18 febbraio 2019 - 09:41

Commodilla, un post-it sulla pietra la prima traccia della lingua italiana

Il graffito di Commodilla si trova nelle omonime catacombe a Roma e risale al IX secolo: è ritenuto la prima testimonianza di una lingua intermedia tra latino e volgare

di Paolo Fallai

Commodilla, un post-it sulla pietra la prima traccia della lingua italiana
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La prima traccia della lingua italiana è un graffito, forse una presa in giro, forse un atto vandalico, forse solo un «post-it» ante litteram inciso sulla pietra. Si trova nelle catacombe di Commodilla a Roma, che hanno preso il nome dalla matrona che donò terreno e sotterranei alle prime comunità cristiane.

Il breve testo

È inciso nella cornice di un affresco nella cripta dei santi Felice e Adautto. Il luogo, al secondo dei tre piani interrati, doveva presumibilmente essere usato per le funzioni religiose. Nella scritta leggiamo: «Non dicere ille secrita a bboce», ossia: «Non dire le cose segrete della messa ad alta voce». I linguisti concordano: il graffito rappresenta la testimonianza di una lingua intermedia tra latino e volgare.

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L’affresco è stato realizzato tra il VI e il VII secolo. Il graffito è senz’altro posteriore. Analisi storiche la spostano in avanti di duecento anni in quanto durante la prima età del IX secolo, a causa dei continui saccheggi nella zona di San Paolo fuori le mura, le reliquie dei santi Felice e Adautto vennero spostate dalla cripta, che così fu abbandonata.

Una «memoria» o uno sfottò

Giuseppe Antonelli dedica al graffito di Commodilla il primo capitolo del suo libro «Il Museo della lingua italiana» spiegando che le «cose segrete» di cui parla sono le orazioni segrete, che durante la liturgia andavano pronunciate a bassa voce. E siccome in quel momento storico chi officiava la messa dava le spalle ai fedeli ed era rivolto verso l’altare, quel graffito lo aveva proprio davanti agli occhi. Antonelli fa due ipotesi sulle intenzioni dello scrivente: la prima è che fosse un «avviso» per ricordare al sacerdote di abbassare la voce al momento di pronunciare le «orazioni segrete». La seconda che fosse uno sfottò diretto proprio a chi dimenticava di farlo.

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Due secoli dopo, nell’XI secolo, sempre a Roma appare un altro graffito, questa volta ben inserito a commentare un affresco: si trova nei sotterranei della chiesa di San Clemente e comprende la prima battuta scurrile della nostra storia linguistica: «Fili dele pute traite», ovvero: «Figli di puttane, tirate». Attribuita al padrone, tale Sisinnio, impegnato a spronare i servi che devono trascinare San Clemente che un prodigio ha trasformato in una colonna senza che loro se ne accorgano.

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Gli esordi del volgare

Curiose primogeniture, queste, che sembrano segnare dagli esordi la natura assertiva, imperativa e violenta della nostra parlata. Ringraziando i molti studiosi che se ne sono occupati. Per citarne solo alcuni, oltre a Giuseppe Antonelli, il Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini e Pietro Trifone autore di un interessante saggio intitolato «Storia linguistica di Roma» (Carocci).

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