«Sul tetto del mondo», il regista Stefano Vicario: «L’amore è un collante che mette assieme persone diverse»

di Renato Franco

La relazione fra l’alpinista Walter Bonatti e l’attrice Rossana Podestà nella docu-fiction di Rai1: «Due persone agli antipodi, eppure...»

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«È la storia di un amore felice durato 30 anni, un amore così grande che non sono sopravvissuti l’uno all’altro. Walter è morto a causa di un tumore al pancreas, mia madre ha avuto il tempo di fare un film su di lui e poi se ne è andata anche lei: in questo noi figli non siamo bastati abbastanza». Sul tetto del mondo (in onda domenica 12 settembre su Rai1) è la docu-fiction che racconta la straordinaria storia d’amore tra il fenomenale alpinista Walter Bonatti e Rossana Podestà, grande attrice e femme fatale all’occasione che conquistò anche Hollywood.

La regia è di Stefano Vicario: un figlio che racconta l’amore di sua madre per un uomo che non è suo padre. Perché ha scelto di farlo? «L’avrei fatto anche se avessi dovuto pagare io, mi sono sentito in dovere di raccontare i tanti episodi che punteggiano questa vicenda perché ne sono stato testimone in prima persona. Come fu per l’ultima scalata di Walter, quando nell’ultimo giorno della sua vita pur con le stampelle, pur quasi non camminando più, non ha voluto che lo aiutassi a salire le scale. Stava malissimo, mi ha guardato altrettanto male: lasciami, questa è roba mia. Ha fatto quei gradini come affrontasse una cima, con una tigna e una forza che mi hanno emozionato. Sapeva che sarebbe morto, ma per un’ultima volta si è sentito uomo».

L’incontro tra Bonatti e Podestà avviene in un pomeriggio di giugno del 1981: da allora non si lasceranno. «Erano due persone dalle estrazioni completamente diverse, fin lì avevano vissuto vite lontanissime: Walter, il grande esploratore e alpinista; mia madre un’attrice che viveva a Roma, ma che era stata a Hollywood da giovane. Due persone agli antipodi: Walter era diffidente, doveva essere sempre contro qualcuno e contro qualcosa per sentirsi vivo, era uno che non si lasciava andare facilmente. Umanamente colpivano la sua sincerità, la schiettezza, non mediava, nel bene e nel male, ma è stato anche un esempio per i miei figli, lui andava dritto e non mollava mai. Mia madre era la luce, come arrivava portava un sorriso, era un’aggregatrice, una persone di grande umanità, estremamente solare, socievole senza essere mondana; sapeva entrare nel cuore degli altri perché sapeva ascoltare e starti vicino. Lei gli ha fatto da interfaccia con il mondo».

La vita di Bonatti, quella diffidenza, erano state segnate dalla spedizione sul K2 del 1954 e dai decenni impegnati per ottenere il riconoscimento del ruolo cruciale svolto nella conquista della vetta. Molti anni più tardi, l’incontro che cambia le vite di entrambi: «Mia mamma non aveva mai fatto niente del genere, Walter l’ha portata sul Monte Bianco, sui ghiacciai, in Patagonia, nella foresta del Borneo: 30 anni di viaggi. Ma quando non viaggiavano Walter doveva sorbirsi tutta la nostra famiglia, piena di ragazzini. È diventato nonno senza passare da padre». Perché vedere questa docu-fiction? «Perché insegna che l’amore è un collante straordinario che mette insieme vite e persone completamente diverse. È anche la storia di un grande adattamento da parte di entrambi, mia madre ha scoperto un mondo, lui un mondo di affetti. Non è stato semplice girarla: è difficile raccontare 30 anni di felicità, sarebbe stato più semplice raccontare un amore tormentato».

Vicario non è solo regista di fiction (I Cesaroni) ma anche di Sanremo (facile che Amadeus lo chiami come già negli ultimi due anni): «Sono due mestieri completamente diversi, quando si attacca la diretta di Sanremo c’è una scarica di adrenalina unica, si lavora con una squadra di 200 persone all’unisono, l’errore non è rimediabile, vai in onda e non puoi farci niente; l’altro è un lavoro di ricostruzione di un racconto, da narratore puro. È la differenza della scarica di adrenalina tra i 100 metri e la maratona».

Prodotta da Stand By Me con Rai Fiction, Sul tetto del mondo – mescola preziosi e rari materiali d’archivio con la parte fiction dove i ruoli dei protagonisti sono per Alessio Boni e Nicole Grimaudo: «Due attori straordinariamente empatici, in loro ho davvero rivisto Walter e Rossana di nuovo vivi e a un certo punto confondevo realtà e finzione. Per me girare è stato emotivamente profondo. Alla fine delle riprese mi sono chiesto: e loro dove sono andati adesso? Non ci sono più di nuovo...».

17 agosto 2021 (modifica il 1 settembre 2021 | 19:46)