Maestro della pittura italiana tra Due e Trecento, Giotto ha rivoluzionato l’arte del Belpaese permettendo alle novità gotiche provenienti dal Nord Europa di fare la loro comparsa anche nella Penisola. L’artista ha infatti realizzato opere in cui la ieraticità e la solennità bizantina sono state sostituite da una resa dei soggetti più realistica e naturale.

Il “Crocifisso di Giotto”, dipinto per la Basilica di Santa Maria Novella a Firenze, rappresenta uno dei suoi massimi capolavori. Vediamo allora tutte le novità introdotte dal pittore sulla tavola.

La storia del Crocifisso di Giotto

Il “Crocifisso di Giotto” viene realizzato dall’artista toscano negli anni che vanno dal 1290 al 1295. A causa della scarsità di fonti disponibili è infatti difficile stabilire oggi una data di realizzazione esatta.

Il documento più antico che nomina il capolavoro giottesco per la Basilica domenicana di Santa Maria Novella è un testamento redatto da Ricuccio di Puccio del Mugnaio nel 1312. Nel testo l’uomo richiede di mantenere una lampada accesa davanti all’opera dopo la sua morte.

Per spostare la verosimile datazione prima del 1300, invece, gli storici dell’arte si sono basati sul raffronto stilistico con altri manufatti contemporanei.

In particolare, la Croce è risultata essere precedente sia al crocifisso di Deodato Orlandi per San Miniato al Tedesco del 1301, sia al crocifisso che compare sullo sfondo dell’affresco “Girolamo che esamina le stimmate” dipinto da Giotto ad Assisi nel 1295.

L’opera sarebbe poi successiva alla “Madonna di Borgo San Lorenzo”, uscita sempre dalla bottega giottesca nel 1290.

A complicare l’attribuzione della tavola, tuttavia, ci hanno pensato sia i Commentari di Lorenzo Ghiberti scritti alla metà del XV secolo, sia i testi di Vasari. Entrambe le fonti sottolineano infatti l’intervento di Puccio Capanna sulla Croce.

Tutto ciò ha dato adito ad accese discussioni in merito all’identificazione delle parti in cui il maestro ha richiesto la collaborazione di altri artisti. A seguito di un restauro del 1937 è stato tuttavia possibile stabilire la piena autografia di Giotto.

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Crocifisso di Giotto: descrizione dell’opera

Il “Crocifisso di Giottoè unanimemente considerato un lavoro cardine nello sviluppo della storia dell’arte perché, per primo, modifica e rinnova l’iconografia del Christus patiens, ovvero la modalità di raffigurazione della medesima scena introdotta da Giunta Pisano a inizio Duecento.

Se prima Gesù sulla croce veniva rappresentato con un evidente avanzamento del bacino che dava alla figura un marcato movimento a S, a partire dall’opera giottesca Cristo assume una posizione più naturalistica e meno forzata. In questo caso, infatti, il corpo senza vita riproduce la reale pesantezza delle membra che, con il loro peso, fanno sprofondare spalle, addome e gambe verso il basso. Oltre a ciò, la testa è piegata in avanti perché non più supportata dai muscoli.

Ai lati del Messia continuano però a comparire elementi tradizionali. Accanto al corpo è presente una decorazione a motivi geometrici che riproduce la texture di un ricco tessuto. Le estremità del braccio trasversale, invece, mostrano i mezzi busti di due personaggi sofferenti: la Vergine e San Giovanni Evangelista. In basso viene infine rappresentato il monte Calvario all’interno di un supporto dalla forma trapezoidale.

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Lo stile di Giotto nel Crocifisso

Come anticipato, il “Crocifisso di Giotto” per la Basilica di Santa Maria Novella rappresenta un’opera rivoluzionaria sia per le modifiche apportate a un’iconografia ormai diventata tradizionale, sia per lo stile pittorico mostrato dal maestro. Nell’opera l’artista dà infatti prova di aver superato la rigidità dell’arte bizantina a favore di una maggiore plasticità della figura.

I singoli passaggi anatomici sono più realistici e meno grafici, mentre la linea netta viene sostituita dal chiaroscuro. I muscoli delle braccia e del petto presentano un’efficace tensione data dalla forza applicata dal peso del corpo. Lo stesso succede anche sull’addome, che risulta rilassato verso il basso a causa di un’assente contrazione muscolare. Le mani, poi, hanno le dita proiettate in avanti e non più adese alla croce: un chiaro segnale che la vita ha ormai abbandonato il Cristo.

Per quanto riguarda i due dolenti laterali, infine, i soggetti non hanno più una visione frontale come avveniva nelle opere dello stesso tipo firmate da Cimabue. Al contrario, anche loro si caratterizzano per una maggiore tridimensionalità data dai ricchi panneggi ricreati attraverso le vesti. Tutto ciò aumenta quindi il coinvolgimento dello spettatore che così partecipa al dolore provato dalla Vergine e da San Giovanni Evangelista per la morte di Gesù.