Spargiamo ovunque le nostre informazioni genetiche. Una buona notizia? A volte no

di di Chiara Lalli e Anna Meldolesi

Secondo gli ultimi studi, è possibile risalire al Dna da un’impronta impressa sulla spiaggia e persino dall’aria respirata in una stanza. Può essere molto utile per incastrare i delinquenti, ma come si fa a evitare che cittadini inconsapevoli possano essere coinvolti in indagini su fatti a loro del tutto estranei?

Spargiamo ovunque le nostre informazioni genetiche. Una buona notizia? A volte no

(di Gianluca Folì)

Questo doppio articolo, pubblicato su «7» in edicola il 30 giugno, fa parte della rubrica del magazine del Corriere «Due punti». Intesi come due punti di vista che qui troverete pubblicati online in sequenza: prima l’articolo di Anna Meldolesi, poi quello di Chiara Lalli. Buona lettura

di ANNA MELDOLESI

I criminali sanno che a incastrarli possono essere i mozziconi di sigaretta buttati vicino al luogo della strage, un capello caduto nella stanza del delitto, le tracce di saliva lasciate sul bicchiere al bar. Ma lo stato dell’arte delle tecnologie per l’analisi del Dna è ben più avanzato di così, e la polizia scientifica potrebbe presto cimentarsi con nuovi approcci adatti a setacciare ambienti prima impensabili. Secondo gli ultimi studi è possibile recuperare informazioni genetiche personali da un’impronta lasciata sulla sabbia e persino dall’aria respirata in una stanza. Sembra incredibile ma dai frammenti sospesi nell’aerosol si possono ottenere parecchie informazioni genetiche su chi ha respirato lì in precedenza. Il limite di tempo non è chiaro e anche i margini di affidabilità dovranno essere testati con cura. Ma i primi esperimenti suggeriscono che sia possibile identificare il sesso di una persona e ricostruire la provenienza dei suoi antenati (anzi delle sue antenate, perché è più facile seguire il lato femminile delle genealogie molecolari). In qualche caso si può persino scoprire se l’individuo è portatore di qualche difetto genetico e, se il suo Dna è già schedato, si può arrivare a dargli un nome.

BIO-ETICA DOMANDE & RISPOSTE - OGNI DUE SETTIMANE CHIARA LALLI E ANNA MELDOLESI SCRIVONO DI UN ARGOMENTO TRA FILOSOFIA MORALE E SCIENZA, TRA DIRITTI E RICERCA. DUE PUNTI DI VISTA DIVERSI PER DISCIPLINA MA AFFINI PER METODO

Vi ricordate l’attenzione maniacale con cui il protagonista del film Gattaca cercava di eliminare ogni traccia biologica (cellule epidermiche, capelli, gocce di sudore) perché non fosse scoperta la sua vera identità? Con i progressi relativi al Dna ambientale (in gergo si chiama eDna, dove la prima lettera sta per environment ), ogni sforzo sarebbe vano. Guardie, ladri e scrittori di crime fiction prendano nota, ma con loro anche bioeticisti, esperti di privacy e regolatori.

Non c’è dubbio che incastrare un delinquente sia cosa buona e giusta, ma come si fa a evitare che certe attenzioni siano riservate a ignari cittadini che non hanno commesso crimini? Qualcuno potrebbe voler sorvegliare illegalmente un gruppo di persone, magari una minoranza etnica invisa a un regime. Altri potrebbero mirare ai dati sensibili di particolari individui, ad esempio agli indicatori della predisposizione a gravi malattie di importanti leader politici. Va detto che l’eDna ha già applicazioni utilissime in campo epidemiologico (è stato usato nelle acque reflue per seguire il Covid) e persino in campo ecologico. In effetti il monito a non sottovalutare le questioni di privacy è partito da una rivista che si chiama Nature Ecology& Evolution , quando un gruppo della Florida interessato a monitorare una popolazione di tartarughe marine si è imbattuto in così tante tracce di Dna umano ambientale da decidere di studiarle. Vietare dunque non ha senso, regolamentare invece è necessario e bisognerà decidere come.

IL DNA AMBIENTALE (O E-DNA) HA GIA’ APPLICAZIONI AVANZATE. VIETARE DUNQUE NON HA PIU’ SENSO, REGOLAMENTARE INVECE E’ NECESSARIO

di CHIARA LALLI

È sempre stata una mia ossessione non lasciare pezzi del mio Dna in giro: capelli, unghie, impronte o qualsiasi altro residuo che avrebbe potuto segnalare la mia presenza da qualche parte (forse ho visto troppe puntate di CSI). Poi chissà per quale coda di paglia, considerando che non ho mai compiuto azioni particolarmente riprovevoli né tantomeno reati. Credo sia la stessa sensazione che provo ormai quasi sempre quando sono in una stanza o anche per strada e vedo telefoni cellulari (trasformati in armi improprie) puntati nella mia direzione. Ora, non sono mica pazza o mitomane e non penso certo che stiano fotografando o riprendendo me, ma è sempre più impossibile sottrarsi e non comparire nelle foto e nei video altrui per caso o per sbaglio. A una presentazione, a una mostra, per strada, ovunque ci sarà la tua faccia nella folla, inconsapevole e non desiderata.

Con il Dna è ancora peggio, è ancora più invadente e pericoloso. Nell’uso forense si ha spesso la tentazione di considerarlo come una specie di bacchetta magica, come la soluzione a qualsiasi mistero: trovo il tuo Dna sulla scena del crimine e quindi sei l’assassino. Ovviamente è una semplificazione spaventosa e imprudente. Non solo per chi potrebbe essere considerato responsabile soltanto perché è passato di là — succedeva anche prima, ma il riscontro genetico aggiunge quella apparente certezza della colpa che una telecamera di sorveglianza non aveva — ma pure per la riuscita della indagine.

Convincersi troppo presto e in modo errato di aver trovato la soluzione è il peggio che possa accadere: se ho trovato la risposta che bisogno c’è di domandarsi oltre? Eppure il Dna, anche e soprattutto nelle sue forme più avanzate e raffinate, dovrebbe costituire solo una parte dell’impianto accusatorio e della stessa ipotesi investigativa. Sappiamo — o tutti dovremmo sapere — che essere passati da qualche parte non implica nulla, ma è facile dimenticarsene, è facile affezionarsi alla riposta più immediata.

E poi sappiamo ricostruire un tempo, cioè stabilire se quella presenza è avvenuta non prima e non dopo il delitto? Può il ritrovamento di un pezzo di mio genoma sostituire il movente, i mezzi usati, il controllo dell’alibi — insomma la capacità di un ragionamento analitico e abduttivo? Il Dna è uno strumento formidabile, ma come tutti gli strumenti dobbiamo saperlo usare bene, dobbiamo conoscerne i limiti e le potenzialità, i rischi e i danni che potrebbe causare un suo uso improprio e affrettato. A tal fine sarebbe importante non solo che investigatori e scienziati — insomma tutti coloro che lo usano — ne siano consapevoli, ma che ci sia una corretta informazione e un dibattito pubblico adeguato.

STRUMENTO FORMIDABILE, MA DOBBIAMO SAPERLO USARE BENE. LA PRIVACY? OGGI E’ GIA’ IMPOSSIBILE SOTTRARSI A VIDEO E FOTO ALTRUI

4 luglio 2023 (modifica il 4 luglio 2023 | 08:43)