La sigaretta e la chitarra. Non gli serviva altro. Perché bastava che iniziasse a cantare – due o tre parole al massimo – per far calare il silenzio. Che fosse una stanza o un palazzetto dello sport con migliaia di persone venute da ogni angolo ad ascoltarlo. Ci manca tanto Fabrizio De André. Che se ne andava in una fredda giornata di inverno di 25 anni fa. L’11 gennaio 1999.

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A Milano. Quella città sopportata e mai davvero sua. Come potevano essere, invece, la Gallura e Genova. I veri posti dell’anima. E del cuore. Cantanti e sublimati in tante canzoni. Perché è soprattutto attraverso quelle che il ricordo si fa presente. Come se il tempo si fosse fermato e l’assenza corporea un dettaglio trascurabile.

Per questo abbiamo scelto 10 brani tra i più belli e famosi del cantautore genovese. Quelli che lo hanno reso – lo rendono – immortale. Come tutte le liste è parziale e un pizzico personale. Ma mette bene in risalto l’altissima qualità poetica dei testi di Faber. Che forse, davvero, è stato più un poeta che un cantautore. Ma questa è tutta un’altra storia. Per ora, alzate solo il volume.

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25 anni fa moriva Fabrizio De André. Per ricordarlo abbiamo scelto 10 canzoni che lo hanno reso un poeta immortale (foto Getty Images)

“La canzone di Marinella”

La prima. Forse non la più bella. Ma quella che ha dato il via a tutto. La canzone di Marinella è del 1962. De André la incide ma non ha successo. Che arriverà solo nel 1967 con la versione di Mina. Eppure, in quelle rime semplici Marinella/bella/stella c’è tutta la pietas che il poeta riserverà sempre agli ultimi.

“Geordie”

Siamo nel 1966 e il decimo singolo do Fabrizio De André è accompagnato da un’altra canzone d’amore: Amore che vieni, amore che vai. Ma Geordie, con la sua musica da ballad struggente presa dal folklore inglese, ci trasporta in un altro mondo. Una rivisitazione che ha lasciato il segno

“Il testamento di Tito”

Nel 1970 esce il concept album La Buona Novella, tratto dalla lettura di alcuni Vangeli apocrifi. Uno dei più toccanti del repertorio di De André. Abbiamo scelto Il testamento di Tito perché Fabrizio diceva che «è, insieme ad Amico fragile, la mia miglior canzone. Dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha». Il ladrone crocifisso accanto a Gesù rilegge i 10 comandamenti.

“Don Raffaè”

Fabrizio De André e le lingue. Lui che ha sublimato l’italiano e il genovese, nel 1990 compone un brano in napoletano. Il risultato è Don Raffaè. Che ha anche cantato in coppia con Roberto Murolo.

“La guerra di Piero”

Georges Brassens (e tanti poeti francesi) da una parte, lo zio, fratello di mamma, dall’altra. In mezzo un forte sentimento antimilitarista che ha sempre accompagnato il pensiero di De André. Una poesia in musica: questo è La guerra di Piero. Una delle prime che si imparano a memoria della sua discografia.

“Bocca di Rosa”

«Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio». Basterebbe questo verso, ma Bocca di Rosa è anche molto altro. Un capolavoro in rima entrato nell’immaginario collettivo. un inno di amore e libertà: «C’è chi l’amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione. Bocca di rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione».

“Un chimico”

C’è tanto in Non al denaro non all’amore né al cielo, il concept album tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. C’è Fernanda Pivano, che per prima ha tradotto quei versi. C’è Nicola Piovani con le sue musiche. Ci sono i vizi e le virtù degli abitanti di un paesino dell’America rurale che vengono trasformati in attuali. Questa di Un chimico è la storia del farmacista Trainor e della sua incapacità a capire l’amore.

“Creuza de mä”

Il brano che dà il titolo anche all’album è il terremoto che squassa la discografia italiana dei primi Anni 80. Perché c’è un prima e c’è un dopo Creuza de mä. Disco tutto cantato in genovese che racconta la città di mare, la sua gente, il suo territorio. Solcato dai viottoli che collegano il mare e l’entroterra. Le Creuza de mä, appunto.

“Via del Campo”

Quando si va a Genova il pellegrinaggio è d’obbligo. Anche se della Via del Campo cantata da Fabrizio De André è rimasta solo la forma. E non la sostanza. Quella, cioè, di essere la casa degli ultimi, degli emarginati. Delle prostitute e dei travestiti nella Genova degli Anni 60. Ma che ci dà un insegnamento importantissimo: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

“Hotel Supramonte”

Il luogo dell’anima di Fabrizio De André è la Sardegna. La terra amata e mai odiata, nemmeno dopo il rapimento per mano dell’anonima sequestri sarda (lui e Dori Ghezzi sono rimasti prigionieri dall’agosto al dicembre 1979). Il risultato è questa canzone, Hotel Supramonte. Ovvero quel massiccio montuoso dell’entroterra, storico nascondiglio dei più famosi criminali dell’isola.


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