Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh

con Frances McDormand, Sam Rockwell, Woody Harrelson e Peter Dinklage

Fresco trionfatore ai Golden Globe con quattro premi vinti – miglior film drammatico, miglior sceneggiatura, miglior attrice alla straordinaria Frances McDormand e miglior attore non protagonista a Sam Rockwell – e tra i favoriti per la prossima notte degli Oscar, Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh aveva già ampiamente convinto all’ultima edizione del festival di Venezia. Fu tra i film più apprezzati del concorso e vinse il Premio Osella per la miglior sceneggiatura, oltre ad essere stato, secondo molti rumors, fino all’ultimo momento il contendente di The Shape of Water per il Leone d’oro. Riconoscimenti meritati perché l’esilarante, beffardo, complesso e problematico Three Billboards Outside Ebbing, Missouri è una opera sardonica in grado di penetrare come un coltello nella profondità di un contesto di provincia e nella disperazione e nel cinismo che certi eventi traumatici possono scatenare in noi. 

Mildred Hayes (F. McDormand) è una madre la cui figlia è stata rapita, violentata e uccisa. Per smuovere le acque dell’indagine ferma al palo da quasi un anno affitta i tre cartelloni pubblicitari del titolo, sui quali affigge accuse alla polizia e allo sceriffo Willoughby (W. Harrelson): Raped while dying, Still no arrests? How come, chief Willoughby?, recitano i cartelloni. La provocazione scatena reazioni sempre più incontrollabili, con la donna che continua imperterrita nella ricerca della giustizia e della verità nonostante la comunità locale diventi sempre più ostile e stretta intorno allo sceriffo, personaggio, vedremo, estremamente contraddittorio. Il terzo lato del triangolo è costituito dal poliziotto Jason Dixon (S. Rockwell), esempio esasperato dell’America redneck  più profonda, violento, razzista e alcolizzato. Sarà però anche colui che avrà l’evoluzione interiore più evidente e che più sarà cambiato dalla vicenda. 
 

Il grottesco dei fratelli Coen – certamente tra le fonti d’ispirazione, ma non così decisivo – si unisce alla rappresentazione dell’eroe (anzi, dell’eroina) solitario, individualista e contraddittorio tipico del cinema di Clint Eastwood

Il grottesco dei fratelli Coen – certamente presente tra le fonti d’ispirazione, ma non così decisivo come molti commentatori hanno fatto notare – si unisce alla rappresentazione dell’eroe (anzi, dell’eroina) solitario, individualista e contraddittorio tipico del cinema di Clint Eastwood. Ci sono lo stesso tormento e la medesima ambiguità di fondo, con una stratificazione e un disordine interiore che non caratterizzano solo la protagonista. Prendiamo lo sceriffo di Woody Harrelson – intenso e più asciutto del solito: il suo personaggio non è frutto dello stereotipo del classico tutore dell’ordine tutto muscoli e niente cervello, né di quello altrettanto classico del funzionario corrotto o in malafede. Non c’è manicheismo, e tra la donna e il poliziotto, anche lui con il peso di una situazione privata insostenibile e anche lui in qualche modo vittima degli eventi, nasce una certa vicinanza ideale. Lo stesso vale per l’agente redneck interpretato da Rockwell. I tre personaggi sono tre facce della stessa medaglia e tre frutti dello stesso desolato contesto sociale. La disperazione rende la coriacea protagonista cinica e pronta a tutto, senza remore morali e pronta a non guardare in faccia a nessuno, neanche al dolore altrui: un’eroina con la quale non sempre si riesce, nonostante la sua tragedia, a empatizzare fino in fondo, portata dal dolore sempre più vicino alla deriva morale. Rischio, quello della deriva morale, che lo splendido, ambiguo e (quasi) agghiacciante finale rende concreto. 

McDonagh dipinge senza schematismi un ritratto cupo e beffardo di una piccola comunità come tante giocando sui rapporti di forza tra i personaggi e sulle loro tormentate condizioni interiori, mettendo l’intreccio dell’indagine e lo svelamento del mistero in secondo piano, in una posizione strumentale. La cittadina dove la vicenda si svolge appare come un coacervo di disillusioni, solitudini, rabbia, violenza e fallimenti, con qualche suggestione e riferimento a Twin Peaks (c'è pure un nano). Il costante ed esilarante black humour e il fuoco di fila di battute riuscite, sguardi perplessi e dialoghi ficcanti da un lato sì alleggerisce il peso delle tematiche, ma soprattutto contribuisce a rendere ancor più tetro e straniante il contesto, risultando quindi perfettamente inserito nell’economia dell’opera e coerente con il discorso che porta avanti. Three Billboards Outside Ebbing, Missouri appare qua e là come un’esilarante e allo stesso tempo tetra e dura screwball comedy sui mali di una società, e anche per questo funziona a meraviglia. 

Chi è rimasto perplesso ha fatto notare che McDonagh si limita a dirigere il traffico ma la sua non è una regia anonima, è semmai una regia invisibile


L’unica cosa che si può forse rimproverare al regista, aldilà di alcune lungaggini nella seconda parte, è il fatto che Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film che si affida quasi totalmente all’oliatissima sceneggiatura, alla potenza dei dialoghi e alla bravura straordinaria del cast. Chi è rimasto perplesso ha fatto notare che è un’opera in cui McDonagh si limita a dirigere il traffico. È vero che la sua è una regia molto accademica, senza particolari picchi stilistici, che si limita a gestire il ritmo. Allo stesso tempo è però anche una regia in grado di dare i tempi, comici e non solo, giusti e in grado di gestire alla perfezione il mix dei vari toni presenti nel film. McDonagh inoltre è autore della sceneggiatura, perciò la scelta di non calcare la mano a livello stilistico è legata alla scelta di esaltare il più possibile la vicenda così come è stata concepita. Non è una regia anonima, è semmai una regia invisibile, che nasconde volontariamente la propria presenza per raccontare meglio la sua storia e i suoi personaggi. 

Edoardo Peretti

«Mia figlia è stata ammazzata sette mesi fa, ma la polizia è troppo occupata
a torturare la gente di colore per risolvere un crimine vero».

USA-GB 2017 – Dramm. 115’ ★★★½


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