo ci sembra
pag. 75
tale andamento quanto più riflettiamo sul fatto che la creazione poetica possa aver tenuto
il passo con il fisiologico processo di maturazione e crescita di Lucian Blaga, non solo in
quanto poeta. In questa prospettiva il deciso ribaltamento dei dati di frequenza dei due
verbi assume un accento particolarmente eloquente, in quanto, seppur afferenti a uno
stesso campo semantico, a vedea e a privi si portano dietro sfumature proprie. Tra le varie
definizioni di a vedea che compaiono nel DEX figurano le seguenti:
1. Percepir(si) con l’aiuto della vista;
2. essere presenti, assistere, essere testimoni di un avvenimento;
3. ricevere […];
4. capire, comprendere;
5. immaginare […], interpretare224.
Mentre per a privi compare al primo posto la seguente definizione:
1. Fissare gli occhi, lo sguardo, verso qualcuno o qualcosa225 per
vederlo/a;
Non molto diverse le definizioni sul dizionario italiano Devoto-Oli, che
consentono di percepire una sfumatura, se vogliamo, di non-intenzionalità nel verbo
vedere (tra le definizioni compaiono “percepire con gli occhi, cogliere con la facoltà della
vista”; “assistere a una manifestazione, a uno spettacolo”; “comprendere, capire”;
“accorgersi di qualcosa, rendersene conto, notare” e “raffigurarsi con la fantasia o con
la mente, immaginare”226) e una di intenzionalità nel verbo guardare (“soffermare,
volgere lo sguardo su qualcosa o su qualcuno, osservare”; “considerare, analizzare”;
“prendere in considerazione, tenere presente”; “dare un’occhiata, cercare con lo
sguardo”; “fare un controllo, una verifica, esaminare”227).
Anche nel lavoro di Alexandra Indrieș è sottolineata questa sottile differenza tra i
due verbi. Secondo l’autrice, il poeta utilizza pienamente i significati fondamentali dei
verbi: nei versi in cui compaiono sia il verbo vedere che il verbo guardare, la differenza
A (se) percepe cu ajutorul văzului; A fi de față, a asista, a fi martor la o întâmplare, la un eveniment; A
primi [...]; A înțelege, a pricepe; A-și imagina, a interpreta. DEX, Dicționarul explicativ al limbii române,
Academia Română, Institutul de Lingvistică Iorgu Iordan – Al. Rosetti, Univers Enciclopedic gold,
București, 2009, p. 1190.
225
A-și îndrepta ochii, privirea, spre cineva sau ceva pentru a vedea. Ibid, p. 878.
226
Devoto-Oli, Vocabolario della lingua italiana. Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Milano, Le Monnier,
2008, pp. 3044- 3045.
227
Ibidem, v. p. 1255.
224
pag. 76
è ben marcata, perché guardare è un’attività programmata, intenzionale, mentre vedere
rappresenta un’attività contemplativa, il ricevere quel che si para davanti agli occhi228. In
questo sento, “guardare è […] il corrispettivo attivo di vedere”229.
3. Direzione e tipo di sguardo
Una volta individuati in a avea e a privi i verbi cardine della nostra ricerca, se ne
sono individuati gli aspetti semantici per formare una griglia che mostrasse in quale modo
vengono utilizzati all’interno dei testi poetici. Osservando le varie occorrenze verbali si
sono poi innanzitutto stabilite due macro-categorie: la direzione e il tipo di sguardo.
Si intende con direzione esattamente l’ideale traiettoria che segue lo sguardo agito
dal soggetto “guardante”, mentre per tipo di sguardo se ne vuole delineare l’astrattezza o
la concretezza.
Si è quindi distinto tra sguardo direzionato verso l’esterno del soggetto agente – e
ulteriormente distinto in sguardo verso l’alto, sguardo verso il basso, sguardo che penetra
all’interno dell’altro, sguardo che scorge sé stesso da fuori e sguardo che si osserva nel
riflesso (di uno specchio, di un pozzo ecc.) – e sguardo che si rivolge verso l’interno di
sé (sconfinando chiaramente nella dimensione metaforica); tra sguardo concreto,
materiale, e sguardo astratto, immaginario, metaforico; tra sguardo che a una prima lettura
risulta diretto verso oggetti e/o persone concrete ma che rientra in realtà all’interno di una
narrazione immaginaria (o storica/religiosa/mitologica ecc.), sguardo negato o apofatico
e sguardo che di fatto è sapere, comprensione (v. legenda in fig. 15).
Distinguere queste diverse sfumature ha richiesto diversi controlli e ripensamenti
e il processo non è stato sempre lineare, in quanto si è trattato spesso di cogliere sfumature
molto sottili tra i significati e che pertengono pur sempre all’universo della finzione
poetica, cosa che spesso impedisce l’effettiva individuazione di categorie ben chiare e
distinte tra di loro. Va inoltre ricordato che si tratta di categorie scelte secondo criteri
soggettivi, seppur considerati degni di interesse e di nota.
Indrieș, Sporind a lumii taina, p. 171, “Poetul folosește din plin sensurile fundamentale ale verbelor.
Astfel, în versurile în care apar verbele a privi și a vedea, deosebirea e clar marcată: a privi înseamnă o
activitate dirijată, intenționată, a vedea, o contemplare, receptarea a ceea ce se arată ochilor”.
229
Ibidem, p. 172. “A privi este […] corespondentul activ al lui a vedea”.
228
pag. 77
3.1. Misura
Fig. 15
DIREZIONE E TIPO DI SGUARDO
DIREZIONE
TIPO
A = Fuori da sé
C = Concreto
A1= Verso l’alto
D = Metaforico/immaginario
A2= Verso il basso
E = Concreto all’interno della narrazione
A3= Fuori da sé e poi all’interno dell’altro
metaforica/immaginaria (storica, religiosa o mitologica)
A4= Visione di sé stesso da fuori
F = Vista apofatica
A5= Visione di sé stesso riflesso
G = OIDA
B = Dentro di sé
H = Sguardo che non è sguardo
In fig. 15 vediamo la legenda relativa alle diverse direzioni e tipi di sguardo individuati.
Fig. 16
La fig. 16 ci mostra i risultati in senso diacronico dell’applicazione alle varie
occorrenze di a vedea e a privi della griglia interpretativa mostrata in fig. 15.
pag. 78
In questo specifico caso si è deciso di tenere in conto tutte le occorrenze, che sono
state lette e riportate in tabella singolarmente una ad una. I dati ottenuti dunque non
rappresentano una percentuale, ma la totalità delle voci di a vedea e a privi, e questo
soprattutto in ragione del fatto che l’obiettivo era quello di ottenere una base di dati non
tanto di tipo quantitativo quanto qualitativo: il vero scopo non era scoprire quante volte
una determinata direzione comparisse in uno specifico volume, quanto piuttosto avere
una visione d’insieme della natura dello sguardo all’interno dell’opera poetica blaghiana.
I valori riportati nel grafico sono dunque assoluti e non proporzionati all’ampiezza dei
vari corpora. Va anche sottolineato il fatto che alcune delle occorrenze, per loro stessa
natura polisemantiche, sono state conteggiate all’interno di categorie diverse.
3.2. Interpretazione
Per quanto riguarda la direzione non c’è sicuramente di che stupirsi nel constatare
che, secondo logica e fisiologia, la stragrande maggioranza degli sguardi siano rivolti
verso il mondo esterno. Quello che invece colpisce è il fatto che solo ed esclusivamente
in Poemele luminii compaia la categoria B, quella rappresentata dallo sguardo che,
metaforicamente, invece di proiettarsi all’esterno dell’organismo osservante, si rivolge
verso l’interno. Si tratta di un artificio poetico utilizzato soltanto due volte in tutto il
corpus poetico blaghiano (con quattro occorrenze totali: ricordiamo che il grafico in fig.
16 riprende ogni singola occorrenza) e che troviamo solamente nel volume di debutto,
ovvero in Mi-aștept amurgul (Aspetto il mio crepuscolo) e in Scoica (La conchiglia). Nel
primo dei due testi l’io poetico, contemplando il cielo notturno stellato, pensa alle stelle
che sa risplendere all’interno del suo animo. Lo sguardo, però, cercandole (e dunque
rivolgendosi verso l’interno) non riesce a vederle, accecato dal troppo sole che splende
all’interno dello spirito. È necessario attendere il tramonto e il sonno perché sorgano le
stelle (interne) e l’occhio possa scorgerle:
În bolta înstelată-mi scald privirea ̶
și știu că și eu port
în suflet stele multe, multe
și căi lactee,
pag. 79
minunile-ntunericului.
Dar nu le văd,
am prea mult soare-n mine
de-aceea nu le văd […]230.
In Scoica, invece, Blaga rende ben percepibile l’artificio poetico dello sguardo
rivolto internamente in quanto, già nel primo verso è ben esplicitato che, con un sorriso
sfrontato, l’io poetico guarda dentro a sé e, con precisione, va ad afferrare il proprio cuore
per poi portarselo all’orecchio come se fosse una conchiglia:
C-un zâmbet îndrăzneț privesc în mine
și inima
mi-o prind în mână. Tremurând
îmi strâng comoara la ureche și ascult.
[…]231.
Con questi versi terminano definitivamente gli sguardi introiettati all’interno del
sé, circoscrivendo questa singolare prospettiva solamente alla realtà di Poemele luminii.
In entrambe le poesie si nota comunque una volontà giovanile e, perché no, immatura
(non nell’accezione negativa del termine) di conoscere sé stesso e le proprie potenzialità
(la luce delle stelle che si trovano nel proprio animo, il suono del proprio cuore) che
verosimilmente non hanno più rappresentato un mistero da indagare con l’avanzare non
solo dell’età ma anche della maturità in quanto poeta (e filosofo).
Se è stato possibile inserire tutti gli sguardi (tranne quelli appartenenti alla
categoria H, di cui si parlerà tra poco) all’interno della categoria A o B, non è possibile
dire la stessa cosa delle categorie che seguono: non tutti gli sguardi, infatti, prendono una
direzione precisa. Consideriamo quindi le categorie seguenti come dei sottoinsiemi che
non hanno la pretesa di raggruppare tutte le occorrenze.
Si è distinto tra sguardi che vanno verso l’alto (A1) e sguardi che vanno verso il
basso (A2) e si è constatato che in linea generale, ove esplicitata, la direzione verso l’alto
è numericamente più presente rispetto alla controparte che punta verso il basso. In alcuni
volumi coesistono entrambe le direzioni, in altri ne compare una soltanto. In Poemele
230
L. Blaga, Opere, vol. I, p. 26, “Nell’ampia volta stellata il mio sguardo/bagno, e so che porto anche
io/nell’anima le stelle,/tante stelle,/e tante Lattee Vie, prodigi delle tenebre./Ma non posso vederle,/le mie
stelle, perché c’è tanta luce/in me, che mi impedisce di vederle [...]” (Baffi, p. 67).
231
Opere, vol. I, p. 36, “Con un sorriso audace in me riguardo!/ed il mio cuore/in mano prendo. Ed ecco
trepidante/quel tesoro all’orecchio accosto e ascolto [...]” (Baffi, p. 73).
pag. 80
luminii, ad es., non ci sono sguardi esplicitamente rivolti verso il basso, così come in La
curțile dorului e nel gruppo di postume scritte negli anni ‘40, mentre non ci sono sguardi
rivolti verso l’alto in La cumpăna apelor. È poi interessante sottolineare che, nello
specifico, su diciotto sguardi rivolti verso l’alto dodici sono esplicitamente diretti verso
il cielo e gli astri, mentre i restanti sei si dividono tra: una torre, un nido, le creste dei
monti, l’esterno di una trincea, il poeta che viene osservato da alcuni fiori.
Gli sguardi rivolti verso il basso, invece, non sembrano essere diretti verso un
soggetto in particolare. In due casi lo sguardo, in due poesie distinte, è rivolto verso la
propria ombra (În marea trecere e Brumar) e per cinque volte nella stessa poesia (Oglinda
din adânc) l’io poetico guarda dentro un pozzo per scorgere il proprio riflesso.
Abbiamo poi la categoria A3, che rappresenta uno sguardo che, dopo essere stato
agito verso il mondo esterno, penetra all’interno di un’altra persona. In un certo senso,
dunque, si tratta di uno sguardo che va verso l’interno, e si può azzardare la
considerazione che all’interno dell’universo poetico chiuso di un unico autore, l’altro non
sia che un’ipostasi dell’io poetico, un altro pur sempre immaginato e costruito dal poeta,
filtrato attraverso il suo sentire, e dunque una sua rappresentazione indiretta.
Questo genere di sguardo “esterno ma interno” compare due sole volte all’interno
dell’intero corpus, e, sorprendentemente, compare in Poemele luminii e poi nel volume
di postume scritte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60. Le due occorrenze, dunque, in
prospettiva diacronica, compaiono agli antipodi l’una rispetto all’altra, una all’inizio e
una alla fine dell’esperienza poetica di Lucian Blaga. La prima occorrenza compare nella
poesia Nu-mi presimți, nella quale l’io poetico guarda all’interno della propria amata,
dove si affaccia su di un burrone e scorge la grandezza divina così come mai l’aveva
scorta prima:
[…]
Nu-mi presimți iubirea când privesc
cu patimă-n prăpastia din tine
și-ți zic:
O, niciodată n-am văzut pe Dumnezeu mai mare!?232
232
Opere, vol. I, p. 34. [Non intuisci il mio amore quando con passione/ guardo nel baratro dentro di te/ e
ti dico:/ Oh, mai avevo veduto un Dio più grande!?].
pag. 81
In Alean și amintiri ce torc, invece, il riferimento risulta leggermente più sottile e
nostalgico. Si tratta dell’anima che l’io poetico ha abbandonato in un passato indefinito e
che rivolge il proprio sguardo all’interno di un non ben specificato “tu” che da lei si è
allontanato:
[…]
E fiu al toamnei sufletul.
Aci cândva mi l-am lăsat.
Aci el a rămas privind
în tine cum te-ai depărtat233.
Abbiamo infine le categorie A4 e A5, che rappresentano, rispettivamente, il
vedere sé stessi da fuori e il vedersi riflessi (in uno specchio o nell’acqua) e che contano
pochissime occorrenze. La visione di sé stesso da fuori compare in sole 3 poesie, due
volte nelle poesie giovanili – rispettivamente nella poesia Și totuși scritta all’epoca di
Poemele luminii e pubblicata poi nelle postume, e in La mânăstire di Pașii profetului – e
una volta nelle postume scritte a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50, in Vara în jurul cetății.
Particolarmente interessante è l’occorrenza che troviamo in La mânăstire (Al
monastero), dove la luna, scesa su una copia della Bibbia, si volta a guardare sé stessa nel
cielo in una sorta di sdoppiamento:
[...]
Luna ̶ s-a coborât pe-o biblie
Și de pe file
Privește înapoi la chipul ei spre cer.
[…]234.
Infine, la visione di sé stesso riflesso compare unicamente nelle postume scritte
tra gli anni ‘50 e ‘60, e dunque significativamente all’approssimarsi della fine della vita.
In particolare, si contano ben cinque occorrenze di questa sfumatura semantica all’interno
di una stessa poesia, Oglinda din adânc:
Când mă privesc într-o fântână
mă văd cu-adevărat în zi
așa cum sunt și-am fost și-oi fi.
Când mă privesc într-o fântână
233
Opere, vol. II, p. 249. [L’anima è figlia dell’autunno./ Qui un tempo l’ho lasciata./ Qui è rimasta a
guardare/ dentro di te, mentre ti allontanavi.].
234
Opere, vol. I, p. 96. “[...] La Luna scende coi suoi raggi, sopra/una Bibbia, per poi volgerli ancora/verso
l’immagin sua che sta nel cielo. [...]” (Baffi, p. 121).
pag. 82
ghicesc în fața mea batrână
cum ceruri și pământ se-ngână.
Când mă privesc într-o fântână
îmi văd soarta, uit de nume235.
Il tema dell’essere visto viene ampiamente discusso e approfondito da Jean-Paul
Sartre. Secondo il filosofo francese, infatti, la condizione dell’essere visto (o del semplice
credere di essere visto) implica anche sempre una presa di coscienza circa la propria
esistenza nel mondo. La percezione dello sguardo altrui, vero o presunto, coglie il sé, che
normalmente si percepisce come semplice coscienza, all’interno del mondo fisico e lo
proietta bruscamente in esso, con tutto quel che ne consegue: “ciò che provo […] è […]
che io sono vulnerabile […] che occupo uno spazio e che non posso, in nessun caso,
evadere dallo spazio in cui sono senza difesa. Così lo sguardo è un intermediario che mi
rimanda da me a me stesso”236. E ancora “basta che altri mi guardi perché io sia ciò che
sono”237. Lo stesso concetto è ripreso anche dalla studiosa Ioana Both: “Colui che è
guardato scopre sé stesso come soggetto della propria conoscenza, nello spazio creato
dallo sguardo altrui”238. Lo sguardo d’altri, dunque, non parla d’altri, ma del sé, che, reso
vulnerabile e consapevole dalla presenza dello sguardo, prende coscienza della propria
esistenza, dei propri limiti e dello stravolgimento (o alienazione) di quel mondo così come
lo credeva organizzato. Lo sguardo altrui, in quanto percepito dal sé, dona al tempo e allo
spazio una nuova dimensione, mostrandone i limiti: “niente […] può limitarmi se non
Altri. Questi appare quindi come ciò che, nella sua piena libertà e nella libera proiezione
verso i suoi possibili, mi pone fuori gioco e mi spoglia della mia trascendenza […]”239.
Eppure, come si è detto, all’interno di un universo poetico tutto creato dalla mente
immaginifica del poeta, quanto “altro” è l’altro? L’altro, in poesia, è un altro pensato,
costruito ad hoc, è l’altro passato attraverso il filtro della propria esperienza e della
propria impressione di come l’altro dovrebbe essere. Ecco dunque che, anche quando ad
essere visto (da altri, dall’esterno, o riflesso in uno specchio) non è l’io poetico in prima
235
Opere, vol. II, p. 347. [Quando mi guardo in un pozzo/ vedo me stesso in verità/ così come sono, sono
stato e sarò./ Quando mi guardo in un pozzo/ scorso nel mio viso anziano/ come i cieli e la terra si fondono./
Quando mi guardo in un pozzo/ so che negli abissi antiche madri/ mi reggono lo specchio, occhi del mondo./
Quando mi guardo in un pozzo/ scorgo la mia sorte, dimentico il mio nome].
236
Jean Paul Sartre, L’essere e il nulla, Milano, Il Saggiatore, 2014, pp. 311-312.
237
Ibidem, p. 319.
238
Ioana Both, Eminescu explicat fratelui meu, București, Editura Art, 2012, p. 55.
239
Ibidem, p. 342.
pag. 83
persona, è pur sempre una sorta di sguardo che si rivolge su di sé, è la coscienza di sé
agita dal sé che ha assunto quelle impressioni che pensa debbano essere proprie dell’altro.
I limiti e l’alienazione imposti dallo sguardo altrui altro non sono che i limiti propri
quando è il sé a vedersi da fuori, riflesso, o quando è una ipostasi del sé a osservarsi.
Nel cercare poi di assegnare una categoria che determini il tipo di sguardo agito
nell’opera poetica di Lucian Blaga, la prima coppia di opposti che è sembrato logico
chiamare in causa è stata quella di concreto-metaforico (rispettivamente C e D). Si è
trattato innanzitutto di tenere a mente il fatto che, per quanto si possa parlare di sguardi
rivolti a oggetti e persone “concrete” ci troviamo pur sempre all’interno di un universo
poetico, e la logica implicazione è che il concetto di concretezza ha dei contorni molto
meno netti di quanto si auspicherebbe. In secondo luogo, si è trattato di decidere cosa
potesse essere considerato concreto e cosa no. Si considerano in questa sede concreti gli
sguardi rivolti a oggetti e persone idealmente posti in un mondo (seppur fittizio) coevo a
quello vissuto da Blaga, a oggetti o persone che abbiano un riferimento concreto nel
mondo reale, e metaforici o simbolici quegli sguardi rivolti non a materia morta o viva
ma a idee, pensieri, congetture, astrazioni. Si è aggiunta anche una terza categoria (E),
ovvero quella degli sguardi agiti su cose e persone all’apparenza concrete ma all’interno
di narrazioni per così dire “immaginate” (per quanto, come è già stato specificato, di fatto
ogni singola parola all’interno del corpus pertenga di fatto a un universo poetico, e
l’operare una distinzione tra i diversi livelli di finzione all’interno di un’opera che è nel
suo insieme opera d’ingegno e immaginazione artistica rischia di condurci su di un terreno
che potrebbe essere scivoloso) che facciano riferimento a episodi storici, mitologici,
religiosi eccetera.
Una volta individuate le categorie e abbinate, non con poche difficoltà e
ripensamenti, alle varie occorrenze, abbiamo osservato come lo sguardo di tipo C, quello
concreto, sia di fatto (come prevedibile) il più comune nell’intero corpus. Lo sguardo
metaforico/immaginario, invece, compare tre volte in Poemele lumini ‒ due volte nella
già citata Nu-mi presimți? E una volta in Veșnicul ‒ per poi scomparire fino a Lauda
somnului, dove compare una sola volta in Echinocțiu, e scomparire nuovamente fino a La
curțile dorului, volume a partire dal quale sarà costantemente presente in tutti i seguenti
cicli. Si può dunque suggerire che, con il passare degli anni, nonostante lo sguardo resti
pag. 84
in buona misura uno sguardo concreto, si apra sempre di più a dimensioni e contesti
differenti.
Lo sguardo di tipo E, come quello concreto, resta costante all’interno dell’intero
corpus, con una presenza importante soprattutto in Poemele luminii, in cui compare sette
volte in quattro diverse poesie. Apparentemente sorprendenti anche le sette occorrenze di
Pașii profetului, ma, a ben vedere, se ne contano sei soltanto in Pustnicul, poema
dialogico che ricorda (anche per la presenza di didascalie che descrivono le diverse scene
e le attitudini dei personaggi) una pièce teatrale (è doveroso ricordare che Lucian Blaga
è stato anche autore teatrale e che nove delle sue dieci opere destinate al palcoscenico
sono state scritte negli anni tra il 1923 e il 1934). Altrettanto sorprendenti potrebbero
sembrare le otto occorrenze in Lauda somnului, ma, anche in questo caso, a un più attento
sguardo, scopriamo che ben sette di tali occorrenze compaiono in Lot:
Am văzut fapte multe și grele
spurcând lumina și vântul,
[…]
Am văzut oameni sarutând lebede argintate.
Am văzut cu spaimă în fața porții
dansatoare săltându-și zăpezile
pentru voevozi cu unghii mari ‒
și-am văzut preoți în inuri îmbătându-și cerșitorii
cu vinul cu care-au fost spălați morții.
Am văzut femei arzându-și sămânța în flăcări
[…]
Am văzut oaspeți străvezii pe țărmul sângelui
[…]
Ah, fii ai cetăților, voi credeți
că nimenea, niciodată, n-a văzut soarele
și că lumina curată e numai poveste.
[…]240.
Successivamente è stata individuata la categoria F, quella della vista negata o
apofatica (dal greco apophatikós, “negativo”), e cioè tutte quelle occorrenze in cui la vista
di qualcosa o di qualcuno è resa impossibile. Significativamente questa categoria compare
moltissimo in Poemele luminii, il volume d’esordio, per poi quasi scomparire: troviamo
Opere, vol. I, p. 434. [Ho visto molte cose, e gravi/ insudiciare la luce e il vento,/ (…) ho visto persone
baciare cigni d’argento./ Ho visto, terrorizzate davanti ai cancelli/ Danzatrici saltare le nevi/ per voivodi
dalle unghie lunghe ˗/ e ho visto preti vestiti di lino ubriacare i mendicanti/ con il vino con cui si erano
lavati i morti. / Ho visto donne bruciare il loro seme tra le fiamme/ (…) Ho visto antichi forestieri sulla riva
di sangue:/ (…) Ah, figli delle fortezze, voi pensate/ che nessuno abbia mai visto il sole/ e che la limpida
luce sia soltanto una favola].
240
pag. 85
un’occorrenza in Pașii profetului, una in La cumpăna apelor, una nelle postume degli
anni ‘40 e quattro in quelle scritte a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50. La negazione della vista
si ricollega alla semantica della cecità, e infatti la primissima occorrenza di tale categoria
compare in Din părul tău, dove si racconta di un velo (chiaro riferimento al velo di Maya)
che cela alla vista la realtà delle cose:
Înțelepciunea unui mag mi-a povestit odată
de-un văl prin care nu putem străbate
cu privirea,
păinjeniș ce-ascunde pretutindeni firea,
de nu vedem nimic din ce-i aievea.
[…]241.
Nella già citata Mi-aștept amurgul, l’io poetico cerca all’interno della sua anima
le stelle e le vie lattee (căi lactee) che sa essere presenti, ma non riesce a vederle. Tema
molto simile a quello presente nella già citata Scoica, in cui l’io poetico cerca il mare
all’interno del suo animo, ne ode il suono quando si porta il proprio cuore all’orecchio,
ma non riesce ‒ ancora ‒ a vederlo.
In Lacrimile è il primo uomo a implorare Dio di accecarlo, di impedirgli di vedere
le cose nella loro vera essenza, e ottiene così le lacrime. In tutti questi versi si
percepiscono chiaramente lo sforzo e la tensione del poeta che cerca una via, che vive
con angosciosa inquietudine l’ambiguità della sua situazione, che da una parte vorrebbe
“vedere di più” e, dall’altra, chiede la grazia di uno sguardo se non negato, perlomeno
velato. “Tiresia diventa cieco per aver visto quel che non bisogna vedere”242 scrive
Jacques Derrida. Ma il primo uomo, implorando Dio di renderlo cieco, di sottrargli dal
campo visivo la chiara visione della realtà delle cose, non otterrebbe che una condanna
ancora più grande: secondo Derrida, infatti, “per una singolare vocazione, il cieco diventa
un testimone: deve attestare la verità o la luce divina”243, esattamente come cercano di
fare il filosofo e il poeta (che coesistono in Lucian Blaga). Non c’è dunque via di uscita
o alternativa, e il dibattersi tra la fierezza di essere quel che si è e la disperazione per
241
Opere, vol. I, p. 14. [La saggezza di un magio mi raccontò, un giorno/ di un velo che non possiamo
oltrepassare con lo sguardo,/ ragnatela che in eterno nasconde la natura,/ e non ci permette di vedere nulla
di ciò che è reale].
242
Jacques Derrida, Memorie di cieco. L’autoritratto e altre rovine, Milano, Abscondita Aesthetica, 2015,
p. 31.
243
Ibid. p. 33.
pag. 86
questo compito così opprimente si manifesteranno più e più volte all’interno dell’opera
poetica blaghiana attraverso sofferti appelli alla madre e al padre, rei di averlo messo al
mondo (“adus in lumina”, portato alla luce) contro la sua volontà. Ritroviamo un forte e
simbolico accenno biografico al legame tra logos e accecamento (o velamento dello
sguardo) nel romanzo autobiografico Hronicul și cântecul vârstelor. La prima cosa che
Lucian Blaga decide di raccontare di sé è il fatto di non aver pronunciato nemmeno una
parola fino ai 4 anni. Decisosi infine, in seguito a una visita medica e a un discorso di
esortazione da parte della madre preoccupata, il piccolo Lucian si sveglia una mattina,
raggiunge la madre (unica testimone possibile di un evento di tale portata, che sembra
quasi essere un segno profetico del futuro del bambino) e, dopo essersi coperto gli occhi
con la mano, inizia a parlare:
Il giorno seguente, dopo una terribile notte di tribolazioni, dimenticata in quella vita senza parole,
mi avvicinai a lei. E iniziai a dire parole sensate. Pieno di vergogna, mi coprivo gli occhi con la
mano e parlavo. Al riparo delle dita e del palmo, con i quali ancora mi proteggevo dal mondo della
parola, la voce mi usciva di bocca integra, sicura, vibrante come puro argento 244.
Secondo M. Ghilardi “ogni sguardo necessita di un occultamento, di un velo che
in parte lo ostruisce”245. E Derrida stesso, a proposito del processo artistico scrive che
“l’operazione del disegnare avrebbe qualcosa a che vedere con l’accecamento”246.
Derrida parla di disegno, ma estende in seguito le sue congetture a tutte le forme di
creazione artistica, compresa la poesia: “nel momento stesso in cui scrivo, non vedo
letteralmente niente delle lettere che traccio”247.
Nelle postume scritte tra gli anni ‘40 e ‘50 ritroviamo questo stesso genere di
negazione, ma, questa volta, è l’io poetico che, con consapevole dolore, non vede più Dio
(Doamne, îngăduința ta e Psalmul 151, Salmo 151). Si sposta dunque il focus dall’io
poetico all’altro, a un altro che è Dio, un Dio che il poeta non sente più come parte della
sua esistenza e che dunque non riesce più a “vedere”. Il passaggio da una riflessione
L. Blaga, Hronicul și cîntecul vîrstelor, București, Editura Tineretului, 1965, p. 5: A doua zi, după cine
știe ce noapte de zbucium, pe care am uitat-o acolo în viața fără de grai, m-am dus lîngă ea. Și prinsei a
vorbi vorbe legate. Țineam mîna, rușinat, peste ochi, și vorbeam. De sub strașina degetelor și a palmei, cu
care mă apăram încă de lumea cuvîntului, graiul ieșea din gura mea, întreg, lămurit, picurat ca argintul
strecurat.
245
Marcello Ghilardi, Derrida e la questione dello sguardo, Aesthetica Preprint, Centro Internazionale di
Studi di Estetica, Palermo, 2011. p. 8.
246
J. Derrida, Memorie, cit. p. 12.
247
Ibidem, p. 14.
244
pag. 87
giovanile su sé stesso a una riflessione più ampia e matura su questioni di tutt’altra natura
è ben marcato e ci offre una piccola ma intensa panoramica in senso diacronico della
maturazione poetica e personale di Lucian Blaga.
La penultima categoria (F) individuata è quella della vista come comprensione,
conoscenza, pensiero, esattamente l’accezione riscontrata sia nel DEX che nel DevotoOli (v. pp. X-XX) e che viene sapientemente illustrata sia da Derrida: “idein, eidos, idea:
tutta la storia, tutta la semantica dell’idea europea, nella sua genealogia greca, lo si sa, lo
si vede, assegna il vedere al sapere”248 e da Ghilardi, che spiega:
La vista, la visione, lo sguardo sono concetti metaforici per eccellenza, fin da quando nel termine
theoria si sono fusi l’aspetto fisiologico e ottico del vedere e quello, figurato, della conoscenza
intellettiva. In greco antico, come è noto, oida significa allo stesso tempo “ho visto” e “so,
conosco”: conosco in quanto ho visto, sono stato testimone. La visione è condizione e garanzia del
sapere, dunque metafora della conoscenza. La vista diviene per i Greci il senso teoretico principale
[...]249.
Anche Indrieș ritrova la stessa distinzione tra i due significati del verbo vedere
all’interno della poetica blaghiana250. Dal grafico si evince chiaramente come questa
categoria sia costante in tutti i cicli di postume (di fatto comparendo stabilmente a partire
da La curțile dorului) e che, con il procedere della vita e delle esperienze (sia in campo
biografico che filosofico e poetico) la visuale si sia man mano allargata, inglobando una
sempre più ampia pluralità di punti di vista e attitudini nei confronti del mondo.
Infine, la categoria H, inclusa per completezza, che rappresenta tutte quelle
occorrenze verbali di a vedea che sono, di fatto, un mero segnale discorsivo utilizzato
come intercalare e che sono dunque prive di contenuto semantico di interesse per la
presente ricerca ma che, chiaramente, Sketch Engine non ha saputo distinguere dalle
occorrenze semanticamente cariche e che sono finite nella conta totale della lista di
frequenza del verbo.
4. Modi, tempi e persone dei verbi
248
Ibid., p. 23.
Ghilardi, Derrida e la questione dello sguardo, cit. p. 18.
250
A. Indrieș, Sporind a lumii taină, cit. p. 170.
249
pag. 88
Per ottenere dati su modi, tempi e persone dei verbi a vedea e a privi nell’opera
poetica blaghiana si è tornati allo stesso criterio di calcolo che ci permette di ottenere
quale dato conclusivo il numero percentuale di poesie in cui compare un verbo o – in
questo caso – una sua valenza o caratteristica. Si tratteranno i tre argomenti in tre paragrafi
separati, pur nella consapevolezza che sarebbe di grandissimo interesse stilare ulteriori
grafici che permettano di incrociare i dati ottenuti e osservare nel dettaglio le varie
combinazioni e i loro utilizzi e pattern distributivi all’interno dei testi. Un approccio di
questo genere, tuttavia, pur dandoci la possibilità di penetrare più profondamente nelle
strutture stilistiche della poesia di Lucian Blaga, avrebbe richiesto tempo e spazio dedicati
esclusivamente alla questione verbale, e si è scelto di rimanere a un livello un po’ meno
approfondito ma non per questo meno significativo, e di rimandare gli approfondimenti
specifici sul tema a eventuali futuri lavori.
4.1. Il modo
4.1.1. I modi di a vedea - misura
Fig. 17
In fig. 17 vediamo l’andamento in senso diacronico dei modi verbali di a vedea.
pag. 89
4.1.2. I modi di a vedea – interpretazione
Come possiamo osservare dal grafico, soprattutto se si osservano i dati relativi al
modo indicativo, (fig. 17), torna qui a comparire l’andamento generale riscontrato già in
fig. 13 e 14, sebbene molto meno marcato anche per motivi di ordine puramente
grammaticale e stilistico: l’indicativo è infatti in ogni caso e in ogni registro il modo
verbale utilizzato con più frequenza. Come si è anticipato è comunque riscontrabile un
andamento già evidenziato nel grafico generale sulla presenza all’interno del corpus di a
vedea: il modo indicativo è presente nel 34,7% delle poesie di Poemele lumini. La
percentuale diminuisce nei cicli immediatamente successivi per poi alzarsi nuovamente
in Lauda Somnului, (circa 31%), scende ancora a partire da La cumpăna apelor (8,69%)
e torna infine a essere una presenza importante a partire da Nebănuitele trepte (18, 51%)
e soprattutto nelle postume (in particolare in quelle scritte negli anni ‘40, dove il modo
indicativo registra un 25% di presenza).
Interessanti anche i dati sull’andamento del modo congiuntivo, che, nei pochi cicli
antumi nei quali compare, presenta sempre percentuali piuttosto basse (4,34% in Poemele
luminii, 3,22% in Pașii profetului, 3,44% in Lauda somnului e 3,84% in La curțile
dorului) ma che nelle postume, al contrario, è una presenza degna di nota, in particolare
nelle postume degli anni ‘40 (16,6%).
Il modo condizionale ha un comportamento degno di nota (circa 3%) solo in În
marea trecere, che, lo ricordiamo, secondo Alexandra Indrieș rappresenta il punto più
drammatico dell’opera poetica blaghiana, mentre non compare mai altrove se non
nell’ultimo ciclo di postume e nelle postume prive di datazione, quelle scritte alla soglia
della vecchiaia e in prossimità della morte. Il condizionale, in poesia, ha generalmente il
ruolo di esprimere il passaggio a un’esperienza immaginata, a un’eventualità, una
situazione ipotetica. È interessante in questo senso, considerato il valore simbolico del
titolo di În marea trecere, individuare connessioni con le ultime poesie scritte da Blaga,
alla fine effettiva del “grande passaggio”.
Allo stesso modo scopriamo una sorta di richiamo tra le poesie postume scritte tra
gli anni ‘50 e ‘60 e il volume di debutto quando osserviamo i dati riguardanti il modo
infinito, che compare nel 2,17% delle poesie di Poemele luminii e nell’1,26% delle poesie
pag. 90
dell’ultimo gruppo di postume, ovvero idealmente all’inizio e alla fine dell’esperienza
poetica di Lucian Blaga, quasi a chiudere un cerchio.
Infine, il modo gerundio compare soltanto (1,26%) nelle postume dell’ultimo
gruppo (anni ‘50-’60). Il gerundio non ha un riferimento diretto al tempo dell’enunciato
e viene generalmente utilizzato per sottolineare uno stato di azione durativa: la visione
continua, che significativamente compare solo in epoca matura.
Nonostante la modestia del volume dei dati ottenuti grazie all’utilizzo di Sketch
Engine, si può affermare che la visualizzazione dei dati resa possibile dall’utilizzo dello
strumento digitale permette l’osservazione immediata di tendenze e relazioni anche di
piccola entità che, con i metodi del close reading, potrebbero sfuggire o risultare di
minore impatto. Il grafico ci offre una immediata visione d’insieme dei dati in chiave
diacronica, rendendo agevole l’individuazione di pattern significativi.
4.1.3. I modi di a privi - misura
Fig. 18
In fig. 18 vediamo l’andamento in senso diacronico dei modi del verbo a privi.
4.1.4. I modi di a privi – interpretazione
A privi compare meno frequentemente rispetto al verbo a vedea. Va da sé,
pertanto, che i dati riguardanti il modo di questo verbo risultino più scarni e, se vogliamo,
meno eloquenti rispetto a quelli appena visti.
pag. 91
Interessante è in questo caso individuare la comparsa del modo imperativo,
presente in Pașii profetului (3,22%), La cumpăna apelor (8,69%) e nelle postume degli
anni ‘50 e ‘60 (0,63%). Di fatto, però, è bene tenere a mente che, come si è visto dalla
consultazione dei vocabolari, a privi implica un’azione precisa e cosciente, una sfumatura
attiva che invece manca al verbo a vedea, che presuppone invece una vista priva di sforzo,
contemplativa, passiva. Risulta quindi piuttosto ovvio che l’esortazione imperativa al
guardare sia abbinata al verbo a privi e non ad a vedea.
Il modo condizionale, qui, compare soltanto in La curțile dorului (3,84%) e si nota
l’assenza dell’infinito. Quello che colpisce, in questo secondo grafico, è soprattutto notare
come i modi verbali diversi dall’indicativo compaiano cronologicamente in seguito al
volume di debutto, e si diversifichino in maniera significativa soltanto nelle poesie
postume, con l’ulteriore comparsa di congiuntivo e gerundio.
4.2. Il tempo – misura
Fig. 19
In fig. 19 vediamo i tempi verbali di a vedea rappresentati in senso diacronico.
pag. 92
Fig. 20
In fig. 20 vediamo i tempi verbali di a privi rappresentati in senso diacronico.
4.2.1. Il tempo – interpretazione
Il grafico in fig. 19 mostra come il tempo presente sia rappresentato in ognuno dei
cicli poetici, con picchi di presenza in Poemele luminii (32%) e nelle postume degli anni
‘40 (33%). Discrete le percentuali anche in Nebănuitele trepte (22%) e nelle postume
scritte tra gli anni ‘50 e ‘60 (24%). Il presente è di fatto il tempo verbale predominante di
tutte le raccolte, fatta eccezione per Lauda somnului, in cui invece prevale il passato
composto o perfect compus, corrispondente al passato prossimo italiano (24% contro
10%).
Il perfect compus, poi, risulta presente nei primi quattro cicli di antume per poi
scomparire fino alle postume degli anni ‘40 (8,5%). È presente anche nelle postume degli
anni ‘50 e ‘60, ma con percentuali ben scarse (1%). Il passato remoto, invece, compare
solamente nelle postume e nello specifico in quelle degli anni ‘40 (5,5%) e in quelle degli
anni ‘50 e ‘60 (0,63%).
pag. 93
Il futuro compare in La cumpăna apelor (4%), unico caso, tra le antume, in cui
compare un tempo verbale che non siano il presente e il perfect compus. Una piccola
percentuale di tempo futuro la si trova anche nelle postume degli anni ‘50 e ‘60 (0,63%).
L’imperfetto compare solo nelle postume: 3% nelle postume degli anni ‘40 e 2%
in quelle degli anni ‘50 e ‘60.
Prima di passare allo spoglio dei dati sul tempo verbale di a privi è doveroso
ricordare che questo verbo non ha occorrenze in Nebănuitele trepte.
Anche in questo caso il presente compare in tutti i cicli con un picco in Pașii
profetului (19%) e uno in La curțile dorului (15%), e in tutti i cicli presenta la percentuale
di frequenza più alta. La tendenza sembra essere esattamente contraria a quella del verbo
a vedea: il presente, qui, è già affiancato da altri tempi verbali nei primi cicli di antume,
mentre resta tendenzialmente l’unico tempo verbale presente nelle postume.
L’imperfetto, infatti, compare già in Poemele luminii (2%) e in Pașii profetului
(6%). Scompare poi per ripresentarsi unicamente nelle postume degli anni ‘40 (3%),
mentre il perfect compus è rappresentato in Pașii profetului (3%) e În marea trecere (3%).
4.2. Il presente
Sulla base dei dati osservati fino a ora si può affermare con discreta sicurezza che
la poesia di Blaga è soprattutto una poesia “presente”. Come si è visto, infatti, il tempo
presente è quello più utilizzato dal poeta in tutta la sua opera poetica sia con il verbo a
vedea che con il verbo a privi.
In romeno (così come in italiano), il presente ha diverse funzioni:
1. designare un’azione contemporanea al momento enunciativo;
2. designare un’azione usuale nel presente (presente iterativo);
3. designare una constatazione di carattere generale sempre valida (presente
acronico);
4. designare un’azione prevista per il futuro immediato (presente pro futuro);
5. designare un’azione passata (presente storico)251.
Valentina Negrițescu, D. Arrigoni, Grammatica romena. Morfologia, sintassi, esercizi, Milano, Hoepli,
2009, p. 156.
251
pag. 94
Tenendo a mente queste funzioni e osservando in particolare le occorrenze dei verbi
a privi e a vedea al tempo presente in Poemele luminii e nei cicli di postume, si riesce a
scorgere uno spostamento di tipo contenutistico piuttosto significativo. In Poemele
luminii, infatti, è molto frequente il tempo presente designato dalla prima funzione tra
quelle elencate. Compare, tra le altre, in Scoica (C-un zâmbet îndrăzneț privesc în
mine[…])252 e in Noapte ([…] Că-i văd trudita zbuciumare,/Să afle rostul meu pe lume
[…] Eu le privesc cu-nduioșare […])253. Altrettanto rappresentati sono il presente di tipo
iterativo e acronico, che compaiono ad es. in Primăvară ([...] ochii tăi ‒ scăpărătorii ‒/
cari de luminoși ce-ți sunt, copilo,/nu văd niciodată umbre)254, in Nu-mi presimți? (Numi presimți iubirea când privesc/ cu patimă-n prăpastia din tine [...])255 e in Veșnicul
(L’eterno. [...] Nu-l vede nimeni, nimeni [...])256.
Nelle postume, invece, soprattutto in quelle scritte negli anni ‘40 e in quelle degli anni
‘50 e ‘60, si nota come in moltissimi casi il presente sia un presente di tipo storico riferito
effettivamente a fatti lontanissimi nel tempo e non vissuti ma immaginati, come ad es. in
Cânele din Pompei (Il cane di Pompei. [...] Te văd Dumnezeule [...])257 ma anche (e
soprattutto) un presente storico che riguarda invece vissuti che l’io poetico richiama alla
mente o che rimandano di fatto in qualche modo a un tempo passato, come in Lângă vatră
([...] Nu cu ochii mai privesc [...])258 e Prezența (Îmi place să te văd în cuvenitul cadru
[...])259. Un passato che il poeta sceglie consapevolmente di richiamare con l’utilizzo del
tempo presente, in un certo senso annullando la distanza temporale e rendendolo più vivo
e concreto.
Si assiste dunque a una sorta di “spostamento” nel passato del tempo presente che
caratterizza alcune delle poesie postume e che non ha riscontro nei cicli giovanili ‒ in
particolare nel volume di debutto, caratterizzato invece da un “presente nel presente”
molto vivace e quasi, in certi casi, idealmente proiettato in un futuro molto prossimo.
252
v. p. 80.
Opere, vol. I, p. 391. [Ché vedo il suo affannoso tormento/ nello scoprire lo scopo mio al mondo,/ (…)
Io le osservo con compassione (…)].
254
Opere, vol. I, cit. p. 62. [(…) i tuoi occhi – scintillanti –/ che, da quanto sono luminosi, bambina,/ non
vedono mai ombre].
255
v. p. 82.
256
Opere, vol. I, p. 46. “[...] Nessuno lo vede, nessuno [...] (Del Conte, p. 63).
257
Opere, vol. II, p. 152. “[...] Ti vedo, Dio [...]” (Albisani, p. 287)
258
Opere, vol. II, p. 8. [(…) Non più con gli occhi guardo (…)].
259
Opere, vol. II, p. 160. [Mi piace vederti nell’ambiente appropriato].
253
pag. 95
4.2.3. Perfect compus e passato remoto
Come si evince dai grafici, i tempi passati, pur non eguagliando numericamente il
tempo presente e con alterne fortune nei diversi cicli, sono parecchio rappresentati
all’interno del corpus. La poesia di Blaga è una poesia prevalentemente “presente”, ma
che spesso e volentieri volge lo sguardo al passato, e in particolare a un passato non troppo
lontano (effettivamente o idealmente).
In romeno, il perfect compus “può indicare un’azione passata trascorsa da poco o
molto tempo e riferirsi a un avvenimento collegato al presente o completamente
indipendente da esso […]”260. E, aggiungiamo con le parole di L. Serianni, può designare
“un’azione che è sì, relativa al passato ma non è necessariamente anteriore al momento
dell’enunciazione […]”261, e ancora, “il passato prossimo collega […] il fatto […] con un
implicito risultato attuale”262. L’idea di fondo è che il perfect compus situi un evento in
un passato più vicino, più facile da “rivivere” e da riportare alla memoria, quindi, anche
nel caso di eventi molto lontani nel tempo, la scelta stilistica del perfect compus avrebbe
lo scopo di avvicinare un determinato avvenimento al momento presente.
Al contrario, il passato remoto “designa un’azione passata e terminata nel passato
senza più alcuna relazione con il presente”263.
Significativamente, nella sua opera poetica, Lucian Blaga utilizza molto più il
perfect compus rispetto al passato remoto. Si è visto che, per quanto riguarda a vedea, il
perfect compus è utilizzato soprattutto nei primi quattro cicli antumi per poi riapparire
nelle postume degli anni ‘40 e ‘50 e, in misura decisamente minore, in quelle degli anni
‘50 e ‘60, mentre per quanto riguarda a privi, il perfect compus compare soltanto in Pașii
profetului e in În marea trecere. In Poemele luminii, lo troviamo ad es. in Mi-aștept
amurgul ([...] stelele mele,/ pe care încă niciodată/nu le-am văzut)264, dove si tratta di
fatto di un passato che ha il proprio riferimento nel presente, e ancora, con la stessa
caratteristica, in Nu-mi presimți? ([...] O, niciodată n-am văzut pe Dumnezeu/mai
mare)265. In Cresc amintirile si tratta invece del racconto di un fatto recente, accaduto il
Negrițescu, Grammatica romena, cit. p. 185.
Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 2016, p. 471.
262
Ibidem, p. 471.
263
Negrițescu, Grammatica romena, cit. p. 189.
264
v. pp. 79-80.
265
v. p. 82.
260
261
pag. 96
giorno stesso, dunque collegato al momento dell’enunciazione (I ricordi crescono. [...]Azi
am văzut din întâmplare [...])266.
Nel caso di Lauda somnului, il perfect compus compare sette volte solo nella
poesia Lot, dove è chiaramente utilizzato per sottolineare il collegamento dei fatti passati
narrati con il presente:
Am văzut fapte multe și grele
[...]
Am văzut oameni sărutând lebede argintate.
Am văzut cu spaimă în fața porții/
dansatoare săltându-și zăpezile/
pentru voevozi cu unghii mari/
și am văzut preoți în inuri îmbătându-și cerșitorii/
[...]
Am văzut femei arzându-și sămînța în flăcări/
[...]
Am văzut oaspeți străvezii pe țărmul sângelui/
[...]
Ah, fii ai cetăților, voi credeți/
că nimenea, niciodată, n-a văzut soarele [...]267.
Nel terzo volume antumo, invece, troviamo il perfect compus ad es. in Pluguri,
dove il riferimento è al presente (Aratri. [...] Prietene care încă niciodată n-ai văzut/
câmp și soare jucând subt peri înfloriți [...])268.
Nelle poesie scritte tra gli anni ‘50 e ‘60 troviamo esempi di verbi al perfect
compus in Ceas, dove si parla di un passato strettamente collegato al presente, influenzato
da esso (Tîrziu, pe la ceasul amărăciunii, când am văzut că-n zadar/ cuvintele toate mi
le-am rostit [...])269 e in Echinocțiu de toamnă (Equinozio d’autunno), dove il verbo al
perfect compus fa sempre riferimento a un avvenimento del passato che ha avuto una forte
influenza sul presente. In questo secondo caso, poi, il verbo a vedea rientra nella nostra
categoria oida, e rappresenta quindi una consapevolezza raggiunta in passato e che ha da
allora continuato a prosperare nel pensiero:
[...]
noi am văzut, ce-i drept, de atâtea ori,/
Opere, vol. I, p. 40. “[...] Ed ecco che per caso oggi ho veduto [...]” (Albisani, p. 77).
v. p. 85.
268
Opere, vol. I, p. 138. “[...] amico, che non ancora mai vedesti/il campo e il sole giocare sotto i peri fioriti
[...]” (Del Conte, p. 93).
269
Opere, vol. II, p. 24. [Tardi, nell’ora del dolore, quando ho veduto che invano/ avevo detto tutte le mie
parole (…)].
266
267
pag. 97
că-ntraripatele puteri, răzbind prin nori,/
orbite de o țintă depărtată/
ne iau văzduhul prin tangență doar
[...]270.
Il passato remoto, come abbiamo visto, compare invece in piccole percentuali
soltanto nelle postume degli anni ‘40 e in quelle degli anni ‘50 e ‘60, come ad es. in
Cânele din Pompei (Il cane di Pompei. Văzui în Pompei acel câne roman [...])271, dove
si tratta di un tempo di stampo narrativo riferito a una memoria propria del poeta. Allo
stesso modo viene utilizzato in Măgărușul (Văzui cândva prin munți iberici [...])272.
Si nota, quindi, che Lucian Blaga sembra utilizzare il perfect compus di preferenza
quando i suoi versi sono destinati a un interlocutore, a una seconda persona, mentre
sceglie il passato remoto per avvenimenti passati che non coinvolgono persone e affetti
ma animali o oggetti inanimati, il che, verosimilmente, spiega anche il motivo per cui tali
avvenimenti sono avvertiti anche dal lettore come molto distanti nel tempo, privi di
legami con il presente.
4.2.4. L’imperfetto e il futuro
Sempre appartenente alla categoria dei tempi verbali riferiti al passato,
l’imperfetto “si usa per indicare un’azione passata vista nel suo svolgimento e, quindi,
spesso non conclusa”273. L’imperfetto, a differenza dei due tempi verbali già visti, non ha
una precisa collocazione temporale né una durata determinata, e risulta un tempo dai
contorni sfumati, generico, secondo Serianni “è un tipico tempo «aspettuale»: segnala
infatti un’azione incompiuta nel passato […]; o meglio, un’azione passata le cui
coordinate (momento d’inizio, conclusione ecc.) restano inespresse274. L’imperfetto, per
quanto riguarda a vedea, compare soltanto nelle postume, mentre, per quanto riguarda a
privi, è rappresentato anche nei primi due volumi antumi, dove lo troviamo ad es. in
270
Opere, vol. II, p. 12. [Noi abbiamo visto, è vero, così tante volte,/ che le forze animose, facendosi strada
tra le nubi,/ orbite di una meta lontana/ sfiorano appena la nostra atmosfera].
271
Opere, vol. II, p. 152. “Mi apparve in Pompei quel cane Romano [...]” (Del Conte, p. 250)
272
Opere, vol. II, p. 418. [Vidi un tempo, tra i monti iberici (…)].
273
Negrițescu, Grammatica romena, cit. p. 175.
274
Serianni, Grammatica, cit. p. 468.
pag. 98
Legendă (“Leggenda”. Strălucitoare-n poarta raiului/ sta Eva./ Privea cum ranele
amurgului se vindecau pe boltă [...])275 e in Din copilăria mea ([...] Când toropit priveam
prin gene/ cum boii se mișcau prin flori de sânziene [...])276. Nelle postume, invece,
troviamo esempi in Ziua a șaptea ([...] Vedea acolo între patru râuri leul și mioarele/ [...]
Iar El privea. Pe tine te văzu de-a dreaptă mea [...])277 e in Anii vieții, dove rientra nella
categoria oida ([...] Umblam, vedeam, dar nu mă închegam/ vedeam, umblam, dar încă
nu eram [...])278. In tutti i casi osservati, di fatto, si tratta di azioni considerate abituali nel
passato (quello reale dell’infanzia del poeta o quello immaginario della narrazione), e
l’utilizzo dell’imperfetto sembra soprattutto una pura questione di logica e di stilistica.
Considerate anche le pochissime occorrenze di questo tempo verbale, si ritiene di fatto
azzardato il cercare di trarre conclusioni, oltre che impossibile l’osservazione di pattern
o andamenti specifici.
Lo stesso identico discorso vale anche per il tempo futuro, che occorre
esclusivamente in La cumpăna apelor e nelle ultime postume, ma con percentuali
talmente basse da non rappresentare un valido caso di studio: lo troviamo in Sat natal
(“Villaggio natale”.[…] Nedumirit turnul se va uita două ore/ în urma mea/ până m-oi
pierde din nou subt dunga apusului […])279 e in Grădiște ([...] Și umbra inimii mi-o voi
vedea în palma ta căzând [...])280, rispettivamente appartenente a La cumpăna apelor la
prima e alle postume anni ‘50 e ‘60 la seconda, nella forma del futuro letterario, e in
Haiducul (“Haiduc”. […] N-o să-l mai vadă nimeni cu anii […])281, antuma, nella forma
del futuro popolare.
Opere, vol. I, p. 60. “Splendida, al limitar del Paradiso,/se ne sta Eva./E guarda, guarda come le ferite/del
crepuscolo, nell’eterea volta/si van rimarginando [...]” (Baffi, p. 93).
276
Opere, vol. I, p. 94. [Quando intorpidito guardavo tra le ciglia/ i buoi muoversi tra i fiori di caglio (…)].
277
Opere, vol. I, p. 94. [(…) Vedeva laggiù fra quattro fiumi il leone e le pecore./ (…) E Lui guardava. Ti
vide alla mia destra (…)].
278
Opere, vol. II, p. 158. [Andavo, vedevo, ma non prendevo forma/ vedevo, andavo, ma ancora non ero
(…)].
279
Opere, vol. I, p. 238. “Incredula due volte si volterà a guardarmi la torre,/fino a quando non mi sarò
perduto di nuovo dove si/chiude il tramonto [...]” (Del Conte, p. 151).
280
Opere, vol. II, p. 278. [E vedrò cadermi l’ombra del cuore nel palmo della tua mano].
281
Opere, vol. I, p. 277. “[...] Per anni e anni nessuno più lo vedrà [...]” (Del Conte, p. 179).
275
pag. 99
4.3. La persona
Ci accingiamo, infine, a osservare i dati sull’utilizzo della persona verbale
nell’opera poetica di Lucian Blaga.
Fig. 21
4.3.1. La persona – misura
Fig. 21
In fig. 21 vediamo la rappresentazione in senso diacronico della persona verbale di a
vedea.
Fig. 22
In fig. 22 vediamo la rappresentazione in senso diacronico della persona verbale di a privi.
4.3.2. La persona – interpretazione
Notiamo innanzitutto che la prima persona singolare (da qui in poi abbreviata in
1 p.s.), per quanto riguarda il verbo a vedea, è quella con le percentuali più alte ma che
manca del tutto nel sottocorpus La cumpăna apelor. La 1 p.s. è decisamente predominante
pag. 100
in Poemele luminii (28%), Pașii profetului (13%), Lauda somnului (24%) e nelle postume
degli anni ‘40 (22%) e degli anni ‘50 e ‘60 (9%). Ricompare qui, dunque, il pattern già
visto altrove che vede una sorta di affinità stilistica (almeno per quanto riguarda l’utilizzo
dei verbi legati alla vista e in particolare a vedea) tra Poemele luminii, Lauda somnului e
le postume scritte negli anni ‘40.
Sempre per quanto riguarda il verbo a vedea, si osserva che la seconda persona
singolare (2 p. s.) è presente – anche se in percentuali minori rispetto alla 1 p.s. – in tutti
i sottocorpora (fatta eccezione per le postume prive di data). La percentuale di frequenza
della 2 p.s. supera quella della 1 p.s. in În marea trecere (6% contro 3%), La curțile
dorului (7% contro 3%), Nebănuitele trepte (15% contro 4%) e nelle postume degli anni
‘40 e ‘50 (13% contro 7%). L’opposizione principale, infatti, è proprio quella tra 1 p.s. e
2 p.s.: difficilmente sembrano avere livelli percentuali simili, ogni ciclo poetico è
caratterizzato dalla predominanza dell’una o dell’altra persona. Dopo i primi due cicli di
poesie antume, nelle quali la 2 p.s. era comunque presente ma in percentuali minime
(rispettivamente 2% e 3%), si osserva facilmente che il “tu” diventa sempre più presente,
si ha una “pluralizzazione” dello sguardo via via più significativa e intensa.
La 3 p.s. compare già in Poemele luminii (4%), poi di nuovo in Lauda somnului
(3%) per poi essere una presenza costante da Nebănuitele trepte in poi in percentuali che
variano tra il 2% e il 4%, fatta eccezione per le postume degli anni ‘40, dove la troviamo
all’11%, dimostrando ancora una volta la connessione tra Poemele luminii, Lauda
somnului e le poesie postume scritte negli anni ‘40.
La quarta persona plurale (4 p.p.) compare in Poemele luminii (4%) per poi sparire
fino a La curțile dorului (3%) e di nuovo mancare fino alle postume degli anni ‘40 e ‘50
(2%) e quelle degli anni ‘50 e ‘60 (1%). La quinta persona plurale (5 p.p.) è presente
esclusivamente nelle postume degli anni ‘50-’60 (4%), mentre la sesta persona plurale (6
p.p.) compare soltanto in În marea trecere. Abbiamo poi i dati relativi alla terza persona
singolare utilizzata in maniera impersonale (3 p.imp.), che compare in În marea trecere
(3%) e nelle postume degli anni ‘50 e ‘60 (2,5%).
Passando invece al verbo a privi notiamo che le percentuali sono un po’ diverse
(e, se vogliamo, che i dati sono meno significativi, in quanto il verbo a privi è più raro
rispetto ad a vedea): non ci sono persone verbali che compaiano in modo costante in tutti
i cicli (come era stato per la 2 p.s. riferita ad a vedea). La 1 p.s. compare in percentuale
pag. 101
predominante soltanto in Poemele luminii (6,5%) e in Pașii profetului (13%) per poi
comparire con percentuali decisamente più basse in În marea trecere (3%), La curțile
dorului (3%), nelle postume degli anni ‘40 (3%) e in quelle degli anni ‘50 e ‘60 (2,5%).
La 2 p.s. compare già in Poemele luminii (2%) e poi in Pașii profetului (3%), La
cumpăna apelor (9%, è la percentuale di 2 p.s. più alta di tutte per quanto riguarda a privi,
e, si noti, è l’unica persona che compare associata a questo verbo!) e nelle postume degli
anni ‘50 e ‘60 (0,63%).
Si nota che anche la 3 p.s. compare esattamente negli stessi corpora in cui
compariva la 1 p.s. e in percentuali grosso modo equivalenti: 2% in Poemele luminii, 13%
in Pașii profetului, 3% in În marea trecere, 7% in La curțile dorului, 3% nelle postume
degli anni ‘40 e 1% in quelle degli anni ‘50 e ‘60.
La 4 p.p. compare per la prima volta in Lauda somnului (dove è anche l’unica
persona verbale associata al verbo a privi) con la percentuale del 3% e ricompare poi
ancora in La curțile dorului (di nuovo al 3%), nelle postume degli anni ‘40 e ‘50 (2,12%
dove è nuovamente l’unica persona verbale associata al verbo) e in quelle degli anni ‘50
e ‘60 (0,63%). Non compare mai la 5 p.p., mentre la 6 p.p. compare soltanto nelle postume
degli anni ‘50 e ‘60 (1%).
Osservando i grafici e i loro andamenti notiamo come a mero livello visivo la 2
p.s. nella figura 19 (quindi con riferimento al verbo a vedea) sia rappresentata
maggiormente nelle postume e che le percentuali più alte della 1 p.s., tranne nel caso delle
postume degli anni ‘40, siano presenti soprattutto all’inizio della carriera poetica di
Lucian Blaga, in epoca giovanile. Tutto ciò ci porta facilmente a concludere che, in
particolare nel volume di debutto, la visione dell’io poetico fosse particolarmente centrata
sul sé. Si nota anche che a partire da Pașii profetului il “tu”, e quindi una sorta di visione
identitaria più ampia, si fa sempre più presente, attirando il focus su di sé.
Tornando a Sketch Engine e avvalendoci dell’utile strumento delle concordanze,
che ci permettono di osservare le parole all’interno del testo e, in questo caso, ci
permettono di osservare in un’unica schermata tutte le occorrenze di a vedea o a privi
comprese del testo poetico che le precede e le segue, scopriamo che in Poemele lumini la
2 p.s. di a vedea è di fatto il vezi appartenente alla categoria H, quella dello sguardo che
non è un vero sguardo, ma un semplice intercalare. Compare anche, in Noapte (“Notte”),
una 2 p.s. riferita ad a privi che, come vediamo, è uno specchiarsi negli occhi dell’io
pag. 102
poetico, e che quindi ha un bagaglio semantico piuttosto particolare: Sub ocrotirea
limpede a zării/ biruitoare mă privești/ și-n ochii mei te oglindești [...]282. Anche in Pașii
profetului notiamo che la 2 p.s. di a vedea è esclusivamente appartenente alla categoria
H (compare in Teologul), dunque, nei primi due cicli antumi, mentre in În marea trecere
comincia ad apparire una 2 p. s. non “di servizio” nella poesia Pluguri ([...] prietene care
încă n-ai văzut/ câmp și soare jucând subt peri înfloriți [...])283. La tendenza continua in
Lauda somnului, dove inizia davvero a comparire “l’altro”, un altro “concreto”, e i vezi
rientranti nella categoria H scompaiono per poi ricomparire qualche volta nelle postume,
affiancati però sempre da 2 p.s. “effettive”. Che nelle postume si trovi anche qualche
occorrenza di vezi utilizzato come intercalare discorsivo, però, non deve essere una
sorpresa, in quanto i corpora postumi, come si è già notato più volte, hanno dimensioni
considerevoli rispetto ai volumi di poesie antume.
Di fatto è nel corpus di poesie scritte tra gli anni ‘50 e ‘60 che notiamo un
andamento davvero interessante: sono presenti alcuni vezi appartenenti alla categoria H –
uno, ad es., in Ulise (“Ulisse”. Vezi, orice amintire-i/ doar urma unor răni [...])284 e un
altro in Arheologie (“Archeologia”. [...] un sarcofag antic, vezi tu, e mult mai plin/ de
tâlcuri, de istorie, când e deșert [...])285, e sono presenti 2 p.s. ordinarie, ma, soprattutto,
compare un utilizzo particolare della 2 p.s. Il “tu”, infatti, nelle ultime postume, viene
utilizzato quale interlocutore generico: l’io poetico non si rivolge a nessuno in particolare,
ma parla a un “tu” collettivo, generico, che serve quasi a enunciare fatti che – per il poeta
– sono incontrovertibili, oppure realtà di fatto. Ne abbiamo un esempio in Umbra lui
Dumnezeu (“L’ombra di Dio”): Umbra lui Dumnezeu e tot ce vezi,/ ce-n spațiu se
desparte și s-adună [...]286, ma anche in Dumbrava africană (“La giungla africana”. [...]
Incendiu când se iscă-n așezare,/ îi vezi zorind, cu cranii subsuoară [...])287, in Frumsețea
(“La bellezza”. [...] Orice frumsețe e ca o urnă/ de-a căreia coapsă privirea se prinde.
Opere, vol. I, p. 58. “[...] Protetta dal sereno ampio del cielo,/vincitrice mi guardi/e, splendida, negli
occhi miei ti specchi [...]” (Baffi, p. 91).
283
v. p. 99.
284
Opere, vol. II, p. 90. “[...] Vedi, ogni nostro ricordo/è solo traccia di qualche ferita [...]” (Baffi, p. 266).
285
Opere, vol. II, p. 263. [(…) un antico sarcofago, vedi, e ben più ricco/ di senso, di storia, quando è
vuoto].
286
Opere, vol. II, p. 128. [L’ombra di Dio è tutto quel che vedi/ separarsi e riunirsi nello spazio (…)].
287
Opere, vol. II, p. 213. [Quando scoppia l’incendio al villaggio/ li vedi affrettarsi con i crani sottobraccio
(…)].
282
pag. 103
Vezi forma, mirat. Și suferi, gândind/ la cenușa pe care-o cuprinde)288 e un ottimo
esempio, infine, in Ceramică (“Ceramica”):
Ulcioare-nchipuind s-adape,
au forme fetele parcă-ntr-adins
alcătuite să ne scape.
Sunt ca din flăcări, ca din ape.
Ulcioare vii, de neînvins.
Le vezi cu gândul, prin pleoape.
O amăgire e că le-ai cuprins,
Oricât cu fapta te-ai deprins289.
In questi esempi sembra che l’io poetico stia di fatto parlando a sé stesso, di sé
stesso, utilizzando la seconda persona singolare. Non è presente alcun interlocutore a
condividere i pensieri e le sensazioni citate, che sembrano appunto percezioni personali.
Non sorprende che questo tipo di “interlocutore generico” compaia tanto (e solo)
nelle ultime postume. In parte ciò ha certamente a che vedere con la mole dei sottocorpora
postumi, ma, soprattutto, con il fatto che, rispetto ai lavori giovanili, la prospettiva poetica
e personale è totalmente cambiata. Questa seconda persona generica è una sorta di
proiezione del sé nell’altro, o dell’altro nel sé. Secondo il filosofo francese Paul Ricoeur,
nella sua monumentale opera “Sé come un altro”, afferma che “dire sé non significa dire
io. […] Il sé è implicato come riflessivo in quelle operazioni la cui analisi precede il
ritorno verso sé stesso”290. Il sé, dunque, può arrivare a comprendersi solo in modo
riflesso o riflessivo dopo aver preso accuratamente le distanze da sé stesso ed essersi
osservato da fuori. Solo in seguito a questo lungo percorso di scoperta di sé stessi è
possibile, secondo il filosofo, rispondere alla domanda “chi sono?”. In estrema sintesi, è
alla fine di questo percorso di fuoriuscita da sé in direzione dell’altro che si può davvero
tornare a sé stessi, al “sé come un altro”. Non è mai possibile avere un sé senza un altro
che gli sia speculare, in quanto l’altro è radicato all’interno del sé. Esiste una “totalità del
sé, che vive di sé e di altro, che si trova e si disperde, che si scopre e si modella
incessantemente a partire dall’altro, nell’altro, in quanto altro”291.
Opere, vol. II, p. 200. [Ogni bellezza è come un’urna/ al cui manico si aggrappa lo sguardo. Ammirato,
ne vedi la forma. E soffri, pensando/ alla cenere che contiene].
289
Opere, vol. II, p. 180. [Come brocche piene d’acqua,/ hanno forme, le ragazze che sembrano, in realtà/
pensate per sfuggirci./ Sono come di fiamma, come d’acqua./ Le vedi nel pensiero, dietro le palpebre./ È
illusione averle cinte,/ seppur le speranze dall’abitudine siano vinte].
290
Paul Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano, 1993, p. 94.
291
Ibidem, p. 68.
288
pag. 104
Alla base di questo pensiero c’è la distinzione tra identità-idem (che è quella
statica, una totalità chiusa e compatta) e l’identità-ipse, che è, al contrario, aperta e
accogliente nei confronti della pluralità delle esperienze e delle evoluzioni che il sé
compie nel tempo292. Applicando al percorso poetico di Lucian Blaga quanto appena letto,
si potrà ipotizzare che, di fatto, la maturità sia artistica che personale abbia permesso al
poeta di compiere il suddetto percorso, di accogliere l’altro all’interno del sé, di
pluralizzare il proprio sguardo e la propria identità. Senza elementi estranei, insomma,
sarebbe impossibile giungere a una piena consapevolezza della propria stessa identità.
Ricordiamo anche, però, che in poesia l’altro non è che di fatto una proiezione del proprio
pensiero, un introiettare l’altro così come assunto dal sé unicamente attraverso la propria
esperienza (che è anche l’unica possibile). Chiudiamo dunque con due eloquenti citazioni
da Il visibile e l’invisibile di Maurice Merleau-Ponty: “Il mondo è ciò che io
percepisco”293 e “Orbene […] la cosa stessa è sempre, per me, la cosa che io vedo”294
5. Il campo semantico della vista
Dopo il lavoro sui verbi e le interessanti conclusioni alle quali si è giunti attraverso
l’osservazione dei dati, si sono cercate parole che facessero parte del campo semantico
legato al verbo vedere e appartenenti a categorie diverse da quella del verbo, per osservare
il loro comportamento all’interno del corpus. Si è scelto di utilizzare la stessa modalità di
calcolo percentuale che si è utilizzata anche per il verbo, e che ci permette di ottenere un
dato sulla percentuale di occorrenza orizzontale di un determinato termine all’interno del
corpus.
292
Ibid., pp. 77-78.
Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 1969, p. 21.
294
Ibidem, p. 24.
293
pag. 105
5.1. Misura
Fig. 23
CAMPO SEMANTICO VISTA
LACRIMĂ
ZARE
PRIVIRE
NEVĂZUT
PL
PP
ÎMT
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
0%
0%
0%
0%
7%
12%
4%
6%
2,50%
0,63%
2%
2%
9%
15%
11%
14%
3%
3%
0%
3%
7%
7%
15%
4%
4%
0%
4%
15%
15%
11,50%
17%
17%
LS
0%
0%
4%
10%
3%
3%
3%
12%
0%
6%
3%
13%
10%
10%
0%
9%
13%
6,50%
27,50%
39%
45%
50%
OCHI
PSD
In fig. 23 vediamo la percentuale orizzontale in senso diacronico di ochi, lacrimă, zare,
privire e nevăzut.
5.2. Interpretazione
Dopo una scrematura iniziale atta a escludere i termini che avevano occorrenze
davvero sporadiche e dunque molto poco significative, si è deciso di tenere in
considerazione le occorrenze di ochi (s. m., “occhio”), che è presente nel 20% delle poesie
dell’intero corpus, nel 32% delle antume e nel 10% delle postume; lacrimă (s. f.
“lacrima”), presente nel 9% delle poesie totali, nel 12,5% delle antume e nel 6% delle
postume; zare (s. f., “orizzonte, a perdita d’occhio”), presente nel 7% delle poesie totali,
nel 6,50% delle antume e nell’8% delle postume; privire (s. f. “sguardo”), presente nel
3% delle poesie del corpus, nel 5% delle antume e nell’2% delle postume e infine nevăzut
(agg., “invisibile”), presente nel 2% del corpus, nel 4% delle antume e nell’1% delle
postume.
pag. 106
In seconda battuta, poi, si sono osservati in particolare ochi e lacrimă, che, come
vedremo, si portano appresso un bagaglio semantico di grande interesse. Già a un
primissimo colpo d’occhio si nota l’interessante andamento di ochi. Ochi compare in tutti
i sottocorpora e segue un andamento discendente di volume in volume, passa dal 50% di
Poemele luminii al 7% di Nebănuitele trepte. Dopo un ulteriore calo nelle postume degli
anni ‘40, dove raggiunge il picco più basso (3%), la percentuale segue un andamento
speculare e ricomincia a salire, pur non superando mai il 12% delle ultime postume.
Osservando le occorrenze di ochi si nota come, nelle poesie giovanili, si
percepisca chiaramente attraverso il testo la passione del poeta, la sua smania di conoscere
il mondo, di dirlo, di possederlo. Pe măsură ce le văd/ lucrurile-s ale mele295 scrive lo
stesso Blaga in Cântec înainte de-a-adormi, poesia che fa parte delle ultime postume. E,
ancora, [...] știu doar ce văd296 in A fost cândvă pământul nostru străveziu, come se,
giunto alla fine della sua vita e della sua carriera poetica, sia proprio lui a volerci
implicitamente fornire la chiave di lettura del suo universo poetico. In molte delle poesie
giovanili, infatti, notiamo come l’occhio diventi quasi, sinesteticamente, un mezzo non
solo per vedere, ma anche per sentire, per toccare, un organo di conoscenza a tutto tondo
strettamente connesso al pensiero: [...] Iar eu încet, nespus de-ncet/ pleoapele-mi închid,/
îmbrățișând cu ele tainic/ icoana ta din ochii mei [...] scrive in Noapte297. E ancora, in
Dorul (“Nostalgia”), troviamo occhi che sembrano di fatto toccarsi fisicamente: Ne ardeaproprierea, ochi în ochi cum stăm298. È, di fatto, il concetto di sguardo aptico già
discusso da Jacques Derrida, che scrive “[...] per chi vede, l’anticipazione visiva
sostituisce la mano per portarsi ancora più lontano, molto più lontano [...]. Prendendo in
vista, l’occhio prende più e meglio della mano”299. Uno sguardo che tocca, che possiede,
e che al contempo, fagocita e dunque interiorizza l’essenza di quel che vede per
conoscerla e comprenderla. Scrive Marcello Ghilardi che:
la visione si fa tatto, lo sguardo diventa contatto. Il rapporto con l’altro decostruisce il movimento
tra prossimità e distanza, la loro presunta dualità, la loro separazione netta. L’occhio, che può
295
Opere, vol. II, p. 360. [Man mano che le vedo/ le cose si fanno mie].
Opere, vol. II, p. 272. [(...) conosco solo quel che vedo (...)].
297
Opere, vol. I, p. 58. “[...] E allora io lentamente/oh! quanto lentamente!/le mie palpebre
serro/racchiudendo misteriosamente/negli occhi miei la tua immagin divina [...]” (Del Conte, p. 91)
298
Opere, vol. I, p. 64. “[...] Occhi negli occhi, qual siamo, la vicinanza ci brucia [...]” (Del Conte, p. 67).
299
Derrida, Il visibile e l’invisibile, cit. p. 29.
296
pag. 107
vedere da lontano, diventa un organo tattile. Nella vicinanza estrema, l’occhio non vede più, punta
e tocca come un dito. La sua funzione diventa quasi “digitale”, non più ottica, ma aptica 300.
Lo vediamo anche in În marea trecere, dove, in Din cer a venit un cîntec de lebădă
(“Dal cielo è giunto un canto di cigno”), gli occhi sono assimilati alle mani e al pensiero:
[...] Sângerăm din mâni, din cuget și din ochi301. Man mano che si va avanti
nell’osservare le occorrenze di ochi in senso diacronico, e man mano che la percentuale
si abbassa, ecco che il carico semantico del sostantivo si trasla. Gli occhi divengono un
attributo non solo degli esseri viventi, ma della terra stessa. Gli specchi d’acqua sono
occhi, occhi che inglobano il cielo, lo digeriscono, lo sintetizzano. Troviamo esempi
sparsi qua e là tra i corpora antumi, ad es. in Peisaj transcendent (“Paesaggio
trascendente”, Lauda somnului), in cui di fatto gli occhi (i pozzi) divengono metafora di
tutto il sentire e del conoscere, accolgono il mondo filtrandolo mentre questi vi penetra:
Cocoși apocaliptici tot strigă,/ tot strigă din satele romînești./ Fântânile nopții/ deschid
ochii și-ascultă/ întunecatele vești [...]302. E ancora, in Iezerul (“Laghetto alpino”, La
curțile dorului) un lago di montagna non è altro che un occhio: În pâlnia muntelui iezerul
netulburat/ ca un ochi al lumii, s-a deschis303.
Nelle postume degli anni ‘40, che, come abbiamo visto, sono il corpus in cui si ha
la percentuale in assoluto più bassa, l’unica occorrenza (in Lângă vatră) di fatto è una
negazione: Nu cu ochii mai privesc ̶ hotar ̶ poiană304. Gli occhi e il loro scopo sinestetico
sono negati, quasi il poeta stesse prendendo le distanze da quello che era stato il suo modo
di intendere le cose.
Se nei cicli antumi gli occhi erano di fatto un mezzo sinestetico per possedere e
comprendere il mondo, nelle ultime postume troviamo una sorta di nota di chiusura, o di
testamento poetico, nella poesia Drumul lor: [...] Plecând, cu pleoapele/ lumina își stâng,/
adânc cunoscând/ că ochii-nchizându-și/ nici unul, nici unul/ nu va să greșească/ spre
300
Ghilardi, Derrida, cit. p. 19.
Opere, vol. I, p. 154. “[...] Sanguinano le mani, la coscienza, gli occhi [...]” (Baffi, p. 161).
302
Opere, vol. I, p. 206. “Apocalittici galli ancor cantano/ancor cantano dai villaggi rumeni./Le fonti della
notte/schiudono gli occhi e ascoltan/i tenebrosi messaggi [...]” (Del Conte, p. 137).
303
Opere, vol. I, p. 293. “Nell’imbuto del monte un limpido lago/come un occhio del mondo, segreto, s’è
aperto [...]” (Del Conte, p. 197).
304
Opere, vol. II, p. 8. [Non è che gli occhi che ora guardo – confine – la radura].
301
pag. 108
țintă sa drumul [...]305. La morte ha gli occhi chiusi, e i morti della poesia sanno che,
quando la vita è giunta a conclusione la luce va spenta chiudendo gli occhi.
Passiamo poi al sostantivo femminile lacrimă: anche questa parola compare in
tutti i sottocorpora, ma, a differenza di ochi, le sue percentuali hanno un andamento
decisamente più lineare, e le sue occorrenze sono minori. Le percentuali di occorrenza
restano piuttosto costanti in senso diacronico, con qualche variazione: 9% in Poemele
luminii, 13% in Pașii profetului, 12% in În marea trecere, 10% in Lauda somnului, 17%
in La cumpăna apelor, 15% in La curțile dorului, 16% in Nebănuitele trepte, 3% nel
primo ciclo di postume (anni ‘40), 15% nel secondo ciclo postumo (anni ‘40 e ‘50) e
infine 4% nell’ultimo.
Le lacrime, in Blaga (e non solo), sono spesso connesse all’idea di cecità, ma
sembrano qui assumere anche un’altra sfumatura semantica: lacrima e parola, spesso,
sono strettamente connesse. Lo dice il poeta stesso nella poesia che apre il volume În
marea trecere, Către cititori (“Ai lettori”): [...] Dar cuvintele sunt lacrimile celor ce ar
fi voit/ așa de mult să plângă și n-au putut./ Amare foarte sunt toate cuvintele,/ de-aceea ̶
lăsați-mă/ să umblu mut printre voi,/ să vă ies în cale cu ochii închiși306. Lacrima e parola
sono strettamente connesse. Il poeta con gli occhi chiusi si fa carico delle lacrime altrui,
di chi non è riuscito a piangere, di chi non ha trovato le parole per dire. “[…] le lacrime
dicono qualcosa dell’occhio che non ha più nulla a che vedere con la vista, a meno che
non la rivelino ancora velandola”307 scrive Derrida, e ancora
[…] Nel momento stesso in cui velano la vista, le lacrime svelerebbero il proprio dell’occhio. Ciò
che fanno uscir fuori dall’oblio in cui lo sguardo la tiene in riserva sarebbe niente meno che
l’aletheia, la verità degli occhi di cui le lacrime rivelerebbero così la destinazione suprema: avere
in vista l’implorazione piuttosto che la visione, indirizzare la preghiera, l’amore, la gioia, la
tristezza piuttosto che lo sguardo308.
Ecco, dunque, la destinazione suprema dell’occhio: non vedere, ma conoscere,
esprimere. Una fusione della vista, dell’occhio stesso e della sua funzione per così dire
305
Opere, vol. II, p. 146. [Andando, con le palpebre/ spengono la luce,/ sapendo, nel profondo/ che pur
chiudendo gli occhi/ nessuno, nessuno/ prenderà/ la strada sbagliata].
306
Opere, vol. I, p. 132. “[…] Ma le parole non sono/che le lagrime di quelli che tanto avrebber voluto/da
troppo tempo piangere e non hanno potuto./Oh, molto amare sono tutte le parole!/Per questo, deh!
Lasciatemi/camminar muto tra voi;/ch’io vi venga incontro, ad occhi chiusi.” (Baffi, p. 147).
307
Derrida, Il visibile e l’invisibile, cit. p. 17.
308
Ibidem, p. 152.
pag. 109
“allargata”, come si è visto pocanzi, con il logos, fusione che sembra trovare un raffronto
anche esplicito nella poesia blaghiana. Lucian Blaga e mut ca o lebădă309, scrive il poeta
in Autoportret (“Autoritratto”), contenuta in Nebănuitele trepte (che è, come ben
sappiamo, l’ultimo volume poetico pubblicato in vita). Ed ecco che questa condizione di
particolare mutismo, alla luce di quel che si è detto, ci svela il suo enigma: Lucian Blaga
è muto perché vede, perché non parla il linguaggio degli uomini ma il linguaggio della
poesia.
6. Uno sguardo ai verbi più frequenti.
Dopo il breve excursus di analisi sul verbo a vedea e il suo relativo campo
semantico è il caso di spostare brevemente l’attenzione sugli altri verbi che risultano
particolarmente presenti all’interno del corpus poetico blaghiano. Si nota innanzitutto che
un’intera classe di verbi che compare con grande frequenza è quella dei verbi legati
all’idea di movimento (o, al contrario, di stasi): a veni (“venire”), con 99 occorrenze totali,
segue a ruota a vedea. Subito dopo a veni compare invece a sta (“stare”), con 85
occorrenze totali. Nello stesso campo semantico abbiamo incluso anche i verbi a cădea
(“cadere”, 83 occorrenze), a trece (“passare”, 80 occorrenze) e a umbla (“camminare”,
53 occorrenze). Tra i verbi più frequenti all’interno del corpus compare poi il verbo a ști
(“conoscere”, “sapere”) con 95 occorrenze totali. Sono infine stati presi in considerazione
altri due verbi legati, come a vedea, al campo della percezione: a auzi (“sentire”, legato
all’udito), che conta 68 occorrenze, e a simți (“percepire”, “sentire” ma non con l’udito),
che ne conta 51.
6.1. Movimento e stasi
La nostra attenzione si concentrerà in particolare su a veni e a sta per ragioni
quantitative: sono infatti i due verbi più frequenti all’interno del gruppo di verbi legati
all’idea di movimento.
309
Opere, vol. I, p. 338. “Lucian Blaga è muto come il cigno […]” (Del Conte, p. 221).
pag. 110
6.1.1. Misura
Come si è detto, il verbo a veni compare 99 volte all’interno dell’intero corpus e,
sul numero totale di tutte le occorrenze verbali rappresenta l’1,31%. A veni compare 51
volte nel corpus antumo e 46 volte in quello postumo. A sta, invece, compare 85 volte, di
cui 35 nelle antume e 50 nelle postume, e rappresenta l’1,13% delle occorrenze verbali.
Fig. 24
A VENI vs A STA
3,00%
2,50%
2,00%
1,50%
1,00%
0,50%
0,00%
OC
PL
A VENI
PP
ÎMT
A STA
LS
LCA
LCD
NT
Lineare (A VENI)
P40
P4050 P5060
PSD
Lineare (A STA)
In fig. 24 vediamo l’andamento in senso diacronico dei verbi a veni e a sta in senso
orizzontale, ovvero sul totale di tutte le occorrenze verbali, con linee di tendenza.
6.1.2. Interpretazione
Si è scelto di osservare il comportamento dei due verbi considerandoli insieme,
scelta che è la logica conseguenza del fatto che tali verbi, pur avendo significati opposti
(l’uno legato al movimento fisico nello spazio, l’altro all’idea di immobilità – nonostante
a sta possieda un’ulteriore sfumatura semantica legata a una certa idea di dinamicità,
come vedremo), compaiono spesso vicini nelle liste di frequenza. Hanno quindi qualcosa
pag. 111
in comune, e l’obiettivo è quello di osservare il loro utilizzo servendoci dell’ormai
abituale punto di vista diacronico.
Grazie alle rappresentazioni grafiche di fig. 21 notiamo subito come i due verbi
compaiano in Poemele luminii nella stessa percentuale (1%). A dispetto del fatto che la
percentuale complessiva di occorrenza dei due verbi risulta di fatto molto simile (1,34%
per a veni e 1,29% per a sta), a partire dal volume Pașii profetului le cose iniziano a
differenziarsi parecchio: a veni, infatti, sia in Pașii profetului che in În marea trecere
distacca di non poco a sta, che compare meno. La stessa tendenza è rilevabile in La
cumpăna apelor e La curțile dorului, mentre gli unici volumi antumi che vedono un
vantaggio di a sta su a veni sono Lauda somnului e Nebănuitele trepte.
Come si è già osservato e si osserverà ancora nei capitoli seguenti, è risultato
frequente che tra l’ultimo volume antumo e quello costituito dalle poesie scritte negli anni
‘40 sia ben rilevabile una sorta di continuità nell’utilizzo dei pattern linguistici, che viene
spesso poi interrotta o comunque riveduta a partire dai corpora postumi degli anni ‘50 e
‘60, che formano quasi un’entità a sé. Anche nel caso di a veni e a sta si nota questa
tendenza: il corpus di poesie degli anni ‘40, infatti, perpetra lo schema già visto in
Nebănuitele trepte, e vede una percentuale più alta delle occorrenze di a sta rispetto a
quelle di a veni. Lo schema va poi a riprendere in qualche modo le percentuali che
compaiono nelle primissime antume: anche nel secondo corpus di postume, infatti, a sta
e a veni compaiono in percentuale identica (1,20%) esattamente come succede in Poemele
luminii. Ancora una volta si scorgono delle analogie stilistiche tra il primissimo volume
pubblicato in epoca giovanile e le poesie postume. La stessa tendenza si rileva ancora
nelle postume degli anni ‘50 e ‘60. Si può quindi affermare che di fatto, nei volumi
antumi, almeno fino a La curțile dorului (con l’eccezione di Lauda somnului) il verbo a
veni sia più frequentemente utilizzato rispetto al verbo a sta, e che nelle postume, ma già
a partire da Nebănuitele trepte, la tendenza vada prima a invertirsi per poi spostarsi verso
un appianamento delle differenze. Questo andamento è chiaramente rappresentato in fig.
21 dalle due linee di tendenza del grafico che si incrociano a formare una X, mostrando
come, nel periodo di La curțile dorului, il poeta avesse iniziato a incrementare
l’importanza attribuita alla stasi rispetto al movimento. Si può suggerire che l’incedere
della maturità abbia apportato allo stile poetico di Blaga non soltanto un ampliamento
pag. 112
della prospettiva utilizzando più persone verbali diverse dalla prima singolare, ma anche
un atteggiamento riflessivo e contemplativo.
6.1.3. Persone e tempi verbali dei verbi a veni e a sta – misura e interpretazione
Fig. 25
A VENI - persona
15
10
5
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
1 ps
2 ps
3 ps
3 imp
4 ppl
6 ppl
Lineare (2 ps)
Lineare (3 ps)
Lineare (3 imp)
Lineare (6 ppl)
PSD
In fig. 25 vediamo le tendenze in senso diacronico delle persone verbali associate al verbo
a veni.
Fig. 26
A STA - persona
15
10
5
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
1 ps
2 ps
3 ps
3 imp
4 ppl
6 ppl
Lineare (1 ps)
Lineare (2 ps)
Lineare (3 ps)
Lineare (3 imp)
Lineare (6 ppl)
PSD
In fig. 26 vediamo le tendenze in senso diacronico delle persone verbali associate al verbo
a sta.
pag. 113
Fig. 27
A VENI - tempo e modo
15
5
-5
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
Pres. Indicativo
Futuro
Imperfetto
Imperativo
Gerundio
Passato prossimo
Passato remoto
Cong. Presente
Lineare (Pres. Indicativo)
Lineare (Imperativo)
P5060
PSD
Lineare (Passato prossimo)
In fig. 27 vediamo le tendenze in senso diacronico di temi e modi verbali associati al
verbo a veni.
Fig. 28
A STA - tempo e modo
40
20
0
-20
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
PSD
Pres. Indicativo
Futuro
Imperfetto
Passato prossimo
Passato remoto
Cong. Presente
Condizionale
Infinito
Lineare (Pres. Indicativo)
Lineare (Passato prossimo)
Lineare (Cong. Presente)
In fig. 28 vediamo le tendenze in senso diacronico dei tempi e dei modi verbali associati
al verbo a sta.
Subito dopo aver contato le occorrenze e aver ricavato le percentuali di utilizzo si
è passati a osservare le persone e i tempi verbali più frequentemente associati ai due verbi
pag. 114
in questione allo scopo di osservare eventuali pattern e differenze di utilizzo, anche alla
luce di quanto affermato da Indrieș, che nota come il verbo a veni sia, all’interno del
corpus poetico blaghiano, il verbo per antonomasia associato all’alterità, in quanto
compare molto raramente alla prima persona singolare: “Possiamo così considerare il
verbo a veni quale vero e proprio verbo dell’alterità, praticamente escluso dal contesto
dell’emittente”310.
L’osservazione di Indrieș trova qui una conferma: a veni compare principalmente
alla seconda persona singolare (2 p.s.) e soprattutto alla terza persona singolare (3 p.s.).
Si nota anche, però, come le persone verbali siano distribuite in modo disomogeneo: la 2
p.s., pur essendo una delle persone più rappresentate, non compare in Poemele luminii e
da Lauda somnului fino a La curțile dorului (volumi in cui il verbo a veni è anche
scarsamente rappresentato). La 3 p.s. e la sesta persona plurale (6 p.pl.), invece, risultano
utilizzate in maniera più omogenea, pur non comparendo in tutti i corpora: la 3 p.s. infatti
non compare in Lauda somnului (dove però compare la 6 p.pl.) e in Nebănuitele trepte,
mentre la 6 p.pl. non compare nelle postume degli anni ‘40.
Per quanto riguarda a sta, invece, la situazione è diversa e peculiare: in tutte le
antume, infatti, il verbo a sta è associato quasi esclusivamente alla prima persona
singolare (1 p.s.) e alla 3 p.s. (che è addirittura l’unica persona verbale utilizzata con a
sta in La cumpăna apelor. Solo a partire da Nebănuitele trepte, si nota, compare il “tu”,
la 2 p.s., e dalle postume degli anni ‘40 inizia a comparire il “noi” (quarta persona plurale,
4 p.pl.), e soprattutto la 6 p.pl., che è infine la persona più largamente utilizzata con a sta
nelle ultime postume. Sempre nelle postume, la 1 p.s. utilizzata insieme al verbo a sta
compare costantemente ma in percentuale bassa.
Osserviamo nel grafico di fig. 22 come i picchi di 2 p.s. relativi al verbo a veni
corrispondano anche ai picchi di utilizzo dell’imperativo: infatti, il verbo a veni è
utilizzato da Blaga alla seconda persona singolare quasi esclusivamente quale esortazione
imperativa: vino! (“vieni!”). Una tendenza sempre presente e in crescita, in particolare
nei corpora postumi e specialmente nell’ultimo: il Blaga degli anni tardivi, dunque,
utilizza con frequenza maggiore l’imperativo “vino”, richiamando a sé una seconda
persona che compie dunque un moto di avvicinamento all’io poetico nello spazio.
“Putem astfel considera verbul a veni drept verb al alterității, practic exclus din contextul emițătorului”
p. 194.
310
pag. 115
Interessante anche notare come il verbo a veni sia associato al tempo futuro di fatto
soltanto in Poemele luminii. Il tempo presente al modo indicativo, come da aspettative,
compare in tutte le raccolte e solo una volta, in În marea trecere, viene superato
quantitativamente dal modo imperativo.
Notiamo come a sta presenti meno variazioni, in particolare nelle antume, dove il verbo
è quasi sempre al presente indicativo. Nelle postume compaiono diversi tempi verbali
(varietà già precedentemente già notata), ma l’unico dato degno di nota è quello delle
postume degli anni ‘40, dove il passato prossimo compare con la stessa frequenza del
presente indicativo.
6.1.4. Referenti animati e referenti inanimati
A partire dai dati ottenuti nei paragrafi precedenti, si è provato a osservare in
maniera “analogica” (ovvero prendendo una alla volta le occorrenze di a veni e a sta e
osservandole con metodi assimilabili a quelli del close reading) se i due verbi fossero
associati in particolar modo ad agenti animati (persone, animali ecc.) o inanimanti
(sentimenti, idee, oggetti, piante, minerali ecc.). Si è così osservato che nel corpus di
poesie antume abbiamo, associati al verbo a veni, 25 agenti animati e 26 agenti inanimati,
mentre nelle postume abbiamo 21 agenti animati e 27 agenti inanimati. Ne consegue che,
seppur con uno scarto piuttosto irrilevante, a veni è più frequentemente associato a un
agente inanimato, soprattutto nei corpora postumi.
Lo stesso tipo di lavoro è stato effettuato per il verbo a sta: nelle antume
compaiono 29 agenti animati e solo 6 inanimati, mentre nelle postume troviamo 33 agenti
animati e 17 inanimati. Si può concludere dicendo, dunque, che il verbo a sta è molto più
spesso utilizzato con agente animato.
6.1.5. Campo semantico del movimento – misura e interpretazione
Come si è detto, oltre a osservare a veni e a sta si è deciso di effettuare un breve
studio anche dei verbi a trece, a umbla e a cădea. Le figure seguenti mostrano le
percentuali di utilizzo di tali verbi rispetto al verbo a veni:
pag. 116
Fig. 29
Verbi di MOVIMENTO
2,50%
2,00%
1,50%
1,00%
0,50%
0,00%
OC
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050 P5060
A VENI
A TRECE
A UMBLA
A CĂDEA
Lineare (A VENI)
Lineare (A TRECE)
Lineare (A UMBLA)
Lineare (A CĂDEA)
PSD
In fig. 29 vediamo l’utilizzo in senso diacronico dei verbi a veni, a trece, a umbla e a
cădea, con linee di tendenza.
Notiamo innanzitutto che, mentre a veni, a trece e a cădea compaiono in tutti i
corpora, a umbla risulta presente solo in În marea trecere, Lauda somnului, Nebănuitele
trepte e nelle postume degli anni ‘40 e ‘50 oltre che in quelle degli anni ‘50 e ‘60. Notiamo
anche che a trece e a cădea seguono un proprio andamento più o meno regolare, ma che
in particolare a trece ha i suoi picchi di minor presenza in Poemele luminii (0,60%), Pașii
profetului (0,90%), Nebănuitele trepte (0,83%) e nelle postume scritte negli anni ‘40
(0,86%), mentre a cădea ha i picchi di minor presenza in Lauda somnului (0,18%) e nelle
postume anni ‘40 (0,64%).
Un dato interessante riguarda Nebănuitele trepte, che vede una percentuale
sempre relativamente bassa dei verbi di movimento (0,83% di a veni e a trece, 0,20% di
a umbla e 1,04% di a cădea) ma che, in compenso, mostra un picco in positivo della
presenza di a sta (1,25%).
Interessante anche notare come Indrieș affermi che il verbo a trece, nella raccolta În
marea trecere, sia numericamente più presente rispetto ai restanti verbi di movimento311.
Le nostre percentuali smentiscono tale assunto, dimostrando come, di fatto, in În marea
311
p. 190.
pag. 117
trecere, a veni (1,66%) e a cădea (1,35%) siano utilizzati più frequentemente rispetto al
verbo a trece (1,20%).
Lo studio del campo semantico del movimento potrebbe ampliarsi ulteriormente (ad es.
con un’osservazione puntuale della direzione del movimento). Si è scelto però di
focalizzare l’attenzione del capitolo principalmente sul verbo a vedea e sulle
caratteristiche principali degli altri verbi ad alta frequenza, rimandando al futuro uno
studio dettagliato del movimento espresso in forma verbale nella poesia di Lucian Blaga.
6.2. Chi sa di non sapere
Con 95 occorrenze totali, 51 delle quali nei corpora antumi e 44 in quelli postumi,
il verbo a ști (conoscere, sapere) rientra nella rosa dei verbi più frequentemente utilizzati
da Blaga all’interno del suo corpus poetico e rappresenta l’l,25% delle occorrenze verbali
totali.
6.2.1. A ști ˗ misura e interpretazione
Fig. 30
PL
PP
ÎMT
LS
0,64%
0,59%
0,55%
OC
LCA
LCD
0,90%
1,20%
1,02%
1,25%
1,58%
1,74%
1,98%
2,30%
A ȘTI
NT
P40
P4050
P5060
In fig. 30 vediamo l’andamento in senso diacronico del verbo a ști, con linea di tendenza.
pag. 118
Salta agli occhi innanzitutto una perfetta alternanza: ai corpora che vedono una
percentuale più alta della frequenza del verbo a ști si alternano sistematicamente corpora
che invece ne presentano una percentuale più bassa. I picchi maggiori sono quelli di
Poemele luminii (1,98%), La cumpăna apelor (1,58%), Nebănuitele trepte (2,30%) e
quello delle postume scritte fra gli anni ‘40 e ‘50 (1,74%), mentre i corpora che presentano
le percentuali più basse sono Lauda somnului (0,55%), La curțile dorului (0,59%) e
quello delle postume degli anni ‘40 (0,64%). Questa volta, dunque, non compare la solita
continuità linguistica tra Nebănuitele trepte e il primo gruppo di poesie postume.
6.2.2. Persone e tempi verbali – misura e interpretazione
Come per il precedente paragrafo dedicato ai verbi di movimento e stasi, una volta
osservata la percentuale di frequenza del verbo a ști si è passati a uno spoglio delle singole
occorrenze allo scopo di individuare per ognuna di esse a quale tempo e persona verbale
fosse associata.
Fig. 31
A ȘTI - persona
8
7
6
5
4
3
2
1
0
PL
PP
ÎMT
1 ps
LS
2 ps
LCA
3 ps
LCD
3 imp
4 ppl
NT
5 ppl
P40
P4050
P5060
6 ppl
In fig. 31 vediamo l’utilizzo in senso diacronico della persona verbale associata ad a ști.
pag. 119
Fig. 32
A ȘTI - tempo
16
14
12
10
8
6
4
2
0
PL
PP
Pres
Futuro
ÎMT
Imperfetto
LS
LCA
Passato prossimo
LCD
NT
Congiuntivo
P40
P4050
Condizionale
P5060
Infinito
In fig. 32 vediamo l’utilizzo in senso diacronico dei tempi verbali associati ad a ști.
L’andamento della 1 p.s. risulta interessante: pur essendo di fatto la persona
verbale più diffusamente associata al verbo a ști, l’andamento non è poi così regolare.
Quasi sempre, infatti, predomina appunto la 1 p.s.: il sapere e la conoscenza, dunque, a
un primo sguardo, sembrano essere molto più spesso attribuiti all’io poetico. In Poemele
luminii, però, la persona verbale più frequente è la 3 p.s. in variante impersonale (come
vedremo, in Poemele luminii è ricorrente la formula cine știe), mentre in Nebănuitele
trepte, a sorpresa, il verbo a ști è di gran lunga più spesso associato alla 2 p.s. che non
alla 1 p.s., così come accade (anche se in maniera molto meno palese) nel corpus delle
postume scritte a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50. Negli ultimi corpora di postume, in
generale, e come già si era osservato rispetto ad altri verbi, la visione si amplia, e il verbo
a ști risulta associato in maniera più “democratica” a persone verbali diverse, in
particolare alla 2 p.s. e alla 3 p.s., ma anche alla 6 p.pl., che compare per la prima volta
proprio nelle postume tardive, e che mai era stata associata prima al verbo.
Risulta piuttosto chiaro che il verbo a ști è associato principalmente al presente
indicativo. Ci sono alcuni corpora antumi nei quali compare qualche altro tempo e/o modo
verbale, ma risultano essere sempre casi isolati non destinati a ripresentarsi nelle raccolte
successive: è il caso di una singola occorrenza all’imperfetto in Poemele luminii, di una
occorrenza al passato prossimo e una al condizionale presente in Pașii profetului e di
pag. 120
un’occorrenza al congiuntivo presente in În marea trecere: non c’è però continuità e da
un punto di vista quantitativo non possono definirsi rilevanti. Come è già accaduto
altrove, una certa varietà si nota a partire da Nebănuitele trepte per poi ampliarsi
ulteriormente nei corpora postumi. Addirittura, negli ultimi due corpora di postume,
compare il futuro. La frequenza di utilizzo è comunque sempre molto bassa e il presente
indicativo predomina.
6.2.3. Agenti animati e agenti inanimati
Come vedremo anche per i verbi di percezione, il verbo a ști risulta spesso
associato a una terza persona impersonale, come nel caso delle forme “cine știe”, “se
știe” ecc. In questi casi si è presa la decisione di considerare come animato il referente
del verbo.
A uno spoglio manuale di ogni singola occorrenza del verbo a ști risulta che
l’agente, sia nei corpora antumi che in quelli postumi è quasi sempre animato. Per quanto
riguarda le antume, soltanto due volte in Pașii profetului, e nello specifico in Pustnicul e
poi in La mânăstire compaiono due agenti inanimati. Nelle postume troviamo invece sei
occorrenze del verbo associate a un agente inanimato, quattro volte nel corpus di poesie
scritte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, e nello specifico tre occorrenze in Atotștiutoarele,
una occorrenza in Vară în jurul cetății, e due occorrenze nelle postume senza data, nello
specifico una occorrenza in Mult mă miră stea și trup e una in Îngheță izvoarele. Vediamo
quindi che il verbo a ști è associato prevalentemente a soggetti animati, e in particolare a
soggetti umani.
6.2.4. Sfumature semantiche
In ultima battuta si sono poi prese le singole occorrenze del verbo e si è stabilita
una piccola griglia interpretativa volta a discernere innanzitutto le sfumature di significato
attribuite ad a ști, e poi a inquadrare quali di questi significati compaiono nel corso del
tempo. Lo scopo è quello di osservare eventuali preferenze di uno o più significati nei
diversi momenti creativi di Lucian Blaga.
pag. 121
Al verbo sono dunque state assegnate cinque diverse categorie semantiche:
A: a ști inteso come competenza, saper fare, essere capace, essere in grado di ([...]
omul cel dintâi, pribeagul, nu știa/ să plângă.312);
B: a ști inteso come consapevolezza, avere coscienza di qualcosa ([...] și știu că
și eu port/ în suflet stele multe313);
C: a ști inteso come sapere e conoscenza ([...] ea știe ceva/ ce noi nu știm314);
D: a ști inteso come comprensione, presa di coscienza, rendersi conto, percepire
([...] să știu ce aștepti de la mine.315) e infine
E: a ști inteso come pregressa conoscenza della natura di una persona, cosa o
situazione ([...] ci tot așa cum mă știi316).
A partire da queste cinque categorie e dai dati ricavati si sono poi elaborati due
grafici, uno per le antume e uno per le postume:
Fig. 33
A ști - antume
8
5
4
3
2
2
1
1
1
PL
PP
ÎMT
3
2
A
LS
B
LCA
C
D
1
1
LCD
NT
E
In fig. 33 osserviamo la frequenza nei volumi antumi delle cinque categorie semantiche
associate al verbo a ști.
Opere, vol. I, p. 24. “[…] E l’uomo, il primo, il ramingo, non sapeva piangere […]” (Del Conte, p. 59).
Opere, vol. I, p. 26. “[…] e so che porto anche io/nell’anima le stelle, /tante stelle […]” (Baffi, p. 67).
314
Opere, vol. I, p. 42. “[…] ch’essa sa qualche cosa/che non sappiamo noi […]” (Baffi, p. 79).
315
Opere, vol. I, p. 134. “[…] che io sappia cosa attendi da me […]” (Del Conte, p. 89).
316
Opere, vol. I, p. 160. “[…] e sempre uguale a colui che tu sai […]” (Del Conte, p. 109).
312
313
pag. 122
Fig. 34
A ști - postume
9
7
6
5
3
3
2
1
1
1
P40
P4050
P5060
A
B
C
D
3
2
PSD
E
In fig. 34 osserviamo la frequenza nei corpora postumi delle cinque categore semantiche
associate al verbo a ști.
Premesso che da questo grafico sono state escluse le occorrenze di a ști utilizzate
come marca del discorso e/o intercalare e dunque prive di una vera e propria sfumatura
semantica, ma ricordando che tali occorrenze sono soltanto otto in totale, delle quali
cinque in Poemele luminii, due in Pașii profetului e una in Nebănuitele trepte317, risulta
abbastanza evidente che la categoria più rappresentata è la C, ovvero il “sapere” inteso
proprio come conoscere. Notiamo che la categoria C è la più rappresentata nel primo
corpus antumo e come la linea che ne rappresenta l’andamento tenda a scendere per poi
addirittura scomparire in La cumpăna apelor, che, come spesso accade, è una raccolta
che tende a differenziarsi rispetto alle precedenti. La categoria C ritorna poi con una sola
occorrenza in La curțile dorului e passa a ben otto occorrenze in Nebănuitele trepte.
Ancora una volta, poi, le occorrenze restano costanti all’interno dei corpora postumi, e
ancora una volta questo andamento ci ribadisce che esistono collegamenti evidenti nella
scelta semantica e iconica tra le ultime poesie postume e le primissime raccolte antume.
317
La presenza di questa “sotto-categoria” soprattutto in Poemele luminii e la sua mancanza nel resto dei
corpora ci conferma ancora una volta come, maturando come poeta, Blaga si sia servito sempre meno di
elementi stilistici “riempitivi” e come il suo linguaggio sia divenuto man mano più essenziale ed eloquente
di per sé.
pag. 123
Si ritiene interessante notare che all’interno di quella “zona differenziale” rappresentata
dalla coppia La cumpăna apelor e La curțile dorului compaiano ben tre occorrenze della
categoria 1, altrimenti scarsamente rappresentata, e che delinea di fatto l’unica sfumatura
semantica di “praticità” del verbo a ști, in quanto delinea di fatto il saper fare, l’essere in
grado di. Un’altra categoria molto rappresentata nelle prime raccolte antume (questa volta
fino a În marea trecere) e che poi scompare letteralmente fino a La curțile dorului (una
sola occorrenza) e che tende a essere presente in tutti i corpora postumi è la B, quella del
sapere come consapevolezza.
B e C sono di fatto le categorie più presenti, dunque si può dire che in Blaga il sapere è
soprattutto consapevolezza e conoscenza
6.3. Altri verbi di percezione: a auzi e a simți
Passiamo ora a osservare due verbi legati al contesto percettivo, come a vedea. Lo
scarto all’interno del corpus tra le occorrenze di a vedea e le occorrenze degli altri verbi
legati alla percezione è davvero notevole. I verbi percettivi più frequenti dopo a vedea
sono infatti a auzi, con 68 occorrenze totali, delle quali 40 nei corpora antumi e 28 nei
corpora postumi, e a simți, con solo 51 occorrenze all’interno del corpus, delle quali 30
nei corpora antumi e 21 nei postumi. Ne deriva quindi una riflessione sul fatto che, nel
campo della percezione, il ruolo della vista, per Blaga, sia effettivamente preponderante
rispetto al ruolo svolto dagli altri sensi.
pag. 124
6.3.1. A auzi e a simți ˗ misura e interpretazione
Fig. 35
A SIMȚI VS A AUZI
ÎMT
LS
LCD
P40
P4050
P5060
0,47%
0,86%
0,21%
0,20%
0,20%
NT
0,68%
0,72%
PP
Lineare (A AUZI)
0,53%
0,67%
PL
0,36%
0,15%
0,60%
1,29%
1,15%
1,54%
2,14%
1,52%
0,66%
0,90%
OC
Lineare (A SIMȚI)
A AUZI
0,59%
0,95%
A SIMȚI
PSD
In fig. 35 vediamo l’utilizzo in senso diacronico (sul numero di verbi totali) di a simți e a
auzi, con linee di tendenza.
Se prendiamo in considerazione l’intero corpus poetico blaghiano, si nota che, pur
con uno scarto non eccessivo, predomina a auzi. Notiamo anche, però, che nelle prime
due raccolte antume la percentuale di frequenza di a simți risulta piuttosto elevata, e in
Poemele luminii, addirittura supera la percentuale di frequenza di a auzi (2,14% contro
1,52%). Già in Pașii profetului la situazione inizia a ribaltarsi definitivamente, ma a simți
resta comunque ben presente (1,15% contro 1,54%). A partire invece da În marea trecere
la situazione cambia decisamente a favore del verbo a auzi, che risulterà essere ovunque
predominante tranne che nel caso di Nebănuitele trepte, corpus nel quale a auzi e a simți
presentano entrambi una stessa percentuale di frequenza – peraltro inferiore alla media:
0,20%. Dopo un ulteriore scarto in favore di a auzi nelle postume degli anni ‘40, vediamo
che nei corpora postumi tardivi le percentuali di frequenza dei due verbi, pur mantenendo
un minimo vantaggio di a auzi, tornano ad avvicinarsi, per raggiungere quasi la parità
nelle postume scritte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 (0,68% contro 0,72%). Ancora una
volta notiamo come nelle postume tardive ci sia una sorta di ritorno (se non altro formale)
alle strutture di Poemele luminii.
pag. 125
6.3.2. Persone e tempi verbali – misura e interpretazione
Fig. 36
A SIMȚI - persona
14
12
10
8
6
4
2
0
PL
PP
ÎMT
1 ps
LS
2 ps
LCD
3 ps
3 imp
NT
4 ppl
P40
5 ppl
P4050
P5060
6 ppl
In fig. 36 vediamo l’utilizzo in senso diacronico della persona verbale associata al verbo
a simți.
Fig. 37
A SIMȚI - tempo
14
12
10
8
6
4
2
0
PL
Pres
PP
Futuro
ÎMT
Imperfetto
LS
LCD
Passato prossimo
NT
P40
Congiuntivo pres.
P4050
P5060
Condizionale
In fig. 37 vediamo l’utilizzo in senso diacronico del tempo verbale associato al verbo a
simți.
pag. 126
Fig. 38
A AUZI - persona
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
PL
PP
ÎMT
LS
1 ps
2 ps
LCA
LCD
NT
3 ps
3 imp
4 ppl
P40
5 ppl
P4050
P5060
PSD
6 ppl
In fig. 38 vediamo l’utilizzo in senso diacronico della persona verbale associata al verbo
a auzi.
Fig. 39
A AUZI - tempo
14
12
10
8
6
4
2
0
PL
Pres
PP
Futuro
ÎMT
LS
Imperfetto
LCA
LCD
Passato composto
NT
P40
P4050
Congiuntivo pres
P5060
PSD
Condizionale
In fig. 39 vediamo l’utilizzo in senso diacronico del tempo verbale associato al verbo a
auzi.
Notiamo immediatamente come il verbo a simți sia legato alla 1 p.s. nei primi e
negli ultimi corpora: in Poemele luminii e fino a Lauda somnului, con andamento
pag. 127
decisamente discendente, infatti, compare sempre la 1 p.s. (in particolare largamente
rappresentata nei primi due corpora antumi), che scompare poi a partire da La curțile
dorului e ricompare soltanto nelle postume. Si nota anche una certa regolarità nell’utilizzo
della 3 p.s., mentre la 2 p.s. compare solamente in Pașii profetului, nelle postume degli
anni ‘40 e in quelle tardive scritte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, corpus nel quale compare
per la prima volta anche la 6 p.pl. Come si era già notato, nelle postume e in particolare
nell’ultimo corpus, Blaga tende a utilizzare maggiormente una più ampia varietà di
persone verbali, frammentando in questo modo la percezione e dando perciò un rilievo
sensibilmente inferiore all’importanza dell’individualità.
A simți, come molti altri verbi, è legato in particolare al presente indicativo, con
poche eccezioni: un passato prossimo e un condizionale presente in Poemele luminii, un
passato prossimo in Lauda somnului e poi, negli ultimi due corpora di postume, una più
ampia varietà, come già si è visto per altri verbi.
A un primo colpo d’occhio risulta subito evidente che la situazione del verbo a
auzi è piuttosto singolare: solo in Poemele luminii, infatti, il verbo è associato
prevalentemente alla 1 p.s. La 1 p.s., poi, rimane presente fino a Lauda somnului per poi
scomparire fino alle postume degli anni ‘40. Scompare poi ancora dal corpus di postume
successivo e ricompare nell’ultimo, con una percentuale di frequenza piuttosto alta. In
Pașii profetului, invece, il verbo a auzi risulta associato in particolare alla 3 p.s.
impersonale (“se aude”), caso unico, in quanto la 3 p.s. impersonale ricompare ancora in
La cumpăna apelor e nelle postume degli anni ‘40, ma con frequenza decisamente
minore. Soprattutto nelle postume, ma anche, con occorrenze minori, in Poemele lumini,
Lauda somnului, La cumpăna apelor e La curțile dorului, compare poi la 2 p.s., che
diventa poi la persona predominante associata al verbo a auzi nell’ultimo corpus di
postume. Sempre presente – tranne che nel corpus delle postume degli anni ‘40 – è invece
la 3 p.s., pur con frequenze abbastanza basse. Si può trarre la conclusione che il verbo a
auzi sia molto più legato all’alterità rispetto al verbo a simți.
Osservando il comportamento di a auzi, oltre a notare l’abituale predominanza del
presente indicativo, notiamo anche una tendenza che risulta essere contraria a quella alla
quale ci si era abituati, e che vedeva l’utilizzo di pochi tempi e/o modi verbali nelle
antume, in particolare nei corpora antumi giovanili, e un ampliamento della varietà dei
tempi e dei modi verbali utilizzati nei corpora postumi. Nel caso di a auzi, infatti, notiamo
pag. 128
un utilizzo più variegato nei corpora antumi fino a La cumpăna apelor. Bisogna poi
aspettare le postume degli anni ‘40 per vedere la timida comparsa di un imperfetto accanto
al presente indicativo. Nelle postume scritte tra gli anni ‘40 e ‘50, poi, compare di nuovo
soltanto il presente indicativo, mentre nell’ultimo corpus troviamo anche un futuro
(tempo che, si è visto, tende a comparire in particolare nelle ultime postume e molto poco
nelle opere giovanili) e tre congiuntivi presenti.
6.3.3. Agenti animati e agenti inanimati
Anche nel caso dei verbi di percezione a auzi e a simți si è optato per un’analisi
sintetica dell’agente legato al verbo. Si è osservato anche qui in quanti casi l’agente fosse
animato e in quanti animato.
I risultati sono interessanti, in particolare per il verbo a auzi. Va premesso che si
è deciso di considerare quale verbo associato ad agente animato ogni caso in cui il
soggetto fosse impersonale o generale, ad es. nel caso di “se aude” o “se simte”.
Trattandosi di un lavoro prettamente “analogico” e manuale, che si presuppone
venga effettuato al preciso scopo di implementare l’analisi digitale con le intuizioni del
ricercatore umano, è anche stato facile rilevare come, nei casi di questi due verbi, le
occorrenze compaiano in numero maggiore nei corpora antumi. La discrepanza è notevole
ed evidente soprattutto nel caso di a auzi, che, come si è detto, conta 40 occorrenze nei
corpora antumi e “solo” 28 in quelli postumi. Lo stesso accade con a simți, che invece
conta 30 occorrenze antume e 21 postume.
Per quanto riguarda l’agente, invece, si è visto che tutte le 68 occorrenze di a auzi
sono associate a un agente animato, e dunque il senso dell’udito, nell’opera poetica di
Blaga, non è mai attribuito a concetti, oggetti, minerali ecc.
Non molto diverso il caso di a simți, dove 48 occorrenze su 51 sono associate ad
agenti animati. Due delle occorrenze associate ad agenti inanimati compaiono in Pașii
profetului (nello specifico in Leagănul e in Lacrima și raza), mentre l’ultima compare nel
corpus di postume scritte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 (in Focuri de primăvară).
pag. 129
CAPITOLO 2
LA NEGAZIONE
Noi sappiamo, del niente, questo:
che di esso non vogliamo saperne318
1. Il potere tellurico della negazione
Per ragioni di tempo e di spazio, concentreremo la nostra analisi sulla negazione
sintattica, ossia quella che prevede l’utilizzo di un elemento dedicato alla funzione del
negare (il non italiano, il nu romeno) tralasciando la negazione iconica, ovvero quel tipo
di negazione che non viene espressa mediante l’utilizzo di un segno linguistico
appositamente dedicato e nel quale il messaggio di negazione è veicolato tramite l’utilizzo
del lessico come ad es. nella frase Raluca se îndoiește că va ploua (Raluca dubita che
pioverà). Si specifica inoltre che il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare l’utilizzo
che Blaga fa della negazione all’interno del suo corpus poetico, soprattutto in chiave
diacronica e non di proporre un’analisi esaustiva e precisa della mera negazione sintattica
espressa con il nu.
Cosa si intende per negazione sintattica? Secondo i curatori del volume The
History of Negation in the Languages of Europe and the Mediterranean, “la negazione è
una delle poche categorie grammaticali davvero universali: ogni lingua sembra avere uno
strumento grammaticalizzato tramite il quale negare la verità di una proposizione
dichiarativa ordinaria”319.
Il filosofo Martin Heidegger si interroga su quella specifica “operazione dell’intelletto”320
che è la negazione proponendo una riflessione sulla sua genesi: “C’è il niente soltanto
perché c’è il non, ossia la negazione? O viceversa: c’è la negazione e il non, soltanto
perché c’è il niente?”321. Il filosofo, in sostanza, contempla l’ipotesi che il ‘non’ espresso
Martin Heidegger, Che cos’è metafisica?, Milano, Adelphi, 2003, p. 41.
David Willis, Christopher Lucas, Anne Breitbarth, The History of negation in the Languages of Europe
and the Mediterranean. Volume I, Case Studies”, Oxford, Oxford University Press, 2013, p. 1, “Negation
is one of the few truly universal grammatical categories: every language seems to have some
grammaticalized means to deny the truth of an ordinary declarative sentence”.
320
Heidegger, Che cos’è metafisica? cit. p. 44.
321
Ibidem, p. 44.
318
319
pag. 130
tramite la funzione linguistica sia un riflesso di quel nulla assoluto (“Il niente è la
negazione pura e semplice di tutto l’essente”322) che è oggetto della sua speculazione
metafisica, al contempo ipotizzando l’idea che sia invece proprio l’esistenza della
negazione all’interno del linguaggio la causa d’essere del nulla. Proprio in qualità del suo
essere operazione dell'intelletto, la negazione, per sua stessa natura, appartiene
esclusivamente all’essere umano per il quale, secondo il filosofo Paolo Virno, l’avvento
del non è stato un trauma323:
Tanto sotto il profilo ontogenetico quanto sotto quello teoretico, l’irruzione del ‘non’ nella vita
umana rappresenta un episodio traumatico, dato che attesta la scissione del pensiero verbale dalla
presenza, ovvero la sua perturbante autonomia degli stati di cose di volta in volta percepiti 324.
Già Platone, nel suo Sofista, faceva dire allo Straniero che “il fatto che si possa
dire una cosa, e che questa cosa non sia vera, è sempre stato fonte di perplessità, in passato
come adesso”325.
Virno passa poi a narrare come di fatto l’essere umano sia l’unica creatura al mondo in
grado di negare, e come di fatto l’avvento della negazione nella storia dell’uomo abbia
permesso all’essere umano di “ignorare” in un certo senso il messaggio recepito dai
neuroni specchio (quei neuroni che permettono all’essere umano di riconoscere sé stesso
nell’altro e nel suo comportamento) e negare la natura umana dei suoi stessi simili: “nel
linguaggio mette radici il fallimento del reciproco riconoscimento tra conspecifici”326.
“Soltanto l’animale che parla”, afferma Virno, “ha la capacità di non riconoscere un suo
simile”327, e ancora “l’animale linguistico può non riconoscere un altro animale
linguistico come proprio simile. I casi estremi, dall’antropofagia ad Auschwitz, non fanno
che attestare in modo virulento questa possibilità permanente”328.
In questo senso, dunque, la negazione è molto meno innocua di quel che potrebbe
apparentemente sembrare e si trasforma in uno strumento dall’enorme potenziale, sia in
322
Ibid., p. 44.
Paolo Virno, Saggio sulla negazione. Per una antropologia linguistica, Torino, Bollati Boringhieri,
2013, p. 19.
324
Ibidem, p. 99.
325
Platone, Opere Complete, Vol II: Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico, Roma, Editori Laterza, 1994, p. 208.
326
Virno, Saggio, cit. p. 11.
327
Ibidem, p. 11.
328
Ibid., p. 15.
323
pag. 131
senso positivo che, soprattutto, in senso negativo. La negazione si rivela dunque essere
potenziale portatrice di enormi quantità di contenuto semantico.
Virno, nel suo Trattato, ci parla del “potere tellurico della negazione”329 e del suo
essere una funzione legata esclusivamente all’attività verbale330. La peculiarità principale
della negazione è la possibilità (di fatto inevitabile) che pur negando un enunciato, si
possa mantenere al suo interno proprio l’elemento che stiamo negando:
Non nego il nero indicando il bianco. Lo nego se, e solo se, dico ‘non nero’. Il tratto distintivo
della negazione linguistica […] consiste nel riproporre con segno algebrico rovesciato un unico e
medesimo contenuto semantico. Il ‘non’ è posto dinanzi a un sintagma predicativo (‘è gentile’, ‘è
andato a Roma’, ‘mi ama’) che continua a esprimere lo stato di cose o il fatto di cui si parla in tutta
la sua consistenza. Lo stato di cose o il fatto sono pur sempre designati, e così conservati come
significati, nel momento stesso in cui vengono verbalmente soppressi (‘non è gentile’, ‘non è
andato a Roma’, ‘non mi ama’)331.
La negazione, dunque, vista da questa prospettiva, sopprime e allo stesso tempo
conserva il significato di un enunciato. Una frase affermativa e la sua controparte
negativa, infatti, sono accomunate dalla presenza al loro interno dell’elemento che viene
rispettivamente affermato e negato, o, nelle parole di Virno, “il fatto è pur sempre
designato, e così conservato come significato, nel momento stesso in cui viene
sconfessato e messo fuori gioco”332. L’affermazione “Il nero mi piace” e la negazione “Il
nero non mi piace” sono infatti accomunate dalla presenza di “nero”, che resta in entrambi
i casi all’interno della frase e che stimola la mente del lettore a visualizzare il colore nero.
Lo stesso dice Ludwig Wittgenstein in alcuni appunti poi pubblicati sotto il titolo The Big
Typescript, in cui, parlando di un soggetto che sostiene di non provare dolore, afferma
“[negando di provare dolore, ndA] descrivo la mia condizione attuale con l’allusione a
qualcosa che non sta accadendo”333.
Secondo Sigmund Freud, proprio perché l’atto linguistico della negazione
conserva il contenuto, si può parlare di una non accettazione cosciente del contenuto che
il soggetto sceglie di negare:
329
Ibid., p. 10.
Ibid., p. 16.
331
Ibid., pp. 16-17.
332
Ibid., p. 36.
333
L. Wittgenstein, The big typescript, Torino, Einaudi, 2002, p. 113.
330
pag. 132
“Lei mi domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre”. Noi rettifichiamo:
dunque è la madre. Ci prendiamo la libertà, nell’interpretazione, di trascurare la negazione e di
cogliere il puro contenuto dell’associazione. È come se il paziente avesse detto: “Per la verità mi
è venuta in mente mia madre per questa persona, ma non ho voglia di considerare valida questa
associazione”334.
Il padre della psicanalisi, per il quale la negazione è una pulsione alla
distruzione335, pensa, infatti, che la negazione sia un modo “indolore” di inserire
all’interno del discorso un contenuto difficile da gestire e da ammettere:
Il contenuto rimosso di una rappresentazione o di un pensiero può dunque penetrare nella
coscienza a condizione di lasciarsi negare. La negazione è un modo di prendere conoscenza del
rimosso, in verità è già una revoca della rimozione, non certo però un’accettazione del rimosso
[…] Negare alcunché nel giudizio è come dire in sostanza: “Questa è una cosa che preferirei
rimuovere”. La condanna è il sostituto intellettuale della rimozione, il suo “no” un contrassegno
della stessa, un certificato d’origine, all’incirca come il “made in Germany”. Mediante il simbolo
della negazione il pensiero si affranca dai limiti della rimozione e si arricchisce di contenuti che
gli sono indispensabili per poter funzionare”336.
Ancora Virno, seguendo il fil rouge nato idealmente dal dialogo platonico tra lo Straniero
e Teeteto, ci ricorda un tratto peculiare eppure spesso trascurato della negazione, e cioè il
fatto che negare un enunciato non significa affermarne il contrario. La negazione, infatti,
non afferma il contrario ma il diverso, l’héteron:
La negazione non rimanda mai al contrario del predicato cui si applica: neppure quando questo
contrario realmente esiste. Essa rimanda piuttosto a una diversità il cui contenuto è indefinito, o
soltanto potenziale: ‘non bello’ vuol dire unicamente ‘diverso da bello’ […] Il ‘non’ si comporta
come un commutatore: trasferisce la negatività primaria della lingua, di cui esso è una espressione
concentrata, ai discorsi sulla realtà extralinguistica. Detto altrimenti, la negazione proietta
all’interno del rapporto tra proposizione e fatti ciò che contraddistingue piuttosto il rapporto tra
segni”337.
Secondo Virno, dunque, questo héteron è di fatto una soglia dalla quale partire338,
un invito alla riflessione e all’analisi dell’Altro, del diverso che si cela dietro al non:
permettendoci di dire come non stanno le cose, il non ci paventa la possibilità di un nuovo
percorso di ricerca.
334
Sigmund Freud, La teoria psicanalitica: raccolta di scritti 1911-1938, Torino, Bollati Boringhieri, 1979,
p. 377.
335
Ibidem, p. 381.
336
Ibid., pp. 377-378.
337
Virno, Trattato, cit. p. 38.
338
Ibidem, p. 113.
pag. 133
Tenendo in considerazione le riflessioni appena affrontate sull’utilizzo e il
significato della negazione affronteremo ora il tema dalla prospettiva del commento
all’opera poetica di Lucian Blaga.
2. Il nu all’interno del corpus poetico blaghiano
In romeno la negazione sintattica si distingue in negazione verbale e negazione
non-verbale. Questa differenza può essere esplicitata anche utilizzando le definizioni
“negazione proposizionale” (in quanto la negazione proposizionale si realizza sempre
come negazione verbale), e cioè la negazione che in una frase nega l’intero evento, e
“negazione di costituente”, che di una frase nega solamente un’istanza.
Entrambi i tipi di negazione si formano utilizzando la particella nu, che precede il verbo.
La differenza tra le due tipologie è riscontrabile nel ruolo che il nu assume: nella
negazione proposizionale, infatti, nu si comporta come un morfema grammaticale mobile.
Il suo comportamento è simile a quello di una particella clitica tranne per il fatto di essere
portatore di senso339 (nu pleacă, nu va pleca340). In questo tipo di negazione, la vocale
“u” di nu può essere elusa (cosa che non è mai obbligatoria) di fronte ad altre vocali («a»,
«o» e «ă») realizzando la variante n- (n-o fi fost el?341).
Quando invece si parla di negazione di costituente, o negazione non-verbale (nu ieri a
plecat342), il nu si comporta da semi-avverbio. In questo caso la vocale “u” non è eludibile
in quanto in romeno, nella negazione di costituente, nu è anche portatore di accento
frastico.
339
Valeria Guțu Romalo (a cura di), Gramatica Limbii Române vol. I, Cuvântul, București, Editura
Academiei Române, 2008, p. 685.
340
Ibidem, p. 682 (“non parte, non partirà”).
341
Ibid., p. 685 (“non sarà stato lui?”).
342
Ibid., p. 682 (“non è partito ieri”).
pag. 134
2.1. Misura
All’interno del corpus poetico blaghiano compare 584 volte la negazione espressa
con il nu343. Nel corpus delle antume, la negazione nu compare 271 volte in totale, e
rispettivamente 51 volte in Poemele luminii, 44 in Pașii profetului, 48 in În marea trecere,
35 in Lauda Somnului, 21 in La cumpăna apelor, 23 in La curțile dorului e 49 in
Nebănuitele trepte. Le occorrenze di nu che compaiono nel corpus di poesie postume,
invece, sono 313, e rispettivamente 31 nelle postume degli anni ‘40, 59 in quelle scritte
tra gli anni ‘40 e ‘50, 203 in quelle scritte tra gli anni ‘50 e ‘60 e 20 nelle postume non
datate.
Come prima cosa si è osservata la percentuale di occorrenza della negazione nu
sul numero totale delle poesie, ovvero in quante poesie compare almeno una volta il nu.
Fig. 1
Percentuale di occorrenza sul numero di poesie
62%
60,90%
61%
61%
60%
60%
60%
59,30%
59%
59%
OC
ANTUME
POSTUME
In fig. 1 vediamo la percentuale di occorrenza sul numero di poesie (ovvero la
percentuale di poesie nelle quali compare almeno un nu) della negazione, rispettivamente
nell’opera completa, nelle antume e nelle postume.
Questo dato è stato ottenuto impostando la ricerca per “lemma” della funzione Wordlist di Sketch
Engine.
343
pag. 135
Ovviamente questo dato meramente statistico non è rilevante ma occorre
osservare il peso della negazione in relazione all’analisi quantitativa dei singoli volumi.
Prendendo in considerazione l’intero corpus, nu compare nel 60% delle poesie.
Nelle antume, nu compare nel 60,9% delle poesie e nelle postume abbiamo la presenza
della negazione nu nel 59,3% delle poesie. Si nota quindi che nelle antume Blaga utilizza
più frequentemente la negazione nu, sebbene lo scarto non sia elevato. Il numero di poesie
antume, ricordiamo, è inferiore rispetto a quelle postume, ed è dunque interessante
scoprire che la negazione copre un maggior numero di testi antumi.
Osservando invece le variazioni tra i vari sottocorpora si nota qualche dato interessante:
Fig. 2
ÎMT
LS
62%
LCD
NT
P40
53%
LCA
47%
59%
58,60%
62%
PP
46%
PL
47,80%
OC
56%
60%
80%
90,60%
PERCENTUALE DI POESIE IN CUI COMPARE
NU
P4050
P5060
PSD
In fig. 2 vediamo l’andamento in senso diacronico di nu (sempre sul numero di poesie
totali, ovvero tenuto conto della percentuale di poesie in cui la negazione compare almeno
una volta).
pag. 136
Fig. 3
SCARTO RISPETTO ALLA MEDIA DEL
60%
40
30
20
10
0
OC
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
PSD
-10
-20
La fig. 3 rappresenta graficamente lo scarto percentuale di presenza del nu nei diversi
volumi in rapporto alla media del 60% riscontrata sull’opera completa.
In Poemele luminii, ad es., nu compare nel 56% delle poesie, dunque lo scarto del
4% in meno rispetto alla media del 60% risulta in negativo. In În marea trecere, invece,
nu compare nel 90,6% delle poesie, e dunque la media del 60% è in difetto del 30,6%.
Si nota qui che in alcuni specifici sottocorpora la percentuale di occorrenza di nu
sul numero totale di poesie è maggiore rispetto alla tendenza generale. Il caso più
interessante è sicuramente quello di În marea trecere, in cui, come abbiamo appena visto,
il nu compare addirittura nel 90,6% delle poesie. Seguono Pașii Profetului e le postume
scritte a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, che presentano entrambe una percentuale di
occorrenza pari al 62%. La punta più bassa è invece toccata da La Curțile Dorului, con il
46% di occorrenze di nu.
In secondo luogo, si è deciso di rapportare il numero di occorrenze di nu al numero
totale di token, calcolando poi la percentuale di occorrenza della negazione. Questo lavoro
è stato effettuato dapprima sull’intera opera blaghiana, poi sui corpora delle antume e
delle postume e infine su ogni singolo sottocorpus:
pag. 137
Fig. 4
1,20%
1,30%
1,30%
PERCENTUALE DI OCCORRENZA DI NU SUL
NUMERO TOTALE DEI TOKEN
OC
ANT
POST
In fig. 4 vediamo la presenza di nu sul numero totale di token rispettivamente nell’opera
completa, nelle antume e nelle postume.
ÎMT
LCA
LCD
1,48%
1,30%
LS
1,03%
1,08%
PP
1,10%
PL
1,06%
0,90%
1,30%
1,30%
1,63%
PERCENTUALE DI OCCORRENZA DI NU SUL
TOTALE DEI TOKEN
1,70%
Fig. 5
NT
P40
P4050
P5060
PSD
In fig. 5 vediamo l’andamento in senso diacronico della percentuale di nu sul
numero totale di token, con linea di tendenza.
pag. 138
Fig. 6
SCARTO RISPETTO ALLA MEDIA
DELL'1,30%
0,005
0,004
0,003
0,002
0,001
0
-0,001
OC
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050 P5060
PSD
-0,002
-0,003
-0,004
-0,005
La fig. 6 rappresenta graficamente lo scarto percentuale di presenza del nu nei diversi
volumi in rapporto alla media dell’1,30% riscontrata sull’opera completa.
2.2. Interpretazione
Vediamo innanzitutto che il nu rappresenta l’1,3% delle occorrenze totali di tutte
le parole utilizzate all’interno dell’intero corpus. I risultati ottenuti con questo secondo
tipo di calcolo risultano a volte in contrasto con quelli ottenuti in precedenza. Se infatti,
contando il numero di poesie in cui compare la negazione nu si era ottenuta una leggera
predominanza all’interno del corpus delle poesie antume, qui vediamo che di fatto,
numericamente, Blaga utilizza il nu maggiormente nelle postume (1,2% nel corpus di
antume contro 1,3% nel corpus di postume). Ciò fa supporre che, probabilmente, nel
corpus delle postume, ci siano diverse poesie che contano al proprio interno svariate
negazioni (poesie in cui la negazione ha un’incidenza superiore alla media), cosa che non
avviene nel corpus delle antume, nel quale la negazione è di fatto più estesa
trasversalmente all’interno dei diversi testi. In questa nuova prospettiva, la raccolta În
marea trecere, che si era distinta per l’elevata percentuale di poesie nelle quali compare
la negazione, rientra nella media. Interessante anche notare come il corpus in cui Blaga
pag. 139
utilizza in assoluto più nu è ancora appartenente al gruppo delle antume (si tratta infatti
di Nebănuitele trepte, 1,63%, che normalmente anticipa le tendenze delle postume degli
anni ‘40 mentre qui sembra distaccarsene), seguito poi dalle postume degli anni ‘50 e ‘60
(1,48%), mentre la raccolta in cui Blaga nega di meno è Pașii profetului. Di fatto anche
nel grafico precedente, quello che teneva conto del numero di poesie in cui compariva
almeno una negazione, si notava già un piccolo scarto tra la percentuale di negazione
presente in Poemele luminii e quella un po’ più esigua di Pașii profetului. Si può
affermare che, essendo considerata quest’ultima la raccolta dell’affermazione vitale, la
scarsa rappresentazione dell’elemento di negazione al suo interno può esserne un riflesso.
Come si era già detto nel capitolo precedente, il ridotto sottocorpus delle postume senza
data non può fornirci grandi indizi in senso diacronico in quanto sappiamo solamente che
si tratta di poesie postume scritte dagli anni ‘40 in poi ma non disponiamo di indicazioni
più precise sulla loro esatta collocazione temporale. Concludiamo notando ancora una
volta che una delle differenze principali tra i risultati ottenuti con i due diversi tipi di
calcolo è rappresentata dal fatto che nelle poesie antume compare un maggior numero di
testi all’interno dei quali compare il nu, che generalmente è isolato all’interno del testo,
mentre nelle postume il numero totale di nu presenti è maggiore ma essi si trovano spesso
concentrati all’interno di pochi testi, ovvero il nu compare percentualmente in un numero
minore di testi. Diversamente da quanto accade nelle antume, però, tende a
“raggrupparsi”: si trovano più testi nei quali la negazione si presenta con una struttura a
grappolo.
3. Una prima griglia interpretativa
Come primo approccio interpretativo alla negazione in Blaga è stata elaborata una
griglia che ci permette di operare un primo livello di classificazione della negazione
espressa tramite nu. A questo primo livello di classificazione viene presa in
considerazione solamente la tipologia sintattica della negazione allo scopo di osservare
quali fossero le preferenze d’uso del poeta.
In primo luogo, si sono definite due tipologie di negazione, ovvero la negazione
frasale (alla quale è stata assegnata la lettera A), e cioè la forma di negazione normalmente
pag. 140
posta all’interno di proposizioni principali o subordinate e nella quale la negazione si
applica al verbo principale, e la negazione di costituente (associata alla lettera B) ovvero
quella che di una frase nega solamente un’istanza e che non nega il verbo di una frase.
A ognuna di queste due tipologie sono poi stati abbinati quattro aspetti:
Aspetto 1, ovvero negazione generica (“Eu nu strivesc corola de minunii a
lumi”344 per il tipo A, “Poate că din trunchiul tău îmi vor ciopli nu peste mult sicriul
[…]”345 per il tipo B).
Aspetto 2, ovvero negazione olofrastica, quel tipo di negazione che va a sostituire
un’intera frase, ad es. quando si risponde semplicemente con “no” (in questo caso nu) a
una domanda o quando il no viene utilizzato in maniera enfatica nell’anticipare o seguire
una frase che già esplicita il senso dell’enunciato, come ad es.: (“E cornul de lună?/Nu,
nu!”346 per il tipo A, “ […] nu de sânge”347 per il tipo B)
Aspetto 3, ovvero negazione posta come domanda retorica: Nu-mi presimți văpaia
când în brațe/îmi tremuri ca un picur/de rouă-îmbrățișat/de raze de lumină?348 (per il
tipo B non sono stati riscontrati esempi all’interno del corpus);
Aspetto 4, ovvero negazione rafforzata, e cioè quella in cui il nu viene preceduto
o seguito da un avverbio di negazione: [...] dar nimeni nu mai caută vindecare349 (non
sono stati trovati esempi di tipo B). È fondamentale sottolineare che, in romeno, la doppia
negazione, che qui abbiamo scelto di definire “negazione rafforzata” non ha lo stesso
valore che essa assume in italiano, in quanto gli avverbi di negazione non possono essere
utilizzati singolarmente ma devono necessariamente essere preceduti o seguiti (anche a
distanza) dal nu. Non si tratta quindi effettivamente di una doppia negazione in senso
stretto, ma si è preferito comunque raggruppare questo genere di negazioni in una
categoria unica, in quanto il loro utilizzo presuppone in ogni caso una sorta di
“rafforzamento” della negazione. È inoltre stata effettuata una ricerca riguardante gli
avverbi di negazione all’interno del corpus. Si sono osservate le occorrenze di nici (“né”),
nimeni (“nessuno”), nimic (“niente”), niciodată (“mai”), nicăieri (“da nessuna parte”) e
Opere, vol. I, p. 2. “Io non schiaccio la corolla di meraviglie del mondo” (Del Conte, p. 45).
Opere, vol. I. p. 10. “Forse/ dal tuo tronco mi taglieranno/ non fra molto la bara […] (Del Conte, p. 51).
346
Opere, vol. I, p. 84. “È il corno lunare? No, no!” (Del Conte, p. 77).
347
Opere, vol. I, p. 10. “[…] non sangue” (Del Conte, p. 51).
348
Opere, vol. I, p. 34. [Non indovini il mio fuoco quando tra le mie braccia/ sussulti come una goccia/ di
rugiada avvolta/ da raggi di luce?].
349
Opere, vol. I, p. 152. “[…] ma nessuno chiede di guarire” (Del Conte, p. 104).
344
345
pag. 141
degli altri avverbi composti a partire da nici (nicicând, “mai”, nicicum, “in nessun modo”
ecc.). Non si sono ottenuti risultati di particolare rilevanza tranne per il fatto che tali
avverbi risultano più diffusi nei volumi antumi e in particolare nelle prime tre raccolte
antume. Tuttavia, le variazioni di utilizzo sono minime. Il numero delle occorrenze di
tutti questi avverbi tende a diminuire nei volumi postumi.
3.1. Misura
Passiamo dunque a vedere come si comporta il nu nelle antume:
Fig. 7
TIPO E ASPETTO - ANTUME
A1
A2
A3
A4
B1
B2
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
In fig. 7 vediamo i tipi e gli aspetti individuati all’interno dei volumi antumi.
E come si comporta invece nelle postume:
pag. 142
NT
Fig. 8
TIPO E ASPETTO - POSTUME
A1
A2
A3
A4
B1
B2
160
140
120
100
80
60
40
20
0
P40
P4050
P5060
PSD
In fig. 8 vediamo i tipi e gli aspetti individuati all’interno dei corpora postumi.
3.2. Interpretazione
Quello che si nota immediatamente è la sostanziale differenza a livello
quantitativo tra la tipologia A e la B, che è molto scarsamente rappresentata e non presenta
più di una manciata di occorrenze in tutto il corpus. Naturalmente, per ragioni intrinseche
alla natura propria della lingua, il tipo di negazione che compare più frequentemente sia
nelle antume che nelle postume è la negazione generica di tipo A associata all’aspetto 1.
In entrambi i grafici, poi, la seconda categoria rappresentata numericamente è quella A4,
ovvero quella della negazione rafforzata in cui il nu è preceduto o seguito da un avverbio
di negazione come, ad es. nici, nimeni, niciodată ecc. Nelle antume questa categoria è
sempre largamente presente tranne nel caso di Pașii Profetului e delle ultime tre raccolte
di antume, in cui le occorrenze diminuiscono visibilmente. Risulta particolarmente
interessante notare come la negazione rafforzata compaia in particolare all’interno di una
raccolta quale În marea trecere, che rappresenta una sorta di evoluzione (di passaggio, in
itinere) del pensiero poetico e non solo di Blaga, una sorta di sovrapposizione nel suo
pensiero di un ulteriore strato, o, se vogliamo, una discesa più profonda all’interno del
suo lavoro di comprensione dell’essere e del suo senso (o, meglio, della mancanza di tale
pag. 143
senso). Ricordiamo anche che, di tutti i sottocorpora, În marea trecere rappresenta quello
in cui la negazione compare più spesso, ovvero nel 90,6% delle poesie. Al contempo, la
negazione rafforzata è molto presente anche in Poemele luminii, testo programmatico per
eccellenza. Sembrerebbe quasi che, nei momenti topici e di svolta della sua concezione
di senso, fosse anche maggiormente vivo in Blaga un bisogno di esplicitare in maniera
più palese il proprio pensiero, utilizzando costruzioni quali la negazione rafforzata, dando
un rilievo maggiore all’affermare negando. È altresì interessante notare come in senso
diacronico la negazione utilizzata come interrogazione retorica (tipo A, aspetto 3) tenda
a diminuire, passando dalle cinque occorrenze di Poemele luminii a due-tre occorrenze
nei sottocorpora successivi, per poi comparire solamente due volte nelle postume. Come
già è stato fatto nel capitolo precedente, si può interpretare questo dato in senso
cronologico e diacronico, supponendo che, data la giovane età e l’entusiasmo, il poeta
avesse la tentazione di ricorrere più sovente ad artifici retorici quali la negazione utilizzata
come domanda per veicolare il proprio messaggio in maniera più articolata. In questo
senso è come se, utilizzando certe strutture, il poeta volesse mostrare al lettore gli
ingranaggi e i passaggi del suo proprio pensiero, accompagnandolo alla comprensione,
modalità che non è più necessaria una volta acquisita maggiore dimestichezza con le sue
scelte stilistiche.
Passando poi al secondo grafico, già a un primo sguardo superficiale è evidente come tra
le antume e le postume esista una interessante differenza tra le occorrenze delle diverse
categorie della negazione. Tale differenza si manifesta come una sorta di restringimento
di campo, e pur essendo le raccolte postume particolarmente sostanziose in quanto a
numero di poesie contenute in ognuna, salta agli occhi l’utilizzo meno eclettico della
negazione. Blaga, nelle postume, non smette di negare (le percentuali di utilizzo parlano
chiaro), ma nega in modo diverso. Le negazioni si raggruppano quasi esclusivamente
sotto le due categorie principali, A1 e A4, nonostante, rispetto a quanto accadeva nelle
antume, lo scarto fra le due categorie qui sia maggiore e sempre in favore della categoria
A1. Nelle ultime postume la negazione rafforzata registra un incremento della sua
presenza, e, come si era già visto nel precedente capitolo, queste ultime poesie sono in
qualche modo in relazione (non tanto di contenuti quanto di modus essendi) con le
raccolte antume particolarmente cariche di una ricerca di senso. Scompare quasi del tutto
la negazione di aspetto 3, ovvero l’interrogazione retorica. Possiamo dunque supporre
pag. 144
che, nel corso del tempo e in prossimità degli anni più maturi, il linguaggio poetico
blaghiano si sia inscritto all’interno di uno schema di utilizzo più polarizzato. Il
messaggio che il poeta voleva comunicare poteva forse essere veicolato utilizzando meno
artifici retorici, almeno per quanto riguarda il campo della negazione.
4. Il caso di decât
All’interno della categoria A1, grazie a un lavoro di close reading, si è individuata
quella che potremmo forse definire un’ulteriore sottocategoria. Date le sue dimensioni
estremamente ridotte, si è scelto di non considerarla come un aspetto a parte (come invece
si è fatto nel caso della negazione rafforzata), ma è comunque il caso di citarla. Si tratta
di quei casi in cui l’avverbio decât (“di”, “che”) va ad escludere la stessa possibilità
d’essere di eventuali alternative all’istanza negata, istanza che, proprio in funzione di tale
avverbio, nel suo essere negata viene di fatto affermata. La costruzione “nu… decât”,
infatti, come nell’esempio di Vreau să joc, in cui compaiono i versi “să nu mai văd în
preajmă decât cer”350 esclude tutto il resto: è una negazione che, di fatto, in germe,
contiene l’eccezionalità di una affermazione. La costruzione così ottenuta rappresenta a
tutti gli effetti una zona d’ombra in cui non si nega realmente qualche cosa ma nemmeno
la si afferma in maniera piena (come avverrebbe invece utilizzando doar, “solo”), zona
d’ombra che rappresenta perfettamente lo spirito e le intenzioni poetiche che lo stesso
Lucian Blaga esplicita manifestamente in Eu nu strivesc corola de minunii a lumii, nella
quale, programmaticamente, dichiara di aumentare con la sua propria luce il mistero del
mondo. Con l’utilizzo della costruzione “nu… decât” l’io poetico non va ad “illuminare”,
gettare luce sull’istanza che negando afferma, ma piuttosto fa sprofondare nel buio la
virtualità delle eventuali alternative a quanto affermato (negando). Nel momento in cui
l’io poetico afferma “Pământule, dă-mi aripi:/ săgeată vreau să fiu, să spintec
nemărginirea,/ să nu mai văd în preajmă decât cer […]”351 quel che viene affermato
dopo la negazione e dopo decât rappresenta di fatto un’affermazione assoluta che
Opere, vol. I, p. 6. “[…] per non vedere intorno a me che il cielo […]” (Albisani, p. 55).
Ibid, p. 6. “O terra, dammi ali:/ saetta vorrei essere per rompere/ i confini,/ per non vedere intorno a me
che il cielo […]” (Albisani, p. 55).
350
351
pag. 145
sprofonda nell’oscurità qualunque altra possibilità, non esistono istanze all’infuori di
quella che il decât continua ad illuminare per contrasto con l’oscurità che avvolge il resto.
Virno, riferendosi alla doppia negazione, parla di una sorta di “zona d’ombra” in quanto
“non equivale mai all’affermazione di cui sembra fare le veci” 352, e ancora, “la doppia
negazione crea una curiosa zona di indeterminazione nella quale non si rifiuta del tutto,
ma neanche si accetta appieno”353. Ricordando che in romeno la doppia negazione non
ha la valenza che essa assume ad es. in italiano, possiamo, per analogia semantica,
estendere questa considerazione di Virno alla costruzione con “nu… decât”.
In tutto il corpus questa peculiare costruzione compare solamente tredici volte:
una volta in Poemele luminii (Vreau să joc), ben sei volte in Pașii profetului (Pan, Veniți
după mine, tovarăși!, Din copilăria mea, Flori de mac, Zeul așteaptă e Pustnicul), due in
În marea trecere (Heraclit lângă lac e Vară nouă), una in Nebănuitele trepte (Cuvinte
către fata necunoscută din poartă) e quattro nelle postume scritte tra gli anni ‘50 e ‘60
(Pelerinii, Thàlatta!Thàlatta!, Stihiutorul e Cuvinte pe o stelă funerară). Risulta molto
interessante notare che la costruzione appartiene in particolare alle raccolte antume e che
compare principalmente in Pașii profetului, tradizionalmente considerata come la
raccolta – per così dire, dell’affermazione. Seppur a livello microscopico, si notano anche
qui quelle tendenze che diverse volte si sono rese manifeste durante l’analisi a livello
diacronico dei diversi sottocorpora, e che hanno permesso di rilevare come spesso Pașii
profetului, În marea trecere e Nebănuitele trepte rappresentino dei momenti di passaggio
che tendono a distaccarsi (sempre a livello degli elementi linguistici presi in esame) dai
restanti sottocorpora, e come spesso le postume scritte nell’ultimo decennio di vita siano
quelle che tendono a riprendere quelle stesse scelte linguistiche e stilistiche che erano
invece cambiate nei decenni precedenti.
352
353
Virno, Trattato, cit. p. 190.
Ibid., p. 191.
pag. 146
5. Una seconda griglia interpretativa
5.1. Misura
Allo scopo di comprendere più dettagliatamente la natura della negazione
all’interno del corpus blaghiano si è deciso di utilizzare questa volta la funzione
Collocations, che, a partire dalle liste di frequenza ottenute tramite lo strumento Wordlist,
permette di osservare il contesto di utilizzo di un determinato lemma354. Per ogni
sottocorpus, si è chiesto al software di tenere in considerazione i tre elementi linguistici
alla sinistra del nu e i tre elementi linguistici alla sua destra, soprattutto tenendo conto del
fatto che, trattandosi di poesia, spesso l’ordine SVO delle frasi viene sovvertito per
ragioni di stile. Una volta ottenute le collocazioni di nu si è chiesto al software di
organizzarle per ordine di frequenza e osservare, per ogni sottocorpus, quali fossero i
lemmi più frequentemente associati a nu. Nell’eseguire tale ricerca, come già era successo
nel capitolo precedente dedicato al verbo, sono state escluse quelle che Sketch Engine
definisce “non-words”, ovvero punti e virgole, ad es., che spesso compaiono subito prima
o subito dopo la negazione, oltre ad alcune particelle come că e să.
Purtroppo, il software, come abbiamo visto, presenta alcune insufficienze.
Quando incontra un pronome personale alla terza persona, che sia singolare, plurale,
maschile o femminile, non è in grado di compiere distinzioni e crea un unico gruppo.
Scopriamo così che la collocazione più frequente di nu all’interno dell’intero corpus (con
97 occorrenze totali) è il pronome di terza persona singolare “el” (“lui”), che in realtà
comprende anche il femminile e le due voci plurali. Resta comunque un dato interessante
in quanto ci dice che la particella più frequentemente associata alla negazione è quella
che designa una o più terze persone. La particella immediatamente seguente in senso
quantitativo è il pronome “eu” (“io”) in tutte le sue forme (in quanto la ricerca è stata
impostata per lemma) con 66 occorrenze, seguita poi dall’avverbio “mai” (“più”) che
conta 63 occorrenze.
La descrizione che Sketch Engine propone per questa funzione è la seguente: “the collocation tool uses
the traditional approach to identify collocations. It scans the specified range and/or left KWIC (key words
in context, ndA) and calculates a selection of statistical measures to identify collocations”.
354
pag. 147
Vedremo come in tutti i sottocorpora i lemmi più frequentemente associati al nu
sono pronomi o avverbi tranne nel caso di Poemele luminii, dove compare il primato del
verbo a vedea (12 occorrenze):
Fig. 9
In fig. 9 vediamo un campione delle concordanze di nu in Poemele luminii, e nello
specifico quelle di nu associato al verbo a vedea.
Fig. 10
In fig. 10 vediamo un campione della concordanza di nu e del verbo avere in Pașii
profetului.
pag. 148
Con În marea trecere assistiamo a una svolta interessante: in questo sottocorpus,
infatti, le collocazioni di nu più frequenti coinvolgono il pronome “eu” in tutte le sue
forme, il verbo a fi e l’avverbio di negazione “nici” (tutti con dieci occorrenze ciascuno):
Fig. 11
In fig. 11 vediamo un campione delle concordanze di nu e nici in În marea trecere.
Le restanti raccolte antume vedono, nelle collocazioni di nu, un alternarsi di
pronomi personali. Nello specifico la collocazione più frequente in Lauda somnului è
quella del pronome “el”, mentre in La cumpăna apelor le collocazioni di nu che
compaiono con frequenza maggiore sono quelle legate al pronome “eu” e, di nuovo “el”
(quattro occorrenze in entrambi i casi), così come in La curțile dorului, dove il risultato
è lo stesso, mentre in Nebănuitele trepte compare in primo luogo, associato al nu, il
pronome “tu” (nove occorrenze).
pag. 149
Fig. 12 (Lauda somnului)
In fig. 12 vediamo un campione delle concordanze di nu con il pronome di terza persona
in Lauda somnului.
Fig. 13
In fig. 13 vediamo un campione delle concordanze di nu con il pronome personale di terza
persona in La cumpăna apelor.
Fig. 14
In fig. 14 vediamo un campione delle concordanze di nu con il pronome personale di
prima persona in La curțile dorului.
pag. 150
Fig. 15
In fig. 15 vediamo un campione delle concordanze di nu con il pronome personale di
seconda persona in Nebănuitele trepte.
La stessa tendenza continua nelle prime postume: in quelle scritte negli anni ‘40,
infatti, la collocazione più frequente è quella con il pronome “eu” (sette occorrenze), e in
quelle scritte tra gli anni ‘40 e ‘50 troviamo di nuovo il primato di frequenza del verbo a
fi (quindici occorrenze) e del pronome “eu” con dieci occorrenze. Compare anche, però,
con nove occorrenze, l’avverbio mai.
Fig.16
In fig. 16 vediamo un campione delle concordanze di nu con il pronome personale di
prima persone nelle postume degli anni ’40.
pag. 151
Fig. 17
In fig. 17 vediamo un campione delle concordanze di nu con l’avverbio mai nelle postume
degli anni ’40 e ’50.
Nelle ultime postume, in quelle scritte tra gli anni ‘50 e ‘60, oltre alla collocazione
del pronome “el” (32 occorrenze) ricompare l’avverbio “mai” con 20 occorrenze.
Fig. 18
In fig. 18 vediamo un campione delle concordanze di nu con l’avverbio mai nelle postume
degli anni ’50 e ’60.
pag. 152
4.2. Interpretazione
Notiamo dai dati sopra illustrati che con il volume În marea trecere Blaga affronta
una sorta di cambiamento della ricerca di senso. In Pașii profetului, avevamo assistito
alla morte di Pan a causa dell’avvento nel mondo della concezione platonica
dell’esistenza umana (e di conseguenza della visione cristiana del senso della vita), che
svuota di significato esistenza terrena e concezione panica e pre-platonica per proiettare
in un futuro imperscrutabile l’unica felicità possibile. In În marea trecere assistiamo
all’effetto che questo cambiamento provoca sull’uomo e sull’io poetico: la morte, non più
parte integrante della vita e sua buona sorella, diventa un’ombra spaventosa e ricca di
mistero, un rimosso pur sempre presente. In questa raccolta l’io poetico va ancora oltre e
percepisce la meraviglia, lo thauma sublime del tutto e del nulla, eppure è ancora preso
nelle difficoltà del “passaggio”, e solo in seguito, con Lauda somnului, riuscirà a
elaborare il bene che deriva dalla sensazione di vivere il nulla. Questa idea di bene
derivante dal nulla, però, è già presente in În marea trecere. Nel motto di apertura, il poeta
esprime bene il concetto che proprio il nostro senso di “gettatezza” (in senso
heideggeriano) nel mondo è l’unica vera chiave di lettura e di senso, eppure ne è ancora
spaventato:
Oprește trecerea. Știu că unde
nu e moarte nu e nici iubire -, și
totuși te rog: oprește, Doamne, ceasornicul cu care ne măsuri destrămarea355.
In questa raccolta Blaga sente forte la “percezione del vuoto” di cui parla Emil
Cioran, autore entrato poi nel canone dei pensatori francesi, ma nato, coincidenza
particolarmente “felice” dal nostro punto di vista, poco distante da Sibiu e a una settantina
di chilometri dal paese natale di Lucian Blaga:
La percezione del vuoto coincide con la percezione del tutto, con l’ingresso nel tutto. Si comincia
finalmente a vedere, non si va a tentoni, si è più sicuri, più forti. Se c’è una possibilità di salvezza
fuori dalla fede, si deve cercarla nella facoltà di arricchirsi al contatto con l’irrealtà 356.
Opere, vol. I, p. 31. [Arresta il passaggio. So che dove/ non c’è morte non può esserci amore ˗, e/ tuttavia
ti prego: ferma, Signore, l’orologio/ con cui misuri il nostro declino].
356
Emil Cioran, M., Il funesto demiurgo, Milano, Adelphi, 1995, p. 144.
355
pag. 153
Ed è proprio attraverso l’osservazione della negazione (in particolare della doppia
negazione) in În marea trecere che si riesce a percepire come questo contatto con
l’irrealtà, pur spaventoso, porti infine il poeta al momento topico ed epifanico di Sufletul
satului, poesia nella quale il poeta riporta a una dimensione esclusivamente terrena e se
vogliamo pagana il senso dell’esistenza, introducendo tra gli altri il concetto di tempo
circolare (rappresentato visivamente anche dalla bambina che ascolta le parole dell’io
poetico ˗ più anziano ˗ appoggiando le mani sulle sue ginocchia) e quello della terra come
matrice, utero, rimedio e tomba, ma anche il concetto di esistenza umana collettiva più
che individuale, ben rappresentato dall’immagine del cuore palpitante non all’interno del
petto del singolo individuo ma dentro il terreno:
Copilo, pune-ți mânile pe genunchii mei.
Eu cred că veșnicia s-a născut la sat.
Aici orice gând e mai încet,
și inima-ți zvâcnește mai rar,
ca și cum nu ți-ar bate în piept,
ci andânc în pământ undeva.
Aici se vindecă setea de mântuire
și dacă ți-ai sângerat picioarele
te așezi pe un podmol de lut.
[...]357.
Nella poesia În marea trecere, al verso 5, leggiamo “Nimic nu vrea să fie altfel decât
este”358, e questo stesso senso di cosmica immutabilità lo ritroviamo in Epilog, dove al
verso 3 leggiamo “Înapoi nici un drum nu mai duce”359. L’io poetico ormai ha preso
coscienza del vuoto, e questa presa di coscienza la ritroviamo nei versi finali di Fiu al
faptei nu sunt:
Întrebător fratele mă privește,
mirată mă-ntâmpină sora,
dar încolăcit la picioarele mele
m-ascultă și mă pricepe prea bine
șarpele cel cu ochii de-a pururi deschiși
Opere, vol. I, p. 156. “Bambina/ posa le tue mani sui miei ginocchi./ Io credo che l’eternità è nata nel
borgo./Qui ogni pensiero è più lento,/ il cuore palpita più raro,/ quasi non ti battesse nel petto/ ma profondo,
in terra, qua o là ˗/ Qui la sete di redenzione si placa/ e se ti sei insanguinato i piedi/ ti siedi su un pugno di
fango […]” (Del Conte, p. 107).
358
Opere, vol. I, p. 136. “Nulla vuole essere diverso da quello che è” (Del Conte, p. 91).
359
Opere, vol. I, p. 185. “Nessuna strada addietro mi conduce” (Albisani, p. 185).
357
pag. 154
spre-nțelepciunea de dincolo.360
Si ha la consapevolezza, leggendo questo volume, che il poeta abbia percepito
qualcosa che gli altri non riescono (ancora?) a percepire. La stessa sensazione è esplicitata
chiaramente anche in Piatra vorbește, che per ragioni cronologiche è stata inserita nel
sottocorpus di În marea trecere ma che era stata originariamente lasciata fuori dall’autore
e pubblicata poi postuma:
Voi treceți și veniți
Subt un mare cântar ce plutește peste toate
numai eu stau aici
și nu-mi mișc nici un deget.
Faptele și oglindirile lor în ape cerești
Îmi joacă subt ochi361.
È difficile non pensare a Forse un mattino andando, poesia di Eugenio Montale
nella quale assistiamo alla stessa presa di coscienza di cui parla Lucian Blaga:
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto362.
È forse questo il medesimo segreto che custodisce Lucian Blaga, e lui stesso, come
abbiamo appena visto, afferma come non sia più possibile tornare indietro: l’inganno è
svelato, il vuoto si apre di fronte alla consapevolezza (il “margine” di cui parla in Un om
s-apleacă peste margine), e tale cambiamento si incarna “fisicamente” nella presenza
all’interno del testo di alcune “tracce” che permettono al lettore più attento di percepire il
senso di indeterminatezza, quella zona grigia che il poeta sta indagando. Proprio in
Opere, vol. I, p. 176. “Con interrogativi occhi mi guarda il fratello,/ mirata la sorella m’accoglie,/ ma
avviticchiato ai miei piedi/ m’ascolta ed a fondo m’intende/ il serpe, con gli occhi spalancati da sempre/
sulla sapienza del mondo di là” (Del Conte, p. 115).
361
Opere, vol. I, p. 426. [Voi andate e venite˗/ Sotto il grande bilanciere che aleggia su ogni cosa,/ solo io
me ne sto qui/ senza muovere nemmeno un dito./ I fatti e il loro riflesso nelle acque celesti/ mi danzano
sotto gli occhi].
362
Eugenio Montale, Forse un mattino andando, in Ossi di seppia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore,
1983, p. 62.
360
pag. 155
questo, pensiamo, gli strumenti digitali possono aiutare lo studioso a imbattersi in queste
tracce minime, che contengono al loro interno un nucleo semantico potenzialmente fertile
per approfondire ulteriormente gli studi sulla letteratura. A una lettura “analogica”, infatti,
è molto probabile che tali tracce minime possano sfuggire o perdere i contorni che invece
l’analisi digitale isola ed evidenzia, permettendo al ricercatore l’individuazione di nuovi
percorsi di studio o permettendogli di poter confermare ipotesi precedenti portando nuove
testimonianze tangibili e oggettive estrapolate direttamente dal testo.
Altro risultato particolarmente interessante è quello della comparsa tra le
Collocations dell’avverbio mai negli ultimi corpora di poesie postume, e non si riesce a
fare a meno di pensare che l’avverbio mai sia qui legato alla percezione che Blaga aveva
della propria vita e del proprio tempo. Sappiamo che il tema della morte è sempre stato
centrale e molto sentito dal poeta, che, già nel 1919, in diverse composizioni poetiche
inseriva un richiamo alla propria fine, spesso con un certo senso di urgenza e imminenza
(un esempio per tutti potrebbe essere Gorunul, in cui il poeta scrive, ai vv. 11-13 “Poate
că/din trunchiul tău îmi vor ciopli/nu peste mult sicriul”363). Negli anni in cui Blaga scrive
le ultime postume, però, questa morte non è più un richiamo terribile e accorato
all’esperienza sublime immaginata, ma una presenza sempre più vicina, e il richiamo si
insinua anche nella lingua, nelle sue strutture minime, nella scelta degli avverbi. Non più
un senso urgente e manifesto, dunque, ma un senso più profondamente intessuto nello
stile poetico. La possibilità della morte, della fine, non è più annunciata solo con le parole,
intenzionalmente, manifestamente, ma si fa strada, in silenzio, attraverso dettagli stilistici.
Un esempio è În noapte undeva mai e, tratta dal sottocorpus delle postume scritte a
cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60:
În noapte undeva mai e
tot ce a fost și nu mai e,
ce s-a mutat, ce s-a pierdut
din timpul viu în timpul mut
în Hades e – tot ce-a trecut.
[...]364
E ancora, dallo stesso sottocorpus, leggiamo i versi di Cântare subt pietre și flori:
363
v. n. 335.
Opere, vol. II, p. 145. [Nella notte da qualche parte c’è/ tutto quel che è stato e non più è,/ quel che è
mutato, quel che si è perduto/ dal tempo vivo al tempo muto./ Nell’Ade c’è – tutto quel che è stato (…)].
364
pag. 156
[...]
Azi nu mai visez, dar, în sus privind, parcă știu
ce subt Lună și-n lume uitat-am de atâtea ori:
Nori sunt oamenii, oamenii totuși sunt nori365.
Si può dunque affermare che lo strumento delle Collocations ci abbia permesso di
osservare dal punto di vista diacronico e in riferimento all’utilizzo della negazione, come
attraverso il linguaggio selezionato dal poeta nei diversi periodi della sua esistenza filtrino
all’interno dei testi quelle che potevano essere le ombreggiature stilistiche ed esistenziali
date non solo dal maturare del pensiero, ma anche dal trascorrere degli anni e dalla
conseguente visione del tempo e della vita ancora a sua disposizione.
6. Una terza griglia interpretativa
6.1. Misura
Una volta effettuate queste osservazioni si è orientato lo studio nella direzione di
una osservazione di natura più “analogica” e affine ai metodi del close reading,
esattamente come si era fatto nel capitolo primo osservando una per una le occorrenze del
verbo a vedea e raggruppandole all’interno di una griglia interpretativa. Lo scopo di tale
osservazione è quello di discernere in maniera più raffinata i diversi aspetti semantici
legati all’utilizzo della negazione all’interno del corpus poetico blaghiano in prospettiva
diacronica e di attestare eventuali differenze e/o similitudini con i pattern riscontrati
durante l’osservazione dell’aspetto verbale. Anche questa volta il processo non è stato
lineare, in quanto le sfumature di significato sono spesso davvero sottili, cosa che rende
ardua l’individuazione di categorie ben definite. Si ricorda altresì che le categorie sono
state individuate secondo criteri soggettivi. Anche in questo caso ogni occorrenza è stata
letta e analizzata singolarmente, e le occorrenze di nu sono state inserite all’interno della
griglia interpretativa una a una: i valori riportati nei grafici sono dunque valori assoluti e
Opere, vol. II, p. 371. [(…) Oggi non sogno più, ma, guardando in su, intuisco/ quel che tante volte ho
dimenticato sotto la luna e nel mondo:/ le nuvole sono persone, le persone, tuttavia, sono nuvole].
365
pag. 157
non rapportati all’ampiezza dei vari corpora, in quanto, in questo specifico caso,
l’interesse era rivolto non tanto a un’analisi di tipo quantitativo ma piuttosto qualitativo.
In primo luogo, dunque, si è cercato di rispondere a tre domande:
a)
se il nu era agito da un agente animato o inanimato (ove per agente animato si
intendono entità, reali o meno, di aspetto e/o pensiero umanoide ˗ sono quindi incluse
divinità, santi ecc. ˗ animali o parti del corpo umano; e per agente inanimato si
intendono principalmente oggetti, elementi naturali quali minerali e vegetali, luoghi,
idee, concetti e pensieri);
b) se il nu era riferito a un’azione o a uno stato e, infine
c)
se l’azione o stato cui il nu si rapportava risultavano all’interno di un discorso sul
piano concreto, astratto o concreto all’interno di una narrazione astratta (per
quest’ultima categoria utilizzeremo la definizione “modo parabolico”). Come si era
già deciso nel capitolo precedente, per modo concreto si intendono azioni rivolte a
oggetti e/o persone idealmente posti in un mondo (fittizio) coevo a quello vissuto da
Blaga o oggetti/persone che abbiano un riferimento concreto nel mondo reale; il
modo astratto riguarda azioni che abbiano a che fare con idee, pensieri, congetture e
astrazioni, mentre il modo parabolico fa riferimento ad azioni concrete (che quindi
condividono le stesse caratteristiche del modo “concreto”), ma che compaiono
all’interno di narrazioni “immaginarie” che fanno riferimenti a episodi storici,
mitologici, biblici ecc.
Fig. 19
In fig. 19 osserviamo l’andamento in senso diacronico della percentuale di referenti
animati e inanimati relativi alla negazione.
pag. 158
Fig. 20
In fig. 20 osserviamo l’andamento in senso diacronico della percentuale delle categorie
“azione” e “stato” riferite alla negazione.
Fig. 21
CONCRETO, PARABOLICO, ASTRATTO PERCENTUALI
PL
PP
LS
LCA
LCD
NT
P40
50%
P4050 P5060
20%
30%
43%
27%
30%
48%
27%
25%
45%
17%
24%
31%
43%
32%
26%
44%
39%
ASTRATTO
29%
29%
37%
17%
22%
ÎMT
43%
46%
PARABOLICO
39%
39%
46%
33%
21%
18%
33%
49%
CONCRETO
PSD
In fig. 21 vediamo l’andamento in senso diacronico di modo parabolico, concreto e
astratto.
pag. 159
6.2. Interpretazione
Come è possibile osservare, la categoria di agente animato tende a prevalere su
quella di agente inanimato. Nelle antume, e soprattutto nelle prime raccolte di antume, lo
scarto tra le due categorie è piuttosto ampio ma la percentuale di occorrenza degli agenti
inanimati tende a salire costantemente fino a Nebănuitele trepte, dove per la prima volta
all’interno del corpus la categoria di agente inanimato supera quella di agente animato e
si raggiunge quasi una parità (48% - 52%). Anche nelle prime postume, ovvero quelle
degli anni ‘40, la categoria di agente inanimato supera quella di agente animato (31%69%) con uno scarto decisamente maggiore. Nelle postume degli anni ‘40-’50 prevale
nuovamente la categoria di agente animato (61%) su quella di agente inanimato (39%) e
le percentuali tornano a rovesciarsi nelle ultime postume, dove ritroviamo una situazione
di quasi-parità (simile a quella che si era vista in Nebănuitele trepte) in cui comunque la
categoria di agente inanimato (53%) prevale su quella di agente animato (47%). Come si
era già osservato in riferimento al verbo a vedea, sembra che con l’andare degli anni il
respiro poetico di Lucian Blaga si sia in un certo senso ampliato, portandolo alla ricerca
di ulteriori dimensioni stilistiche. Si può pensare che con il trascorrere del tempo, infatti,
sia intervenuto un effettivo ampliamento della prospettiva. Il concetto stesso di “agente”,
in tarda età, non sembra più essere legato in esclusiva al concetto di animato o a quello di
inanimato, come se l’io del poeta non fosse più centrato profondamente nel mondo e
avesse smesso di essere il primo oggetto della percezione in favore di una prospettiva
allargata ad abbracciare il tutto.
Nel secondo grafico si notano alcune variazioni, ma la categoria che in tutto il
corpus, in senso diacronico, ha la meglio, è quella di azioni, che in nessun periodo viene
superata numericamente dalla categoria di stato. Lo stacco maggiore è osservabile in
Poemele luminii (73% - 27%), Lauda somnului (80% - 20%) e La curțile dorului (83% 17%), mentre la differenza di occorrenza minore, che raggiunge quasi la parità, è
osservabile in La cumpăna apelor (52% - 48%). Tutte le raccolte citate, notiamo, sono
antume. In tutte le raccolte postume, la percentuale di occorrenza della categoria azioni
si attesta intorno al 60% e quella della categoria di stato attorno al 40% con variazioni
minime, segnalando di fatto il raggiungimento di un determinato equilibrio stilistico, in
contrasto con le variazioni maggiori riscontrate all’interno dei corpora antumi. L’ipotesi
pag. 160
interpretativa che si era immaginata a priori supponeva che in senso diacronico, la
categoria di stato potesse essere percentualmente più rappresentata nelle postume invece
che nelle antume. Dati alla mano, si è rilevato che è certamente palese un minore scarto
tra azione e stato nei corpora postumi, ma l’ipotesi aprioristica è stata disattesa in quanto
la categoria di azione resta in ogni caso prevalente.
Per quanto riguarda il modo concreto, astratto e parabolico, invece, notiamo subito
che il valore più stabile in senso diacronico è quello riferito al modo astratto, che va da
un minimo di percentuale di occorrenza del 22% in În marea trecere a un massimo di
percentuale di occorrenza del 48% rispettivamente nelle postume degli anni ‘40 e ‘50.
Come si era già riscontrato nel precedente capitolo riferito al verbo a vedea, anche in
questo caso si nota che il modo astratto si fa molto più presente all’interno dei corpora
postumi, confermando che con l’avanzare dell’età la visione di Blaga si è aperta a
dimensioni e contesti diversi, aggiungendo stratificazioni non soltanto a livello tecnicostilistico ma anche, per così dire, metafisico. Tuttavia, si nota che nell’ultimo corpus di
postume, quello degli anni ‘50 e ‘60, il modo concreto supera percentualmente quella di
astratto (43% - 30%), riavvicinandosi in particolare ai grafici riferiti a La cumpăna apelor
e La curțile dorului.
Il modo parabolico tende a raggiungere percentuali piuttosto alte nei primi quattro volumi
antumi, addirittura dominando con parecchio scarto rispetto alle altre due categorie in
Poemele luminii, Pașii profetului e Lauda somnului (rispettivamente 49%, 46% e 46%),
iniziando a diminuire in maniera piuttosto evidente a partire da La cumpăna apelor in
poi. È ragionevole pensare che questa maggiore occorrenza del modo parabolico derivi
da una natura maggiormente narrativa del volume. Soprattutto tenuto conto che anche nel
grafico riferito al verbo a vedea si era osservata una percentuale maggiore di occorrenza
di questa stessa categoria nelle prime antume, si può giungere alla conclusione che le
raccolte poetiche blaghiane giovanili tendessero proprio a un aspetto narrativoparabolico, aspetto che è andato perdendosi o comunque attenuandosi nel corso del
tempo. A partire da La cumpăna apelor, abbiamo visto, il modo dominante non sarà più
in nessun caso quello parabolico ma uno degli altri due. Il modo concreto è
percentualmente superiore solamente in La cumpăna apelor e nelle ultime postume (43%
in entrambi i casi), confermando ancora una volta che in quasi ogni caso La cumpăna
apelor (e La curțile dorului) tendono a differenziarsi nell’utilizzo poetico del linguaggio
pag. 161
rispetto alle quattro raccolte precedenti. Notiamo chiaramente (sempre tenuto conto del
fatto che in questa sede ci si riferisce esclusivamente alla negazione) uno scadere del
modo parabolico, mentre, a partire da La curțile dorului cresce il modo astratto. I testi,
dunque, si fanno via via meno parabolici e più contemplativi.
7. Una quarta griglia interpretativa
7.1. Misura
In un secondo tempo, per ogni singola occorrenza di nu, si sono osservati il tempo
(e il modo) verbale del verbo di riferimento e la persona verbale.
Fig. 22
Tempi verbali
90,00%
80,00%
70,00%
60,00%
50,00%
40,00%
30,00%
20,00%
10,00%
0,00%
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
Ind. Prez
Perf. Comp.
Imperfect
Viitor
Cong. Prez
Condit. Prez
Cond. Trec
Infinit
Imperativ
Trec. Simplu
P5060
PSD
In fig. 22 vediamo l’andamento in senso diacronico dei tempi dei verbi associati alla
negazione.
pag. 162
Fig. 23
PERSONE VERBALI
1 PS
2 PS
3 PS
3 PS IMP
4 PPL
LCD
NT
5PPL
6 PPL
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
P40
P4050
P5060
PSD
In fig. 23 vediamo l’andamento in senso diacronico delle persone dei verbi associati alla
negazione.
7.2. Interpretazione
Si osserva che il tempo verbale più utilizzato in associazione al nu è il presente (al
modo indicativo). Nelle antume, il tempo verbale che segue immediatamente (seppur con
grandissimo scarto) l’indicativo presente è il passato prossimo (perfect compus in
romeno), che presenta una presenza maggiore soprattutto in Lauda somnului (20%) – cosa
che si era già osservata analizzando modi e tempi di a vedea – e in La cumpăna apelor
(19%). Il passato prossimo tende poi a diminuire fino a quasi scomparire nelle postume,
dove, nei primi due corpora, si rileva una discreta percentuale di utilizzo del presente al
pag. 163
modo congiuntivo (14% nelle postume degli anni ‘40), già molto rappresentato però
anche in Nebănuitele trepte (19%). Il tempo futuro, pur scarsamente rappresentato,
compare regolarmente fino a La curțile dorului, in percentuali che vanno dal 10% di La
cumpăna apelor al 2% di Pașii profetului, scompare poi in Nebănuitele trepte e ritorna
in percentuali molto basse nei corpora postumi con un picco del 7% nelle postume scritte
a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60. In ogni caso è rilevabile il fatto che il tempo indicativo
presente rivesta un ruolo determinante in tutto il corpus e che le oscillazioni di frequenza
non vadano a incidere in modo rilevante su una eventuale interpretazione dei nostri dati.
Osservando invece il grafico sulle persone verbali ritroviamo un pattern già
osservato durante l’analisi del verbo a vedea, ovvero il fatto che la prima persona
singolare (1 p.s.) è predominante in particolare in Poemele luminii e Pașii profetului,
confermando una sorta di focus della coscienza poetica sulla dimensione per così dire
“egocentrica”, tendenza che va sempre più scemando con il progredire dell’età, e che vede
la comparsa di una sorta di “pluralizzazione” sempre più evidente e marcata. Se però la
dicotomia principale riferita al verbo a vedea era quella tra prima e seconda persona
singolare (2 p.s.) qui notiamo come, nei verbi riferiti alla negazione espressa tramite nu
la polarizzazione si manifesti soprattutto tra 1 p.s. e terza persona singolare (3 p.s.), che,
a partire da În marea trecere è la persona più rappresentata. Già nel capitolo precedente
si era notato come la pluralizzazione iniziasse a comparire proprio a partire da În marea
trecere, dove, per la prima volta, la 2 p.s. superava numericamente la 1 p.s., esattamente
come vediamo qui in riferimento alla 3 p.s. La 3 p.s. imp rappresenta invece quei casi in
cui il verbo è alla terza persona singolare ma il soggetto è impersonale, categoria che
raggiunge una percentuale piuttosto alta in La cumpăna apelor (33%).
Ritrova dunque conferma la supposizione che il trascorrere degli anni abbia ampliato e
arricchito la percezione poetica di Lucian Blaga, che proietta la propria coscienza
all’interno dell’Altro, o, altrimenti, introietta l’Altro all’interno di sé, Altro che diventa
una sorta di emanazione dell’identità poetica.
pag. 164
8. Le “grandi negazioni programmatiche”
Le raccolte antume di Lucian Blaga iniziano sempre con una poesia
“programmatica”, un manifesto di ciò che la raccolta vuole trasmettere. Lavorando con il
corpus si è notato che tre delle sette raccolte antume iniziano proprio con una negazione.
Eu nu strivesc corola de minuni a lumii è senza ombra di dubbio la poesia
blaghiana più commentata, ricordata, antologizzata. Si tratta del primo testo a comparire
in Poemele luminii e ha un carattere evidentemente programmatico. Proprio perché inizia
con una forte e decisa negazione, vale sicuramente la pena prestarle un po’ di attenzione:
Eu nu strivesc corola de minuni a lumii
și nu ucid
cu mintea tainele, ce le-ntâlnesc
în calea mea
în flori, în ochi, pe buze ori morminte.
Lumina altora
Sugrumă vraja nepătrunsului ascuns
în adâncimi de întuneric,
dar eu,
eu cu lumina mea sporesc a lumii taină –
și-ntocmai cum razele ei albe luna
nu micșorează, ci tremurătoare
mărește și mai tare taina nopții,
așa îmbogățesc și eu întunecata zare
cu largi fiori de sfânt mister
și tot ce-i nențeles
se schimbă-n nențelesuri și mai mai
sub ochii mei –
căci eu iubesc
și flori și ochi și buze și morminte366.
Senza addentrarsi in un’analisi eccessivamente dettagliata della poesia, che è stata
oggetto di studio per i critici degli ultimi cento anni, si osserva innanzitutto come il
componimento sia come suddiviso in due parti: una prima parte (vv. 1-5) nella quale il
poeta nega due volte. In questa prima parte è significativo che la negazione sia riferita
alla 1 persona singolare, è proprio l’io poetico, agente animato e in modo astratto (facendo
Opere, vol. I, p. 2. “Io non schiaccio la corolla di meraviglie del mondo/ e non uccido/ con la mente i
misteri che incontro/ sul mio cammino/ nei fiori, negli occhi, su labbra o su tombe./ La luce degli altri/
annienta l’incanto dell’impenetrabile che s’occulta/ in abissi di tenebra,/ ma io,/ io con la mia luce accresco
il mistero del mondo ˗/ e appunto come con i raggi suoi bianchi la luna/ non scema, ma tremula/ vieppiù
accresce l’arcano della notte,/ così arricchisco anch’io il tenebroso orizzonte/ di larghi brividi di santo
mistero,/ e tutto quel che è non-senso/ si muta in non-sensi ancor più sconfinati/ sotto gli stessi occhi miei
˗/ perché/ e fiori e occhi e labbra e sepolcri/ a me sono cari” (Del Conte, p. 45).
366
pag. 165
riferimento a quanto detto su modo astratto, parabolico e concreto) a negare. Nella
seconda parte, al contrario, sempre l’io poetico propone in maniera affermativa le sue
intenzioni, precedute dall’avversativo ci. Dunque, Blaga, in un paradossale
rovesciamento delle consuetudini logiche e linguistiche, scrive una dichiarazione
d’intenti dapprima negando di avere certe intenzioni e solo in un secondo momento
passando invece a parafrasare le iniziali negazioni ripetendo gli stessi concetti con
valenza affermativa. Di fatto l’intero corpus blaghiano ha inizio da una negazione, il non
aver intenzione di calpestare la corolla delle meraviglie del mondo e di ucciderne con la
propria mente i misteri. La meraviglia a cui allude il poeta è qui evidentemente la
meraviglia in senso filosofico, lo stupore che è “la molla di ogni scoperta” e “commozione
davanti all’irrazionale”367 di cui parlava Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere e che nel
Teeteto368 di Platone è indicata proprio come fonte prima del filosofare. Il Blaga poeta
preannuncia qui il Blaga filosofo in modo manifesto. Ma se, ricordando quanto detto da
Virno, ammettiamo che la negazione ci parla anche (e forse in primo luogo) dell’istanza
che viene negata, e se ammettiamo che nel concetto di negazione così come inteso da
Freud ci sia del vero, allora possiamo vedere come nella determinatezza di questo nu
iniziale così forte si celi la fragilità di un giovane poeta (e filosofo) che, affermando quello
che non ha intenzione di fare, annuncia di fatto la possibilità di fallire nel suo intento.
Blaga è qui un poeta che ha “fiutato una traccia” e, nello sforzo di trattenerla e di non
perderla nel vento, utilizza il pensiero e il logos quali strumenti razionali di questa
impresa. Proprio negando la possibilità di perdere quella traccia il poeta sembra parlare
oltre che al lettore, a sé stesso allo specchio. Si può considerare questa prima negazione
quale la soglia da attraversare per penetrare all’interno dell’universo poetico blaghiano.
Anche Lauda somnului si apre con una negazione (quella della poesia Biografie,
della quale riportiamo qui di seguito i vv 1-3):
Unde și când m-am ivit în lumina nu știu,
din umbră mă ispitesc singur să cred
că lumea e o cântare.
[...]369.
367
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 1997, p. 250.
Platone, Opere complete, vol. II, cit. pp. 81-171.
369
Opere, vol. I. p. 188. “Dove e quando mi sono affacciato alla luce, non so:/ dall’ombra mi induco da
solo a credere/ che il mondo è un canto […]” (Del Conte, p. 123).
368
pag. 166
Anche questa negazione può essere letta come una sorta di soglia da attraversare:
se la negazione di Eu nu strivesc corola de minunii a lumi rappresentava infatti una
negazione legata alla volontà, qui la negazione è legata al “non sapere”, collocandosi
all’interno della dicotomia – tipica della poesia blaghiana – tra luce e ombra, manifesto e
misterioso. Troviamo in questi versi iniziali un tema ricorrente in Blaga e strettamente
collegato al tema della morte: quello della propria nascita. Quella notte di maggio in cui
il poeta vide la luce è spesso evocata, ora con rabbia nei confronti della madre, ora con
stupore e incredulità, ora con angoscia. La mancanza di senso dell’evento, l’angoscia
generata nell’io poetico dal ripensare alla sua venuta al mondo, rappresentano
un’immagine che Blaga esplora in maniera approfondita tanto quanto esplora quella della
morte. A differenza di quanto avviene ad es. in Nebănuitele trepte, dove la seconda poesia
della raccolta porta come titolo proprio la data di nascita del poeta (9 mai 1895), qui Blaga
apre il volume negando di conoscere l’esatto momento della propria nascita, della propria
“venuta alla luce”, in un certo senso negando idealmente quel momento cairotico e
fondamentale della propria esistenza. E questa negazione avviene proprio in Lauda
somnului, raccolta in cui il sonno e la morte vengono cantati con un ritmo lento dalle
composizioni quasi esclusivamente di ambientazione notturna. Nascita e morte,
naturalmente, sono strettamente collegate in ogni cultura: nella nascita è infatti presente
tutta la tragedia della vita e della morte. Alla nascita, nella stanza del parto, partecipa
l’eros (d’altra parte è ora risaputo che lo stesso ormone coinvolto nel piacere sessuale,
l’ossitocina, è responsabile anche delle contrazioni uterine che inducono il parto370) e
soprattutto partecipa il thanatos, l’ombra della morte che ogni partoriente percepisce
vicina, nascosta in un angolo. Il senso della morte acquista una nuova realtà per entrambi
i partecipanti dell’evento. Blaga, interrogandosi con angoscia (l’angoscia in senso
heideggeriano) nel corso di tutta la sua opera su quale sia stato il significato della sua
propria nascita, accusando ora la madre, ora l’ignoto, e infine qui negandola e dunque, se
diamo retta a Virno e Freud, investendola di un significato intenso proprio attraverso la
negazione, ci svela che è proprio la nascita, la genesi, il vero atto di coraggio. La nascita
e non la morte è l’evento che genera l’angoscia. Il sentimento della propria insensata
“gettatezza” nel mondo è la spinta, in Blaga, ad affacciarsi sull’orlo dell’abisso, da cui
Kerstin Uvnäs-Moberg, Ossitocina, l’ormone dell’amore, Torino, Edizioni Il Leone Verde, 2019, pp.
86-87.
370
pag. 167
osservare angosciosamente il tutto e il nulla del mondo, per poi farsi forza e spingersi a
continuare il viaggio, ponendosi altre domande e accrescendo così la “meraviglia del
mondo”. Lo stesso messaggio, ovvero quello di farsi animo per superare l’abisso di
angoscia, riconoscendo la benedizione data dal riuscire a vedere nella sua nudità
“l’orrore” riecheggia anche nell’ultimo verso di Bunavestire pentru floarea marului (nona
poesia della raccolta La curțile dorului), in cui l’io poetico invita il fiore del melo a non
aver paura del frutto, a lasciarsi pervadere dall’angoscia del sublime generata dalla
consapevolezza della nascita˗morte e poi ad accettarlo in quanto nuova potenziale fonte
di meraviglia: “Bucură-te, floarea mărului,/și nu te speria de rod!”371.
La terza negazione “programmatica” è quella che troviamo al v. 6 di Sat natal,
poesia che apre La cumpăna apelor. Pur non trovandosi in apertura di componimento
come le due negazioni precedenti, quella presente in Sat natal – che è anche una
negazione rafforzata! – è particolarmente carica di contenuto semantico: il poeta torna al
paese natale dopo due decenni, ma la sua venuta passa inosservata. Ora, infatti, porta su
di sé un marchio, la febbre dell’eternità, custodisce quel segreto che gli altri non possono
vedere e che lo isola dalla comunità di appartenenza. E nessuno, infatti, tranne il vento e
un pioppo dorato, lo riconosce:
După douăzeci de ani trec iarași,
pe-aceleași uliți
unde-am fost prietenul mic al țărânii din sat.
Port acum în mine febra eternității,
negru prundiș, eser vinovat.
Nimeni nu mă cunoaște. Vântul, el singur,
sau plopul
de aur. Plop înălțat de-un fir nevăzut
asemenea fusului.
Nedumirit turnul se va uita două ore
în urma mea
Până m-oi pierde din nou subt dunga
apusului.
[…]372.
Opere, vol. I, p. 296. “Allegrati, fiore del melo/ e non spaventarti del frutto!” (Del Conte, p. 201).
Opere, vol. I, p. 238. “Dopo vent’anni m’aggiro ancor per le stesse viuzze/ dove bimbo giocai con la
terra amica del borgo./ Porto ora in me la febbre dell’eterno,/ nero pietrisco, credo colpevole e impuro./
Nessuno mi riconosce. Il vento, lui solo, o il pioppo/ che è d’oro. Il pioppo, alto a un invisibile filo, simile
al fuso./ Incredula due volte si volterà a guardarmi la torre,/ fino a quando non mi sarò perduto di nuovo/
dove si chiude il tramonto […]” (Del Conte, p. 151).
371
372
pag. 168
Ecco ancora, dunque, il tema del poeta quale sorta di “profeta” della comunità,
essere umano che, in cambio del grande dono del logos, è costretto a rinunciare ad altri
doni (uno per tutti: la piena appartenenza alla sua comunità) e a esporre su di sé quel
marchio di “eres vinovat” che lo allontana e lo isola. Questo tema comparirà d’ora in poi
spesso nelle poesie postume, come una presa di coscienza acquisita con il tempo, ed è lo
stesso tema che avevamo trovato in Montale, e che qui ci si manifesta anche grazie
all’osservazione della negazione e al suo utilizzo all’interno del corpus. Se in Biografie
era il poeta a negare di sapere, ora nega di essere riconosciuto, ovvero nega di essere
“saputo” dall’Altro. Si tratta sempre di una negazione gnoseologica, ma diventa qui il
converso del non sapere agito dall’io poetico, è piuttosto la negazione del sapere altrui
rispetto a sé.
pag. 169
CAPITOLO 3
LE FUNCTION WORDS: COMPARAZIONE E DEITTICI
1. Panoramica sullo stato dell’arte
Passiamo ora all’osservare l’utilizzo, in Blaga, delle cosiddette function words. Le
function words sono quel gruppo di elementi lessicali che comprende pronomi,
congiunzioni, negazioni, articoli ecc. Secondo Chung e Pennebaker le function words
sono essenzialmente “il cemento che tiene insieme le parole piene”373. Non sempre queste
parole vengono definite come function words: ad es. gli stessi Chung e Pennebaker374 le
definiscono anche junk words, mentre Kestemont375 utilizza il termine functor, preso in
prestito dalla psicolinguistica e che originariamente definisce un morfema grammaticale.
Si tratta di una classe chiusa: al contrario di quanto avviene nel caso di verbi e
sostantivi (definiti content heavy), che possono essere creati ex novo, modificati e possono
cambiare significato nel corso del tempo, la categoria delle function words è molto
limitata. Rappresenta soltanto lo 0,04% del nostro vocabolario376 (dati riferiti alla lingua
inglese, ndA) ed è raro che tale categoria venga modificata o espansa. Le function words
tendono a essere grammaticalizzate e a non possedere un contenuto semantico.
Difficilmente, infatti, possono avere un significato se isolate, a differenza di quelle parole
appartenenti alle classi aperte. Sono tendenzialmente parole corte e pronunciate
velocemente. Il loro utilizzo è associato generalmente a raffinate competenze sociali:
infatti, nonostante costituiscano più della metà delle parole che utilizziamo su base
quotidiana377 sono anche le parole più difficili da imparare a gestire nel processo di
apprendimento di una L2378 e non solo.
373
Cindy Chung, James Pennebaker, The Psychological Functions of Function Words, in K. Fiedler, Social
Communication, New York, Psychology Press, 2007, p. 347.
374
Ibidem, p. 344.
375
Mike Kestemont, Function Words in Authorship Attribution. From Black Magic to Theory, in
“Proceedings of the 3rd Workshop on Computational Linguistics for Literature” (CLfL), Gothenburg,
EACL, 2014, p. 64.
376
Ibid, p. 60.
377
Chung, Pennebaker, The Psychological Functions, cit. p. 347.
378
C. Weber-Fox, H. J. Neville, Sensitive periods differentiate processing of open-and-closed class words:
an ERP study of bilinguals, in “Journal of Speech, Language and Hearing Research”, vol, 4, 2001, pp.
1338-1353.
pag. 170
Sono dunque parole largamente utilizzate, di fatto quelle usate in maniera più
frequente a livello orale e non, eppure, come ben sottolineano Van Petten e Kutas379,
tendono a non essere prese in gran considerazione né dal mittente né dal destinatario del
messaggio. Noi stessi non teniamo in gran conto il nostro proprio utilizzo delle function
words a livello cosciente:
When composing a letter or making a speech, we might think briefly about these words. In daily
conversation, however, we have virtually no control or memory over how and when they are used
either by the speaker or by ourselves 380.
Tale caratteristica intuitiva delle function words è stata anche da tempo
confermata da esperimenti empirici: Schindler381 ha sottoposto alcune persone a un
esperimento che prevedeva di leggere velocemente la frase “finished files are the result
of years of scientific study combined with the experience of many years” contando quante
“f” vi comparissero. Il risultato è che gran parte dei partecipanti non ha contato la “f” di
“of”, confermando che le function words tendono a essere ignorate. Altri esperimenti
hanno dimostrato come per i lettori sia più arduo individuare errori e imprecisioni riferiti
alle function words, mentre non esiste tale difficoltà per le parole content heavy382. In
generale, si può affermate che le function words vengano date per scontate.
Tuttavia, proprio in virtù del fatto che sono utilizzate in maniera poco cosciente e
meditata, lo studio dell’utilizzo delle function words (attraverso strumenti digitali quali
liste di frequenza, collocazioni ecc.) viene oggi largamente impiegato in campi quali la
authorship attribution.
I primi a sottolinearne il potenziale sono stati Mosteller e Wallace che, nel 1964383,
dichiaravano come le parole più frequenti all’interno di una lingua (le function words,
appunto) possano rivelarsi molto utili quali indicatori di stile autoriale.
379
Cyma Van Petten, Marta Kutas, Influences of semantic and syntactic context on open-and-closed class
words, in “Memory and Cognition”, vol. 19, nr. 1, 1991, pp. 95-112.
380
Chung., C., Pennebaker, J., The Psychological Functions, cit. p. 347.
381
Robert Schindler, The effect of prose context on visual search for letters, in “Memory and Cognition”,
vol. 6, 1978, pp. 124-130.
382
Adam Drewnowski, Alice Healy, Detection errors on the and and: Evidence for reading units larger
than the word, in “Memory and Cognition”, vol. 5, 1977, pp. 636-647.
383
Frederick Mosteller, David L. Wallace, Inference and Disputed Authorship: The Federalist. Reading,
Reading, Mass: Addison Wesley, 1964.
pag. 171
Kestemont, in un interessante parallelismo con la pittura, nota come lo studio delle
function words allo scopo di attribuire a un autore specifico un’opera sia paragonabile a
quanto avviene nella storia dell’arte384: nell’Ottocento Giovanni Morelli affermava che al
fine di attribuire un’opera a un maestro non era più il caso di concentrare l’attenzione
sugli elementi principali del dipinto (mantelli, abiti ecc, che possono essere paragonati a
sostantivi e verbi in campo linguistico) ma di soffermarsi invece sui dettagli minori che
tendono a passare inosservati: mani, orecchie, piedi ecc.
Da allora gli strumenti a disposizione degli specialisti nel campo della authorship
attribution si sono raffinati, grazie anche all’avvento e al costante progresso della
tecnologia digitale. Hoover385 sottolinea come, in tale campo, l’utilizzo di liste di
frequenza di singole parole e function words si sia di fatto rivelato più efficace rispetto a
quello delle collocazioni di parole adiacenti e parla della “surprising resilience of
frequently-occurring words”386.
Secondo Argamon e Levitan
Due to their high frequency in the language and highly grammaticalized roles, function words are
very unlikely to be subject to conscious control by the author. At the same time, the frequencies
of different function words vary greatly across different authors and genres of text ˗ hence the
expectation that modeling the interdependence of different function words frequencies with style
will result in effective attribution387.
Tale assunto può essere considerato riduzionistico proprio in virtù del fatto che le
function words non sono controllate in maniera cosciente dal discente/autore e che il loro
studio può essere considerato inaffidabile soprattutto in mancanza di una vera e propria
metodologia scientifica. Dello stesso parere è anche Kestemont, che sottolinea come nel
campo della authorship attribution manchi ancora una determinazione definitiva del
metodo scientifico utilizzato:
While there have been significative advances recently, it has been noted that the field is not
particularly good at the explication of methods, let alone at developing a generally accepted
384
Kestemont, Function Words, cit. p. 61.
D. L. Hoover, Frequent collocations and authorial style, in “Literary and Linguistic Computing”, 2004,
pp. 261-280.
386
Shlomo Argamon, Shlomo Levitan, Measuring the usefulness of function words for authorship
attribution, Proceedings of ACH/ALLC Conference, 2005, p 1.
387
Ibidem, p. 1.
385
pag. 172
theoretical framework […] Thus, many methods and procedures continue to function as a black
box, a situation which might eventually compromise the acceptance of experimental results 388.
E ancora “few studies explicitly address the methodological implications of using
this word category”389. Sempre secondo Kestemont, infatti, nel campo della authorship
attribution l’intuizione del singolo studioso ha prevalso sull’uso rigoroso del metodo
scientifico.
Lo studio dell’utilizzo delle function words negli ultimi anni è stato preso in
considerazione anche dalla psicologia sociale. Chung e Pennebaker sottolineano infatti
l’importanza del ri-prendere in considerazione il valore dello studio del linguaggio, che,
in tale campo, è utilizzato soprattutto per la comunicazione interculturale390 e
l’attribuzione sociale391. A tale scopo è ormai universalmente riconosciuto come, al fine
di ottenere dati genuini, non sia il caso di porre domande esplicite ai parlanti quanto
piuttosto di osservare il loro utilizzo del linguaggio in contesti spontanei.
Secondo Chung e Pennebaker le modalità di utilizzo di quelle che loro definiscono
junk words “can provide powerful insight into the human psyche”392, in quanto tali junk
words, pur essendo tendenzialmente trascurate dai discenti “[…] have a powerful impact
on the listener/reader and, at the same time, reflect a great deal about the
speaker/writer”393, e ancora “the way people use function words reflects their linguistic
style”394. I due autori passano poi a elencare alcuni studi sul possibile collegamento tra
attività biologica e utilizzo delle function words. Scherwitz, Berton e Levanthal395 hanno
notato come gli intervistati che soffrivano di pressione alta tendevano a un utilizzo
maggiore del pronome personale “I”. Pennebaker, Groom, Loew e Dabbs396 rilevano
388
Kestemont, Function words, cit. p. 59.
Ibidem, p. 59.
390
Christopher Hajek, Howard Giles, New directions in intercultural communication competence, in J. O.
Greene, B. R. Burleson, Handbook of communication and social interaction skills, NJ, Mahwah, 2003,
pp.935-957.
391
K. Fiedler, G. R. Semin, Attribution and language as a socio-cognitive environment, in K. Fiedler, G.
R. Semin, Language, interaction and social cognition, Thousand Oaks, CA, Sage Publications, 1992, pp.
58-78.
392
Chung, Pennebaker, The Psychological Function, cit. p. 344.
393
Ibidem, p. 344.
394
Ibid., p. 347.
395
L. Scherwitz, K. Berton, H. Leventhal, Type A: behavior, self-involvement and cardiovascular response,
in “Psychosomatic Medicine”, 1983, 40, pp. 593-609.
396
J. W. Pennebaker, C. J. Groom, D. Loew, J. M. Dabbs, Testosterone as a social inhibitor: Two case
studies of the effect of testosterone treatment on language, in “Journal of Abnormal Psychology”, 113,
2004, pp. 172-175.
389
pag. 173
invece un maggiore utilizzo del pronome “I” tra gli intervistati (biologicamente maschi e
femmine) che facevano utilizzo per varie ragioni di iniezioni di testosterone. Al calare dei
livelli di testosterone nel sangue calava anche la frequenza di utilizzo della prima persona
singolare in favore di altri pronomi personali. Weintraub397 nota invece come l’utilizzo
della prima persona singolare sia associato a stati mentali negativi, e l’analisi della poesia
di autori morti suicidi (confrontata all’analisi dell’opera di autori non suicidi) ha rivelato
un utilizzo maggiore della prima persona singolare398.
Secondo gli studiosi ci sono differenze di utilizzo delle function words legate al
sesso399 e all’età400:
[…] people use fewer first person singular words and greater first personal plural words with age.
This, along with the greater use of exclusive words, suggests that as people age they make more
distinctions and psychologically distance themselves from their topics. In other words, older
people speak with greater cognitive complexity”401.
Questa panoramica sullo studio dell’utilizzo delle function words fa riferimento a
campi di ricerca che esulano dagli obiettivi del presente lavoro, ha come riferimento la
lingua inglese, e in alcuni casi la lingua parlata che, per ovvi motivi, viene interpretata
secondo griglie completamente diverse da quelle applicate all’analisi di opere poetiche.
Si ritiene tuttavia interessante osservare le applicazioni pratiche di tali studi e i
relativi risultati, in quanto è possibile dedurre che le function words possano di fatto
rappresentare un elemento fino ad ora piuttosto trascurato, ma di fatto rilevante,
nell’osservazione dei significati impliciti del linguaggio utilizzato da diversi autori e da
Lucian Blaga in particolare. Il nostro interesse è rivolto all’aspetto diacronico e a come il
linguaggio poetico sia evoluto con lo scorrere del tempo e del susseguirsi di eventi storici
e personali che hanno senz’altro avuto un impatto sullo stile poetico dell’autore.
397
W. Weintraub, Verbal behavior in everyday life, New York, Springer Publishing Company, 1989.
S. W. Stirman, J. W. Pennebaker, Word use in the poetry of suicidal and non-suicidal poets, in
“Psychosomatic Medicine”, 63, 2001, pp. 517-522.
399
M. L. Newman, J. W. Pennebaker, D. S. Barry, J. M. Richards, Lying words: Predicting deception from
linguistic styles, in “Personality and Social Psychology Bullettin”, 2003, vol. 29, nr. 5, pp. 665-675.
400
J. W. Pennebaker, L. D. Stone, Words of wisdom: Language use over the life span, in “Journal of
Personality and Social Psychology”, 85, 2003, pp. 291-301.
401
Chung, Pennebaker, The Psychological Functions, cit. p. 354.
398
pag. 174
2. La comparazione
È nell’armonia tra le diversità che il mondo si regge,
si riproduce, sta in tensione, vive.402.
Individuato nelle function words un elemento di specifico interesse per la presente
analisi, e allo scopo di proporre un diverso approccio rispetto ai precedenti critici
dell’opera blaghiana che avevano scelto (per naturale affinità con le metodologie offerte
dal close reading) principalmente di affrontare lo studio e l’analisi su parti del discorso
quali il verbo, l’aggettivo e il sostantivo, si è deciso di utilizzare lo strumento – offerto da
Sketch Engine – degli n-grams403 allo scopo di osservare il comportamento di particelle
linguistiche alle quali è normalmente dedicata minore attenzione, soprattutto nell’ambito
della critica letteraria.
I possibili filoni d’indagine aperti da questo strumento sono molteplici.
L’attenzione si è rivolta alla particella ca (come), presente con elevate frequenze in
diversi abbinamenti all’interno dell’intero corpus poetico blaghiano. Lo scopo di tale
ricerca era quello di individuare, nell’ottica della visione metaforica della poesia, l’uso
retorico della comparazione quale strumento linguistico retorico.
La poesia di Lucian Blaga, infatti, è generalmente considerata dalla critica come
molto metaforica, considerazione che non stupisce se si considera che Blaga stesso
considerava la metafora prerogativa essenziale dell’essere umano:
[La metafora] ha sicuramente a che fare con l’ordine strutturale dello spirito umano, e la sua
descrizione, analisi e spiegazione costituiscono tutte insieme un intero capitolo di antropologia…
La modalità metaforica è nata insieme all’essere umano, non è apparsa nel corso dell’evoluzione
o della storia umana”404.
402
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, Milano, Tea, 2004, p. 392.
Dal sito di Sketch Engine: “The n-gram tool produces frequency lists of sequences of tokens. N-grams
are also called multi-word expressions or MWEs. N-grams can be generated on any attribute with word and
lemma being the most frequent used ones”. Gli n-grams, dunque, sono dei token che compaiono
frequentemente accoppiati all’interno del corpus di riferimento. La soglia di rilevanza per cui una
combinazione di token viene rilevata dal software può essere impostata dall’utente. In questo caso tale
soglia era impostata a un minimo di dieci occorrenze.
404
L. Blaga, Geneza metaforei, in Trilogia Culturii, București, Humanitas, 2011, p. 357. “[metafora] ține
definitiv de ordinea structurală a spiritului uman, iar descrierea, analiza și explicarea ei fac împreauna un
capitol de antropologie… Modul metaforic s-a iscat odată cu omul, n-a apărut în cursul evoluției sau al
istoriei umane”.
403
pag. 175
Proprio a partire da questo assunto blaghiano, si è osservato a livello testuale il
comportamento linguistico del marcatore ca per poi procedere a un’analisi critica sul
significato che tale strumento retorico può assumere a livello semantico.
A partire dalla definizione di Georgeta Corniță, secondo la quale
La comparazione è una figura semantica la cui costruzione si basa sul rapporto di somiglianza tra
due oggetti, dei quali uno serve a evocare l’altro. Dal punto di vista strutturale, la comparazione è
composta di comparato, comparante e della particolarità che le accomuna, e utilizza come
correlativi gli avverbi: come, allo stesso modo, così come, come, allo stesso modo ecc 405.
è stata in questa sede elaborata dunque la dicitura di “comparazione deittica” per
tutte quelle comparazioni costruite con l’utilizzo di ca.
Fig. 1
In fig. 1 vediamo che impostando la ricerca per lemmi e limitando a due gli elementi
massimi di associazione tra token, si scopre che al secondo posto per frequenza nel corpus
405
G. Corniță, 1995, Manual de stilistică, cit. pp. 168-169. “Comparația este figura semantică a carei
construcție se bazează pe raportul de asemănare dintre două obiecte, din care unul servește să-l evoce pe
celălalt. Structural, comparația se compune din comparat, comparant și însușirea care-i aproape, având
drept corelative adverbele: ca, astfel, asemenea, așa cum, precum, tot așa etc”.
pag. 176
completo delle poesie di Lucian Blaga406 troviamo ca+articolo indeterminativo utilizzato
con funzione comparativa407, con 104 occorrenze totali.
Fig. 2
In fig. 2 vediamo che la particella ca ricompare anche in 48esima e 49esima posizione
con funzioni diverse: nel primo caso, infatti, è associata alla particella să, utilizzata in
romeno come marca del congiuntivo. In questo caso non ha finalità comparative e serve
invece alla costruzione di proposizioni circostanziali di scopo (come nel caso delle frasi
Ca să l-aud mai bine mi-am lipit de glii urechea408 e De mână-aș prinde timpul ca să-i
pipăi pulsul rar de clipe409); nel secondo caso, invece, la particella ca è associata alla
preposizione de, ed è dunque utilizzata con funzione comparativa, implementando
ulteriormente di altre 27 occorrenze il numero totale dei ca con tale funzione.
406
In prima posizione troviamo sine avea, che raggruppa le occorrenze in forma riflessiva del verbo avere
alla terza persona singolare e plurale (ad esempio s-a pierdut; s-ar juca; s-au obosit), mentre in terza
posizione troviamo avea fi, che raggruppa le forme analitiche del verbo a fi (ar fi voit; ce-au fost; de n-ai
fi).
407
Avendo impostato la ricerca per lemmi, in questo caso sotto la voce ca un sono raggruppate anche le
occorrenze di ca seguite da articoli indeterminativi al femminile.
408
Opere, vol. I. p. 8. “Per meglio udire ho incollato/ contro le zolle l’orecchio […]” (Del Conte, p. 49).
409
Opere, vol. I, p. 90. “Vorrei prendere il tempo per mano e tastarne/ il polso avaro di battiti […]” (Del
Conte, p. 79).
pag. 177
Fig. 3
Infine, come vediamo in fig. 3, con solo 10 occorrenze ognuno, troviamo in posizione
avanzata (260ª, 261ª e 262ª) altri 3 n-grams formati da ca+și, ca+pe e ca+din, che vanno
ad implementare di ulteriori 30 occorrenze il numero dei casi di particella ca utilizzata
come comparazione. Otteniamo dunque un totale di 161 comparazioni costruite con il
marcatore ca e individuate dallo strumento degli n-grams, delle quali 81 nel corpus
antumo e 79 nel corpus postumo.
Risulta evidente che la comparazione tramite la particella ca associata ad articoli,
preposizioni e congiunzioni sia una delle strutture tipiche più frequenti all’interno del
corpus. In particolare, è da rilevare che il pattern linguistico di maggior utilizzo di ca è
quello che vede tale particella associata all’articolo indeterminativo sia maschile che
femminile.
Fig. 4
In fig. 4 vediamo qualche esempio di concordanze di ca unito all’articolo indeterminativo.
pag. 178
3. Perché la comparazione?
Nel suo saggio Il potere della comparazione, la studiosa Eleonora De Conciliis
illustra come l’attività comparativa sia una caratteristica ascrivibile esclusivamente
all’essere umano, una sua attività fondante e distintiva che non si interrompe mai,
contribuendo attivamente alla creazione di quella significazione che l’essere umano dà
alla sua propria esistenza all’interno del mondo:
L’operazione che eseguiamo è sempre la stessa, incessantemente e senz’averla mai coscientemente
decisa: confrontiamo e valutiamo persone, cose o idee, in silenzio o ad alta voce, in forma attiva o
riflessiva [...]. Possiamo anche non fare nulla, ma comunque il confronto continua, senza sosta,
nel tempo e nello spazio, al di qua e al di là del linguaggio con cui lo articoliamo a noi stessi e agli
altri [...]. Tutta la nostra esistenza reale e immaginaria è intessuta di confronti più o meno rapidi,
piacevoli o dolorosi, squallidi o esaltanti, con individui per noi più o meno significativi, a noi più
o meno superiori o inferiori, raramente o problematicamente uguali410.
E ancora, “la comparazione è ciò che innesca, genera e complica all’infinito la socialità
umana. Sottrarsi alla comparazione è impossibile”411. Secondo De Conciliis, dunque,
l’attività costante di sottofondo dell’intera esistenza umana è quella del comparare.
Attraverso la comparazione, infatti, emergono le caratteristiche individuali e non.
Attraverso il comparare persone, situazioni e sensazioni, siamo in grado di tessere una
rete di significati che ci consente di muoverci all’interno dell’esistenza, interpretando la
vita e noi stessi attraverso ciò che abbiamo avuto modo di conoscere in una lunga catena
a ritroso di confronti. La nostra intera conoscenza, il nostro intero universo dialogico e
significante è, di fatto, secondo De Conciliis, tessuto, maglia dopo maglia, comparazione
dopo comparazione, confrontando tutto quello che giunge ai nostri sensi. La studiosa
parla di “struttura comparativa del nostro pensiero”412 e spiega:
Selezionando gli stimoli provenienti dall’esterno, il nostro cervello funziona e si potenzia proprio
grazie alla comparazione astrattiva: giunge a confrontare grandezze, forme e concetti perché
percepisce prima oscuramente, poi con sempre maggiore precisione, somiglianze e differenze;
ritaglia e combina parti del percetto in base alla loro omogeneità o viceversa alla loro eterogeneità,
produce artificialmente nuove differenze e nuove somiglianze, elaborando precedenti percezioni
semplici413.
410
Eleonora De Conciliis, Il potere della comparazione. Un gioco sociologico, Milano, Ed. Mimesis, 2012,
pp. 9-10.
411
Ibidem, p. 10.
412
Ibid., p. 11.
413
Ibid., p. 11.
pag. 179
Si parla, dunque, di un’arte del confronto tipica del funzionamento del pensiero
umano: “l’uomo è un animale che confronta”414 scrive ancora De Conciliis. E così come
Paolo Virno, nel suo Saggio, rifletteva su come la negazione sia un’operazione
intellettuale specificamente umana, che rende l’essere umano quello che è, così De
Conciliis considera l’attività comparativa il fulcro del pensiero umano: “è questo
atteggiamento a renderlo [l’essere umano, ndA] pensante oltre che senziente, dunque
umano: il processo di ominazione non è (non è mai stato altro) che un processo di
comparazione, un differenziarsi-assomigliarsi sulla scena protosociale della pluralità”415.
Si scopre, così, che a livello strutturale negazione e comparazione sono operazioni
affini: entrambe, infatti, servono a marcare una differenza, a mettere in luce uno specifico
aspetto, lasciando il resto nell’ombra. Negando e comparando, costruendo una narrazione
fatta di confronti e negazioni, l’essere umano si attribuisce una specificità, delle
caratteristiche sue proprie, costruisce scale di valori in opposizione a quanto non ritiene
adeguato al proprio essere, fa di sé un individuo. Aggiunge poi De Conciliis che, di fatto,
questa attività di metretica (ovvero secondo Platone416 l’arte del misurare) “è
intrinsecamente metaforica, simbolica, connotativa, mai letterale o denotativa, perché non
quantificabile”417. Ecco dunque che nella vita quotidiana, gli esseri umani costruiscono
continuamente narrazioni costituite da metafore, simboli, narrazioni soggettive:
esattamente ciò che fa il poeta, il quale, in questo senso, si fa ancora una volta portatore
di significati. Egli diventa l’essere umano che assume su di sé il compito di dipanare il
pensum, che in latino rappresentava il quantitativo di lana grezza da filare. Come la
filatrice, questi si fa carico di filare questa massa aggrovigliata che è il caos universale,
e, filandolo, attribuisce un senso, un ordine, una misura, un’interpretazione alle grandi
questioni che affollano la mente umana, offrendo ai suoi simili una chiave di lettura del
sé, dell’altro da sé e delle relazioni tra i due. Da un punto di vista linguistico-retorico la
particella ca assume dunque una grande importanza in quanto spia e indice di un
meccanismo di costruzione del pensiero e del discorso del poeta con sé e con l’altro.
414
Ibid., p. 18.
Ibid., p. 19.
416
Ibid., p. 42.
417
Ibid., p. 23.
415
pag. 180
Tale operazione di “filatura”, ovvero di significazione (interpretazione) non è
scevra di difficoltà, ed è proprio tramite una comparazione che Blaga lo esplicita nel
celeberrimo verso della poesia Autoportret “Lucian Blaga è muto come un cigno”418, e
continua, nello stesso testo:
[...]
Sufletul lui e în căutare,
în mută, seculară căutare,
de totdeaună,
și până la cele din urmă hotare.
El căuta apa din care bea curcubeul.
El căuta apa din care curcubeul
Își bea frumsețea și neființa419.
Le sue parole non sono le parole quotidiane, vanno al di là del mondo fenomenico
e si fanno inudibili come quelle del cigno, che però ricerca costantemente, dall’inizio alla
fine dei tempi, la «fonte dell’arcobaleno», il senso del tutto. Il poeta, dunque, è colui che,
per eccellenza, interpreta, produce senso attraverso la comparazione, e tramite questo
costante e perpetuo esercizio tesse la rete interpretativa da offrire ai suoi pari.
L’operazione del comparare, inoltre, presuppone anche un notevole sforzo emotivo.
Sempre secondo De Conciliis, infatti:
[…] pur essendo il più razionale, l’uomo è allo stesso tempo il più emotivo tra i primati: nessuno
di noi può rapportarsi all’altro senza compararsi sentimentalmente a lui e percepire, ‘misurare’ una
qualche differenza. Sulla scena sociale, in cui ognuno riveste un ruolo specifico o indossa una
differenza artificiale come identità riconoscibile e riconosciuta, questa viene misurata e agita
sempre già a partire da terzi, ovvero percepita all’interno di una pluralità – in un sistema di
personaggi420.
In quest’ottica, il poeta, facendosi carico di dipanare il pensum da offrire poi al
resto dell’umanità, affronta certamente un carico emotivo di intensità aumentata. In
questo senso, dunque, sempre seguendo il fil rouge delineato dall’analisi di De Conciliis,
egli, esercitando un suo potere specifico che lo pone su un piano diverso rispetto a quello
della piccola vita quotidiana, è in un certo senso assimilabile alle figure che la studiosa
individua nel mago e nel sacerdote.
Lucian Blaga e mut ca o lebădă.
Opere, vol. I., p. 338. “[…] La sua anima è in ricerca/ da sempre,/ e fino ai confini supremi./ Cerca egli
l’acqua a cui beve l’arcobaleno./ Cerca egli l’acqua,/ da cui l’arcobaleno/ attinge la bellezza e il non essere”
(Del Conte, p. 221).
420
De Conciliis, Il potere della comparazione, cit. p. 61.
418
419
pag. 181
De Conciliis scrive infatti che:
La magia e la religione aiutano l’uomo a governare il confronto con la differenza reale per
eccellenza, quella tra vivo e morto. In tal senso va evidenziato il carattere doppiamente
comparativo dei riti magici e di quelli religiosi: da un lato, essi distinguono chi li compie dai
profani, identificando la categoria dei maghi e dei sacerdoti come diversa e superiore: dall’altro
collegano e nello stesso tempo separano - cioè confrontano, mettono in comunicazione, scambiano
– il mondo dei vivi e quello dei morti.421
Tale assunto può in questa sede essere applicato anche alla poesia, terreno sospeso
a metà fra due mondi, orizzonte all’interno del quale il poeta si fa interprete di istanze
superiori e le traduce attraverso il suo linguaggio «di cigno» per gli altri. Anche lo
studioso Corin Braga, nella sua opera Lucian Blaga. Geneza lumilor imaginare afferma
che “l’intera creazione di Blaga è, in un modo o nell’altro, una modalità di riconnessione
al fondo magico”422 e lo stesso Blaga, nel suo saggio Despre gândirea magică, afferma
“nell’idea del magico prende consistenza, come in una sua lucida appendice, il mistero in
sé medesimo”423. La magia, dunque, e per associazione la poesia, sono le modalità
attraverso le quali il poeta/mago/sacerdote accede a quel mistero che è il nucleo fondante
dell’intera esistenza per offrirne ai propri simili una chiave interpretativa. La forza della
poesia è rappresentata dalla forza universale della parola. Nell’opera poetica di Lucian
Blaga la forza della parola intesa come parola-creatrice compare in svariati testi, e Blaga
stesso lascia molto spazio al concetto di parola creatrice all’interno delle proprie opere
filosofiche. Leggiamo in Trilogia valorilor: “[…]ma il verbo iniziale «sia la luce» e il
potere attribuito alla parola, grazie alla quale fu creato il mondo, sono elementi
magici”424. Fra i molti esempi di questo concetto trasposti all’interno dei testi poetici che
si potrebbero citare, iconico è quello della poesia Pan, nella quale il risveglio al mondo
del dio Pan, prima addormentato, si compie di fatto nel momento stesso in cui egli attua
l’articolazione del pensiero in parole attraverso una domanda (Să fie primăvară?425),
421
Ibidem, pp. 99-100.
Braga, Lucian Blaga. Geneza lumilor imaginare, cit.p. 128. “întreaga creație a lui Blaga este, într-o
formă sau alta, o modalitate de reconectare la fondul magic”.
423
L. Blaga, Despre gândirea magică, in Trilogia Valorilor, București, Humanitas, 2015, p. 141. “în ideea
magicului prinde consistență, ca într-un apendice lucid al său, însuși misterul ca atare”.
424
Ibidem, p. 142. “[…] dar porunca inițială: «să se facă lumină», și puterea atribuita cuvântului, datorită
căruia lumina s-a făcut, sunt elemente magice”.
425
Opere, vol. I, p. 78. “Primavera, forse?” (Del Conte, p. 75).
422
pag. 182
simbolo anche di un atteggiamento di meraviglia e costante ricerca nei confronti del
mondo. Continua De Conciliis:
Il potere comparativo si concentra […] in grado eminente nella parola; è in essa, concepita come
discorso condensato e quindi come sorgente di senso sociale, che si manifesta il kudos, la forza
soprannaturale. In quanto performativo, il potere della parola consiste più nella forza di far esistere
davanti agli altri (e fintanto che questi ci credono), che non nel potere di farli crescere426.
E ancora, nel passaggio che segue, De Conciliis conferma l’ipotesi che avevamo ormai
delineato e che vede nel poeta la figura sacra alla quale è affidato il compito di creare la
realtà attraverso l’utilizzo del potere del linguaggio:
Soltanto la letteratura può fare più del potere in termini di equivalenza tra immortalità e memoria:
lo scrittore possiede la capacità comparativa per eccellenza, che è quella di osservare i corpi vivi
e di trasformarsi in essi; se il segreto della sopravvivenza sta nel confronto, egli è il custode delle
metamorfosi427.
Ecco dunque che, alla luce della bella interpretazione offerta da De Conciliis, la forza
della comparazione acquista un significato di particolare importanza in riferimento alla
nostra analisi e soprattutto in relazione alla figura del poeta in quanto poeta.
4. La comparazione nella poesia di Lucian Blaga
Il passo successivo, nell’ottica di concentrare i nostri sforzi sulla comparazione, è
stato quello di tornare allo strumento delle Wordlist allo scopo di ricercare le restanti
occorrenze di ca, quelle evidentemente non rilevate dagli n-grams in quanto non
sistematicamente associate a specifici token.
Interrogando le Wordlist, quindi, otteniamo un totale di 413 ca, suddivisi in 218 nelle
poesie antume e 195 nelle poesie postume. Da tali cifre vanno però espunti manualmente
tutti quei casi in cui il ca serve da congiunzione che introduce una proposizione finale:
otteniamo così 374 occorrenze in tutto il corpus (comprese anche le 161 combinazioni di
token specifiche rilevate dagli n-grams), delle quali 195 nel corpus delle antume e 179 in
quello delle postume.
426
427
De Conciliis, Il potere, cit. p. 139.
Ibidem, p. 194.
pag. 183
4.1. Misura
Come già nei precedenti capitoli, si sono trasformati i dati in percentuali e grafici
confrontabili.
Fig. 5
0,48
0,53
0,58
Comparazioni sul numero di poesie totali
OC
ANTUME
POSTUME
In fig. 5 osserviamo la percentuale di poesie nelle quali compare almeno una volta la
comparazione deittica.
Fig. 6
0,46
0,6
0,53
0,59
LS
PP
LCA
LCD
0,33
0,42
ÎMT
0,61
0,55
PL
0,56
0,5
0,84
Comparazioni sul numero di poesie
NT
P40
P4050
P5060
PSD
In fig. 6 osserviamo in quale percentuale di poesie (divise per volumi) la comparazione
deittica compare almeno una volta, con linea di tendenza.
pag. 184
Fig. 7
Differenza tra media del 53% e singoli corpora
40
30
20
10
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
PSD
-10
-20
-30
In fig. 7 possiamo osservare lo scarto tra la percentuale media di poesie in cui compare
almeno una comparazione deittica (53%) e la stessa percentuale divisa per volumi.
Prendendo poi in considerazione il numero dei token totali presenti nel corpus, si sono
calcolate le percentuali di utilizzo della comparazione deittica:
Fig. 8
0,0084
0,0087
0,009
Occorrenze comparazione su occorrenze
totali
OC
ANTUME
POSTUME
In fig. 8 osserviamo la percentuale di occorrenza della comparazione deittica sul numero
totale di token.
pag. 185
Fig. 9
NT
P40
P4050
0,008
LCD
0,0098
LCA
0,008
LS
0,0081
0,0092
ÎMT
0,0087
0,01
PP
0,0071
0,0098
PL
0,0086
0,0097
Occorrenze comparazione su occorrenze
totali
P5060
PSD
La fig. 9 rappresenta la frequenza relativa del ca con valore comparativo sul numero totale
di token e divisa per volumi, con linea di tendenza.
Fig. 10
Differenza tra media dello 0,87% e singoli corpora
0,15
0,1
0,05
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
PSD
-0,05
-0,1
-0,15
-0,2
In fig. 10 vediamo lo scarto tra la percentuale di comparazioni iconiche sul numero di
token totali e divisa per volumi.
pag. 186
4.2. Interpretazione
Come si evince da entrambi i grafici e quindi da entrambi gli approcci analitici, la
comparazione deittica tende ad avere un andamento relativamente costante in senso
diacronico all’interno dei corpora antumo e postumo delle poesie di Lucian Blaga, fatto
evidente se si pensa che già la poesia è per sua natura una forma d’arte particolarmente
incline all’utilizzo di figure retoriche che implichino paragoni di diverso tipo, quali
proprio la comparazione così come descritta da Corniță, la metafora ecc, e ancora di più
se si tiene presente l’essenza specificamente visiva e pittorica – o forse, addirittura,
fotografica – della poesia di Blaga.
Pur tenuto conto di queste premesse risulta evidente come le comparazioni
iconiche siano presenti maggiormente nel corpus antumo, nel quale il ca comparativo è
presente nel 58% delle poesie totali (fig. 8) e rappresenta lo 0,90% dei token totali (fig.
5). Nel corpus di poesie postume, invece, la comparazione deittica compare nel 48% (fig.
8) delle poesie e rappresenta lo 0,84% dei token totali (fig. 5).
Osservando i singoli sottocorpora si riscontrano andamenti simili in certi casi, come ad
es. in Pașii profetului, che regista un picco dell’84% di poesie all’interno delle quali
compare almeno una volta la comparazione deittica, e nel quale ca rappresenta lo 0,98%
dei token totali, dimostrando che non solo in questo sottocorpora la comparazione deittica
è largamente diffusa in senso “orizzontale” nella maggior parte delle poesie, ma che essa
è ben rappresentata anche “verticalmente” con diverse occorrenze all’interno di molti dei
testi. Tali risultati sono certamente giustificabili anche pensando alla natura parabolica di
questa specifica raccolta poetica.
L’andamento, però, non collima ad es. in Poemele luminii, nel quale ca rappresenta lo
0,97% dei token totali ma compare “solo” nel 50% delle poesie. Così accade anche in La
cumpăna apelor, in cui ca rappresenta l’1% dei token totali ma compare nel 61% delle
poesie. In queste raccolte, dunque, la comparazione deittica è maggiormente diffusa a
livello “verticale”, ovvero ci sono testi nei quali il ca compare più di una volta.
I sottocorpora nei quali la comparazione deittica compare meno sono Lauda somnului, in
cui ca compare nel 55% delle poesie e rappresenta lo 0,71% dei token totali e le postume
degli anni ‘50 e ‘60, nelle quali il ca rappresenta lo 0,80% dei token totali e compare nel
46% delle poesie.
pag. 187
Osservando i grafici, è evidente anche a livello visivo come in entrambi i casi i picchi di
maggiore utilizzo di ca corrispondano a Pașii profetului, La cumpăna apelor, Nebănuitele
trepte e infine alle postume degli anni ‘40 e ‘50. A livello di considerazioni generali, sulla
base di questi dati possiamo concludere che la modalità comparativa deittica è uno degli
strumenti privilegiati da Blaga durante l’intero corso della sua opera. Si nota, tuttavia,
una preferenza per il ca con valore comparativo in particolare nel corpus antumo.
5. La comparazione senza ca
Nella prospettiva di un’analisi critica di più ampio respiro sull’utilizzo della
comparazione nella poesia di Lucian Blaga non ci si è limitati a osservare le occorrenze
di ca. Naturalmente il ca iconico non è l’unica modalità con cui Blaga interpreta il mondo
attraverso la comparazione, e grazie all’utilizzo delle Wordlist l’intero corpus è stato
interrogato allo scopo di identificare diverse modalità comparative. Sono state ricercate
ed esaminate manualmente (unendo alle metodologie del distant reading quelle del close
reading) tutte le occorrenze di cum, fel,(inclusi i composti come astflel) și, așa, decât, ecc
per poi sconfinare pienamente nei metodi del close reading, in quanto si sono ricercate
all’interno dei singoli testi del corpus tutte quelle comparazioni che per sua natura il
software, essendo uno strumento di ricerca di combinazioni sintattiche e non di ricerca
semantica, non avrebbe avuto modo di individuare. Si sono dunque contate diverse
occorrenze di metafore costruite con l’ausilio di strumenti linguistici diversi da ca e intese
secondo la definizione che ne dà Corniță: “[la metafora] è una comparazione sottintesa,
alla quale manca il primo termine […]. Dunque, è il prodotto di una sostituzione ottenuta
attraverso la designazione di un oggetto con un termine diverso da quello che gli è proprio
[…] L’essenza della metafora consiste in un’analogia e in un trasferimento semantico”428.
Vediamo un esempio di comparazione non deittica nella poesia Cresc amintirile:
Într-un amurg, sunt ani de-atunci,
mi-am zgâriat
stăruitor
în scoarța unui arbor – numele –
Corniță, Manual, cit. p. 169. “[metafora] este o comparație subînțeleasă, din care lipsește primul termen
[…]. Ea este deci produsul unei substituiri prin desemnarea unui obiect prin alt termen decât acela care îi
este propriu […]. Esența metaforei constă în analogie și transfer semantic”.
428
pag. 188
cu slove mici, stângace și subțiri.
Azi am văzut din întămplare
cum slovele-au crescut din cale-afară –
uriașe.
Așa îți tai și tu copilo numele
în inima-mi supusă
mărunt, mărunt, ca un ștrengar.
Și după ani
și ani de zile-l vei găsi
cu slove-adânci și uriașe429.
L’intero corpus è disseminato di comparazioni costruite attraverso narrazioni e
omissioni e che non possono essere individuate attraverso l’ausilio degli strumenti
digitali, in quanto si è passati dalla precedente ricerca di tipo sintattico a una di stampo
semantico. In questo modo, dunque, si ottengono un totale di 231 comparazioni nel corpus
di poesie antume e di 219 comparazioni nel corpus di poesie postume, arrivando a un
totale di 450 comparazioni, sommando quelle con ca e quelle senza ca.
5.1. Misura
Una volta individuate anche le comparazioni non sintatticamente marcate e quelle
non costruite con le tipiche strutture linguistiche è stato ricostruito il primo tipo di
conteggio, ovvero quello che tiene conto del numero di poesie, sul totale, nel quale
compare almeno una comparazione. Tenuto conto che si è implementato il numero delle
comparazioni aggiungendo anche quelle costruite senza elementi linguistici specifici e
individuabili, risulta infatti impossibile rapportare il nuovo numero di comparazioni a
quello dei token.
Fig. 11
0,59
0,61
Comparazione sul numero di poesie totali
0,57
429
Opere, vol. I, p. 40. “ Or son molti anni, scalfii, in un tramonto,/ con insistenza,/ sulla scorza d’un albero,
il mio nome/ a minute lettere ed incerte./ Ed ecco che per caso oggi ho veduto/ che enormemente esse sono
cresciute./ Così, bambina, tu incidi il tuo nome/ sul mio cuore domato,/ come un monello, a lettere minute./
E tra molti anni,/ tu lo ritroverai/ a gigantesche lettere e profonde” (Baffi, p. 77).
OC
ANTUME
pag. 189
POSTUME
In fig. 11 vediamo in quale percentuale di poesie compare almeno una comparazione.
Fig. 12
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
LCD
NT
P40
0,47
0,57
0,62
0,53
0,5
0,59
0,61
0,55
0,59
0,61
0,84
Comparazioni sul numero di poesie totali
P4050
P5060
PSD
In fig. 12 vediamo in quale percentuale di poesie per ogni volume compare almeno una
comparazione, con linea di tendenza.
pag. 190
Fig. 13
LCA
LCD
NT
P40
P4050
P5060
PSD
-0,12
LS
-0,02
ÎMT
-0,09
PP
-0,04
PL
-0,06
0
0
0,02
0,02
0,03
0,25
differenza tra media del 59% e singoli
sottocorpora
In fig. 13 è rappresentato lo scarto tra la media di poesie nelle quali compare almeno una
comparazione (59%) e la percentuale per ogni volume.
5.2. Interpretazione
Dal primo grafico in fig. 11 notiamo come, rispetto al grafico precedente ˗ che
teneva conto solo delle occorrenze di ca ˗ la percentuale generale di poesie che
contengono almeno una comparazione sale dal 53% al 59% e rispettivamente dal 58% al
61% nelle antume e dal 48% al 57% nelle postume. Proprio questo dato relativo alle
postume risulta il più interessante tra quelli ottenuti. Questi ultimi dati, infatti, rivelano
che la comparazione nel corpus postumo è presente in percentuale se non pari comunque
vicina a quelle delle antume, ma è costruita in maniera diversa: se nelle antume, infatti,
la comparazione è resa facendo un maggiore utilizzo di modelli attinenti alle regole
linguistiche e retoriche e con un maggiore utilizzo di quella che abbiamo definito
comparazione deittica, nelle postume il poeta sperimenta con più libertà le possibilità di
costruzione della comparazione offerte dalla lingua, scegliendo, almeno per quanto
pag. 191
riguarda la comparazione, di allentare i legami e i vincoli linguistici e aumentando il
proprio potere immaginativo.
Nel dettaglio, osservando invece i grafici in fig. 12 e 13 notiamo come, rispetto a quelli
precedenti in fig. 5 e 8, le differenze più rilevanti siano riscontrabili in Poemele luminii
(che passa dal 50% al 61%), nelle postume degli anni ‘50 e ‘60 (che passano dal 46% al
57%) e nelle postume senza data (che passano dal 33% al 47%). Ciò pare confermare una
volta di più l’esistenza di affinità strutturali tra una parte delle poesie postume e il volume
d’esordio, a segnalare forse la possibilità di un ritorno a modalità espressive
caratteristiche del primo periodo. I corpora che invece già in precedenza presentavano
picchi di maggiore presenza della comparazione deittica, ovvero Pașii profetului, La
cumpăna apelor e quello delle postume degli anni ‘40 e ‘50 non subiscono cambiamenti
o subiscono cambiamenti irrilevanti, dimostrando che la comparazione, pur essendo in
essi una presenza forte, è costruita secondo modalità più iconiche. Si nota, insomma, un
incremento in senso diacronico della comparazione costruita attraverso modalità più
sottili, plastiche, modalità che mancano invece nelle raccolte giovanili.
6. Una diversa griglia interpretativa
Come già nei precedenti capitoli, dopo aver affrontato l’analisi della
comparazione all’interno del corpus poetico blaghiano attraverso gli strumenti e le
tecniche del distant reading, ci avviciniamo ora ai testi utilizzando metodologie affini a
quelle del close reading. Si è scelto quindi di stendere una griglia interpretativa che
potesse attribuire alle varie comparazioni sparse all’interno del corpus un significato
ulteriore che ci permetta di osservare anche il variare in senso diacronico dell’utilizzo che
Blaga fa di tale strumento. Per la creazione della griglia ci si è serviti delle tipologie di
comparazione individuate da Eleonora De Conciliis430, dalla quale riprendo la
denominazione delle tipologie e in parte la caratterizzazione generale adattandola allo
specifico case study. Si sono individuate sei diverse tipologie di comparazione (non
mutualmente esclusive), in base all’atteggiamento positivo, neutro o negativo dimostrato
430
Cfr. De Conciliis, Il potere della comparazione, pp. 12- 13.
pag. 192
nell’atto comparativo, così come al suo aspetto temporale, al suo carattere introverso o
estroverso e alla sua temporalità:
Tipo 1 – «Comparazione emulativa»: per comparazione emulativa si intendono qui tutte
quelle comparazioni assimilabili alla comparazione nel senso indicato in precedenza sulla
scorta di Corniță, nelle quali avviene un paragone fra due termini (“Pământul își apleacă
munții-n calea mea ca o camilă umerii pleșuvi”431) tra i quali avviene un confronto di tipo
neutro che non implica un atto di giudizio. In questa tipologia rientrano esclusivamente
gli esempi costruiti con ca; si tratta della modalità comparativa che definiamo più deittica;
Tipo 2 – «Comparazione oppositiva»: per comparazione oppositiva si intende qui una
comparazione che implica un giudizio negativo rispetto a uno dei termini di paragone,
che viene percepito come inferiore (“Din înalțimea mea regret că-n rău au fost cam tot
așa de mici”432);
Tipo 3 – «Comparazione agonica»: per comparazione agonica si intende quel tipo di
comparazione che implica un giudizio favorevole e che presuppone implicitamente un
moto in direzione del termine di paragone che si ritiene superiore, e al quale si vorrebbe
associare l’altro termine (“Setos îți beau mireasma și-ți cuprind obrajii cu palmeleamândouă, cum cuprinzi în suflet o minune”433);
Tipo 4 – «Comparazione amicale»: molto affine alla comparazione agonica, la
comparazione amicale è quel tipo di comparazione tra pari che però presuppone una sorta
di tendenza di uno dei due termini di paragone verso l’altro, in quanto ritenuto di
eccezionali qualità o comunque affine a sé in qualche modo (“Inima mea bate ca un
cerșitor la poarta ta”434);
Tipo 5 – «Comparazione intrapsichica»: la comparazione intrapsichica è rappresentata da
un paragone che è circoscritto all’interno del sé. (“Îngenunchez în fața mea ca în fața unui
idol”435);
431
Opere, vol. I, p. 418. [La terra inchina i monti al mio passaggio come un cammello le nude gobbe].
Opere, vol. I, p. 120. [Dalla mia altezza rimpiango come anche nel male siano sempre stati così piccoli].
433
Opere, vol. I, p. 64. “Assetato bevo il tuo profumo e ti serro il viso/ fra le mie palme, come serreresti/
nel cuore un miracolo” (Del Conte, p. 67).
434
Nonostante la figura del vagabondo/mendicante sia nell’immaginario collettivo tendenzialmente
connotata negativamente, in Resignare il cuore dell’io poetico è assimilato alla figura del mendicante, o
meglio, in questo specifico caso, del questuante, ovvero di chi va alla ricerca di qualcosa, forse del senso
stesso della vita, proprio come il poeta.
435
Opere, vol. I, p. 68. “[…] m’inginocchio davanti a me come davanti a un idolo […]” (Del Conte. p.71).
432
pag. 193
Tipo 6 – «Comparazione diacronica»: quest’ultimo tipo di comparazione è quella che
vede i due termini di paragone sfasati in senso temporale l’uno rispetto all’altro (“Cum
îmi cuprindeți astăzi cu căldura voastră capul plin de visuri, așa îmi veți ținea odată și
urna cu cenușa mea”436).
Seguendo ancora gli spunti tratti dallo studio di De Conciliis, che scrive:
[…] la comparazione inizia in modo verticale […]. I primi destinatari dei nostri inconsapevoli
paragoni sono genitori, fratelli o sorelle maggiori, maestri, insomma, tutti quei super-badanti che
inaugurano la teoria comparativa del potere. Più o meno dotati di pazienza, i dipendenti (siano essi
allievi o figli) attendono invece di poter praticare la più eccitante forma orizzontale di
comparazione umana: il confronto tra partner reali o potenziali 437.
e passando dal piano sociologico a quello metafisico, oltre alle sei diverse tipologie438 si
sono individuati anche due diversi aspetti:
Aspetto A – «verticale»: l’aspetto verticale è applicato a tutte quelle comparazioni nelle
quali i due termini di paragone non si trovano, per le ragioni più svariate, sullo stesso
piano. Si tratta ad es. di comparazione dall’aspetto verticale nel caso in cui un’entità
metafisica, un ideale, un astro personificato si paragoni a un essere umano, o nel caso in
cui un essere umano sia paragonato a un oggetto, a un animale, a un minerale ecc;
Aspetto B – «orizzontale»: l’aspetto orizzontale si applica in tutti i casi in cui i due termini
di paragone sono considerati pari tra loro.
6.1. Misura
Prima della presentazione diretta dei dati si ritiene opportuno precisare che, data
la natura eterogenea delle comparazioni prese in esame e la difficoltà di ascriverle in
schemi linguistici predeterminati, a causa ad es. delle comparazioni non iconiche, come
nel caso delle metafore, non è stato possibile relativizzare i dati rapportandoli al numero
di poesie presenti in ognuno dei singoli sottocorpora. In questo senso è dunque
interessante notare il rapporto tra i diversi tipi e categorie in senso diacronico. Ciò che
viene rappresentato qui di seguito è il rapporto tra le occorrenze delle diverse
Opere, vol. I, p. 22. “[…] che serrate oggi/ nel vostro tepore il mio capo pieno di sogni,/ così terrete un
giorno/ anche l’urna delle mie ceneri” (Del Conte, p. 57).
437
De Conciliis, Il potere, cit. p. 12.
438
Si specifica che si tratta qui di un lavoro di interpretazione soggettiva, e che in vari casi le comparazioni
individuate sarebbero potute rientrare in più di una categoria.
436
pag. 194
combinazioni ma non la loro frequenza relativa. Si noterà, dunque, che nei corpora
postumi i grafici rappresentano dei picchi di maggiore o minore occorrenza: tali picchi
non sono rappresentativi, in quanto i corpora postumi sono molto più estesi di quelli
antumi (il corpus degli anni ‘50 e ‘60 conta, da solo, 158 testi, mentre La cumpăna apelor
ne conta 23). Quello che è rilevante, dunque, è osservare il rapporto tra le diverse
categorie.
Fig. 14
Categorie A1 e B1
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
PL
PP
ÎMT
A1
LS
LCA
B1
LCD
NT
P40
Lineare (A1)
P4050
P5060
PSD
Lineare (B1)
Nella fig. 14 vediamo messe a confronto le categorie A1 e B1. Si è scelto di rappresentarle
separatamente in quanto sono le più rappresentate all’interno del corpus. Si possono
anche vedere le linee di tendenza relative alle due categorie.
Fig. 15
pag. 195
Categorie A2-A3-A4-A5-A6
7
6
5
4
3
2
1
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
A2
LCD
A3
A4
NT
A5
P40
P4050
P5060
PSD
A6
Nella fig. 15 vediamo le restanti tipologie associate all’aspetto verticale (A).
Fig. 16
Categorie B2-B3-B4-B5-B6
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
B2
LCD
B3
B4
NT
B5
P40
P4050
P5060
B6
In fig.16 vediamo le restanti tipologie associate all’aspetto orizzontale (B).
pag. 196
PSD
Fig. 17
Tutte le categorie
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
A1
B1
PL
A2
PP
B2
ÎMT
LS
A3
B3
LCA
LCD
A4
NT
B4
P40
A5
P4050
B5
P5060
A6
B6
PSD
La fig. 17 raggruppa tutte le categorie.
6.2. Interpretazione
Notiamo innanzitutto che le due categorie che contano in assoluto più occorrenze
sono la A1 e la B1, mentre le occorrenze ascrivibili alle restanti categorie contano cifre
minime. Il dato crudo ci suggerisce che, nella stragrande maggioranza dei casi, le
comparazioni presenti all’interno del corpus blaghiano siano di fatto figure retoriche quali
la comparazione, fatto che conferma ulteriormente l’assunto secondo il quale la poesia di
Lucian Blaga è una poesia dal fortissimo impatto visivo. In questo caso è interessante
notare il rapporto tra aspetto verticale e orizzontale assegnato ad ognuna delle categorie.
Se nelle antume, infatti, tendenzialmente prevale l’aspetto verticale (A), nelle postume si
nota una decisa inversione di tendenza (si è già visto che i volumi centrali – La cumpăna
apelor e La curțile dorului in particolare – oltre a essere volumi molto brevi, hanno
sempre la tendenza a fare “da cuscinetto” tra lo stile delle prime raccolte e quello delle
pag. 197
postume), e l’aspetto predominante diventa quello orizzontale (B). Ciò significa che
anche all’interno dell’orizzonte di utilizzo delle figure retoriche da parte di Blaga, negli
anni della maturità compaiono in misura decisamente maggiore confronti tra istanze
considerate “pari” e meno confronti con istanze ideali o superiori. Questo ci conferma
ancora una volta la differenza tra l’atteggiamento del Blaga giovanile e quello del Blaga
maturo. Come abbiamo già visto nei precedenti paragrafi, i volumi centrali (La cumpăna
apelor, La curțile dorului, Nebănuitele trepte e le postume degli anni ‘40 sono molto poco
comparativi, in contrasto con quanto invece avviene nei primi tre volumi antumi e nelle
postume a partire dagli anni ’50. In questo specifico caso notiamo poi un progressivo
regredire della tendenza a effettuare comparazioni con istanze superiori positive ˗ in
Poemele luminii e Pașii profetului ˗ o negative ˗ În marea trecere).
Osservando la fig. 15, tra i restanti tipi associati all’aspetto verticale (A) notiamo una
prevalenza di quello che designa la comparazione agonica. In particolare, la
comparazione verticale di tipo agonico è fortemente presente in Poemele luminii, Pașii
profetului e Lauda somnului, ed è (escludendo chiaramente il tipo A1, che si è già
commentato precedentemente) l’unico tipo che compare in La cumpăna apelor, La curțile
dorului e nelle postume degli anni ‘40. Dato interessante, il tipo due comincia a diventare
rilevante in În marea trecere, volume che per molti versi segna un’evoluzione della
poetica di Blaga, per comparire nuovamente nelle ultime postume. Tali dati confermano
ulteriormente la chiave di lettura già proposta, la quale presuppone che il poeta, in età
giovanile, tendesse in maniera particolare a un maggiore idealismo ed enfasi, e che, nel
corso degli anni, la sua poesia, pur rimanendo estremamente immaginativa, si sia
gradualmente avvicinata a una visione più ampia e umana dell’esistenza. Si nota anche il
fatto che il tipo 6, la comparazione diacronica, non compare mai associata all’aspetto
verticale (A).
Se nella figura precedente avevamo notato che la tipologia più spesso associata
all’aspetto verticale era quella della comparazione agonica, nel caso dell’aspetto
orizzontale (B) notiamo una maggiore varietà. In particolare, l’aspetto orizzontale risulta
spesso associato al tipo di comparazione diacronica, non solo, come sarebbe ovvio
pensare, nelle postume (nelle quali però tale tipologia è praticamente l’unica associata
all’aspetto orizzontale, se si esclude il tipo intrapsichico che compare nel corpus delle
postume scritte negli anni ‘50 e ‘60), ma anche in tutti i corpora antumi fino a Lauda
pag. 198
somnului. A differenza però di quanto si potrebbe pensare, nessuna delle comparazioni
diacroniche (B6) presenti nel corpus delle antume, eccezion fatta per quella già citata e
presente in Frumoase mâini si rivolge al futuro. Le comparazioni diacroniche di tipo B6
sono tutte esclusivamente rivolte in direzione del passato.
7. Comparativi di maggioranza e minoranza, superlativo relativo
Dopo aver osservato il comportamento del comparativo di uguaglianza nell’opera
poetica di Blaga, si è osservato anche il comportamento dei comparativi di maggioranza,
di minoranza e del superlativo relativo. A questo scopo si sono utilizzate nuovamente le
Wordlist di Sketch Engine.
7.1. Misura
Anche nel caso dei comparativi di maggioranza e minoranza e in quello dei
superlativi relativi è stato possibile effettuare un calcolo percentuale in relazione al
numero di poesie. Nei grafici a seguire, dunque avremo la percentuale di poesie nelle
quali compare almeno un comparativo o un superlativo.
Fig. 18
Comparativo di maggioranza e minoranza e superlativo
relativo, percentuale sul numero di poesie
15%
10%
5%
0%
MAGGIORANZA
MINORANZA
OC
ANTUME
SUP. REL.
POSTUME
In fig. 18 vediamo la percentuale di occorrenza dei comparativi di maggioranza e
minoranza e del superlativo relativo rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e
nelle postume.
pag. 199
Fig. 19
Comparativo di maggioranza e minoranza e superlativo
relativo, percentuale sul numero di poesie
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
PL
PP
ÎMT
LS
LCA
MAGGIORANZA
LCD
NT
MINORANZA
P40
P4050
P5060
PSD
SUP. REL.
In fig. 19 vediamo le percentuali di occorrenza dei comparativi di maggioranza, di
minoranza e del superlativo relativo all’interno dei diversi sottocorpora.
7.2. Interpretazione
Osservando la fig. 18 risulta evidente innanzitutto il fatto che il comparativo di
maggioranza è quello maggiormente rappresentato all’interno dell’intero corpus, e, in
seconda battuta, che il corpus delle antume è quello che vede le percentuali maggiori delle
tre categorie prese in esame.
Come prima cosa è bene far notare innanzitutto che in La curțile dorului non
compare nessuna delle tre categorie. Eccettuato l’unico, interessante caso di La cumpăna
apelor, nel quale comparativo di maggioranza, comparativo di minoranza e superlativo
relativo compaiono nella stessa identica percentuale, la tendenza che si rileva nelle
antume è quella di una forte preponderanza del comparativo di maggioranza, in particolar
modo in Poemele luminii (15%), Pașii profetului (22%), În marea trecere (25%) e Lauda
somnului (14%). Tale tendenza inizia a modificarsi in La cumpăna apelor, corpus nel
quale, come abbiamo già visto, le tre categorie compaiono in percentuale identica (9%),
e dunque la percentuale di comparativi di maggioranza subisce un deciso calo rispetto ai
pag. 200
corpora precedenti. In Nebănuitele trepte, poi, i comparativi di maggioranza scendono al
4%, e una situazione simile a quella delle antume la si ritroverà soltanto del corpus delle
postume scritte tra gli anni ‘50 e ‘60, e comunque con percentuali decisamente minori: il
comparativo di maggioranza, infatti, pur essendo preponderante in tale corpus raggiunge
solo l’8%.
Il comparativo di minoranza è invece la categoria meno rappresentata, e compare
soltanto in tre sottocorpora: În marea trecere (3%) La cumpăna apelor (9%) e nelle
postume degli anni ‘50 e ‘60 (1%). Il superlativo relativo, invece, compare in percentuali
maggiori soprattutto nei corpora “centrali”, ovvero În marea trecere (9%), La cumpăna
apelor (9%), e Nebănuitele trepte (7%). Tuttavia, eccettuati i casi di Lauda somnului e
delle postume degli anni ‘40, il superlativo compare in tutti i restanti sottocorpora, pur in
percentuali molto basse. La categoria meno rappresentata è quella del comparativo di
minoranza, che compare sempre in meno del 5% delle poesie. Questo dato ci permette di
confermare ancora una volta la sostanziale differenza, già individuata nei capitoli e nei
paragrafi precedenti, sul “tono” delle raccolte antume rispetto a quello delle raccolte
postume. Nelle antume, come si è già visto, è infatti presente un’enfasi maggiore, e le
immagini pittorico-fotografiche tipiche della poesia blaghiana sono rese anche grazie a
un utilizzo mirato degli artifici retorici e linguistici. Le postume, al contrario, e quasi
sempre, rivelano un utilizzo più parco di tali artifici, pur mantenendo una sostanziale
natura visiva, che è resa attraverso un utilizzo più libero del linguaggio.
Notiamo che solo nel caso di La curțile dorului non compare nessuna delle tre
categorie. La curțile dorului è di fatto un volume che è stato scritto e pubblicato durante
un periodo di transizione e cambiamento, e spesso notiamo che è proprio in
corrispondenza di tale volume che si registrano alcune differenze significative rispetto ai
volumi precedenti.
8. Un rapido sguardo a altfel
Dopo aver osservato l’andamento della comparazione, è interessante anche vedere
se e dove compaiono avverbi quali altfel (“altrimenti”), alt (“altro”), diferit (“diverso”)
ecc., che marcano invece il concetto contrario, ovvero segnalano una differenza in
pag. 201
opposizione al concetto di comparazione. Utilizzando lo strumento delle Wordlist si è
ottenuta una piccola lista di occorrenze. I risultati, tuttavia, sono davvero molto scarni, e
non si è ritenuto utile rappresentarli graficamente. Se ne sono trovati quattro esempi in În
marea trecere, due in La cumpăna apelor, uno in La curțile dorului, uno in Nebănuitele
trepte e tre nelle postume degli anni ‘50 e ‘60.
La logica conclusione è che la poesia di Blaga è una poesia che fa particolare
utilizzo di figure retoriche quali la comparazione e la metafora, ma molto raramente
esprime la propria narrazione facendo uso di un linguaggio che metta in rilievo la
differenza. La poesia di Blaga, dunque, tende a veicolare i propri messaggi soprattutto
attraverso somiglianze e paragoni.
Nonostante questo, si è notato con grande interesse che, soprattutto nelle raccolte
centrali e in particolare in În marea trecere, la differenza espressa tramite altfel e
alt…decât, pur con occorrenze minime, ricorre esclusivamente per segnare l’alterità
dell’io poetico nei confronti del resto del mondo. La raccolta În marea trecere inizia
emblematicamente con il motto:
Oprește trecerea. Știu că unde
nu e moarte nu e nici iubire -, și
totuși te rog: oprește, Doamne, ceasornicul cu care ne măsuri destrămarea439.
Il motto, così come il titolo stesso della raccolta, sono segnali evidenti di un cambio di
tono. Qui, infatti, il poeta inizia a percepire sempre più intensamente la “missione” di cui
si fa carico e, in maniera controversa, questa “missione” lo lusinga e lo condanna al tempo
stesso. Si percepisce spesso, già nel motto e in vari testi contenuti all’interno del volume,
la profonda lacerazione dell’io poetico a fronte di questa dicotomia. Un esempio per tutti
è la poesia che dà il nome al volume, În marea trecere:
Soarele-n zenit ține cântarul zilei.
Cerul se dăruiește apelor de jos.
Cu ochi cuminți dobitoace în trecere
Își privesc fără de spaimă umbra în albii.
Frunzare se boltesc adânci
peste o-ntreagă poveste.
Nimic nu vrea să fie altfel decât este.
439
V. n. 346.
pag. 202
Numai sângele meu strigă prin păduri
după îndepărtata-i copilărie,
ca un cerb bătrân
după ciuta lui pierdută în moarte.
Poate a pierit subt stânci.
Poate s-a cufundat în pământ.
În zadar i-aștept veștile,
numai peșteri răsună,
pâraie se cer în adânc.
Sânge fără răspuns,
o, de-ar fi liniște, cât de bine s-ar auzi
ciuta călcând prin moarte.
Tot mai departe șovăi pe drum –
și, ca un ucigaș, ce-astupă cu năframa
o gură învinsă,
închid cu pumnul toate izvoarele,
pentru totdeauna să tacă,
să tacă440.
Vediamo che dopo la prima strofa, che descrive un mondo equilibrato, sempre
uguale a sé stesso, privo di angoscia e all’interno del quale gli animali di passaggio sulla
terra non temono la propria ombra, il verso nimic nu vrea să fie altfel decât este
rappresenta lo spartiacque che segna la differenza. All’interno di questo immobile
equilibrio universale, infatti, esiste un solo elemento discordante: l’io poetico, che,
associato per similitudine a un cervo – espediente che mantiene il motivo della vita
animale – vive una profonda angoscia esistenziale e sente il peso e la responsabilità del
suo compito di ricerca.
Allo stesso modo, il tema della percezione di sé in comunione con la comunità di
appartenenza (anche per profonda affinità emotiva e affettiva) che segna al contempo una
separazione ineluttabile da questa ricompare in Am înțeles păcatul ce apasă peste casa
mea:
Am înțeles păcatul ce apasă peste casa mea
Opere, vol. I, p. 136. “Il sole allo zenit regge la bilancia del giorno./ Il cielo si dona alle acque di quaggiù./
Con miti occhi gli animali in cammino/ guardan senza paura l’ombra loro nei greti./ Folte s’incurvano le
fronde/ sopra una favola intatta.// Nuolla vuole essere diverso da quello che è./ Solo il mio sangue grida nei
boschi/ invocando l’infanzia lontana,/ come un vecchio cervo/ la sua cerbiatta inghiottita dalla morte.//
Forse è morta sotto le rocce./ Forse è sprofondata nella terra./ Invano ne aspetto novelle,/ solo le grotte
rimbomban, vogliono ritrarsi nel profondo i ruscelli.// Sangue cui nessuno risponde,/ oh, se fosse pace,
come bene s’udrebbe/ la cerbiatta avanzare nella morte.// Sempre più lontano vacillo in cammino, ˗/ e come
un assassino che soffoca con un velo/ una bocca vinta,/ chiudo col pugno tutte le fonti,/ perché per sempre
tacciano,/ tacciano” (Del Conte, p. 91).
440
pag. 203
ca un mușchi strămoșesc.
O, de ce am tălmăcit vremea și zodiile
altfel decât baba ce-și topește cânepa în baltă?
De ce am dorit alt zâmbet decât al pietrarului
ce scapără scântei în margine de drum?
De ce am râvnit altă menire
în lumea celor șapte zile
decât clopotarul ce petrece morții la cer?
Dă-mi mâna ta, trecătorule, și tu care mergi,
și tu care vii.
Toate turmele pământului au aureole sfinte
peste capetele lor.
Astfel mă iubesc de-acum:
unul între mulți,
și mă scutur de mine însumi
ca un câne ce-a ieșit dintr-un râu blestemat.
Sângele meu vreau să curgă pe scocurile lumii
să-nvârtă roțile
în mori cerești.
Sunt tremur de fericire:
ziua întreagă deasupra mea
puterile păsărești au arătat în triunghiuri
spre ținte luminoase441.
In questa poesia, che, al contrario della precedente, riporta il discorso su un piano
umano e quotidiano, vediamo, dopo una prima parte segnata dall’avverbio altfel, nella
quale con grande dolore l’io poetico si chiede come mai la sua identità sia tanto diversa
da quella della piccola comunità che lo circonda, il cerchio dell’angoscia viene chiuso
proprio grazie alla comparazione: tramite l’avverbio astflel (“allo stesso modo”, “così”):
in un certo senso l’io poetico accoglie e abbraccia questa sua alterità, cogliendone non
più soltanto l’aspetto negativo e doloroso, ma anche il potenziale positivo. La narrazione
della differenza, dunque, pur comparendo molto poco all’interno dell’opera poetica
blaghiana, viene utilizzata precisamente allo scopo di segnare la sensazione di alienazione
provata dall’io poetico nei confronti dei propri pari e del resto del mondo. L’alterità
designa in questo caso quella dell’io poetico, che, pur provando un forte struggimento nei
Opere, vol. I, p. 170. “Ho compreso il peccato che grava sulla mia casa/ come un muschio secolare./ Oh,
perché ho dato al tempo ed agli astri/ altro senso di quel che gli dà la vecchietta/ che ammolla nell’acquitrino
la canapa?/ Perché ho bramato altra gioia di quella dello spaccapietre/ che sprizza scintille sui bordi delle
strade?/ Perché ad altra sorte ho aspirato/ nel mondo di quei sette giorni/ di quella del campanaro che scorta
i morti/ al cielo?/ Dammi la mano, viandante, tu che ti allontani,/ tu che ti appressi./ Tutte le greggi della
terra hanno sul capo/ aureole sacre./ Altrimenti oggi vi amo:/ sono uno fra i molti,/ e mi scrollo per liberarmi
di me/ come un cane che esce da un’acqua maligna.// Vuole scorrere il mio sangue/ lungo le gore del
mondo,/ metter in moto le ruote/ nei mulini del cielo.// In me la felicità si fa brivido:/ l’intero giorno sul
mio capo/ le divinità alate, in triangolari sciami,/ han fatto segno verso mere di luce” (Del Conte. p. 111).
441
pag. 204
confronti del proprio mondo di origine, sente anche di non poterne fare davvero parte
proprio a causa della sua missione poetica.
9. Deissi spaziale e deissi temporale
Per quelli di noi che credono nella fisica,
la distinzione fra passato, presente e futuro
è solo una ostinata e persistente illusione442.
Sul tema della deissi spaziale e temporale nell’opera poetica di Lucian Blaga
troviamo alcune brevi pagine già nel volume Corola de minuni a lumii. Intrerpretare
stilistică a sistemului poetic a lui Lucian Blaga di Alexandra Indrieș. Seguendo
nuovamente lo spunto proposto da Indrieș ci si è orientati in direzione di un’osservazione
diacronica dei fenomeni deittici così come delineata finora nei precedenti capitoli. Si è
posta l’attenzione in particolare sugli avverbi deittici in quanto indicatori di una geografia
testuale della prossimità e della distanza e anche di una geografia temporale che ci
permette di osservare in maniera dettagliata l’evoluzione diacronica dei riferimenti
spazio-temporali all’interno della poesia blaghiana.
Inizialmente si sono individuate, tramite lo strumento delle Wordlist, tutte le
occorrenze dei deittici aici (qui) e acolo (là) per l’espressione spaziale e acum (adesso) e
atunci (allora) per quella temporale. I grafici e le percentuali ottenuti sono stati poi
implementati aggiungendo la ricerca di altre parti del discorso riferite all’espressione
spaziale e temporale, come aproape (vicino), departe (lontano) ecc. Per distinguere i due
diversi tipi di ricerca utilizzeremo da qui in poi la dicitura “espressione deittica” per
riferirci a quella costruita con i quattro deittici principali, e “espressione iconica” per
riferirci a quella costruita con i restanti avverbi.
9.1. La deissi spaziale
442
Albert Einstein, M. Besso, Opere scelte, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, p. 707.
pag. 205
Per quanto riguarda l’espressione deittica spaziale si sono innanzitutto cercate,
tramite le Wordlist, tutte le occorrenze di aici e acolo (anche nelle varianti ici, aci, aicea,
colo e dincolo), per poi passare ai concetti spaziali di vicinanza e distanza, e alle
occorrenze di aici sono state implementate tutte quelle di aproape (escludendo
chiaramente le occorrenze in cui aproape non esprime il concetto di vicinanza, come nei
casi in cui assume il significato di “quasi”) mentre a quelle di acolo sono state
implementate le occorrenze di departe (anche in questo caso sono state espunte tutte
quelle occorrenze in cui l’avverbio assumeva significati diversi). Ciò significa nello
specifico che i grafici che tengono conto dell’espressione iconica di prossimità e distanza
rappresentano la percentuale di occorrenza sia delle espressioni deittiche che di quelle
iconiche sommate tra di loro. La presenza degli avverbi rappresentanti l’espressione
iconica, dunque, la si deduce osservando lo scarto. Siccome i fatti diacronici sono
interessanti si è ritenuto utile inserire le linee di tendenza.
9.1.1. Misura
Fig. 1
AICI - VICINANZA TOKEN
0,25%
0,20%
0,15%
0,10%
0,05%
0,00%
OC
ANT
Aici
POST
Vicinanza
La fig. 1 ci mostra la percentuale di occorrenza di aici e dell’espressione iconica della
vicinanza sul numero di token totali rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e
nelle postume.
pag. 206
Fig. 2
AICI - VICINANZA TOKEN
0,45%
0,40%
0,35%
0,30%
0,25%
0,20%
0,15%
0,10%
0,05%
0,00%
OC
ANT
POST
Aici
PL
PP
ÎMT
LS
Vicinanza
LCA
LCD
Lineare (Aici)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Vicinanza)
In fig. 2 vediamo la percentuale di occorrenza di aici e dell’espressione iconica della
vicinanza sul numero totale di token in senso diacronico.
Fig. 3
AICI - VICINANZA PERCENTUALE POESIE
16%
14%
12%
10%
8%
6%
4%
2%
0%
OC
ANT
Aici
POST
Vicinanza
In fig. 3 vediamo la percentuale di poesie in cui aici o l’espressione iconica della
vicinanza compare almeno una volta rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e
nelle postume.
pag. 207
Fig. 4
AICI - VICINANZA PERCENTUALE POESIE
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
OC
ANT
POST
Aici
PL
PP
ÎMT
LS
Vicinanza
LCA
LCD
NT
Lineare (Aici)
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Vicinanza)
La fig. 4 ci mostra la percentuale di poesie nelle quali compare almeno un’occorrenza di
aici o dell’espressione iconica della vicinanza in senso diacronico.
Fig. 5
ACOLO - LONTANANZA TOKEN
0,18%
0,16%
0,14%
0,12%
0,10%
0,08%
0,06%
0,04%
0,02%
0,00%
OC
ANT
Acolo
POST
Lontananza
In fig. 5 vediamo la percentuale di acolo e departe sul numero complessivo di token
rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e nelle postume.
pag. 208
Fig. 6
ACOLO - LONTANANZA TOKEN
0,25%
0,20%
0,15%
0,10%
0,05%
0,00%
OC
ANT
POST
Acolo
PL
PP
ÎMT
LS
Lontananza
LCA
LCD
Lineare (Acolo)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Lontananza)
In fig. 6 vediamo la percentuale di acolo e dell’espressione iconica della lontananza sul
numero totale di token in senso diacronico.
Fig. 7
ACOLO - LONTANANZA PERCENTUALE POESIE
14%
12%
10%
8%
6%
4%
2%
0%
OC
ANT
Acolo
POST
Lontananza
La fig. 7 ci mostra la percentuale di poesie nelle quali compare almeno una volta acolo o
departe rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e nelle postume.
pag. 209
Fig. 8
ACOLO - LONTANANZA PERCENTUALE POESIE
25%
20%
15%
10%
5%
0%
OC
ANT
Acolo
POST
PL
PP
Lontananza
ÎMT
LS
LCA
LCD
Lineare (Acolo)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Lontananza)
In fig. 8 vediamo la percentuale di poesie nelle quali compare almeno una volta acolo o
departe in senso diacronico.
Da un primo confronto dei grafici possiamo anticipare che l’espressione
linguistica della prossimità rappresenta un elemento importante in particolare nella parte
antuma del corpus poetico, con un importante picco di frequenza in particolare in În
marea trecere e Lauda somnului, e ancora in Nebănuitele trepte. Nei corpora postumi del
corpus compare in percentuali basse ma più omogenee rispetto a quanto avveniva nei
volumi antumi. I grafici ci confermano inoltre che non vi sono differenze sostanziali tra
le percentuali di occorrenza verticale e orizzontale.
Ad una prima analisi superficiale si nota come ci sia una presenza più continua e
meno concentrata dell’espressione linguistica della distanza, che compare in particolare
con un picco in În marea trecere e Lauda somnului per poi progressivamente diminuire
fino a registrare zero occorrenze in Nebănuitele trepte. Nelle postume compare in maniera
frequente e omogenea. I grafici confermano una presenza costante sia verticale che
orizzontale.
pag. 210
9.1.2. Interpretazione
Dalle figure 1, 2, 3 e 4 evinciamo come prima cosa che l’espressione della
prossimità, sia essa deittica o iconica, è maggiormente rappresentata all’interno dei
corpora antumi, anche se le linee di tendenza della figura 2 di fatto rilevano un andamento
discendente ma pur sempre abbastanza regolare. A fronte infatti di una media dello 0,12%
per l’espressione deittica della prossimità e dello 0,16% per la sua espressione iconica,
abbiamo rispettivamente una percentuale di occorrenza dello 0,15% di aici e dello 0,21%
di aici e aproape sul numero totale di token nei corpora antumi, laddove nei corpora
postumi l’espressione deittica dello spazio è soltanto dello 0,08%, mentre l’espressione
iconica è dello 0,10%. Una differenza significativa che troviamo confermata anche dai
grafici che tengono invece conto del numero di poesie in cui compare almeno una volta
aici o almeno una volta aproape (fig. 3 e 4), che registrano scarti simili a quelli appena
visti tra corpora antumi e corpora postumi.
Osservando poi nel dettaglio l’andamento in senso diacronico dell’espressione –
deittica e iconica – della prossimità, notiamo percentuali rilevanti a partire da În marea
trecere, che è poi anche il volume che registra più occorrenze in assoluto rispetto agli
altri. I due corpora precedenti, ovvero Poemele luminii e Pașii profetului, registravano
percentuali ben più basse. A livello di percentuale sul totale dei token (fig. 2) i volumi
che spiccano di più sono il già citato În marea trecere e a seguire Lauda somnului. Segue
poi una diminuzione delle occorrenze in La cumpăna apelor e una diminuzione ulteriore
in Lauda somnului, mentre in Nebănuitele trepte il grafico torna a percentuali simili a
quelle di În marea trecere e Lauda somnului. Notiamo che, per quanto riguarda la
prossimità, lo scarto poco rilevante tra i grafici rappresentanti la sua espressione deittica
e quella iconica illustrano che aici e le sue varianti ici e aci sono ben più presenti di
aproape. Questo è vero per diversi volumi nei quali non si registra alcuna occorrenza di
aproape (tutti quelli centrali: Lauda somnului, La cumpăna apelor, La curțile dorului),
mentre un’importante eccezione è Poemele luminii, nel quale non è presente l’espressione
deittica della prossimità ma è presente la sua espressione iconica.
Per quanto riguarda l’espressione della distanza, invece, la situazione evidenziata
dai grafici mostra un andamento che presenta qualche differenza rispetto a quello
dell’espressione della prossimità. Innanzitutto, notiamo in fig. 5 che nelle postume la
pag. 211
percentuale è lievemente più alta. Notiamo soprattutto come l’espressione spaziale della
distanza sia molto poco frequente o addirittura assente nei primi due volumi di poesie
antume e subisca un aumento considerevole in În marea trecere, che anche qui registra
un picco decisamente rilevante. A differenza di quanto accadeva per aici e aproape, però,
dopo il picco di În marea trecere non ci sono abbassamenti significativi nei due volumi
successivi. In La curțile dorului e in Nebănuitele trepte, l’espressione della distanza non
compare né in forma deittica né in forma iconica. Anche l’espressione della prossimità
subiva un importante calo in questi due stessi volumi. Si rileva quindi che – almeno nei
volumi antumi – aici e acolo (e le rispettive varianti) tendono a comparire all’interno
degli stessi volumi seguendo un andamento se non uguale almeno simile: frequenza
modesta nei primi due volumi, picco di frequenza in În marea trecere, Lauda somnului e
La cumpăna apelor (tradizionalmente considerati volumi di passaggio per la poetica di
Lucian Blaga, come si è già visto più volte), frequenza bassa o – nel caso dell’espressione
della distanza – addirittura assente in La curțile dorului. Soltanto a partire da Nebănuitele
trepte l’andamento delle due espressioni spaziali sembra prendere strade diverse: se
infatti l’espressione della prossimità in questo volume ha una seconda impennata per poi
comparire in percentuali basse in tutti i corpora postumi, l’espressione della distanza non
è presente in nessuna forma in Nebănuitele trepte mentre, a partire dai corpora postumi,
compare in percentuali importanti. Se poi, nel caso dell’espressione della prossimità i
grafici rivelavano un utilizzo preponderante della variante deittica, nel caso della distanza
lo scarto tra i grafici ci mostra che departe è utilizzato spesso, in certi casi addirittura più
di acolo (ad es. in Pașii profetului e Lauda somnului). Si può quindi ipotizzare che
l’avverbio aici possa farsi carico di contenuti semantici o poetici più forti, che il concetto
di prossimità si focalizzi maggiormente nell’idea del qui, centrato soprattutto sull’io
soggetto, mentre la distanza appare più sfumata in un departe indefinito e indefinibile.
Si è già detto che În marea trecere, all’interno dell’opera poetica blaghiana, è un
volume di transizione, all’interno del quale il poeta in parte accantona la modalità enfatica
e parabolica tipica dei due volumi precedenti e si immerge all’interno di una dimensione
di ricerca di senso. Anche il senso di sé e del proprio ruolo all’interno della comunità
umana si fanno più marcati in questo volume.
Particolarmente significativo risulta il fatto che la raccolta si apra presentando in
uno stesso verso entrambe le espressioni spaziali, sia quella di vicinanza che quella di
pag. 212
lontananza. Il primo testo della raccolta, infatti, intitolato Către cititori, e che è a tutti gli
effetti un testo programmatico, si apre così:
Aici e casa mea. Dincolo soarele și grădina cu stupi.
Voi treceți pe drum, vă uități printe gratii de poartă
și așteptați să vorbesc. – De unde să-ncep?
[...]443.
Già Indrieș, nel breve paragrafo dedicato ad aici e acolo, aveva messo in risalto questo
verso iniziale:
Si rileva il legame tra le opposizioni deittiche e quelle pronominali, così come il sintagma che
suggerisce che coloro i quali sono situati oltre le sbarre del cancello si trovano in una situazione
minoritaria rispetto a quelli che non ricevono il messaggio [...]. Ma quest’ultima opposizione si
istituisce tanto sul piano iconico quanto su quello semantico, determinato quest’ultimo
dall’opposizione pronominale io vs. voi. L’accento è chiaramente posto sul “qui” in quanto luogo
privilegiato, il luogo del soggetto locutore444.
Si tratta certamente di una lettura interessante, che si intende in questa sede integrare e
approfondire. Secondo la studiosa, infatti, all’interno del corpus poetico blaghiano il
deittico aici rappresenta un’eccezione di grado superiore rispetto alla regola, inferiore,
ove per eccezione si intende l’io poetico e per regola si intende l’alterità445. Secondo
Indrieș, quindi, il deittico acolo assumerebbe su di sé in realtà un contenuto semantico
che identifica l’alterità rispetto all’io poetico, mentre il deittico aici centra in maniera
precisa la posizione dell’io poetico.
Opere, vol. I, p. 132. “Qui è casa mia. Più in là il sole, l’orto degli alveari./ Voi passate per strada,
guardate dal cancello/ e aspettate che io parli. Da dove principiare?” (Baffi, p. 139).
444
Indrieș, Corola, cit. p. 203. “Se remarcă legătura opozițiilor deictice cu cele pronominale, precum și
sintagma care sugerează că cei aflați dincolo de grațiile porții sînt în situația minoră a celor lipsiți de mesaj
[...]. Dar această din urmă opoziție se instituie atît pe plan iconic cît și pe cel semnificativ, determinantă
semantic fiind opoziția pronominală eu vs. voi. Accentul, evident, e pus pe “aici” ca loc privilegiat, loc al
subiectului locutor”.
445
v. p. 204.
443
pag. 213
Fig. 9
In fig. 9 si riporta lo schema che nel lavoro di Indrieș che ha lo scopo di rappresentare
graficamente l’opposizione tra aici e acolo.
Si sono controllate manualmente le singole occorrenze di aici e acolo allo scopo
di osservare in quale percentuale ai due deittici sia associata la prima persona (singolare
e plurale). Aici è associato alla prima persona singolare e plurale nel 38% dei casi, mentre
acolo è associato alla prima persona (singolare e plurale) solo nel 19% delle sue
occorrenze. Questi dati confermano in un certo senso che l’espressione deittica della
prossimità è maggiormente associata all’identità rispetto all’espressione deittica della
distanza, che si fa dunque più frequentemente espressione dell’alterità all’interno della
poesia di Blaga.
Si può certamente dire che, almeno nel caso di Către cititori questa dicotomia tra “io” e
“voi” sia riscontrabile, così come anche nel testo di Fiu al faptei nu sunt:
Fără de număr sunteți, fii ai faptei,
pretutindeni pe drumuri, subt cer și prin case.
Numai eu stau aici fără folos, nemernic,
bun doar de-necat în ape.
Totuși aștept, de mult tot aștept
vreun trecător atotbun și-atotdrept ca să-i spun:
O, nu-ți întoarce privirea,
O, nu-mi osândi nemișcarea.
Cresc între voi, ci umbrit de mânele mele
misticul rod se rotunjește în altă parte.
Nu mă blestemați, nu mă blestemați!
pag. 214
[...]446.
Anche qui riscontriamo in effetti lo stessa schema evidenziato da Indrieș: l’io poetico,
tramite il deittico aici delinea uno spazio identitario che lo separa dal resto degli esseri
umani, e, nonostante l’apparente autodenigrazione, in realtà sta sottolineando al lettore
proprio la sua positiva peculiarità. Eppure, questa lettura, seppur corretta e interessante,
può essere esplorata e approfondita in maniera più sfaccettata.
L’esempio che segue è, infatti, quello di Din cer a venit un cântec de lebedă:
Din cer a venit un cântec de lebădă.
Îl aud fecioarele ce umblă cu frumseți desculțe
peste muguri. Și pretutindeni îl aud eu și tu.
Călugării și-au închis rugăciunile
în pivnițele pământului. Toate-au încetat
murind sub zăvor.
Sângerăm din mâni, din cuget și din ochi.
În zadar mai cauți în ce-ai vrea să crezi.
Țărâna e plină de zumzetul tainelor,
dar prea e aproape de călcâie
și prea e departe de frunte.
Am privit, am umblat, și iată cânt:
cui să mă-nchin, la ce să mă-nchin?
Cineva a-nveninat fântânile omului.
Fără să știu mi-am muiat și eu mânile
în apele lor. Și-acuma strig:
O, nu mai sunt vrednic
să trăiesc printre pomi și printre pietre.
Lucruri mici,
lucruri mari,
lucruri sălbătice – omorâți-mi inima!447
Leggendo questo testo il lettore percepisce la profonda lacerazione vissuta dal poeta. Il
testo è disseminato di opposizioni apparentemente dicotomiche. Dal cielo proviene il
canto del cigno, etereo, salvifico, un canto che viene udito solo dalle giovani fanciulle,
Opere, vol. I, p. 176. “Chi vi novera voi, figli dell’azione,/ dovunque siete, sulle strade, sotto il cielo e
dentro le case?// Solo io sto qui disutile, neghittoso,/ buono solo da affogar nelle acque.// Pure aspetto,
aspetto da molto/ un viandante giusto e buono davvero, per dirgli:/ Oh non evitare il mio sguardo,/ oh non
condannar la mia inerzia./ Cresco fra voi e, all’ombra delle mie mani,/ in altra parte il mistico frutto si
gonfia./ Non maleditemi, non maleditemi! […]” (Del Conte, p. 115).
447
Opere, vol. I, p. 154. “Dal cielo è giunto un canto di cigno./ Andando scalze fra i germogli l’odono/ le
vergini; e, ovunque, tu ed io.// I monaci hanno smesso di pregare/ negli antri della terra. Tutto tace,/ serrato
nella morte.// Sanguinano le mani, la coscienza, gli occhi./ Invano cerchi ancora una fede./ Il brusìo dei
misteri urge alla terra/ ahi troppo prossima al calcagno/ troppo lontana dalla fronte./ Osservai, camminai,
adesso canto:/ a chi m’inchino, a che cosa m’inchino?// Alcuno uomo ha avvelenato i pozzi./ Ignaro, anch’io
bagnavo le mie mani/ nelle lor acque. Adesso grido:/ Oh, non merito più/ di vivere tra gli alberi e le pietre./
Gigantesche, minute/ creature selvatiche ˗ dilaniatemi il cuore!” (Albisani, p. 161).
446
pag. 215
oltre che dall’io poetico e da un tu impersonale al quale l’io poetico si sta riferendo. La
terra, invece, è pervasa dal mistero, è luogo di sepoltura, oscura matrice uterina e
sepolcrale. L’opposizione ricorda quella che si trova anche nel testo Coole Park and
Ballylee, 1931 di W. B. Yeats, dove a un terreno arido e morto viene opposta l’improvvisa
e salvifica visione di un cigno nel cielo:
[...]
Upon the border of that lake’s a wood
Now all dry and sticks under a wintry sun,
And in a copse of beeches there I stood,
For Nature’s pulled her tragic buskin on
And all the rant’s a mirror of my mood:
At sudden thunder of the mounting swan
I turned about and looked where branches break
The glittering reaches of the flooded lake.
Another emblem there! That stormy white
But seems a concentration of the sky;
And, like the soul, it sails into the sight
And in the morning’s gone, no man knows why;
And is so lovely that it sets to right
What knowledge or its lack had set awry,
So arrogantly pure, a child might think
It can be murdered with a spot of ink.
[...]448.
In entrambi i testi il cigno e il suo improvviso apparire – nel caso del testo blaghiano il
cigno si offre al senso dell’udito, è il suo canto infatti a irrompere nel cielo, mentre nel
caso di Yeats si tratta della visione del cigno che improvvisamente, con uno spezzar di
rami secchi, si libra in volo verso il cielo e sembra farsi luce – aprono la prospettiva verso
un orizzonte diverso, si fanno simboli di altro, di un ulteriore piano del reale che potrebbe
essere raggiunto ma che sfugge, è difficile da cogliere. La differenza è che, mentre in
Yeats il paesaggio che si trova in basso è secco e arido, in Blaga la terra non assume
soltanto una connotazione negativa, ma anzi freme di mistero, ed è altrettanto difficile da
raggiungere quanto la dimensione celeste rappresentata dal cigno: la terra, infatti, è troppo
vicina ai piedi ma troppo lontana dalla fronte, e diviene qui emblema di irraggiungibilità
tanto quanto il cielo. L’opposizione, dunque, è, come già abbiamo notato, solamente
apparente, e ciò che a un primo sguardo può risultare inequivocabilmente separato fa in
448
William Butler Yeats, The Poems: a New Edition, London, Macmillan, 1984, p. 245.
pag. 216
realtà parte di un’unità. In questo senso, dunque, il concetto espresso di superiorità e
inferiorità sfuma in un orizzonte di valori meno oppositivi: se è vero che l’io poetico
identifica sé stesso come entità dotata di un compito di enorme importanza, quello del
dipanare il caos e tradurlo in pensiero a favore dei suoi simili, è anche vero che non ostenta
superiorità quanto piuttosto inquietudine e lacerazione, date da un lato dalla
consapevolezza del suo compito e dall’altro dalla percepita impossibilità – o meglio,
difficoltà – di raggiungere quel piano “altro” della realtà che gli si presenta fugacemente:
il canto del cigno, il fremito del mistero sotterraneo.
Le espressioni iconiche di prossimità e distanza, in questo testo, ben si prestano
alla rappresentazione dell’inquietudine di fondo vissuta dal poeta e che è manifesta in
tutto il volume. In tutta la raccolta În marea trecere, infatti, l’espressione della prossimità,
iconica o deittica che sia, è legata al sentimento doloroso di un hic et nunc che non riesce
a sublimare le umane aspirazioni. Si percepisce la forte volontà di conoscere, di
raggiungere di più, ma il sentimento diffuso è quello di una sorta di blocco che impedisce
il raggiungimento di questa conoscenza.
Un altro esempio è quello di Noi, cântăreți leproși:
Mistuiți de răni lăuntrice ne trecem prin veac.
Din când în când ne mai ridicăm ochii
spre zăvoaiele raiului,
apoi ne-aplecăm capetele în și mai mare tristețe.
Pentru noi cerul e zăvorât, și zăvorâte sunt și cetățile.
În zadar cânii ni se închină,
suntem fără scăpare singuri în amiaza nopții.
Prieteni cari stați lângă mine,
încălziți-vă lutul cu vin,
desfaceți-vă privirile peste lucruri.
Noi suntem numai purtători de cântec
sub glia neagră a tăriilor,
noi suntem numai purtători de cântec
pe la porți închise,
dar fiicele noastre vor naște pe Dumnezeu
aici unde astăzi singurătatea ne omoaoră449.
Opere, vol. I, p. 158. “Da segrete ferite lacerati attraversiamo il tempo./ Di quando in quando solleviamo
gli occhi/ verso i boschi del cielo,/ poi recliniamo il capo su più grandi tristizie./ A noi vietato è il cielo,
vietate le città./ La capra invano beve alle nostre giumelle,/ invano ci saluta il cane/ senza speranza soli
nella notte./ Amici, che mi state accanto,/ il fango avvivatelo col vino,/ coi vostri sguardi vestite le cose./
Soltanto noi siamo i cantori/ sotto le zolle nere dei pianeti,/ soltanto noi siamo i cantori/ alle porte sbarrate,/
e qui le nostre donne partoriranno Dio/ dove la solitudine ci uccide” (Albisani, p. 165).
449
pag. 217
In questo testo la prima persona singolare è trasmutata in una prima persona plurale. Aici
è qui nuovamente legato a una sensazione di struggente immobilità: l’io poetico
percepisce l’immensità del mistero ma (ancora) crede di esserne separato, legato a una
dimensione spazio-temporale che glielo preclude, pur percependosi quale motore del
futuro cambiamento. Interessante notare come anche in questo testo, come in Din cer a
venit un cântec de lebădă, il rivelarsi del mistero è associato alla figura di giovani ragazze:
qui le figlie, là le giovani donne che avevano udito il canto.
Nelle postume, invece, si rileva che il deittico aici è legato piuttosto a
un’atmosfera contemplativa, il suo utilizzo ha perso le caratteristiche che aveva in În
marea trecere. Viene meno il doloroso struggimento e si percepisce un tono ben più
disteso.
L’espressione della distanza, che, come si è visto, è forte nei corpora postumi,
viene espressa negli ultimi testi seguendo due diversi schemi. In alcuni testi, infatti, il
deittico acolo e in generale l’espressione spaziale della distanza assumono un tono
nostalgico e quasi epico. La nostalgia, però, è spesso anche associata a una vitalità di
fondo che sottolinea l’accettazione del ciclo dell’esistenza e l’armonia universale, come
nel caso ad es. di Alean arhaic, testo che compare nelle postume degli anni ‘40 e al cui
interno acolo non è solo un riferimento spaziale ma anche temporale:
Acolo-n țara nimănui
privighitori s-abat prin an
și cântă fără de temei
pe munte unde-am stat noi doi,
la loc de blestem și alean.
Pe munte unde-am stat noi doi
și-n freamăt s-a-mplinit ursita,
c-un corn în fruntea lui de basm
un murg să vie, cum aș vrea!
Să-m sape groapă cu copita.
[...]450
In questo testo, acolo rappresenta un luogo e un tempo passati ma anche futuri.
In altri testi postumi, poi, l’espressione deittica della distanza viene utilizzata in maniera
più leggera e narrativa in poesie dal tema romantico e contemplativo. Ci sono poi testi
450
Opere, vol. II, p. 458. [Laggiù nella terra di nessuno/ gli usignoli vagano smarriti/ e cantano senza
motivo/ sul monte dove siamo stati noi due/ luogo di maledizioni e dolore.// Sul monte dove siamo stati noi
due/ e in un fremito si è avverata la profezia,/ con un corno sulla fronte di fiaba/ come vorrei giungesse un
puledro!/ a scavarmi la fossa con gli zoccoli (…)].
pag. 218
quali Orânduire (che compare nelle postume degli anni ‘50 e ‘60) che in un certo qual
modo fondono queste due modalità. In questo testo, infatti, il tema amoroso sfocia in un
senso di unione e comunione universale:
[…]
Mă mângâie un singur gând:
trăim în una și aceeași lume.
Trăim în una și aceeași lume. Prin urmare
nu suntem chiar așa departe
unul de altul!
Ce gând cu adieri amare
când anul și-a pierdut tot smalțul451.
Infine, citeremo un testo apparentemente leggero nel quale, però, finalmente la
lacerazione tra aici e acolo vista in În marea trecere perviene a una benefica sutura, Cuib
de rândunica (che compare anch’esso nelle postume degli anni ‘50 e ‘60):
În cuibul de-argilă, subt streșini,
stau puii – ghirlandă
de capete. Hei, departe ei cată,
departe în landă.
Peste câmp cu miros de lavanda
o ține în zbor, așteptata,
de-a dreptul din soare venind,
muma, muma-săgeată.
Pe marginea cuibului
șase guri deodată
c-un pocnet corola-și deschid.
Astfel răsfrânge un zid
ecoul târziu al Genezei452.
I pulcini di rondine che osservano da lontano la loro madre in volo (simbolo del mistero,
non a caso il poeta sceglie qui di utilizzare anche il sostantivo corolă), certi e confidenti
del suo arrivo, non attendono invano. L’unione finale è finalmente concepita come
possibile, Blaga raggiunge infine un nuovo livello di coscienza poetica. Se volessimo
approssimare da un punto di vista stilistico una poetica blaghiana della prossimità e della
distanza spaziale, anche in prospettiva evolutiva, potremmo dunque dire che, in
particolare nelle antume, questi due concetti tendono a incarnare due aspetti di una stessa
451
Opere, vol. II, p. 345. [Un unico pensiero mi consola:/ il mondo in cui viviamo è uno.// Il mondo in cui
viviamo è uno. E dunque/ non siamo poi così lontani/ gli uni dagli altri!/ Che pensiero dal sapore
amaro/sapere che il tempo ha perso tutto il suo smalto].
452
Opere, vol. II, p. 422. [Nel nido d’argilla, sotto la grondaia,/ stanno i pulcini – una ghirlanda/ di capini.
Oh, lontano scrutano,/ lontano nella landa.// Sopra i campi odorosi di lavanda/ vola, con fermento attesa/
venendo dritta dal sole,/ la mamma, la mamma saetta.// Affacciandosi al nido/ di colpo sei bocche/ con uno
schiocco aprono la corolla./ Così sul muro si riverbera/ l’eco tardiva della Genesi].
pag. 219
questione, e il fatto che compaiano negli stessi volumi, pur assumendosi carichi semantici
diversi (quello dell’identità per l’espressione della prossimità e quello dell’alterità per
l’espressione della distanza) denota una struggente ricerca di senso da parte del poeta,
ricerca di senso che, con il passare del tempo, sfocia in un utilizzo sempre meno frequente
dell’espressione deittica e iconica della prossimità e un utilizzo più frequente e omogeneo
di quella della distanza: nelle postume infatti l’espressione della distanza, associata
all’alterità, si fa più frequente, e inoltre è meno caratterizzata dalla dolorosa tensione
tipica in particolare dei volumi antumi centrali, il che ci fa dedurre che le riflessioni e la
maturità abbiano infine portato Blaga a una visione meno “egocentrica”, più votata a una
visione inclusiva dell’esistenza, che non vede più l’alterità come qualcosa di diverso ma
come parte di un tutto. Il percorso del poeta è un percorso che va dal micro al macro, dalla
dimensione individuale alla dimensione collettiva.
9.2. La deissi temporale
Anche nel caso dell’espressione deittica della temporalità si è partiti innanzitutto
dalle occorrenze di acum e atunci. Nel caso di atunci si sono espunte tutte le occorrenze
che non avevano significato temporale e le occorrenze con significato temporale sono poi
state suddivise in due gruppi: atunci con riferimento al passato e atunci con riferimento
al futuro. Le occorrenze di acum e atunci vengono qui chiamate occorrenze
dell’espressione “deittica” della temporalità per distinguerle dalle altre prese in
considerazione, rinominate “espressione iconica della temporalità” e che comprendono le
occorrenze di azi e astăzi (oggi) per il presente, quelle di ieri e înainte (prima) per il
passato e quelle di apoi (poi), după (dopo) e mâne (domani) per il futuro. Anche nel caso
di questi avverbi sono state espunte tutte le occorrenze il cui significato non aveva valore
temporale. La ricerca di queste espressioni di tipo iconico non può tuttavia coprire la
totalità delle espressioni temporali all’interno del corpus poetico blaghiano, soprattutto a
causa delle infinite possibilità di esprimerle in maniera lessicale, che potranno essere
oggetto di ulteriori ricerche.
pag. 220
9.2.1. Misura
Fig. 17
ACUM - PRESENTE TOKEN
0,35%
0,30%
0,25%
0,20%
0,15%
0,10%
0,05%
0,00%
OC
ANT
Acum
POST
Presente
In fig. 17 vediamo la percentuale di acum e dell’espressione iconica del presente sul
numero di token totali rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e nelle postume.
Fig. 18
ACUM - PRESENTE TOKEN
0,80%
0,70%
0,60%
0,50%
0,40%
0,30%
0,20%
0,10%
0,00%
OC
ANT
POST
Acum
PL
PP
ÎMT
LS
Presente
LCA
LCD
Lineare (Acum)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Presente)
In fig. 18 vediamo la percentuale di acum e dell’espressione iconica del presente sul
numero di token totali in senso diacronico.
pag. 221
Fig. 19
ATUNCI - PASSATO TOKEN
0,12%
0,10%
0,08%
0,06%
0,04%
0,02%
0,00%
OC
ANT
Atunci
POST
Passato
In fig. 19 vediamo la percentuale di atunci e dell’espressione iconica del passato sul
numero totale di token rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e nelle postume.
Fig. 20
ATUNCI - PASSATO TOKEN
0,30%
0,25%
0,20%
0,15%
0,10%
0,05%
0,00%
OC
ANT
POST
Atunci
PL
PP
ÎMT
LS
Passato
LCA
LCD
Lineare (Atunci)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Passato)
In fig. 20 vediamo la percentuale di atunci e dell’espressione iconica del passato sul
numero totale di token in senso diacronico.
pag. 222
Fig. 21
ATUNCI - FUTURO TOKEN
0,20%
0,18%
0,16%
0,14%
0,12%
0,10%
0,08%
0,06%
0,04%
0,02%
0,00%
OC
ANT
Atunci
POST
Futuro
In fig. 21 vediamo la percentuale di atunci e dell’espressione iconica del futuro sul
numero totale di token rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e nelle postume.
Fig. 22
ATUNCI - FUTURO TOKEN
0,30%
0,25%
0,20%
0,15%
0,10%
0,05%
0,00%
OC
ANT
POST
Atunci
PL
PP
ÎMT
LS
Futuro
LCA
LCD
Lineare (Atunci)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Futuro)
In fig. 22 vediamo la percentuale di atunci e dell’espressione iconica del futuro sul
numero totale di token in senso diacronico.
pag. 223
Fig.
23
ACUM - PRESENTE PERCENTUALE POESIE
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
OC
ANT
Acum
POST
Presente
In fig. 23 vediamo la percentuale di poesie in cui compare almeno una volta acum o
l’espressione iconica del presente rispettivamente nell’opera completa, nelle antume o
nelle postume.
Fig. 24
ACUM - PRESENTE PERCENTUALI POESIE
45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
OC
ANT
POST
Acum
PL
PP
Presente
ÎMT
LS
LCA
LCD
Lineare (Acum)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Presente)
In fig. 24 vediamo la percentuale di poesie in cui compare almeno una volta acum o
l’espressione iconica del presente in senso diacronico.
pag. 224
Fig. 25
ATUNCI - PASSATO PERCENTUALE POESIE
9%
8%
7%
6%
5%
4%
3%
2%
1%
0%
OC
ANT
Atunci
POST
Passato
In fig. 25 vediamo la percentuale di poesie in cui compare atunci o l’espressione iconica
del passato rispettivamente nell’opera completa, nelle antume o nelle postume.
Fig. 26
ATUNCI - PASSATO PERCENTUALE POESIE
18%
16%
14%
12%
10%
8%
6%
4%
2%
0%
OC
ANT
POST
Atunci
PL
PP
Passato
ÎMT
LS
LCA
LCD
Lineare (Atunci)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Passato)
In fig. 26 vediamo la percentuale di poesie in cui compare atunci o l’espressione iconica
del passato in senso diacronico.
pag. 225
Fig. 27
ATUNCI - FUTURO PERCENTUALE POESIE
14%
12%
10%
8%
6%
4%
2%
0%
OC
ANT
Atunci
POST
Futuro
In fig. 27 vediamo la percentuale di poesie nelle quali compare almeno una volta atunci
o l’espressione iconica del futuro rispettivamente nell’opera completa, nelle antume e
nelle postume.
Fig. 28
ATUNCI - FUTURO PERCENTUALE POESIE
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
OC
ANT
POST
Atunci
PL
PP
Futuro
ÎMT
LS
LCA
LCD
Lineare (Atunci)
NT
P40 P4050 P5060 PSD
Lineare (Futuro)
In fig. 28 vediamo la percentuale di poesie nelle quali compare almeno una volta atunci
o l’espressione iconica del futuro in senso diacronico.
pag. 226
Da un primo sguardo ai grafici si deduce come in generale l’espressione in senso
deittico della temporalità, sia essa presente, passata o futura presenti percentuali più
rilevanti soprattutto nei volumi antumi. L’unico caso di tendenza crescente lo si ha nel
caso dell’espressione iconica del passato, la cui linea di tendenza sale leggermente (fig.
20).
Si nota altresì che, se nel caso dell’espressione deittica dello spazio il picco di frequenza
compariva in În marea trecere, qui il picco di presenze dell’espressione deittica di
presente e passato coincide invece con La cumpăna apelor, mentre per il futuro notiamo
un picco in Poemele luminii e uno in Nebănuitele trepte.
9.2.2. Interpretazione
Osservando come prima cosa le linee di tendenza dei grafici si nota una generale
tendenza della deissi temporale a diventare meno frequente con il passare del tempo. Un
primo dato rilevante è dunque quello che testimonia di come, nelle raccolte antume e in
particolare nelle prime antume, Blaga utilizzasse più frequentemente avverbi legati
all’espressione di presente, passato e futuro. L’unica eccezione è quella, già menzionata,
dell’espressione iconica del passato visibile in fig. 20, la cui linea di tendenza va
lievemente verso l’alto invece che verso il basso.
In secondo luogo, si nota come l’espressione deittica e iconica del tempo tenda a essere
più
omogenea,
in
senso
diacronico,
rispetto
a
quella
spaziale.
Per quanto riguarda il presente, che è più rappresentato nelle antume che non nelle
postume, dove di fatto registra percentuali basse, si nota un picco di acum nel volume La
cumpăna apelor (fig. 20). Anche nella fig. 24 notiamo un notevole picco delle occorrenze
di acum in La cumpăna apelor ma notiamo anche che, prendendo in considerazione
l’espressione temporale del presente in senso più ampio, anche În marea trecere e
Nebănuitele trepte presentano percentuali rilevanti. Dai grafici si deduce che
l’espressione deittica del presente è maggiormente rappresentata in particolare nei volumi
centrali e fino a Nebănuitele trepte. In questi grafici notiamo anche che lo scarto tra
l’espressione deittica del presente e quella iconica è piuttosto marcato, il che significa
che, per quanto riguarda l’espressione temporale, l’avverbio deittico non rappresentava
pag. 227
necessariamente la scelta privilegiata del poeta. Il picco di Nebănuitele trepte, ad es., è
rappresentato dall’espressione iconica del presente, e non da quella deittica.
Per quanto riguarda invece il passato, notiamo come prima cosa che la sua
espressione deittica (atunci con valenza passata) compare nella stessa percentuale sia
nelle antume che nelle postume, ma, di fatto, è presente solo in Poemele luminii, În marea
trecere, Nebănuitele trepte e nelle postume sia degli anni ‘40 e ‘50 che in quelle degli
anni ‘50 e ‘60. Il picco, almeno per quanto riguarda atunci con valore passato, si presenta
in Poemele luminii. La situazione si presenta leggermente diversa per l’espressione
iconica, che oltre a essere più frequente di quella deittica, ha due picchi in corrispondenza
di La cumpăna apelor e Nebănuitele trepte e che, con percentuali più basse, compare in
maniera omogenea nei corpora postumi. Risulta anche interessante notare che i picchi di
frequenza delle espressioni deittiche e iconiche di presente e passato tendono a
coincidere, in particolare in corrispondenza di La cumpăna apelor e Nebănuitele trepte,
rivelando un andamento intrecciato che ricorda la situazione che già avevamo osservato
per la deissi spaziale.
Ciò non è però vero per l’espressione del futuro: notiamo come sia in fig. 22 che in fig.
28 risulti che le percentuali più basse siano proprio in La cumpăna apelor e in Lauda
somnului. Se dunque l’espressione del passato era particolarmente evidente nei volumi
centrali, quella del futuro si comporta specularmente, comparendo meno frequentemente
in quegli stessi corpora. Sembrerebbe quasi che l’espressione del futuro sia slegata da
quella di presente e passato, che appaiono invece intrecciati. Anche nel caso del futuro
l’espressione iconica è ben più rappresentata di quella deittica, che di fatto compare
soltanto in Poemele luminii, Pașii profetului, Nebănuitele trepte e, in percentuale molto
bassa, nelle postume scritte tra gli anni ‘50 e ‘60.
Se ne deduce che gli avverbi deittici principali non rappresentassero per Blaga la modalità
elettiva di espressione dei concetti di presente, passato e futuro.
Anche nel caso delle espressioni deittiche acum e atunci troviamo un breve
commento di Alexandra Indrieș che nota soprattutto come, all’interno dell’opera poetica
di Lucian Blaga, questa opposizione si inscriva all’interno di due modelli interpretativi ˗
quello della continuità e quello della discontinuità:
pag. 228
La funzione degli avverbi di tempo è soprattutto espressiva, e rivela i sentimenti del poeta di
continuità, somiglianza o discontinuità, di differenza, pur non facendosi generatrice di una vera e
propria topografia mitica personale.453.
Osservando le occorrenze di acum e degli altri avverbi che rappresentano l’espressione
del presente soprattutto nelle antume notiamo che, inizialmente –
quindi in particolare in Poemele luminii e Pașii profetului – esistono diverse modalità
attraverso le quali viene espressa l’idea del presente. Accanto a testi dal tema più leggero,
come ad es. Cresc amintirile, compare il tema del dor, struggente nostalgia, riscontrabile
anche in Leagănul. Infine, già all’interno della prima raccolta, troviamo alcuni testi nei
quali è riscontrabile il tema visto nei paragrafi precedenti dell’apparentemente insanabile
rottura tra sé e una dimensione “altra” della coscienza e della conoscenza percepita dall’io
poetico, cui provoca un doloroso struggimento. Un esempio di tale utilizzo del deittico
azi è riscontrabile in Stelelor:
C-o mare de îndemnuri și de oarbe năzuinți
în mine
mă-nchin luminii voastre, stelelor,
și flacări de-adorare
îmi ard în ochi, ca-n niște candele de jertfă.
Fiori ce vin din țara voastră îmi sarută
cu buze reci de gheață trupul
și-nmărmurit vă-ntreb: spre care lumi vă duceți și spre ce abisuri?
Pribeag cum sunt,
mă simt azi cel mai singuratic suflet
și străbătut de-avânt alerg, dar nu știu – unde.
Un singur gând mi-e rază și putere:
o, stelelor, nici voi n-aveți
în drumul vostru nici o țintă,
dar poate tocmai de aceea cuceriți nemărginirea!454
Si tratta, ancora in nuce, dello struggimento di cui si è già parlato in precedenza, nei
paragrafi a proposito della deissi spaziale, e che si manifestava largamente in În marea
trecere. Anche con la deissi temporale troviamo diversi esempi legati allo stesso tema in
Indrieș, Corola, cit. p. 207. “Funcția adverbelor de timp este mai ales expresivă, dînd în vileag
sentimentul poetului de continuitate, de asemănare a momentelor sau de discontinuitate, de
deosebore a lor, fară a deveni generatoare a unei adevărate topografii mitice personale”.
453
Opere, vol. I, p. 74. “Colmo di impulsi e di cieche brame/ piego alle vostre luci/ le mie ginocchia, o
stelle, e i miei occhi ardono/ come ceri votivi./ Brividi che da voi a me son venuti/ mi bacian con le loro
fredde labbra/ il corpo, ed io, pietrificato, chiedo:/ “A che mondi tendete? e a quali abissi?”/ Ramingo quale
io sono/ mi sento più di tutti solitario/ e corro,/ mentre un interno slancio/ mi spinge non so dove./ Uno solo
è il pensier che mi sorregge/ e mi dà forza:/ o stelle, neppur voi, no, non avete/ lungo il vostro cammino/
una méta cui tendere./ E forse sol per questo conquistate/ la sconfinata immensità dei cieli” (Baffi, p. 99).
454
pag. 229
questa raccolta. Notiamo anche che, all’interno di În marea trecere, il concetto di
“presente” incarna due facce della stessa medaglia: se spesso è un punto di partenza
proiettato in direzione del futuro, in altri testi acum o azi sono rappresentati come un
punto di arrivo. Queste due tipologie di microtesto, pur esprimendo un concetto
apparentemente opposto, in realtà ci dicono la stessa cosa: ci mostrano il tempo concepito
quale flusso, un passato che porta al “punto di rottura” rappresentato dal momento
presente e che apre la strada verso la prospettiva futura.
Un esempio del primo caso è un testo già visto nei paragrafi precedenti, Am înțeles
păcatul ce apasă peste casa mea. In questo frangente riporteremo però il caso della poesia
Psalm, di cui si presenta la strofa finale:
[...]
Iată, stelele intră în lume
deodată cu întrebătoarele mele tristeți.
Iată, e noapte fără ferestre-n afară.
Dumnezeule, de-acum ce mă fac?
În mijlocul tău mă dezbrac. Mă dezbrac de trup
ca de-o haină pe care-o lași în drum455.
Il testo rende dunque l’idea di uno stato presente (seppur ancora solamente espresso
tramite un’angosciosa domanda) che avrà conseguenze su quanto avverrà in futuro. In
testi quali Amintire e Călugărul bătrân îmi șoptește din prag, al contrario, assistiamo agli
effetti del passato sul presente:
Tinere care mergi prin iarba schitului meu,
mai este mult pân-apune soarele?
Vreau să-mi dau sufletul
deodată cu șerpii striviți în zori
de ciomegele ciobanilor.
Nu m-am zvârcolit și eu în pulbere ca ei?
Nu m-am sfredelit și eu în soare ca ei?
Viața mea a fost tot ce vrei,
câteodată fiară,
câteodată floare,
câteodată clopot – ce se certa cu cerul.
Azi tac aici, și golul mormântului
îmi sună în urechi ca o talangă de lut.
Aștept în prag răcoarea sfârșitului.
Opere, vol. I, p. 134. “[…] Ecco le stelle entran nel mondo/ insieme con le mie inquiete tristezze./ Ecco
è notte senza finestre di fuori./ Signore, che debbo fare da ora?/ In te mi spoglio. Mi spoglio del corpo/
come d’una veste che in cammino abbandoni” (Del Conte, p. 89).
455
pag. 230
Mai este mult? Vino, tinere,
ia țărnă un pumn
și mi-o presară pe cap în loc de apă și vin.
Botează-mă cu pământ.
Umbra lumii îmi trece peste inimă456.
Questo testo in particolare, e la presenza al suo interno del vecchio monaco che chiama a
sé la propria ipostasi rappresentata dal “giovane” al quale egli si rivolge, ci mostra come
effettivamente il tempo presente sia un nodo che unisce passato e futuro (il monaco e il
giovane), mescolandoli e di fatto unendoli, confondendoli, rendendo il fluire del tempo
non una narrazione lineare ma circolare. Nel suo trattato L’ordine del tempo, il fisico
Carlo Rovelli scrive:
Anche la distinzione fra presente, passato e futuro diventa quindi fluttuante, indeterminata. Come
una particella può essere diffusa nello spazio, così la differenza tra passato e futuro può fluttuare:
un avvenimento può essere insieme prima e dopo un altro457.
Prendendo come punto di partenza gli enunciati di Rovelli, e pur senza l’intenzione di
addentrarci in questioni di fisica quantistica, possiamo applicare tali concetti alla
concezione del tempo così come presentata all’interno del corpus blaghiano, dove spesso
si ha la sensazione che passato, presente e futuro rappresentino un unicum.
Osservando i grafici spicca il caso di La cumpăna apelor, corpus all’interno del quale le
occorrenze delle espressioni deittiche e iconiche del tempo presente sono molto frequenti.
Esaminando da vicino alcuni dei testi presenti in tale raccolta, notiamo un’interessante
evoluzione dei temi affrontati nei confronti di În marea trecere. In La cumpăna apelor,
infatti, l’io poetico ha proseguito il cammino all’interno della propria identità, superando
e in un certo senso accettando la crisi. In Sat natal, ad es., vediamo come l’io poetico si
percepisca diversamente da come si percepiva in În marea trecere:
După douăzeci de ani trec iarăși pe-aceleași uliți
Opere, vol. I, p. 146. “O giovane che passi sull’erba del mio romitaggio,/ manca ancor molto al tramontar
del sole?// Voglio esalar lo spirito/ insieme con le serpi uccise sull’alba/ dal baston dei pastori./ Non mi son
rivoltato forse anche io/ com’essi nella polvere? Forse/ non sono stato trafitto anch’io nel sole?/ Tutto sono
stato io nella mia vita:/ a volte belva, a volte fiore, a volte/ campana che combatte contro il cielo.// Oggio
qui taccio: il vuoto della tomba/ mi risuona all’orecchio/ qual campano d’argilla. Sulla soglia/ il gelo della
fine attendo. Manca molto?/ Avvicinati, o giovane. Da terra/ prendi un pugno di polvere e riversalo/ sopra
il mio capo, come l’acqua e il vino./ Dammi battesimo tu, qui, con la terra.// L’ombra del mondo mi passa
sul cuore” (Baffi, p. 163).
457
Rovelli, L’ordine del tempo, cit. p. 79.
456
pag. 231
unde-am fost prietenul mic al țărânii din sat.
Port acum în mine febră eternității,
negru prundiș, eres vinovat.
Nimeni nu mă cunoaște. Vântul, el singur, sau plopul
de aur. Plop înălțat de-un fir nevăzut asemenea fusului.
Nedumirit turnul se va uita două ore în urma mea
până m-oi pierde din nou subt dunga apusului.
[...]458
In queste strofe è presente il passato, rappresentato dall’io poetico bambino, ancora in
comunione profonda con il resto del villaggio, l’io poetico presente, già ben consapevole
della propria condizione, che è qui presentata non più come un doloroso presentimento
ma come un dato di fatto, ed è aperto lo spiraglio verso il futuro. Eppure, nonostante l’io
poetico abbia apparentemente accettato il proprio ruolo, è evidente che il percorso non è
ancora del tutto concluso: nessuno infatti lo riconosce, e se accettiamo l’idea che, tramite
una sorta di transfer, il poeta trasli una parte della propria coscienza all’interno della
rappresentazione dell’altro, è chiaro che il processo sia ancora in fieri: è egli stesso a non
riconoscersi. Il processo però continua all’interno dello stesso volume, e nel testo
Arhanghel spre vatră assistiamo al principio di un moto di ritorno verso le proprie origini:
Mă-ntorc de acum ca
albina spre stup,
cu harul subt aripi
cu-amurgul în trup.
Pe cumpăna lumii
o zi se înclină
plină de fapte
și fără de vină.
De câte ori calc
prin brazda bătută,
buzele humei
pe tălpi mă sărută.
Mă-ntorc de acum spre
vatra-n lumină.
Adâncile mele orzuri se-nchină459.
458
V. n. 362.
Opere, vol. I, p. 266. [Ritorno ora come/ un’ape verso l’arnia,/ la grazia sotto le ali/ il tramonto nel
corpo.// Sul bilanciere del mondo/ un giorno si spegne/ ricco di fatti/ e senza peccato.// Ogni volta che
passo/ tra i solchi dei campi,/ le labbra d’argilla/ baciano i miei piedi.// Ora ritorno verso/ il mio focolare di
luce./ I semi miei profondi/ si prostrano].
459
pag. 232
L’io poetico, dunque, cosciente del proprio ruolo, fa ritorno all’alveare, simbolo per
eccellenza della comunità operosa. Lo stesso motivo è riscontrabile ancora nella poesia
La cumpăna apelor, che dà il titolo alla raccolta, ove l’io poetico, rivolgendosi a un tu
impersonale, lo invita alla discesa dalla cima del monte sul quale erano saliti e dal quale
avevano a lungo osservato lo spettacolo del mondo sottostante:
[…]
E mult înapoi? Atâta e și de-acum înainte
cu toate că mult mai puțin o să pară.
Ne-ascundem – stins arzând – după nalucă de vară.
Ne-nchidem inima după nespuse cuvinte.
Poteca de-acum coboară ca fumul
din jertfa ce nu s-a primit. De-aici luăm iarăși drumul
spre țărna și valea trădate-nmiit
pentr-un cer chemător și necucerit460.
Proprio questi testi ci dimostrano come la lettura di Indrieș riguardante la superiorità
percepita dall’io poetico nei confronti dell’alterità sia di fatto la cifra iniziale di una
complessità più profonda: l’apparente opposizione tra identità e alterità presente nei testi
poetici blaghiani si rivela essere più complessa, soprattutto nei volumi antumi più tardivi
e poi nelle postume. Identità e alterità divengono così due aspetti di una stessa questione,
due facce della stessa medaglia, e se l’io poetico percepisce sé stesso come investito di
un compito importante, percepisce anche la sua unione di fondo con l’alterità, con la
comunità umana, verso la quale, dopo un momento di crisi e rottura, vuole tornare come
Prometeo portando la fiaccola rappresentata dalla poesia. È qui il caso di citare
nuovamente Rovelli, che afferma “forse una radice profonda della scienza è la poesia:
saper vedere al di là del visibile”461.
Nelle postume degli anni ‘40 e ‘50 troviamo alcuni testi che confermano questa
interpretazione secondo la quale in un certo senso, all’interno della poesia blaghiana,
passato, presente e futuro collimano. Lo vediamo in Pod peste Mureș, per esempio, in
Opere, vol. I, p. 268. “C’è molto alle spalle? Altrettanto c’è ancora da oggi in avanti,/ sebbene avverrà
che assai meno ci paia./ Ci nascondiamo ˗ spento ardore ˗ dietro barbagli d’estate./ Suggelliamo il cuore su
non pronunciate parole./ Il sentiero discende, da ora, qual fumo/ d’un sacrificio che accolto non fu. Di qui
riprendiamo il cammino/ verso la piana e ka valle troppe volte tradite/ per un cielo che chiamava, ma che
ci sfuggì” (Del Conte, p. 171).
461
Rovelli, L’ordine del tempo, cit. p. 28.
460
pag. 233
Tusculum, Bocca del Rio, 9 Mai. Prenderemo qui in considerazione soprattutto Vârstă de
fier:
Să ieși pe stradă ți-e dat,
dar nu fără griji, ca-n zile de altădată.
La fieștecare pas, la fiece colț, te-ntâmpină: timpul.
Ăst timp ce veni peste noi,
întăi ca pustiul Gobi, apoi ca tumultul unei urniri
de ape și continente,
sălbatic ca o revărsare peste toate
a magmelor din noapte.
Unde, în ce întuneric
ți s-au ascuns mulții semeni și frații, surorile,
cu suferințele lor, te întrebi.
S-aude sumbră o șoaptă adusă de vânt
că, deși în viață încă,
noi suntem o amintire doar, fabulă,
deznodământ așteptând între veac și mormânt.
[...]462
Lo stesso tema, poi, compare anche in un altro testo delle postume degli anni ‘40 e ‘50,
Ce îmbătrânește în noi:
Ce îmbâtrânește în noi
că neașteptat ne simțim într-o dimineață
doritori să ne ascundem
nume și față?
Ce îmbâtrânește în noi
că într-un amurg de zi și de viață
ne găsim oameni de altădată,
străini printre cei de azi,umbre în ceață?
Nu-mbătrânește în noi valul de sânge,
nici inima cât bate, nici patima,
nici spiritul, nici răsunetul în urechi,
numai lacrima.
Omul bătrân plânge
cu lacrimi vechi463.
Opere, vol. II, p. 18. “Uscire per strada ti è concesso,/ ma non senza timori, come in giorni lontani./ A
ogni passo, a ogni angolo, ti viene incontro il tempo./ Questo tempo che è sceso su di noi,/ prima come il
deserto del Gobi, poi con il frastuono di un moto/ d’acque e continenti,/ selvaggio come un riversarsi sulle
cose tutte/ dei magmi della notte.// Dove, in quale oscurità/ si sono nascosti i molti tuoi simili e i fratelli, le
sorelle,/ con le loro sofferenze, ti chiedi./ Si ode cupo un sussurro portato dal vento:/ benché ancora in vita,/
noi siamo solo ricordo, favola,/ in attesa di epilogo tra la vita e la morte” (Cugno, p. 145).
463
Opere, vol. II, p. 369. [Cosa invecchia in noi/ quando senza presagio, una mattina, desideriamo/
nascondere il nostro nome e il nostro volto?// Cosa invecchia in noi/ quando al tramonto di un giorno e di
una vita/ ci scopriamo appartenere a un’altra era,/ estranei tra gli altri, ombre nella nebbia?// Non è l’onda
462
pag. 234
Ecco dunque che, per il Blaga poeta, passato e presente, soprattutto nei testi
tardivi, si fanno eco di un tempo universale che tutto racchiude, all’interno del quale la
distinzione tra prima e dopo viene meno. Blaga si fa quasi precursore, a livello intuitivo
certamente, delle concezioni della fisica contemporanea. Scrive Rovelli, infatti, che “se
osservo lo stato microscopico delle cose, la differenza tra passato e futuro scompare”464
e ancora “la differenza fra passato e futuro si riferisce alla nostra visione sfocata del
mondo”465. Queste affermazioni sono in un certo senso sovrapponibili a due diversi
concetti del tempo riscontrabili all’interno della poetica blaghiana: esiste infatti una
concezione del tempo cronologico, causale, visto come una sequenza di momenti che dal
passato portano inevitabilmente al futuro, e che è il tempo teleologico, cristiano, ma anche
quello mondano e della vita quotidiana (il tempo che troviamo nella poesia Umbra, in
Pașii profetului); e un tempo invece cairologico, che racchiude in sé quello cronologico,
come un mare attraversato da una corrente. Questo secondo tempo cairologico che
potremmo definire “universale” è un tempo nel quale passato, presente e futuro
coesistono e si (con)fondono. Marie-Louise von Franz, commentando l’opera del suo
mentore Jung, parla di pensiero causale e pensiero sincronico, concetti strettamente
collegati alla concezione del tempo:
Nella sua prefazione all’edizione inglese della traduzione di Richard Wilhelm dell’I Ching o il
Libro dei Mutamenti, Jung sintetizza molto bene la differenza tra pensiero causale e pensiero
sincronico. Il pensiero causale è, per così dire, lineare. C’è una sequenza di eventi A, B, C, D, e tu
li ripensi a ritroso domandandoti come mai D accada per via di C, C per via di B, B per via di A,
come se ciascuno fosse, rispetto all’altro, una sorta di evento interno o esterno. Proviamo così a
rintracciare mentalmente il modo in cui questi effetti sono concatenati tra loro. […] Di contro, il
pensiero sincronico può essere considerato un campo di pensiero il cui centro è il tempo”466.
E ancora “[…] nel pensiero sincronico […] un preciso istante nel corso del tempo è il
momento centrale che dà unità al fatto, il punto focale di osservazione per quel complesso
di eventi”467 e spiega infine che:
del sangue a invecchiare,/ né il cuore palpitante, né la passione/ né lo spirito o l’eco nell’orecchio,/ la
lacrima soltanto.// Piange vecchie lacrime l’uomo anziano].
464
Rovelli, L’ordine del tempo, cit. p. 36.
465
Ibidem, p. 36.
466
Marie Louise von Franz, Divinazione e sincronicità. Psicologia delle coincidenze significative, Roma,
Edizioni Tlon, 2019, pp. 9-10.
467
Ibidem, pp. 12-13.
pag. 235
Egli [Jung, ndA] suggerisce l’ipotesi che gli eventi sincronici siano fenomeni casuali di ciò che
egli chiama «ordinamento acausale». In altre parole, possiamo supporre che nella realtà psichica,
così come nella realtà fisica, vi sia una specie di ordine atemporale costante e che gli eventi
sincronici ricadano nell’ambito di quest’ordine, di cui sono singole attualizzazioni sporadiche” 468.
Ed è proprio questo “ordine atemporale” di cui parlano von Franz e Jung quello che
troviamo anche nella poesia di Blaga, ad es. in Pan: un tempo universale, infinito, del
quale noi abbiamo soltanto una visione sfumata e che racchiude il nostro tempo
quotidiano, che dalla nostra prospettiva limitata percepiamo in maniera miope quale serie
di eventi concatenati e causali.
Un discorso a parte merita poi la concezione blaghiana del futuro. Osservando
“analogicamente” le occorrenze dell’espressione deittica e iconica del futuro, infatti, si è
percepita una differenza sostanziale tra l’approccio delle prime antume e quello delle
postume. Il futuro è largamente rappresentato sia nelle antume che nelle postume, con
una percentuale minore all’interno dei corpora antumi centrali. Notiamo che in generale
l’idea del futuro all’interno del corpus poetico blaghiano è molto legata al tema della
morte. Questo tema, però, viene espresso in maniera molto organica e quasi “gotica”
all’interno delle opere antume, in particolare quelle giovanili, dove la morte stessa è
praticamente sempre la morte fisica, che emerge nei testi tramite rimandi macabri alle
ossa, alle ceneri, alla tomba. Già nelle postume degli anni ‘40 notiamo che il tema della
morte diviene via via meno legato alla dimensione fisica per tramutarsi in un concetto più
metafisico. L’approccio alla morte si fa, con il passare del tempo, immateriale e
contemplativo. Un primo esempio tratto dalle postume degli anni ‘40 è riscontrabile in
La cincizeci de ani:
Cincizeci de ani! Momentul e un munte
ce-mparte apele: spre răsărit și spre apus.
Răsună văi de aur undeva în urmă,
și-un scârțâit de zodii, ca de osii, sus.
Memoria mi-a caligrafiat trecutul
cu dulci contururi de peisaj lunar.
Privind spre prundul tainelor de mâne
saliva-n gură capătă un duh amar469.
468
Ibid., p. 153.
Opere, vol. II p. 462. [Cinquant’anni! Il momento è un monte/ che divide le acque: ponente e levante./
Da qualche parte alle spalle nelle valli d’oro risuona/ uno scricchiolio di costellazioni, come quello di un
469
pag. 236
Abbandonando il gusto per l’immagine di organica dissoluzione del corpo che aveva
caratterizzato le antume, qui la morte è velata, non mostrata in maniera diretta ma
suggerita da quel gusto amaro che si affaccia sul finale.
Testo emblematico risulta infine essere Încă o dată, che compare nelle postume degli anni
‘50 e ‘60:
Nu mi-e destul. Și după orișice
aș spune: înc-o dată!
Orice se ntâmplă-i ca și cum
s-ar întâmpla c-o fată.
Ah, nici un rod nu mi-e destul,
îl vreau și-n alte chipuri.
Se poartă râul către mări,
dar piere în nisipuri.
Nu-i apă să astâmpere de-ajuns,
nu mi-e destul viața, cartea.
Iubire-aș vrea, pierzare, jar,
cum voi simți odată moartea.
Nici din lumină n-am destul,
căci ea-i doar o legendă, iată.
Nimic sub zare nu-i destul,
vreau totul înc-o dată!470
La vitalità espressa in quest’ultimo testo fa da eco a quella espressa con l’ardore
delle prime antume, in una interessante ripresa dell’immagine del tempo come un grande
mare sincronico così come individuato nella presente analisi: passato, presente e futuro
convergono al centro di questa unità del tempo poetico, analogamente, a livello intuitivo,
a quanto accade nel tempo narrato da Rovelli, secondo il quale “la struttura temporale del
mondo è più complessa che una semplice successione lineare di istanti”471. Così la poesia
di Blaga è più complessa che un semplice fluire di temi e motivi, e la sua struttura è un
articolato universo di istanti ed eternità che si inseguono.
perno, in alto.// La memoria ha scritto il mio passato/ con dolci tratti di paesaggio lunare./ Occhieggiando
verso la sponda dei misteri di domani ˗/ in bocca la saliva prende un sapore amaro].
470
Opere, vol. II, p. 226. “Non mi basta. E dopo ogni cosa/ direi: “Ancora una volta!”/ Tutto avviene così
come/ avverrebbe con una ragazza.// Ah! Nessun risultato mi basta,/ Io voglio ancora sotto altro aspetto./
Il fiume va verso il suo mare,/ ma poi in mezzo alle sabbie si perde.// Non c’è acqua bastante a calmarmi,/
non mi basta la vita, né i libri./ Vorrei amare, perire, bruciare,/ come sentirò una volta la morte!// Nemmeno
la luce mi basta:/ essa a volte è soltanto leggenda./ Nulla ormai sotto il cielo mi basta,/ tutto, tutto volgio io
ancora una volta!” (Albisani, p. 261).
471
Rovelli, L’ordine del tempo, cit. p. 97.
pag. 237
Volendo trarre conclusioni da un punto di vista stilistico, la poetica blaghiana legata al
concetto della natura del tempo sembra modificarsi in senso diacronico, passando da una
visione del tempo percepita come cronologica, mondana (anche esemplificata da un
utilizzo ben più frequente delle espressioni deittiche e iconiche del tempo all’interno delle
opere giovanili e antume) a una visione del tempo quale grande mare sincronico,
all’interno del quale non è più tanto l’ordine causale e cronologico ad avere importanza
quanto la portata emotiva di un singolo istante, che sembra coesistere in maniera
sincronica in una dimensione temporale decisamente più ampia.
pag. 238
CONCLUSIONI
Al termine di questo studio si può tentare di rispondere alla domanda che ci si era
posti inizialmente e provare a determinare quanto l’utilizzo delle metodologie e degli
strumenti digitali afferenti al campo della Corpus Stylistics e delle Digital Humanities
possa essere rilevante nello studio della letteratura romena.
Le difficoltà incontrate durante la ricerca non sono minimizzabili, e derivano in
parte dalla (attualmente) scarsa raffinatezza degli strumenti a nostra disposizione, ideati
inizialmente per offrire il massimo della loro potenzialità quando applicati a lingue quali
l’inglese. Se è vero che Sketch Engine è uno dei pochi software e programmi che
attualmente offrono la possibilità di effettuare query anche su corpora in altre lingue, è
altrettanto vero che le funzioni del software sono modellate e pensate specificatamente
per la lingua inglese ed è talvolta complicato ottenere risultati davvero soddisfacenti
utilizzandolo su corpora in lingua romena. Questo comporta il fatto che tutto il lavoro
preparatorio richieda parecchi passaggi analogici supplementari, in quanto tutti i risultati
delle query vanno poi ricontrollati manualmente allo scopo di correggere i numerosi
errori. Tali errori producono per il ricercatore una serie di difficoltà oggettive: il software,
ad es., non è attualmente in grado di distinguere il genere del pronome, e molte volte le
varie parti del discorso possiedono tag errati. Questi inconvenienti rallentano di parecchio
il lavoro e in questo modo tutta una parte dei vantaggi dell’utilizzo di tecniche e strumenti
digitali risulta vanificato. Gli altri strumenti a disposizione (ad es. Wordsmith Tools), se
utilizzati su corpora in romeno, offrono funzionalità pari o inferiori a quelle di Sketch
Engine: mancano dunque ancora strumenti sufficientemente avanzati che permettano
analisi raffinate e che richiedano meno lavoro di limatura dei risultati.
È importante ricordare come la presente ricerca sia sempre basata su un tentativo
di abbinare l’interpretazione “umana” ai dati, alla misura. Non si può mai parlare, nel
caso del presente studio, di distant reading “puro” in quanto il primo passo (ancora prima
dell’ottenimento dei dati, della “misura” da analizzare) è sempre stato una preinterpretazione: l’interprete umano, nel caso di ricerche come questa, possiede già una
sua idea, sa già cosa vuole andare a misurare, e dunque anche i dati ottenuti dagli
strumenti digitali sono il risultato di una sorta di query critica impostata secondo un
obiettivo spesso molto preciso.
pag. 239
Nonostante le difficoltà è bene sottolineare come gli strumenti digitali consentano
all’ermeneuta di cogliere dettagli e di aprire piste di lettura che altrimenti rischierebbero
di perdersi e non venire alla luce, o anche di confermare precedenti ipotesi critiche proprio
grazie allo studio dei dati oggettivi ottenuti. I risultati che si sono acquisiti sono
decisamente promettenti. La ricerca, infatti, è una novità nel suo genere e,
auspicabilmente, può avere ricadute interessanti sia nell’orizzonte della critica blaghiana
sia in quello più ampio dello studio della letteratura romena. Si spera, inoltre, che questo
lavoro possa fare da incoraggiamento in vista di un eventuale interesse volto a migliorare
la qualità e la quantità delle risorse digitali disponibili.
La scelta di avvalersi delle metodologie e degli strumenti afferenti al campo delle
Digital Humanities ha dunque effettivamente influenzato i risultati che si potevano
ottenere? L’approccio a media distanza coadiuvato da strumenti di calcolo digitali ha
avuto ripercussioni interessanti sulla ricerca? La risposta è sicuramente affermativa: la
visione d’insieme offerta da grafici e “misura” ha permesso un colpo d’occhio immediato
su determinate caratteristiche stilistiche che difficilmente potrebbero essere colte a occhio
nudo. Ciò ha permesso di poter correggere o suffragare interpretazioni del passato, ma
anche di aprire nuovi scorci interpretativi, che lasciano intravedere interessanti piste da
seguire per ricerche future.
Concludiamo quindi affermando che l’approccio digitale utilizzato per la presente
ricerca, pur restando tenacemente intrecciato a quello analogico e pur rappresentando
l’altra faccia della stessa medaglia, ci permette comunque di vedere l’insieme e il
dettaglio sotto una luce nuova, diversa, che illumina zone altrimenti destinate a rimanere
nell’ombra.
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pag. 249
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento davvero sentito va al Professor Roberto Merlo per la sua
pazienza, la sua dedizione e la generosa condivisione di conoscenze ed esperienze. Questo
lavoro non sarebbe stato possibile senza il suo impareggiabile supporto, e senza la fiducia
che ha riposto in me e nel mio progetto. Un ringraziamento speciale anche alla
Professoressa Ioana Bican e al Professor Dan Octavian Cepraga per l’attenzione e la cura
che hanno dedicato alla revisione di questa ricerca.
Ringrazio inoltre di tutto cuore mio marito Sirio, che è stato il mio punto fermo,
il mio maggior sostenitore, il mio sprone, il mio tutto. E un grazie alle mie stelle, i miei
meravigliosi bambini Zeno e Dante, nati e cresciuti insieme alla mia ricerca, che mi hanno
permesso di scoprire una dimensione di me stessa e del mondo che mai avevo intuito
prima e che mi hanno insegnato che è possibile lavorare nelle condizioni più impensabili.
Ringrazio inoltre tutte le persone che, consapevolmente o meno, hanno contribuito in
qualche maniera allo sviluppo del mio progetto, e alla sua realizzazione concreta: chi mi
ha donato una parola, chi un punto di vista, chi un abbraccio, chi una spalla su cui
piangere, chi un libro, chi un pomeriggio di svago, chi una canzone, chi una risata ecc.
Ringrazio dunque Annalisa, Elisabetta, Maurizia, Federica, Jessica, Noemi, Alina, Sara,
Aura, Simona, Monica e Andrea, Lara, Martina, Matilde, Eleonora e Gian, Francesco,
Erell e tutti gli amici che ci sono sempre stati.
Un ringraziamento di cuore alla mia famiglia, che ha sempre creduto in me, e a Valeria e
Roberto per avermi accolta con tutto il loro affetto e avermi sostenuta e aiutata sempre.
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