La fase di mercato attuale? “E’ come camminare sulle uova”

Nei primi mesi dell’anno l’attenzione degli investitori si è concentrata sulle attese di tagli dei tassi d’interesse e sul tema dell’intelligenza artificiale come volano della redditività dei giganti tecnologici che ne hanno il controllo. Queste dinamiche hanno portato a una buona performance dei mercati finanziari nonostante sullo sfondo si siano accumulati molti rischi geopolitici, tra conflitti in Medio Oriente ed escalation in Ucraina, che potrebbero essere a loro volta influenzati dalle numerose elezioni di quest’anno. Nel 2024 vota infatti oltre la metà della popolazione mondiale, in particolare gli Stati Uniti, l’India e l’Unione europea.

Forse perché si tratta soprattutto di sviluppi regionali con implicazioni tutto sommato limitate per l’economia globale, i mercati hanno finora considerato questi eventi come secondari. Cinicamente, finché la guerra non danneggerà gli utili delle società quotate, la reazione delle borse sarà relativamente moderata. Ma le crisi regionali possono sempre trasformarsi in problemi globali: spesso ciò avviene tramite il petrolio o delle strozzature alle catene di approvvigionamento.

Questa settimana vorrei discutere dei principali pericoli per i mercati finanziari, quei fattori che potrebbero far deragliare le borse e mettere a repentaglio il buon andamento dei portafogli degli ultimi mesi.

Partiamo da un paradosso: nei prossimi mesi il principale rischio continuerà a essere rappresentato dal buon andamento dell’economia americana e da un’inflazione difficile da abbattere. Se la Federal Reserve posticipasse ulteriormente i tagli dei tassi (ora attesi nel corso dell’estate), ci potrebbe essere una reazione negativa sia per l’azionario che per l’obbligazionario. Per gli investitori europei questi impatti potrebbero però essere parzialmente mitigati da un rafforzamento del dollaro.

Per l’Europa vale il contrario: pur cominciando a tagliare i tassi a giugno (con tutta probabilità), la BCE continuerà a ridurre il proprio bilancio e quindi la liquidità in circolazione e nella seconda parte dell’anno i governi inizieranno a prepararsi per il nuovo Patto di stabilità, che avrà un impatto negativo sulla crescita. Le spese per la difesa dovranno essere aumentate per tenere fede agli impegni con la NATO pari al 2% del PIL sottraendo risorse a progetti di crescita. Pertanto, seppur non sia lo scenario più probabile, una recessione nei prossimi trimestri non è impossibile.

A livello geopolitico, la principale minaccia globale per il commercio è il rapporto tra Stati Uniti e Cina. Le tensioni continueranno indipendentemente da chi sarà il nuovo presidente americano, ma non ci aspettiamo un’escalation nel breve termine. Tuttavia, il debole andamento della borsa cinese ci fa capire che molti investitori temono il rischio di limitazioni ai flussi di capitali in quel mercato.

Se la riconferma di Biden darebbe sostanziale continuità a una situazione molto tesa nel Pacifico, Trump probabilmente si concentrerebbe sull’aspetto economico e ha fatto riferimento a dazi del 10% su qualsiasi merce in ingresso negli Stati Uniti, che potrebbero essere innalzati al 60% per quelle cinesi. In tale scenario le esportazioni cinesi potrebbero essere dirottate verso l’Europa, creando ulteriori difficoltà alle nostre aziende.

La nostra aspettativa è che il conflitto in Medio Oriente e quello tra Russia e Ucraina non registrino escalation tali da mettere in crisi l’economia globale. Ma si tratta di rischi concreti che stanno già incidendo sul traffico marittimo e sul prezzo del petrolio, salito di circa il 15% da inizio anno (Brent).

Il Medio Oriente abbonda di materie prime e attraverso lo Stretto di Hormuz transita ogni giorno un quinto della produzione globale di petrolio. Il 13 aprile, l’Iran ha lanciato oltre 300 droni e missili contro Israele, anche se la maggior parte sono stati intercettati, in parte grazie al fatto che l’attacco era stato ampiamente annunciato. L’Iran si è affrettato a comunicare che l’attacco ha rappresentato una ritorsione una tantum, Israele ha reagito sei giorni dopo ma in modo contenuto con un attacco a Isfahan, una città al centro dell’Iran, e l’impressione è quindi che nessuna delle due parti sia in cerca di escalation.

Anche dal conflitto in Ucraina non provengono segnali distensivi e il quadro potrebbe cambiare sulla base delle elezioni statunitensi. L’amministrazione Biden ha stretto le maglie della NATO e assicurato ampio supporto all’Ucraina, ribadendo l’importanza di contrastare l’invasione russa. Una presidenza di Trump potrebbe portare a una forte riduzione del sostegno all’Ucraina e a una crescente pressione per raggiungere una tregua.

Anche se attualmente sono le notizie di guerra a imperversare sulle prime pagine, non si possono dimenticare i danni che potrebbero essere causati dal cambiamento climatico come evidenziato dai recenti allagamenti a Dubai e dai nubifragi che hanno colpito la scorsa estate il nord Italia e in particolare Milano. Se tra il 2000 e il 2009 il settore assicurativo globale è stato colpito da tre gravi tempeste ciascuna delle quali ha causato danni per oltre 1 miliardo di dollari, nel decennio successivo si sono verificati ben dieci sinistri di analoga entità.

Solo negli ultimi giorni gli investitori hanno cominciato a prendere seriamente in considerazione la situazione geopolitica: il principale indice di volatilità (VIX) è salito rapidamente riportandosi in linea alla sua media storica. L’oro, un altro termometro dell’umore dei mercati, è salito del 15% rispetto alla fine dello scorso anno.

L’effetto di potenziali eventi avversi sulle borse potrebbe essere amplificato dalla particolare natura del mercato azionario, che ormai vede una prevalenza di scambi eseguiti tramite algoritmi. La gran parte di questi automatismi è legata alla volatilità: quando è bassa porta ad aumentare l’esposizione azionaria. Ciò significa che un evento negativo che dovesse far salire rapidamente la volatilità potrebbe innescare un temporaneo effetto domino.

Quindi come potrebbe prepararsi un investitore? Non esiste una forma di protezione assoluta, ma diverse strategie possono aiutare a mitigare i possibili effetti negativi. La prima difesa sono le obbligazioni con un buon rating e scadenze medio-lunghe, che possono avere caratteristiche anticicliche: infatti, qualora l’economia dovesse sorprendere in negativo e le banche centrali fossero costrette ad accelerare i tagli dei tassi d’interesse, questi titoli aumenterebbero di valore.

Nel campo azionario ci si può orientare verso società di qualità, vale a dire con buona redditività e basso indebitamento, oltre che verso settori che si difendono meglio nei periodi di bassa crescita, come la tecnologia – senza esagerare però con l’esposizione in considerazione delle elevate valutazioni.

Inoltre, visto che spesso le materie prime, e in particolare il petrolio, rappresentano la catena di trasmissione dei rischi geopolitici in finanza, anche un’esposizione al settore dell’energia può essere di aiuto. Per gli investitori più sofisticati ed esposti all’azionario, la combinazione di bassa volatilità e rendimenti elevati rende interessante anche l’acquisto di protezione.

Tra i beni rifugio, l’oro tende a beneficiare di un aumento della volatilità e di bassi tassi d’interesse, ma non lo rincorreremmo ai livelli attuali. Anche lo yen può funzionare in un simile scenario, considerato che nei periodi di recessione passati si è apprezzato di circa l’8% rispetto al dollaro.

Allungando la prospettiva, la statistica ci offre un altro punto di vista e ci ricorda una delle principali regole: mantenere un’ampia diversificazione a livello geografico e di asset class. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una forte alternanza in cima alla classifica delle migliori asset class: una volta il settore immobiliare, due volte l’azionario giapponese, una quello americano, un’atra l’obbligazionario europeo, una volta l’oro e ben tre il petrolio (che nello stesso periodo è stato anche per quattro anni l’investimento peggiore). Di pari importanza, la storia ci insegna che rimanere investiti a lungo termine normalmente paga: dal 1988 rimanere fuori dal mercato (indice S&P 500) durante la giornata migliore vuol dire avere perso l’11% della performance ed essere usciti durante la migliore settimana ha avuto un costo del 12%.

Ma il dato interessante è che la migliore giornata è stata nel bel mezzo della crisi del 2008 e la migliore settimana nella primavera del 2020, all’apice della pandemia. Insomma, la tattica è importante per difendere i portafogli, ma la strategia lo è ancora di più.

A cura di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS GWM in Italia

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