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Guardate a Lui e sarete raggianti


Diocesi di Trieste

✠ Enrico Trevisi,
Vescovo di Trieste


Lettera pastorale

Guardate a Lui
e sarete raggianti

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Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

Vi invito a guardare al Signore e a tenere fisso lo sguardo su di Lui e sarete raggianti. Questa è la postura che ci consente di udire la Parola anche oggi rivolta a noi e che ci sostiene nella nostra personale e gioiosa risposta. Da questo sguardo, dall’ascolto sincero e prolungato, dal metterci insieme in ricerca nasceranno anche le effettive linee pastorali della nostra Chiesa.
Questi sono solo appunti di viaggio. Una traccia di lavoro in vista dei cantieri sinodali e di una appassionata ricerca che insieme il popolo di Dio è chiamato a svolgere, e tutti come protagonisti, ognuno per la sua parte: donne e uomini, giovani e anziani, religiosi, religiose, laici, laiche e preti. Solo così daremo volto a quella Chiesa che siamo chiamati ad essere in risposta al Padre che per me, per te ha dato suo Figlio e che mediante lo Spirito ci sostiene nel pellegrinaggio di questa vita. Nell’esaltante missione di far arrivare la sua Misericordia a tutti, proprio a tutti.
Solo così ciascuno potrà rialzarsi e nella dignità di figlio e figlia di Dio, amati e perdonati, riprendere con fiducia il cammino che appartiene ad ogni creatura umana.

Glejte nanj, da boste žareli

Vabim vas, da se ozrete na Gospoda in ohranite svoj pogled uprt vanj in žareli boste. To je drža, ki nam omogoča, da tudi danes slišimo Besedo, ki je namenjena nam, in ki nas podpira pri našem osebnem in radostnem odgovoru. Iz tega pogleda, iz iskrenega in dolgotrajnega poslušanja, iz skupnega iskanja se bodo rodile tudi učinkovite pastoralne smernice naše Cerkve.
To so le popotni zapiski. Sled dela glede na sinodalne delavnice in strastnega iskanja, ki ga je skupaj poklicano izvajati božje ljudstvo in to vsi kot protagonisti, vsak zase: ženske in moški, mladi in stari, redovniki in redovnice, laiki in laikinje ter duhovniki. Samo tako bomo dali obličje tisti Cerkvi, ki smo poklicani biti, kot odgovor Očetu, ki je zame in za vas dal svojega Sina in nas po Duhu podpira na romanju tega življenja. V navdušujočem poslanstvu, da njegovo usmiljenje doseže vsakogar, res vsakogar.
Samo tako bo lahko vsak vstal in v dostojanstvu Božjega sina in hčere, ljubljenega in kateremu je bilo odpuščeno, samozavestno stopil na pot, ki pripada vsakemu človeškemu bitju.

Sono appunti di viaggio. I primi due capitoli sono quelli che danno respiro alla nostra vita, personale e comunitaria. I capitoli III e IV sono quelli che ci collocano in questa stagione ecclesiale: il sinodo e la preparazione alla Settimana sociale dei cattolici. L’ultimo riprende alcune tematiche che potrebbero diventare cantieri sinodali. Nessuno parteciperà a tutti questi “cantieri”, ma mi è sembrato bello richiamare alcune urgenze che mi sono state presentate in questi primi mesi del mio servizio a Trieste.

Per cominciare.
Rientriamo in noi stessi,
in un’interiorità dove Dio ci accompagna

1. Ho scrutato il cielo. Ho ammirato la luna e le stelle. E poi il bagliore del sole. Che meraviglia questo mondo! Sono stato alla giornata mondiale della gioventù a Lisbona. Fanno sperare i nostri giovani. Affamati di Dio, assetati della sua Parola. Sapremo essere Chiesa che sa sfamarli e dissetarli?
Quanto bene. Quante cose belle. Eppure già sento chi protesta: la guerra, i salari troppo bassi, le malattie, le ingiustizie.
E poi mi son trovato a scegliere la strada. In un groviglio di alternative. Con il tempo che, inesorabile, passa, fluisce. Ho provato a mettermi nei panni di tanta gente frettolosa… e un po’ agnostica, come è di moda.
Ho provato. Ho assaporato. Mi sono esaltato. E poi anche illuso e disilluso.
Mi sono perso.
Ho sbagliato strada. Ma solo dopo me ne sono accorto.
Posso andare ovunque, libero di prendere la direzione che voglio.
Ma per quale meta?
Sono semplicemente uno smarrito, un errante, un vagabondo senza fissa dimora.
Vivo con leggerezza. L’aperitivo, gli abiti colorati, e le chiacchiere. Gli immancabili gossip. Tanto per non pensare alle cose che contano. Agli interrogativi senza risposta.
Ma l’interrogativo torna: Dove sto andando?
E il cuore e la testa pungolati da un esercito di allettanti desideri. Buoni? Utili? Veri?

Questi sono i pensieri che talvolta anche noi credenti non solo sentiamo, ma che potrebbero essere accarezzati, fino a bloccarci, a paralizzarci. Rientrando in me stesso, proverei a rispondere così.
Direi che tanti pensieri e desideri che popolano anche noi credenti sono anzitutto allettanti. Di un comodo ed egoista benessere che appaga nell’immediato. Ma che – per tacitare domande difficili – ha bisogno di continue emozioni. Perché se vai in crisi di astinenza, se vien meno l’adrenalina di nuove emozioni fabbricate e indotte, comprate e divorate, ritornano le domande impegnative... quelle che si vogliono rimuovere.
Per navigare nelle acque agitate della storia, di questa nostra storia, abbiamo bisogno di punti di riferimento. Ma anche di una meta. Certo siamo liberi di andare ovunque, a Nord o a Sud, a Est o a Ovest. Ma in realtà siamo naufraghi senza una meta appassionante e senza riferimenti sicuri.
Una volta si guardavano le stelle e la fortuna, nelle tempeste, era l’avvistare un faro. E poi hanno inventato la bussola e disegnato le prime mappe. Ora per raggiungere la destinazione abbiamo il “navigatore” che ci rassicura nella nostra strada, pur rimanendo il problema della connessione e poi dell’interpretazione nel groviglio di intersezioni, che non eliminano la possibilità dell’errore, del dover tornare indietro, del ricalcolare, del perdersi.

2. Nella vita posso trovarmi a correre senza una meta, semplicemente perché tutti corrono e perché nel flusso mi ritrovo nella sequenza ibrida delle rincorse affannate: mi sembra sempre di essere in ritardo sulle attese mie e degli altri, su progetti e adempimenti che mi vedono boccheggiare, nell’inesorabile scorrere del tempo, come di un fiume inarrestabile che intimorisce. Il tempo che passa è come la piena di un fiume che tutto travolge. Ecco i pensieri e gli interrogativi che tornano.
Dove sto andando? Che senso ha la mia storia? Perché impegnarmi? Tutto sembra sovrastarmi. E mi ritrovo piccolo dentro ingranaggi che mietono le vite, che schiacciano le persone, che rinnegano la dignità dell’esserci. Ci sentiamo masticati da burocrazie e finanze che si alimentano consumandoci e inaridendoci. Intristito per la megamacchina che come un bolide impazzito corre a sbattere.
Se non metto a tema dove sto andando, come potrò trovare la strada?

3. Il credente ha incrociato il desiderio di Dio: la sua Parola esprime un disegno di amore. Sono nei suoi pensieri (di Dio), nella preghiera di Cristo, mi ha scelto come sua dimora. Vuole che la nostra gioia sia piena (Gv 15,11), che viviamo da fratelli, che restiamo uniti (Gv 17,20). “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15,17). In questo modo, cioè amandoci come Lui ci ama, “sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13,34-35).
E quando la nostra barca è sballottata dalle onde e il vento è contrario e ci sentiamo abbandonati, anche allora ci arriva una Parola: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. E anche quando la nostra poca fede ci porta ad affondare e la nostra preghiera diventa un grido di paura: “Signore, salvami!”, ecco che “subito Gesù tese la mano” (Mt 14,22-33). Custodiamo la memoria di queste traversate e da esse traiamo nuovo coraggio per salpare di nuovo, per una meta che ancora abbiamo davanti. La fede, la Parola, la Chiesa non sono ancora il porto sicuro ma piuttosto l’equipaggiamento per la traversata.
La meta, intanto, comincia a delinearsi: non mi consumo per il denaro o per il successo, non sono motivato dall’invidia o da qualche bisogno che mi corrode. Io sono fatto per la vita, ho un desiderio di vita e anche di gioia piena, vera (e un po’ intimorito dalle tante illusioni). Quanti adolescenti e giovani ci insegnano questa voglia di vita, di amore, di giustizia, di gioia. Poi, per loro e per noi più vecchi, rimane la fatica di trovare la strada della vita vera, dell’amore vero, della giustizia vera, della gioia vera. Papa Francesco a Lisbona ai giovani ha chiesto di brillare della luce di Cristo, di mettersi in ascolto di Lui, di non avere paura. Procediamo con queste coordinate: la luce di Cristo che si riverbera attraverso le nostre vite; restare in ascolto di Gesù; procedere con coraggio, senza paura!
La questione è che nessuno conosce la strada a tavolino. Occorre percorrere i giorni e le esperienze. E talvolta anche sbagliare, sperando di imparare (perché non è automatico che chi sbaglia impara).
Incrociare i miei desideri di vita e di amore con quelli di Dio. Questa è la preghiera. Questa è la vita cristiana. Avere qualcuno a fianco con cui cercare insieme la strada: questa è la Chiesa, abitata da peccatori e da santi, bisognosa di testimoni che sappiano brillare di autenticità.

4. Ricordo un pomeriggio di sabato. Ero giovane prete. Ho recitato l’ora media e, come fosse la prima volta, mi sono ritrovato con questo Salmo: il 34 (33). Sono rimasto rapito. Ogni espressione mi pareva un bagliore, come di un sentiero tracciato dentro le alterne vicende luminose e viscide. Sì perché la vita è pure popolata di nemici e di prove, di angeli e di leoni, di tempeste e di debolezze. Se siamo onesti non è solo la fantasia dei bambini ad essere ripiena di mostri e di streghe, ma è il nostro cuore che ci dice di una presenza del male che incombe e dal quale essere salvati. Questo Salmo mi porta a lodare Dio, a benedirlo, a chiedere ad altri di unirsi con me nel magnificarlo perché tutto il male che incombe è vinto. Dio ha risposto al mio grido riguardo al senso della vita, del dolore, dei tanti perché che mi assediano come nemici che mi tolgono il respiro.
Ti invito con calma a recitare questo Salmo (34). Ti invito anch’io, come il salmista, a guardare al Signore, a gustare quanto è buono, a cogliere la sua pacata risposta alle tue domande che urlano nel tuo intimo. Invito anche te, nella povertà del tuo cuore, ad ascoltarlo e a rallegrarti in Lui.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.
Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.


5. In preparazione all’Anno Santo del 2025 siamo invitati a rilanciare tempi e spazi di preghiera. Ma a dire il vero la preghiera non è una mera questione di tempi, riti, modi e spazi, ma è una relazione gratuita e distesa con Dio che certamente pure necessita di un’educazione e di tempi, riti, modi e spazi. Enunciamo il proposito, l’intento, nella sua semplicità:
diamo maggiore spazio alla dimensione orante della nostra vita, recuperiamo lo spazio di una relazione interiore/intima/personale con il Signore, di uno stare in ascolto calmo di Lui che ci parla (sia quando preghiamo in comunità come pure nel segreto della nostra stanza).
Qui richiamiamo alcune sollecitazioni, ma non confondiamo le esortazioni che seguono con l’obiettivo; il mezzo con il fine. Che ha bisogno di essere coltivato è un sano rapporto personale con il Signore, una relazione libera e distesa, con tutte le modulazioni e sfumature delle relazioni che in analogia ritroviamo tra di noi. E così ci sarà spazio per la gioia della lode ma anche per la supplica e l’intercessione; per l’adorazione e anche per la richiesta di perdono; per il grido accorato di fronte al male che imperversa e il silenzio contemplativo che rappacifica tutto.

Capitolo I

Incontrare il Signore nella Parola


6. Dio mi ha parlato. Si è fatto Parola, Parola che si fa carne in Gesù, il Cristo (Gv 1). Rivolge la sua Parola a me. Una Parola viva. Attuale. Che interseca i miei sogni, le mie paure, la mia storia, le mie rabbie, i miei desideri di vita vera. Una Parola che mi consente di rileggermi, come un alfabeto che autorizza ad esprimere ciò che prima è confuso, indicibile, presente ma caotico.
Commuove il pensare che ancora Dio mi parla. Che Dio mi conosce per nome. Sa di me! E si fida di me! E il credente è colui che si mette in ascolto, che si dispone ad essere il discepolo di un Dio che Parla. Una Parola che è come una spada a doppio taglio (Eb 4,12), cioè che non posso usare contro qualcuno o per qualche obiettivo di consenso da accaparrare, perché essa ferisce anche me, feconda anche me, rigenera anzitutto me. “Penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito”. Se la ascolto con interesse, con cuore che un po’ alla volta si semplifica, si purifica. Un po’ alla volta. Come fanno tanti personaggi del Vangelo che si lasciano interpellare entrando nel movimento della relazione con il Signore. All’inizio il loro accostare Gesù non era puro e disinteressato; e se è Gesù che prende l’iniziativa essi ci appaiono impreparati ma poi entrano in una relazione vivificante e si squarciano possibilità insperate, inedite: pensiamo a Zaccheo, alla Samaritana, a Nicodemo, ai discepoli di Emmaus…

7. Incoraggio tutti e ciascuno, nelle case e nelle comunità, a dare spazio alla Parola, nella luce dello Spirito. Uno spazio cercato e voluto, difeso e strategicamente protetto. Senza un ascolto di qualità la Parola resta morta, lettera che uccide, anche se è Vangelo di vita per quelli che la accolgono.
Non leggere la Parola come se fosse un manuale ideologico: invece coglila come la mappa che Dio ti dà per incontrarlo, la via da percorrere per non perderti, la luce che rischiara ogni tuo giorno, il lessico per interpretare quello che hai dentro e che non trova adeguate parole. È Dio che si auto-consegna, si rivela in persona, si intrattiene con noi come facciamo con gli amici (DV 2).
Sei uno studente: prima di fare i compiti apri il Vangelo, invoca lo Spirito e leggine qualche riga e lasciati toccare il cuore concedendoti un po’ di silenzio, guardando la tua vita con gli occhi fiduciosi del Signore.
Sei un padre o una madre di un bimbo dell’asilo o delle elementari: ogni sera prendi la bibbia dei piccoli e raccontane un brano. Astieniti dal fare prediche ma invoglia il tuo piccolo a cogliere cosa Dio gli sta dicendo, per cosa ringraziarlo, per cosa chiedere il suo aiuto. Accompagnalo nei suoi sentimenti religiosi e ne sarai arricchito.
Sei un adulto: puoi decidere di alzarti 10 minuti prima e di leggere il Vangelo del giorno. Scarica l’app, cerca su qualche sito apposito, prendi il messalino quotidiano… Se tu abitassi un po’ più lontano da dove lavori, dovresti alzarti dieci minuti prima: puoi scegliere di farlo per iniziare ad incrociare il tuo desiderio con quello di Dio.
Sei un malato: reinterpreta la tua situazione, le tue domande, le tue speranze alla luce del mistero di Dio che si è fatto uomo e ha provato in tutto le nostre angosce. Prendi un salmo, rileggi Giobbe, medita sul mistero della Passione di Gesù, apriti al dono dello Spirito che in modo impensato dà forza e vigore.
Sei un prete: puoi decidere di fare un gruppetto (con altri preti? con qualche laico della parrocchia?) e condividere insieme la Parola della domenica successiva… perché in te risuoni e riverberi anche la fede dei tuoi fratelli. Quanto ci fa bene ascoltare cosa la Parola suggerisce nel cuore delle sorelle e dei fratelli. Ci fa bene anche per preparare meglio le omelie e che sappiano di vita, che gustino del sapore del vissuto reale delle famiglie, che odorino di quella realtà illuminata dalla grazia ma che passa solo tramite la fede autentica degli umili feriti.
Sei un anziano: lasciati consolare dal Signore che riconcilia e risana le ferite della vita, rileggendo i testi per magnificare Dio per il suo amore che già si è manifestato nello scorrere delle stagioni, pur restando in attesa del compimento. Si può invecchiare rinsecchiti in una lamentela continua, oppure con una sapienza da spargere ovunque, perché dissetati dalla sorgente che è la Parola di vita.

8. Admirantes Jesum è il motto che ho scelto. Rimanda al tenere “fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio” (Eb 12,2). Ma ho preferito esprimere questo “fissare lo sguardo” nella forma di un’ammirazione, di una sorpresa che incanta perché Gesù continuamente mi stupisce e mi lascia a bocca aperta, come di fronte al mare, al Golfo di Trieste quando scendo da via Commerciale o lo contemplo da Monte Grisa o da San Luigi. Come lo sguardo di Maria, come lo sguardo dei santi. Questo è lo sguardo ammirato che siamo chiamati ad avere quando leggiamo i Vangeli, quando contempliamo Cristo.
Non leggere la Parola, non accostarti a Gesù con lo sguardo perplesso di certi farisei, di ieri e di oggi, che pretendono di giudicare senza ascoltare, di ingabbiare la Verità senza lasciarsi di nuovo convertire. E non sciupare la Parola con la presunta sapienza di certi dottori della Legge, di ieri e di oggi, che vogliono rinchiudere il Messia negli schemi interpretativi da loro cristallizzati, in una supposta tradizione di uomini scambiata con la volontà di Dio, con il suo Rivelarsi che rimanda ad una Parola viva, ad una Scrittura che feconda la Tradizione per un cammino che ci apre in una continuità fedele che sempre porta ad un nuovo ascolto, ad un ulteriore cammino di grazia.
Se guardiamo a Gesù le differenze tra comunità di lingua italiana e comunità di lingua slovena riceveranno luce nuova. Se guardiamo a Gesù il cammino ecumenico troverà nuovo vigore. Se guardiamo a Gesù sarà più facile riconoscerci “fratelli tutti” e intraprendere vie nuove di fraternità.
Invoco lo Spirito, che sta all’origine della Parola e della mia vita battesimale. Scelgo di dare maggiore spazio alla Parola, leggendola con calma e continuità, facendola risuonare nei pensieri, traducendola in vita concreta.
Posso anche scegliere di leggere la Parola con il coniuge, con i figli, in un gruppetto di amici, in un gruppetto di preti.
Iniziamo ogni nostro incontro dando spazio alla Parola, che crea il clima giusto per il confronto, per il dibattito, per il discernimento. In alcune parrocchie ci sono i centri di ascolto nelle case, gruppi biblici, incontri sulla Parola, Lectio e condivisione sui testi della Scrittura: incoraggio a sperimentare, ad essere perseveranti ma anche innovativi.
Sono libero di scegliere di avere una Parola che tramite lo Spirito di Dio mi è di bussola, di guida dentro la responsabilità delle tante scelte della vita che in ogni caso restano mie. Ma in questo modo non mi trovo solo, non resto al buio. Cammino, scelgo, decido ma con lo Spirito di Dio che mi accompagna.

Capitolo II

Ritrovare forza dall’Eucaristia


9. Le diocesi del Triveneto hanno scelto di impegnarsi, in due tempi, nel convegno “Ritrovare forza dall’Eucaristia”. Non possiamo archiviare il tema come risolto. Ma l’Eucaristia non può nemmeno divenire uno spazio per litigare: purtroppo la storia ci ha consegnato come le epoche passate hanno visto i cristiani faticare nel dialogo e procedere a forza di divisioni, eresie, fazioni. Impariamo dalla storia a non cadere di nuovo nei tranelli del maligno che vuole dividerci. Ritrovarci come presbiteri, come comunità, capaci di contagiarci nella meraviglia per quanto Dio ci ha donato, capaci di riflettere insieme sui diversi aspetti teologico-spirituali-liturgici-pastorali può aiutarci a vivere con fede e con gratitudine ogni nostra Santa Messa. E celebrarla, come si diceva una volta, con la stessa fede e la stessa devozione come fosse l’unica, la prima, l’ultima nostra Santa Messa.
Per ciascuno di noi, per ogni nostra comunità, l’Eucaristia è fonte e culmine della vita. È un ritrovarci ad ascoltare il Dio che parla e unirci al suo mistero di amore che si ripresenta a noi abbattendo la barriera del tempo: in ogni Celebrazione eucaristica siamo immessi nell’oggi di questo amore di Dio, del mistero Pasquale, dell’offerta di Cristo sulla Croce, del suo sacrificio, del dono dello Spirito. E chiamati a unirci, ad entrare in comunione, per mezzo dello Spirito, al sacrifico di Cristo sulla Croce. Su quell’altare uniamo le nostre vite. Insieme a quel pane e a quel vino che per lo Spirito Santo diventano il Corpo e il Sangue di Cristo mettiamo le nostre vite per unirci a Cristo e rendere grazie al Padre. A Lui gloria e onore, nei secoli dei secoli. E così Popolo di Dio facciamo festa, siamo Chiesa, assemblea riunita in ascolto, che celebra la Santa Cena in memoria di un Amore pasquale che si attualizza continuamente e in comunione, con Dio e tra noi, per poi ripartire per la missione.
Nella sintesi nazionale del Cammino sinodale troviamo scritto:
«La Celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine” della vita cristiana, per la maggioranza delle persone, è l’unico elemento di partecipazione alla comunità. Tuttavia, si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni, e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale.
Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia, educazione all’incontro con il mistero della salvezza che tocca in profondità le nostre vite, e come azione di tutto il popolo di Dio. In tal senso risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale
».
Piuttosto che una sciatteria ripetitiva che aumenta la distanza tra le nostre celebrazioni e le persone è meglio tentare un aggiornamento del registro linguistico e gestuale, ma con la misura sobria e la assidua verifica per correggere gli eventuali errori e personalismi che sempre incombono.
Papa Francesco nella lettera Desiderio desideravi afferma:
«Se lo gnosticismo ci intossica con il veleno del soggettivismo, la celebrazione liturgica ci libera dalla prigione di una autoreferenzialità nutrita dalla propria ragione o dal proprio sentire: l’azione celebrativa non appartiene al singolo ma a Cristo-Chiesa, alla totalità dei fedeli uniti in Cristo. La Liturgia non dice “io” ma “noi” e ogni limitazione all’ampiezza di questo “noi” è sempre demoniaca. La Liturgia non ci lascia soli nel cercare una individuale presunta conoscenza del mistero di Dio, ma ci prende per mano, insieme, come assemblea, per condurci dentro il mistero che la Parola e i segni sacramentali ci rivelano. E lo fa, coerentemente con l’agire di Dio, seguendo la via dell’incarnazione, attraverso il linguaggio simbolico del corpo che si estende nelle cose, nello spazio e nel tempo» (n. 19).

10. Ci sono “liturgie laiche” che sono ben preparate: pensiamo a quando inizia un grande evento sportivo come le Olimpiadi, a quando si consegnano le lauree, a quando si inaugura l’anno giudiziario oppure al giuramento di un corpo militare. Noi abbiamo motivazioni ben più alte (spirituali) per prenderci cura di ogni nostra celebrazione: essa è un’azione di popolo per rendere lode a Dio. Per aprirci ad una comunione con la Trinità che se ci pensiamo fa venire le vertigini, i brividi.
La bellezza delle nostre Celebrazioni eucaristiche (e pure di tutte le altre liturgie) non si improvvisa e non viene dalla rigidità rubricistica ma comporta l’educazione paziente di tutta l’assemblea chiamata a coglierne il senso nel decifrare i simboli, i tempi, gli spazi, le parole, i gesti, i silenzi, gli oggetti, i diversi ministeri. E anche noi presbiteri dobbiamo avere l’umiltà di rimetterci in discussione perché l’arte del celebrare e l’arte del presiedere vanno continuamente rimotivate.
Nelle linee guide per la fase sapienziale del sinodo (Luglio 2023) della Chiesa Italiana trovo scritto:
«La fase narrativa del Cammino sinodale ha segnalato alcune fatiche delle celebrazioni delle nostre comunità. S’insiste sull’uso di linguaggi lontani dalla sensibilità odierna, su una qualità celebrativa deludente e incapace di favorire la partecipazione e di tradursi in gesti di vita, sulla difficoltà di fare del momento celebrativo un avvenimento davvero comunitario che unisca la gente e parli alle loro storie. Questo divario tra liturgia e vita emerge nitidamente nel momento omiletico.
Si chiede di ripensare seriamente la liturgia, spesso senza riuscire a specificare in cosa. Questa domanda non del tutto codificata consegna comunque il bisogno di riscoprire la bellezza della liturgia, la necessità di affinare l’arte del celebrare e l’urgenza di un’autentica formazione liturgica di tutto il popolo di Dio
» (p. 15-16).
Il cammino sinodale ci chiede di lavorare in questa direzione e lo faremo. Qui riporto alcuni semplici esempi di come questa educazione ha bisogno di tante attenzioni e di tanta cura e dunque di tempo e di ministeri differenti. Ma se le nostre celebrazioni sono sciatte e non dicono nulla alla vita è evidente che sempre più saranno disertate (pur consapevoli che sono tante e complesse le ragioni per allontanarsi dalla comunità cristiana). La formazione liturgica esige ben di più di queste veloci considerazioni, ma le voglio lasciare come un pungolo che interessi tutti, e non solo per i pochi che andranno a qualche incontro formativo. Sono l’ammonimento che la liturgia che rende gloria a Dio e che alimenta la nostra fede non può vederci che appassionati e attenti. Anche questo potrebbe diventare un cantiere sinodale che ci fa crescere come comunità che celebra le meraviglie di Dio.
• Cosa c’è di più bello dell’unirci nel dare lode a Dio? Da cosa dobbiamo iniziare? Anzitutto dal nostro cuore, cioè dall’accogliere lo Spirito che ci trasfigura, che ci assimila al Cristo, che ci rigenera in nuove creature. Il cuore aperto alla lode di Dio, al rendimento di grazie, all’intercessione, alla supplica per le nostre colpe… il cuore sempre in atteggiamento di conversione e insieme di gioiosa comunione con Dio che si rivela Padre-Figlio-Spirito Santo e ci viene incontro tramite la Parola e i sacramenti.
• In tutte le chiese si utilizzi il Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgato da papa Paolo VI e riveduto da papa Giovanni Paolo II: si utilizzi la terza edizione del 2020. Evitiamo l’autoreferenzialità e accogliamo l’insegnamento della Chiesa.
• In ogni parrocchia si curi un gruppo di ministranti. Se tradizionalmente erano bambini e preadolescenti (e raccomando che ci siano il più possibile), non si tema di allargare ad ogni età. L’importante è che ci siano ministranti che ben formati contribuiscano alle varie celebrazioni.
• Si cerchi in ogni parrocchia la collaborazione di volontari per la preparazione della Messa, la pulizia e il decoro delle tovaglie e di tutto quanto serve per le celebrazioni.
• Si curi un gruppo di lettori e si cerchi di dare le indicazioni sia per un’adeguata buona lettura (occorre proclamare i testi perché tutti possano udire in modo chiaro) sia per un ordinato avvicinarsi all’ambone (con le particolarità di ogni presbiterio) e poi tornare al proprio posto.
• La processione offertoriale sia sobria e secondo le norme liturgiche evitando di sovraccaricare simbologie estranee alla celebrazione. Per rendere anche emotivamente più coinvolgente la celebrazione proviamo a pensare altre strade: es. la monizione iniziale, la conclusione della celebrazione, oltre a quanto riprenderemo sui canti e le preghiere dei fedeli.
• In ogni chiesa ci siano particole per celiaci e siano custodite nel tabernacolo in un’apposita teca. Il ministro abbia cura di non toccare tali particole perché alcuni celiaci sono estremamente vulnerabili. Anche questa attenzione è segno di premura che non può mancare.
• Si educhi la comunità a come muoversi nel momento delle comunioni per evitare inutili ingorghi.
• In alcune celebrazioni (es. le cresime, i battesimi) in cui partecipano anche persone che talvolta non sono assidue e formate, o magari perché di diverse comunità linguistiche, può essere utile preparare un foglietto per permettere a tutti di meglio seguire lo svolgimento dei riti e partecipare ai canti.
• I riti sono relazioni, con Dio e dentro l’assemblea, che richiedono l’intersecarsi di parole, di silenzi, di simboli, di gesti, di canti. La qualità e intensità delle relazioni deve trovare appropriati linguaggi su cui sempre verificarsi. Qualche didascalia può essere utile, ma non si ecceda. Si sfruttino omelie e catechesi per incrociare / illuminare i simboli e i riti con la vita effettiva delle persone.
• Sulle omelie rimandiamo a quanto papa Francesco ha scritto in Evangelii gaudium (133-159). Raccomandiamo la preparazione spirituale e teologica, il linguaggio comprensibile, la mediazione tra Vangelo e vita, la brevità. Siano parole che facciano ardere i cuori.
• La preghiera dei fedeli sia il più possibile dei fedeli. Si cominci almeno in alcune occasioni (solennità, prime comunioni, cresime… per poi arrivare a tutte le domeniche) a non prendere quelle stampate ma a coinvolgere i fedeli a pensarle, prepararle, leggerle. Evidentemente secondo le indicazioni liturgiche perché siano appropriate alla celebrazione e nella varietà suggerita dalle rubriche.
• I canti e la musica sono per lodare Dio e dunque preghiera. Non per litigare e non per protagonismi. Occorre molta sapienza ed equilibrio per evitare gli estremismi. L’assemblea va coinvolta: il versetto del salmo responsoriale sia semplice in modo che tutti lo possano cantare. L’Alleluia e il Santo siano il più possibile cantati da tutta l’assemblea. La partecipazione del popolo non comporta che tutti devono sempre cantare tutto, ma neanche può essere che tutto fa il coro e l’assemblea sempre e solo ascolta. E magari in una lingua che non capisce. In tale eventualità almeno fare un foglietto con il canto in lingua originale e traduzione a fianco. Il canto e la musica sono integrati nell’andamento della celebrazione e non la celebrazione un corollario della musica e del canto. A seconda dell’assemblea ci sia una sapiente scelta dei canti.
Forse qualcuno sta pensando: “Ma sono solo piccole cose, che nella nostra comunità già stiamo facendo”. E altri invece penseranno: “Nella nostra comunità non riusciamo, siamo in pochi e molto affaticati…”. Ai primi vorrei semplicemente dire: “Bravi. Proseguite nel vivere sempre meglio le vostre celebrazioni!”. E agli altri: “Cominciate dalle cose che vi sembrano più fattibili. L’importante è iniziare insieme con il desiderio di coinvolgere qualcun altro a meglio preparare le celebrazioni”.

11. L’Eucaristia, memoriale della Pasqua, dono di Dio che costruisce la Chiesa come popolo in ascolto e nel rendimento di grazie al Padre, è connessa alla domenica, e dunque al senso cristiano della festa e della comunità. Il nostro tempo sembra aver smarrito la tutela della domenica come tempo di festa condiviso in famiglia e nella comunità. La domenica è divenuto il giorno dello shopping, dei centri commerciali, delle esperienze consumistiche che il mercato induce.
Siamo chiamati a scegliere stili alternativi in cui saper condividere tempi ed esperienze non tanto di feroce consumo ma di ristoro e di riposo per dare spazio a relazioni interpersonali liberate dal gravoso impegno di essere utili, funzionali, efficienti.
La domenica è darci tempo per ascoltare Dio e celebrare il suo amore; e darci tempo per relazioni gratuite, di amicizia e di fraternità, di carità e di servizio disinteressato.
Nelle nostre comunità diamoci tempi e spazi per ritrovarci e condividere. Facciamo della Chiesa una “famiglia di famiglie”, cioè una comunità che sa aggregare famiglie, che intesse relazioni tra famiglie, che apprende stili e valori dal tessuto familiare.
Potrebbe essere un compito interessante il ritrovarci in parrocchia a domandarci: quali sono i valori e gli stili che le nostre famiglie possono trasmettere alla Chiesa? In cosa le nostre famiglie possono contagiare positivamente la Chiesa? Affidiamo questo compito ai gruppi famiglia, ai gruppi dei genitori.

12. Di fronte all’Eucaristia restiamo assorti in adorazione. È un mistero che ci porta al silenzio adorante. Contempliamo il mistero di amore del Figlio che rende grazie al Padre e si dona per noi, amandoci fino alla fine, fino al dono estremo di sé: “non c’è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici”.
Adorare l’Eucaristia è sostare come in un’oasi di gratitudine. Siamo immessi nel rendimento di grazie al Padre insieme a Gesù, e da questa adorazione ripartiamo rinnovati, come chi ha ricevuto un mandato, una missione. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi perché andiate e portiate frutto”.
In preparazione al Giubileo del 2025 siamo invitati a intensificare la nostra vita di preghiera e tra le prime modalità la tradizione ci consegna l’adorazione eucaristica.
Tra le tante sorprese belle che ho trovato a Trieste ci sono le cappelle per l’adorazione. Ma poi anche l’adorazione eucaristica che con fedeltà viene riproposta in diverse parrocchie.
Rendiamoci disponibili a collaborare per rendere le nostre Celebrazioni eucaristiche il gioioso incontro con il Signore vivo che ci parla e ci alimenta. E così aiuteremo tutti a viverle come incontro con quel sacrifico d’amore che è il Cristo che si dona per la nostra salvezza e che mediante lo Spirito ci accompagna nella nostra testimonianza nel mondo.
Incoraggio a rendersi disponibili per i turni di adorazione nelle diverse cappelle e chiese che ci richiamano alla necessità del silenzio adorante, dell’ascolto perseverante, dell’adorazione e rendimento di grazie come dimensione caratterizzanti la vita cristiana.

Capitolo III

La sinodalità e la corresponsabilità


13. Continua il cammino sinodale. Ci inseriamo in un’esperienza di Chiesa italiana che ci deve vedere impegnati in alcuni ambiti specifici. A dire il vero anche la consultazione in atto per discernere la strutturazione della nostra curia ed eventuali avvicendamenti dice di una corresponsabilità alla quale dobbiamo abituarci. Dobbiamo ancora imparare, talvolta dovremo correggerci perché magari smentiamo nei fatti (magari senza accorgerci) quello che proclamiamo a parole. Da qui il proposito: non possiamo parlare di sinodo e poi non cercare di migliorare le modalità di discernimento attraverso le quali maturare scelte e decisioni.
Dopo i primi due anni di ascolto narrativo, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di fedeli in tutta Italia, il Cammino dovrà ora proseguire con la fase dedicata alla lettura spirituale delle narrazioni emerse per poi culminare in quella profetica (2024-2025). In quest’ottica, il tempo del discernimento aiuterà a individuare quali dinamiche ecclesiali devono essere modificate per promuovere la missione, rendendo alcuni meccanismi più snelli e più capaci di annuncio del Vangelo” (Consiglio Permanente della CEI, 8 luglio 2023).
La grande icona di riferimento per questa fase sapienziale il cui obiettivo è il discernimento ecclesiale è il racconto di Emmaus (Lc 24,13-35). Da qui siamo chiamati a trarre lo stile con cui Gesù interroga i viandanti, li accompagna e fa ardere loro il cuore. Tutto avviene lungo la strada:
Non è solo il fascino personale del predicatore a scaldare il cuore e nemmeno solo la bellezza degli argomenti – due aspetti comunque importanti – ma è soprattutto il fatto che Gesù predica «lungo la via», facendo strada con loro. Hanno avvertito che quella parola non è pronunciata da una cattedra, ma sulla strada, camminando insieme. La parola che scalda, anche quando il predicatore è fermo sul pulpito – come nella Celebrazione eucaristica – è una parola itinerante, che nasce dalla condivisione di un cammino. Ecco un altro criterio: la comunità discerne con un atteggiamento itinerante; non restando seduta “alla meta”, giudicando chi è dentro e chi fuori dal sentiero, né ferma “alla partenza”, lasciando che ciascuno vada dove vuole, ma apprezzando i faticosi cammini di tutti, soprattutto di coloro che arrancano, accompagnandoli verso il Signore e la sua Parola” (Linee guida per la fase sapienziale del cammino sinodale delle Chiese in Italia, p. 7).
Abbiamo delle linee guida che ci richiamano al clima orante e ospitale del cammino solidale, alla frazione e condivisione del pane, alla ripartenza missionaria, alla comunione con la Tradizione e il vivo Magistero. Ci aiuteremo e presto avremo dalla Chiesa italiana delle schede per sostenerci nelle riflessioni e nel discernimento.
L’importante sarà metterci nello stile di Gesù per incontrare il mondo che riconosciamo come il destinatario della grazia e del Vangelo.

14. La fase sapienziale ha il compito di individuare le scelte possibili, preparare delle proposte da condurre alla fase profetica, comprendere come si attua il consenso dei fedeli e come questo sostiene le scelte dei Pastori, focalizzandosi non su “che cosa il mondo deve cambiare per avvicinarsi alla Chiesa”, ma su “che cosa la Chiesa deve cambiare per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo”. Più che formulare giudizi su ciò che gli altri devono fare, occorre dunque in questa nuova fase riflettere su come i discepoli di Gesù possano convertirsi per essere più “sinodali”, cioè per “camminare con” il Signore e con tutti i fratelli e le sorelle: appassionati all’amore reciproco (cf. Gv 13,35) e alla testimonianza di Cristo nel mondo (cf. At 1,8). Il discernimento sarà dunque “operativo”, ossia indirizzato alla conversione personale e comunitaria dei discepoli di Gesù, di noi tutti. Il punto chiave per questo discernimento è lasciarsi ispirare dallo stile del Maestro: il suo modo di incontrare le persone, di camminare con loro, di accompagnarle e prendersene cura – in una parola, di “fare sinodo” – è il criterio guida per ogni azione pastorale (Ivi p. 11). I vescovi ci indicano l’obiettivo, l’ambizione del nostro cammino sinodale:
L’ambizione del Cammino sinodale è di sostenere nella Chiesa le qualità di una casa aperta e disponibile, accogliente e sollecita, una famiglia che ascolta perché in essa ci si ascolta. Non si può essere capaci di ascoltare il mondo se non si trova il modo di ascoltarsi reciprocamente. In vista di questa conversione, l’ampio ascolto delle Chiese ha messo in luce problemi e suggerito soluzioni. Il tutto è stato raggruppato in cinque macro-temi, all’interno dei quali sono stati individuati alcuni sotto-temi. I macro-temi, sottoposti all’attenzione della 77ª Assemblea Generale della CEI (22-25 maggio 2023) e all’Assemblea dei referenti diocesani (25-26 maggio 2023), sono: 1) la missione secondo lo stile di prossimità; 2) il linguaggio e la comunicazione; 3) la formazione alla fede e alla vita; 4) la sinodalità permanente e la corresponsabilità; 5) il cambiamento delle strutture” (Ivi p. 12).
La missione secondo lo stile di prossimità (un camminare accanto, in una relazione personale autentica) coinvolge davvero tutti: pensiamo ai laici dentro gli ambienti di vita professionale, civile e sociale. Cruciale è riuscire a stare “accanto” anche alle persone che vivono un tempo di “soglia” nella vita: “Gli atteggiamenti di giudizio amareggiano molti credenti e allontanano quelli che si convincono di non esserlo o sono alla ricerca dei motivi per esserlo” (p. 13).

15. Qui non riassumo quanto già ci è stato fornito, ma mi limito a rilanciare che avremo tra le mani delle schede che ci aiuteranno a svolgere questo cammino sinodale. Ed esse ci aiuteranno secondo lo stile delle “conversazioni spirituali” e dei “cantieri di Betania” che abbiamo sperimentato in questi anni.
La nostra Chiesa di Trieste aveva lavorato sui tre “Cantieri di Betania” (Strada e Villaggio; Ospitalità e Casa; Diaconie e Formazione spirituale) aggiungendo poi quelli caratterizzanti la nostra città: il dialogo ecumenico/interreligioso e il rapporto tra fede e scienza (quest’anno ci sarà anche l’anniversario del centenario della nostra Università). Su questi temi saremo chiamati ancora a lavorare e a dare il nostro apporto sapienziale allargando lo sguardo anche su alcune piste che in questi mesi mi sono state proposte nei vari incontri e ascolti che si sono succeduti in questo mio primo periodo.
Chi sta alla finestra, chi guarda a tutto questo con diffidenza e non si mette in gioco, abdica alla sua corresponsabilità ecclesiale. Si astenga però poi da sentenziare attraverso i social, come “leone da tastiera” che inveisce e sbrana ma che manca di coraggio nelle pazienti relazioni personali da costruire con lo stile di Gesù.
Rilanceremo i cantieri sinodali. Lo faremo anche raccogliendo alcune istanze che mi sono pervenute in questi mesi di ascolto, di incontro, di dialogo. Le tematiche sarebbero tante. Ne affronteremo alcune con il desiderio di condividere, di cercare insieme come essere Chiesa missionaria che sa annunciare nell’oggi il Vangelo di Cristo.
La prima sinodalità sono i nostri organismi di partecipazione (consigli pastorali e consigli affari economici, consulte e commissioni), sempre bisognosi di essere rilanciati: se anche imperfetti siano veri luoghi di confronto e di condivisione, sia di quanto Dio sta facendo, sia di quanto siamo chiamati a discernere per testimoniare con entusiasmo la sua divina misericordia.

Capitolo IV

La Settimana sociale dei cattolici in Italia


16. A Trieste, dal 3 al 7 luglio 2024, si tiene la Settimana sociale dei Cattolici in Italia. Questo il tema: “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. C’è il desiderio che questo sia un anno in cui sperimentiamo la partecipazione, ci alleiamo nel contribuire, ci rafforziamo nella corresponsabilità.
A Trieste. Perché Trieste è ponte verso l’oriente e verso il nord Europa. Perché Trieste è confine che segna l’incontro tra popoli e religioni. Perché Trieste è periferia che spalanca al futuro di speranza per tanti profughi. Perché Trieste è città della scienza con la quale interagire per un umanesimo nuovo, di cui il Vangelo per noi resta il fondamento. Perché Trieste ha una storia di ferite che possono diventare laboratorio di pace e di giustizia. Perché Trieste è una bella Città.
La Settimana Sociale vuole essere un crocevia di persone e progetti diversi, un luogo per condividere il presente e immaginare insieme il futuro, ricercando sempre nuove vie per costruire il bene comune.
Per andare «al cuore della democrazia» attiveremo percorsi vivi e inclusivi al fine di connettere storie e comunità, laboratori creativi per sperimentare metodologie innovative e coinvolgenti. Costruiremo insieme processi di ascolto e di progettazione che partono dalle comunità locali e ritornano nei territori. Saremo chiamati ad attivare tutti i nostri sensi: l’udito per ascoltare le fatiche delle comunità, la vista per guardare alle energie creative, il tatto per toccare con mano le povertà e condividerle, il gusto di essere comunità, l’olfatto per vivere in sintonia con la natura
” (Documento preparatorio p. 10-11).
Durante la Settimana oltre al convegno con i delegati rappresentanti di tutte le diocesi italiane e delle varie aggregazioni laicali (si pensa a oltre 1600 delegati) ci sarà anche un’animazione delle piazze che ci vedrà tutti coinvolti: ci saranno opportunità di incontri, approfondimenti e presentazioni di buone pratiche provenienti da diverse parti dell’Italia.
Ci saranno dei “laboratori della Partecipazione” che scandiranno i lavori della settimana:
Li stiamo immaginando come luoghi di confronto, di dialogo, di elaborazione di visioni comuni. Se abbiamo a cuore la partecipazione, come dinamica vitale, che può rivitalizzare la nostra democrazia, non potremo accontentarci di occasioni di riflessione e di speculazione: la vera posta in gioco sarà quella di generare reali occasioni di partecipazione, in cui prendere la parola, proporre, ascoltarsi, condividere, immaginare. Proveremo a misurarci con le grandi questioni civili, come il potere, l’educazione, la dimensione politica della carità, la responsabilità della cura dei luoghi e dell’ambiente, l’immaginazione politica” (Documento preparatorio p. 27).

17. Il documento preparatorio delinea anche una proposta di avvicinamento alla settimana sociale dei cattolici che invito a valorizzare nelle parrocchie e soprattutto nelle varie aggregazioni laicali. Ognuno a modo proprio ma anche con il coraggio di programmare una seria preparazione alla settimana sociale dei cattolici.
Come diocesi offriremo:
- Un piccolo ciclo di incontri di approfondimento rivolti a tutta la comunità cristiana.
- Un qualche momento specifico rivolto ai cristiani impegnati nella politica, nell’amministrazione, nelle diverse espressioni del mondo sociale ed economico.
- In ogni cantiere sinodale dedicheremo un momento per verificarci su come è stata la nostra partecipazione e corresponsabilità.
- Ci sarà bisogno di tanti volontari che collaborano per la realizzazione della Settimana Sociale dei Cattolici. Fin da adesso grazie per chi si renderà disponibile.
Il prossimo anno ci vedrà impegnati oltre che nel Sinodo anche nella preparazione alla settimana sociale dei cattolici. Se tutte le parrocchie e le varie realtà diocesane possono coniugare le varie aeree del processo sinodale con la preparazione alla settimana sociale dei cattolici invito particolarmente le aggregazioni laicali a utilizzare il documento preparatorio nei loro cammini specifici.
Ci sarà un piccolo ciclo di incontri offerto a tutti, mentre per i cristiani impegnati nella politica e nel sociale promuoveremo qualche appuntamento a loro riservato.
Abbiamo bisogno di volontari per la Settimana Sociale dei Cattolici.

Capitolo V

Esercizi di fraternità in uno stile sinodale


18. Il cammino sinodale e la preparazione alla settimana sociale dei cattolici del luglio 2024 ci forniranno molti spunti di revisione e di rinnovamento. Nel frattempo mi faccio eco di alcune piste che mi sono state segnalate, di alcuni esercizi di fraternità sui quali richiamo tutti ad essere generosi e attivi, nello spirito sinodale, in una missione secondo lo stile di prossimità. Sono alcune emergenze che ho letto nelle nostre comunità o che mi sono state esplicitate nei numerosi incontri di questi mesi. E anche nelle lettere che ho ricevuto da molti presbiteri e laici per cercare di comprendere come avviare questo anno pastorale. Riflessioni che si collocano in questo periodo storico.
Potrebbero essere cantieri sinodali che ci vedono a confrontarci su alcune tematiche che per questa nostra Chiesa di Trieste mi sembrano particolarmente vive, attuali, che ci interpellano come comunità.
Nel mese di ottobre definiremo quali saranno i cantieri sinodali che attiveremo, in un’ottica di reciproco ascolto, di discernimento comunitario, di processi da avviare. Anche rilanciando le commissioni pastorali e allargandole ma nella consapevolezza che non tutto può essere avviato subito.

a. Adolescenti e giovani


19. La giornata mondiale della gioventù di Lisbona ha visto una bella partecipazione di nostri giovani. Eppure l’anello di trasmissione della fede pare essersi inceppato. Tutta la comunità cristiana, tutte le famiglie in sinergia devono porsi l’interrogativo del perché la fede cristiana per tanti adolescenti e giovani risulta qualcosa di anacronistico, un qualcosa che non interessa. San Paolo soffriva enormemente perché il suo popolo non aveva riconosciuto il Cristo (Rom 9,1-5): e noi sentiamo l’urgenza del ripensare a come comunichiamo la fede, come testimoniamo l’aver trovato in Gesù il tesoro prezioso (Mt 13,44-52) che ci porta con tanta gioia a dare via tutto pur di coglierlo e custodirlo?
Come Chiesa dobbiamo investire sulla trasmissione della fede, sui processi educativi, sull’aiutare ogni ragazzo, adolescente e giovane a porsi la domanda essenziale della vita: “Chi sono io per Gesù?”, e poi ancora: “Chi è Gesù per me?”. E ancora: “cosa fare della mia vita?”. Occorre promuovere non solo la trasmissione di concetti e riti, ma anzitutto promuovere un incontro personale con il Signore: e la Chiesa è al servizio di tale incontro. I cammini ecclesiali vogliono essere espressione che non siamo soli e abbandonati nella nostra ricerca di fronte a questi interrogativi fondanti.
Nell’ascolto di questi mesi ho colto la richiesta che si lavori insieme, che si tentino vie e strategie nuove per rendere adolescenti e giovani protagonisti della Chiesa e della loro fede. Per questo pastorale giovanile e pastorale vocazionale devono procedere sempre fianco a fianco. Per questo dovremo investire sulla pastorale scolastica e sulla pastorale universitaria. Per questo le famiglie (genitori, ma a che nonni, fratelli…) vanno sostenute nella loro peculiare responsabilità educativa anche in ordine alla fede. Per questo l’iniziazione cristiana si apre a percorsi di post-cresima che vanno ulteriormente incentivati.

20. Abbiamo la fortuna di diversi percorsi che possiamo offrire ai nostri adolescenti e giovani e che parrocchie e associazioni e movimenti e comunità (dall’Azione Cattolica ai Neocatecumenali, dagli Scout alla Comunità S. Egidio, da Comunione e Liberazione a tutte le altre espressioni ecclesiali della nostra Chiesa) propongono con impegno e passione. Incoraggio tutti a proseguire in questi compiti educativi: sarà bello se pur nelle differenze troveremo alcune modalità per esprimere la comunione e l’essere tutti protagonisti della stessa Chiesa. Già ci sono alcuni tentativi: la veglia vocazionale e quella di Pentecoste; la celebrazione penitenziale dei partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù a Monte Grisa e la Messa a Lisbona e poi ancora a Monte Grisa. Anche la partecipazione come volontari alla Settimana sociale dei cattolici può fornire altre occasioni di incontro e collaborazione.
Ma il mio pensiero va anche agli adolescenti e giovani che provengono da famiglie fragili, che appartengono a contesti degradati, che cadono in compagnie prive di riferimenti educativi e valoriali. O che al contrario si isolano, sono pieni di ansie, bloccati dalla paura. Oppure diventano ostaggi di un mercato che li usa per fare profitti, che li seduce con l’effimero e con l’invidia: solo se possiedi quel prodotto, solo se totalizzi tante visualizzazioni, solo se sei invidiato dagli altri esisti, vali qualcosa. Questa competizione però produce continue frustrazioni ed esprime una carenza antropologica. Anche la povertà educativa è un’emergenza.
Un po’ alla volta procederemo a creare collegamenti tra le diverse “pastorali”. Resteranno tante proposte, ma dentro un quadro di stima e di reciproco sostegno. E anche di qualche momento simbolico che faccia percepire la comunione e l’appartenenza all’unico Popolo di Dio.
E non dovrà mancare l’attenzione agli adolescenti e ai giovani che faticano, che sono vulnerabili, che chiedono un’attenzione e nuove opportunità. Quale è lo sguardo del Signore su questi giovani?

b. Amici e fratelli:
il volontariato da rilanciare ovunque


21. Così si esprime il Report statistico 2023 della Rete Caritas:
La povertà in Italia può ormai dirsi un fenomeno strutturale visto che tocca quasi un residente su dieci, il 9,4% della popolazione residente vive infatti, secondo l’Istat, in una condizione di povertà assoluta. Se si pensa che solo quindici anni fa il fenomeno riguardava appena il 3% della popolazione si comprende quanto siano state compromettenti per l’Italia le gravi crisi globali attraversate a partire dal 2008, dal crollo di Lehman Brothers, alla crisi del debito sovrano, fino alla pandemia da Covid-19, a cui si aggiungono ora gli effetti del conflitto in Ucraina che stanno impattando pesantemente su crescita, inflazione e scambi commerciali. In termini assoluti si contano 5milioni 571mila persone in stato di povertà assoluta, erano 1,8 milioni solo tre lustri fa’.
Le statistiche sono impietose. I poveri aumentano e i volontari diminuiscono drammaticamente. In questi ultimi anni si calcola che i volontari sono calati sensibilmente: nel 2021 sono 900mila in meno rispetto ai 5,5 milioni del 2015. Certo il Covid ha imposto chiusure e isolamenti che poi hanno avuto ripercussioni anche finita la pandemia, ma il calo dei volontari ha iniziato da diversi anni e va di pari passo con la flessione nella partecipazione alla vita sociale e politica, basti pensare al crollo dell’affluenza alle scorse elezioni. Siamo nella cultura del benessere individuale, dove il nuovo imperativo categorico è quello dello “star bene” e non del “fare il bene”. Non voglio contrapporli, anzi: lo star bene con se stessi viene consolidato dal partecipare alla cura per le persone fragili e povere o per una maggiore corresponsabilità per la nostra terra malata. In Italia fioriscono “i centri di benessere” e non si ha tempo per spendersi nel volontariato.
I giovani (senza generalizzare, perché ci sono esempi positivi che andrebbero maggiormente raccontati) faticano a trovare tempi e motivazioni per dedicarsi con continuità a fare volontariato. Abbiamo assistito alla loro generosità per aiutare la Romagna alluvionata, ma poi di fatto spesso hanno una vita già colma di studio, sport, intrattenimenti sociali che il mercato consumistico ha divinizzato. Di fatto “non si ha tempo” per fare volontariato, nel senso che ci sono cose più importanti e urgenti da fare: compresi gli aperitivi e tutto ciò che l’industria del divertimento e del tempo libero ha escogitato. Non si tratta di fare sterili contrapposizioni ma di educarci a ritrovare le motivazioni di una fraternità da coltivare, di un volontariato che ci compromette nella gratuità per il bene comune, per le persone fragili. La gratuità è un valore che va ribadito. Non tutto può essere garantito dallo Stato e dai suoi servizi. La giustizia esige che lo Stato e le diverse amministrazioni intervengano a rispondere ai bisogni essenziali (scuola, anziani, malati, disabili, bambini…). Ma restano sempre bisogni relazionali che le istituzioni non riescono a soddisfare, anche se l’incentivare un’economia civile certamente può correggere le macro distorsioni e derive che fanno aumentare sempre più i poveri. C’è un volontariato improvvisato, che sgorga dal riconoscersi capaci di farsi prossimo a chi si trova nel bisogno (e magari è l’anziano che abita nel proprio condominio) e c’è un volontariato organizzato che diventa una scuola di partecipazione competente nella risposta ai bisogni di tante persone. L’individualismo e il ripiegamento sulla mera ricerca del benessere individuale mette in crisi ogni tipo di volontariato. Spesso siamo incapaci di un po’ di gratuità: non ne siamo capaci, non abbiamo tempo, non ne abbiamo le motivazioni per cambiare i nostri stili di organizzazione del tempo (e dunque delle nostre priorità).

22. Nella Scrittura troviamo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Incoraggio tutti a ripensare alle proprie priorità e a fare esperienza di volontariato, nelle più svariate forme, in quelle che si ritengono più consone alla propria stagione di vita e alle proprie capacità. Incoraggiamoci a vicenda. Impariamo a raccontare cosa ci muove a fare qualcosa per gli altri. Impariamo a coinvolgere altre persone. Se non si sperimenta la gioia del “partecipare”, del “contribuire”, del “donare”; se nella propria vita non resta una dose di gratuità che con fermezza salvaguardiamo dall’ansia di essere sempre più produttivi ed efficienti (nel lavoro ma anche nel consumare divertimenti) vivremo giornate umanamente più povere, con deficit di umanesimo. Saremo dei condannati al conflitto permanente per avere prestazioni e successo che superino gli altri, sempre visti come antagonisti, in una competizione che riduce la vita a una continua lotta contro gli altri. Il volontariato consente il fare esperienze di appartenenza (come lo sono anche la musica, lo sport, il divertimento, il lavoro…), ma con l’aggiunta del sentirsi parte di un movimento che vuole dare espressione alla ricerca di senso: il senso della cura, il senso del vivere in un mondo imperfetto e con così tante sofferenze. Si rifiuta la fuga individualista, si combatte la disgregazione, si opta per partecipare con se stessi e con un qualcosa che nessuno ti darà indietro: il tuo tempo offerto gratuitamente per gli altri. Anche nelle nostre parrocchie dobbiamo rilanciare la bellezza del dare tempo per la comunità e per le sue attività specialmente per i bambini e ragazzi, del contribuire con altri alla vicinanza alle persone deboli e vulnerabili. Anche ai giovani dobbiamo prospettare percorsi nei quali si integrano esperienze caritative e di prossimità con persone svantaggiate e sofferenti.
Siamo fratelli, figli dello stesso Padre. Alla scuola di Gesù, con Lui come Maestro possiamo imparare a vivere da fratelli. Domandiamoci continuamente se stiamo camminando da fratelli o ripiegati su standard individualistici. Che porta ad interrogarci: posso rendermi disponibile per dare un po’ di tempo in parrocchia, in qualche gruppo/associazione di volontariato, a favore di qualche persona bisognosa che si trova in difficoltà?

c. Le famiglie tutte, anche quelle ferite


23. Nell’Amoris Laetitia troviamo scritto:
Molte volte abbiamo agito con atteggiamento difensivo e sprechiamo le energie pastorali moltiplicando gli attacchi al mondo decadente, con poca capacità propositiva per indicare strade di felicità. Molti non percepiscono che il messaggio della Chiesa sul matrimonio e la famiglia sia stato un chiaro riflesso della predicazione e degli atteggiamenti di Gesù, il quale nel contempo proponeva un ideale esigente e non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera” (AL 38).
Queste parole di Amoris Laetitia ci spronano a saper trovare forme e linguaggi per indicare alle famiglie “strade di felicità” e non semplicemente un quadro normativo a cui attenersi.
La testimonianza delle famiglie che cercano di vivere il Vangelo è la prima strada di evangelizzazione che insieme come Chiesa siamo chiamati ad offrire al mondo. Il primo segno di Gesù, dove Maria lo “forza” ad iniziare la missione di salvezza, è in una festa di nozze (a Cana di Galilea, cfr. Gv 2,1-11). L’umano dell’amore rischia di rimanere ben presto privo della gioia della festa: “non hanno più vino”. E anche la religiosità (le giare vuote per i riti di purificazione dei Giudei) ormai sembra aver esaurito la sua funzione e rimanere una memoria sbiadita e deludente. A noi sta vivere l’incontro con il Cristo come la forza propulsiva capace di trasfigurare anche l’amore umano, capace di ridargli il vigore di una festa fino a destare stupore. La meraviglia di famiglie non perfette, ma in cui si vive l’amore, il perdono, la stima, il reciproco affidarsi… perché ci si costruisce sull’amore di Dio, sul Vangelo di Cristo, che in qualche modo si dà a vedere nelle concrete relazioni familiari di tante nostre famiglie.
Il matrimonio è un segno prezioso, perché «quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi. Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza».[Catechesi (2 aprile 2014)] Questo comporta conseguenze molto concrete e quotidiane, perché gli sposi, «in forza del Sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei».[Ivi]” (AL 121).

24. Siamo chiamati a prenderci cura di tutte le famiglie e aiutarle a consolidare il loro legame, a rinnovarlo in quella fedeltà creativa che sa costruire un futuro che ha sempre spazi di crescita, elementi di rinnovamento e non di chiusura legalistica e ripetitiva.
Rilanciamo i gruppi famiglia, aiutiamo i giovani a prepararsi bene al matrimonio, aiutiamoli a comprendere il di più del sacramento rispetto alla convivenza, cerchiamo di testimoniare quanto la fede vissuta, pregata, quella che riaccende sempre il desiderio dell’amore vero e concreto, possa sostenere le varie stagioni della vita di coppia e di famiglia. Non si tratta di essere coppie e famiglie perfette, ma di testimoniare che siamo consapevoli che il Signore è con noi e noi restiamo discepoli alla sua scuola. Anche per imparare l’amore vero, che sempre necessita di adeguata cura e rilancio.
Tuttavia, non è bene confondere piani differenti: non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica «un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio» (FC 9)” (AL 122).

25. In questa attenzione alle famiglie, anche dentro la comunità cristiana abbiamo tante situazioni di dolore: persone che hanno conosciuto il fallimento, la lacerazione dei rapporti, il tradimento e spesso la speranza di una nuova vita di coppia. Ogni situazione è differente. E papa Francesco ci esorta a non incasellare le persone in format predefiniti. Non si tratta di elaborare una nuova casistica e di mettervi dentro le persone con le loro ferite, senza averle ascoltate, senza che possano sperimentare la nostra accoglienza e anche una Parola di incoraggiamento per rimettersi in ascolto di Gesù.
In questo anno inizieremo a pensare come riuscire ad essere Chiesa che sa ascoltare le sofferenze di tante coppie ferite, di tante persone che vivono esperienze matrimoniali sofferte e frantumate. Proveremo a domandarci come declinare in concreto i diversi verbi di questa pastorale familiare: accogliere-accompagnare-discernere-integrare.
Senza farci sconti e cercare scorciatoie cercheremo di dare forma ad una Chiesa che non abbandona ma che sa restare accanto anche a chi rimane fedele anche a dopo il divorzio, come anche a chi invece inizia una nuova unione. L’imperativo è quello di aiutare a domandarsi: “quale è il bene possibile ora, per questa fase del mio cammino di fede?”. Interrogativo che indirizza ad un cammino ecclesiale mai concluso, ad una dinamica di fede che sempre porta di nuovo a interrogarsi su ulteriori passaggi da viversi in ascolto del Dio vivo che sollecita ciascuno.
Non l’irrigidimento normativo di chi non sa ascoltare il grido di dolore di chi ha fallito il proprio matrimonio e sta cercando di domandarsi come ora vivere la propria fede; non il buonismo di chi ancora non ascolta il grido di dolore e di fallimento delle persone in nome di una affrettata ed equivoca misericordia che rischia di essere una maschera infetta di superficialità, perché ancora prigioniera di un deficit di accoglienza, di ascolto, di discernimento.
Se tutta la comunità cristiana andrà coinvolta per rilanciare la premura verso le coppie e le famiglie, se tutta la comunità cristiana dovrà essere formata anche riguardo a come accompagnare-discernere-integrare le persone separate e quelle in nuova unione, dovremo istituire un gruppo di lavoro per aiutare ad accompagnare, discernere e integrare in base a quanto Amoris Laetitia ci ha indicato.

d. La solitudine degli anziani,
i malati e la vita spirituale


26. Arrivato a Trieste tutti mi hanno parlato del problema degli anziani, della solitudine, delle case di riposo. Si tratta però di pensare non al problema ma alle persone che si trovano a vivere la stagione della vecchiaia con tutte le incognite e le paure per la progressiva perdita di forze e di autonomia.
A dire il vero ho anche incontrato persone, associazioni e movimenti, preti e laici e religiosi che si adoperano con passione a stare vicino agli anziani e ai malati. Ringraziamo il Signore per tutte quello che stanno già facendo l’Unitalsi, i Volontari della sofferenza, la Comunità di Sant’Egidio, tanti presbiteri e diaconi, religiose e religiosi e ministri dell’Eucaristia, tanti uomini e donne che ogni giorno cercano di fare compagnia, ascoltare, alleviare la solitudine, curare la ferite che nella vecchiaia recano tristezza. Ringraziamo il Signore, ma anche mettiamoci in gioco perché davvero molte persone anziane e malate hanno bisogno di qualcuno che sia espressione della premura di Dio, della tenerezza del Signore, della sua presenza consolante.
Un primo pensiero. Gli anziani e l’età della vecchiaia prima che essere un problema dobbiamo coglierli come una risorsa. E in svariate direzioni. Essi ci costringono a fare i conti con i limiti inscritti nella nostra umanità. Ci sollecitano a rallentare la corsa frenetica e disumana di tante nostre giornate. Ci aiutano a fare memoria che siamo immessi in una catena di generazioni: con la necessità di imparare dalla loro esperienza, anche dai loro errori e a fare tesoro della loro sapienza. Ci impongono a domandarci se la vita vale solo quando è efficiente, sana, giovane e bella oppure se davvero siamo convinti del valore inestimabile della vita di tutti e di ciascuno, senza scorciatoie e stereotipi.
C’è poi la questione della vecchiaia fortemente disabilitante: sia per le varie malattie che l’avanzare dell’età comporta sia per i disturbi neuropsichiatrici che l’allungamento dell’età ha fatto aumentare in modo massiccio: pensiamo alle varie forme di demenza senile, alle depressioni, all’Alzheimer… E dunque pensiamo ai tanti anziani e malati ricoverati nella Case di riposo oppure rinchiusi nei loro appartamenti e assistiti da badanti e familiari.
E poi ci sono gli anziani che sono i vicini di casa, che sono della nostra cerchia familiare. C’è una vicinanza a cui tutti siamo chiamati. Sarebbe bello se si tornasse a far visita agli anziani… se ci fosse una nuova dinamica di relazioni di vicinato, di parentele che si consolidano nel momento in cui si diventa vulnerabili e fragili. Tutti conosciamo un qualcuno che è anziano e a cui dedicare un’attenzione, un sorriso, un augurio, un po’ di compagnia. Rallentiamo per aiutare i ragazzi e i giovani a far visita a nonni e bisnonni. Accompagniamoli a salutare il vicino e la vicina che sono tornati dall’ospedale, oppure a fare gli auguri per il Natale o la Pasqua. Diamoci il tempo di riti familiari in cui c’è attenzione serena e continua a chi soffre, a chi è anziano, a chi è debilitato. Ricordando quanto ha detto Gesù: “ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me”.

27. Ci sono poi associazioni e movimenti che con passione vanno a cercare gli anziani e malati per portare la gratuità di un aiuto, di una compagnia, di un tempo di reciproco ascolto. Incentivo questo: e se si notano solitudini pericolose aiutiamoci a cercare una prossimità che il Vangelo ci chiede. È evidente che spesso solo nella rete di persone, organizzazioni, enti pubblici si può intravvedere qualche spiraglio per alleviare situazioni complesse in cui l’intrecciarsi di malattie, povertà e vecchiaia rendono tutto difficoltoso. Non temiamo di mescolarci e di collaborare. Diventiamo ponti tra le diverse realtà per cercare il bene possibile. Ma non perdiamo lo specifico di una cura spirituale per gli anziani e gli ammalati: mi è rimasto impresso quanto papa Francesco dice in Evangelium Gaudium per i poveri ma che qui richiamo per gli anziani che sono nelle case di riposo oppure rinchiusi in un appartamento al quarto piano e senza ascensore o che sono semplicemente impossibilitati di venire a quella Messa a cui non mancavano mai:
desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria” (EG 200).
Anche nelle parrocchie ci sia un’attenzione specifica per gli anziani. Sia per favorire forme di aggregazione e compagnia e preghiera quando possono uscire e ritrovarsi insieme; sia per una cura spirituale domiciliare. Ci sia un’attenzione perché ci siano ministri straordinari della comunione che affianchino i presbiteri, i diaconi e i religiosi e religiose nella visita domiciliare agli anziani. E come parenti, come vicini di casa, segnaliamo in parrocchia le persone che sarebbe bene andare a visitare per portate una parola di consolazione, per portare la comunione eucaristica.
Ma poi ci sono anche i malati, i malati cornici, i malati gravi: e talvolta anche giovani. È un altro capitolo su cui dovremo soffermarci: noi siamo per la vita, ma siamo per stare accanto alle persone con le loro ansie e inquietudini. Con le loro drammatiche domande. Siamo capaci di restare accanto e di cogliere che anche il dolore è possibilità di relazioni che si aprono? Siamo capaci di rallentare e condividere i passi con i nostri fratelli che hanno diagnosi che sentenziano l’avvicinarsi della morte?
Non possiamo limitarci a condannare l’eutanasia o a cogliere che il suicidio assistito rischia di accreditare l’abbandono terapeutico se come comunità cristiana non ci spendiamo per una prossimità fraterna, sincera, gratuita che diventa il nostro specifico apporto a coloro che sono incamminati verso la pienezza della vita in Dio. La nostra fede e la nostra speranza ci abilitano a scelte coraggiose. Su tutto questo dovremo aprire tavoli di confronto, processi sinodali, ma soprattutto animare ogni singolo credente a trovare in Dio la forza di stare vicino a chi soffre.
Tutti conosciamo anziani che hanno bisogno di un po’ della nostra attenzione: vicini di casa, parenti, conoscenti. Rallentiamo i nostri impegni. Scegliamo di coltivare relazioni in cui sperimentiamo concretamente che la premura di Dio passa anche attraverso di noi che ci rendiamo disponibili.
Nelle parrocchie, nella sinergia di carismi e ministeri differenti, implementiamo la cura spirituale per gli anziani e gli ammalati anche formando altre persone come ministri straordinari dell’Eucaristia.

e. Le esequie,
la pietà per i nostri morti
e la prossimità nel lutto


28. È un tema che ho affrontato in una lettera prima della festa dell’Assunta. Ne riporto gran parte nella consapevolezza che in modo sinodale sarà bello se come presbiteri, diaconi, religiosi e laici, in dialogo con le imprese funebri e le istituzioni cercheremo di rinnovare le modalità con le quali esprimiamo la nostra fede nella Risurrezione dei morti e viviamo la vicinanza a chi è nel lutto.
La celebrazione di Maria Assunta in cielo, nel cuore dell’estate, ci richiama una grande verità della fede cristiana: per tutti noi c’è una destinazione che ci proietta nella pienezza di amore, il Paradiso. Questa vita passando per la strettoia della morte, con l’inquietudine che essa reca sempre con sé, ci immette in una partecipazione piena con la vita di Dio. Siamo creati per la vita e non per la morte. Il nostro corpo, cioè noi stessi guardati dal versante precario della nostra carne, non è cibo per i vermi o una manciata di cenere dopo la cremazione. Noi siamo voluti in un disegno di amore eterno, del quale balbettiamo soltanto in attesa di gioire faccia a faccia con Dio. Per questo nel rito delle esequie noi incensiamo il corpo dei defunti, destinati alla pienezza di vita in Dio, per sua infinita misericordia. Se per il battesimo siamo già immessi nella vita nuova (vivere di Cristo, con Cristo, in Cristo) e non dobbiamo attendere altri tempi per vivere dell’amore di Dio (e nell’amore di Dio e del prossimo), sappiamo che in questa storia rimaniamo sempre in cammino di conversione, in un mondo in cui crescono insieme il buon grano e la zizzania. Al termine di questa nostra corsa terrena (purtroppo risulta spesso una gara piena di affanni, fragilità, ansie ma non priva di innumerevoli meraviglie che in ogni caso Dio ci riserva) noi professiamo la fede nella vita eterna: la piena comunione con Dio e tra noi. Fatichiamo a pensarla visto che noi abbiamo esperienza di quello che è fugace, transitorio, provvisorio. Talvolta viviamo nella leggerezza delle cose che passano (l’aperitivo, il bel vestito, il prendere il sole a Barcola) godendo l’attimo fuggente per non pensare ansiosamente alla precarietà della vita, per accantonare le domande su ciò che c’è oltre la sbarra della morte. E anche al suo incombere improvviso come quando giunge per un incidente o per una grave malattia, o anche quando sembra non arrivare mai ed estenuare una vita piena di interrogativi. Si tratta di domande che la nostra cultura – spesso più agnostica che atea – ci invita a rimuovere. Se tra amici solo si provano a toccare i temi complessi, le domande sul senso della vita, spesso si gareggia a deviare con una battuta che quello non è il contesto, che è meglio godere un calice di Prosecco o una buona birra che attardarsi su domande così impegnative. Nel cuore dell’estate celebriamo la gloriosa assunzione di Maria in cielo. Viviamo pure la leggerezza delle vacanze e la spensieratezza dell’aperitivo ma consapevoli che la vita ha una traiettoria, che è il Paradiso, la gioia che tutto il desiderio di bene e di amore troverà appagamento. In Dio, nel suo amore.

29. Nel mio arrivare a Trieste e nell’aver chiesto a presbiteri e laici di aiutarmi a capire e a cogliere le vie di Vangelo da percorrere, molti mi hanno richiamato alla pietà verso i defunti e al modo (tipicamente triestino, solo triestino) di celebrare i funerali quasi sempre al Cimitero. L’osservazione ripetuta è che i tempi sono troppo contingentati. Non c’è la possibilità per il celebrante di incontrare i familiari e con loro rielaborare il lutto. Spesso la logistica comporta che la gran parte di persone rimane nel chiacchiericcio ed esclusa dalla partecipazione alla risicata liturgia. Liturgia pure compromessa dal mormorio che la massa rende ridondante, come un vociare che urta con il dolore delle famiglie.
So di toccare una questione che ha pure un risvolto economico importante, ma molti mi hanno suggerito di incentivare la celebrazione dei funerali nelle chiese parrocchiali. Anche se talvolta la vita ci ha portato ad allontanarci un poco dalla pratica religiosa, anche se talvolta abbiamo allentato la frequenza con la nostra parrocchia… restiamo pur sempre in quell’appartenenza fraterna: in quella comunità dove siamo cresciuti, dove abbiamo ricevuto i sacramenti, vissute esperienze gioiose di amicizia e di famiglia, lì dove si abita e dove c’è quel vicinato che per fortuna tante volte non è solo anonimo e distante. Un vicinato che spesso è anche di una prossimità significativa e di conforto.
Incoraggio a celebrare le esequie nelle chiese parrocchiali perché significa ritrovarci in un contesto dove siamo aiutati a raccoglierci con rispettoso silenzio, con umile preghiera, dentro una trama di rapporti familiari e amicali che possono esprimersi meglio e non nella ristrettezza dei tempi prefissati dall’agenda del cimitero.
Anche al presbitero che celebra le esequie si dà la possibilità di una parola più appropriata, di poter ascoltare dai familiari il grido di dolore, il gemito di speranza, l’inquieta domanda del perché della morte. È possibile dirci in modo più umano, e dunque più cristiano, le fragilità e le virtù, i sogni interrotti e le attese che coltiviamo verso Dio e la vita.
E auspico che nei momenti del dolore e del lutto la comunità cristiana trovi la fantasia del linguaggio della prossimità, della solidarietà, della consolazione, della fede nel Dio della vita che vince le angosce della morte.
Incoraggio che se non ci sono le condizioni di poter celebrare la Messa delle esequie, ugualmente in chiesa si trovino i tempi per celebrare insieme l’Eucaristia di suffragio. La misericordia di Dio arriva e non attende la nostra preghiera, ma noi abbiamo bisogno di ritrovarci e insieme pregare, e insieme affidare a Dio i nostri cari defunti. Non capiti che ci diamo il tempo per trovare costose location per celebrare riti collettivi per la laurea o il compleanno o l’addio al celibato, e non ci diamo tempi e spazi adeguati per vivere la reciproca vicinanza nel momento del lutto.
Anche se talvolta le domande sono strazianti, anche se le ferite sanguinano ininterrottamente e non troviamo le parole giuste, possiamo stringerci e abbracciarci. Restare gli uni accanto agli altri. E misteriosamente Dio si fa presente. E per un cristiano il Vangelo resta buona notizia. Il Signore è risorto e ci dà la possibilità di riprendere il nostro cammino con Lui a fianco. Con il Cristo vivente che ci segue passo passo.
Sono consapevole che molti sono i tratti su cui doverci fermare: come formare le persone e le comunità cristiane a condividere il dolore e il lutto? Come i pastori possono aiutarsi a divenire ministri della consolazione riuscendo a trasformare anche il lutto in occasione di annuncio del mistero pasquale? Come migliorare le prassi celebrative nel nostro cimitero uscendo dall’impasse della fretta e di celebrazioni anonime in cui il celebrante non conosce niente delle famiglie in lutto? Come incentivare le esequie nelle parrocchie? Anche su tutto questo proveremo a istituire un cantiere sinodale per lavorare insieme ed avviare un processo di rinnovamento.

f. Il carcere al centro della città


30. In una delle mie prime visite nei luoghi della città sono stato in carcere, nella casa Circondariale “Ernesto Mari” di via Coroneo. Accompagnato dal cappellano, accolto dal direttore e dal Comandante sono entrato dentro questa vecchia struttura austriaca che si trova al centro della città. E dopo la presentazione della direzione (la storia, le problematiche, le speranze) ho visitato una sezione dopo l’altra, stretto una mano dopo l’altra, incrociato tanti occhi talvolta rassegnati e altre volte luccicanti di speranza. Anche con momenti emotivamente molto carichi. Per esempio quando un gruppetto di detenuti stavano tinteggiando alcuni muri per rendere la sezione un po’ più “calda” e “lucente” o se vogliamo meno grigia e tetra. Oppure quando entrato in una camera stavano finendo il laboratorio di canto e il drappello variegato (di nazionalità e religioni) di giovani detenuti per me ha improvvisato un mini concerto: “Io vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro… ma lassù mi è rimasto Dio”. O ancora quando in una sezione abbiamo detto una preghiera e invocato la benedizione di Dio.
Che in Italia il carcere sia un’emergenza lo dice la cronaca di questa estate, con la sequenza drammatica di suicidi, anche di persone che dovevano scontare pene brevi. Non possiamo limitarci a dire che siamo contro il suicidio e poi non accompagnare che più di altri vive la disperazione. È il Vangelo che ci obbliga ad evitare la cultura dello scarto ma a dare sempre nuove opportunità, sull’esempio di Gesù. Ma è anche la nostra Costituzione che ci vincola a questo.
Dopo il Covid – e il dramma del Covid ma anche la dedizione estrema del personale del carcere – molte attività sono ripartite in mezzo a mille difficoltà. La direzione del carcere auspica la possibilità di riprendere la collaborazione con la città. E a dire il vero cose belle stanno partendo davvero in questo periodo, le istituzioni si stanno dando da fare. Ma rimane la questione: “il carcere è al centro della città, ma è nel cuore dei cittadini? ma è nel cuore della nostra Chiesa?” Sono le domande che mi sono sentito rivolgere in questi primi mesi.
E così abbiamo iniziato, per ora solo pochi passi. Ma con il desiderio di sollecitare un’attenzione, di attivare altri volontari. In modo utilitaristico è interesse di tutti che i carcerati una volta finita la pena siano immessi nella vita ordinaria ma come persone migliori rispetto a quando vi sono entrate. Ma da cristiani siamo chiamati ad impegnarci perché ogni singola persona abbia l’opportunità di riscattarsi. Anche la nostra Costituzione parla di una finalità rieducativa della pena (art. 27) e sempre di più si ragiona sulla “giustizia riparativa”. In una concezione polifunzionale della pena come cittadini e come credenti non possiamo restare assenti, non possiamo non sentirci corresponsabili.
Certamente per i volontari serviranno preparazione, adeguati accordi con la direzione, ma archiviato questo periodo doloroso della pandemia possiamo riprendere ad animare il carcere con alcune attività, e anche con la nostra identità che si fonda sul Vangelo. Si tratterà di fare un cammino con il gruppo di persone che desiderano impegnarsi perché il tempo della detenzione risulti un tempo di crescita umana e anche spirituale e non un tempo di disperazione e di incattivimento.
Con il coordinamento di un operatore della Caritas il desiderio è quello di formare un gruppo di persone, un gruppo di volontari e pensare alcune attività con la direzione del carcere e altre organizzazioni della città e con i carcerati. Ma sarà anche bello avviare una riflessione cittadina riguardo alle misure alternative alla detenzione: per essere attuate serve la collaborazione della società civile e di altre istituzioni perché soprattutto i detenuti più poveri (per esempio perché privi di un domicilio) non riescono ad usufruirne: in altre parole anche nel carcere sono i più poveri a venire maggiormente penalizzati. Anche questo lo prendiamo come un laboratorio sinodale, come un camminare a fianco di tante persone di buona volontà che già professionalmente stanno lavorando nel carcere, altre che come volontari si dispongono e naturalmente, e anzitutto con i detenuti.
Stiamo avviando un gruppo di volontari per affiancare i detenuti e con loro pensare alcune attività. Chi è interessato può chiedere alla Caritas.
Sarà interessante se riusciremo a far diventare anche questo un cantiere sinodale, e anche nel carcere affiancare il cappellano offrendo spazi di ascolto e di prossimità.

g. Sulla rotta balcanica


31. Trieste si trova sul confine. Trieste è una tappa. Spesso non è la destinazione, ma solo un approdo transitorio per tante persone che fuggono dall’inferno che è la loro Patria. Più che altre rotte qui arrivano persone che scappano perché il loro Paese li perseguita, perché da anni vivono il dramma della guerra, perché disperati e alla ricerca di un Paese in cui poter vivere senza paura e con dignità. Pensiamo a tutti coloro che sono partiti dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Pakistan o dal Bangladesh.
Il tema è complesso. Oggetto da anni di controversie politiche e di aspre campagne elettorali. Non è questa la sede per una trattazione articolata. Non è il momento per incentivare ulteriori polarizzazioni e contrasti. La Chiesa già esprime il suo pensiero tramite alcuni suoi organismi, come Migrantes, Caritas e spesso con interventi anche di papa Francesco e dei Vescovi Italiani.
Come Chiesa di Trieste non possiamo restare indifferenti nei confronti di tanta gente che soffre. E incoraggiamo tutti a prendersi cura delle persone dentro la complessità di responsabilità per le quali vogliamo spingere alla sinergia, alla serena collaborazione. Anche se talvolta si hanno visioni differenti, paure e intenti che non collimano, priorità che restano divergenti occorre perseverare nel dialogo e nella ricerca di alleviare le sofferenze delle persone.
Anche tra credenti possono esserci posizioni diverse sulle modalità di accoglienza, sulle strategie per “governare” i flussi migratori, su come alleviare la disperazione di chi arriva dopo estenuanti e pericolosi viaggi che spesso lasciano strascichi psicologici. Di fronte a problemi complessi non ci sono soluzioni facili. Cambiano i Governi ma come affrontare l’enorme flusso migratorio resta una questione aperta e irrisolta. E tuttavia non ci troviamo di fronte a problemi, ma a persone che soffrono, a persone disperate, a persone!!! Per tutti noi credenti restano illuminanti le parole di Gesù: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi mie fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,20). Alla fine della vita il credente sa che saremo interrogati su come saremo stati premurosi nei confronti dei poveri e dei sofferenti.

32. La Caritas di Trieste, come tante realtà di ispirazione cristiana, a fianco di tante altre organizzazioni si sta impegnando da molti anni nel collaborare con le varie istituzioni locali per rispondere alle angosce e ai bisogni di questi numerosi migranti. Sempre di più vorremmo contribuire come Chiesa ad alleviare le sofferenze delle persone ma anche a quell’animare e motivare la solidarietà e la carità che competono a ciascuno sia in forma individuale che associata.
Dispiace che qualcuno pensi che ci sia un business sui migranti. Siamo ben felici di ritrarci e passare ad altri la gestione delle strutture di accoglienza per dedicarci invece alle tante forme di povertà e con uno stile evangelico sempre da reinventare nella concretezza della storia. Come diocesi, come Chiesa non vogliamo essere in concorrenza con le numerose e preziose Ong, cooperative, fondazioni, ecc. Se ci disponiamo a rispondere a dei bisogni è per poi, un po’ alla volta, passare la gestione ad altri attori che condividono la medesima passione e per poi dedicarci a nuove sfide, a nuove povertà (poco prima ho fatto riferimento agli anziani e alla loro solitudine). Le migrazioni sono ormai strutturali, e come la Chiesa dopo aver fondato tante scuole, ospedali, ospizi, università li ha consegnati alla società civile che ne ha compreso l’importanza, che ha ampliato la consapevolezza della giustizia in altri ambiti (istruzione, assistenza…), così oggi forse è arrivato il tempo in cui non possiamo continuare ad incrementare strutture di accoglienza che richiedono continue e ulteriori competenze, anche manageriali. Certo come sono rimasti scuole, ospedali, ospizi di ispirazione cristiana rimarranno strutture di accoglienza, ma non possiamo pensare che fenomeni ormai strutturali e di ampie dimensioni ci vedano assorbiti in gestioni che diventano sproporzionate rispetto alle nostre forze.
Ci piace che i cristiani siano presenti nelle varie realtà e in esse, come lievito, portino un’ispirazione, uno stile, un’attenzione alla dignità delle persone migranti. Ci piace che le comunità cristiane siano aperte, solidali, capaci di creatività nell’accogliere e integrare i migranti/profughi/rifugiati, nel testimoniare una fraternità che sempre va incarnata in modi nuovi, originali. Ci piace che ci siano laici e laiche che come lievito siano inseriti nelle varie realtà di assistenza e accoglienza e lo siano perché animati dalla fede e carità cristiana. Su questi temi sarà bello aprire uno spazio di confronto dentro la comunità per decifrare come restare al servizio delle persone e come restare fedeli alla nostra identità ecclesiale. Anche su questi elementi occorrerà aprire un cammino sinodale per reinventare continuamente il nostro stile di partecipazione e di servizio dentro le realtà di questo tempo.
Il tema dei migranti è spinoso e spesso divisivo. Come comunità cristiana sappiamo di doverci compromettere mettendoci al servizio di chi soffre, ma siamo anche consapevoli dei nostri limiti. Ci impegneremo a cercare quale sia il nostro specifico contributo nell’affrontare il fenomeno migratorio con quel mix tra operatori e volontari che ci caratterizza.

Non una conclusione,
ma un cammino che continua


33. Ho espresso alcuni pensieri, riverbero di tanti incontri. Ma le questioni importanti da affrontare sono molte di più. Aiutare i giovani a scoprire quanto sono amati dal Signore e come rispondere nell’amore (cioè la propria vocazione, la propria scelta di vita e di amore). Aiutare i preadolescenti: in alcuni quartieri sono “abbandonati” e crescono privi di riferimenti educativi. La questione lavorativa, con le sue mille sfaccettature. Una seria formazione cristiana, fondata sulla Parola di Dio perché diventi testimonianza della prossimità di Dio… Ma la vita continua. Ho segnalato alcune piste che ci vedranno coinvolti in questi mesi. Altre si apriranno tramite il cammino sinodale.
Nelle prossime settimane prenderà avvio anche il processo di rinnovamento della curia e dei suoi organismi. Sarà un processo graduale e condiviso. Già è iniziato ponendomi in ascolto di tutti i presbiteri che si sono sentiti di raccontare, suggerire, consigliare, per iscritto o nei colloqui. E anche molti laici dei diversi organismi. Un grazie a tutti.
Da una parte proveremo a precisare obiettivi dei singoli uffici/ambiti pastorali (con un carattere più operativo) e delle relative commissioni (con una funzione orientativa, di discernimento della realtà) e a istituire ponti e collegamenti perché tante questioni/progetti di fatto richiedono collaborazioni variegate (es. pastorale giovanile con pastorale vocazionale… ma talvolta con pastorale catechistica e pastorale familiare…).
Dall’altra è normale che ci siano avvicendamenti e ricambi nei vari servizi diocesani. Fin da adesso mi viene da ringraziare pubblicamente tutti, perché – e in questi mesi l’ho constatato direttamente – sono sicuro che hanno cercato di fare il meglio di cui sono stati capaci per il bene della Chiesa. Se nessuno è perfetto, a tutti dobbiamo l’onore che hanno cercato di servire il Vangelo come sono stati capaci… e come farà chi sarà individuato a svolgere il medesimo servizio.
Chiedo solo un po’ di misericordia. Talvolta le prospettive che mi sono arrivate sono divergenti, altre volte molto più convergenti. L’obiettivo è di rilanciare anche a livello locale una Chiesa sinodale, cioè un camminare insieme coinvolgendo e corresponsabilizzando presbiteri, religiosi e laici; e poi ancora organismi di partecipazione e parrocchie; e poi associazioni e movimenti. Riconoscendo che talvolta è bello cambiare servizio e rinnovarsi in altri ambiti pastorali e che altre volte è giusto valorizzare competenze di altre persone, anche di religiosi e di laici. Ma sarà bello guardarci con stima e affetto. Poter contare gli uni sugli altri. Può essere che talvolta non si sarà pienamente d’accordo: occorrerà imparare a gestire i conflitti rimanendo sulla questione aperta e senza allargare e generalizzare. Potrà essere che conserveremo la stima reciproca pur pensandola diversamente e che gusteremo la possibilità di collaborare anche se si è differenti; e in questo modo camminare nel riconoscerci comunque appassionati per il Vangelo, arricchiti dalla testimonianza degli altri, sostenuti dalla loro fede, dalla loro speranza, dalla loro carità.
Impariamo a misurare le parole, a ritrovare una qualità nelle relazioni sia nel mondo virtuale che in quello quotidiano, di quanto tante volte ci incontriamo e ragioniamo e beviamo un caffè. Ho sottoscritto il “Manifesto della Comunicazione non ostile” sapendo che anche questo è un processo impegnativo, che vivo alla luce del Vangelo, non l’adesione ad una ideologia. Tutti siamo chiamati a ritrovare il gusto di una partecipazione che abbia il profumo del Vangelo, il rispetto delle persone, la misericordia come architrave di ogni parola e attività, la speranza che sempre ha animato Maria, il camminare insieme verso Gesù: e Lui solo è via, verità e vita (Gv 14,1-12)!

+ Enrico, con voi fratello per voi vescovo

Trieste, 11 settembre 2023, memoria del beato don Francesco Bonifacio