Spazio pubblico, turismo di massa e università: il caso Venezia

Quando si dice “modello Venezia” si pensa subito al turismo di massa. Ma la Laguna è molto di più, e vanta uno degli ecosistemi più ricchi d’Europa. Tra occasioni perse e opportunità, soprattutto in ambito universitario, l’autrice di Venezia Vive spiega perché non è Boston

“Venezia come Boston” disse il sindaco Luigi Brugnaro come programma per la sua idea di una Venezia fortemente universitaria: una vocazione recente, se si pensa che la vicina Bologna ha aperto il suo ateneo nel 1088 e Venezia circa otto secoli dopo. Quello slogan venne diffuso molti anni fa, prima del primo mandato. Ma è difficile che possa realizzarsi in due anni soltanto, quelli che mancano alla fine del secondo mandato. Sta succedendo infatti quello che sempre accade nelle amministrazioni: sapendo che il sindaco non potrà essere rieletto, i funzionari e i dirigenti fanno piccole campagne elettorali in sordina o, se non aspirano alla politica, si fanno i fatti loro. 
Nell’ambito della cultura, nel Comune di Venezia le deleghe sono quasi tutte del sindaco, mentre nell’ambito del Turismo qualcosa è rimasto in mano all’assessora Paola Mar. Poi ci sono deleghe che viaggiano da un assessorato all’altro, ma di fatto chi governa la città è la società partecipata VELA. Feste, convegni, fiere, eventi di ogni sorta sono in mano a un gruppo efficiente di persone che non hanno un gran contatto con la politica, ma che non hanno nemmeno un vero rischio d’impresa. In generale, la pianificazione non è il lato forte degli organi cittadini. 

Venezia  e turismo di massa

Le iniziative prese per arginare l’invasione turistica sono tornelli per accedere ai vaporetti, la divisione degli imbarcaderi per veneziani e per “foresti” e poco altro. Le calli di ciò che è stato definito il turisdotto, da Rialto a Piazza san Marco, sono sempre strapiene, così come una certa area giovane nel sestiere di Cannaregio che ha in parte tolto la movida dai sestieri Dorsoduro e Santa Croce.  La politica per la casa è stata poco efficace, se gli abitanti continuano a diminuire e si è arrivati sotto il numero fatidico dei 50.000. Il palazzo in cui abito era vissuto da veneziani anziani, ma quando sono mancati, gli appartamenti sono diventati parte del cosiddetto albergo diffuso: molti soldi per affitti brevi. Tutto legale e tassato, o almeno più regolare rispetto alla situazione selvaggia di una decina d’anni fa. Lo svantaggio è stato togliere ai proprietari degli alloggi la voglia di affittare a residenti e a studenti. Quindi adesso, alla fine del mandato elettorale, quando cioè è possibile che la giunta cessi di compiacere le categorie più votanti (tassisti, commercianti, gondolieri e appunto proprietari di immobili), spunta il bisogno di trovare casa sia ai veneziani residui, sia a chi viene da fuori ma vorrebbe un affitto a lungo termine, sia alle decine di migliaia di studenti che si vorrebbero attirare. Per chi compera, invece, i prezzi al metro quadro sono più bassi che a Milano, anche per case di grande bellezza: fa paura la manutenzione, perché la città sa di salso, non ha fogne, non ha sconfitto i topi, vede aumentare i nidi di gabbiano sui tetti e impedisce la costruzione di ascensori esterni nei condomini, con fuga comprensibile di chi ha bimbi o genitori anziani, benché giustamente autorizzi brutti passaggi per disabili sui ponti.

"Becoming Fresh Salty Drops", evento di presentazione finale del programma di residenza per artisti STARTS4Water a Ocean Space, TBA21–Academy, Venezia, giugno 2022. Organizzato da TBA21–Academy e supportato da S+T+ARTS. Foto di Enrico Fiorese.
“Becoming Fresh Salty Drops”, evento di presentazione finale del programma di residenza per artisti STARTS4Water a Ocean Space, TBA21–Academy, Venezia, giugno 2022. Organizzato da TBA21–Academy e supportato da S+T+ARTS. Foto di Enrico Fiorese

Venezia, città universitaria?

Torniamo a Boston, cioè a Venezia e il modo che si è individuato per ripopolarla: gli studenti. Giusto. 
I ragazzi che arrivano a Venezia si trovano solitamente bene e creano spazi no profit, dallo storico Punch alla Giudecca al Sale Docks, dalla casa per eventi Punto e Croce al centro di ristorazione biologica autogestito About, e avanti con una mappa ricca di piccole realtà attivissime che si collegano con quelle più grandi e ben finanziate, come l’Ocean Space di Thyssen Bornemisza che, al momento, ha la maggiore risposta di pubblico giovane. Chi studia, abita Venezia almeno per qualche anno animando anche supermercati, mercati, pizzerie e tutto ciò che normalizza la città rispetto al suo attuale destino di vetrina per grandi firme o, fuori dal loro cerchio, di calli deserte in cui il rumore di un tacco di cuoio rimbalza dai masegni ai canali alle infilate di palazzi senza finestre accese. 
Persino in un’istituzione democratica e autonoma come l’Università, ora le decisioni vengono prese da una cabina di regia di cui non si conoscono i componenti; le indicazioni vengono comunicate più che discusse. Ma non importa, la causa è buona, obbediamo: a noi docenti è stato chiesto di aggiungere corsi di laurea, inventare indirizzi, riempire le aule, insomma fare di Venezia la sola cosa che può veramente essere: una città dedicata alla cultura non solo in termini di esposizioni e congressi, ma anche in quanto città dedicata alla formazione: questa opportunità era stata individuata per tempo, ancora prima del richiamo a Boston. Anch’io l’ho condivisa nel libro Venezia Vive (Il Mulino 2017) che riassumeva con tono leggero la mia esperienza di abitante, docente e assessora. Però adesso si vuole fare tutto in fretta ed è difficile sperare che i proprietari dei B&B tornino indietro e che sorgano rapidamente studentati o si restaurino spazi come l’ostello alla Giudecca. Sarebbe buffo che per rianimare Venezia si portassero gli studenti a vivere in terraferma. Comunque, qualsiasi soluzione è benvenuta. 

Il ruolo positivo della Biennale di Venezia

Quanto al turismo vero e proprio, la mano santa della Biennale sostituisce le pigrizie pubbliche e si associa all’attività di fondazioni private come la Peggy Guggenheim Collection, le tre sedi Pinault (Palazzo Grassi, Punta della Dogana e un Teatrino dall’attività in fermento), Prada a Ca’Corner della Regina, Stanze di Vetro e la Fondazione Cini a San Giorgio, i nuovi arrivi come la fondazione di Anish Kapoor e altri invasi più nascosti, come la Fondazione Vedova o la Emily HarveyEt coetera, come reciterebbe una delle tantissime targhe marmoree puntellate sui muri a ricordare Mozart, Wagner, Lord Byron, Josif Brodskij e tutti quelli che hanno creato qui qualcosa da donare al mondo intero. 
Sul fronte pubblico dispiace vedere la carenza di personale qualificato che connota i 14 musei raccolti sotto la dizione MUVE; l’unico veramente visitato è Palazzo Ducale, mentre sedi come Ca’ Mocenigo, Casa Goldoni, Ca’ Pesaro, Ca’ Rezzonico, il Museo del Vetro languono in modi diversi ma affini. Del resto, con due soli dirigenti – se non erro- per l’intero complesso, di cui una sola con competenze storico-artistiche, cosa si può pretendere? Eppure, sarebbe bello che le file di ragazzoni deportati in città dalle gite scolastiche e anche i turisti cani-sciolti, quelli che vedo languire sui letti dell’hotel di fronte alle mie finestre, sapessero che c’è altro oltre a Rialto e San Marco, e in quei musei ci entrassero più sovente. Così come nelle chiese più belle, dai Frari dov’è l’Assunta di Tiziano a San Francesco della Vigna, dove si è solidificato un agone tra Sansovino e il giovane Palladio. È che Carpaccio, Tintoretto, Veronese, Canova e cento altri protagonisti dell’arte mondiale te li trovi dovunque, ma la metà di chi arriva non lo sa.
Investire in qualche concorso pubblico, possibilmente limpido e non fatto col vincitore in pectore, sarebbe utile a tutta la macchina comunale e soprattutto alla risoluzione del problema-turismo, responsabilizzando più teste e agendo su di una diversificazione dei flussi, dei tempi e dei luoghi da visitare.

Peggy Guggenheim Collection, Venezia. Photo Matteo de Fina
Peggy Guggenheim Collection, Venezia. Photo Matteo de Fina

Proposte per Venezia

Con un po’ di impegno, Venezia potrebbe trasformarsi nel posto in cui si cercano e si trovano soluzioni. È nella sua natura. Con la laguna è successo, considerando che il suo destino naturale sarebbe stato interrarsi o fondersi con il mare. Con il MOSE è successo. Perché non cercare un ulteriore, diverso miracolo? Certo ci vuole strategia, ingegneria umana, tempo per fare e per pensare, flessibilità delle soprintendenze e comprensione dei processi presenti e futuri. Invece, questa amministrazione ha cancellato il solo strumento di rilevazione quantitativa degli arrivi, quell’annuario del Turismo che invece, considerato da quale città proviene, dovrebbe essere trasformato in una pubblicazione prestigiosa su cui scriverebbero facilmente esperti di tutto il mondo. Anche questo si può fare, invece di litigare con l’Unesco, chiunque abbia ragione: non è detto che quella macchina internazionale capisca appieno una realtà così difforme, unica e delicata negli equilibri.
I turisti son tornati dopo il Covid in maniera incredibilmente entusiasta, tanto che il primo besame mucho, la canzone più richiesta da chi va in gondola, mi dà la sveglia alle sette di mattina. Ma poi che fanno, considerato che raramente si affidano alle ottime guide preparate in loco? Camminano, mangiano male, si sfaldano sulle pochissime panchine a San Giacomo dell’Orio o a Sant’Elena, se raggiungono questi due luoghi misteriosi. Il progetto di vaporetto giracittà è fallito da tempo, mentre crescono i proventi dei cosiddetti “intromettitori”, coloro che invitano i gitanti sulle barche private a vedere qualche isola: Murano, Burano, Torcello, San Lazzaro, Lazzaretto Nuovo, Lazzaretto Vecchio e altre cento, piene di una natura straniante e imprevista. 

Venezia nel film di Yuri Ancarani, Laguna e biodiversità

Sapevate, per dire, che la Laguna vanta l’avifauna più varia d’Europa? I giovani veneziani ripresi da Yuri Ancarani nel suo splendido film Atlantide (2021), quelli che girano in barchino e vanno a fare l’amore nelle isole abbandonate o in mezzo all’acqua, lo sanno perfettamente.
Venezia, infatti, non è una città di pietre, ma un sistema gigantesco di isole con barene, canali sotterranei, isole lontanissime dal centro dove nulla disturba i volatili di ogni specie. In questo grande ecosistema si può fare molto anche per la crescita e la felicità degli umani. Però non è affatto Boston e presenta difficoltà molto specifiche. 
Gli studenti ci sono già oggi, tra Ca’ Foscari, Iuav, VIU, Accademia di Belle Arti, Conservatorio e le sedi satelliti di molte università straniere, ma i servizi non li aiutano affatto. È vero che il governo ha approvato la proposta presentata da Iuav, Comune, Marina Militare e IPAV per sei nuovi immobili da adibire a residenze studentesche in centro storico, in una sinergia tra istituzioni che conferisce un volto quasi concreto all’idea di città universitaria, ridefinita Progetto Venezia Campus.  Siccome ho visto mandare all’aria interi progetti già finanziati, tra cui uno gigantesco per il destino dell’Arsenale, voglio crederci ma mi è precluso illudermi. C’è da chiedersi chi saprà mantenere il lavoro fatto dalle amministrazioni precedenti, chi smetterà di usare la città per fini personali, chi vorrà mettere a punto un piano d’azione che abbia davanti a sé almeno dieci anni, a prescindere dai cambi di giunta, sindaco e rettori, chi saprà mescolare le tensioni bottom-up con le decisioni top-down, chi saprà metterci una vera capacità di leadership, con una determinazione che sappia evitare gli intoppi della burocrazia e con tutto il cuore che ci vuole. E ce ne vuole. 

Angela Vettese

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Angela Vettese

Angela Vettese

Angela Vettese è direttore del corso di laurea magistrale di arti visive e moda presso il dipartimento di culture del progetto, dove insegna come professore associato teoria e critica dell'arte contemporanea così come, presso il triennio, fondamenti delle pratiche artistiche.…

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