Italia fuori dai Mondiali: eccoci nel pozzo nero del calcio. Mancini si aspetti irriconoscenza

di Fabrizio Roncone, inviato a Palermo

Donnarumma in ginocchio, Florenzi che sembra svenuto. Raspadori e Verratti a capo chino. La Macedonia è modesta, noi sprofondiamo dentro un calcio cupo, improvvisamente complicato, senza luce, senza allegria

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Che botta. Eccoci nel pozzo nero del calcio. Di nuovo giù. In fondo. Esclusi, anche stavolta, dai Mondiali. Ebbrezza che brucia ogni pensiero logico.

Cronaca battente. Lo sguardo scorre sul prato del Renzo Barbera: Donnarumma in ginocchio, Florenzi che sembra svenuto. Raspadori e Verratti a capo chino. Chiellini con gli occhi pieni di lacrime. Immagini in dissolvenza. Voci di cronisti. «A Barella quanto diamo in pagella?». Dagli 2, dai 2 a tutti. «Guarda Mancio: che fa?». Va a stringere la mano al tecnico macedone. Ma il passo è incerto. Stordito pure lui. Come noi, come chiunque.

La prima cosa che viene da scrivere, a caldo, è che con un po’ di onestà intellettuale dovremmo però ammettere di essere stati comodi dentro il suo struggente inganno: ci ha fatto vincere il campionato Europeo — lui: da solo — lasciandoci credere di essere davvero pieni di luce, forti, a tratti irresistibili. Ci ha trascinato nel suo mondo pieno di ambizione e orgoglio, ottimista, prepotente quasi per destino.

La notte di Londra, questa di Palermo: Mancini, adesso, si prepari a crudele irriconoscenza, l’invidia covata esploderà come un bubbone. Però stasera poteva farci poco. Sono i calciatori che vanno in campo. Non abbiamo campioni, nemmeno mezzo fuoriclasse: sarebbe cambiato qualcosa con Belotti e Zaniolo? Ci vuole coraggio a dirlo.

Del resto i primi appunti — dopo venti minuti — raccontano: Macedonia di una modestia assoluta. È francamente umiliante essere finiti a giocarci contro. Dentro una provvisorietà certa i nostri palleggiano calmi. Bene Verratti, benino Jorginho. Molto larghi Berardi e Insigne. Cerchiamo di girare intorno alla difesa avversaria. Nascono mischioni tipo torneo di calcio estivo, con quelli dei Bagni Piero (i macedoni) che spazzano via senza ritegno. La cosa più giusta da scrivere è che dovremmo avergliene segnati già almeno tre. Ma sono pensieri di pura frustrazione. I nostri tiri sono sempre murati.

Sulla Moleskine c’è scritto che Mancini si alza e urla a Barella di provare a entrare in verticale. Ha tiro, che ci provi anche da fuori. Ma Barella sta come sta, e comunque il pallone buono arriva improvviso sui piedi di Berardi. Il loro portiere ha un colpetto di follia e glielo appoggia piano: Berardi pensa a un’allucinazione, così stoppa dolce ma non ci crede, carica e gli viene fuori uno straccio.

Uno scarabocchio con il pennarello: butta male. Lentamente sprofondiamo dentro un calcio cupo, improvvisamente complicato, senza luce, senza allegria. Nell’area piccola arriviamo molli, o confusi. Immobile? Lasciamo stare. È uno che vuole la palla in campo aperto. Insigne? Spento. Il nostro cittì scuote la testa. Si volta e dice qualcosa a Vialli. Nervosismo? Ancora no: però è chiaro che qualcosa non sta funzionando. La faccenda si complica. Il pubblico intuisce, ci mette qualche ruggito di puro affetto. Però, insomma: che ansia (e non aiuta arrivare all’intervallo sapendo che il Portogallo sta mettendo sotto la Turchia).

I ricordi del secondo tempo sono strappi di efferata angoscia, tutta sofferenza meritata. Occhiate all’orologio. Presentimenti nefasti. Verratti al volo: fuori. Ci prova Berardi: parata. Azzurri elettrici. Non lucidi. Psicodramma possibile.

Imprecano due tifosi qui sotto. «Mancio, dai, cambia Insigne!». La tribuna è molto in alto, c’è una bolgia, escluso che il nostro tecnico possa aver sentito: però, dopo tre minuti, Insigne esce ed entra Raspadori. Uno che all’Europeo giocò pochissimi minuti. Ecco, però, magari. Entriamo nella dimensione del sortilegio.

Chissà cosa sta pensando, davanti al televisore, Gian Piero Ventura. È vita, è sport, non c’è statistica: ai Mondiali rischiamo di non andare nemmeno stavolta. Meglio cominciare a prendere in seria considerazione questa possibilità (okay, va bene, ammesso: stiamo sprofondando nella scaramanzia più volgare).

Non tutti. Non i palermitani. Che, meravigliosi, attaccano a cantare l’Inno nazionale. Moleskine, altro scarabocchio: qui le proviamo tutte. Mancini toglie Barella e Immobile, mette Tonali e Pellegrini. Raspadori va a fare il centravanti. Mancano dodici minuti, più il recupero.

Quelli dei Bagni Piero annusano il colpaccio di arrivare ai supplementari. Esce Berardi ed entra Joao Pedro. Fuori anche Mancini e dentro Chiellini. La zampata dell’esordiente e l’esperienza di Giorgione. Il cittì cala le ultime carte.

Poi il gol della Macedonia.

Avete visto, che roba, santo cielo.

25 marzo 2022 (modifica il 25 marzo 2022 | 07:06)