Milano, 19 luglio 2014 - 16:13

Lo scrittore non è mai un autore

Il narratore di «Sentire le donne» esplora la distinzione tra cultura alta e passatempo
Troppi «commissari» e romanzi simili a compitini. Ma l’opera omologata è già passata

di Aldo Busi

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Che uggiosa stravaganza quella di suddividere le opere letterarie in autoreferenziali, cioè che parlerebbero autobiograficamente dell’autore che le scrive, e in altro-da-sé, cioè che parlerebbero della società e del vasto mondo esterno (?) all’autore! Oltretutto senza avere ancora operato con taglio netto la separazione tra scrittore e autore, cioè tra letteratura, che il fiasco un po’ se lo va a cercare, e, si spera, industria, fatturato (il testo alquanto mediocre di uno scrittore mi coinvolgerà sempre di più del meglio confezionato libro con commissario incorporato di autore), e senza alcun snobistico moralismo, giusto a vantaggio di entrambi gli scriventi — per sorvolare sulla pletora di quanti si descrivono nei blog e nei talk show come «attore e scrittore», «comico e scrittore», «pittore e scrittore», per arrivare all’ossimoro per eccellenza, «giornalista e scrittore».

Quando uno non sa scrivere, scrive bene

Io, per scoraggiarla e quindi reprimerla, arriverei a teorizzare addirittura la sciocchezza tutta accademica di suddividere quanto pubblicato in opere scritte bene o scritte male — sempre soprassedendo al fatto che quando uno non sa scrivere, scrive bene, sicché ci sono almeno due modi per scrivere male convogliati entrambi nell’unico modo buono per tutti di non sapere affatto scrivere, e di solito chi non ha neppure un pensiero suo fa i compitini più perfetti e perfettamente in regola con le norme del bello scrivere e dell’ottimo pensare, altrui. Secondo un comune buon senso ancora del tutto ideale, l’unico metro di giudizio critico possibile

Chi non ha neppure un pensiero suo fa i compitini più perfetti

da adottare per includere ed escludere dall’attuale lettura è tra opere di regime e nel regime di autori, pertanto coccolate dal mercato e dai non lettori, e opere di scrittori che vi si oppongono, che si oppongono a ogni possibile regime e, non appropriabili subito, perdurano in ogni regime, invise, poco lette, magari ammirate ma da lontano, senza mai farle avvicinare troppo perché ancora bruciano l’ipocrisia dell’io e di ogni relazione civile e politica e sentimentale tra codesti io e non permettono scampo ai sentimentalismi, ai sessualismi, ai familismi, alle superstizioni, alle religioni, agli assolutismi — anche tecnologici —, agli avventismi, alle reincarnazioni, ai migliorismi della scienza e della stessa economia, in altre parole, all’intrattenimento da qualsivoglia consolazione di progresso promesso e non mantenuto (soprattutto grazie a quelli che ci hanno creduto e poi però hanno letto noir per tutta la vita e osano lamentarsi o fare la voce querula della vittima fintamente, per l’appunto, inconsolabile); le prime, mere pubblicazioni, prendono solo quanto più possibile c’è da prendere, cioè da incassare, dal regime, dai suoi luoghi comuni e dai suoi sudditi, e se ne guardano bene dal cambiare una sola virgola al mondo così com’è, le seconde, che da mere pubblicazioni attingono nel tempo — e poi caso mai assurgono per sempre — alla dignità di opere, danno solo e, anche se sono più spiritose e divertenti, vivono di necessità per autocombustione sacrificale senza averne l’aria e senza attribuirsi alcun orfismo o sacralità d’accatto: in tutta semplicità anti-sacerdotale rivoluzionano o almeno aggiornano la condizione di beota stupidità di ogni regime e dell’umana fatalità che lo legittima e se ne sostenta (tra alti lamenti d’obbligo, va da sé).

Un’opera omologata è un’opera estinta

La data di scadenza di ogni singola opera — e del suo autore — è conforme al suo grado di omologazione nel tempo: un’opera omologata è un’opera estinta; se non la si brucia, è perché non vale lo zolfo di un fiammifero, non certo perché il pregiudizio buonista vorrebbe che coi libri non si fanno falò: si aspetta direttamente l’inestinguibile benefattore piromane in tournée dopo aver fatto tappa alla biblioteca di Alessandria. Da qui il fatto che le opere preferite al momento di ogni momento sono quelle nate morte, punto. Nell’impossibilità di prevedere l’omologazione futura o futuribile di un’opera ora o prima immessa sul mercato, l’unico interrogativo possibile e passabile della critica, a prescindere dall’immediato successo di vendita e consenso «critico» dell’opera medesima, è: quanto è nata già morta? Quanto fa da compiaciuto specchio al morto non lettore che la fa propria, di fatto lasciandoci ancora un po’ della sua già scarsa vita a disposizione? Si potrebbe intanto stabilire subito chi è uno scrittore e chi, per quanto di moda, un becchino. Certo, occorrerebbe però un critico non di regime e non nel regime perché una domanda simile possa porsi e un simile filtro imporsi. Infatti, a parte me, che non sono nemmeno un critico, non l’ho mai sentita formulare da nessuno da che mondo è mondo.

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