Meloni-Salvini, sfida europea: la tattica per sottrarre voti alla premier

di Francesco Verderami

Da FdI replicano: comunque con Macron e Scholz si dovrà parlare

Meloni-Salvini, sfida europea: la tattica per sottrarre voti alla premier

Fra un anno in Europa si invertiranno i ruoli e Meloni sarà ciò che era Salvini nel 2019. Per sfuggire a un destino che oggi appare inesorabile, il leader della
Lega userà contro la premier il tema della «coerenza» come arma elettorale.

Perché secondo il capo del Carroccio «coerenza vorrebbe che lei annunciasse per tempo la sua contrarietà a una maggioranza di larghe intese» nel Parlamento europeo. Da più di un mese Salvini ne parla nei colloqui riservati e ci gira intorno nelle dichiarazioni pubbliche. Dietro le schermaglie con Tajani sull’opportunità di aprire a Le Pen invece che a Macron, tiene nel mirino Meloni: ha sempre in testa il suo slogan, «mai con la sinistra», che la leader di FdI usò per svuotarlo di consensi durante la fase del governo Draghi. Confidando di restituirle il colpo, il vicepremier glielo rammenterà, «perché dopo le elezioni non potrà pensare di chiudere l’accordo anche con il Pse come niente fosse».

La manovra di Salvini — intenzionato così a sottrarre voti da destra a Meloni — parte dal convincimento che Ppe, Ecr e Liberali non avranno i numeri per formare una maggioranza. Tesi che in fondo viene condivisa anche dai maggiorenti di FdI, secondo i quali però l’alleanza a Strasburgo non potrebbe allargarsi agli estremisti francesi e tedeschi, come chiede il Carroccio, siccome i primi ad opporsi sarebbero i Popolari. Ed è così che si tornerebbe alla casella di partenza, cioè alla grossa koalition, a cui si unirebbero i Conservatori di Meloni. Che ha un obiettivo: «Entrare nella stanza dei bottoni anche dell’Europarlamento» e porre fine a una condizione politica schizofrenica. Perché è vero che a Bruxelles i partiti italiani di maggioranza partecipano ai processi decisionali con i loro ministri. Ma a Strasburgo — tranne FI — sono fuori dal giro che conta e che decide le leggi sulla base delle intese tra Ppe, Pse, Liberali e Verdi.

Insomma, tutte le previsioni portano nella stessa direzione. Anche se non è infondato il ragionamento svolto dal ministro Crosetto, che solleva un problema di sistema: «Che senso ha il voto se poi si torna al solito patto tra forze diverse? Come non comprendere che l’alternanza di governo è un modo per aprire un passaggio verso una democrazia compiuta in Europa, restituendo valore alle scelte dei cittadini?». Sono argomentazioni che però si infrangono sugli scogli dei rapporti di forza e (anche) dell’interesse nazionale. Perché in ogni caso — come spiega un autorevole ministro — «il giorno dopo le elezioni, dovremmo poi fare i conti con Scholz e con Macron», sui problemi che assillano l’Italia: «E se quelli tolgono le chiavi di casa, noi restiamo fuori».

È un richiamo al principio di realtà, che risponde a dossier dai nomi diversi (patto di Stabilità, Pnrr, Mes) e che non lasceranno molti margini a Meloni. Perciò, e in vista di questa prospettiva, i suoi fedelissimi definiscono «strumentale» l’idea che il leader della Lega medita di attuare. Cioè sfidare la premier sul terreno della «coerenza»: «Anche perché lo stesso Salvini, se vuole per esempio i soldi dall’Europa per il Ponte sullo Stretto, dovrà trattare con i ministri di Scholz e di Macron». Scuote la testa uno dei maggiorenti di governo: «Siamo un Paese che corre sul ciglio del burrone, tra irresponsabili e ignoranti».

Il catalogo di Meloni è questo. E la sfida del capo del Carroccio in vista delle Europee si somma a una preoccupazione che potrebbe avere una duplice conseguenza, a Strasburgo come a Roma: la tenuta di Forza Italia nelle urne. Il partito azzurro dovrà superare lo sbarramento elettorale, altrimenti una debacle metterebbe a repentaglio la tenuta dei suoi gruppi parlamentari nazionali e complicherebbe i rapporti con il gruppo del Ppe. Per questo un mese fa, quando Lupi ha chiesto lumi sulla collocazione di Noi moderati nelle liste di FdI, Meloni lo ha invitato ad accordarsi con Forza Italia per «rafforzare l’area di centro». Ma se questo schema non offrisse garanzie di successo, tra ottobre e novembre la premier potrebbe decidere di cambiare schema. Lanciando il progetto di rifondazione del centrodestra.

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1 settembre 2023 (modifica il 1 settembre 2023 | 23:01)