Il Pino secolare di Massa d’Albe (AQ) poteva essere salvato? Parla l’esperto Giovanni Morelli

Il secolare Pino di Massa d’Albe (AQ) poteva essere salvato?

Lo chiediamo all’agronomo naturalista Giovanni Morelli, tra i massimi esperti di pini in Europa e membro del comitato scientifico del Co.n.al.pa.

 

Pino di Massa d’Albe – Particolare dell’apparato radicale e dell’aiuola

 

Il crollo del Pino di Massa d’Albe ha suscitato grande amarezza in tutta la Marsica, in Abruzzo e non solo. Un colosso secolare che era amato e ammirato da tutti. La tempesta di vento non lo ha risparmiato. Secondo te siamo arrivati tardi? Poteva essere salvato?

Difficile dare una risposta senza conoscere la storia dell’albero nel dettaglio. La stabilità degli alberi è un fenomeno complesso ed in continuo divenire; essa segue la naturale evoluzione di questi esseri viventi ed è condizionata dalle contingenze della loro esistenza. Spesso, inoltre, il cedimento finale giunge dopo una progressiva erosione delle capacità di autosostentamento, per esempio dovuta al succedersi di eventi meteorologici di particolare intensità. Per questo gli alberi devono essere controllati nel tempo. Vista la sua importanza storica, compositiva e paesaggistica, forse il Pino di massa d’Albe avrebbe meritato maggiore attenzione …

 

Dalle numerose foto che ormai circolano sul web e sui social abbiamo potuto notare che il pino cresceva da decenni in un’aiuola in mattoni e cemento ed era circondato dall’asfalto. Secondo te questa condizione, nel corso del tempo, può aver inciso sulla stabilità del pino? E una minima potatura della chioma avrebbe potuto smorzare la violenza del vento e l’effetto vela?

La cronica costrizione in cui versava l’apparato radicale dell’albero, pur se ormai storicizzata, ha probabilmente contribuito al cedimento. L’architettura radicale dei Pini domestici è geniale, ma molto “rigida”; la stabilità dell’albero, in effetti, è legata al concorso di un robusto, rigido e profondo fittone, la cui estrazione dal suolo è impedita dalle radici superficiali, elastiche e resistenti. Quando, come nel caso di Massa d’Albe, lo sviluppo delle radici superficiali risulta impedito, l’intero apparato radicale finisce per presentare criticità strutturali. Se poi anche il fittone dovesse avere problemi … l’esito è quasi scontato.

Riguardo alle potature, poi, se è vero per tutte le specie arboree che non esiste alcuna correlazione diretta tra intensità degli interventi cesori e stabilità degli alberi che li subiscono, nei Pini la massima garanzia di autosostentamento è data proprio dall’intangibilità della chioma. I Pini domestici hanno chiome rigide e compatte, in grado di ridurre al massimo la turbolenza legata all’incidenza del vento e di generare portanza, garantendo una sorta di “galleggiamento” dell’albero, quasi come se l’albero fosse un aereo il cui decollo, tuttavia, è impedito dal tronco che lo vincola al suolo. Le potature possono solo peggiorare queste performance strutturali …

No. Come ho già detto il controllo preventivo sarebbe stato l’unico strumento ragionevole per la salvaguardia di questo esemplare.

 

Pino di Massa d’Albe dopo il crollo

 

Molti cittadini ci chiedono se si potevano trovare soluzioni tecnologiche per mettere in sicurezza il pino. E’ possibile in certi casi riuscire a salvaguardare un bene ambientale e culturale di alto valore? Che tipo di tecnologie si utilizzano per preservare per questo tipo di alberi?

La tecnologia offre oggi soluzioni estremamente efficaci. Vi sono ad esempio sistemi di sostegno in grado di garantire la stabilità degli alberi pur permettendo un suo parziale e controllato movimento, a garanzia dell’efficienza di quei naturali sistemi di “meccanoricezione” che stanno alla base dell’autodeterminazione della forma arborea. In pratica si tratta di aiutare gli alberi … senza che loro se ne accorgano. Sono sistemi relativamente costosi, d’accordo, ma qual era il valore sociale ed identitario di un albero come il Pino di Massa d’Albe? Si tratta dunque di fare delle considerazioni in termini di costi/benefici, includendo tra i benefici anche tutti i contributi immateriali che dobbiamo riconoscere agli alberi. Ignorare il problema, casomai abbandonandosi al fatalismo, non è una soluzione.

 

Ci è stato comunicato che vogliono ripiantare un altro pino per continuare la tradizione e ripristinare lo storico paesaggio. Secondo te quell’aiuola può essere un problema per il nuovo impianto? Andrebbe demolita ripristinando condizioni pedologiche naturali per un corretto sviluppo radicale?

Personalmente penso che l’impianto di un nuovo Pino sia un atto dovuto. Gli alberi – ed in questo i Pini non fanno eccezione – sono adattabili e se vengono collocati in condizioni anche non ottimali, riescono quasi sempre a cavarsela. Sicuramente eviterei una aiuola sopraelevata, optando casomai per altre soluzioni protettive per separare l’albero dal traffico veicolare. Poi curerei molto il terreno in cui dovranno svilupparsi le radici, ad esempio optando per un “suolo strutturale”, cioè una miscela di terra e pietra rullata, in grado sia di garantire portanza che di evitare lo sviluppo di sollevamenti delle pavimentazioni.

Poi parlerei alla cittadinanza di Pini. Sia di quello che se n’è andato – il Pino del passato – che del nuovo impianto – il Pino del futuro. Gli alberi sono un fenomeno transgenerazionale, devono raccontare la storia delle comunità che li ospitano, parlare alle diverse generazioni.

E i Pini, in questo, sono maestri …

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