Crypto art: arte o non arte? La rivoluzione sotterranea divide i critici

di Vincenzo Trione

Un movimento dal basso, che nasce e vive sul web, mette in crisi tutti: artisti come ambientalisti. Indirizzo dai confini poco chiari, la sua carica potrebbe farsi dirompente

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Immaginate un pittore tradizionale. Chiuso nel suo studio, seduto al cavalletto, intento a mescolare i colori, abile nello scegliere i pennelli, sapiente nel calibrare tra momenti frenetici e pause, in attesa del confronto con i critici, con i direttori di musei, con i galleristi, infine con il pubblico. Pura archeologia. Fotogrammi di un’epoca lontana. Nel mondo dell’arte è in atto una sotterranea rivoluzione. Un movimento nato dal basso, animato da personalità che amano affidarsi a pseudonimi o a nomi di battaglia. Un indirizzo dai confini poco chiari, la cui carica potrebbe risultare dirompente. Un fenomeno nei confronti del quale gran parte della critica appare poco attenta. È, forse, tra i più interessanti esiti del post-pandemia: «Il Covid è una parte significativa di questa frenesia: le persone sono a casa davanti al proprio pc tutto il giorno. Se non ci fosse stato il virus, non credo che ci sarebbe stata una tale accelerazione», ha detto uno tra i protagonisti di questo gruppo.

«UNO TSUNAMI CHE SCONVOLGE TANTE LITURGIE DELL’ARTWORLD, CHE È RIMASTO UNA MISCELA DI AVANGUARDIA E CONFORMISMI»

Un piccolo tsunami che rischia di mettere in crisi tante liturgie proprie dell’artworld, una complessa miscela di avanguardia e di conformismo, di sperimentalismo e di dogmatismo: come un ingranaggio che gira a vuoto su sé stesso. Templi dove queste contraddizioni si trovano a convivere in maniera spesso schizofrenica sono le grandi rassegne espositive internazionali come la Biennale di Venezia e la Documenta di Kassel, che hanno ancora l’ambizione di anticipare indirizzi e orientamenti, ma che, da qualche anno, ricordano da vicino la Fortezza Bastiani de Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati o le agenzie di viaggio, oggi condannate a una funzione residuale. Le più grandi esposizioni d’arte contemporanea dichiarano di voler intercettare indizi del nuovo-che-avanza, ma, in realtà, talvolta, sembrano replicare stancamente ritualità convenzionali, indifferenti ai radicali cambi di paradigmi conoscitivi oggi in atto, ancorate a una logica novecentesca, portate a muoversi come se fossimo nell’epoca di Duchamp o di Warhol, inclini ad assecondare le regole dell’art system (direttori di musei, critici, mercanti, collezionisti, dealers).

La nouvelle vague si chiama Crypto Art

Intanto, fuori c’è un mondo che, ruotando su sé stesso, si è fatto paesaggio inimmaginabile. C’è una generazione di artisti che sceglie di porsi in linea con la mobilitazione totale imposta dal web e dai social. Consapevoli del fatto che, come ha scritto Alessandro Baricco, viviamo in un «mondo in cui c’è molto più traffico di una volta». La nouvelle vague si chiama Crypto Art. Ne sono protagonisti, tra gli altri, Skygolpe, Fabiello DaNGUIZ, Giovanni Motta, Federico Clapis. La star è Mike Winkelmann, quasi omonimo del grande storico dell’arte tedesco del Settecento, teorico del neoclassicismo, Johann Joachim Winckelmann. Fino a sei mesi fa, nessuno aveva mai sentito parlare di Winkelmann. Un quarantenne nerd della Sud Carolina, occhiali rettangolari, capelli ben pettinati, graphic designer, autore delle animazioni dei concerti di star come Ariana Grande, Justin Bieber, Childish Gambino, Shakira, Kate Perry, One Direction, Eminem, Zedd e Nicki Minaj. Poi, ispirandosi a un giocattolo peloso degli Anni 80, Winkelmann è diventato Beeple. E lo scorso febbraio si è trasformato in una celebrity. Un suo collage è stato battuto da Christie’s per 69 milioni di dollari, poco meno del record d’asta del 2019 raggiunto dal Rabbit di Jeff Koons (91.1 milioni di dollari)

Cinquemila immagini postate in 13 anni

Everydays: the First 5.000 Days è un assemblage di cinquemila immagini realizzate e postate in Rete, giorno dopo giorno, per più di tredici anni, una specie di paradossale arazzo pulp fatto di scene spesso assurde (Trump seduto a cavalcioni sulla Casa Bianca, Babbo Natale semi nudo e abbracciato a un salvagente in un acquitrino). Ma è solo la punta di un iceberg: secondo le stime, le transazioni legate a opere di questo tipo nella prima parte del 2021 si aggirano attorno ai 2,5 miliardi di dollari. Cerchiamo, ora, di comprendere come funziona l’ affaire -Cripto Arte.

Come si fanno affari con gli NFT

Non si tratta di una semplice compravendita di quadri né di file riproducibili e interscambiabili con un semplice copia e incolla. Si tratta di dipinti digitali che possono essere commercializzati, ma non duplicati, perché criptati grazie alla tecnologia Blockchain che li certifica, ne legittima e ne garantisce l’autenticità e l’unicità; e grazie all’applicazione NFT (Non Fungible Token), che consente la creazione di file collezionabili, dei quali si possono individuare proprietà, valore, tracciabilità. Si costruisce così un registro online della Crypto Art, garantito dalla firma dell’artista. È un falso qualsiasi lavoro che non sia schedato in quel registro, ma circoli su Internet attraverso i social o i forum. I collezionisti devono attingere solo a questo database, acquistando (o rivendendo) i quadri digitali con criptomonete ma anche con metodi di pagamento tradizionali su piattaforme specifiche (SuperRare, Nitty Gateway, Hashmasks).

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«Genesis Estate» (opera di Axie Infinity) è un gioco Blockchain che consente di allevare, combattere e scambiare creature stile Pokemon. Cosa avrà spinto Flying Falcon, acquirente anonimo, a comprare 9 appezzamenti di terreno? Di sicuro ci ha visto giusto dato che nelle ultime settimane AXS ha raddoppiato il suo valore

Già superati i net-artists

Veniamo, ora, alle affinità e alle differenze tra queste esperienze e quelle portate avanti dai net-artisti della generazione precedente. In sintonia con artisti come, tra gli altri, David Blair e Antoni Muntadas, Beeple e gli altri criptoartisti scelgono di aderire a quella che il filosofo Luciano Floridi ha chiamato Infosfera: uno spazio relazionale, condiviso e comune dove l’umanità trascorre sempre più tempo e dove si svolgono sempre più attività (dall’educazione al lavoro, dalla socializzazione all’intrattenimento, dal commercio alla finanza, dalla ricerca al giornalismo, dall’esercizio della giustizia alla discussione politica). Inoltre, Beeple e il suo gruppo trattano i computer non come impersonali attrezzi, ma come dispositivi prodigiosi nell’estendere, nell’amplificare e nel moltiplicare la nostra vita psichica. Il web? È come un habitat da occupare con quadri realizzati con strumenti tecnologici, destinati a favorire diverse modalità di fruizione.

«Non vogliono mettere in crisi la concezione museale»

Interpreti di quella che è stata definita Expanded Internet Art, però, a differenza dei net-artisti, i cripto artisti non si misurano con il web per mettere in crisi la concezione museale dell’arte; né criticano il mercato, rompendo il patto tra artefice e acquirente. E ancora: non vogliono neanche portarsi oltre il concetto tradizionale di autorialità. Barbari privi di ogni preparazione accademica, i cripto-artisti vogliono saldare arte e web. Nell’assecondare quella gamification da cui tutti siamo contagiati, inventano tele tecnologiche piuttosto decorative, facili da “instagrammare”, d’impronta tardo-surrealista, dense di richiami agli esercizi di Dalí e Tinguely, percorse da echi di cronaca. Non documentazioni di quadri, sculture, fotografie o installazioni, ma opere vere, eseguite in alta definizione, difficili da trasmettere, concepite per stare dentro quell’oltremondo che è la Rete, in grado di riattivare, pur se su un registro inedito, il ritorno dell’idea di aura cara a Walter Benjamin.

Nuove frontiere:

Per ora, mancano i Koons e gli Hirst della Crypto Art. Gli esiti raggiunti da Beeple e dai suoi compagni appaiono ancora ingenui. Simulacri policromi, privi di ogni fisicità. Illustrazioni digitali 2D e 3D, eredi delle lontane utopie di Apollinaire e di Duchamp sull’arte fatta di niente. Dipinti dematerializzati, che concretizzano una profezia enunciata agli inizi del Novecento da Kandinskij: «Quanto più il mondo diventa spaventoso, tanto più l’arte diventa astratta, mentre un mondo felice crea un’arte realistica». Siamo dinanzi a quadri che, però, a differenza della maggior parte dei lavori diffusi su Internet e sui social, non vogliono reagire alla «decadenza della fede nelle idee eterne e nello spirito divino», prefigurando «quel futuro in cui le cose a noi contemporanee si eclisseranno» (per dirla con le parole del filosofo Boris Groys). Ma provano a far resistenza al fluire del tempo. Sognano di rimanere. Di essere collezionati (forse, anche restaurati). E musealizzati. Sancendo il ritorno dell’economia della rarità. E riaffermando l’eterna attualità di valori troppo umani come quelli di originalità e di non-replicabilità.

Crypto art (in)sostenibile

Il fine ultimo: mettere in crisi il sistema dell’arte, prendere in contropiede e superare ogni mediazione (critico, gallerista, mercante). «Chiunque può creare un account e vendere NFT. Gli unici guardiani sono SuperRare, Nitty Gateway, Hashmasks», dice Beeple. Eppure, c’è un lato perturbante dietro questo nuovo indirizzo, che si pone sulla soglia tra smaterializzazione e ri-materializzazione. Si tratta dei lati oscuri di cui si è discusso in recenti interventi usciti sulla stampa internazionale. In un’epoca come la nostra, segnata dalla crescente sensibilità da parte degli artisti verso le urgenze ambientali ed ecologiche, i cripto artisti sembrano ripetere, un po’ alla Palazzeschi: «E lasciateci divertire!». Senza tener conto, però, della dimensione civile ed etica dell’arte. Da questo disimpegno nascono lavori incuranti delle questioni legate alla sostenibilità. Alcune ricerche hanno dimostrato che il ricorso al Blockchain e al NFT richiede uno spreco di energia molto elevato. Alcuni dati appaiono sorprendenti e, insieme, inquietanti. Si è calcolato che lo scambio di un file di Crypto Art richieda la stessa quantità di elettricità necessaria per alimentare lo studio di un artista per due anni. Inoltre, la creazione di un’opera di Crypto Art sfrutterebbe una quantità di energia pari a un volo in aereo di due ore o un viaggio di 500 miglia su una tipica auto americana.

Computer dalle prestazioni molto elevate

Il processo di Blockchain e di NFT, come è emerso dagli studi di prestigiosi atenei internazionali, si fonda su complessi calcoli che richiedono ai computer prestazioni molto elevate: decine di processori che si muovono contemporaneamente per generare i file digitali servendosi di strumenti di raffreddamento molto efficienti e avidi di energia, indispensabili per evitare il surriscaldamento delle macchine. E ora, quale futuro per i NFT? La Crypto Art è a un bivio. Restare giovane, condannandosi però a una rapida obsolescenza. O provare a rivolvere alcune approssimazioni e aporie. Dunque, inventare uno stile meno meccanico, lontano dalle soluzioni adottate nei render degli architetti. E, al tempo stesso, sperimentare stratagemmi per ridurre l’impatto ambientale suscitato da Blockchain e da NFT. Se il fenomeno dei NFT riuscirà a diventare adulto, sarà una piccola rivoluzione copernicana per il sistema dell’arte.

19 luglio 2021 (modifica il 23 luglio 2021 | 05:55)