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Il disagio psichico tra la Vallemaggia e Mendrisio

Doris Femminis racconta il suo ultimo libro «Fuori per sempre»
Doris Femminis.
Carlo Silini
23.11.2019 06:00

Doris Femminis ha scritto un libro, il suo secondo romanzo, dal titolo che in fatto di psichiatria la dice lunga: «Fuori per sempre», edito da Marco y Marcos. Un singolare caso di romanzo psichiatrico ambientato in gran parte nella Svizzera italiana.

Partiamo dal titolo «Fuori per sempre». Fuori di testa?

«Non solo. Leggendo il libro si scopre che le tre ragazze protagoniste di questo romanzo personificano altrettante possibilità di ’’essere fuori”».

Giusello è il villaggio di partenza del libro, un villaggio immaginario della Vallemaggia come la Vigata di Camilleri in Sicilia?

«È un villaggio di montagna, potrebbe essere Cavergno, ma anche un altro paesino di montagna dove c’è un certo tipo di cultura che forse non è solo quella della montagna».

Ma c’è una Vallemaggia che segna la fine de «Il fondo del sacco» di Martini. È la sua storia?

«C’è la mia esperienza culturale. Ho vissuto molto con mia nonna, una donna del 1920, poi ho avuto due genitori degli anni Settanta: lavoravano e avevano figli. Ho conosciuto queste due possibili famiglie: quella che arrivava dalla civiltà contadina e quella che è venuta subito dopo e ho voluto metterle insieme. È stato un momento molto veloce, si poteva vivere nel corso di una sola generazione. Bastava fare figli dopo la guerra e avevi questo cammino».

Due generazioni e due culture diverse, quindi.

«Qui c’è qualcosa che mi interessa: abbiamo questi ragazzi che hanno dei genitori che vengono da un altro mondo culturale. Una differenza che può esserci tra genitori e figli nel modo di vivere il mondo e di immaginarlo. I genitori non sono capaci di farlo semplicemente perché non sanno di cosa stanno parlando, non riescono a seguire i figli».

Succede anche oggi?

«Come genitore ho l’impressione di capire il mondo verso cui stanno evolvendosi i miei figli. A Ginevra ho visto famiglie di musulmani che arrivano da un mondo culturalmente molto definito e si trovano qui con le ragazze scoperte e il sesso onnipresente. Come fanno ad aiutare i loro figli a trovare un posto? Tentano di tenerli nella loro tradizione e se non ci riescono c’è la rottura. Noi non l’abbiamo vissuto così con i nostri genitori».

Nel libro si parla anche di droga.

«È l’ambientazione sociale che ho vissuto negli anni Novanta. Un mondo che cerca di scoprirsi e affermarsi in questo modo. E c’è una porta aperta sulle patologie possibili. Anche nelle ragazze del libro che assumono stupefacenti c’è la possibilità che la cosa diventi patologica, ma potrebbe anche non essere così. Trovo che oggi i ragazzi si droghino molto di più che in quei tempi, come se questo limite dell’assunzione di sostanza che noi sentivamo come pericoloso, non sia più vissuto così. Come se sia stata tolta la paura della dipendenza. Ma quando si è in stadi di difficoltà psichica può diventare un modo di fuggire, mai confrontarsi e diventare dipendenti».

Lei racconta casi di disagio. Che rapporto ha con il disagio?

«Ambivalente. Lavoro in psichiatria da trent’anni, è un aspetto indissociabile dalla mia persona. Leggo il mondo e vedo che per me tutto è normale e patologico insieme. La patologia si sposta sempre di più dentro di me. Posso avvicinarmi moltissimo senza avere un sentimento di estraneità, per abitudine. Io e il disagio individuale siamo fratelli».

Si dice che gli psichiatri avrebbero bisogno dello psichiatra.

«Molte persone che lavorano in questo ambito hanno dei vissuti difficili. Ma a differenza di quello che succede ai loro pazienti i disagi non si sono trasformati in patologia. Quando ci si dice: avrebbe potuto capitare anche a me, si crea una grande vicinanza coi pazienti. Noi infermieri diciamo che stiamo dalla parte giusta del camice. Ma è solo il camice che ci divide. Quando il bivio è preso, tra me e uno schizofrenico la differenza è enorme. Io sono capace di vivere e sto bene, lui no».

E il sesso?

«Voglio descrivere delle situazioni diverse. Per quello che riguarda gli abusi sessuali mi sembra importante ricordare che esistono e che possono avere delle conseguenze, anche se non sono determinista: a volte non hanno un impatto così forte. Nel libro però descrivo altre scene di sesso in cui è la patologia che si manifesta. Ma c’è anche il sesso bello».

Nel libro la natura appare come una culla, una terapia, ma anche come un luogo di pericolo...

«È la rappresentazione di una speranza. Una delle protagoniste del libro immagina che rientrando nella natura possa riorganizzare il suo mondo. In altri casi la natura rappresenta quella mediazione che fa vivere nel mondo. Per me è anche il mondo dell’inconscio. C’è la foresta come luogo in cui puoi avere degli incubi, se hai paura, oppure sentirti benissimo se sei sereno: un potenziatore di emozioni».

Emergono anche i bisticci tra scuole psichiatriche.

«Quando sono entrata in psichiatria la psicanalisi era la regina del mondo. A poco a poco è stata attaccata dalle nuove scuole, quelle sistemiche. C’è stata una grande lotta sulla visione dell’essere umano in questi due mondi. Adesso le scuole sono ancora più numerose e molto separate fra di loro. Vedono in modo diverso l’essere umano e propongono terapie diverse. Ma in quasi tutte le patologie si dice che abbiano lo stesso risultato».

IL LIBRO

Doris Femminis, infermiera psichiatrica, era uscita con un primo romanzo, Chiara cantante e altre capraie , nel 2016. Il secondo, Fuori per sempre, edito da Marcos y Marcos, esplora il proprio mondo lavorativo. Giulia è smarrita come si è a vent’anni se ti spaventa troppo il futuro. La tentazione è sparire nella foresta con la sorella Annalisa, o seguire l’amica Alex, artista della fuga. Serve linfa vitale straripante per uscire dal gorgo in cui è caduta e starne fuori per sempre. Un litigio risveglia pensieri insopportabili e Giulia salta in macchina, guida giù per la valle, ingoia pastiglie.

Si sveglia all’ospedale psichiatrico di Mendrisio, e diventa una furia: vuole uscire subito, tenta di fuggire, rifiuta le cure. La dottoressa Sortelli conquista la sua fiducia. La spinge a raccontare la storia della sorella, che per Giulia è un macigno da superare. Una volta aperto il cuore, tutto si capovolge: da prigione, l’ospedale diventa culla, e Giulia non vorrebbe più rinunciare alla sua tiepida protezione. Non è pronta ad affrontare la propria fragilità, e il rischio della vita vera. Nel pieno di questa resistenza, irrompe in reparto Alex Sanders, tutta fuoco e tempeste.