Memorie del sottosuolo
Memorie del sottosuolo
di Maurizio Bianchini

1.
Sono sfuggito alle giornate di calura di questa estate sahariana, repliche ad libitum di Azzurro e Meriggiare pallido e assorto, viaggiando nella Mosca, nella San Pietroburgo, nella Odessa, nella Kiev e nelle altre città sconvolte dalla Rivoluzione Russa e dalla guerra civile tra i Rossi e i Bianchi. Da lì sono passato alle destinazioni europee, Praga, Berlino, Parigi, Londra, l’Italia, scelte dai tanti scrittori, e quasi tutti di primo piano, costretti all’emigrazione per sfuggire al silenzio, ad una morte senza sepoltura, al gulag. Galeotta è stata la lettura di alcune opere di memorialistica appena ristampate (Viaggio Sentimentale di Viktor Šklovskij per Adelphi; Taccuini 1919-1921 di Marina Cvetaeva e Giorni Maledetti di Ivan Bunin per Voland), cui altre si sono aggiunte, Russia nel vortice di Aleksej Remizov e Necropoli di Vladislav Chodasevič, e altre ancora, che avrebbero meritato di essere qui, a cominciare da In cammino e Autobiografia di Boris Pasternak. La bellezza sublime e tragica di questi libri (scrivere quando si muore di fame o ci si congela, è l’omaggio più alto che si possa rendere alla letteratura) sarebbe di per sé motivo bastevole alla loro lettura. Dopotutto ci sono, tra gli autori, un premio Nobel, uno dei padri del formalismo russo, una delle più grandi poetesse del ‘900. Ma dal mio punto di vista, ulteriori motivi di interesse, legati all’attualità, hanno reso ancor più bello ed istruttivo perdersi (o più propriamente struggersi) tra queste pagine. Ho avuto l’impressione che quei libri parlassero del nostro tempo, e non nel senso retorico e scontato in cui i grandi libri parlano sempre del suo tempo a chi li legge, ma in uno molto più specifico e circoscritto. Come fossero voci uscite dall’attualità – dall’oggi. È vero, non siamo dentro una rivoluzione che ha scardinato un mondo secolare mettendo il passato contro il futuro armi in pugno, a meno di non prendere sul serio la minaccia di taluni di aprire il Parlamento ‘come una scatoletta di tonno’: chi l’ha fatta vi si è accomodato con tutti gli agi. Le lezioni della storia qualcosa ci hanno insegnato. Ci si odia ancora, è vero, per questioni di cosiddetti principi e valori, ma, almeno in Occidente, e al netto di nazionalismi periferici, ci si spara solo a colpi di tastiera o di berciate nei talk-show. Ma se si guarda al mondo dall’alto, si vede ad occhio nudo che siamo dentro non una, ma due rivoluzioni. Quella geopolitica in cui le democrazie soccombono sempre di più di fronte all’homo homini lupus planetario (mostrando anche al loro interno pesanti segni di disgregazione, si pensi a Trump o a certi regimi dell’Est Europa) e quella ambientale in cui è l’intero genere umano ad essere minacciato dai cambiamenti climatici che realisticamente nessuno fermerà (chi ne ha i mezzi si prepara all’esilio su Marte). Ma è evidente che, come nella Russia in bilico tra la democrazia e il sovietismo, nessuno ha chiaro quale sarà il nostro destino. Forse rotoleremo in qualcosa la cui vista lascerà perfino l’Houellebeck più catastrofico senza parole. E se fosse l’Olocausto Ambientale ad azzerare tutto e liberare la scelta per un nuovo inizio? Mala tempora currunt.
La vera differenza tra le contorsioni di allora e quelle di oggi, è che il Terrore Rosso e il Terrore Bianco sono ora su scala planetaria. E non trovano ancora una letteratura che si faccia carico del loro racconto. Non è il suo mestiere, si dirà. Il fine dei romanzi è il nobile intrattenimento. E allora che il Titanic affondi mentre l’orchestra suona. Nell’attesa che i segnali di Solenoide di Cartarescu e di Ohio di Markley vengano raccolti, ampliati e approfonditi, è nei libri di cui sopra che personalmente ho trovato, per quanto conta, voci capaci di dire l’indicibile presente. […]

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