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Prometeo incatenato

Prometeo incatenato

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Con il Prometeo, Eschilo portò sulla scena i contrasti politici
e sociali dell’Atene del V secolo a.C.: una città all’apice della
propria potenza, che confidava troppo e ciecamente in quella
tecnica che Prometeo inventa, ma che nella tragedia, al
contempo, condanna. Eschilo era forse preveggente, come il
titano protagonista del dramma, dunque già intuiva la tragedia
che si prospettava all’orizzonte. Il mito di Prometeo è, come
tutti i miti, una realtà stratificata, un complesso di simboli e
significati sedimentatisi nei secoli e allora, rimosso lo strato
databile all’età di Eschilo, emerge il contrasto fra divinità
femminili, venerate da genti prearie, e quelle virili, celesti,
portate seco dagli indoeuropei: matriarcato e patriarcato.
Andando più in profondità, improvvisamente proviamo
smarrimento e vertigine. Sospesi nell’universo, contempliamo
le stelle e il loro moto. Apprendiamo che anche gli dei
muoiono, presi come gli umani nell’inesorabile meccanismo
celeste. Ecco il crimine di Prometeo: avere svelato ai mortali
il funzionamento dell’orologio cosmico, descritto anche da
Eraclito, il cui pensiero sembra sottendere alla tragedia, come
quello di altri presocratici. Nulla sfugge alla morte. È dunque
Prometeo un crudele distruttore di illusioni, abilmente
mascherato da filantropo?

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