Doping, cannabis non più tra le sostanze proibite dopo il caso Richardson

di Marco Bonarrigo

Dopo il caso della velocista statunitense Sha’Carri Richardson, difesa anche dal presidente Biden. Sulle droghe ricreative incidono le depenalizzazioni in tutto il mondo

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Sha’Carri Richardson, 21 anni, dopo l’ultima apparizione di Diamond League a Eugene, lo scorso agosto: ha saltato le Olimpiadi perché positiva alla cannabis (Afp)

La cannabis potrebbe non essere più considerata doping dai regolamenti sportivi internazionali. Nel suo Comitato Esecutivo di lunedì, l’Agenzia Mondiale Antidoping (Wada) ha deciso di ascoltare i suggerimenti di uno dei gruppi di esperti e iniziare un processo di revisione sull’uso della sostanza per cambiare l’attuale regolamento che punisce chi viene trovato positivo nei controlli durante le competizioni: il processo non sarà breve e alla revisione si potrebbe arrivare nel 2023.

La necessità di modificare le regole nasce dal clamore mediatico suscitato dall’esclusione dai Giochi di Tokyo di Sha’Carri Richardson, 21enne prodigio della velocità americana squalificata per un mese per la sua positività dopo i Trials americani e quindi esclusa dal terzetto Usa convocato per le Olimpiadi. Sha’Carri ammise la colpa e chiese scusa giustificando l’uso con la sua destabilizzazione per la morte della madre biologica. Lo stesso Joe Biden, interrogato dai giornalisti durante una convention nel Michigan, si dichiarò colpito dalla vicenda spiegando che «le regole sono regole e vanno rispettate. Che poi possano essere cambiate è un altro discorso».

Ogni anno i tribunali antidoping giudicano poco meno di 150 casi di positività ai cannabinoidi con squalifiche che vanno da uno a sei mesi. Gli sport dove vengono rilevati più casi sono basket, football americano, rugby, baseball e surf.

La cannabis è inserita nella classe S8 delle sostanze proibite, che comprende hashish, marijuana e loro derivati sia naturali che sintetici. Il divieto di uso era stato confermato da un articolata ricerca scientifica pubblicata dalla Wada nel 2011 che spiegava come, oltre a dare vantaggi agonistici illeciti, «...il consumo di cannabis e di altre droghe illegali contraddice aspetti fondamentali del criterio dello spirito dello sport. La comunità antidoping internazionale ritiene che il modello di ruolo degli atleti nella società moderna sia intrinsecamente incompatibile con l’uso o l’abuso di cannabis. Sebbene alcuni abbiano proposto anche di vietare la cannabis nei controlli fuori dalle competizioni ciò è apparso al di là del mandato antidoping e si è ritenuto che violasse la privacy degli atleti. Per questi motivi, l’uso di cannabis è vietato solo in competizione».

Un principio ora messo in discussione anche alla luce del fatto che la cannabis è depenalizzata in molti stati del mondo. Tra i casi più celebri di squalifica per positività alla sostanza quello di Michael Phelps, divinità del nuoto Usa, che nel 2009 fu fermato per tre mesi e perse il contratto con alcuni sponsor, tra cui la Kellogg’s. Tutti gli sponsor di Sha’Carri Richardson hanno invece manifestato il loro sostegno all’atleta.

15 settembre 2021 (modifica il 15 settembre 2021 | 12:57)