4 Maggio, 2024

Dalla rigenerazione alla rimilitarizzazione delle ex caserme dismesse. Il caso della Caserma Trieste a Casarsa della Delizia

Tempo di lettura: 6 minuti

Aree militari dismesse in Friuli-Venezia Giulia
In Friuli-Venezia Giulia la militarizzazione del territorio è stata una pratica storicamente diffusa che ha raggiunto il suo apice nel periodo posteriore alla Seconda Guerra Mondiale, quando è stata considerata dalla NATO l’ultima difesa contro una possibile invasione comunista. Quando, dopo il 1989, i Paesi della UE hanno avviato un progressivo processo di ristrutturazione che ha portato ad una progressiva concentrazione militare in pochi siti sostenibili sia economicamente sia logisticamente.
Il tema della presenza militare e la dismissione del suo comparto infrastrutturale in Friuli è stato affrontato dalla ricerca di Corde Architetti Associati ‘Un paese di primule e caserme’ (2011-2014) e dal saggio ‘Fortezza FVG’ curato da Moreno Baccichet (2015). Gli immobili militari costituiscono un patrimonio vasto, articolato e disperso, spesso abbandonato o sottoutilizzato, le cui strutture hanno influenzato il disegno territoriale, stabilendo o precludendo relazioni fra parti di territorio visibili anche dopo la loro dismissione. Dalla ricerca di Corde si evince che la superficie totale dei siti militari dismessi in Friuli-Venezia Giulia è pari a 9.811.245 mq. Ad oggi, a fronte di varie iniziative di matrice sia europea sia nazionale sono stati pochi i casi di riutilizzo portati a termine anche se la creazione, nel 2014, della task force di collaborazione tra Agenzia del Demanio e Ministero della Difesa sembrava aver promosso la razionalizzazione e valorizzazione del comparto militare in abbandono.

Figura 1 – L’ingresso carrabile sulla S.S. 13 Pontebbana all’ex Caserma Trieste a Casarsa della Delizia, dicembre 2021. (Fotografia di Luca M.F. Fabris)

La Caserma Trieste a Casarsa della Delizia

La Caserma Trieste e l’aeroporto Francesco Baracca sono sorti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale su parte del campo di aviazione per dirigibili realizzato nella Prima Guerra Mondiale. Il sottoutilizzo della caserma (235.000 mq di superfice) è cominciato nell’aprile 1991. Molte ipotesi sono state formulate per il riutilizzo della struttura, ma è stato grazie al workshop internazionale di progettazione promosso dal Politecnico di Milano (settembre 2015) e alla successiva presentazione dei risultati all’EXPO di Milano 2015, che la comunità locale ha mostrato un ampio interesse per un recupero che attivasse una trasformazione in grado di intercettare la ripresa economica migliorando il suo tessuto sociale.

Le ipotesi definivano processi per integrare la sostenibilità in un programma che comprendeva un museo del vino e un vigneto pilota, per promuovere l’agricoltura biologica, e un museo dedicato alla Guerra Fredda. Dopo il workshop, l’Amministrazione aveva avviato un iter burocratico attraverso la Commissione Paritetica Stato-Regioni per ottenere il passaggio della ex-caserma dal Demanio Militare all’Agenzia del Demanio, promuovendo in parallelo nuove attività didattiche e di ricerca con il Politecnico di Milano per definire attraverso progetti funzionali e inclusivi, quali avrebbero potuto essere gli scenari sostenibili pur in mancanza di risorse pubbliche e nel pieno della crisi immobiliare.

Oggi, in un momento di scelte strategiche legate anche alla disponibilità dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sarebbe auspicabile il massimo concorso di tutti gli enti per assicurare il riassetto territoriale delle ex-aree militari. Le procedure di restituzione alle comunità degli immobili ex-Difesa dovrebbero inserirsi armonicamente nel disegno territoriale e urbano esistente con soluzioni ad hoc collegate a piani d’investimento innovativi che sappiano legare interessi d’impresa a esigenze locali.

Il brief progettuale proposto dal Politecnico di Milano all’Amministrazione casarsese per il futuro della ex-Trieste prevedeva, all’interno di un recinto poroso, un grande parco pubblico, un mix funzionale basato sulle potenzialità turistiche della Città del Vino e quelle di nuove imprenditorialità glocal. Il riuso della ex-caserma, date le sue dimensioni e le sue caratteristiche storiche, sarebbe divenuto un prototipo di rigenerazione integrato a un modello imprenditoriale neoindustriale privato. Un esperimento importante che sarebbe stato di stimolo per tante altre aree ex-militari nel nostro Paese.

Figura 2 – Vista dello stato attuale dell’interno dell’ex Caserma Trieste a Casarsa della Delizia, dicembre 2021. (Fotografia di Luca M.F. Fabris)

Dismissione della dismissione

E invece a sette anni da allora, in un quadro geopolitico internazionale grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale della Repubblica Italiana, pur non costituendo più il confine ‘ultimo’ dell’Unione Europea ad oriente, sta assumendo un nuovo ruolo e il percorso di retrocessione dei diritti dei luoghi ex-militari alle comunità locali non appare più così certo. Di fatto le dismissioni militari sembrano farsi sempre più distanti, questo almeno è quello che può essere il sunto di alcune interviste realizzate per definire lo stato dell’arte dell’ex-Caserma Trieste.

In colloqui aperti e franchi con la dott.ssa Lavinia Clarotto, Sindaco di Casarsa e grande promotrice di una riqualificazione ampia e condivisa per la Trieste, giunge un resoconto che sa di delusione e anche di incredulità (interviste del 9 luglio 2021 e del 22 febbraio 2022). La grande area dismessa, dicono voci dalle Forze Armate, servirà all’ampliamento dell’aeroporto Baracca, che sarà dotato di una nuova pista per l’aeronautica leggera, 6 nuovi hangar e nuovi uffici. Ora, sull’onda dei venti di guerra alzatisi in seguito all’invasione dell’Ucraina, diventa quanto mai evidente l’importanza di un aeroporto specializzato non solo in aviazione leggera, ma anche in droni, che potrebbero tenere sotto controllo un confine ad Est che l’incertezza delle politiche internazionali ha fatto tornare alla prepotentemente ribalta. Queste sono considerazioni dello scrivente.

Quello che ci racconta la Sindaca riguarda la fine definitiva della parentesi delle Caserme Verdi, introdotto dal primo governo giallo-verde, che aveva individuato proprio nella ex-Trieste uno dei progetti da finanziare ed eseguire. E invece, con l’ampliamento dell’aeroporto e con l’arrivo di un nuovo contingente militare, si parla di oltre un centinaio di nuovi addetti, si evince solo che oltre la metà della superficie ora dismessa sarà riutilizzata e che la parte restante non verrà restituita alla comunità. Tutto rimane chiuso dentro quel muro che in tanti, da tanti anni, avrebbero voluto vedere cadere. Molti dei punti di forza che avevano fatto crescere e sviluppare la nostra collaborazione, di ricerca e didattica, prima col workshop, poi con scritti e progetti di tesi di laurea, si infrangono e sembra non possano avere soluzione nel prossimo futuro. Il tema del confine e dell’emergenza sembra essere l’unica caratteristica costante che regna su Casarsa. Siamo all’inizio della dismissione militare, una nuova stagione che richiederà ancora una volta l’uso di queste aree. Perché è evidente che è iniziata una nuova era dove la difesa strategica e il controllo dei confini (comunitari e NATO) diventano una necessità impellente in un quadro geopolitico che varia grazie all’inanellarsi di crisi globali sempre più complesse.

Figura 3 – “Un Parco per la Cultura a Casarsa della Delizia”, Tesi di Laurea Magistrale in Architettuta “OLTRE IL FILO SPINATO. Storie di abbandono e riutilizzo dei siti militari dismessi” di Edoardo Del Conte e Erica Nonis, relatore Luca Maria Francesco Fabris, Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni, Politecnico di Milano, dicembre 2018 (Render dell’intervento).

Articoli correlati

Spazi ibridi e città di prossimità. Il caso di Milano

Negli ultimi anni si sono moltiplicate esperienze in grado di coniugare attivismo, terzo settore e innovazione sociale nelle nostre città. Sono luoghi variamente denominati che hanno nella loro natura ibrida la loro caratteristica principale. A Milano, con un netto impulso durante la fase pandemica, gli spazi ibridi sono cresciuti e si sono affermati. E oggi possono essere valorizzati nelle politiche pubbliche se è vero che la città punta davvero a essere sempre più inclusiva e di prossimità.

Mare culturale urbano: progetto ibrido in quattro periferie

mare culturale urbano è un progetto di rigenerazione urbana a base culturale nato nella periferia del Municipio 7 di Milano e attualmente diffuso in altri tre quartieri, per proporre un nuovo e migliore stile di vita cooperativo e solidale che ripensi alla cultura, al benessere collettivo e al senso civico degli abitanti della zona. Riconosciuto dal magazine Artribune nel 2019 come il miglior spazio ibrido di Milano, mare culturale urbano si è impegnato a rigenerare la storica cascina Torrette di Trenno del ‘600, rendendola un punto d’incontro per la comunità della periferia ovest di Milano e una piazza aperta a tutta la città in cui partecipare a eventi e ad attività accessibili a tutti.

La Rete degli Spazi ibridi di Milano. Un’intervista ad Annibale D’Elia

Il Comune di Milano nel 2022 istituisce in via sperimentale un Elenco qualificato di spazi ibridi denominato Rete spazi ibridi della Città di Milano che conta attualmente 20 soggetti selezionati da un’apposita commissione di valutazione mediante un Avviso pubblico aperto. Nell’intervista che segue Annibale D’Elia, Direttore di Progetto di Economia Urbana, Moda e Design del Comune di Milano, - da diversi anni impegnato nell’innovazione delle politiche pubbliche - ci racconta quali motivi hanno spinto l’amministrazione pubblica a sostenere una rete di soggetti gestori di spazi ibridi.

Se un paese cerca una strada, tra economia paziente, spopolamento ed energie da non sprecare. 

Un paese della Puglia riflette su come contrastare fenomeni di spopolamento ormai comuni a tanta parte dell’Italia, si misura con un paese vicino, caso di successo di quella che Paolo Manfredi nel suo libro “L’eccellenza non basta” chiama “economia paziente”. Il contrasto allo smottamento demografico, economico e immobiliare di tanta parte delle aree interne non si risolve con Grandi Piani, ma con un paziente lavoro di coltivazione e accompagnamento di progettualità ed energie sparute e sopite, senza sprecare nulla, perché anche piccoli progetti possono avere impatti significativi.

Se i giovani diventano protagonisti della rigenerazione dei territori

Due progetti avviati da Fondazione Riusiamo l’Italia in Basilicata nel 2022 per sperimentare nei territori rurali del Mezzogiorno metodi e approcci sul riuso creativo, temporaneo e partecipato. Il primo progetto denominato “Mappa delle opportunità ritrovate” è attuato per conto del GAL Cittadella del Sapere consiste in un processo di mappatura del patrimonio dismesso o sottoutilizzato. Il secondo progetto intitolato “Next Generation - Sant’Arcangelo Hub Giovani” ha lo scopo di valorizzare il talento e le competenze di giovani che possano supportare progetti di innovazione in campo sociale, culturale, ambientale e turistico. Le due esperienze definiscono un approccio ad alta vocazione generativa che richiede limitate risorse di adattamento sulle “cose” e maggiori investimenti sulle persone e sulle comunità, sul loro empowerment e sulla propensione a costruire nuovi modelli di sviluppo durevole e sostenibile.