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Fusione nucleare: ecco perché è la scelta giusta – PARTE 1

L’energia della fusione nucleare non sembra più un miraggio. Dagli USA, interessantissimi sviluppi in tal guisa. E l’Italia potrebbe acquisire una leadership nel settore non del tutto indifferente

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha d’improvviso palesato l’annosa fragilità del sistema energetico italiano : nel 2022 le spese per l’energia elettrica sono aumentate del 109,5 per cento, provocando in termini monetari un extracosto pari a 58,9 miliardi, mentre quelle del metano sono cresciute addirittura del 126,4 per cento, incidendo sulle spese per ulteriori 32,6 miliardi. 

Gli aumenti hanno colpito proporzionalmente più le imprese che le famiglie: le prime hanno pagato 61,4 miliardi in più, le seconde 30 miliardi di euro. Diverse industrie e attività commerciali sono state pertanto costrette a fermarsi, o peggio a chiudere per sempre, per non rimetterci.

Riguardo il gas, a fronte di una diminuzione complessiva del – 4,5% sulle importazioni (2021 vs 2022) , le quote mancanti sono state principalmente sostituite tramite l’aumento di importazione di gas dall’Algeria (+11%), dall’Azerbaigian (+42%) e di gas liquido GNL (+46%), quest’ultimo proveniente in larga parte da Stati Uniti e Qatar.

Il Korea Superconducting Tokamak Advanced Research (KSTAR), un reattore nucleare a fusione della Corea del Sud, ha battuto di nuovo il record riuscendo a far mantenere la temperatura di 100 milioni di gradi ad un vortice di plasma per 30 secondi, come riferisce ScienceAlert. Foto: wired.it

Nonostante l’Italia sia tecnicamente autosufficiente per quanto riguarda la potenza installata (ovvero la potenza massima erogata dalle centrali) è pesantemente vincolata all’approvvigionamento di materie prime dall’estero (con una quota di ben il 78%) per poter produrre elettricità e calore.

Continuare a comprare a caro prezzo grandi quantità di costoso gas naturale e di costosissimo GNL made in USA , diversificare i rifornimenti puntando su paesi politicamente instabili come Algeria, Libia, Azerbaigian ed Etiopia è una scelta accettabile nel breve termine ma potrebbe rivelarsi molto rischiosa già nel medio termine.

Buone notizie giungono invece sul fronte della ricerca e della sperimentazione dei reattori a fusione nucleare. Se circa un anno fa si prevedeva la messa in funzione dei primi nuovi reattori realmente utilizzabili non prima del 2050, alcuni mesi fa diverse società del settore hanno comunicato la possibilità di anticiparne la costruzione già all’inizio del prossimo decennio.

La fusione nucleareavviene nel nucleo delle stelle a circa 15 milioni di gradi, portando gli atomi allo stato di plasma in presenza di una forza gravitazionale talmente elevata da vincere la loro naturale forza di repulsione. Essenzialmente, al contrario della fissione su cui si fondano i reattori nucleari di oggi, è una reazione fisica in cui due atomi leggeri si uniscono per formarne uno più pesante e liberare energia.

I più evidenti vantaggi delle future centrali a fusione, che potrebbero rappresentare una rivoluzione storica sul piano energetico e quindi geopolitico sono:

  • La totale assenza di emissione di gas serra e di produzione di rifiuti radioattivi a lunga vita (i pochi prodotti decadono nel giro di pochi decenni, possono essere conservati nella centrale stessa e smaltiti in sicurezza successivamente)
  • La reazione, non appena le condizioni necessarie venissero meno (anche per un guasto o per un incidente), si interromperebbe e l’impianto si spegnerebbe senza conseguenze pericolose.
  • L’abbondanza a buon mercato di “materie prima”, per la fusione sono necessari Deuterio e Trizio, il primo è ricavabile dall’acqua di mare, il secondo da una reazione di processo con il litio.

Un esempio pratico : per produrre l’equivalente del consumo di due anni di una famiglia di 5 persone, stimato in 380.000 KWh, si utilizzerebbero 1,6 gr di deuterio ( prodotto da 50 litri di acqua) o l’equivalente di 5 gr di Litio 6 necessari per la produzione di trizio.

Nell’Ottobre del 2021 Eni, in collaborazione con il MIT e la Commonwealth Fusion Systems (spin-out del MIT di cui Eni stessa è azionista , sostenuta anche da aziende come Google e Microsoft) ha ottenuto risultati eccezionali con le tecnologie di confinamento magnetico del plasma, tant’è che nella primavera di quest’anno ha annunciato che renderà operativa entro due anni, nel 2025, il primo impianto pilota a confinamento magnetico per la produzione netta di energia da fusione (verrà quindi prodotta più energia di quella necessaria al confinamento della reazione). Inoltre a inizio 2030, come accennato sopra, sembra possa essere possibile la costruzione della prima centrale elettrica industriale da fusione in grado di immettere elettricità in rete.

Di rilevante importanza è poi il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor),il più grande al mondo portato avanti da un consorzio composto da Unione Europea, Gran Bretagna, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti, India e Corea del Sud. La costruzione del reattore è in corso a Cadarache, nel sud della Francia e la sua accensione è prevista per il 2027, l’ambizioso obiettivo è quello di generare una potenza di 500 MW con un’energia in ingresso di 1/10 rispetto a quella prodotta.

Al momento tuttavia il più risultato più rilevante sembra essere stato raggiunto a inizio 2023 al “Lawrence Livermore National Lab”  in California: si è riuscita a raggiungere l’energia netta di plasma, ovvero a produrre più energia di quanta se ne consuma per raggiungere le condizioni di fusione. L’esperimento ha prodotto 3,15 MJ di energia di fusione, a fronte di 2,05 MJ di energia laser erogata.

Questa volta sembra che il nostro paese stia seguendo la strada giusta: quello sulla fusione è il più corposo investimento italiano in ricerca ed esistono diversi progetti attivi con la partecipazione non solo di ENI ma anche di ENEA (laboratorio di Frascati nel Lazio), del CNR e di varie università italiane.

(….segue)

di Paolo Caioli

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