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16 dicembre 1969

La risposta più alta

Nel giorno dei funerali delle vittime della strage, il taglio basso della prima pagina riporta la notizia della morte di Pinelli

16 dicembre 1969

La risposta più alta

Nel giorno dei funerali delle vittime della strage, il taglio basso della prima pagina riporta la notizia della morte di Pinelli

di  MARIO CERVI

La giornata di ieri, carica di dolore e avvolta nella bruma decembrina, plumbea nel cielo e cupa nei cuori, rimarrà nella storia di Milano come una delle più tristi ma anche come una delle più memorabili. La città si è congedata dai quattoridici morti di piazza Fontana con una commozione severa, con un affetto trattenuto, con una compostezza solenne, senza gesti, senza ostentazioni, senza clamori: degni in tutto e per tutto della grandiosità della tragedia. Non sfoghi laceranti di commozione, neppure da parte dei congiunti di chi, innocente, è stato staziato dall'ordigno di venerdì: ma silenzio immenso, in qualche momento come pietrificato, nel quale il grido di una ragazza singhiozzante «papà, papà» si è alzato di improvviso, isolato e altissimo, facendo correre un brivido nella folla.

Nemmeno per un solo attimo si è potuto temere che un qualsiasi tentativo di intemperanza o di provocazione, da qualunque delle due sponde estreme, turbasse l'addio di Milano alle vittime di un crimine feroce e demenziale. Sul sagrato, e sotto la navata centrale del Duomo, con la sua agghiacciante sfilata di bare, si avvertiva una tensione, si intuiva una volontà collettiva che imponevano la compostezza. L'intera cerimonia sotto le volte della cattedrale fra la selva delle gigantesche colonne che sfidano i millenni, ha avuto un'impronta drammatica senza concitazione, solenne senza un solo cedimento all'enfasi.

La pena incideva i volti dei familiari delle vittime, ma i loro sguardi erano fermi e fieri: lacrime silenziose scorrevano sulle guance, non un lamento usciva dalle bocche serrate. L'occhio delle telecamere, per quanto impietoso e curioso, non ha denunciato una debolezza. Dignità, forza, questi erano, insieme al dolore, i sentimenti che si leggevano, in Duomo, su tanti volti. Il presidente del Consiglio, il presidente della Camera, tutti gli uomini politici venuti a Milano per recare l'omaggio della nazione agli sventurati morti debbono avere avvertito profondamente, in quei minuti, l'importanza della straordinaria lezione di Milano. Rumor ha certamente sentito che la folla e la città attorno a lui non avevano avuto, nonostante la ferita della sorte, sbandamenti; Nenni, l'antico e sicuro rabdomante degli umori popolari, ha saputo cogliere l'accorato e rasserenante messaggio di Milano. Nessuna sbavatura, lo si è detto: una asciuttezza decisa anche nel discorso del cardinale Colombo, che sapeva di rivolgersi ad un popolo generoso e fermo dalla cattedra che fu di San Carlo Borromeo. Egli ha invocato «quella giustizia e quella sicurezza nella libertà e nell'ordine che tutto il paese ormai aspetta con impazienza».

La grigia mattinata di ieri è stata dunque intrisa di struggente tristezza: ma con una sua luminosità interiore ed essenziale, tali da adombrare un profondo significato confortante. Speriamo che fosse presente almeno qualcuno degli stranieri che basandosi su innegabili fenomeni di inquietudine della vita italiana, sul dilagare di violenze spicciole, amano raffigurare un paese isterico, debole, sbandato: un paese prossimo al crollo e alla disintegrazione. Agli autori di tante diagnosi affrettate e temerarie Milano ha dimostrato che il paese è vitale e saldo, capace di reagire alla sventura con sorprendente decisione. Non panico, ma consapevolezza; non il collasso morale, ma il proposito di respingere provocazioni e incitamenti all'avventura.

Nulla potrà far più rivivere, purtroppo, le vittime incolpevoli dell'esecrando attentato: ma se i miserabili organizzatori dell'agguato volevano che quel sangue fosse strumento di eversione, hanno già avuto, a deluderli, la risposta di Milano. La banca in cui è esploso il micidiale ordigno ha riaperto i battenti: sembra un particolare marginale, ed è un altro sintomo del carattere della città. La vita continua, non in segno di indifferenza verso la tragedia, ma in segno di forza. Gli assassini sono fra di noi, lo sappiamo tutti. Sia pure attraverso ragionamenti folli e distorti si proponevano sicuramente, con gli attentati di venerdì, un disegno di irresponsabile e criminale sfondo politico, un punto d'eversione e di rovina per le istituzioni democratiche. Volevano che saltassero i nervi di Milano, e dell'Italia. Si sono grossolanamente sbagliati. Resta loro, adesso, una speranza, quella di rimanere impuniti. Crediamo fermamente che si sbaglieranno anche in questo. La sanzione del paese ha già anticipato quella della giustizia.

Mario Cervi22 marzo 2012 | 18:17© RIPRODUZIONE RISERVATA

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