Lavinia Biagiotti: «Quando a Fregene ballavo il sirtaki con Anthony Quinn. Ho trovato l’amore allo stadio»

di Margherita De Bac

La stilista: ho avuto un’infanzia piena di amore. I figli non sono arrivati, ma non ho rimpianti

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Lavinia Biagiotti, 43 anni, accanto al suo cane Ryder (foto Mirta Lispi)

«Sono molto rigorosa anche su questo», allude all’attenzione con cui cerca di difendere se stessa e l’azienda dal Covid (fatica improba), Lavinia Biagiotti Cigna. Tamponi una volta a settimana a tutto lo staff, mascherina, gel igienizzanti posizionati in vari angoli del castello Marco Simone, a Guidonia, dove vive e manda avanti la casa di moda fondata da nonna Delia e coltivata con amore dalla mamma Laura assieme al marito Gianni Cigna. Quando è morta, cinque anni fa, è toccato a lei. Ci accoglie scortata da Ryder, il randagetto finto Jack Russell, trovato sul campo di golf disteso attorno al maniero medievale («una pazzia diventata realtà»), dominato da una torre merlata. Prende il nome dalla «Ryder Cup», il torneo di golf dove si sfidano i 24 giocatori più forti del mondo (a Roma nel 2023).

Che infanzia ha avuto?
«Piena di amore, prove, esempi meravigliosi trasmessi da nonni e genitori».

Momenti difficili?
«La malattia dei miei ha generato un dolore che segna. Papà se ne è andato che avevo 17 anni. Mi vengono i brividi a raccontare quando mi dissero che aveva la leucemia. Mi fecero sedere nel salone dove ora siamo sedute e ascoltai in silenzio le loro parole, “insieme dobbiamo affrontare una grande prova, Lavinia” fu l’esordio. I medici gli avevano dato sei mesi di vita, è andato avanti sei anni, era il 26 agosto del 1996 quando morì. Lo accompagnavo a fare la chemio dal professor Mandelli. Era pieno di progetti. Io lo lasciavo e, quando tornavo in ufficio a riprenderlo, lo trovavo alle prese con giornali e riviste sottolineate».

Tanto dolore ma anche tanta bellezza.
«Una giovinezza stupenda, ispirata dal senso di responsabilità e consapevolezza, fin da subito, della preziosità di momenti accanto alle persone che ami».

In un’ala del castello è esposta la più grande collezione privata di Balla. In qualsiasi momento della giornata può ubriacarsi di meraviglie. Si sente una privilegiata?
«Non posso dire di no. Abito in questo luogo unico, immerso nella natura. Però so godere delle piccole cose, un bocciolo di rosa, un gelato con le amiche, gli animali. La felicità la devi saper cogliere anche così, non è fatta solo di grandi cose. C’è chi è circondato da amore e non se ne accorge. E allora a che serve?».

La prima immagine di Lavinia?
«Quando ho scoperto la luna piena. Non so se è un’immagine reale o creata da quello che mi hanno più volte raccontato. Ero a Fregene, piccolissima. Vidi quel disco d’oro in cielo, non volevo più andare a nanna. Ancora adesso, quando lo spettacolo è visibile, mi fermo incantata in giardino e non vorrei mai scollarmi da lì».

Nella villa a Fregene, anche quella ereditata da mamma Laura, lei partecipava alle celebri feste organizzate il 4 agosto, quando i suoi genitori compivano insieme gli anni. Un flash di quelle serate?
«Il valzer e il sirtaki ballato con Anthony Quinn».

E la ragazza «normale» cosa faceva?
«Dall’asilo al liceo sono andata a scuola al Marymount, in via Nomentana. Mi svegliavo senza fiatare ogni mattina alle 5.45. Fino in ultimo, durante il tragitto, in auto ripassavo la lezione. Mi chiamavano il soldatino. Non è normale questo? Ero brava, ma non secchiona. Alla maturità ho preso 60 su 60, esaminata dai prof del Tasso, il liceo più severo di Roma. Della mia classe passammo solo in 20 su 25. Mi sono iscritta a lettere alla Sapienza. Poi mi sono lasciata risucchiare dal lavoro, ma non è detto che abbia rinunciato per sempre».

È stata un’adolescente difficile?
«L’adolescenza non è mai facile. Avevo molta libertà e la utilizzavo con ragionevolezza. Mamma e papà mi chiedevano sempre “e tu che ne pensi”? La domanda mi è rimasta in testa, è servita a sviluppare il mio senso critico. Ho trascorso questa fase della vita col papà malato. Ci pensi due volte prima di avere un colpo di testa. Per farle capire com’ero, a 14 anni andai per la prima volta in vacanza da sola a casa di un’amichetta, in Sardegna. Il giorno dopo telefonai a casa per tornare a Fregene. Mi mancavano troppo e loro furono felici di riportarmi alla base».

Mai preso uno schiaffone?
«No, rispettavo le regole. Non c’era bisogno di mettermi in castigo. Anzi, mi spronavano: vai!».

Il primo amore?
«Avevo 6 anni, giocavo con un bambino la cui tata era sorella di quella che stava con me. Era biondo e con gli occhi blu. Il principe azzurro».

È un principe azzurro anche Francesco Jovene, tuttora il suo compagno?
«L’ho conosciuto allo stadio. C’era Lazio-Juventus. Io laziale, lui juventino. Me ne innamorai subito. Avevo 14 anni, lui 7 di più. L’ho rivisto dopo 6 anni un’estate in Sardegna. Mi ha fatto faticare, non capitolava. Pensava al tennis, alla imminente laurea in giurisprudenza. Si divertiva a uscire con gli amici. Forse non voleva storie serie».

Come lo ha accalappiato, infine?
«Allora ho agito sulla gelosia. Mi sono fatta vedere con un altro ed è bastato. Ci siamo incontrati al concorso di piazza di Siena, ognuno accompagnato dal rispettivo partner. Il giorno dopo ci siamo tornati. Insieme. Indossavo un vestito arancione e ogni anno, per il nostro anniversario, ne metto uno dello stesso colore. Va avanti da 23 anni, inframmezzati da periodi di... riflessione alla fine dei quali ci ritroviamo più uniti di prima».

Perché non vi siete sposati?
«Non so rispondere. Siamo diventati grandi insieme e ancora oggi siamo il pilastro l’uno dell’altra ma non lo scriva sennò Francesco si monta la testa. Eppure siamo ambedue molto religiosi, ogni domenica andiamo a messa. Boh, forse è perché ho sempre lavorato a ritmi vorticosi».

Cosa le piace di Francesco?
«La sua leggerezza e il fatto che le discussioni finiscono in risata. Come fossimo rimasti ragazzi».

Niente figli?
«Non sono arrivati, non dispero che possa succedere anche senza l’aiuto della scienza. Le donne possono procreare fino a 50 anni. La cicogna non ce li ha portati. Rimpianti? Tendo a non averne».

Lei è figlia unica. Avrebbe desiderato un fratello?
«In realtà ho quattro sorelle, nate dal precedente matrimonio di papà, alle quali voglio molto bene. Hanno vite diverse dalla mia, ci vediamo meno spesso di prima. Nei miei ricordi sono sempre esistite, non c’è stato un momento in cui le abbia scoperte. Ho avuto una famiglia molto inclusiva e non c’è stata gelosia».

Quali sono i suoi hobby?
«Balla, l’artista, e il ballo. È la mia passione, il mio allenamento. A suo tempo ho provato a prepararmi per la maratona, poi ho desistito. Tennis mai. Un po’ di nuoto. Golf ogni tanto, nonostante le 18 buche a portata di mano. Così quando viene il mio istruttore Fabrizio e ci chiudiamo lì dentro (nella ex stalla, ndr) mi scateno. La danza preferita è la rumba che si addice di più alla mia fisicità. Sono alta, come papà. Ogni tanto con me c’è anche Romina Power, grande amica. Per carità, non mi faccia dire chi è la migliore amica, sennò scoppia il finimondo».

E l’arte?
«Mi piace molto l’arte contemporanea soprattutto il futurismo. Le opere di Balla ci vengono richieste in prestito per mostre all’estero. I quadri mi trasmettono energia, amo andare alle mostre. Poi c’è la lettura. Ho ereditato da mio nonno materno Giuseppe diecimila libri antichi, di pregio, ai quali ho aggiunto i miei. Ogni volta che vedo una libreria per strada mi ci barrico dentro. Il 12 settembre, in occasione della sfilata della nuova collezione, in Campidoglio, annunceremo il via al restauro della fontana della dea Roma».

Ma prima di tutto vengono gli animali, ovviamente. Da quando ci siamo salutate Ryder, con i suoi occhi pieni di saggezza, l’ha seguita passo passo, tanto da sembrare lui, l’intervistato...
«Poi c’è Lucy adottata al canile di Guidonia. Pur di sbolognarla a una padrona amorevole, mi avevano assicurato che sarebbe rimasta piccola, invece è diventata una specie di golden retriever. Qualunque gatto randagio capiti da queste parti trova accoglienza e scodelle di croccantini. Poi laggiù — e indica i casali — vivono liberi cinque cavalli selvatici. Ho avuto una capretta che ha partorito 15 piccoli in due gestazioni. Da bambina fra giocattoli e animali preferivo questi ultimi. Però prima di tutto viene un’altra cosa».

Cosa?
«L’amore per Roma, al contrario Amor. Un nostro profumo si chiama così, quello nella bottiglia che riprende una colonna del tempio»

Più mammona o papona?
«Ambedue».

I suoi slogan?
«Uno è trascritto su questa targa in pelle, regalata a papà dal presidente americano Reagan: it can be done . Penso che non tutto si possa fare nella vita ma bisogna dare il massimo per provarci. Mamma invece mi ripeteva sempre che ogni giorno si deve ricominciare da una pagina bianca».

Da piccola sognava di fare proprio la stilista?
«Ho avuto la tentazione di scegliere Medicina però mi è sempre piaciuta l’idea di proseguire nella moda. Per me era come aprire una bottega in senso rinascimentale. Non sarebbe potuto accadere diversamente. Guardi questo grande tavolone bianco. Io mi sedevo qui a disegnare e all’altro lato c’era mamma che creava abiti e profumi».

Quale creazione Biagiotti sente sua?
«Il primo profumo lanciato da sola. Forever. La bottiglia rappresenta l’infinito».

17 agosto 2022 (modifica il 17 agosto 2022 | 22:38)