Vi racconto la Pietà di Michelangelo

Roma, 27 agosto 1498.

“Sia noto et manifesto a chi legerà la presente scripta, come el reverendissimo cardinal di San Dionisio si è convenuto con mastro Michelangelo statuario fiorentino, che lo dicto maestro debia far una Pietà di marmo a sue spese, ciò è una Vergene Maria vestita, con Christo morto in braccio, grande quanto sia vno homo iusto, per prezo di ducati quattrocento cinquanta d’oro in oro papali, in termino di uno anno dal dì della principiata opera.”
Così si legge nel contratto stipulato tra il Cardinale Jean Bilhères de Lagraulas, ambasciatore francese presso la sede pontificia, e il ventitreenne Michelangelo Buonarroti. Lo stesso accordo stabilisce che la scultura “sarà la più bella opera di marmo che sia hoge in Roma, et che maestro nisuno la faria megliore hoge” e che andrà collocata nella cappella di Santa Petronilla, dentro la basilica di San Pietro.

Inizia così la vicenda di una delle più straordinarie opere della storia dell’arte.

Per realizzare la Pietà, Michelangelo si era già recato alle cave di Carrara a scegliere di persona il blocco di marmo migliore, in quanto l’incarico del Cardinale risaliva in realtà all’anno precedente alla firma del contratto.

Si trattava di un tema insolito. La Pietà, infatti, era un soggetto tipicamente nordico risalente al Medioevo, tradizionalmente raffigurato in piccole statue lignee (chiamate in Germania Vesperbild) raffiguranti la Madonna seduta con il corpo morto di Cristo in grembo.
Il momento, carico di intensa umanità, non è desunto dai Vangeli ma narrato da Simeone Metafraste, un agiografo bizantino del X secolo.

Questa iconografia passerà anche nella pittura con opere suggestive come la Pietà di Villeneuve-lès-Avignon di Enguerrand Quarton del 1455.

In Italia compare nella seconda metà del Quattrocento con i dipinti di Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti e Perugino.

Ma in tutti questi precedenti, sia stranieri che locali, le due figure rimangono sempre sostanzialmente separate: Maria trattiene a fatica il corpo esanime di Cristo tanto che, in alcuni casi, questo viene sorretto da altri personaggi.

Nella scultura di Michelangelo, invece, madre e figlio si fondono per la prima volta in una sola cosa. Maria tiene in braccio Cristo come un bambino da cullare, accogliendo il suo corpo tra le possenti gambe divaricate. La schiena è sostenuta dalla gamba destra sollevata sopra una roccia, mentre le spalle sono trattenute dal braccio e dalla mano che arriva fin sotto l’ascella, premendone la carne. Per bilanciare il peso del corpo di Cristo, Maria porta il busto all’indietro ristabilendo l’equilibrio dell’insieme.

Il risultato è un gruppo scultoreo straordinariamente armonioso, alto 174 centimetri (dunque con figure più grandi del reale), la cui conformazione piramidale non è solo una scelta compositiva tipica del Rinascimento, ma anche l’espressione della totale unione di Cristo e Maria nel destino di sacrificio e salvezza a cui sono stati chiamati. La conferma di questo significato sta tutta nella mano sinistra della Madonna, aperta in un gesto di piena accettazione.

 

Maria ha il volto sereno e idealizzato. E sereno è anche il figlio, nonostante la dolorosa tortura della crocifissione. Entrambi appaiono giovanissimi, aspetto che suscitò numerose polemiche: non era possibile che la madre di Cristo sembrasse una ragazza se, alla morte del figlio, avrebbe dovuto avere circa cinquant’anni…

Anche questa scelta, però, aveva per Michelangelo un valore spirituale: Maria, come scrive Dante nel Paradiso, è figlia del suo figlio perché Cristo è anche Dio, dunque Padre. La sua giovinezza non è giudicabile in termini di parentela rispetto al figlio ma nel miracoloso concepimento di entrambi: la prima senza peccato originale e il secondo senza intervento umano.

La bellezza classica dei due corpi è esaltata dal realistico panneggio che avvolge Maria ispirato all’abito della Madonna nell’Annunciazione di Leonardo.

Il risultato è talmente perfetto da far dire a Vasari: “certo è un miracolo che un sasso da principio, senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezzione che la natura a fatica suol formar nella carne“.

Una tale bellezza, però, portò alcuni contemporanei ad attribuire l’opera a un artista lombardo, non credendo che uno scultore così giovane potesse concepire un’opera simile. Per tutta risposta Michelangelo incise sulla fascia che attraversa il petto della Madonna le parole: MICHAEL.ANGELVS.BONAROTVS.FLORENT.FACIEBAT (cioè “fatto dal fiorentino Michelangelo Buonarroti”). Quella fu la prima e ultima volta che Michelangelo firmò un’opera.

La Pietà viene collocata nel 1500 nella cappella a cui era stata destinata, ma nel 1517, con le demolizioni della chiesa paleocristiana per la realizzazione della nuova basilica di San Pietro, la scultura viene spostata e ricollocata in altre cappelle adiacenti. Tornerà all’interno di San Pietro solo nel 1749 dove venne posizionata nella prima cappella a destra, luogo in cui può essere ammirata ancora oggi.

Della fase preparatoria della scultura non rimane più alcun disegno. Ma c’è un dipinto risalente al 1497-1499 attribuito a un seguace di Michelangelo e conservato alla Galleria Barberini Corsini di Roma, che sembrerebbe ricavato dagli studi preparatori. Le forme più nodose potrebbero derivare invece dalla formazione nordica dell’autore.

Com’è noto Michelangelo ha realizzato altre due Pietà, più di cinquant’anni dopo la prima: la Pietà Bandini e la Pietà Rondanini. Ma si tratta di opere completamente diverse.  Tormentate e incompiute, raccontano una profonda crisi nella poetica dell’autore e il crollo degli ideali del Rinascimento. Magari ne parliamo un’altra volta…

Nel corso del Cinquecento, con la crescente diffusione di stampe delle opere d’arte più celebri, compariranno diverse incisioni raffiguranti la Pietà Vaticana. La scultura, che può comparire anche riflessa, è in genere ambientata, come se le figure fossero persone nel paesaggio. In alcuni casi non si tratta di una riproduzione esatta della Pietà Vaticana, ma l’ispirazione è più che evidente.

Alcune stampe sono di artisti molto noti, come questa di Agostino Carracci del 1579 realizzata a bulino.

Proprio nello stesso anno, lo scultore Ippolito Scalza completa la Pietà del Duomo di Orvieto, un’opera chiaramente ispirata alla composizione michelangiolesca ma animata da un inedito pathos e da un notevole dinamismo. Inoltre qui le figure sono quattro: oltre alle due canoniche, compaiono anche la Maddalena, che piange tenendo la mano sinistra di Cristo, e Nicodemo che stringe ancora tra le mani le pinze e il martello usati per togliere Cristo dalla croce, e trattiene a sé la scala.

Quella di Scalza, tuttavia, non è la prima Pietà scolpita che riprende l’esempio di Michelangelo. Nel 1532 ne aveva già realizzata una anche Lorenzetto, un allievo di Raffaello. La sua opera, collocata in una cappella della chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma, differisce quasi esclusivamente per la posizione della testa di Cristo, piegata contro la spalla di Maria.

Poche differenze anche per la Pietà di Giovanni Angelo Montorsoli del 1541, collocata nella chiesa di San Matteo a Genova. Stavolta la Madonna – non più tanto giovane – tiene Cristo dalla coscia e dalla spalla e si volta decisamente verso di lui.

Alla stessa epoca appartiene un piccolo bassorilievo placcato in argento, di autore ignoto, in cui la Pietà assume accenti drammatici e un senso di instabilità per via della torsione del busto di Cristo verso l’esterno.

Anche in pittura si trovano echi michelangioleschi più o meno evidenti. Tra i tanti mi piace ricordare El Greco e la sua Pietà del 1578-1585 in cui le figure di madre e figlio, ancora più ravvicinate, sembrano accolte dentro un cerchio.

Sono chiari omaggi a Michelangelo anche tutte quelle figure con il braccio penzolante (Cristo o altri uomini) che si possono osservare in Raffaello (Pala Baglioni, 1507), Caravaggio (Deposizione, 1603) e Jacques-Louis David (La morte di Marat, 1793).

Tuttavia, nel corso del Seicento, la Pietà assumerà accenti sempre più teatrali in conformità con il sentimento barocco e con la visione controriformista dell’arte, e la suggestione della scultura di Michelangelo, così assoluta e silenziosa, verrà messa da parte (ma spesso resta il braccio pendulo…).

La Pietà Vaticana ricompare in pittura nel 1859, ma stavolta non si tratta di un’altra scena sacra ma di un dipinto di Alexandre Cabanel che raffigura Michelangelo nel suo studio, visitato da papa Giulio II. L’artista sta osservando il suo Mosé, statua realizzata proprio per la celebre tomba del pontefice. Sullo sfondo c’è anche la Pietà, parzialmente coperta con un telo, e le sculture dello schiavo ribelle e dello schiavo morente (anch’essi pensati per il monumento funebre di Giulio II).

Un’insolita ripresa della composizione michelangiolesca avviene nel 1876 quando l’attrice e scultrice Sarah Bernhardt decide di raffigurare un episodio drammatico a cui ha assistito: una contadina bretone che tiene il corpo del nipotino affogato in mare e catturato nelle reti di un pescatore. Titolo dell’opera: Après la tempête.

Il gruppo scultoreo di Michelangelo tornerà a far parlare di sé nel 1964 quando, in occasione dell’Esposizione Universale di New York, l’opera solca l’oceano per essere esibita nel padiglione dello Stato Vaticano. Sarà la prima e ultima volta che la Pietà lascerà l’Italia.
L’opera venne imballata il 2 aprile e trasportata a Napoli da dove, all’alba del 5 aprile, si imbarcò sul transatlantico Cristoforo Colombo. Qui viaggiò sul ponte della nave, sorvegliata a vista e chiusa dentro una cassa galleggiante in modo che, in caso di affondamento della nave, l’opera non sarebbe andata persa.

A New York la Pietà venne collocata su un palcoscenico e ammirata da oltre 27 milioni di visitatori. Una cosa del genere oggi non sarebbe più possibile: al ritorno dall’America il Vaticano dichiarò la scultura inamovibile decretando il divieto di qualsiasi prestito o spostamento.

Durante il periodo dell’Esposizione, la Pietà divenne il soggetto di un appassionato servizio fotografico curato da Robert Hupka, il tecnico del suono che aveva curato la base musicale  dell’evento. Si tratta di circa cinquemila scatti che immortalano l’opera da punti di vista insoliti ma altamente suggestivi. L’autore aveva iniziato a fotografare la scultura per realizzare una copertina adatta all’album musicale dell’esposizione, ma – come ebbe a dichiarare – una volta iniziato non riuscì a smettere più.

Quelle foto sono state protagoniste di numerose mostre: un toccante omaggio verso un capolavoro di rara bellezza.

Ma qualche anno dopo, il dramma.
Il  21 maggio 1972 la Pietà ha rischiato di essere distrutta. Mentre una troupe televisiva stava facendo delle riprese, l’ungherese Laszlo Toth saltò oltre la balaustra della cappella colpendo la scultura con 15 martellate e gridando “Io sono Cristo, risorto dai morti!”. Solo l’intervento tempestivo dei presenti riuscì a scongiurare il peggio ma quell’assalto provocò la rottura netta del braccio sinistro di Maria, del naso, del velo e di una palpebra.

Fortunatamente, nella sagrestia della basilica, esisteva una copia della Pietà realizzata nel 1930 che ha guidato il delicato restauro.

In meno di un anno la scultura è stata restituita all’antico splendore e ricollocata al suo posto, stavolta protetta da uno spesso vetro blindato, a prova di proiettile.

Ed è così che negli anni Ottanta la Pietà riprende anche il suo ruolo ispiratore. Prima con Salvador Dalì, che nel 1982 ne ha realizzato una versione onirica dal titolo “Eco geologica”…  

… e poi con Marina Abramovic e Ulay che nel 1983 mettono in scena Anima Mundi, un tableau vivant che ripropone lo schema dell’opera di Michelangelo all’interno di un discorso laico e del rapporto tra uomo e donna.

Ancora un toccante omaggio alla Pietà è quello del fotografo Aurelio Amendola che nel 1998 ha realizzato alcune foto semplicemente commoventi. Nei suoi scatti la luce accarezza le superfici rivelando la naturalezza dei panneggi e la perfezione dell’anatomia.

Negli ultimi anni sono fioccate tante reinterpretazioni della Pietà di Michelangelo, tra performance e sculture, ma personalmente non mi entusiasmano. Quando non sono banalmente provocatorie sono piuttosto retoriche…
Meglio l’originale. Perché, come disse Vasari: “… non pensi mai scultore, né artefice raro potere aggiugnere di disegno, né di grazia, né con fatica poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte“.

 

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33 risposte

  1. CECILIA ROMANO ha detto:

    È sempre entusiasmante e anche commovente leggere i suoi articoli Emanuela cara. Anche perché si imparano tante cose! Accanto ai suoi rimandi all’arte contemporanea, che ne dice del film Pietà di Kim Ki Duk, che trae ispirazione da questa scultura? Mi interesserebbe sentire il suo parere.
    Grazie infinite per quello che fa..

  2. Francesco Ottaviani ha detto:

    Post eccezionale. Grazie Emanuela, lo porto sul mio profilo per il piacere degli amici

  3. Liborio Grillo ha detto:

    Brava Emanuela. Un racconto avvincente ed emozionante.

  4. Rina ha detto:

    Sono tornata ad essere in pace con mondo e grazie al suo viaggio. Ho 70 anni e questo diventa uno stimolo per tornare a sperare nel bello

  5. Elisabetta ha detto:

    Ciao Emanuela, ormai sono un ex insegnante di Arte Immagine in pensione da un anno ma ti assicuro che le tue lezioni sono state un grande aiuto, suggerimenti e spunti continui ,per fare in modo che le lezioni di Arte potessero incuriosire e non annoiare gli alunni ! Grazie !

  6. laura ha detto:

    da ragazzina con pochi soldi comperai a Firenze un modellino della Pietà che conservo tutt’ora. Il suo lavoro mi ha riportato le stesse emozioni di quando strinsi tra le mani quel modellino e di quando ormai cinquantenne vidi questa meraviglia per la prima volta. Grazie ancora una volta e se viene a Milano sarei lieta di conoscerla.

  7. Mauro Di Silvestre ha detto:

    Grazie per questo meraviglioso racconto.

  8. Antonietta ha detto:

    Grazie per l’approfondimento sul restauro! Mi mancava. Buon 2022 e buon lavoro!

  9. Roberto ha detto:

    Articolo molto interessante e ricerca iconografica incredibile. I collegamenti tra opere e autori diversi sono illuminanti, come per esempio la citazione del braccio abbandonato nel Marat di David. È bello vedere come un’opera d’arte nasca nel dialogo con le opere precedenti e lasci una traccia nelle opere seguenti. Mi piace molto il gruppo realizzato da Ippolito Scalza.
    Grazie Emanuela per regalarci queste analisi!

  10. Claudia Trevissoi ha detto:

    Buon pomeriggio Emanuela,
    favolosa la parte del braccio pendulo.
    Buon inizio anno ad una esperta divulgatrice!

  11. Bruna Sordi ha detto:

    sempre molto interessanti questi articoli che catturano la mia attenzione.
    Ogni volta che apro questo sito molto interessante, perdo la cognizione del tempo e mi immergo totalmente nella lettura. Grazie di cuore

  12. Rosa Maria ha detto:

    Un articolo fantastico. Grazie e Buon Anno!

  13. Ugo Adamo ha detto:

    Ciao Emanuela, ho considerato la pietà di Michelangelo come la scultura più bella di tutti i tempi. Niente mi commuove di più della sua visione. Perché, alla perfezione tecnica , forse raggiunta anche da altri autori, si associa un modo di rappresentare il dolore e la morte composto, quasi sereno e, per questo, per me più efficace. Mi tornano utili i tuoi tanti riferimenti ad altri autori, che si sono cimentati in opere simili, ed alle fonti di ispirazione. Grazie e tanti auguri per il nuovo anno.

  14. Clare Ann Matz ha detto:

    Meraviglioso articolo e documentazione fotografica! Grazie e buon 2022!
    P.S. Da bambina ho viaggiato nel ’64 sulla nave Cristoforo Colombo da Napoli a New York!

  15. Pietro Giannone ha detto:

    Grazie, sempre articoli bellissimi.

    Approfitto per farle i migliori auguri di un Buon Anno, Piero

  16. Marino Calesini ha detto:

    Grazie . Buon anno.

  17. Luisa ha detto:

    Carissima Emanuela, con Michelangelo e la sua Pietà Vaticana hai descritto l’opera d’arte a me più cara. Ho anch’io una bella pubblicazione con gli straordinari scatti di F.M.R. Un capolavoro indiscusso a cui hanno tributato lodi e onori in ogni epoca…che dire…meravigliosa apertura di anno nuovo. Mi hai regalato uno spiraglio di sole…Un grande abbraccio dalla pianura padana immersa nella nebbia. BUON 2022.

  18. Edoardo ha detto:

    Bravissima, grazie 🙂