Tempo libero come antidoto contro il burnout

di Elena Meli

È molto importante mettere in agenda qualche ora da dedicare ai propri interessi, al di fuori degli impegni lavorativi e familiari. Le aziende dovrebbero sapere che anche per la produttività non conviene «spremere» troppo i dipendenti

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Getty Images

In una società iper-competitiva e dopo un anno e mezzo di pandemia che ha messo a dura prova moltissimi lavoratori per i più diversi motivi, non stupisce che la sindrome da burnout sia stimata in crescita. Ma è possibile prevenirla e poi, se proprio non si riesce a evitarla, venirne fuori? La risposta è sì a entrambe le domande, ma non è certo scontato riuscirci. La prevenzione per esempio è fondamentale, ma serve innanzitutto che i datori di lavoro ne comprendano l’importanza e non sempre è così: «La prevenzione viene vista come un costo inutile, invece è un investimento per evitare spese future se i dipendenti vanno incontro a burnout», spiega Alessandro Lo Presti, docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. «Questa sindrome infatti impatta sul singolo lavoratore ma la ridotta produttività ha inevitabili conseguenze sui costi organizzativi, per non parlare delle spese per rimpiazzare temporaneamente o definitivamente chi si assenta per malattia o si dimette».


Azione strategica

Come capire se la propria azienda sta facendo il possibile per prevenire il burnout dei dipendenti? «I meccanismi organizzativi e lavorativi che favoriscono il problema sono in gran parte sovrapponibili a quelli alla base dello stress lavoro-correlato: la normativa al riguardo, ovvero il Decreto Legislativo 81/08, prevede che le aziende eseguano la valutazione dello stress e intervengano sui fattori di rischio e ciò può ridurre anche la probabilità di burnout», risponde Lo Presti. «L’efficacia preventiva dipende da caso a caso: in alcuni contesti, per esempio quello sanitario o scolastico, la consapevolezza del fenomeno è già elevata e spesso sono previsti interventi; in ambiti emergenti o “periferici” in termini di importanza economica, valenza sociale o numero di addetti c’è invece una minore sensibilità e sono possibili maggiori rischi, pensiamo per esempio ai lavoratori della cosiddetta “gig-economy” (ovvero i freelance o part-time che non hanno contratti fissi né a tempo pieno, ndr).


Valutazione dello stress

Per tutelarsi a livello giuridico, il lavoratore può pretendere che l’azienda esegua regolarmente una valutazione dello stress lavoro-correlato e che intervenga seriamente sulle eventuali criticità: a volte però ci si ferma a una logica “adempitiva”, i test vengono fatti perché sono obbligatori ma non si tiene davvero conto dei risultati e le criticità vengono stemperate nel documento di valutazione dei rischi. Un’azienda virtuosa, inoltre, dovrebbe formare e informare i dipendenti sul tema ed essere attenta ai loro bisogni, oltre che migliorare ove possibile l’organizzazione del lavoro. Purtroppo su questi aspetti i lavoratori difficilmente possono influire».


Risorse individuali

Entrano perciò in campo le risorse individuali: posto che se ci si accorge di lavorare in un ambiente «tossico» non sempre è facile licenziarsi e cambiare, è bene riuscire quantomeno a distanziarsi psicologicamente dal lavoro e compensare con attività personali che aiutino al recupero. Come consiglia lo psicologo: «Non portarsi il lavoro a casa e saper staccare rilassandosi è la prima regola. Va bene la meditazione, ma anche dedicarsi al proprio hobby o a un’attività sportiva: l’essenziale è trovare tempo per sé lontano dal lavoro, mettendo letteralmente in agenda il tempo libero. Non dobbiamo ritagliarcelo quando capita, deve essere una vera priorità a cui dedicare spazio ogni giorno», raccomanda Lo Presti. «Essere consapevoli dei propri limiti è altrettanto necessario: pianificare al meglio il lavoro delegando o chiedendo aiuto, ridurre le ore di troppo, condividere le proprie esperienze lavorative sono metodi utili a salvaguardarsi e a non spingere troppo sull’acceleratore», interviene Andrea Fiorillo, presidente della Società Italiana di Psichiatria Sociale. «Non bisogna poi sottovalutare il ruolo protettivo di famiglia e amici: anche coltivare le relazioni previene il burnout. Se però si scivola pian piano nella sindrome, è essenziale saper riconoscere le proprie emozioni e chiedere aiuto, senza pensare di poterne uscire da soli: se la pressione lavorativa aumenta troppo si può arrivare anche a un disturbo mentale vero e proprio». Le soluzioni sono quelle messe in atto per risolvere lo stress lavoro-correlato: «Possono aiutare tecniche di rilassamento e meditazione, mindfulness, tecniche cognitivo-comportamentali di ristrutturazione cognitiva o di recupero psicologico», conclude Lo Presti.

21 agosto 2021 (modifica il 21 agosto 2021 | 21:44)