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Gli animali hanno più paura della voce umana che del ruggito di un leone: lo dimostra uno studio

Un team di ricerca internazionale ha dimostrato che gli animali selvatici della savana africana sono più terrorizzati delle voci umane che di ruggiti e richiami dei leoni. Considerano l’essere umano la principale minaccia e hanno ragione: Homo sapiens, del resto, è un super predatore spietato che uccide un numero enorme di animali anche per crudele divertimento.
A cura di Andrea Centini
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Gli animali selvatici della savana africana hanno più paura delle voci umane che del ruggito del leone, tra i predatori più implacabili e temuti del continente. È quanto emerso da un nuovo e significativo studio sperimentale, che ha osservato il comportamento di diverse specie esposte a una moltitudine di fonti sonore (emesse con i megafoni). Il tasso e la velocità di fuga degli animali nel proprio ambiente naturale – come pozze d'acqua in cui si abbeverano – sono stati sensibilmente superiori quando venivano riprodotte le voci degli esseri umani, rispetto a quanto osservato con i richiami dei grandi felini. Questo vuol dire soltanto una cosa: che la fauna selvatica ci considera la principale minaccia alla propria sopravvivenza. Gli animali ci temono, più di ogni altra cosa. E fanno bene. Perché Homo sapiens, come mostrano diversi studi recenti, è un super predatore che uccide gli altri esseri viventi a un tasso decisamente superiore a quello degli altri predatori apicali. Il risultato di questa ricerca potrà avere ripercussioni anche sul turismo naturalistico e su nuovi approcci per proteggere gli animali dal bracconaggio.

A condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici dell'Università Occidentale di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'ARC – Animal Production Institute, Rangeland Ecology Group di Mbombela (Sudafrica) e del Dipartimento di Ecologia, Evoluzione e Comportamento dell'Università del Minnesota (Stati Uniti). I ricercatori, coordinati dalla dottoressa Liana Y. Zanette del Dipartimento di Biologia dell'ateneo londinese, hanno condotto l'esperimento presso il Greater Kruger National Park (GKNP) in Sudafrica, una vastissima area protetta – quasi 350.000 ettari – nella quale vivono centinaia di specie animali guidate dalle leggi della natura. È un vero paradiso per la biodiversità, oltre che meta turistica privilegiata per safari fotografici indimenticabili.

La dottoressa Zanette e i colleghi hanno piazzato telecamere e altoparlanti in alcuni punti strategici della riserva, ad esempio dove avvengono le maggiori interazioni tra prede e predatori (come le sopracitate pozze d'acqua), e hanno emesso una serie di suoni per verificare la reazione degli animali. Si sono concentrati soprattutto sulle reazioni di 19 specie, tra le quali elefanti, antilopi, bufali, leopardi, facoceri, giraffe, kudu, impala, iene, zebre, rinoceronti e molte altre. Per quanto concerne le voci umane trasmesse, sono state utilizzate normali conversazioni nelle lingue più parlate nell'area del parco. Oltre alle voci (sia maschili che femminili) sono stati utilizzati l'abbaiare di cani – usati per la caccia -, colpi di armi da fuoco, ruggiti e altri richiami dei leoni, rumore di fondo standard con canti di uccelli e altro ancora. Sono state raccolte oltre 4.000 reazioni.

Esponendo i vari animali a questi rumori, i ricercatori hanno osservato che essi avevano “il doppio delle probabilità di correre e abbandonare le pozze d'acqua in un tempo più veloce del 40 percento in risposta agli esseri umani rispetto ai leoni (o ai suoni della caccia)”, come indicato nell'abstract dello studio. Il 95 percento delle specie studiate scappava più dagli esseri umani che dai leoni, in particolar modo “giraffe, leopardi, iene, zebre, kudu, facoceri e impala” o abbandonava più velocemente le pozze d'acqua, “soprattutto rinoceronti ed elefanti”. Questi ultimi sono stati osservati anche mentre provavano a confrontarsi contro la fonte sonora. In un filmato è stato ripreso un leopardo con una preda che è fuggito a tutta velocità – abbandonando una piccola antilope morente – subito dopo aver sentito le voci umane.

Come spiegato alla BBC dalla dottoressa Zanette, lo studio è stato condotto per sondare il concetto di “ecologia della paura”, legato alle interazioni tra prede e predatori negli habitat naturali. “I predatori uccidono le prede e questo ovviamente riduce il numero delle prede, ma ciò che abbiamo dimostrato in altri lavori è che la paura che ispirano i predatori può essa stessa ridurre il numero delle prede. Misurare, mitigare e manipolare la paura che noi incutiamo alla fauna selvatica presenta sfide e opportunità che, secondo noi, dovrebbero ora essere considerate componenti integrali della pianificazione della conservazione e della gestione delle aree protette”, ha chiosato la specialista.

Il semplice vociare di turisti amanti degli animali che intendono solo osservarli e fotografarli potrebbe infatti farli allontanare, così come megafoni piazzati strategicamente potrebbero impedire ai rinoceronti e ad altri animali particolarmente minacciati di allontanarsi dalle riserve protette e finire nel mirino dei bracconieri. I dettagli della ricerca “Fear of the human “super predator” pervades the South African savanna” sono stati pubblicati sulla rivista Current Biology.

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