Fame nervosa (o emotiva), che cos'è e come spezzarla. I quattro consigli: perché non basta la forza di volontà

diAnna Fregonara 

La rabbia ci impone di cercare cibi croccanti, la noia di spiluccare: il mangiare compulsivo è potente perché attiva i circuiti cerebrali della ricompensa. Ecco come cambiare le abitudini con alternative mentalmente più «appetitose» 

Fame nervosa: che cos'è e come spezzarla. I quattro consigli (perché non basta la forza di volontà)

(ill. Alberto Ruggeri)

Una spinta istintiva che porta alla ricerca del cibo e determina anche il tipo di alimento dal quale siamo attratti: la rabbia, per esempio, può favorire la scelta di consistenze croccanti mentre la noia di spiluccare fuori pasto. È questa la fame nervosa o emotiva.

Fame nervosa (o emotiva), che cos'è e come spezzarla. I quattro consigli: perché non basta la forza di volontà
Il meccanismo

«La si avverte in risposta a situazioni difficili, quando si ha maggior bisogno di sollievo immediato, di senso di piacere o di ricompensa, di essere consolati: dopo un litigio, un rimprovero del capo, un momento di tristezza», spiega Daniela La Porta, psicologa e psicoterapeuta, autrice del libro «Fame nervosa» (Edizioni Lindau). «Il bisogno incontrollato di mangiare assale a volte in momenti apparentemente casuali, altre in momenti ricorrenti e ripetitivi, come ogni giorno al rientro dal lavoro o di notte, diventando un’abitudine», aggiunge.
L’abitudine è quell’azione a cui non si deve più pensare per svolgerla e di cui non si riesce a fare a meno, come allacciarsi le scarpe ad esempio. Sebbene circa il 95% delle abitudini sia utile, il restante 5% può essere problematico, come quando si mangia in eccesso o in difetto rispetto a quanto richiesto per stare in salute. La maggioranza delle persone sostiene di non riuscire a cambiare perché non ha la forza di volontà. Eppure se bastasse questa riusciremmo a domare gli attacchi di fame nervosa, a smettere di fumare e così via.

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La forza di volontà non basta, perché?

Judson Brewer, psicoterapeuta e neuroscienziato di fama internazionale che ha trascorso decenni a studiare come e perché formiamo le abitudini e cosa possiamo fare per interromperle, smonta questa visione del ruolo predominante della forza di volontà. Come scrive nel suo nuovo libro «Spezza la fame nervosa» (Ed. Corbaccio), tutti gli approcci per rimettersi in forma hanno in comune un elemento: il dovere. Dovremmo mangiare meno calorie, muoverci di più, scegliere cibi migliori. 

Ognuno di noi sa in che cosa consiste uno stile di vita sano, ma questo spesso non è sufficiente ad aiutarci a modificare il nostro modo di agire, con l’aggravante che ci sentiamo in colpa e ci percepiamo sbagliati per non essere riusciti a rinunciare al dolce extra o all’abbuffata improvvisa e incontrollata. «Il sapere non basta perché non è lì che avviene il cambiamento», ha detto al Washington Post Brewer che è anche direttore della ricerca e dell’innovazione presso il Mindfulness Center della Brown University. Secondo il neuroscienziato bisogna spostare l’attenzione dall’esclusivo impiego della forza di volontà, che premia a breve termine, alla comprensione della sensazione, della consapevolezza, perché è lì che avviene il cambiamento del comportamento. Per farlo, però, bisogna sfruttare il potere del cervello per uscire dalle vecchie abitudini e adottare quelle nuove e più positive. Ma come riuscirci?

L'approccio più efficace: consapevolezza, ma come?

«Un approccio più efficace potrebbe essere quello di combinare la forza di volontà, quindi lavorare sulla determinazione e sulla motivazione nelle prime fasi del cambiamento per imprimere una “svolta” nel comportamento che desideriamo modificare, al consolidamento delle abitudini sane a lungo termine, in questo caso agendo sulla consapevolezza e sul cervello», suggerisce Diego Sarracino, professore associato di Modelli e tecniche cliniche di intervento e disturbi d’ansia e dell’umore all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. «Per quanto riguarda la forza di volontà ricordiamo che è sostenuta dalla pratica e dall’allenamento costante. Mangiare in modo consapevole, invece, significa usare tutti i sensi per raggiungere una piena consapevolezza dell’esperienza del cibo e di quello che il nostro fisico davvero ci comunica. La consapevolezza, un’abilità fondamentale per comprendere sé stessi, gli altri e il mondo circostante, potrebbe essere vista da alcuni come un concetto new age o “alternativo”, mentre un crescente numero di studi scientifici ne sottolinea l’utilità e i benefici nella promozione del benessere nell’individuo e nella comunità».

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Come ragiona il cervello sul cibo «ricompensa»

Per farci amico il cervello, invece, bisogna partire dal considerare che il nostro «decisore» è la corteccia orbitofrontale. Grazie ai nostri antenati cavernicoli, ha una sola regola: se A è più gratificante di B in termini di sopravvivenza, quando si ha la possibilità di scegliere si opta per A. Ecco perché tra un gelato, che ha più calorie e calorie significa sopravvivenza, o un broccolo vince il gelato, per usare un esempio di Brewer. «Oggi però il cervello sfrutta questo processo di apprendimento per innescare voglie, creare consuetudini che si riversano in comportamenti compulsivi. Per cambiare un’abitudine è necessario aggiornare il valore di ricompensa che il cervello archivia», continua Sarracino. «Il sistema di ricompensa è un complesso circuito cerebrale che regola la motivazione, il piacere e l’apprendimento associati a esperienze gratificanti. Quando un individuo sperimenta qualcosa di piacevole, come il cibo, il sesso, l’attività fisica, il sistema di ricompensa si attiva, libera dopamina, un neurotrasmettitore che provoca sensazioni di gratificazione e rinforza il comportamento che ha portato alla ricompensa. Le abitudini si formano attraverso un ciclo di stimolo-routine-ricompensa che coinvolge il cervello nel creare connessioni neuronali specifiche le quali rendono il comportamento automatico e ripetitivo nel tempo. Un esempio di questo ciclo è: stimolo=bar, routine=bere caffè, ricompensa=mi sento più carico e attivo. Più volte una persona esegue la stessa routine in risposta al medesimo stimolo, più si fortifica l’abitudine che diventa sempre più automatica e meno soggetta al controllo cosciente». 

Che cosa fare: 4 punti 

Per mettere in pratica la strategia combinata di forza di volontà-consapevolezza-abitudine è importante prestare attenzione ad alcuni aspetti che il professor Sarracino illustra qui di seguito.

  1. «Avere la consapevolezza delle abitudini che desideriamo cambiare: scriviamo un elenco con quelle negative da eliminare e quelle positive da adottare».
  2. «Identificare obiettivi chiari, realistici e a breve termine: deve trattarsi di traguardi misurabili e, per agevolarci, suddividiamo il processo in passaggi più piccoli e gestibili».
  3. «Sostituire le abitudini: anziché provare a eliminare tout court una consuetudine negativa, identifichiamo comportamenti alternativi che potremmo far nostri al posto delle vecchie abitudini, cercando di adottarli in risposta agli stimoli che attivavano le consuetudini precedenti: per esempio, alla stessa ora in cui eravamo soliti mangiare il cibo consolatorio inseriamo la nuova abitudine».
  4. «Farsi i complimenti: si chiama rinforzo positivo e consiste nel ricompensarci ogni volta che adottiamo con successo una nuova abitudine. Concediamoci, per esempio, piccoli premi, come un cioccolatino, quando raggiungiamo un obiettivo. Anche il sostegno pratico ed emotivo di amici, familiari o professionisti può essere determinante per cambiare», conclude l’esperto.

I due esempi pratici 

Per allenare il saper ascoltarci potremmo copiare da una delle popolazioni più longeve al mondo, quella dell’isola giapponese di Okinawa che ha fatto dell’ascolto dei segnali del corpo uno dei segreti del benessere. È, infatti, ormai integrato nella sua cultura il principio «hara hachi bu» ossia mangiare fino all’80% di sazietà. In quel momento gli abitanti di Okinawa prestano molta attenzione al principio del piacere: si sentono a proprio agio quando non sono sazi al 100%, perché questa è ormai la loro abitudine.

Un trucco per capire se siamo davvero sazi è aspettare 20 minuti prima di scegliere la portata successiva: come al ristorante, se l’attesa è lunga l’appetito se ne va. «È, infatti, questo il tempo di cui il cervello ha bisogno per registrare la sensazione di sazietà», dice Carol Coricelli, ricercatrice in Neuroscienze cognitive presso l’Institut Lyfe di Lione (Francia). «Cibi che non favoriscono il riconoscimento del tipo di fame sono in particolare quelli con alto contenuto di zucchero mentre quelli ricchi in fibre riducono le sensazioni di fame ravvicinate ai pasti».

6 aprile 2024