Credere l’impensabile

 
 

Credere l’incredibile è ciò in cui s’impegna la fede. Non è facile, ma se fosse facile non ci sarebbe merito nella fede. Occorrono alcune precisazioni. Distinguiamo tra incredibile e impensabile. L’impensabile è ancora più arduo dell’incredibile. Qualche esempio.
La verginale maternità di Maria non è impensabile, perché se Dio ha voglia, la può produrre e l’ha prodotta. Così pure la risurrezione di Gesù e via dicendo. Non è sufficiente che una cosa non sia mai accaduta per dirla impensabile. La cultura greco- romana e altre hanno mandato in scena incredibili ma pensabili energumeni: pensabili al punto che sono anche riprodotti visivamente. Mi riferisco a centauri, minotauri e affini: figure mezzo uomini e mezzo animali. Chi non ne ha visto la figura in qualche libro? Basta sfogliare la Divina Commedia illustrata dal Dorè o dal Botticelli e te li trovi dentro. Le possiamo dire incredibili perché non risultano essere mai esistite, ma facilmente pensabili.

Il Dio uno e trino si trova, a parer mio, a metà strada fra l’incredibile e l’impensabile. L’uno non fa problema, perché è pensato così da ogni religione seria. Il trino complica la faccenda, perché induce a moltiplicarlo per tre, dando luogo a un risicato politeismo. E allora interviene l’efficace espediente geometrico del triangolo equilatero: è uno solo, ma con tre angoli e lati distinti, perché uno non è l’altro, e perfettamente uguali fra loro. In tal modo riusciamo ingenuamente a capacitarci delle tre Persone uguali e distinte.
Nella dottrina cristiana l’impensabile lo troviamo nell’Eucaristia, il più arduo articolo della nostra fede in termini di credibilità e pensabilità. Il teorema eucaristico enunciato da Gesù non è impensabile:
il mio corpo è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna (Gv 6,54).
Provoca tuttalpiù un sobbalzo per orripilante antropofagia. L’impensabile scatta nell’ultima cena, quando maneggiando il pane e il calice dice: ”Questo è il mio corpo/questo è il mio sangue”. Se sono pane e vino come fanno a essere corpo e sangue? La faccenda non si semplifica dicendo goffamente che il pane contiene il corpo e il vino il sangue: come una realtà più grande può stare in una più piccola? Non hanno avuto tutti i torti quelli di Cafarnao quando se ne sono andati brontolando “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60).
Ma le cose si complicano ulteriormente nello svilupparsi della dottrina eucaristica tradizionale. Vediamone i punti:

  1. Si spezza il pane ma non il corpo;
  2. In ogni frammento e goccia eucaristici(1) c’è il Christus totus, ossia il Cristo integrale in corpo, sangue, anima e divinità;
  3. Il Christus totus si realizza eucaristicamente in più Messe celebrate contemporaneamente in diverse località;
  4. Il Christus totus (per fortuna sua!) non soggiace alle usuali leggi fisiologiche della digestione.
    Eccoci al traguardo: l’Eucaristia se ne frega delle condizioni spazio-temporali. Esiste pertanto fuori dal tempo e dallo spazio: è dunque il più soprannaturale di tutti i sacramenti. E noi non riusciamo a capacitarcene perché il nostro non eccelso cervello non ce la fa a uscire dal tempo e dallo spazio. Ecco allora l’alternativa:
    • L’Eucaristia è una balla perché fuori dal tempo e dallo spazio non c’è niente, quindi non può esserci neanche l’Eucaristia. Arrogante conclusione. Preferisco il possibilismo del filosofo Kant (1724-1804) che afferma l’impossibilità del pensiero umano di andare oltre il tempo e lo spazio; ma ammette che ci possa essere qualcosa a noi sfuggente;
  5. • La fiducia petrina. Quando Gesù, a termine del discorso eucaristico è piantato dalla moltitudine, invita i Dodici ad andarsene anche loro. Grande dimostrazione veritativa, equivalente a “E’ talmente vero quello che ho detto, che non cambio una virgola”. La risposta di Pietro:
  6. Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68).
  7. Pietro non è mai stato grande come in questa circostanza e, fra le varie risposte che dà a interpellanze di Gesù, questa è a parer mio la più spettacolare e coinvolgente: coinvolgente perché condivisibile da tutti i cristiani fedeli e praticanti. Equivale a “Non abbiamo capito un tubo di quello che hai detto, ma sono certo che non racconti balle: quindi rimaniamo”.
  8. L’Eucaristia dunque certamente non pensabile, ma da credersi. E in questo sta la sua bellezza e il suo fascino: è una scintilla del soprannaturale che brilla ai nostri modici livelli cerebrali per trascinarci alla vita eterna (Gv 6,54).
  9. Ma c’è altro. Non soltanto trascinamento alla vita eterna per efficienza eucaristica. C’è pure inabitazione reciproca tra Cristo e il cristiano, come ancora si legge nello sconcertante discorso di Cafarnao, ove Gesù aggiunge:
  10. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Gv 6,56).
  11. Mi viene in mente un libro intitolato L’uomo è ciò che mangia. L’autore è il tedesco Ludwig Feuerbach († 1872), di orientamento decisamente materialista. Il pensatore sostiene, peraltro con buone ragioni, che gli alimenti metabolizzati si trasformano nel corpo dell’uomo. Intende il tal modo affermare il primato della corporeità, dalla quale in qualche modo dipenderebbe anche il pensiero allignante nel cervello di consistenza materiale. Affermazioni di questo genere, non tutte campate in aria, tirano però acqua al mulino dell’Eucaristia. Perché se io di lei mi nutro, da quello che Gesù ha detto discende una sorta di identificazione fra Lui e il cristiano. Diversamente non avrebbe senso l’inabitazione reciproca fra entrambi, sopra riportata, rinforzata dall’immediata aggiunta “colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57b). Ove il “per” sottolineato non ha valore di vantaggio (= a favore di), bensì strumentale, ossia “per mezzo di” (in greco dià). Quindi rafforza ulteriormente l’identificazione Cristo/cristiano prodotta dall’Eucaristia. Cristianizzando il titolo di quel libro, posso dunque dire che, se mangio Cristo, in qualche modo divento Cristo. Se è vero, come non dubito, che Gesù è vero Dio e vero uomo, è altrettanto vero che l’uomo ha la possibilità di essere vero Cristo e vero cristiano; come, seppure con remota allusione eucaristica, dichiara Gesù quando sentenzia:
  12. In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me (Matteo 25,40).
  13. In tal modo s’invera un’esclamazione di Paolo ai Colossesi (3,11): “Cristo sia tutto in tutti”.
  14. Concludo citando l’impareggiabile sant’Agostino: oggi 28 agosto se ne fa la memoria liturgica. Così scrive nelle Confessioni (VII,11.16), interpretando il pensiero di Gesù:
  15. Sono cibo dei grandi: cresci e ti ciberai di me. Ma non mi trasformerai in te come cibo della tua carne: tu ti trasformerai in me.
  16. “Sono cibo dei grandi”, dice Agostino. E’ dunque il caso di continuare a dare la prima comunione a bimbetti? Non sarebbe meglio riservarla ad adulti convinti e consapevoli? A parer mio sì, ma per una malintesa interpretazione di un documento (1904) di papa san Pio X, si è deciso che la condizione minima per ricevere la comunione è saper distinguere il pane eucaristico dal pane ordinario. Mi sembra un po’ poco, ma fare marcia indietro è difficile.

1. Diverso è il frammento, in ogni caso tridimensionale, dal “pulviscolo eucaristico” che non si può ritenere pane. Il card. Schuster († 1954), arcivescovo di Milano, al cerimoniere che gli faceva notare una molecola.

eucaristica rimasta sulla patena dopo la comunione, rispose panis angelorum (=pane degli angeli) e la soffiò via!