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Comprendere e costruire intercultura , Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto - Riassunto

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 24/01/2016

bellape
bellape 🇮🇹

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Scarica Comprendere e costruire intercultura e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! COMPRENDERE E COSTRUIRE L’INTERCULTURA GIUSEPPE MILAN INTRODUZIONE La multiculturalità caratterizza il nostro vivere e le nostre scuole. L’interculturalità è dimensione che dà importanza alla dialogicità, alla reciprocità, alla costruzione di un mondo comune, alla convivialità dinamica delle differenze e alla partecipazione solidale nella prospettiva dell’unità nella molteplicità(Bauman) L’educazione interculturale è qualità imprescindibile dell’educazione e comporta il vedere la persona dialogica, cooperativa, aperta a, con identità dinamica e plurale. L’interculturalità è prospettiva cui tendere e finalità, istanza pedagogica, metodologia didattica. L’unità dinamica dell’educazione è chiamata a superare la parcellizzazione delle conoscenze, un insegnamento capace di far dialogare i saperi per formare una testa ben fatta che è interculturale. Cap. 1 INTERCULTURA: UNA QUESTIONE COMPLESSA E IMPRENSCINDIBILE La questione dell’i. pone l’esigenza di un approccio interdisciplinare. E’implicata una rivisitazione attenta del modo di essere scuola e città. 1. Problemi di definizione e prima indicazione di obiettivi  L’educazione interculturale riguarda l’educazione in quanto tale e l’oggetto dell’attenzione pedagogica è l’educando.  Si tratta di una prospettiva trasversale e interdisciplinare  L’identità culturale può essere la base per l’attività dialogica e di incontro tra le culture.  La sua attenzione si spinge nelle riflessioni sull’alterità, sulla differenza, sull’incontro tra diverse identità individuali e culturali. Si esercita nei riguardi di tutti e in ogni contesto educativo, ampliando l’orizzonte di indagine e l’offerta formativa secondo un’ottica interdisciplinare.  Non è approccio conoscitivo-descrittivo, né generico pacifismo, né organizzazione di giornate e occasioni particolari.  E’ un processo che si inscrive nell’orizzonte del dover essere, della tensione utopica, dell’idealità, della progettualità; esprime un’istanza etica e pedagogica, un auspicio che implica impegno, responsabilità, disponibilità a cambiare e concretezza nell’agire verso la persona, la comunità e l’umanità; richiede apertura al momento prognostico in cui si fissano gli obiettivi che devono essere perseguiti nell’azione educativa.  Favorisce il passaggio dalla realtà alla finalità utilizzando l’approccio interculturale. Il prefisso inter rimanda alle dimensioni della relazione, dell’incontro, della reciprocità, del dialogo, della solidarietà. Obiettivi dell’educazione interculturale:  Favorire la conoscenza, il confronto, la tolleranza e la comprensione delle differenze culturali; aiutare ad aprirsi all’interazioni con l’altro, che è la chiave d’accesso ad arricchimento reciproco; aiutare tutti a rinforzare la memoria storica, a riconoscere le proprie radici e cultura e a comunicare con chi ha cultura diversa dalla propria, a cooperare in un clima di fattiva solidarietà--> .lotta al razzismo, al pregiudizio, all’emarginazione, alla discriminazione e alla segregazione.  Offrire agli educatori competenze teoriche-pratiche utili a progettare pedagogicamente e operare con efficacia.  Trasformare la società attraverso strategie educative per provocare cambiamento e elevate forme di comunicazione, relazione e collaborazione.  E’ fortemente impegnativo perché il contesto culturale accentua la distanza tra l’essere e il dover essere, tra la realtà e l’utopia. 2. Molteplicità di culture e di domande La molteplicità di identità culturali produce richieste diverse a causa delle multiformi identità, della temporalità del progetto migratorio(transitorio, temporaneo, stanziale), della forza del vincolo affettivo-culturale con paese d’origine, del posizionamento nella società d’arrivo(collaborazione, negazione, indifferenza). Se molteplici sono le richieste, molteplici sono le risposte. 3. Risposte prevalenti Si possono individuare 4 modelli di integrazione:  Il monoculturalismo (omogeneizzazione)  Il pluralismo culturale (differenziazione controllata dal rispetto di norme condivise  Il multiculturalismo (differenziazione spinta: arcipelago culturale)  La prospettiva interculturale Il monoculturalismo: ricorre a processi di omogeneizzazione – appiattimento: idea di uguaglianza come radicale neutralizzazione delle diversità. Si crede che la propria cultura sia qualitativamente superiore alle altre: propria perfezione e imperfezione altrui. Intolleranza delle diversità, espulsione, esclusione, al massimo assimilazione imposta. Il pluralismo culturale riconosce esistenza delle differenze etniche e culturali che devono però esprimersi in privato e non in pubblico. Vi è attenzione per diritti individuali: ogni individuo con gli altri un’eguaglianza sostanziale. Si tende ad attuare un’assimilazione temperata: si accetta l’altro, ma non la differenza, lo si induce a rinunciare a vari aspetti della sua personalità e ad adottare i valori e i comportamenti della società d’accoglienza. Il singolo può accedere alla cittadinanza purché accetti le regole di convivenza: assorbimento inglobante. L’alterità culturale è vista in termini di provvisorietà, manca un vero interesse pedagogico e la continuità dell’educazione viene negata. Il multiculturalismo ammette la compresenza di diversità culturali, si ritiene di dare risposte che salvaguardino la specificità delle differenti tradizioni culturali. Non di rado ad esso si accompagna la presunzione di superiorità. Alcuni rischi: - enfatizzazione – mitizzazione delle differenze; - banalizzazione delle differenze; la folklorizzazione delle culture; - tolleranza dell’altro con particolarità culturali, stigmatizzandolo come straniero; - segregazione, ghettizzazione. Il multiculturalismo prevede una frammentazione culturale rappresentabile con la metafora dell’arcipelago culturale(isole senza relazioni). 4. Universalismo/relativismo Monoculturalismo e multiculturalismo : dialettica tra posizioni teoriche dell’universalismo e del relativismo. Il pensiero universalista riporta l’unità della natura umana, peccando di violenza etnocentrica nel tentativo di annullare le differenze in nome di una supposta unità del genere umano. Il relativismo afferma la relatività delle diverse concezioni etiche, postula uguale validità ma anche la separazione-frammentazione delle culture, opta per l’indifferenza-neutralità. 5. Possibili soluzioni identitarie Una persona straniera vive lacerazione dell’Io tra istanze culturali e affettive in conflitto: quella che lo lega al paese d’origine e quella del paese d’arrivo. Nel tentativo di ricomporle può adottare una delle seguenti 4 soluzioni. 5.1 Incapsulamento culturale L’immigrato continua a fare riferimento alla cultura ed all’identità etnica dei genitori riducendo al minimo i rapporti e i contatti con la società ospitante. Alcuni studiosi propongono di rafforzare la resistenza culturale, secondo cui l’etnicità è un obbligo e di realizzarlo a casa propria: ciò porta l’immigrato a sentirsi sempre straniero. L’incapsulamento culturale può essere favorito dal forte legame nostalgico con il paese d’origine, dalla possibilità di poter contare su una solida comunità di connazionali nel paese d’arrivo. 5.2 Assimilazione e sudditanza neofeudale L’immigrato aderisce alla proposta identitaria della società d’arrivo e rifiuta la cultura d’origine. A volte si parla di socializzazione anticipatoria(omologazione in anticipo grazie ai media). Soprattutto i minori della seconda generazione chiedono l’assimilazione, ciò consente loro di apprendere senza eccessiva difficoltà la lingua e la cultura. Questo processo accompagna spesso un acceso conflitto con i genitori percepiti come sconfitti, perdenti. Tale mimetismo culturale comporta per il minore una perdita di riferimento uno sradicamento con conseguente crescita nell’insicurezza. Rischi: asimmetria condizione subordinata sul piano economico, sociale, psicologico, giuridico; sudditanza neofeudale accettazione di assecondare realtà discriminatoria, di rimanere in uno status inferiore pur di essere incluso; negazione del proprio corpo interiorizzazione di un profondo disprezzo per tutto ciò che è legato alla propria origine con l’artificiosa assunzione di modalità estetiche improprie(Michel Jackson) 5.3 Condizione di marginalità La persona vive ai margini della cultura d’origine, confusa tra due mondi, doppiamente straniero. Marginalità da frustrazione: soluzione a seguito di frustrazione – violenza subita nel tentativo di inserirsi nella nuova società. Marginalità da passaggio: la possibile fase di passaggio verso una nuova identità. 5.4 Identità plurale – interculturale Si realizza l’identità dinamicamente integrata, formata dal continuo gioco di confronto – contaminazione – integrazione tra mondi culturali. E’ frutto di strategia relazionale, può essere merito della società ospitante il provocare questa molteplicità, pervenendo ad un’unità di ordine superiore, dinamica, unità nella molteplicità. 6. L’approccio interculturale e suoi fondamenti L’educazione interculturale mira alla formazione di questo “essere planetario”(Balducci), di un soggetto cosciente dell’interdipendenza che muove l’umanità, capace di accettare le differenze culturali e di viverle positivamente. Essa si pone come ulteriore prospettiva, intende superare gli esclusivismi intra e extra rifacendosi alla dimensione inter e mira a coesione sociale fondata sulla convivialità delle differenze, sulla dinamica del con-essere in una prospettiva amicale-fraterna. L’idea di tolleranza viene sostituita dal rispetto. Alla prospettiva interculturale sono riferibili le proposte che insistono sulla necessità del dialogo, delle dimensioni relazionali positive. L’integrazione culturale si pone sul piano della progettualità, concepita come processo aperto, dinamico e graduale: difendere e valorizzare i valori fondamentali della società ospitante in dialogo costruttivo senza esigere che i nuovi rinuncino alla cultura d’origine. Questo approccio pedagogico apre al relativismo culturale che allude alla presenza di molteplici identità culturali dialoganti e non al relativismo etico che professa l’incomparabilità dei valori. L’integrazione punta su un processo di apprendimento reciproco e l’educazione interculturale si avvale di una comunicazione attenta, dello scambio di saperi – contenuti - conoscenze, delle dinamiche relazionali. Scuola, città, territoriolaboratorio permanente di apertura ed educazione:  alle relazioni(rapporti interpersonali, ascolto, empatia)  alla percezione di interdipendenza(conoscenza dei meccanismi sociali, economici, politici tra diverse identità culturali)  all’approccio interculturale(conoscenza e apertura alle diversità, convivialità delle differenze). 7. Fare ricerca in quest’ambito: partire dal “compito di intuizione” La tematica dell’interculturalità investe trasversalmente il nostro agire nell’ambito dell’educazione e della formazione e sfida il nostro “pensare pedagogico”, chiedendogli un rinnovamento e inusitato impegno. Imprescindibile è il “compito di intuizione”, l’impegno a indagare sulla nostra realtà culturale con effettiva intelligenza della complessità dei fenomeni in atto e dei bisogni educativi. Occorre osservare, cogliere, capire, problematizzare: intuizione, capacità di stabilire un vero dialogo con la realtà. Prescindere da questa indagine significherebbe intraprendere percorsi formativi astratti, sterili. Occorre dare voce a componenti fondamentali del mondo educativo - scolastico per far emergere evidenze condivise e emergenze più significative. Recenti ricerche rilevano i seguenti nodi problematici:  il sovrappiù di disagio vissuto dai minori delle migrazioni connesso alla complessità dei compiti di sviluppo a cui si aggiungono complicazioni legate alle difficoltà di integrazione in un contesto culturale nuovo e allo sradicamento;  la possibilità che tale disagio accentuato si cronicizzi e apra alla devianza conclamata;  l’ulteriore disagio provato dalle bambine\ragazze  il diffuso insuccesso scolastico;  le diverse tipologie di alunni;  le forti difficoltà di comunicazione;  il diffuso senso di inadeguatezza degli insegnanti;  insufficienza presenza di mediatori linguistici e culturali realmente preparati;  l’importanza dei docenti referenti per trattare la problematicità dell’educazione interculturale come dimensione trasversale e interdisciplinare;  assunzione di una visione sistemica dell’educazione interculturale e di operare per il lavoro pedagogico di rete;  l’importanza di riorganizzare la scuola e la formazione pedagogica - didattica degli insegnanti;  l’urgenza di un’educazione interculturale che si esplichi nella prospettiva della “pedagogia di comunità” con la presenza di “agenti di intrecciamento e di rete”. Bisogna muovere una progettualità pedagogica capace di accogliere le indicazioni dalla fase di intuizione e impegnarsi nel compito di intenzione (finalità educative nella prospettiva interculturale) e compito di attuazione(attraverso una metodologia capace di assumere i valori delle diversità e integrarli in un approccio dialogico - interculturale. Morin, nel suo testo “La testa ben fatta”, propone una metodologia didattica fondata su un’ inter – poli – trans – disciplinarità che aiuti la formazione di una “testa ben fatta” capace di pensiero complesso adeguato alla comprensione delle dinamiche esigenze dell’interdipendenza planetaria. “Un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili”. La “parcellizzazione del sapere” si fonda su un anomalo ingigantimento del bagaglio nozionistico, che forma solo una “testa ben piena”, nella quale il sapere è accumulato e non dispone di un principio di selezione ed organizzazione che gli dia senso. “La missione dell’insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere, essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero”. Ne deriva la necessità di una didattica capace di formare “l’attitudine a contestualizzare e globalizzare i saperi”. Compito fondamentale dell’educazione è perciò quello di formare cittadini “solidali e responsabili”, la formazione dell’ “identità terrestre” capace di radicarsi nella propria cultura ma anche di allargare la comprensione e la partecipazione fino ad abbracciare l’umanità intera. Secondo Morin la missione degli insegnanti è:  fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali, fondamentali;  preparare le menti a rispondere alle sfide della crescente complessità dei problemi;  preparare le menti ad affrontare le incertezze, favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore;  educare alla comprensione umana;  insegnare l’affiliazione alla storia, alla cultura, alla cittadinanza, all’Europa;  insegnare la cittadinanza terrestre, insegnando l’umanità nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali. Cap.3 L’altro: nemico o fratello? Riflessioni pedagogiche sulla dialettica disincontro/incontro Sfide all’educazione e alla riflessione pedagogica: interculturalità, relazione interpersonale autentica, costruzione della comunità. Punto di partenza: riflessione su realtà odierna e sula bisogno di educazione-cambiamento; punto d’arrivo: luogo esistenziale, meta degli sforzi comuni; itinerario: il metodo, l’insieme di strumenti pedagogici. QUADRO 1 Punto di partenza: “Vedo una belva!” Approccio oppositivo e di negazione dell’ “altro”, visto come ostacolo, come nemico, come problema che suscita timore, incertezza, paure e a volte angoscia. Pascal assegna all’uomo la necessità della “follia”; allude alla spinta ad innalzarsi dalla materialità e dalla finitudine della terra, della corporeità, della materia per toccare i vertici di spiritualità e di umanità che competono all’essere umano. Paradosso per l’uomo d’oggi: porsi come “cittadino del mondo” ma incapace di essere “cittadino di se stesso”, di avere una dimora esistenziale rassicurante, profonda. Questa strettezza è angoscia(angustia, in latino vuol dire strettezza). Nietzsche (uomo più grande o più piccolo): oggi esiste il pericolo di ridurre, di contrarre l’essere umano, di annientarlo(rendere niente). Abitiamo in un mondo che sembra aperto, ma è un ‘installazione dove tutto diventa più piccolo: ci autolimitiamo, i nostri desideri sono terra terra, ma tradiamo l’autentico significato de-sidera, dalle stelle, qualcosa che proviene dall’alto e all’alto richiama. Il pensatore tedesco evidenzia l’ “oltrepassa mento” per trascendere i limiti, frantumare le barriere, per ritrovare se stesso nell’ebbrezza della lievità, della leggerezza, del volo. Frankl (fondatore della logoterapia): “i giovani hanno tutto ma non l’essenziale” (vogliono significati a cui aprirsi e ai quali relazionarsi con responsabilità). La richiesta ‘a che serve?’ nega ogni ricerca e modalità interpretativa. La categoria del senso si esaurisce in quella dell’utilità. Taylor sempre più frequente e disorientante perdita della dimensione del trascendimento e del’esplorazione del mondo dei valori. Bauman evidenzia l’energia e il desiderio di trascendenza: l’uomo è un desiderio di un volo che scriva significati, che provochi incontri e che permetta di superare l’angosciante solitudine esistenziale. Manca la percezione intima della presenza della natura, anche il mondo della conoscenza, del sapere, della scienza è luogo di disorientamento. La notte esistenziale e culturale sembra provocata dal prevalere di un nichilismo diffuso, i cui elementi sono il primato della tecnica e la negazione di qualunque fondazione ontologica e trascendente dell’uomo. “Due culture”: quella che si affida ad un fondamento etico- metafisico-religioso e quella che si pone come neoilluministica-neonichilista-tecnocratica. La seconda impostazione è vincente: la tecnica si configura come “nuova ontologia”, nuova antropologia. Si impone un piatto “politeismo dei valori” che lascia spazio solo a prospettive antropologico-etiche-pedagogiche contrassegnate da un relativismo che esclude ogni trascendenza. Lo sterile universalismo, che ne deriva, nega la possibilità e l’utilità di un orizzonte di senso veramente universale e unificante. La logica conseguenza è un diffuso senso di incertezza e di precarietà. Bauman : “crollo delle strutture rigide e delle regole inderogabili” che ha lasciato disorientamento esistenziale; “la precarietà è dappertutto” in quanto “le persone sono state abbandonate a se stesse”. Bourdieu: è difficile orientarsi verso il futuro “se non si ha una solida presa sul presente” di cui “è priva la maggioranza del mondo in via di globalizzazione”. A rinforzare il senso di inadeguatezza rispetto a molti compiti essenziali è “l’assenza di ideali”. La globalizzazione è l’affermarsi di una rete di processi economico – culturale sfuggenti alla pianificazione intenzionale e controllata. Jowitt allude al “nuovo disordine”. Tale “disordine” si impone come “cultura prevalente” che tende a produrre l’effimero, l’instabile, il precario. Aspetti positivi: allargamento fenomeni di mobilità costruttiva e degli orizzonti culturali, la perdita del potere autoreferenziale degli stati – nazione, il cosmopolitismo che può favorire la provincializzazione e l’incontro con culture. Tuttavia maggioranza vincente che gestisce potere e numero crescente di perdenti, emarginati, disperati. La globalizzazione culturale si fonda sul trionfo del “pensiero unico”, che annulla le diversità, che produce nei singoli sradicamento – frustrazione o reazioni aggressive di tipo fondamentali stico. Buber parla di disincontro(notte, Minc) , ambito di precarietà e paura che inibisce la ricerca e il viaggio, soffoca le spinte verso il trascendimento personale e all’apertura. Nella notte l’altro fa paura. La paura annebbia la vista e sottrae l’altro ad una visione equilibrata e serena. Un circolo vizioso tra condizione esistenziale frustrante e percezione dell’altro come “nemico”, “ostacolo”, “problema”. L’individuo arroccato nella sua sfera come “collezionista di sensazioni” intrapsichiche è incapace si so – stare nella relazione, di offrire attenzione, continuità, stabilità, fedeltà. Non c’è spazio per consolidamento rapporti umani. Preferibili sono relazioni occasionali, la temporalità viene soppiantata dalla frammentarietà che esalta l’attimo sfuggente. Sennett: l’interprete di questa nuova identità è l’individuo “adatto ad un mondo in cui l’arte di dimenticare è una risorsa più importante dell’arte di ricordare”. Si consolida a partire dalla frammentazione uno stile ludico e superficiale nella conduzione dei rapporti umani. Bauman imputa alla “nuova pragmatica delle relazioni interpersonali” il considerare l’Altro come uno ostacolo da evitare o come “una fonte potenziale di esperienze gradevoli”. Si può percepire un panico imprevisto per il mancato arrivo dei barbari (Il deserto dei tartari), quell’eterna necessità di autodefinire se stessi solo in relazione alla presenza reale , minacciata o incombente di un nemico cui opporsi. La frantumazione culturale connessa ai fenomeni migratori planetari rinforza il sentimento di perdita e di disagio. Lo “straniero” si presenta oggi come “altro”, è facile focalizzare e accentuare peculiarità che lo differenziano da noi. L’altro provoca spesso paure, pregiudizi, atteggiamenti di difesa e di offesa. Lo straniero sollecita e incrementa senso di incertezza: l’Io innalza barriere difensive e rende inaccessibile propria dimora. Flusty parla di Building Paranoia, il frenetico boom edilizio provocato dalla crescente paura dell’altro e dalla ricerca di isolamento. Ripetiamo continuamente “Vedo una belva” con una comunicazione che erge separatori fisici e psicologici. E’ compito dell’educazione sociale e interculturale invertire la tendenza, una netta conversione antropologica che orienti a vedere in modo nuovo l’altro e ad avere una diversa percezione della casa sicura. QUADRO 2 Punto d’arrivo: “C’è un fratello con me alla mia mensa!” All’uomo di oggi servono strumenti interpretativi ed esistenziali, quell’intelligenza delle cose umane che consente al saggio di vincere l’iniziale disorientamento, la paura che oscura la giusta visione della realtà e di aprire l’uscio di casa alla ricerca autentica e all’incontro con l’alterità. Nietzsche riteneva che il filosofo occorreva un doppio udito. La notte va incontrata, esplorata e compresa, può essere il luogo metaforico dell’ospitalità autentica, aperto all’alterità e al mistero, è disponibilità alla vera ricerca e all’indagine creativa. Bisognerebbe avere il coraggio e l’intelligenza di non fermarci quando la luce declina,ma – come dice Heidegger - di spingere lo sguardo oltre il limite dell’oscurità. E’ questa coraggiosa disponibilità a percorrere sentieri impervi ad introdurci ad orizzonti nuovi, ad incontri con noi stessi e con l’Altro, ad esperienze esistenziali più ricche e profonde. Zambrano ricorda che tutta la storia “è una specie di aurora ripetuta ma non compiuta, dischiusa al futuro” e noi dobbiamo sfidare l’oscurità e mettere in atto “L’azione umana per eccellenza” che è “scoprire una via, aprirla, tracciarla” sapendo convertire la speranza in volontà e in azione. Bauman suggerisce di “mettere in discussione le premesse del nostro modo di vivere”, quelle che si fondano sull’autocentramento dell’Io. E’ necessario e urgente recuperare un’antropologia capace di ridare luce e forza ai fondamenti che possono rinsaldare i legami autentici tra gli esseri umani. Bauman sostiene che “l’umanità contemporanea parla con molte voci … come trasformare questa polifonia in armonia e impedirle di degenerare in cacofonia”. Il compito è trovare l’ “unità nella diversità” . Bauman propone di “deporre le armi sospendendo gli scontri di confine combattuti per tenere lontano lo straniero, demolendo i piccoli muri di Berlino eretti quotidianamente per tenere lontane le persone e per separarle” . Si tratta di finalità che possono essere perseguite con successo solo attraverso la responsabile decisione degli individui, che richiamano all’opzione etica fondamentale che sola può risolvere la questione del rapporto con l’Altro. Caino dopo assassinio di suo fratello: l’origine dell’immoralità, il primo errore interpersonale e sociale, sta nella fuga, nell’abdicare ad un compito di natura etica. Fuggire da questo appello etico, fuggire dall’altro, è allontanarsi da se stessi. Bauman: “Che lo ammetta o no io sono il custode di mio fratello in quanto il benessere di mio fratello dipende da quello che faccio o mi astengo dal fare. Nel momento in cui metto in dubbio quella dipendenza abdico alla responsabilità e non sono più un soggetto morale”. Ciò che mi qualifica eticamente è la disponibilità ad accoglierlo senza riserve, senza fughe, senza nascondimenti, senza alibi. Lévinas : “L’omicidio dell’altro uomo è l’impossibilità per lui di dire ‘sono’”. L’Altro ha diritto di dire “sono io”. Derrida: L’ospitalità assoluta esige che io apra la mia dimora e che la offra non soltanto allo straniero, ma all’altro assoluto, sconosciuto, anonimo, e che gli dia luogo, che lo lasci venire , che lo lasci arrivare e aver luogo che gli offro, senza chiedergli né reciprocità e neppure il suo nome”. “L’ospitalità consiste nell’interrogare chi arriva? Oppure comincia con l’accogliere senza domanda alcuna, in una duplice esclusione, l’esclusione della domanda e del nome?” L’autentica ospitalità comincia dal non porsi se stessi come meta. Il legame che relaziona immediatamente all’altro si esplica nella “responsabilità per l’altro uomo”. Buber: Secondo il suo principio dialogico l’essere umano si comprende e si realizza come “essere in relazione”, come “apertura – a” che diventa “incontro”, “dialogo”, Io – Tu. “Io mi faccio nel Tu”. E’ proprio nel relazionarsi “autentico”(reciproca ospitalità) che egli prende coscienza di se stesso e mette in gioco la totalità del proprio essere, con la propria decisione responsabile, attuando la vera libertà. Viene formulata un’etica viva, fondata sulla concretezza dell’uomo vivente, sul rapporto come radicale relazione di apertura – a per mezzo dell’incontro dialogico a cui partecipa come protagonista. E’ nel dinamismo polare e contradditorio tra Io – Esso e Io - Tu che l’essere umano si pone come “individuo che si distingue dalle altre individualità” o come “persona” che “entra in rapporto con le altre persone”, nell’Io – Tu. E’ difficile imboccare decisamente la strada dell’incontro autentico. L’Io dell’Io-Tu si coinvolge in una dinamica di umanizzante reciprocità in cui si espletano i valori positivi dell’accoglienza e dell’ospitalità nei rapporti interpersonali, sociali, interculturali. Il principio dialogico si rivela importante rispetto alle tematiche sociali e interculturali, perché richiede il relazionarsi all’altro come ad un protagonista di un’esperienza, di una storia, di una cultura, di un agire che implicano autonomia, indipendenza, identità. QUADRO 3 Itinerario: passi per incontrarci Autenticità, congruenza, sincerità Essere accoglienza implica avere un luogo, ma anche essere luogo, terreno di incontro; rompere le nostre difese, uscire all’aperto, manifestando quello che siamo con autenticità, congruenza, sincerità. L’altro deve incontrare l’originale, nell’autore( autentico, dal greco, dell’autore). L’operazione del gettare le maschere, le apparenze per far emergere la sincerità(che cresce da un’unica radice, non mescolata). Il radicale recupero dell’identità personale autentica impone il distacco da quel mondo che distoglie lo sguardo dall’itinerario che conduce all’essenziale in cui le profondità si incontrano. Lo sradicamento culturale che lo straniero è costretto a vivere opera una frammentazione esistenziale difficilmente tollerabile, perché costringe alla memoria una parte viva di sé. Processi di adeguamento, di assimilazione, di conformismo producono e aggravano tale dispersione culturale e provocano la manifestazione di identità in autentiche. Per costruire rapporti interpersonali operando pedagogicamente, occorre rispettare e valorizzare le radici culturali di ciascuno e renderle funzionali al bene comune. Con-tatto Il con-tatto è il segno di un limite che può fungere da separatore o da luogo dell’iniziale incontro con l’altro; è il luogo esistenziale in cui ci si può toccare. Si riferisce all’approccio che mette in azione lo sguardo, la prontezza all’ascolto, l’atteggiamento posturale. La fase del contatto può presentare aspetti di disponibilità globale verso l’altro o di chiusura. Il contatto ben vissuto è la prima esperienza della prossimità, è chiave d’ingresso alla relazione autentica. Possono servire strategie della comunicazione: controllo dell’emotività, conoscenza e pratica di abilità interpersonali e sociali, esercizio di dinamiche relazionali di gruppo, conoscenza dei comportamenti, dei costumi, dei valori dell’altro, la frequentazione, la consuetudine dei rapporti, la comprensione della lingua. Imprescindibile e determinante è la componente etico - morale, la necessità di fondare i nostri comportamenti su solidi principi antropologico - filosofici. L’invito. Accettazione L’arte dell’accoglienza e dell’ospitalità prevede l’arte di invitare l’altro: qualcosa da offrire e un desiderio. L’umiltà è condizione di partenza per stabilire un incontro autentico. L’invito autentico implica due dimensioni dell’amore: agàpe(dono all’altro di qualcosa che si possiede) e eros(desiderio per cui si chiede qualcosa). Quando la disponibilità è autentica, l’altro si sente rispettato, se n e rende conto e più facilmente si convince, decide di accettare l’invito. Il metodo del convincimento(vincere insieme)auspica la risposta positiva, ma non la pretende, perché crede nel dialogo, vede nel Tu un soggetto, un interlocutore protagonista. Tutto ciò presuppone l’accettazione incondizionata del Tu, dell’alterità, della diversità. Accettare significa accipere(latino), prendere con sé, farsi carico di, contenere, abbracciare, si accosta a concepire, dar vita a , capire, comprendere. Acceptare(latino, frequentativo di accipere) significa accogliere sempre, continuativamente, regolarmente, in ogni caso. Educare è invitare attraverso una comunicazione accettante e l’allestimento di un contesto accogliente e capace di valorizzare le risorse di ciascuno. Andare a trovare l’altro – Empatia L’arte dell’ospitalità prevede andare a trovare l’altro, l’andargli incontro. Non per nulla la parola ospite ha duplice significato: colui che è ospitato e colui che ospita. Non è una ambiguità semantica, ma il riconoscimento di appartenenza dell’ospitalità alla dialogicità. Buber dice che nel principio di ospitalità si realizza la reciproca inclusione e reciproca esperienza dell’altra parte. L’itinerario che conduce all’altro, che conduce a casa sua, è l’empatia: la capacità di mettersi nei suoi panni pur restando se stessi, mantenendo la necessaria distanza interpersonale, è, come sostiene Buber, guardarci, e parlarci da sponde opposte, sapendo tuttavia passare alla’altra sponda, metterci dall’altra parte. E’ dialogare. Metterci dall’altra parte, guardare da una prospettiva diversa può consentirci di approdare ad una nuova e arricchita identità, ad una meta identità: il vedere l’altro che io sono per l’altro; può rendermi disponibile a comprendermi in modo nuovo e a farmi cambiare. E’ un altro corollario della legge dell’ospitalità: riusciamo ad abitarci, perché – facendoci ospitare dall’ospite - andiamo ad abitare da lui. Buber parla di fantasia reale: tener conto della realtà, della concretezza dell’altro e immaginare, intuire ciò che il Tu potrà dare, l’Utopia del Tu, ciò che ancora non è ma potrà diventare. L’empatia implica silenzio empatico, l’arte di ascoltare, di praticare l’ascolto attivo, che richiede attenzione mentale, coinvolgimento emotivo, della corporeità nella consapevolezza che l’altro ha qualcosa da dire, è portatore di una realtà ricca e unica. Ascoltare significa anche tacere, non interrompere, ascoltare con gli occhi, con gesti concreti, con il sorriso. Insegnare – lasciare dei segni – lotta Una relazione interpersonale e interculturale efficace richiede lotta, lotta con l’altro per aiutare il Tu a diventare ciò che può e deve diventare, coinvolgendo pienamente le sue potenzialità, la sua volontà, il suo impegno, la sua responsabilità. Distinzione tra accettazione incondizionata dell’Altro e approvazione: si può accettare senza approvare(lotta), si può approvare senza accettare(negligenza). L’autentico incontro si costruisce sulla consapevolezza che esso si fonda sul fatto che la relazione si attua da sponde opposte. Lotta è il caldo, appassionato, concreto dialogo nella reciprocità più vera, lotta per ritrovarci vincenti insieme contro qualsiasi forma di ingiustizia. L’educatore ha la responsabilità di condurre intenzionalmente la dinamica interpersonale per lasciare nel Tu quei segni positivi che possono aiutarlo a crescere. La lotta notturna di Giacobbe con un angelo il legame interpersonale autentico lascia dei segni, delle ferite: ciascuno incide profondamente nell’altro, lo chiama per nome, ciascuno può narrare se stesso perché un altro ha saputo “scrivere nella sua anima”(Platone), attraverso la testimonianza, la parola autentica, gli atteggiamenti interpersonaliconferisce alla relazione autorità – essere autori – del discorso dentro se stessi del discorso che si scrive nel Tu, per aiutare a diventare egli stesso autore originale. Sulla soglia di casa Fraternità: una dimensione che ci costituisce come individui, comunità, umanità; è segreto della realizzazione personale e sociale, fonte di gioia autentica per i singoli e di vero benessere per la società. Sull’ospitalità, Derrida: un padrone di casa che sa che la felicità è un immenso tesoro racchiuso nell’ospitalità, vedendo uno straniero in lontananza dice: “Presto, entra, perché ho paura della mia felicità”. Cap.4 Curricoli interculturali in una scuola interculturale L’interculturalità deve divenire proposta educativa nella normalità: non un confronto tra culture, ma capire processi che nel tempo hanno portato alla formazione delle culture. L’interculturalità si rivolge a tutta la scuola indipendentemente dalla presenza di immigrati: come processo da realizzare attraverso progetti educativo-didattici trasversali alle discipline. Se non si valorizza la presenza di provenienze da altri paesi come risorsa si rischia di attivare processi di omologazione. Bisogna muoversi nell’ottica del riconoscimento delle identità altrui, radicando meglio e sull’essenziale anche la propria. Progetto educativo, organizzazione scolastica, metodologie e contenuti: 4 componenti che interagiscono nella creazione di un ambiente didattico ad impronta interculturale nell’intento di cooperare, costruire, collaborare dentro l’istituzione scolastica, nella creazione di rete con genitori e territorioeducazione che prepari i cittadini della società di domani dove ci sia possibilità di “cittadinanza per tutti con uguale dignità”. 1. Progetto educativo interculturale La progettazione educativa implica che la scuola abbia la capacità di progettare, possa rivolgersi all’interno e all’esterno, riesca a configurarsi come organizzazione che apprende, capace di trasformarsi e relazionarsi con i soggetti individuali e collettivi coinvolti nella realizzazione degli obiettivi da conseguire. Una scuola che è consapevole della necessità di ascoltare, perché ogni persona è portatrice ci cultura. Il progetto educativo interculturale Dovrebbe promuovere:  comunicazione e relazione interpersonale con la scoperta dell’alterità come rapporto;  spirito critico come consapevolezza della relatività delle identità Dovrebbe privilegiare:
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