La “Venere dormiente”, conosciuta anche come la “Venere di Dresda” in quanto custodita presso la Gemäldegalerie di Dresda, è una delle opere più famosa realizzate da Giorgio da Castelfranco, al secolo Giorgione. Si tratta di un olio su tela dalla bellezza mozzafiato e dalla modernità di stile e poetica incredibile che solo chi aderì alle novità pittoriche del Cinquecento e le guidò, come fece Giorgione, avrebbe potuto concepire e realizzare. Vediamola più da vicino.

Venere dormiente, il capolavoro di Giorgione

È un vero e proprio inno alla bellezza femminile la “Venere dormiente”: Giorgione regala alla storia dell’arte una delle prime rappresentazioni di donna completamente nuda. L’artista per questo dipinto si ispira direttamente all’arte antica, riuscendo a essere uno dei protagonisti del rinnovamento pittorico di quel secolo che porterà direttamente alla nascita dell’arte moderna. È il primo a inaugurare un filone che viene ripreso anche da Tiziano con la sua “Venere di Urbino”, probabilmente ispirato proprio da questo quadro che l’Urbinate ha portato a termine al posto di Giorgione a causa della sua prematura scomparsa.

La Venere di Giorgione e il tocco finale di Tiziano

La “Venere dormiente” si trova in casa di Girolamo Marcello verso il 1525 e si ipotizza sia stata richiesta all’artista dopo le nozze del committente nel 1507. Lasciata incompleta nel 1510, Tiziano si occupa di terminarla successivamente e forse rispetto all’originale ideato da Giorgione, al Vecellio viene richiesto di apportarvi alcune modifiche così che potesse essere un’opera più adatta come dono di nozze. L’artista, quindi, decide di introdurvi il morbido lenzuolo bianco e il cuscino coperto da un drappo rosso su cui è disteso il corpo della dea nonché altri particolari che hanno lo scopo di accentuare l’erotismo complessivo del dipinto. Il collezionista Marcantonio Michiel, cui si deve la descrizione dell’opera vista in casa Marcello, ricorda anche la presenza di un cupido sulla destra del dipinto, che sarà poi coperto da un pessimo restauro ottocentesco. Probabilmente la scelta è ricaduta su Venere per legittimare la discendenza della famiglia Marcello dalla Gens Iulia, stirpe che si racconta discendere dalla dea della bellezza. Dalla Venere di Giorgione prenderanno spunto contemporanei dell’artista come lo stesso Tiziano ma anche pittori più lontani nel tempo come Rubens, Ingres o Manet con la sua Olympia.

Venere dormiente, analisi e significato dell’opera

Riprende le sculture greco-romane la Venere dormiente” di Giorgione: trionfante nella sua seducente nudità, questa Venere sdraiata su un prato e adagiata comodamente su una morbida coltre di seta, sembra godersi il calore del pomeriggio e abbandonarsi al silenzio che il paesaggio immerso nella campagna promette. L’artista riesce in un’unica opera a rievocare il tema della Venere pudica cui associa quello del paesaggio e del nudo classico dando vita a un’innovazione artistica destinata a riscuotere un enorme successo. La dea che Giorgione presenta allo spettatore è estremamente femminile, sensuale e appare come inconsapevole della sua nudità e dell’effetto che può provocare. Si nota una sorta di corrispondenza tra le forme e i colori della dea e il paesaggio ritratto che diventa un tutt’uno con la Venere sdraiata. Con una mano sollevata svogliatamente sopra la testa e l’altra languidamente posata sul pube, la sensazione che la dea trasmette è di assoluta tranquillità, rilassatezza e calma, per infondere nello spettatore uno stato d’animo in pace con la natura. Le forme così morbide e plastiche del soggetto risultano ancora più delicate perché illuminate da una luce calda e lieve. La vera particolarità del quadro è la resa del paesaggio, la cui profondità viene suggerita e ottenuta dall’uso dei colori e delle diverse tonalità che diventano più calde per i dettagli più vicini e più fredde per i particolari più lontani. Giorgione opera qui un’altra meraviglia: riesce a donare agli oggetti delle sfumature di colore graduali così come vengono percepite nella realtà man mano che un oggetto si avvicina o si allontana dagli occhi. Le modulazioni tonali contribuiscono a creare un senso di malinconia, di solitudine incantata e sospesa.

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L’innovazione giorgionesca del nudo femminile

Con questa tela, Giorgione definisce uno dei soggetti di maggior successo della pittura veneziana del Cinquecento, cioè la figura femminile immersa nel paesaggio, che diventa iconico grazie alla lirica interpretazione del nudo casto della dea neoellenica, rappresentata in un sinuoso abbandono nella natura. L’andamento dolce del paesaggio, che riecheggia le forme del corpo divino, si sposa con l’erotismo controllato della Venere di classica memoria rivista e corretta dalla presenza della mano sull’inguine e della natura. L’atmosfera è sognante e la scena rappresenta un raro esempio di brevità poetica in cui si condensano gli attributi di un personaggio mitologico attraverso l’idealizzazione del nudo. È un’invenzione interamente giorgionesca l’unione dei resti di rovine antiche con casoni in puro stile e gusto fiammingo, quasi alla Bosch. Con questo dipinto, a Giorgione va riconosciuto il merito di aver saputo dare una svolta alla poetica della pittura veneziana del Rinascimento.